Riv n I Febbraio 2016

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Rivista delle Imprese e dei Mercati Internazionali

Bimestrale

di divulgazione

giuridica ed economica. I° numero

Febbraio 2016

Numero I/2016 Numero redatto con la collaborazione di: Lenzi Paolo Broker di Assicurazioni Srl Via Riva Reno 29/c – 40122 Bologna mail: info@lenzibroker.it www.lenzibroker.it

Rivista delle Imprese e dei Mercati Internazionali – Febb. 2016


Rivista delle Imprese e dei Mercati Internazionali Bimestrale di Divulgazione giuridica ed economica Autori Vari – AA.VV.

Riv. Depositata presso il Trib. di Bologna in data 08/04/2015. Autorizzazione n. 8380

Proprietario e Direttore: Avv. Francesco De Sanzuane Sede redazionale: Via Borghi Mamo 1 – 40137 - Bologna Contatti e Info: http://www.rivistadelleimprese.it inforivistadelleimprese@gmail.com info@rivistadelleimprese.it

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SOMMARIO Rivista delle Imprese e dei Mercati Internazionali ISSN 2421-2830

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Editoriale L’E-commerce: un mercato in espansione ancora poco apprezzato in Italia. Francesco De Sanzuane

Diritto dei Contratti Internazionali La scelta del foro competente. Vincenzo Cotugno

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Diritto delle Società Gli amministratori di Società per azioni. L’azione di responsabilità e la legittimazione del socio dissenziente, di Francesco De Sanzuane

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Direttore responsabile Francesco De Sanzuane Autori Vincenzo Cotugno, Francesco De Sanzuane, Enrico Feliziani, Cocchini, Loreno Magni, Antonio Zama.

Diritto dei Contratti Accordi di Riservatezza e contrattualistica di Antonio Zama

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Diritto Tributario e fiscale Le novità fiscali della Legge di Stabilità 2016 di Studio Cocchini &Feliziani

Segreteria di Redazione Via Borghi Mamo 1 40137 – Bologna

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Febbraio 2016

Numero I/2016 Numero redatto con la collaborazione di: Lenzi Paolo Broker di Assicurazioni Srl Via Riva Reno 29/c – 40122 Bologna mail: info@lenzibroker.it www.lenzibroker.it

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Editoriale L’e-COMMERCE: UN MERCATO IN ESPANSIONE, ANCORA POCO APPREZZATO IN TIALIA Sebbene le notizie dedicate all’e-commerce in Italia pretendano di rendere una immagine complessiva positiva, il risultato che emerge dall’analisi degli ultimi dati di settore, e che riguarda il nostro Paese, non è del tutto positivo, anche e soprattutto se paragonato all’accelerazione che l’e-commerce sta avendo nel resto d’Europa. Pare, infatti, che i nostri operatori scontino una certa ritrosia –forse di natura culturale – nell’affidare la vendita dei propri prodotti ad uno strumento che appare ancora troppo “freddo”, non in grado di esprimere nel dettaglio la cura ed il tempo che sono stati necessari per sviluppare un determinato prodotto, servizio o mercato. Tale impostazione, tuttavia, rischia di rallentare enormemente lo sviluppo del mercato Italiano, in controtendenza rispetto al mercato in Europa, più esteso e che cresce più velocemente anche dell’e-commerce di stampo Americano. I valori assoluti in termini di “turnover” complessivo rilevati nel corso del 2014 sono, per quanto attiene Europa e Stati Uniti, rispettivamente 259,5 miliardi di dollari, con una cresciuta del 18,2%, e di circa 194,3 miliardi di dollari, evidenziando una cresciuta del 16,1%. Ma a ben vedere, gran parte del merito della crescita dell’e-commerce in Europa è dovuto all’espansione di una società americana, Amazon, che è diventata con ampio margine il più grande e-retailer europeo, superando per più del doppio il secondo in classifica, il gruppo europeo tedesco “Otto”. Inoltre, è rilevabile che sono le società nate quali “pure players”, ovvero ideate e strutturate per vendere solo su internet, a conoscere i migliori risultati, dimostrando che gli investimenti effettuati sul mercato “in rete” sono in grado di assicurare ottimi ritorni in relativamente poco tempo. In effetti, i “pure player” del commercio online crescono di oltre un quarto percentuale anno dopo anno, anche in questo caso superando di oltre un doppio le catene di vendita al dettaglio e i produttori che vendono direttamente online i propri articoli. In questo scenario, è interessante notare che è la Polonia il paese che può vantare la crescita più alta e che, assieme agli altri paese della zona del centro-nord Europa, ha saputo meglio investire sullo sviluppo dell’infrastruttura necessaria e sul mercato online. Vi sarebbe dunque spazio, e grandi opportunità, per società Italiane che volessero entrare nel settore, potendo contare su prodotti di altissima qualità da pubblicizzare e distribuire, anche considerando che il nostro Paese, tra i primi quattro mercati online in Europa, non può vantare nessun dealer tra i primi dieci: Amazon (US); Otto Group (D); Tesco Store (UK) formano il podio, mentre mediashopping rivestì solo il 22 posto in graduatoria, con 957 milioni di dollari di incassi registrati nel 2011. Orbene, se è vero e indubitabile che la tradizionale frammentazione che contraddistingue il tessuto economico del nostro Paese probabilmente non permette la formazione di grandi gruppi di distribuzione, è altrettanto vero che le nostre imprese possono contare su prodotti all’avanguardia e strumenti giuridici più che idonei per investire nell’e-commerce, con maggiore fiducia e determinazione che nel passato, ma senza attendere troppo a lungo, per non rischiare che anche questo nuovo mercato sia irrimediabilmente colonizzato da aziende d’oltre confine.

Francesco De Sanzuane Rivista delle Imprese e dei Mercati Internazionali – Febb. 2016

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Gennaio 2016

Diritto dei Contratti Internazionali

La scelta del foro competente”. Vicenzo Cotugno Quadro normativo internazionale.

Che il volume degli scambi internazionali sia aumentato in misura esponenziale è un dato di fatto oggi unanimemente riconosciuto. La facilità e la rapidità delle comunicazioni, delle transazioni economiche e del trasporto di persone e beni non ha fatto altro che rafforzare ulteriormente un trend ormai consolidato. Le sofisticate realtà imprenditoriali italiane oggi operano con molta disinvoltura su più mercati dislocati geograficamente producendo, acquistando e vendendo beni o servizi su scala globale. E così, una società che ha sede in Italia non escluderà dal novero dei propri potenziali partner commerciali società indiane, cinesi o statunitensi a causa della loro lontananza fisica, laddove queste risultino competitive in termini di costi e qualità dei prodotti o interessanti per lo sviluppo di opportunità di business. La distanza, infatti, non rappresenta più, di per sé, un freno alla nascita di rapporti commerciali e rileva, perlopiù, in termini di maggiori costi indiretti. Si intuisce, pertanto, quanto sia semplice immaginare cooperazioni che coinvolgono due o più mercati (e le rispettive giurisdizioni). Ciò, a maggior ragione, in un Paese come l’Italia dove l’interscambio con l’estero conta all’incirca per il 29.4% del prodotto interno lordo nazionale. Il “problema” che emerge in questi casi, e che letteralmente frena le iniziative imprenditoriali, non ha nulla a che vedere con la concreta esecuzione delle prestazioni reciproche o con possibili barriere culturali (sempre meno ingombranti). Si fatica, invece, a trovare punti di riferimento in grado di condurre ad un inquadramento giuridico ritenuto dalle parti familiare e dunque, in qualche modo, equilibrato. Allo stesso modo, risulta tutt’altro che semplice individuare un’autorità giurisdizionale che contemperi le esigenze di imparzialità

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e di efficacia delle pronunce con il contenimento dei costi e la facilità di accesso. Manca, o non è sufficientemente diffuso e conosciuto, un autonomo sistema di norme, capace di rispondere adeguatamente alle necessità di chi opera in un contesto internazionale. A questa mancanza, suppliscono (con tutte le loro carenze e i loro limiti) i rispettivi ordinamenti nazionali, di volta in volta attivati, perché espressamente richiamati dalla volontà delle parti ovvero dalle norme di diritto internazionale privato. Ragionamento analogo vale per gli organi giurisdizionali deputati alla risoluzione delle controversie. Malgrado non si possa negare che alcuni importanti tentativi di costituire un ordinamento internazionale autonomo ed uniforme siano stati fatti, è ancora significativa la distanza dall’obiettivo che si intende perseguire.

Elementi di fatto: la fattispecie.

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In questo contesto si inserisce la fattispecie che intendiamo analizzare. Abbiamo immaginato un rapporto contrattuale in essere tra più soggetti per rendere più concreto e verosimile l’esame delle complessità pocanzi richiamate. Si è cercato, inoltre, di evidenziare le ricadute che aspetti tecnico-giuridici come la legge applicabile e il foro competente possono avere sulle vicende prettamente economiche e commerciali della collaborazione. Si è quindi ipotizzato che una società italiana, attiva da oltre vent’anni in un settore della meccanica industriale, abbia stipulato un contratto volto a disciplinare lo scambio di beni con una cinese fornitrice di determinati prodotti. Nel nostro esempio, il contratto è denominato dalle parti “Agency Agreement”, malgrado la reale caratterizzazione giuridica sia tutt’altro che scontata, e prevede che la società italiana distribuisca sul territorio europeo taluni prodotti acquistati dalla società cinese. Quest’ultima, a sua volta, assumerebbe il ruolo di “trader”, acquistando i prodotti da un’altra società giapponese e rivendendoli a quella italiana. Il rapporto immaginato dura diversi anni nel corso dei quali, tuttavia, le relazioni commerciali si complicano e si deteriorano.

Elementi di diritto: il Contratto.

Nomen Iuris Occorre innanzitutto affrontare la qualificazione giuridica del rapporto contrattuale tra le parti. Inquadrare correttamente la fattispecie rappresenta, infatti, un passo ineludibile, se si vuole individuare la legge applicabile e, di conseguenza, la chiave di lettura delle disposizioni pattizie. La questione, infatti, non è puramente semantica o teorica ma implica importanti effetti giuridici e conseguenze pratiche. Come detto, il Contratto è stato denominato “Agency Agreement”. La terminologia usata, d’altra parte, non serve a definire il modello negoziale in maniera inequivocabile. Al contrario, la denominazione adottata dalle parti può al più fungere da parametro di riferimento per desumere la volontà delle parti; mentre l’oggetto del contratto e le obbligazioni in capo alle parti sono gli elementi decisivi per determinare in concreto il tipo di rapporto in essere. Ci si dovrà allora concentrare sulle caratteristiche che consentono di distinguere un tipo di contratto dall’altro. Senza attardarsi negli aspetti tecnico-giuridici più di quanto non sia necessario, è possibile evidenziare sinteticamente le peculiarità del contratto di agenzia e modelli contrattuali ad esso più affini: (A) Contratto di Agenzia – Agency Agreement: è il contratto con il quale un soggetto (il preponente o principal, nella prassi internazionale) incarica stabilmente un altro soggetto (l’agente o agent, nella prassi internazionale) di promuovere, per suo conto, la conclusione di contratti commerciali che hanno ad oggetto beni e servizi in cambio

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del pagamento di una provvigione. L’incarico viene assegnato limitatamente ad un ambito territoriale ben delimitato. Tralasciando gli altri elementi, che possono essere riscontrati in rapporti contrattuali similari (e.g. definizione della zona di competenza, esclusiva, etc.), par bene focalizzare l’attenzione su uno degli aspetti più caratteristici del contratto di agenzia: la provvigione. L’agente, difatti, ha diritto al compenso per tutti gli affari conclusi tra preponente e cliente, grazie al suo intervento. Non sussiste una prescrizione che imponga le modalità di determinazione della provvigione. Tuttavia, nella prassi (sia nazionale, sia internazionale), quest’ultima è generalmente calcolata in misura percentuale sugli affari che hanno avuto regolare o parziale esecuzione. A questo tema, se ne aggiunge un altro, altrettanto importante: per gli agenti che operano in Italia è stato istituito un apposito ruolo pubblico (L. n. 316/1968), la mancata iscrizione nel quale impedisce, ai sensi dell’art. 9, la conclusione di contratti di agenzia (ed ai contravventori è comminata peraltro una sanzione pecuniaria). (B) Contratto di Vendita Internazionale/Somministrazione – Supply Agreement: la disciplina della vendita internazionale forma oggetto di almeno sei Convenzioni interstatali di diritto uniforme. In estrema sintesi, si ha vendita internazionale allorché un contratto, concluso tra parti domiciliate in due Stati diversi, dispone che una parte (il venditore o seller o supplier, nella prassi internazionale) trasferisca il diritto di proprietà o altro diritto reale ad un’altra parte (l’acquirente o purchaser, nella prassi internazionale) ricevendo in cambio il corrispettivo di un prezzo in denaro. L’elemento preponderante in tali transazioni è quello dello scambio di beni: singoli beni o partite di merci nella vendita; stabile rapporto di fornitura nella somministrazione. In quest’ultimo caso, si conclude un contratto di scambio di durata, ove una parte si obbliga ad eseguire in favore di un’altra delle prestazioni continuative o periodiche di cose, dietro pagamento di un prezzo concordato; (C) Contratto di Concessione di Vendita/Distribuzione – Distribution Agreement: tale modello contrattuale prevede che un produttore di un bene o un commerciante all’ingrosso (il concedente o manufacturer, nella prassi internazionale) attribuisca ad un altro soggetto (concessionario o distributor, nella prassi internazionale) il diritto di commercializzare i propri prodotti in una determinata area geografica e per un certo periodo. La differenza dalle precedenti fattispecie è evidente: non può essere confuso con l’agenzia, dove è presente solo l’elemento della collaborazione, ma non quello dello scambio, né con quello della vendita o somministrazione, dove è prevalente lo scambio e assente il carattere della collaborazione nella vendita dei prodotti. Nell’esempio immaginato, il rapporto commerciale retto dal Contratto parrebbe avvicinarsi maggiormente al contratto di concessione di vendita / distribuzione. Le parti infatti, hanno avviato da tempo una collaborazione che non si esauriva nella semplice fornitura della merce verso il pagamento di un prezzo, ma che mirava, in qualche modo, allo sviluppo di un mercato attraverso la distribuzione di un prodotto. Contratti di questo genere, di solito, formalizzano la collaborazione tra le parti prescrivendo clausole (come quelle che seguono) che impongono al distributore di

porre in essere attività volte a sviluppare il mercato del concessionario mentre obbligano il produttore di migliorare il prodotto e di concedere in prelazione al partner la distribuzione di eventuali nuovi prodotti. Ø “Party A shall, at all times during the Term, develop the market and distribute the Products in the Territory according to the highest professional standards and make its best efforts to keep and preserve Party B’s reputation” Ø “Party A shall improve the quality of products […], while Party B shall develop the sale with the purpose to reach in the first year a total buying value up to [X] [omissis]”; Il produttore non vende al distributore solo per ricevere il corrispettivo, ma anche e soprattutto affinché quest’ultimo diffonda il prodotto sul mercato di proprio riferimento. La cooperazione, specialmente nel campo dei prodotti tecnologici, si specifica oltretutto nell’obbligo in capo al distributore di effettuare attività di garanzia e di assistenza alla clientela. Legge applicabile Circoscritta l’area di definizione del modello contrattuale in esame, sia pure con la relativa approssimazione che sempre accompagna questo tipo di analisi, occorre determinare quale è la legge che troverà applicazione. Il che, evidentemente, serve a tracciare il solco che ci guiderà nella lettura delle disposizioni pattizie formalizzate dalle parti. Il giudice (cinese o italiano) o il collegio arbitrale che sarà eventualmente chiamato a dirimere la controversia tra le parti non applicherà, infatti, sic et simpliciter la legge del proprio Paese, ma dovrà prima accertare quella che regola in concreto la fattispecie. In genere, le parti di un rapporto commerciale definiscono convenzionalmente l’ordinamento giuridico che disciplina l’applicazione e l’interpretazione delle clausole contrattuali, nonché il giudice che, in caso di contenzioso, sarà competente a dirimere le controversie. Immaginiamo, invece, che il contratto, di per sé vago e lacunoso, non preveda la legge applicabile. Laddove manchi una scelta precisa delle parti, sono i criteri di collegamento contenuti nelle norme di diritto internazionale privato a determinare la legge regolatrice del contratto. A tale proposito, ci pare doveroso sottolineare che i criteri di collegamento applicabili, ove il contratto taccia, non consentono quasi mai di individuare con assoluta certezza quale risulterà essere in definitiva (per il giudice chiamato a risolvere la controversia) la legge applicabile, vuoi per le differenze tra i diversi sistemi di diritto internazionale privato vuoi per i rilevanti margini di discrezionalità che tali norme lasciano a chi deve applicarle. Occorre dunque definire quali tra le fonti normative di rango internazionale prevarrà sulle altre trovando applicazione ed, in particolare, se è possibile individuare una disciplina normativa che verrà presumibilmente attuata dal giudice eventualmente interpellato. Prendiamo le mosse dalla Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. Ai sensi della Convenzione (art. 4), un contratto è regolato dalla legge del Paese con il quale presenta il collegamento più stretto. Nei contratti a prestazioni corrispettive la prestazione caratteristica corrisponde a quella di carattere non monetario, in quanto il centro di

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gravità e la funzione socio-economica di tali contratti «consiste nella prestazione per cui il pagamento è dovuto, ossia, a seconda delle diverse categorie di contratti, il trasferimento della proprietà, la consegna dei beni mobili materiali, l’attribuzione dell’uso di un bene, la prestazione di un servizio, il trasporto, l’assicurazione, l’attività bancaria, la garanzia, etc.» Per determinare la prestazione caratteristica, è dunque necessario fare un passo indietro e richiamare il tema affrontato in precedenza circa la qualificazione giuridica del rapporto tra le parti. Le conclusioni a cui si perverrà circa la legge applicabile saranno, naturalmente, diverse a seconda che si tratti di un contratto di agenzia, di somministrazione ovvero di distribuzione. Dall’analisi concreta del rapporto intercorrente tra le parti, è emerso che il contratto presenta caratteristiche tali da assimilarlo più ad una concessione di vendita (o distribuzione) che agli altri modelli contrattuali esaminati. Peraltro, anche nell’ambito di uno stesso tipo di contratto, si giunge a risultati opposti a seconda che si consideri determinante l’attività di distribuzione (e cioè la rivendita di prodotti) ad opera del concessionario – distributore o invece la fornitura degli stessi da parte del concedente. Seguendo la prima impostazione (contratto di distribuzione), la prestazione caratteristica sarà quella del concessionario. Ove si ponga invece l’accento sulla fornitura di merci dal concedente al concessionario, il risultato si capovolge e diventa caratteristica la prestazione del «concedente-venditore». Alle stesse conclusioni si perviene applicando il regolamento Roma I (593/2008) che prevede nel caso del contratto di distribuzione l’applicazione della legge del Paese nel quale il distributore ha la residenza abituale. Alla luce delle riflessioni che precedono, ci sembra possibile trarre le seguenti conclusioni: (i) il rapporto commerciale immaginato è qualificabile in termini di concessione di vendita – distribuzione; (ii) la prestazione caratteristica del contratto è la distribuzione dei prodotti sul territorio europeo; (iii) pur ribadendo la piena discrezionalità del giudice (sia cinese che italiano) nel valutare quali norme debbano trovare applicazione, a nostro avviso la legge applicabile è quella del Paese dove ha la residenza la società italiana. Nel nostro ordinamento, i contratti di compravendita sono disciplinati dalla Convenzione di Vienna del 1980 sui contratti di vendita internazionale di beni mobili (“Convenzione di Vienna”), fonte normativa di diritto internazionale sostanziale uniforme. La Convezione di Vienna definisce la compravendita in termini molto ampli e generici: «Sono considerate compravendite i contratti di fornitura di merci da fabbricare o da produrre, a meno che la parte che ordina le stesse non sia tenuta a fornire una porzione essenziale degli elementi materiali necessari a tale fabbricazione o produzione». Pertanto, almeno tendenzialmente, qualsiasi rapporto che prevede lo scambio di beni verso un corrispettivo vi rientrerebbe. Abbiamo appurato, tuttavia, che il caso in esame è più articolato di una semplice compravendita di merci. Le implicazioni che esorbitano la semplice fornitura di beni, pertanto, saranno regolamentate dal complesso di norme che compongono l’ordinamento italiano (Codice Civile in primis). Foro competente Prendiamo adesso in esame il foro competente (ovverosia il giudice che sarà chiamato a dirimere l’eventuale contenzioso tra le parti). È bene distinguere tra le problematiche relative alla determinazione della legge sostanziale applicabile da quelle riguardanti l’individuazione dei soggetti chiamati a decidere eventuali controversie: altro è il come (in base a quale legge) vadano decise determinate controversie (argomento discusso nel precedente paragrafo), altro è stabilire chi debba deciderle. Nel rapporto contrattuale ipotizzato ai fini di questo approfondimento, il contratto prevede una clausola arbitrale, la quale così dispone: «In the event any dispute arises between the Parties out of or in relation to this Agreement, including any dispute regarding its breach, termination or validity, the Parties shall attempt in the first instance to resolve such dispute through friendly consultations. In

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Convenzione di Vienna del 1980 sui contratti di vendita internazionale di beni mobili «Sono considerate compravendite i contratti di fornitura di merci da fabbricare o da produrre, a meno che la parte che ordina le stesse non sia tenuta a fornire una porzione essenziale degli elementi materiali necessari a tale fabbricazione o produzione»

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the event that no settlement can be reached within 60 (sixty) days of commencement of the dispute,

the dispute shall be submitted for final and binding arbitration. The arbitral decision will be conclusive and binding for all Parties. The arbitration fees will be at charge of the losing part». Una disposizione così formulata è senz’altro nulla. Affinché una clausola compromissoria sia valida è infatti indispensabile che possegga determinati requisiti. Essa non può essere generica ed indeterminata ma deve prevedere quanto meno alcuni elementi essenziali, dovendo: 1. specificare espressamente che le controversie emergenti dal contratto siano deferite alla giurisdizione di un collegio arbitrale piuttosto che alle corti ordinarie; 2. indicare l’istituzione arbitrale competente o la relativa sede o la legge regolatrice dell’arbitrato; 3. indicare il metodo e il numero di scelta degli arbitri. È senz’altro vero che clausole compromissorie generiche possono essere ritenute valide, quando, ad esempio, rimandano al regolamento di un’istituzione arbitrale o incardinano l’arbitrato in un certo luogo. Tali clausole, infatti, saranno considerate valide nella misura in cui le loro lacune siano colmate dalla legge del luogo o dell’istituzione prescelta. In questo caso, manca qualunque riferimento che possa sopperire alla mancata indicazione del luogo, delle regole e dell’istituzione competente a giudicare. Pertanto, la disposizione pattizia non può che ritenersi priva di alcuna efficacia.

«Ai sensi dell’art. 3, comma 1° della citata legge, la giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’art. 77 c.p.c. Ciò significa che, fatta eccezione per il caso di azioni reali aventi per oggetto beni immobili situati all’estero (ipotesi espressamente sottratta alla giurisdizione italiana dall’art. 5), il contraente italiano potrà sempre essere convenuto in Italia dalla controparte straniera »

Non resta, a questo punto, che individuare il giudice ordinario (non, dunque, arbitrale) titolato a decidere delle eventuali future liti tra le parti. A questo riguardo, occorre innanzitutto partire da una considerazione di ordine generale: l’ambito della giurisdizione dell’autorità giudiziaria dei vari Paesi non si inquadra in un sistema omogeneo e coordinato a livello sovranazionale ma dipende, bensì, dalle scelte che ciascuno Stato compie in modo unilaterale. Questa assenza di coordinamento internazionale presta il fianco a possibili sovrapposizioni tra le competenze dei giudici nazionali. Nel senso che (come accade di sovente) la stessa controversia può essere portata davanti a giudici di diversi Stati e che quindi si instaurino parallelamente due cause, le cui sorti potranno continuare in completa indipendenza, fino all’emanazione di due sentenze definitive, magari di contenuto opposto. D’altra parte, in nessun caso all’interno di un Paese saranno efficaci due sentenze contraddittorie sulla medesima controversia, in quanto l’esistenza di una sentenza dei propri giudici impedirà il riconoscimento di una sentenza straniera sulla stessa questione. Tornando alla situazione che ci interessa, abbiamo visto che la legge applicabile è (sulla base della nostra ricostruzione) quella italiana. Nel nostro ordinamento, le controversie tra parti domiciliate in Paesi diversi da quelli dell’UE (per i quali trova applicazione il Regolamento comunitario n. 44 del 2001) sono disciplinate dal regime generale previsto dalla Legge 218/95. Ai sensi dell’art. 3, comma 1° della citata legge, la giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’art. 77 c.p.c. Ciò significa che, fatta eccezione per il caso di azioni reali aventi per oggetto beni immobili situati all’estero (ipotesi espressamente sottratta alla giurisdizione italiana dall’art. 5), il contraente italiano potrà sempre essere convenuto in Italia dalla controparte straniera. Si tratta di un principio diffuso in tutti gli ordinamenti, che costituisce, di solito, la regola generale. Per quanto riguarda invece la possibilità di convenire un soggetto non domiciliato o residente in Italia davanti ai giudici italiani, il 2° comma dell’art. 3 stabilisce che la giurisdizione dev’essere determinata: (i) se si tratta di materie comprese nella convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4; (ii) per le altre materie, anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio. Questa ipotesi, tuttavia, non è consigliabile perché una sentenza favorevole potrebbe difficilmente essere resa esecutiva in Cina (per quanto ci consta, esiste un solo precedente pubblicato in letteratura di sentenza resa da un giudice

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italiano e riconosciuta in Cina, in un procedimento rivelatosi, peraltro, infruttuoso per l’incapienza del patrimonio della parte cinese). Pertanto, se la società italiana dovesse decidere di agire nei confronti di quella cinese, sarebbe addirittura preferibile (o meno inutile) farlo direttamente in Cina, agendo innanzi alle locali autorità giudiziarie. Valutazioni Conclusive. Gli esiti di questa breve indagine invitano a riflettere sulle complessità giuridiche che comunemente si stagliano sulla strada di coloro che operano in un mercato globalizzato. Dal nostro punto di vista, non esistono criticità tecnico-giuridiche che possono compromettere, di per sé, un rapporto industriale o commerciale con un partner, a meno che le posizioni siano inconciliabili in termini di interessi economici perseguiti. Al contrario, tutti gli elementi attratti nell’orbita delle dinamiche negoziali offrono spunti interessanti per smussare gli spigoli più acuti e consolidare le basi di una cooperazione di lungo termine. In definitiva, la pratica dimostra che ogni negoziazione non è altro che una partita a scacchi in cui è importante conoscere bene le posizioni di partenza, le mosse possibili, gli obiettivi perseguibili e, infine, le strategie più appropriate per ottenerli. D’altra parte, essa ci insegna anche che la trattativa migliore è quella che lascia parzialmente soddisfatte (o lievemente insoddisfatte) entrambe le parti. Un approccio corretto dovrebbe quindi mirare ad affrontare con la dovuta consapevolezza anche le questioni più spinose e tecnicamente complesse di un rapporto internazionale e risolverle adottando scelte contrattuali eque per tutte le parti in campo, ricordandosi che una “non-scelta” è comunque una scelta: che siano altri a decidere. NOTE The World Bank (http://data.worldbank.org/indicator/NE.EXP.GNFS.ZS). F. BORTOLOTTI, Diritto dei Contratti Internazionali, Terza edizione, Volume I, CEDAM, 2009, p. 2. In questo senso, ad esempio, la Convenzione di Vienna del 1980 sui contratti di vendita internazionale di merci, promossa dall’Uncitral (United Nations Commission on International Trade Law) ovvero la codificazione degli International Commercial Terms (c.d. “Incoterms”) da parte della Camera di Commercio Internazionale. F. Galgano, Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico dell’Economia, Diritto e prassi del commercio internazionale, 2010, CEDAM, pag. 482. Convenzione dell’Aja del 15 giugno 1955, sulla legge applicabile alle vendite aventi carattere internazionale di oggetti mobili corporali; Convenzioni dell’Aja del 1 luglio 1964; Convenzione di New York del 14 giugno 1974, sulla prescrizione in materia di vendita internazionale di beni mobili con un protocollo del 11 aprile 1980; Convenzione di Vienna del 11 aprile 1980; Convenzione di Ginevra del 17 febbraio 1983 sulla rappresentanza in materia di vendita internazionale di beni mobili; Convenzione dell’Aja del 22 dicembre 1986 sulla legge applicabile alle vendite aventi carattere internazionale. F. BORTOLOTTI, Diritto dei Contratti Internazionali, cit., p. 247. Relazione sulla convenzione relativa alla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del prof. Mario Giuliano, docente all'Università di Milano, e del prof. Paul Lagarde, docente all'Università di Parigi I, Gazzetta ufficiale n. C 282 del 31/10/1980 pag. 0001 – 0050. F. BORTOLOTTI, Diritto dei Contratti Internazionali, cit., p. 299. Ex multis, si ricordano Cass. civ. Sez. I, 20-01-2006, n. 1189 (rv. 588223) e Cass. civ. Sez. II, 12/09/2011, n. 18679 (rv. 620192). Addirittura, in un caso estremo, è stata ritenuta efficace una clausola compromissoria che prescriveva “Law and arbitration: Swiss law to apply” (vedi F. BORTOLOTTI, op. cit., p. 605). E ad eccezione di quei Paesi con i quali l’Italia ha stipulato un trattato bilaterale sulla materia. F. BORTOLOTTI, op. cit., p. 495.

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Vincenzo Cotugno è avvocato del Foro di Milano, specializzato in diritto civile e commerciale, M&A, diritto del commercio internazionale, diritto dell’energia da fonti rinnovabili milanese, autore di numerosi articoli e approfondimenti e partner dello studio Carone & Partners www.cplex.it.

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Gli amministratori di Società per azioni. L’azione di responsabilità e la legittimazione del socio dissenziente di Avv. Francesco De Sanzuane

Dalla lettura della norma al caso concreto. IL presente scritto si propone di svolgere un’analisi delle norme che il nostro ordinamento dedica alla responsabilità degli amministratori prendendo le mosse da un caso concreto che è stato affrontato nella normale attività di tutti i giorni. Le riflessioni che ci hanno impegnato si sono incentrate non solo nel comprendere i contorni esatti della normativa applicabile al caso di specie, bensì nel trovare la migliore soluzione possibile che permetta al socio, che partecipava ben due società dalle quali era estromesso, al fine di raggiungere un obiettivo meramente pratico, ma senza dubbio preminente: prevedere in quale modo l’eventuale azione di responsabilità mossa avverso gli amministratori da socio estromesso potesse precludere o diminuire la possibilità di ottenere il valore in denaro al tempo offerto per l’acquisizione delle quote del socio in parola. Infatti, in linea di principio giuridico, nessun dubbio poteva emergere in merito alla configurabilità, e correttezza, di un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori delle due società. Introduzione normativa Prima di qualsiasi altra verifica, in merito al caso contrato, l’interprete non può e non deve dimenticare l’obiettivo principale ed i contorni che il diritto concesso al socio di promuovere azione di responsabilità avverso l’amministratore assume. Siamo infatti di fronte ad una istanza che darebbe adito, in primis, Ciò in quanto l’azione di responsabilità postulerebbe: a) In primo luogo la consapevolezza che il risarcimento del danno eventualmente riconosciuto andrebbe a favore della società; b) che di conseguenza il risarcimento del danno a favore del socio potrà essere configurato nel solo caso in cui nel caso in cui il giudice attestasse che il danno subito da quest’ultimo è diretta conseguenza dell’operato degli amministratori; e, in ultimo c), la cessazione dell’organo

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Diritto delle Società

Art. 78 cpc “Se manca la persona a cui spetta la rappresentanza o l'assistenza, o vi sono ragioni di urgenza, può essere nominato all'incapace, alla persona giuridica o all'associazione non riconosciuta un curatore speciale che li rappresenti o assista finche' subentri colui al quale spetta la rappresentanza o l'assistenza. Si procede altresì alla nomina di un curatore speciale al rappresentato, quando vi è conflitto d'interessi col rappresentante”

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esecutivo della società, con contestuale nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c. di emanazione giudiziale e, nei fatti, conseguente stallo decisionale della società stessa per mancanza di detto organo. Non sarebbe possibile per gli altri soci, infatti, in presenza del curatore, assumere la guida delle due compagini sociali e, pertanto, le società sarebbero limitate nelle proprie attività a quelle inerenti la mera ordinaria amministrazione. Dunque, nel caso considerato e, in genere, in tutte le posizioni che presentino simili caratteristiche – aziende di piccole dimensioni a conduzione principalmente familiare - è bene considerare che intraprendere l’azione di responsabilità con eccessiva disinvoltura potrebbe risultare una scelta fatale per le speranze del socio estromesso di ottenere, quanto meno, il valore delle proprie quote. A ulteriore detrimento in merito alla decisione, probabilmente incauta, di intraprendere immediatamente detta azione di responsabilità senza tentare alcun tipo di mediazione, si ergeva nel caso affrontato uno specifico articolo presente in entrambi gli Statuti, che precisava con chiarezza “se viene meno la maggioranza degli amministratori si intende dimissionario l’intero organo e i soci provvederanno alla nomina del nuovo organo amministrativo”. Ciò non sarebbe stato possibile e, di conseguenza, la società avrebbe dovuto essere liquidata previa dichiarazione di scioglimento in quanto, nei fatti, impossibilità a svolgere qualsivoglia

“art. 2391 del c.c. il quale disciplina il c.d. conflitto di interessi. Tale norma richiamata dispone, infatti, che: “L’amministrazione, che in una determinata operazione ha, per conto proprio o di terzi, interesse in conflitto con quello della società, deve darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale e deve astenersi dal partecipare alle deliberazioni riguardanti l’operazione stessa”.

attività. Una ulteriore soluzione era potenzialmente legata all’istituto del recesso del socio. Ma anche, proseguire per questa strada avrebbe leso l’interesse preminente del socio estromesso. D’altro canto, l’andamento delle due società negli ultimi esercizi, in sede di valutazione delle quote non rendeva possibile una valutazione delle quote che si avvicinasse a quella raggiunta in sede di trattativa privata. Analisi storia del caso affrontato. Le due società, nella sostanza, si sovrapponevano. Tale duplicazione era dovuta alla volontà dei due soci che gestivano gli affari di escludere da qualsiasi possibilità di guadagno il socio dissenziente. Nei fatti, anche i due statuti e i nomi delle due aziende erano pressoché identici. Varie, inoltre, risultarono essere le condotte illegittime poste in essere da detti soci che, per di più, ricoprivano anche ruoli di amministrazione. Dall’analisi dei verbali d’assemblea e del consiglio di amministrazione, per una serie di ragioni formali e che saranno considerate nella presente trattazione, immediatamente improprio risultò il conferimento delle deleghe riconosciute ai soci/amministratori. Conseguenza ne sarebbe che i consiglieri in parola perderebbe ex tunc le proprie attribuzioni ed i poteri dipendenti alle deleghe e, pertanto, tale tesi ci porterebbe a considerare nulla l’attribuzione dei compensi che le assemblee di approvazione dei bilanci deliberano per i soli consiglieri delegati, con il primo intendo di domandare la ripetizione di quanto ricevuto a titolo di compenso. Ciò avverrebbe, in ogni caso, non a favore del socio escluso, ma a favore della società. La prima ragione di censura era legata alla erroneità dell’organo che, anche ai sensi dello statuto societario, ha deliberato su tali deleghe. Non era infatti previsto che

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l’assegnazione di deleghe potesse essere demandata all’assemblea dei soci. Il divieto era espresso e, pertanto, le delibere apparvero nulle poiché errata erano sede (assemblea) e organo (assemblea dei soci) che le aveva rese. Oltre a ciò, un eccesso di delega parve configurarsi in merito all’attribuzione dei compensi agli amministratori, che configurava un eccesso di potere evidente e che, pertanto, avrebbe dato il là alla conseguente impugnazione delle relative delibere. Tali compensi, inoltre, apparvero sproporzionati e, pertanto, era stato possibile evidenziare anche la violazione del dovere di buona fede e di correttezza, in quanto la delibera sembrò intesa esclusivamente al perseguimento di interessi personali di tali soci/amministratori, interessi estranei e divergenti rispetto agli interessi della società. Ciò anche in quanto, nel caso di cui si tratta, a fronte di un andamento negativo della società, l’attribuzione di compensi agli amministratori, ai quali era riconosciuto altresì un “gettone di presenza”, apparve non giustificato. Anche in questi casi, tuttavia, fornire una prova convince del fatto dell’amministratore non è affatto semplice. Ammesso che la difesa sia in grado di delineare correttamente i profili di responsabilità da ascrivere all’operato degli amministratori, al giudice sarà affidato il difficile compito non di accertare, in sostituzione delle scelte istituzionalmente spettanti all’assemblea dei soci, la convenienza o l’opportunità della delibera per l’interesse della società, bensì di identificare, nell’ambito di un giudizio di La responsabilità presuppone dunque l’esistenza di un rapporto organico di amministrazione con la società, in forza del quale colui che opera come amministratore è inserito nell’organizzazione sociale, in modo che la sua attività sia direttamente riferibile alla persona giuridica

carattere relazionale, teso a verificare la pertinenza, la proporzionalità e la congruenza della scelta. Dunque, configurando, se possibile, un vizio di legittimità desumibile dalla irragionevolezza della misura del compenso stabilita in favore dell’amministratore. I criteri ai quali deve esser fatto riferimento, tuttavia, sono tutt’alto che univoci e riguardano, in primo luogo, la natura e l’ampiezza dei compiti dell’amministratore e, in secondo luogo, il compenso correntemente applicato nel mercato per analoghe prestazioni, in relazione a società di analoghe dimensioni. Di modo che, in alcuni casi, la situazione patrimoniale e all’andamento economico della società potrebbero passare in secondo piano. (Cassazione 17-7-2007 n. 15942 sez. I). Quali sono, dunque, i contorni della responsabilità degli amministratori? Essi devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. L’art. 2476 provvede a delineare i confini della responsabilità degli amministratori ed i poteri di controllo riconosciuti ai soci - “[1] Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società. Tuttavia la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere esenti da colpa e, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, abbiano fatto constare del proprio dissenso. - [2] I soci che non partecipano all'amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all'amministrazione. - [3] L'azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori medesimi. In tal caso il giudice può subordinare il

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provvedimento alla prestazione apposita cauzione. [...]”.

di

In altre parole, la responsabilità verso la società degli amministratori, 2476 c.c., trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti ai predetti dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto obbligo generale di intervento preventivo e successivo (sì che il relativo thema probandum si articola nell’accertamento dei tre elementi dell’inadempimento di uno o più degli obblighi suindicati, del danno subito dalla società, del nesso causale). Il “danno risarcibile” sarà quello causalmente riconducibile, in via immediata e diretta, alla condotta (dolosa o colposa) dell’agente, sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante (commisurato, cioè, in concreto, al pregiudizio che la società non avrebbe subito se un determinato comportamento illegittimo, commissivo od omissivo, non fosse stato posto in essere dall’amministratore) La responsabilità presuppone dunque l’esistenza di un rapporto organico di amministrazione con la società, in forza del quale colui che opera come amministratore è inserito nell’organizzazione sociale, in modo che la sua attività sia direttamente riferibile alla persona giuridica. Tale inserimento può aversi solo mediante un atto esplicito o implicito di preposizione del competente organo societario, che

“La responsabilità presuppone dunque l’esistenza di un rapporto organico di amministrazione con la società, in forza del quale colui che opera come amministratore è inserito nell’organizzazione sociale, in modo che la sua attività sia direttamente riferibile alla persona giuridica”

tenga luogo della formale delibera di nomina. Sicché, la possibilità di applicare la disciplina della responsabilità di amministratore non legalmente nominato risulta circoscritta ai casi di nomina irregolare o implicita. L’art. 2476 è norma sostanzialmente nuova. Ricalcando quanto previsto in tema di società per azioni dall’art. 2392, il primo comma scolpisce nei confronti degli amministratori una responsabilità solidale per i danni che la società subisce a seguito della non osservanza dei doveri loro imposti nel gestire l’ente; è fatta salva l’eventualità che essi siano esenti da colpa o dissenzienti. Alla loro responsabilità si aggiunge quella solidale dei soci che volontariamente abbiano deciso o autorizzato il compimento degli atti dannosi per la società, i soci, i creditori ed i terzi in genere (art. 2476, settimo comma). Si apre dunque un consistente spiraglio per l’ammissibilità della responsabilità nei confronti dei cosiddetti gestori di fatto delle società di capitali, in ossequio al non codificato e a volte contestato principio generale, o comunque esigenza, in tema di società che colui che gestisce effettivamente l’impresa non possa cumulare anche i vantaggi della integrale limitazione di responsabilità, come disposto per le società di persone e gli accomandatari delle società in accomandita per azioni. È inoltre previsto il controllo individuale dei soci non amministratori sulla gestione degli amministratori, per mezzo della verifica che essi possono effettuare analizzando i libri sociali e ora anche i documenti relativi all’amministrazione (art. 2476, secondo comma; si confronti anche l’art. 2625). Non è peraltro ribadito il presupposto della mancanza di un collegio sindacale, il che fa pensare che i soci abbiano tali poteri anche ove sussistano gli organi di controllo. Mentre invece in maniera opportuna si è specificato che le verifiche possano essere effettuate anche tramite professionisti di fiducia.

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I successivi capoversi regolano l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori. Essa viene ora disciplinata in maniera del tutto autonoma rispetto a quanto disposto in tema di società per azioni dove, se da un lato gli artt. 2393 e ss. consentono un arco di azioni più ampio e variegato, dall’altro pongono limiti ben più restrittivi alla legittimazione attiva dei soci. In materia di società a responsabilità limitata la legittimazione all’azione si ricollega teleologicamente al controllo del socio ed alla sua connotazione individuale. Ferma restando la possibilità che i soci, i creditori ed i terzi possano esperire le ordinarie azioni individuali a tutela dei propri diritti (art. 2476, sesto comma; per le società per azioni si veda l’art. 2395), l’azione di responsabilità può essere promossa solo dai soci, anzi anche da ciascun singolo socio. Non sono quindi riportati, anche per il carattere più intimo delle società a responsabilità limitata, i quorum disposti dagli art. 2393 e 2393 bis nelle società per azioni A differenza della società per azioni la legge non parla mai veramente di un’azione "sociale" di responsabilità, sia essa concorrente o meno a quelle individuali: non si prevede infatti la presenza una decisione che deliberi espressamente sulle mancanze dei gestori, mentre si potranno avere anche più azioni di responsabilità parallele, in quanto promosse da soci diversi. Il che ha posto degli interrogativi su se essa possa esercitarsi sulla base di previsioni e modalità riportate nell’atto costitutivo. L’art. 2476, al terzo comma, non disciplina, infatti, un vero e proprio controllo giudiziario, ma i soci, in caso di gravi irregolarità, possono chiedere al giudice l’adozione di un provvedimento cautelare di revoca degli amministratori (per le società per azioni, in maniera differenziata, si vedano gli artt. 2408 e 2409): si applicano gli artt. 23 ss. del d.lgs. 5 del 2003, da coordinarsi con gli artt. 669 bis e ss. del

c.p.c. Ci si chiede se, al di là della formulazione non univoca dell’art. 2476, terzo comma, si possa richiedere tale provvedimento cautelare al di fuori della preventiva promozione dell’azione di responsabilità, per il principio innovativo contenuto all’art. 23, comma primo, del d.lgs. 5 del 2003. Lo stato di decozione che le due società stavano affrontando parve essere tale da configurare, nei confronti degli amministratori, censure anche in merito alla decisione di proseguire nella conduzione delle imprese, che sembrò illecita – cioè non conservativa e con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale – in quanto la continuazione dell’attività economica della società aveva portato alla perdita del capitale sociale in violazione del disposto dell’art. 2486 c.c., Anche in questo caso tutto pare ruotare attorno all’onere della prova che incombe sull’attore. Di grande conforto sarebbe stato aver potuto usufruire dell’esempio reso nel recentissimo 27 ottobre 2015 dal Tribunale di Milano, che, chiamato a decidere su un caso di simile malagestio, ebbe occasione di precisare: “è onere dell’attore: a) allegare in modo qualificato – cioè sufficientemente preciso e determinato – il momento in cui il capitale sociale sarebbe sceso per perdite sotto il minimo legale o sarebbe divenuto negativo; b) dimostrare che l’attività di gestione della società è proseguita, in violazione degli artt.

., non è imputabile agli organi sociali lo sbilancio antecedente la perdita del capitale sociale, perché effetto di attività economica svolta lecitamente, ivi inclusa la perdita del patrimonio netto che si sarebbe comunque registrata se la società fosse stata tempestivamente posta in liquidazione

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2447 e 2486 c.c., senza l’adozione di misure volte alla conservazione del valore del patrimonio sociale e della sua integrità ed invece con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale; c) provare che tale prosecuzione illegittima dell’attività sociale ha causato un danno alla società o ai creditori; d) provare l’entità del danno. Grava invece sui convenuti l’onere di provare l’inesistenza (della prova del) danno e del nesso di causalità, ovvero la non imputabilità a sé della prosecuzione illegittima dell’attività d’impresa. Il ricorso alla quantificazione del danno in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. è consentito solo ove ricorrano circostanze che non hanno permesso l’accertamento degli effetti dannosi delle condotte contestate (come ad esempio la mancata tenuta o conservazione delle scritture contabili o la loro tenuta connotata da irregolarità così gravi da non consentire la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari), purché l’attore alleghi criteri di quantificazione precisi e “plausibili”, cioè capaci di produrre un risultato che rappresenti in modo comunque attendibile gli effetti patrimoniali dannosi del comportamento illecito addebitato agli organi sociali. Ai fini della quantificazione del danno patrimoniale causato dall’illecita prosecuzione dell’attività economica ex art. 2486 c.c., non è imputabile agli organi sociali lo sbilancio antecedente la perdita del capitale sociale, perché effetto di attività economica svolta lecitamente, ivi inclusa la perdita del patrimonio netto che si sarebbe comunque registrata se la società fosse stata tempestivamente posta in liquidazione, visti i differenti principi contabili che trovano applicazione in tale sede. Ne deriva che, ove tale quantificazione non sia possibile neppure in via equitativa, il metodo di quantificazione del danno incentrato sulla differenza dei patrimoni netti è inutilizzabile. La quantificazione del danno secondo il criterio della differenza dei netti patrimoniali presuppone che la quantificazione del patrimonio netto alla data della perdita del capitale ed alla data della tardiva messa in liquidazione (o della dichiarazione di fallimento) sia effettuata secondo criteri contabili omogenei, in particolare, secondo quelli propri della liquidazione. La mancanza o l’inidoneità rappresentativa dei documenti contabili può costituire deduzione rilevante ai fini della prova del danno oppure costituire essa stessa addebito mosso agli organi sociali. Nel primo caso, tale comportamento negligente non esime l’attore dall’allegare in modo “qualificato” sia il comportamento illegittimo addebitato agli organi sociali sia il danno conseguitone, che tutt’al più potrà essere liquidato in via equitativa ex art. 1226 c.c. ove ricorrano circostanze che ne impediscano un accertamento puntuale e solo ove i criteri utilizzati appaiano comunque plausibili. Nel secondo caso, invece, l’assenza o l’inidoneità rappresentativa delle scritture contabili non può costituire una condotta di per sé fonte di danno, che neppure in astratto può essere fatto coincidere con lo sbilancio attivo-passivo fallimentare”. Recesso e liquidazione quota del socio Il recesso del socio è un istituto che è stato oggetto di un corposo

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intervento di innovazione anche se pochi sono i casi che ne hanno visto la effettiva attuazione e che, pertanto, sono giunti di fronte al giudice di legittimità. Ciò è dovuto in parte alla tradizionale tendenza della prassi a cercare soluzioni diverse e, in parte, alla generica formulazione che è stata data alla norma di riferimento, l’art. 2473 c.c. Nel caso affrontato, lo Statuto delle due società non ha inteso accogliere le nuove possibilità delle nuove norme post riforma di diritto societario, ovvero l’opportunità di stabilire ipotesi di recesso immediato del socio dissenziente, per tanto è applicabile l’articolo del codice civile il cui testo non lascia spazio ad interpretazioni estensive. Per cui, la decisione di trarre profitto da tale istituto fu giocoforza negativa.

Art. 2473, comma 1: “…L'atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità….”

Infatti, per poter utilizzare con successo l’istituto del recesso, unica possibilità sarebbe stata quella di far appello al comportamento degli amministratori, volontario e mirato all’esclusione di fatto del terzo socio dalla conduzione della società e dal godimento dei frutti conseguenti. Per cui una prova di natura anche soggettiva, di non semplice configurazione. Art. 2473/1. Recesso del socio . “L'atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità. In ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell'oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione al trasferimento della sede all'estero alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'articolo 2468, quarto comma. Restano salve le disposizioni in materia di recesso per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento”.

Avvocato, docente e seminarista, specializzato nel settore “corporate”, si occupa in Italia e all’estero di diritto del commercio internazionale e di consulenza societaria ed alla internazionalizzazione delle imprese, Francesco De Sanzuane è autore di numerose pubblicazioni e approfondimenti è Direttore responsabile di “Rivista delle Imprese e dei Mercati Internazionali”

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Accordi riservatezza contrattualistica

di e

di Antonio Zama

Il tema che mi sono riservato fa un po’ tremare e, ora che lo devo affrontare, maledico la mia scanzonata sfrontatezza. La chiave la trovo, parassitariamente, da altri contributi dell’opera e consiste nella seguente domanda: gli strumenti contrattuali che imprenditore, consumatore, giurista e, come vedremo, consulente IT si troveranno a maneggiare in relazione all’utilizzo della tecnologia in stampa 3D sono qualitativamente diversi da quelli già ampiamente elaborati e conosciuti da dottrina e giurisprudenza o si distinguono dai medesimi solo quantitativamente ragionando? In altre parole, si perdoni l’espressione, il tacchino va farcito con ingredienti nuovi, ma resta appropriato per le attese dei commensali, oppure va sostituito con altra portata per palati più raffinati? A naso propendo per la prima, ma siccome il mio non è un contributo a tesi, vedrò alla fine se concordo. Parto dallo strumento più ampiamente trascurato dalla prassi commerciale degli imprenditori (escludendo le ipotesi di due diligence e, in generale, le operazioni societarie), vale a dire

Diritto dei contratti

l’accordo di riservatezza (Confidentiality agreement o Non-disclosure agreement), sia che costituisca documento a sé stante, sia che, sotto forma di clausola specifica, sia collocato nell’ambito di altre tipologie contrattuali, quali, ad esempio, il trasferimento di know how, la licenza per l’utilizzo di marchi e l’appalto di beni e servizi. Più in particolare, ragionando cronologicamente, vale la pena di menzionare la lettera di intenti (Letter of intent o Memorandum of understanding o Statement of principles o Head of agreement) che, di norma, oltre ad avviare un periodo di studio tra le parti, stabilendo la durata e le modalità di svolgimento nonché l’oggetto e lo scopo del futuro ed eventuale contratto, prevede, appunto, una clausola di riservatezza con riferimento alle informazioni contenute nei documenti scambiati tra le parti in via cartacea e oggi molto più su supporto informatico. In questo contesto è ben possibile che, ad esempio, le parti di un futuro contratto di appalto di servizi per la stampa in 3D di componenti di un macchinario industriale, ovvero, addirittura, di prototipi, si possano trovare nella necessità, al fine di definire nel periodo di durata della lettera di intenti le future obbligazioni contrattuali, di scambiare file recanti immagini elaborate dall’ufficio tecnico o dall’ufficio ricerca e sviluppo, destinati ad essere stampati in 3D dall’appaltatore. Quali potrebbero essere i contenuti della clausola di riservatezza inserita nella lettera di intenti? Innanzitutto la precisazione dell’oggetto della medesima: in questi casi la genericità e l’indeterminatezza, prima ancora che inefficacia, producono inutilità, fatto salvo un vago e spesso sovrastimato effetto deterrente per la parte ricevente, destinataria del file riservato (nel nostro esempio, l’appaltatore). In altre parole, nella clausola non si dovrebbe avere alcuna parsimonia nello stabilire: a. la tipologia di file trasmessi e le relative caratteristiche, ivi compresi i sistemi di protezione dei medesimi. Dovrebbe essere circoscritto l’utilizzo di strumenti che agevolano l’imputazione della paternità del file (quali watermark), nonché di tecniche di protezione (dirette ad assicurare la riservatezza e l’integrità del file), quali la critto- grafia (descritta dal contributo degli Ingegneri Amato), precisandone lo scopo e il funzionamento; b. le modalità di consegna e/o di trasmissione dei file (sistemi e protocolli utilizzati) e di conservazione (su cui torno di seguito). In caso di utilizzo di un sistema cloud (nel quale non si tratta più di consegna o trasmissione ma più semplicemente di disponibilità), dovranno comunque prevedersi le modalità di accesso e l’operatività consentita alle

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parti. Gli Ingegneri Amato si soffermano sull’utilizzo del cloud per la stampa in 3D, evidentemente le soluzioni che prospettano dovrebbero essere esposte nell’accordo di riservatezza;

c. l’identificazione dei file, facendo eventualmente riferimento a comunicazioni via PEC che potrebbero accompagnare la consegna, la trasmissione o la messa a disposizione del file secondo le modalità prescelte. Al termine della lettera di intenti si potrà così avere a disposi- zione un riferimento Francesco De Sanzuane ulteriore in ordine ai file che sono stati scambiati nel corso della validità della medesima; d. il bene riprodotto nei file (ad esempio, componenti, prototipi, dispositivi), individuato anche in relazione all’oggetto della collaborazione prevista nella lettera di intenti e del futuro eventuale contratto. È pure vero che la parte che invia il file (il nostro ipotetico committente) potrebbe avere interesse ad evitare di fornire informa- zioni dettagliate alla parte ricevente in merito a destinazione e funzionalità dell’oggetto che sarà prodotto con la stampa in 3D. Si può anzi ipotizzare che, al fine di tutelare i propri diritti, eventualmente oggetto di privativa, il committente decida di avvalersi di più appaltatori per la stampa in 3D (mutatis mutandis, soluzione già invalsa da parte delle imprese che si avvalgono di più subfornitori). Rinviando per approfondimenti sul punto al contributo del Professor Galli e dell’Avvocato Contino, mi limito a ricordare in questa sede una banalità: posto che il contemperamento delle diverse esigenze del committente dovrebbe essere effettuato prima della sottoscrizione del “il periodo di collaborazione durante contratto, il periodo di collaborazione durante la la vigenza della lettera di intenti vigenza della lettera di intenti potrebbe risultare proficuo in tal senso, offrendo spunti di analisi per potrebbe risultare proficuo in tal valutare l’affidabilità della controparte e per senso, offrendo spunti di analisi per elaborare una efficace strategia di tutela dei valutare l’affidabilità della controparte e per elaborare una propri diritti, assistita da idonee clausole efficace strategia di tutela dei propri contrattuali e soprattutto, come vedremo e nei limiti del possibile, da misure IT; diritti” e. le misure di sicurezza e di controllo adottate dal ricevente (o che si impegna ad implementare entro il termine concordato), per proteggere i file ricevuti, circoscrivendo, in particolare, la cerchia dei soggetti a cui è consentito l’accesso, che operano a qualsiasi titolo per il ricevente (lavoro dipendente e/o collaborazione). Questa parte della clausola di riservatezza potrebbe costituisce l’embrione della clausola o, meglio, dell’allegato del futuro contratto di appalto, con il quale le par- ti

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stabiliranno le rispettive obbligazioni dirette ad assicurare l’adozione di misure adeguate per la protezione dei file; f. il tempo di conservazione dei file, con l’impegno alla eliminazione/cancellazione e comunque all’utilizzo di sistemi di protezione. In quest’ottica, a titolo esemplificativo, la conservazione dei file dovrebbe essere effettuata, se utilizzati i server del ricevente, in aree esclusivamente riservate alla suddetta cerchia di soggetti e comunque per le quali siano studiate specifiche soluzioni di back up temporali; g. le operazioni funzionali allo scopo della lettera di intenti che la parte ricevente avrà facoltà di compiere, quali, ad esempio, la verifica della conformità dei file alle specifiche previste e della compatibilità con le stampanti in 3D di cui dispone il ricevente. Su questo punto la lettera di intenti, anticipando il contenuto dell’eventuale contratto, potrebbe prevedere ulteriori attività, a seconda che all’appaltatore siano affidati servizi ulteriori e più impegnativi rispetto alla semplice stampa, quali, ad esempio, la lavorazione dei file ricevuti e la stampa in 3D di alcuni modelli, sui quali le parti possono confrontarsi per la determinazione delle specifiche/standard di qualità della stampa in 3D, eventualmente da inserire quale allegato del futuro contratto; h. gli obblighi di informazione in capo al ricevente qualora si verifichino minacce e violazioni all’infrastruttura IT, indipendentemente dalla provenienza (interna e/o esterna), che possano in qualsiasi modo pregiudicare le misure di protezione dei file oggetto del rapporto. All’esito di questa breve disamina, non mi sembra fuori luogo un cenno al documento programmatico sulla sicurezza (o al documento analogo con nome diverso), precipitato nel dimenticatoio a seguito delle riforme succedutesi in materia di privacy. Non mi sembra trascurabile l’utilità per le aziende che operano nel settore della stampa in 3D, posto che, nella versione integrale o, meglio, in estratto nella parte di rilievo, potrebbe essere allegato alla lettera di intenti e al contratto che succede alla medesima. È chiaro che il documento, per essere davvero efficace, dovrebbe disciplinare nel dettaglio l’operatività

“Su questo punto la lettera di intenti, anticipando il contenuto dell’eventuale contratto, potrebbe prevedere ulteriori attività, a seconda che all’appaltatore siano affidati servizi ulteriori e più impegnativi rispetto alla semplice stampa”

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aziendale con riferimento alle funzioni di stampa in 3D. Il documento assumerebbe centralità sul piano della stampa in 3D non tanto in relazione ai potenziali dati trattati (ipotesi residuale almeno come frequenza), quanto, appunto, alle misure di sicurezza applicate, alle modalità di trattamento e agli incaricati. In sostanza, si tratterebbe di rivedere il contenuto del documento, adattandolo all’ottica e alle esigenze della stampa in 3D.

“… al

responsabile del trattamento dei dati (con ogni probabilità lo stesso responsabile della produzione) potrebbe essere consegnata la chiave di competenza del ricevente, ai fini della decrittazione del file che sia stato crittato con chiavi asimmetriche dal committente …”

Giova forse un esempio: per le aziende che fanno della stampa in3D il proprio core business potrebbe essere opportuno designare uno specifico responsabile del trattamento dei dati e, in generale, dei file ricevuti in funzione della stampa in 3D. Non credo che si tratti di adempimento da escludere in radice, valutate naturalmente tutte le circostanze del caso. Se si pensa poi che la stampa in 3D potrebbe contemplare la preventiva acquisizione di dati personali o comunque il trattamento dei medesimi, ad esempio, sotto forma di caratteristiche fisiognomiche (oltre alla stampa di protesi e/o di materiale destinato ad essere impiantato nel corpo umano come descritto nel contributo dell’equipe del Professor Marchetti, ricordo che si va diffondendo la moda di ottenere un “avatar” di diverse dimensioni che riproduce l’immagine in 3D dell’individuo), la soluzione a mio avviso deve essere presa seriamente in considerazione. Vale la pena di aggiungere un’ultima annotazione sul punto: al responsabile del trattamento dei dati (con ogni probabilità lo stesso responsabile della produzione) potrebbe essere consegnata la chiave di competenza del ricevente, ai fini della decrittazione del file che sia stato crittato con chiavi asimmetriche dal committente, come ipotizzato dagli Ingegneri Amato nel loro intervento. Sia detto per inciso: il tema del trattamento dei dati e della relativa disciplina è suscettibile di diventare centrale allorquando il rapporto che contempla la stampa in 3D intercorra tra azienda e consumatore. Secondo inciso: sempre in tema di trattamento dei dati, nei prossimi aggiornamenti del regolamento per l’utilizzo degli strumenti IT aziendali, le aziende che operano con la stampa in 3D dovrebbero prevedere un paragrafo dedicato all’argomento. Uscendo dalla materia del trattamento dei dati ed entrando in quel- la della sicurezza

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informatica – per ampi tratti intersecante e infatti già anticipata, che dovrebbe trovare collocazione nei contratti tra aziende committenti ed aziende appaltatrici nel settore della stampa in 3D, occorre citare gli standard ISO/IEC 27001-2005 (“Information technology – Security techniques – Information security management systems – requirements”) e 27002-2005 (“Information technology – Security techniques – Code of practice for information security management”), la cui implementazione potrebbe costituire requisito indispensabile per l’avvio dei rapporti. Le parti potrebbero altresì concordare specifiche misure integrative rispetto a quelle già previste dall’appaltatore e dal committente (non lo si deve trascurare), che abbiano ad oggetto la stampa in 3D dei file inviati dal committente. È pur vero che, in concreto, nei casi più delicati, occorre verificare cosa prevedono i sistemi IT aziendali in conformità ai suddetti standard. In particolare, con riferimento allo standard 27002, mi sembrano meritevoli di citazione le parti dedicate a: assessing security risks, confidentiality agreements, roles and responsibilities, audit logging, cryptographic controls, control of technical vulnerabilities, regulation of cryptographic controls. Va da sé che le aziende interessate (penso alle piccole e medie meno dotate sul piano IT) potrebbero almeno dimostrare la conformità ad alcune delle misure previste, eventualmente con specifico riferimento alle attività di stampa in 3D. Tornando ai contenuti della nostra lettera di intenti che si riferisca anche alla tecnologia della stampa in 3D, occorre menzionare le sanzioni in caso di violazione. In questo caso, la mia fantasia non riesce ad immaginare soluzioni che si discostino da quelle utilizzate nella prassi commerciale, che conosce la previsione di penali, di importo più o meno ingente e più o meno ragionevoli in rapporto alla gravità della violazione e all’entità del pregiudizio causato, dirette soprattutto ad ottenere il già menzionato effetto deterrente, sul quale sono molto scettico. Al di là del quantum della penale, è infatti sull’assolvimento dell’onere probatorio che naufragano anche i più bellicosi istinti e propositi. Per questa ragione, ritengo che l’effetto deterrente possa essere ottenuto dalla più agevole riconducibilità alla parte ricevente della violazione ai vincoli di riservatezza previsti dalla lettera di intenti (e, in seguito, dal contratto). Il maggior livello di sofisticatezza e di complessità della disciplina degli elementi sopra esposti in meri- to all’oggetto dell’accordo di riservatezza dovrebbe allora avere anche l’obiettivo di ridurre il margine di dubbio in ordine al responsabile della violazione, potendo ad esempio individuarsi con certezza la fase in cui detta violazione è avvenuta. Le misure adottate potrebbero tra l’altro consentire l’acquisizione di evidenze probatorie in conformità ad altri standard internazionali (in particolare, ISO/IEC 27037:2012– Information technology – Security techniques – Guidelines for identification, collection, acquisition, and preservation of digital evidence). Cercando di riassumere i temi trattamento dei dati e sicurezza, potrei dire che entrambi costituiscono elementi indispensabili della lettera di intenti (e del successivo contratto) avente ad oggetto la stampa in 3D (in via diretta o mediata). Non mi nascondo che in Italia, a parte realtà di grandi dimensioni e soprattutto di matura consapevolezza su minacce e rischi in materia IT, piccole e medie imprese sono raramente dotate di sistemi IT in linea con le misure minime di prevenzione. D’altro canto non è utopico pensare che proprio l’avvento della stampa in 3D contribuisca ad incentivare investimenti nel settore, ad opera di tutte le imprese interessate, a qualsiasi titolo; fermo restando, naturalmente, che l’investimento più

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significativo è quello nella crescita della sensibilità in materia da parte dell’imprenditore e di tutto il personale. In definitiva, l’approfondire questi temi non costituisce mero onanismo intellettuale, ma consente di reperire soluzioni operative tali da rendere inutili o comunque pleonastiche le più invasive misure contrattuali. Per rispondere all’interrogativo che ha aperto questo contributo, mi sembra di poter concludere (per ora) che lo strumento della lettera di intenti è senz’altro idoneo a disciplinare la fase precontrattuale di un rapporto relativo alla stampa in 3D. Mi spingo oltre, con specifico riferimento alla clausola di riservatezza (meglio, accordo di riservatezza): ritengo che da cenerentola possa ambire a divenire insostituibile (e indimenticabile) principessa proprio avendo riguardo alla natura e alle funzioni della stampa in 3D. Tanto più mi sembra che ciò possa dirsi con riferimento al contratto successivo alla lettera di intenti, nel quale l’esperienza maturata nel corso del rapporto nato con quest’ultima potrebbe condurre alla codificazione, in uno specifico allegato, delle regole già previste e delle prassi elaborate. Semmai, volendo spingersi oltre con riferimento a casi delicati (ad esempio la stampa in 3D di prototipi), nel contratto che ha ad oggetto la stampa in 3D, che sia successivo o meno alla lettera di intenti, potranno trovare spazio disposizioni relative a misure e strumenti ulteriori diretti a consentire al committente di effettuare verifiche sull’operato dell’appaltatore, mediante sopralluoghi o controlli da remoto. Resta il fatto che risultati più efficienti ed efficaci – tenendo sempre conto della realtà interessata – potrebbero essere assicurati dalle misure indicate dagli Ingegneri Amato, quali, nella fattispecie, i controlli sull’hardware circa le stampe effettuate. Ciò richiede l’identificazione della stampante o delle stampanti utilizzate nel corso del rapporto contrattuale (anche per mezzo di comunicazioni successive al contratto) e l’installazione di dispositivi di controllo. Innanzi mi sono sempre riferito al contratto d’appalto come alla tipologia principale che abbia ad oggetto la stampa in 3D, in realtà la scelta, già oggi (e ancor più in futuro), può apparire riduttiva. A parte i casi in cui la tecnologia di stampa in 3D costituisce il cuore del contratto e dei rapporti tra le parti, vale a dire – ad esempio – nei quali l’appaltatore dispone di stampanti di alto livello e di uno staff in grado di assistere le società clienti nella realizzazione di stampe in 3D idonee per le diverse esigenze, possiamo ipotizzare che la stampa in 3D entri in modo prepotente nei contratti che, in linea teorica, la prevedono solo in via accessoria. Cerco di esercitare la mia immaginazione (restando sul piano contrattuale, senza entrare nel merito dell’utilizzo della stampa in 3D per casi limite ormai all’ordine della cronaca quotidiana): - penso ai contratti di distribuzione con affidamento di tutti o parte dei servizi di assistenza post vendita in capo al distributore, nei quali potrà essere previsto l’utilizzo della stampa in 3D in casi di particolare urgenza o addirittura come prassi per determinate operazioni (ad esempio, sostituzione di determinati componenti difettosi non più prodotti o comunque non presenti in magazzino). Si può anzi pensare che tra i requisiti di scelta del distributore più affidabile possa essere previsto in futuro anche la dotazione di stampanti in 3D di qualità idonea rispetto agli standard richiesti. Medesima ipotesi, con altre implicazioni, si può

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pensare nei casi in cui i rapporti intercorrano tra la società madre e le controllate nei diversi territori, italiani e, più probabilmente, esteri; - penso altresì a tutti i casi, riconducibili alla del consignment stock, nei quali l’esportatore si avvale di magazzini all’estero per lo stoccaggio della merce, con autorizzazione al prelievo da parte dei propri rivenditori sul territorio. Nulla vieta che l’eventuale soggetto terzo titolare del magazzino possa assumere obbligazioni ulteriori distinte da quelle tradizionalmente svolte (semplice custodia e movimentazione), quali, appunto, la stampa in 3D di determinati beni, da consegnare al rivenditore, insieme ad altra merce di cui invece il magazzino abbia la disponibilità; - penso anche ai contratti di logistica integrata, nei quali l’operatore logistico più evoluto spesso fornisce servizi che vanno ben oltre le attività di stoccaggio, movimentazione e spedizione. La stampa in 3D potrebbe figurare tra questi ulteriori servizi, tra l’altro, neppure marginali. In queste ipotesi, l’operatore di logistica si potrebbe presentare come soggetto a cui esternalizzare servizi che l’impresa non effettua. Un’ulteriore giustificazione all’accezione integrata. Per tutte queste ipotesi, in realtà, potrebbe tornare utile il gruppo di clausole in merito alla riservatezza, alle misure di sicurezza e ai control- li (se e in che misura si rendano indispensabili) sopra succintamente esposte. Questo breve studio panoramico non può dimenticare tipologie contrattuali distanti da quelle sopra considerate, che rientrano nella categoria dei contratti di manutenzione e assistenza del settore IT. Ai computer e alle stampanti (tradizionali) oggi coperte da contratti di assistenza continuativa o spot, potrebbero aggiungersi anche le stampanti in 3D. La questione merita due parole in più, posto che non è raro riscontrare nei contratti di questo tipo lacune, contraddizioni e ambiguità, in particolare, sul piano delle attività che il manutentore è chiamato a prestare e delle relative responsabilità. Per i primi tempi si può prevedere che la manutenzione e l’assistenza costituiscano servizi post vendita di competenza appunto del rivenditore e/o del produttore; tuttavia, in futuro si diffonderanno servizi di manutenzione e assistenza forniti da soggetti terzi. È facile prevedere che le citate criticità permarranno anche con riferimento ai contratti relativi alle stampanti in 3D, sommando ulteriori potenziali rischi, pregiudizi, danni e, in ultima analisi, contenziosi. Auspico che la previsione o l’estensione dei servizi di manutenzione e assistenza sulle stampanti in 3D proceda parallela alla revisione dei contratti, affinché, perlomeno, le attività a carico dei fornitori, i tempi di risposta, gli oneri, le ipotesi di richiesta dell’intervento del produttore siano esplicitati con chiarezza ed esaustivamente. Ricordo inoltre i contratti di leasing e di locazione, che possono essere connessi ai precedenti in quanto di norma contemplano anche servizi di manutenzione e assistenza pur tutta la durata dei medesimi, configurando soluzioni “full service”.

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Cito infine i contratti che consentono l’accesso, gratuito o a paga- mento, ad archivi on line dai quali è possibile accedere in modalità streaming e/o scaricare immagini in 3D pronte per la stampa, come già avviene per musica e film. A differenza di questi ultimi contenuti, non credo che per la stampa in 3D i consumatori, se si escludono i più accaniti fruitori e sperimentatori, possano essere interessati ad avvalersi della formula dell’abbonamento, nonostante l’eventuale facoltà di recesso in qualsiasi momento. Viceversa, potrebbero avvalersi della citata formula le imprese che forniscono principalmente beni, non servizi. Penso ad esempio alla fornitura di poche unità di oggetti: in questo caso sarebbe vantaggioso utilizzare archivi on line di file destinati alla stampa in 3D sui quali effettuare poche lavorazioni funzionali alle personalizzazioni richieste, prima di procedere alla stampa. Il tema si riconnette a quello dei diritti e delle licenze e, da ultimo, delle creative commons. La costante integrazione degli archivi, normalmente, è resa possibile da soggetti terzi, spesso semplici appassionati, che forniscono materiale, in forza di specifici accordi “a monte” con il titolare dell’archivio, relativi anche alla remunerazione. In definitiva, all’esito della mia analisi sintetica, condotta sul piano degli spunti operativi senza alcuna velleità di esaustività, concludo affermando che gli ingredienti di farcitura (modelli e strumenti contrattuali) già conosciuti dalla prassi industriale e commerciale dovrebbero in parte evolvere (con particolare riferimento, come visto, agli accordi di riservatezza). Parimenti dovrebbe crescere la consapevolezza delle criticità già riscontrate nella prassi in analoghi rapporti, al fine di non duplicarle, e, se possibile, di risolverle. Anche per questa ragione sono sempre più convinto che i cuochi (vale a dire i consulenti che assistono le imprese) dovrebbero essere almeno due: per la stesura di un contratto che abbia ad oggetto diretto o mediato la stampa in 3D (uno qualsiasi tra quelli sopra menzionati), mi sembra che s’imponga la collaborazione tra il legale e l’informatico, sempre che si voglia far nascere una creatura di sana e robusta costituzione. Lo si sostiene da ormai vent’anni, ma noto con rammarico che questa collaborazione stenta a decollare, generando incomprensioni, alimentando conflitti e producendo contenziosi.

Avvocato, titolare dello Studio “http://www.iusgate.it/”, civilista e studioso di diritto delle Nuove Tecnologie, Antonio Zama è autore di numerose pubblicazioni e relatore in convegni e workshop. Fondatore della rivista di diffusione giuridica “http://www.filodiritto.it/”.

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“Le principali novità fiscali della legge di Stabilità 2016” a cura di Studio Cocchini Feliziani Commercialisti e Revisori Contabili.

Nella presente analisi sono riepilogate le notizie fiscali più importanti contenute nella L. 28 Dicembre 2015, n° 208, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n.302 del 30.12.2015 – Suppl. Ordinario n.70 “, la c.d. “legge di stabilità 2016” , che , salvo quanto diversamente previsto, entrerà in vigore il 1º gennaio 2016. La legge è composta da un solo articolo e da ben 999 commi, ed è predisposta come ormai consuetudine, in una forma che rende difficile e faticosa la sua comprensione; per facilitarne la lettura in questa sede cercheremo di riassumere in maniera chiara e schematica le disposizioni fiscali di maggiore impatto previste dalla legge, secondo il seguente indice: Novità in materia di imposte dirette (ires, irpef, irap); Novità in materia di tributi locali (imu, tasi, tari); Novità in materia di IRAP; Novità in materia di IVA; Novità in materia di agevolazioni (regime forfettario, proroga detrazioni irpef, etc); Ulteriori novità (canone rai, fondi europei, limite utilizzo contante, etc).

Legge di Stabilità 2016 Legge 28 Dicembre 2015, n° 208, G.U. – Serie Generale n.302 del 30.12.2015.

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Diritto Tributario e Fiscale

Novità in materia di imposte dirette. Riduzione aliquota IRES (commi 61-66 e 69) La Legge di Stabilità 2016 ha previsto la riduzione dell'aliquota IRES al 24% (anziché 27,5%), a decorrere dall’1.1.2017, con effetto per i periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31.12.2016. Inoltre: ♦dalla stessa data, diminuisce dall'1,375% all’1,20% la misura della ritenuta a titolo d’imposta sugli utili corrisposti a società ed enti soggetti ad un’imposta sul reddito delle società in uno Stato UE / SEE (di cui all’art. 27, comma 3-ter, DPR n. 600/73); ♦un apposito DM rideterminerà la percentuale di concorrenza al reddito imponibile di dividendi e plusvalenze, ora fissata nella misura del 49,72%, nonché di quella relativa agli utili percepiti dagli enti non commerciali (ora pari al 77,74%). E' previsto che le nuove percentuali non troveranno applicazione con riferimento alle società di persone e soggetti equiparati (di cui all’art. 5, TUIR). In sede di approvazione è stato previsto che a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31.12.2016 (in generale dal 2017) per gli enti creditizi / finanziari e per la Banca d’Italia, è dovuta un addizionale IRES pari al 3,5%. Maxi ammortamenti (comma 91 - 94 e 97) Al fine di incentivare gli investimenti, per imprese e lavoratori autonomi è prevista una maggiorazione percentuale del 40% del costo fiscalmente riconosciuto dei beni strumentali “nuovi”, acquistati in proprietà o in leasing dal 15/10/2015 al 31/12/2016. In tal modo, ai fini Ires/Irpef, è possibile imputare nel periodo d'imposta quote di ammortamento e di canoni di locazione più elevati. Sono esclusi dall’incremento gli investimenti: ♦in beni materiali strumentali per i quali il DM 31/12/88 stabilisce un coefficiente di ammortamento inferiore al 6,5%; ♦in fabbricati e le costruzioni; ♦in beni indicati all'allegato 3 della legge di stabilità 2016: GRUPPO V Industrie manifatturiere alimentari

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Specie 19 - Imbottigliamento di acque minerali naturali -Conduttore - 8,0% GRUPPO XVII Industrie dell'energia elettrica, del gas e dell'acqua Specie 2/b - Produzione e distribuzione di gas naturale -Condotte per usi civili (reti urbane) - 8,0% Specie 4/b - Stabilimenti termali, idrotermali Conduttore - 8,0% Specie 2/b - Produzione e distribuzione di gas naturale - Condotte dorsali per trasporto a grandi distanze dai centri di produzione - 10,0% Specie 2/b - Produzione e distribuzione di gas naturale - Condotte dorsali per trasporto a grandi distanze dai giacimenti gassoso acquiferi; condotte di derivazione e di allacciamento - 12,0% GRUPPO XVIII Industrie dei trasporti e delle telecomunicazioni Specie 4 e 5 - Ferrovie, compreso l'esercizio di binari di raccordo per conto terzi, l'esercizio di vagoni letto e ristorante. Tranvie interurbane, urbane e suburbane, ferrovie metropolitane, filovie, funicolari, funivie, slittovie ed ascensori - Materiale rotabile, ferroviario e tramviario (motrici escluse) - 7,5% Specie 1, 2 e 3 - Trasporti aerei, marittimi, lacuali, fluviali e lagunari - Aereo completo di equipaggiamento (compreso motore a terra e salvo norme a parte in relazione ad esigenze di sicurezza) - 12,0% Per individuare il momento in cui l’investimento è realizzato – e, quindi, se lo stesso rientri o meno nel periodo agevolato – occorre fare riferimento ai criteri generali del TUIR; pertanto: ♦le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, per i beni mobili, alla data di consegna o spedizione (ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l’effetto traslativo della proprietà); ♦analogo principio vale per gli investimenti in beni strumentali da parte dell’artista/professionista, posto che, ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo, i beni strumentali in genere non rilevano secondo il principio di cassa (CM 90/2001). Autovetture Per quanto riguarda l'acquisto di veicoli “nuovi”, oltre all'aumento del 40% del costo di acquisizione, è previsto anche l'aumento dei limiti rilevanti per la deduzione delle quote di ammortamento e dei canoni di locazione finanziaria dei beni di cui all'art. 164 comma 1 lett. b) del TUIR; pertanto, per effetto della maggiorazione del 40%: ♦il limite al costo fiscale (es: €18.075,99) è incrementato della suddetta misura (quindi, €.25.306) ♦la percentuale di deducibilità (es: 20% e 80% per agenti e rappresentanti) resta invariata. I nuovi limiti di deducibilità, sotto il profilo del tetto massimo del costo d’acquisto fiscalmente riconosciuto, dovrebbero quindi essere pari: ♦€.25.306,39 (in luogo dell’ordinario €.18.075,99) per autovetture e autocaravan ♦€.5.784,32 (in luogo dell’ordinario €4.131,66) per i motocicli ♦€.2.892,16 (in luogo dell’ordinario € 2.065,83) per i ciclomotori. Acconti d’imposta

Le disposizioni sui “super-ammortamenti” non hanno effetto sulla determinazione dell’acconto dovuto per il periodo in corso al 31/12/2015 (2015 per i soggetti solari). L’acconto dovuto per il 2016 va determinato assumendo, quale imposta del periodo precedente, quella determinata in assenza delle nuove disposizioni. Studi di settore Le suddette disposizioni in materia di “superammortamenti” non producono effetti “sui valori attualmente stabiliti per l'elaborazione e il calcolo degli studi di settore”. Aumento detrazione Irpef redditi da pensione (comma 290) A seguito delle modifiche alle lett. a) e b) di cui al comma 3 dell'art. 13 del TUIR, viene stabilito che, a partire dal 01/01/2016 (in luogo dell’originario 2017), la detrazione IRPEF del reddito da pensione che eventualmente concorre alla formazione del reddito complessivo è così aumentata: ♦€ 1.783 (in luogo di € 1.725), se il reddito complessivo non supera € 7.750 (in luogo di € 7.500); ♦€ 1.255, aumentata del prodotto fra € 528 (in luogo di € 470) e l’importo corrispondente al rapporto tra € 15.000, diminuito del reddito complessivo, e € 7.250 (in luogo di € 7.500) se l’ammontare del reddito complessivo è superiore a € 7.750 (in luogo di € 7.500) ma non a € 15.000. Resta immutata la disciplina per i casi in cui il soggetto abbia un reddito complessivo superiore a 15.000 euro. Inoltre, a seguito delle modifiche apportate alle lett. a) e b) di cui al comma 4 dell'art. 13 del TUIR, è previsto l’aumento delle detrazioni relative ai redditi da pensione per soggetti di età non inferiore a 75 anni, che spettano nella seguente misura: ♦€ 1.880 (in luogo di € 1.783), se il reddito complessivo non supera € 8.000 (in luogo di € 7.750); ♦€ 1.297, aumentata del prodotto fra € 583 (in luogo di € 486) e l’importo corrispondente al rapporto tra € 15.000, diminuito del reddito complessivo, e € 7.000 (in luogo di € 7.250) se l’ammontare del reddito complessivo è superiore a € 8.000 (in luogo di € 7.750) ma non a € 15.000. Anche per i soggetti di età pari o superiore a 75 anni, resta immutata la disciplina per i casi di reddito complessivo superiore a 15.000 euro. Modello 730 precompilato (commi 949 - 957) Come già preannunciato dall'Agenzia delle Entrate, dal prossimo anno (modello 730/2016 - redditi 2015), nella dichiarazione precompilata, confluiranno anche i dati delle spese sanitarie registrate con il sistema "Tessera Sanitaria" ed i dati dei rimborsi effettuati nel periodo d’imposta precedente, semplificando ancora più la dichiarazione dei redditi per i lavoratori ed i pensionati. La Legge di Stabilità, introducendo a “regime” tale obbligo, dispone che: sono inclusi tra i soggetti operanti nel settore sanitario tenuti all’invio dei dati al Sistema Tessera Sanitaria anche le strutture autorizzate per l’erogazione dei servizi sanitari e non accreditate. (modifica art. 3, co.3, DLgs.175/2014); tutti i contribuenti, indipendentemente dalla predisposizione della dichiarazione precompilata,

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potranno consultare i dati relativi alle spese sanitarie acquisite dal Sistema Tessera Sanitaria mediante i servizi telematici messi a disposizione dal Sistema stesso. (nuovo art. 3, co.3-bis DLgs.175/2014); nel caso di omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati relativi alle spese sanitarie si applica la sanzione prevista dall’art. 78, co. 26, Legge n. 413/1991. (modifica art. 3, co.4, DLgs.175/2014). Con la modifica dell’art. 78, comma 25-bis, Legge n. 413/1991, viene inoltre disposto che: ♦è fissato al 28 febbraio di ciascun anno il termine entro cui gli Enti, le Casse e le società di mutuo soccorso aventi esclusivamente fine assistenziale ed i fondi integrativi del SSN che nell’anno precedente hanno ottenuto l’attestazione di iscrizione all’Anagrafe dei fondi integrativi del SSN nonché gli altri fondi comunque denominati. L’elaborazione della dichiarazione precompilata da parte delle Entrate con riferimento ai dati trasmessi da enti/casse/società di mutuo soccorso aventi esclusivamente fine assistenziale e dai fondi integrativi del SSN avviene a partire dall’anno d’imposta 2015. ♦trasmettono all’Agenzia delle Entrate, per tutti i soggetti del rapporto, una comunicazione contenente i dati relativi alle spese sanitarie rimborsate per effetto dei contributi versati (deducibili o detraibili) nonché quelli relativi alle spese sanitarie che comunque non sono rimaste a carico del contribuente. Ciò con riferimento agli oneri sia detraibili che deducibili ai fini IRPEF. Al fine di semplificare gli adempimenti dei contribuenti, si rende “sperimentale”, per l’anno 2016, l’esclusione dallo spesometro per i contribuenti che trasmettono i dati tramite il sistema tessera sanitaria (art. 3 comma 3 del DLgs.175/2014). Aspetti Sanzionatori Come noto, in caso di omessa, tardiva o errata trasmissione delle certificazioni uniche o dei dati relativi agli oneri deducibili o detraibili, si applica una sanzione di 100,00 euro per ogni comunicazione: ♦senza possibilità, in caso di violazioni plurime, di applicare il “cumulo giuridico” (DLgs.472/97) ♦con un massimo di 50.000 euro

suddette sanzioni in caso: ♦di "lieve tardività" nella trasmissione dei dati; ♦oppure di errata trasmissione degli stessi, "se l'errore non determina un'indebita fruizione di detrazioni o deduzioni nella dichiarazione precompilata". Resta ferma l'applicazione delle sanzioni in caso di omessa trasmissione dei dati. (Quanto su riportato riguarda le sanzioni a carico dei soggetti obbligati alla trasmissione dei dati relativi le prestazioni sanitarie, degli altri soggetti obbligati ovvero banche, fondi pensioni, imprese assicuratrici e enti previdenziali nonché dei sostituti di imposta (art. 4, c. 6 quinquies, del DPR.322/98). Controlli preventivi da parte dell’Agenzia delle Entrate Viene modificata la disciplina dei controlli preventivi sui modelli 730, in presenza di situazioni considerate “a rischio”. Modelli 730 presentati direttamente o tramite il sostituto d'imposta Con il nuovo comma 3-bis all’art. 5, DLgs.175/2014, viene stabilito che l’Agenzia delle Entrate può effettuare i cd “controlli preventivi”: ♦in via “automatizzata” o mediante la verifica della documentazione giustificativa ♦entro 4 mesi dal termine per la trasmissione della dichiarazione (o data trasmissione, se successiva) per i modelli 730: a) presentati direttamente da parte del contribuente, ovvero tramite il sostituto d'imposta che presta l'assistenza fiscale b) con modifiche, rispetto alla dichiarazione precompilata, che incidono sulla determinazione del reddito o dell'imposta e che presentano elementi di incoerenza rispetto ai criteri fissati con provvedimento delle Entrate ovvero determinano un rimborso di importo superiore a 4.000 euro. In tali casi il rimborso che risulta spettante al termine delle operazioni di controllo preventivo è erogato dall’Agenzia delle Entrate non oltre il 6° mese successivo: ♦al termine previsto per la trasmissione della dichiarazione ♦ovvero dalla data della trasmissione, se questa è successiva a detto termine. Restano comunque fermi i controlli previsti in materia di imposte sui redditi.

Se la comunicazione è correttamente trasmessa entro 60 giorni dalla scadenza, la sanzione è ridotta a 1/3, con un massimo di €.20.000. Nei casi di errata comunicazione dei dati, la sanzione non si applica se la trasmissione dei dati corretti è effettuata: ♦entro i 5 giorni successivi alla scadenza; ♦o, in caso di segnalazione da parte dell’Agenzia, entro i 5 giorni successivi alla segnalazione

Modelli 730 presentati tramite CAF e professionisti Modificando l’art.1 comma 4 del DLgs.175/2014, viene stabilito che la suddetta disciplina in materia di controlli preventivi si applica anche ai modelli 730 presentati: ♦tramite i CAF e i professionisti abilitati che prestano assistenza fiscale; ♦indipendentemente dal fatto che si tratti di una dichiarazione precompilata (modificata o meno) o di una dichiarazione presentata con le modalità “ordinarie”.

Al fine di limitare tale regime sanzionatorio, viene aggiunto il “nuovo” co. 5-ter all’art. 3, D.Lgs.175/2014; nello specifico è previsto che, per le trasmissioni da effettuare nel 2015, relative al 2014, e comunque per quelle effettuate nel primo anno previsto per le trasmissioni alle Entrate dei dati e delle certificazioni uniche utili per la predisposizione della dichiarazione precompilata, non si fa luogo all'applicazione delle

Abrogazione della precedente disciplina Viene abrogato l’art. 5 comma 1 lett. b) del DLgs.175/2014, che aveva escluso i suddetti controlli in caso di presentazione, senza modifiche, del 730 precompilato, direttamente dal contribuente/tramite il sostituto d’imposta. Detta abrogazioni ha effetto per le dichiarazioni dei redditi presentate a decorrere dall’anno 2016, periodo d’imposta 2015.

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Inoltre, il comma 956 dell’art.1 della Legge di stabilità 2016 rende permanente, con effetto per le dichiarazioni dei redditi presentate a decorrere dal 2016 (relative al 2015), l’onere dell’Agenzia delle entrate di effettuare controlli preventivi, anche documentali, sulla spettanza delle detrazioni per carichi di famiglia in caso di rimborso complessivamente superiore a 4.000 euro (sono abrogati i commi 586 e 587 all'articolo 1 della legge n. 147/2013 che prevedevano la cessazione di tale onere a decorrere dal 2016). Trasmissione di un numero minimo di dichiarazioni Modificando l’art. 35 comma 3 del DLgs.175/2014 viene rivista la modalità di quantificazione del numero minimo di dichiarazioni che il CAF deve presentare per mantenere tale qualifica. ART. 35, COMMA 3, D.LGS. N. 175/2014 (Legge Stabilità 2016): “il requisito del numero di dichiarazioni trasmesse nei primi tre anni di attività si considera soddisfatto se la media delle dichiarazioni validamente trasmesse dal centro nel primo triennio sia almeno pari all’uno per cento della media delle dichiarazioni complessivamente trasmesse dai soggetti che svolgono attività di assistenza fiscale nel medesimo triennio, con uno scostamento massimo del 10 per cento. Le disposizioni indicate nel periodo precedente si applicano anche per i centri di assistenza fiscale già autorizzati alla data di entrata in vigore del presente decreto con riferimento alle dichiarazioni trasmesse negli anni 2015, 2016 e 2017”. Analogamente, per effetto delle modifiche apportate all’art.7 comma 2-ter del DM 164/99, l’Agenzia, verifica annualmente che la media delle dichiarazioni validamente trasmesse da ciascun CAF nel triennio precedente sia almeno pari all’1% della media delle dichiarazioni trasmesse dai soggetti che svolgono attività di assistenza fiscale nel medesimo triennio. In precedenza, invece, era previsto che la verifica riguardasse che il numero delle dichiarazioni validamente trasmesse da ciascun CAF fosse almeno pari all'1% del rapporto risultante tra la media delle dichiarazioni trasmesse dal Centro nel triennio precedente e la media delle dichiarazioni complessivamente trasmesse dai soggetti che svolgono attività di assistenza fiscale nel medesimo triennio. Resta fermo che, per i CAF riconducibili alla medesima associazione od organizzazione o a strutture da esse delegate, il suddetto requisito è considerato complessivamente. CAF autorizzati successivamente al 13/12/2014 Per effetto delle modifiche apportate al comma 3 dell'art. 35 del DLgs. 175/2014, per i CAF autorizzati successivamente al 13/12/2014, il requisito del numero di dichiarazioni trasmesse nei primi 3 anni di attività si considera soddisfatto se la media delle dichiarazioni validamente trasmesse dal Centro nel primo triennio sia almeno pari all'1% della media delle dichiarazioni complessivamente trasmesse dai soggetti che svolgono attività di assistenza fiscale nel medesimo triennio, con uno scostamento massimo del 10%. CAF già autorizzati al 13/12/2014. Le suddette disposizioni si applicano anche ai CAF già autorizzati al 13/12/2014, con riferimento alle dichiarazioni trasmesse negli anni 2015, 2016 e 2017 (in luogo di 2016 - 2018).

«ART. 35, COMMA 3, D.LGS. N. 175/2014 (Legge Stabilità 2016): “il requisito del numero di dichiarazioni trasmesse nei primi tre anni di attività si considera soddisfatto se la media delle dichiarazioni validamente trasmesse dal centro nel primo triennio sia almeno pari all’uno per cento della media delle dichiarazioni complessivamente trasmesse dai soggetti che svolgono attività di assistenza fiscale nel medesimo triennio, con uno scostamento massimo del 10 per cento»,

Polizza assicurativa Si consente ai CAF, in luogo della polizza assicurativa ad essi richiesta per lo svolgimento delle proprie attività di assistenza, di prestare idonea garanzia sotto forma di titoli di Stato o titoli garantiti dallo Stato, ovvero ancora sotto forma di fideiussione bancaria o assicurativa per un periodo di quattro anni successivi a quello di svolgimento dell’attività di assistenza. E’, tuttavia, demandata ad un apposito decreto del MEF la possibilità di individuare ulteriori modalità alternative che offrano adeguate garanzie. Responsabilità solidale (comma 957) Modificando l’art. 39, comma 1-bis del DLgs.241/97 si disciplina la responsabilità solidale del centro di assistenza fiscale con chi commette violazioni relative all’assistenza dei contribuenti (visto di conformità ed asseverazione infedeli, certificazione tributaria infedele). In particolare, viene previsto che, in tali ipotesi, il CAF è obbligato solidalmente con il trasgressore al pagamento di una somma pari alla sanzione (come previsto dalla norma attuale), nonché alle ulteriori somme irrogate al trasgressore.

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Soggetti non residenti Si estendono a tutti i soggetti non residenti in Italia (e non solo, dunque, ai soggetti residenti in uno degli Stati UE/SEE) le modalità di determinazione dell’IRPEF applicabili ai soggetti residenti ai sensi delle disposizioni contenute negli articoli da 1 a 23 TUIR (ivi comprese le detrazioni per carichi di famiglia e da lavoro dipendente), fermo restando che il reddito prodotto nel territorio dello Stato italiano deve essere pari almeno al 75% del reddito complessivo e che il soggetto non deve godere di agevolazioni fiscali analoghe nello Stato di residenza. Assistenza fiscale del sostituto Aggiungendo la nuova lett. c-bis) al comma 1 dell’art. 17, DM 164/99 è disposto che il sostituto d’imposta che presta assistenza fiscale è tenuto a trasmettere alle Entrate anche il risultato finale della dichiarazione (730-4): ♦in via telematica; ♦entro il 7 luglio; applicando, ove compatibili, le disposizioni previste in caso di assistenza fiscale prestata dai CAF-dipendenti o dai professionisti. Modello 770 e Certificazione Unica (comma 952) Viene modificato l’art.4 comma 6-quinquies del DPR 322/98, in materia di trasmissione telematica delle certificazioni dei sostituti d’imposta; in particolare, viene stabilito che, con la Certificazione Unica da inviare all’Agenzia delle Entrate entro il 07/03 dell’anno successivo a quello in cui le somme ed i valori sono corrisposti, dovranno essere comunicati anche: “gli ulteriori dati fiscali e contributivi e quelli necessari per l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali e assicurativi, i dati contenuti nelle certificazioni rilasciate ai soli fini contributivi e assicurativi nonché quelli relativi alle operazioni di conguaglio effettuate a seguito dell’assistenza fiscale prestata”. Esclusione indicazione dati nel 770 semplificato. Al fine di evitare duplicazioni di adempimenti, l’invio delle CU contenenti i suddetti dati è equiparato alla presentazione del 770 semplificato. In pratica, quindi, se con la presentazione della nuova CU sono comunicati tutti i dati fino ad ora da esporre nel modello 770, viene meno l’obbligo di presentare tale modello. L’obbligo di presentazione del modello 770 entro il 31/07 permane per coloro che sono tenuti a comunicare dati non inclusi tra quelli previsti nella nuova Certificazione Unica Detrazione IRPEF spese funebri e spese universitarie (comma 954) Modificando l’art. 15, comma 1, lett. d), TUIR, viene stabilito che le spese funebri sono detraibili ai fini IRPEF per un importo non superiore ad € 1.550 (in luogo di €. 1.549,37) per ciascun decesso verificatosi nell’anno. La detrazione è ora riconosciuta per le spese sostenute in relazione al solo evento della “morte” non richiedendo più che tra il deceduto ed il soggetto che sostiene la spesa intercorra un rapporto di parentela (familiari di cui all’art. 443, c.c., affidati o affiliati). Viene poi chiarito che la detrazione per la frequenza di corsi di istruzione universitaria riguarda anche le università non statali, demandando la fissazione dell'importo da detrarre ad apposito DM, che tenga conto degli importi medi delle tasse e contributi dovuti alle università statali. Con la nuova disposizione si intende, quindi, fornire un riferimento “certo” relativamente all’ammontare detraibile delle spese sostenute per la frequenza di università non statali. Decorrenza. La nuova disciplina introdotta con riferimento sia alle detrazioni per spese funebri (è stato eliminato il vincolo di parentela) che per le spese di istruzione universitaria (per le quali si prevede un decreto ministeriale) si applica a decorre dall’anno d’imposta 2015

«Si consente ai CAF, in luogo della polizza assicurativa ad essi richiesta per lo svolgimento delle proprie attività di assistenza, di prestare idonea garanzia sotto forma di titoli di Stato o titoli garantiti dallo Stato, ovvero ancora sotto forma di fideiussione bancaria o assicurativa per un periodo di quattro anni successivi a quello di svolgimento dell’attività di assistenza» (…)

Riduzione periodo ammortamento avviamento (commi 95 e 96) La deduzione dei maggiori valori dell’avviamento e dei marchi affrancati (cd. affrancamento “derogatorio”) potrà avvenire in misura non superiore ad 1/5 (anziché 1/10). Infatti, con la modifica dell’art.15, comma 10 del DL.185/2008 in materia di riallineamento di valori emersi a seguito di operazioni straordinarie disciplinate dagli artt. 172, 173 e 176, TUIR (fusione, scissione, conferimento d’azienda), è previsto

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l’aumento a 1/5 della misura ammessa in deduzione del maggior valore dell’avviamento e dei marchi d’impresa, ferme restando sia l’aliquota dell’imposta sostitutiva, sia le tempistiche previste dal DL 185/2008 per il riconoscimento fiscale dei maggiori valori. La nuova disposizione si applica alle operazioni di aggregazione aziendale poste in essere a decorrere dall’esercizio successivo a quello in corso al 31/12/2015 (2016 per i soggetti “solari”. Rivalutazione terreni e partecipazioni (comma 888) Viene riproposta la possibilità di rivalutare il costo d’acquisto di: ♦terreni edificabili e agricoli posseduti a titolo di proprietà, usufrutto, superficie ed enfiteusi; ♦partecipazioni non quotate in mercati regolamentati, possedute a titolo di proprietà e usufrutto; alla data del 1° gennaio 2016, non in regime d’impresa, da parte di persone fisiche, società semplici, associazioni professionali, enti non commerciali. Rispetto al passato, la nuova disposizione prevede l’applicazione di un’aliquota unica per le imposte sostitutive; in pratica, esercitando l’opzione di assumere, in luogo del costo o valore di acquisto, il valore indicato in perizia delle partecipazioni non quotate o dei terreni, il contribuente dovrà assolvere l’imposta sostitutiva nella misura dell’8% : su tutte le tipologie di partecipazioni non quotate (sia qualificate che non) e sui terreni (sia agricoli che edificabili). A tal fine, entro il 30/06/2016 si dovrà provvedere: ♦alla redazione ed all’asseverazione della perizia di stima da parte di un professionista abilitato ♦al versamento dell’imposta sostitutiva per l’intero ammontare, o (in caso di rateazione) per la prima delle 3 rate annuali di pari importo. Rivalutazione beni d’impresa e partecipazioni (commi 889-890) È riproposta la rivalutazione dei beni d’impresa e delle partecipazioni per le società di capitali e gli enti commerciali che nella redazione del bilancio non adottano i Principi contabili internazionali (IAS/IFRS). La rivalutazione va effettuata nel bilancio 2015, deve riguardare tutti i beni risultanti dal bilancio al 31/12/2014 appartenenti alla stessa categoria omogenea e deve essere annotata nel relativo inventario e nella nota integrativa. Il saldo attivo di rivalutazione va imputato al capitale o in un’apposita riserva che ai fini fiscali è considerata in sospensione d’imposta. È possibile effettuare all’affrancamento, anche parziale, di tale riserva mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva ai fini IRES / IRAP in misura pari al 10%. Imposte sostitutive Il maggior valore dei beni iscritti in bilancio è riconosciuto ai fini fiscali (redditi e IRAP) dal terzo esercizio successivo a quello della rivalutazione (in generale, dal 2018) tramite il versamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP determinata nelle seguenti misure: ♦16% per i beni ammortizzabili; ♦12% per i beni non ammortizzabili. Le imposte sostitutive dovute per il riconoscimento della rivalutazione e per l’eventuale affrancamento della riserva vanno versate in unica soluzione senza interessi, entro il termine previsto per il saldo delle imposte sui redditi, anche in compensazione con eventuali crediti disponibili. In caso di cessione, assegnazione ai soci/autoconsumo o destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa prima dell’inizio del quarto esercizio successivo a quello di rivalutazione (in generale, prima del 1° gennaio 2019), la plusvalenza o minusvalenza è calcolata con riferimento al costo del bene prima della rivalutazione.

«la detrazione per la frequenza di corsi di istruzione universitaria riguarda anche le università non statali, demandando la fissazione dell'importo da detrarre ad apposito DM, che tenga conto degli importi medi delle tasse e contributi dovuti alle università statali»

Riallineamento maggiori valori IAS/IFRS (comma 897) E' stabilito che le disposizioni in materia di riallineamento dei maggiori valori ex art. 14, comma 1, Legge n. 342/2000 sono applicabili anche ai soggetti che, ai fini della redazione del bilancio, adottano i Principi contabili internazionali (IAS/IFRS), anche per le partecipazioni costituenti immobilizzazioni finanziarie ex art. 85, comma 3-bis, TUIR. Per l’importo corrispondente ai maggiori valori, al netto dell’imposta sostitutiva (16% - 12%), è vincolata una riserva che può essere affrancata versando un’imposta sostitutiva del 10%.

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Modifiche alla disciplina dei costi "black list" (commi 142 -147) E’ disposta l'abrogazione dell'art. 110 co.10-12-bis del TUIR, che disciplina la deducibilità dei costi black list. Si ricorda che, con riferimento al periodo di imposta 2015, il DLgs.147/2015 ha riscritto le suddette norme prevedendo che i costi sostenuti con soggetti black list, qualora relativi a operazioni che abbiano avuto concreta esecuzione, siano ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale (art. 9 TUIR). Tale limite, in base all'art. 110 c.11 TUIR, può essere superato se il contribuente fornisce la prova che "le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione". Il legislatore, elimina ora tutte le disposizioni correlate alla deducibilità dei costi in esame che, a partire dal periodo di imposta 2016, saranno quindi soggetti alle “ordinarie” regole di deducibilità. Società controllate estere – CFC (comma 142) Si apportano modifiche alla disciplina delle società controllate estere – CFC; in particolare: ♦si prevede un criterio univoco, fissato ex lege, per individuare tali Paesi ai fini della disciplina CFC, e cioè la presenza di un livello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile in Italia; ♦si stabilisce che la disciplina CFC, in presenza delle condizioni di legge (relative in particolare ai livelli bassi di tassazione), si applica - a determinate condizioni - anche nel caso di società site in Stati membri UE o in Paesi dello Spazio economico europeo che hanno un accordo con l’Italia in merito allo scambio di informazioni a fini fiscali. Con decreto del MEF saranno stabiliti modalità, termini, elementi e condizioni affinché le società controllanti, aventi specifici requisiti geografici e di fatturato, trasmettano all’Agenzia delle entrate una specifica rendicontazione, Paese per Paese relativa a ricavi e utili, imposte pagate e maturate, nonché ad altri elementi indicatori di una attività economica effettiva, conformemente alle direttive OCSE; la mancata presentazione di detta rendicontazione ovvero l’invio di dati incompleti comporta una sanzione pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro. Abrogazione tassa sulle unità da diporto (comma 366) Viene abrogata la tassa sulle unità da diporto introdotta dal cd. Salva-Italia (art. 16, D.L.201/2011). Novità in materia di tributi locali Novità IMU (commi 11-13) La legge di stabilità 2016 apporta alcune modifiche in materia di IMU. IMU terreni agricoli È nuovamente rivista la tassazione applicabile ai terreni agricoli; in particolare, a decorrere dal 2016, viene ripristinato, ai fini dell'esenzione Imu dei terreni agricoli, il criterio contenuto nella circolare 9/1993 al posto dell'attuale basato sulla classificazione ISTAT del territorio. Inoltre, vengono abrogate le disposizioni contenute nei commi 5 e 8-bis dell'art. 13 del DL 201/2011 (relative alla determinazione della base imponibile dei terreni), e nei commi 1 da 1 a 9-bis dell'art. 1 del DL 4/2015 (individuazione dei terreni agricoli imponibili/esenti IMU per il 2014 e 2015). Pertanto, in base alle modifiche effettuate, dal 2016, saranno esenti Imu i terreni agricoli: ♦ricadenti in aree montane e di collina, secondo i criteri stabiliti dalla CM 9/1993 ♦posseduti e condotti da coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali (di cui all'art. 1 del D.lgs. 99/2004), iscritti alla previdenza agricola (CD e IAP), indipendentemente dalla loro ubicazione; ♦ubicati nelle isole minori (di cui all’Allegato A della Legge n. 448/2001); ♦a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale, a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile. Un'altra modifica ai fini Imu riguarda l'abrogazione della norma che dava la possibilità alle province autonome di Trento e Bolzano di assoggettare ad IMU i fabbricati rurali ad uso strumentale. Questa possibilità non ha più ragione di sussistere considerando che tali province hanno istituito l'IMI e l'IMIS, al posto dell'Imu.

«all'art. 110 c.11 TUIR, può essere superato se il contribuente fornisce la prova che "le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione»

Esenzione dell'IMU per i coltivatori diretti e IAP Si dispone che i coltivatori diretti e gli IAP (DLgs.99/2004), iscritti alla previdenza

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agricola, non devono più versare l'imposta per i terreni agricoli da loro posseduti e condotti. Sono abrogate, le disposizioni contenute nei co. 5 e 8-bis dell'art. 13 del DL 201/2011. Invio delibere e regolamenti da parte dei comuni Il termine ultimo entro il quale i Comuni sono tenuti ad inviare telematicamente al Portale del federalismo fiscale le delibere ed i regolamenti IMU/TASI, affinché l’efficacia degli stessi decorra dalla data di pubblicazione, è fissato al 14 ottobre (anziché al 21/10). Resta fermo al 28/10 il termine entro il quale dette delibere e regolamenti devono risultare pubblicati sul sito Internet del MEF per trovare applicazione a decorrere dall’anno di pubblicazione. Abrogazione Imus E’ prevista l'abrogazione dell'art.11 del DLgs.23/2011 che prevede l'istituzione dell'imposta municipale secondaria (IMUS) a partire dal 2016. Riduzione IMU per immobili concessi in comodato ai figli (comma 10) E’ prevista una riduzione del 50% della base imponibile IMU (e TASI) per le unità immobiliari, escluse quelle di maggior pregio (A/1, A/8 e A/9), concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale. Ai fini del beneficio devono sussistere le seguenti condizioni: ♦che il contratto di comodato sia registrato ♦che il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato Il beneficio si applica anche nel caso in cui il comodante oltre all’immobile concesso in comodato possieda nello stesso Comune un altro immobile adibito a propria abitazione principale, ad eccezione delle unità abitative classificate A/1, A/8 e A/9. Conseguentemente, nell’art. 13 co. 2 del DL 201/2011 è soppressa la seguente disposizione: “nonché l'unità immobiliare concessa in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che la utilizzano come abitazione principale, prevedendo che l'agevolazione operi o limitatamente alla quota di rendita risultante in catasto non eccedente il valore di euro 500 oppure nel solo caso in cui il comodatario appartenga a un nucleo familiare con ISEE non superiore a 15.000 euro annui”. Ai fini dell’applicazione della disposizione, il soggetto passivo deve attestare il possesso dei suddetti requisiti nel modello di dichiarazione di cui all’art. 9, comma 6 del Dlgs.23/2011. 2.3. Novità Tasi (comma 14) La legge di stabilità 2016 apporta alcune modifiche alla disciplina della TASI.

«Si dispone che i coltivatori diretti e gli IAP (DLgs.99/2004), iscritti alla previdenza agricola, non devono più versare l'imposta per i terreni agricoli da loro posseduti e condotti. Sono abrogate, le disposizioni contenute nei co. 5 e 8-bis dell'art. 13 del DL 201/2011»

Esenzione abitazione principale Modificando l’art.1 comma 669 della L.147/2013, l’esenzione dalla Tasi, già riconosciuta per i terreni agricoli, è estesa alle unità immobiliari adibite ad abitazione principale, escluse quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. In pratica, a decorrere dal 2016 la TASI: ♦è abolita per le abitazioni principali iscritte nelle categorie catastali diverse da quelle "di lusso"; ♦continua ad applicarsi per gli immobili classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. Conseguentemente sono modificati anche i seguenti commi: che individua nel possessore e nell’utilizzatore i soggetti passivi TASI comma con l’esclusione, in ogni caso, dei terreni agricoli e dell’abitazione 669 principale, come definiti ai fini IMU dall’art. 13, comma 2, del DL 201/2011 (escluse le abitazioni classificate A/1, A/8 e A/9) per il quale nei casi in cui l’immobile costituisce abitazione principale (escluse le abitazioni “di lusso”) per il detentore, la TASI è dovuta solo dal proprietario: comma nella percentuale fissata dal Comune nel regolamento 681 relativo all’anno 2015. nella misura del 90% se il regolamento/delibera comunale non disciplina tale aspetto

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Fabbricati invenduti delle imprese costruttrici E’ prevista la riduzione all'1 per mille (0,1%) dell'aliquota TASI dei fabbricati costruiti e destinati alla vendita dall'impresa costruttrice, fintanto che permanga tale destinazione, e gli stessi non siano locati. I Comuni hanno la possibilità di aumentare tale aliquota fino al 2,5 per mille (0,25%), o diminuirla fino ad azzerarla. Maggiorazione aliquote Per l’anno 2016, limitatamente agli immobili non esentati, il Comune può, con espressa deliberazione, maggiorare l’aliquota TASI nella stessa misura applicata per l’anno 2015. Si elimina così la condizione, originariamente prevista, secondo cui tale aumento doveva essere deliberato, per l’anno 2015, entro il 30/09/2015 e nel rispetto dei vincoli posti dalla legge di Stabilità 2014. Viene, inoltre, espunta la disposizione che, con riferimento al 2015, manteneva come valide le deliberazioni relative a regolamenti, aliquote e tariffe adottate dai Comuni entro il 30/09/2015, ove fossero state espletate le procedure di pubblicazione. Pubblicazione Delibere Come per l'Imu, anche per la TASI viene anticipata al 14 ottobre la data entro cui i Comuni devono pubblicare le delibere sul Portale del federalismo fiscale. 2.4. Esenzioni Imu cooperative (comma 15) Modificando l’articolo 13, comma 2, lettera a), del DL 201/2011 viene stabilito che l'IMU non si applica agli immobili appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari, “ivi incluse le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa destinate a studenti universitari soci assegnatari, anche in deroga al richiesto requisito della residenza anagrafica”.

“Nel modificare l’art. 19 comma 15 del DL 201/2011 si dispone la non applicazione dell'IVIE per gli immobili posseduti all'estero, adibiti ad abitazione principale”

IVIE – esenzione prima casa (comma 16) Nel modificare l’art. 19 comma 15 del DL 201/2011 si dispone la non applicazione dell'IVIE per gli immobili posseduti all'estero, adibiti ad abitazione principale (escluse le abitazioni c.d. di lusso, ossia di categoria catastale A/1, A/8 e A/9), comprese le relative pertinenze e la casa coniugale assegnata al coniuge a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Rendita catastale dei macchinari cd "imbullonati" (comma 21) Sono previste alcune novità nelle modalità di determinazione della rendita catastale dei fabbricati ad uso produttivo nei quali sono incorporati gli impianti funzionali all'attività di produzione (cd. "imbullonati"), allo scopo di ridurre il carico dei relativi tributi comunali. Nuova rendita catastale degli immobili "D" ed "E" A decorrere dal 2016, la determinazione della rendita catastale dei fabbricati a destinazione “speciale e particolare” (immobili classificabili nelle categorie D e E), è effettuata (tramite stima diretta) tenendo conto “del suolo e delle costruzioni, nonché degli elementi ad essi strutturalmente connessi che ne accrescono la qualità e l’utilità, nei limiti dell’ordinario apprezzamento”. Tuttavia, sono esclusi dalla medesima stima diretta: i macchinari, i congegni, le attrezzature, gli altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo. Ne consegue che non risultano più assoggettati ad IMU gli impianti/macchinari “imbullonati”. Fabbricati già censiti nei gruppi "D" ed "E" Per i fabbricati già censiti nei gruppi catastali D ed E (opifici, alberghi, teatri, stazioni per servizi di trasporto), i soggetti interessati potranno presentare, a decorrere dal 01/01/2016, gli atti di aggiornamento ai fini della rideterminazione della rendita catastale, (procedura DOCFA), in base a dette nuove modalità.

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“E’ prorogata per gli anni 2016 e 2017 la modalità di commisurazione della TARI da parte dei Comuni sulla base di un criterio medio-ordinario (ovvero in base alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte) e non sull’effettiva quantità di rifiuti prodotti (c.d. metodo normalizzato, nel rispetto del principio “chi inquina paga”, sancito dall’art. 14, direttiva n. 2008/98/CE)”.

Per espressa disposizione ne discende che la rendita "proposta" avrà effetto: ♦retroattivo dal 2016, se l'atto di aggiornamento è presentato entro il 15/06/2016; ♦innovativo dal 2017, se l'atto di aggiornamento sarà presentato dopo il 15/06/2016. L'Agenzia delle Entrate -Territorio ha tempo fino al 30/09/2016 per comunicare al MEF, con riferimento agli atti di aggiornamento ricevuti, i dati relativi - per ciascuna unità immobiliare alle rendite "proposte" e a quelle già iscritte in catasto al 01/01/2016

Blocco degli aumenti dei tributi locali e delle addizionali (comma 26) Si sospende, per l’anno 2016, l’efficacia delle leggi regionali e delle deliberazioni comunali per la parte in cui aumentano i tributi e le addizionali attribuite ai medesimi enti territoriali, in luogo di vietare la deliberazione di tali aumenti. Tali aumenti sono rapportati ai livelli di aliquote applicabili per l’esercizio 2015 (anziché essere comparati ai livelli di aliquote deliberate, entro la data del 30 luglio 2015, per l’esercizio 2015). In tal modo, la sospensione degli aumenti di aliquote riguarda anche gli enti che hanno già deliberato in tal senso all’entrata in vigore della legge di Stabilità. Tari (comma 27) E’ prorogata per gli anni 2016 e 2017 la modalità di commisurazione della TARI da parte dei Comuni sulla base di un criterio medio-ordinario (ovvero in base alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte) e non sull’effettiva quantità di rifiuti prodotti (c.d. metodo normalizzato, nel rispetto del principio “chi inquina paga”, sancito dall’art. 14, direttiva n. 2008/98/CE). E’, inoltre, differito al 2018 (in luogo del 2016) il termine a decorrere dal quale il Comune deve avvalersi, nella determinazione dei costi del servizio, anche delle risultanze dei fabbisogni standard. A tal fine sono modificati i co. 652 e 653 della legge di stabilità 2014 (L. 147/2013). Acquisto prima casa prima di aver alienato l'abitazione (comma 55) E’ consentito godere dell’agevolazione prima casa sul nuovo acquisto, laddove il contribuente venda l’immobile precedentemente acquistato con il bonus entro 1 anno dal nuovo acquisto. In pratica, la nuova disposizione dà al contribuenti un anno di tempo per vendere la “vecchia” prima casa, dopo l’acquisto agevolato della “nuova” prima casa. Ove l’abitazione precedentemente acquistata non venga alienata entro un anno dall’ acquisto della nuova abitazione, si decade dalla stessa, con il conseguente obbligo di corrispondere l’imposta in misura ordinaria, oltre alle sanzioni e agli interessi. In tal caso, l’imposta di registro sarà da applicare con l’aliquota pari al 2% (comma 4-bis nota II-bis all’art. 1 Tariffa all. TUR). Sebbene la nuova norma contenga il riferimento alla sola imposta di registro e non all’IVA, si ritiene che il rinvio espresso, contenuto nel n. 21 della Tabella A, parte II, allegata al DPR 633/72, alla nota II-bis, consenta di estendere la novità anche in campo IVA. Ulteriori disposizioni riguardano le altre condizioni per l’accesso al beneficio prima casa. Si ricorda, infatti, che, oltre al requisito dell’impossidenza di altre abitazioni acquistate con l’agevolazione (lett. c) nota II-bis) le lettere a) e b) della medesima nota richiedono che: ♦l’acquirente (trascurando le ipotesi in cui egli sia trasferito o emigrato all’estero) abbia trasferito la propria residenza nel Comune in cui si trova l’immobile agevolato o si impegni a trasferirvela entro 18 mesi, ovvero svolga la propria attività nel Comune in cui si trova l’immobile agevolato; ♦l’acquirente non sia titolare di diritti di proprietà, uso, usufrutto, abitazione, su altra casa di abitazione sita nel Comune in cui si trova l’immobile che intende

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acquistare con l’agevolazione. Secondo la “nuova” norma, nel caso in cui l’agevolazione riguardi l’acquisto della nuova prima casa, pur nell’attesa che entro l’anno venga alienata la “vecchia” prima casa, le suddette condizioni devono essere verificate “senza tener conto dell’immobile acquistato con le agevolazioni”. Pertanto, in tal caso, i requisiti agevolativi devono essere valutati considerando solo la “nuova” e non la vecchia prima casa, di cui i contribuenti si dovranno disfare entro 1 anno dal nuovo acquisto. Patti contrari alla legge nella locazioni immobili uso abitativo (comma 59) Viene chiarita la misura del canone di locazione dovuto dai conduttori che avevano beneficiato della rideterminazione ex lege, per mancata o parziale registrazione del contratto. In particolare, si specifica che: ♦per i conduttori che hanno versato, nel periodo intercorso dal 7 aprile 2011 (data di entrata in vigore del D.Lgs. 23/2011) al 16 luglio 2015 (data del deposito della sentenza n. 119/2015), il canone annuo di locazione nella misura stabilita dall’art. 3, comma 8 del Dlgs.23/2011 ♦l’importo del canone di locazione dovuto ovvero dell’indennità di occupazione maturata, su base annua, è pari al triplo della rendita catastale dell’immobile, nel periodo considerato. Si cerca così di risolvere la questione sorta a seguito della dichiarazione di incostituzionalità (Corte costituzionale, sentenza n. 119/2015) dell’art. 1, comma 5-ter, DL. 47/2014. Leasing immobili destinati ad abitazione principale (comma 82) Si introduce una nuova detrazione per coloro che acquistano un immobile da destinare ad abitazione principale attraverso un contratto di locazione finanziaria. Nello specifico, introducendo le lett. i-sexies1) e i-sexies2) al comma 1 dell’art. 15 del TUIR, viene agevolato lo strumento del leasing immobiliare per chi compra la prima casa, con vantaggi maggiori per i giovani di under 35 . Dall’IRPEF lorda si può, infatti, detrarre un importo pari al 19% per: ♦canoni e relativi oneri accessori, per un importo non superiore a € 8.000 ♦costo di acquisto dell’immobile all’esercizio dell’opzione finale, per un importo non superiore a €.20.000, ove le spese siano sostenute da giovani di età inferiore a 35 anni, con un reddito complessivo non superiore a 55.000 euro all’atto della stipula del contratto di locazione finanziaria e non titolari di diritti di proprietà su immobili a destinazione abitativa. La detrazione spetta alle medesime condizioni previste per la detrazione degli interessi passivi sui mutui contratti per l’acquisto dell’abitazione principale (art. 15 comma 1 lett. b) TUIR). Proprio detta norma contiene la definizione di abitazione principale ove si afferma che “Per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente o i suoi familiari dimorano abitualmente”. Si ricorda che, ai fini delle imposte sui redditi, si intendono per familiari (art. 5 comma 5 del TUIR) il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Per i soggetti di età superiore a 35 anni, ferme restando le altre condizioni richieste, l’importo massimo detraibile a fini IRPEF è dimezzato (€.4.000 per i canoni e €.10.000 per il costo di acquisto). Agevolazioni contratti leasing di immobili abitativi (comma 83) È prevista una nuova aliquota dell'imposta di registro (1,5%) da applicare al trasferimento di fabbricati abitativi “non di lusso” (accatastati in categorie diverse da A/1, A/8 o A/9), ceduti a banche o imprese di leasing che li abbiano dati in leasing a utilizzatori che soddisfino le condizioni di "prima casa" (Nota IIbis all'art. 1 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86) In tal caso, le condizioni agevolative dovranno essere valutate prendendo in considerazione l'utilizzatore anziché il concedente ed il contratto di leasing anziché il contratto di acquisto. Viene disposto, inoltre, che: ♦si assoggettano ad imposta di registro in misura proporzionale anche le cessioni, da parte degli utilizzatori, di contratti di locazione finanziaria aventi ad oggetto gli immobili ad uso abitativo (quindi non solo ad uso strumentale),

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ancorché assoggettati a IVA; ♦agli atti di cessione di contratti di leasing aventi ad oggetto immobili abitativi, anche da costruire ed anche se assoggettati a IVA, operati dagli utilizzatori, si applicano le

aliquote dell'1,5% o del 9% a seconda che, in capo al cessionario, sussistano le condizioni per l'applicazione dell'agevolazione prima casa o meno. Novità in materia di IRAP Ulteriore deduzione IRAP (comma 123) Passa da € 2.500 a € 5.000 l’ulteriore deduzione IRAP spettante a società di persone, imprese individuali e lavoratori autonomi ai sensi dell'art. 11, comma 4-bis, lett. dbis), D.Lgs. n. 446/1997. La misura si applica a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31/12/2015, quindi, per i soggetti con periodo d'imposta coincidente con l'anno solare, a decorrere dal 2016. Queste le nuove misure:

BASE IMPONIBILE IRAP

Fino a € 180.759,91 Da € 180.759,92 a € 180.839,91 Da € 180.839,92 a € 180.919,91 Da € 180.919,92 a € 180.999,91

€ 2.500

ULTERIORE DEDUZIONE SPETTANTE DAL PERIODO D'IMPOSTA 2016 € 5.000

€ 1.875

€ 3.750

€ 1.250

€ 2.500

€ 625

€ 1.250

ULTERIORE DEDUZIONE SPETTANTE FINO AL PERIODO D'IMPOSTA 2015

Esenzione per i settori agricolo e della pesca (comma 70) E’ prevista l'abrogazione dell'art. 3 comma 1 lett. d) DLgs.446/97, che, nella versione vigente, dispone l'assoggettamento ad IRAP dei produttori agricoli titolari di reddito agrario, esclusi quelli con volume d'affari annuo non superiore a 7.000 euro, i quali si avvalgono del regime speciale di esonero degli adempimenti IVA (sempreché non vi abbiano rinunciato). A fronte di tale soppressione, si prospetta l'introduzione della lett. c-bis) nell'art.3 del DLgs.446/97, al fine di statuire che non sono soggetti passivi dell'imposta, tra l'altro: ♦i soggetti che esercitano un'attività agricola (art. 32, TUIR); ♦i soggetti di cui all'art.8 DLgs.227/2001 (cooperative e loro consorzi che forniscono in via principale servizi nel settore selvicolturale, ivi comprese le sistemazioni idraulico-forestali) ♦le cooperative e i loro consorzi (art. 10 del DPR 601/73). Ambito applicativo dell'esclusione La relazione illustrativa chiarisce che l'esclusione riguarda tutte le attività per le quali, fino al 2016, si applica l'aliquota ridotta dell'1,9%. Pertanto, l'esclusione dovrebbe operare anche per il valore della produzione ritratto dalle attività agricole da parte di quei soggetti che, ai fini delle imposte sui redditi, non determinano il reddito in base alle risultanze catastali (spa che svolge attività agricola). Restano, invece, soggette ad IRAP, in quanto scontano l'aliquota ordinaria del 3,9%: ♦le attività di agriturismo ♦le attività di allevamento; ♦le attività connesse rientranti nell'art. 56-bis TUIR. Decorrenza Le suddette modifiche si applicherebbero dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31/12/2015, ossia dal 2016, con impatto sulla dichiarazione IRAP 2017. Deduzioni Irap lavoratori stagionali (comma 73) Si estende la deducibilità del costo del lavoro dall’imponibile IRAP, nel limite del 70%, per ogni lavoratore stagionale impiegato per almeno 120 giorni nel periodo d’imposta: ♦a decorrere dal secondo contratto stipulato con lo stesso datore di lavoro ♦nell’arco di 2 anni a partire dalla cessazione del precedente contratto. Irap medici (comma 125)

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Non sussiste autonoma organizzazione ai fini IRAP nel caso di medici che: ♦abbiano sottoscritto convenzioni con le strutture ospedaliere per lo svolgimento della professione ♦percepiscono per l’attività svolta in dette strutture più del 75% del proprio reddito complessivo. Sono in ogni caso irrilevanti, ai fini della sussistenza dell’autonoma organizzazione, l’ammontare del reddito realizzato e le spese direttamente connesse all’attività, svolta. L’esistenza dell’autonoma organizzazione è comunque configurabile in presenza di elementi che superano lo standard e i parametri previsti dalla Convenzione con il SSN. Novità in materia di IVA Note di variazione ai fini iva (commi 126 e 127) Viene sostituito integralmente l’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, in materia di “Variazioni dell’imponibile o dell’imposta” IVA, stabilendo una disciplina più precisa in caso di mancato incasso della fattura, in tutto o in parte. In particolare, il nuovo art. 26 distingue le seguenti ipotesi che legittimano l’emissione della nota di variazione in diminuzione: ♦verificarsi di una causa di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione (e simili) dell’operazione; ♦applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente; ♦assoggettamento del cessionario o committente ad una procedura concorsuale (fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria) o ad un’altra procedura di soluzione della crisi di impresa (accordo di ristrutturazione dei debiti, piano attestato di risanamento); ♦esperimento, da parte del fornitore, di una procedura esecutiva individuale rimasta infruttuosa. La suddetta disposizione “non può essere applicata dopo il decorso di un anno dall'effettuazione dell'operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti e può essere applicata, entro lo stesso termine, anche in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all'applicazione dell'articolo 21, comma 7. Inoltre, si stabilisce ora che la nota di credito può essere emessa in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte: ♦in presenza di una procedura concorsuale / accordo di ristrutturazione dei debiti / piano attestato di risanamento, dalla data di assoggettamento alla procedura / decreto di omologa dell’accordo / pubblicazione nel Registro delle Imprese; ♦resta fermo che il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale alla data della sentenza dichiarativa di fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione al concordato preventivo o del decreto che dispone l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. ♦a causa di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose. Come previsto dal nuovo comma 12 dell'art. 26, una procedura esecutiva individuale si considera in ogni caso infruttuosa: -in caso di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulta che presso il terzo pignorato non vi sono beni / crediti da pignorare; -in caso di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulta la mancanza di beni da pignorare / impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità; -nel caso in cui, dopo che per tre volte l’asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità. In caso di successivo incasso (in tutto/parte) del corrispettivo, va emessa una nota di debito. Nel caso di risoluzione contrattuale relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento del cessionario o committente, la possibilità di emettere nota di credito non si estende alle cessioni/prestazioni “per cui sia il cedente o prestatore che il cessionario o committente abbiano correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni”.

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Infine la nota di credito può essere emessa, ricorrendone i presupposti, anche da parte dell’acquirente/committente debitore dell’imposta tramite il reverse charge ex artt. 17 o 74, DPR n. 633/1972 o 44, D.L. n. 331/1993. Decorrenza Viene specificato che alcune delle disposizioni introdotte (emissione della nota di variazione IVA in diminuzione “a partire dalla data in cui il cessionario o committente è assoggettato auna procedura concorsuale” e disapplicazione dell’obbligo di registrare la variazione per la controparte contrattuale, nel caso di procedure concorsuali) si applicano nel caso in cui il cessionario o committente sia assoggettato a una procedura concorsuale successivamente al 31 dicembre 2016 (in luogo delle operazioni effettuate dal 01/01/2017 come previsto dal testo originario del DDL). Le altre modifiche apportate al predetto articolo 26, “in quanto volte a chiarire l'applicazione delle disposizioni contenute in tale ultimo articolo e quindi di carattere interpretativo, si applicano anche alle operazioni effettuate anteriormente” al 2016 Detrazione Iva per acquisti unità immobiliare (comma 56) E’ introdotta una detrazione dall’IRPEF pari al 50% dell’importo corrisposto per il pagamento dell’IVA sull’acquisto effettuato entro il 31/12/2016 di abitazioni di classe energetica A o B cedute dalle imprese costruttrici. La detrazione è ripartita in 10 quote annuali. Estensione del reverse charge (comma 128) Si estende il meccanismo del reverse charge a fini IVA anche alle prestazioni di servizi resi dalle imprese consorziate nei confronti del consorzio di appartenenza, ove il consorzio sia aggiudicatario di una commessa nei confronti di un ente pubblico, al quale il consorzio sia tenuto ad emettere fattura (ai sensi delle disposizioni relative allo split payment). L’efficacia della norma è subordinata all’ autorizzazione UE, ai sensi della direttiva IVA (direttiva 2006/112/CE). Rimborsi Iva a cittadini Extra UE (comma 368) Si autorizzano gli intermediari iscritti all’albo degli istituti di pagamento ad effettuare i rimborsi IVA a cittadini extra UE (cd. Tax free shopping), secondo percentuali minime di rimborso, da definire con decreto da emanare entro 180 giorni dall’ entrata in vigore della legge. IVA 4% sui giornali (comma 637) Si prevede che l'aliquota IVA agevolata del 4% venga estesa anche a giornali, notiziari quotidiani, dispacci delle agenzie di stampa e ai periodici in formato digitale, prima soggetti ad aliquota del 22%. In particolare, l'aliquota del 4% viene estesa a tutti i prodotti editoriali, sia quelli identificati con codice "ISBN", sia quelli identificati con codice "ISSN" (Tab A parte II n.18) all. DPR 633/72), indipendentemente dal tipo di supporto sul quale essi vengono prodotti (fisico o elettronico). IVA cooperative sociali (commi 960 e 961) E’ prevista l'adozione dell'aliquota IVA nella misura del 5% per le prestazioni, rese nell’ambito socio-sanitario dalle cooperative sociali e loro consorzi nei confronti di soggetti degni di protezione sociale. La "nuova" aliquota IVA (inserita nella Tabella A, parte II-bis, allegata al DPR 633/72) richiede infatti che: ♦le prestazioni siano rese da cooperative sociali e loro consorzi, in favore di anziani, inabili adulti, minori, handicappati psicofisici ed altri soggetti degni di tutela sociale di cui al n. 27-ter dell'art. 10 co. 1 del DPR 633/72; ♦si tratti di prestazioni socio-sanitarie e di assistenza domiciliare e ambulatoriale (n. 27-ter dell'art. 10 co. 1 del DPR 633/72), nonché di prestazioni sanitarie, di ricovero e di cura, didattiche ed educative (nn. 18, 19, 20 e 21 del citato art. 10). La decorrenza è fissata alle operazioni effettuate sulla base di contratti stipulati, rinnovati o prorogati successivamente al 01/01/2016, data di entrata in vigore della legge di stabilità. Modifiche al settore agricolo (comma 905, 908-910, 912) Nell’ambito del settore agricolo si rilevano le seguenti modifiche: 1) Imposta registro terreni agricoli Sale al 15% (in luogo del 12%) l’imposta di registro sui trasferimenti di terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti / IAP iscritti alla

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previdenza agricola. Pertanto, dal 01/01/2016, detti atti di trasferimento sconteranno l'aliquota del 15%, con la misura minima di €.1.000, oltre alle imposte ipotecaria e catastale in misura fissa di €.50 l'una. 2) Incremento percentuali di compensazione prodotti agricoli Si dispone l'incremento, fino alla misura massima del 10%, delle percentuali di compensazione previste ai fini della detrazione forfettaria IVA, applicabili ad alcuni prodotti nel settore lattiero-caseario. La misura dell'incremento di tali percentuali di compensazione, nel rispetto della soglia massima stabilita, nonché l'individuazione dei prodotti agricoli interessati, sono rinviate all'emanazione di un apposito DM, da adottarsi entro il 31/01/2016. 3) Reddito domenicale e agrario Con la modifica dell’art. 1, comma 512 della Legge n. 228/2012, a decorrere dal 2016, è aumentata dal 7% al 30% la rivalutazione del reddito dominicale e agrario. 4) Produzione / cessione di energia da impianti fotovoltaici È sostituito l’art. 1, comma 423 della L.266/2005, il quale dispone(va) che il reddito derivante dalla produzione e cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili agroforestali, nonché di carburanti ottenuti da produzioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo e di prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo, effettuate da parte di imprenditori agricoli che costituiscono “attività connesse” va determinato applicando il coefficiente di redditività del 25% all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni soggette a registrazione ai fini IVA. Ora è previsto che la produzione/cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali fino a 2.400.000 kWh annui, e fotovoltaiche, fino a 260.000 kWh, nonché di carburanti e prodotti chimici di origine agro-forestale provenienti prevalentemente dal fondo, effettuate da imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse e producono reddito agrario. In caso di produzione di energia oltre i citati limiti, il reddito è determinato “applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto … il coefficiente di redditività del 25 per cento, fatta salva l’opzione per la determinazione del reddito nei modi ordinari …”. Le predette novità sono applicabili a decorrere dal 2016.

Composto da ragionieri, dottori commercialisti e revisori contabili, lo Studio Cocchini Feliziani è specializzato in consulenza aziendale e programmazione finanziaria e studia ed opera nelle materie del diritto societario e tributario.

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