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Lo ship recycling, verso una rotta «circolare» Problematiche, criticità e opportunità

(European Commission). Introduzione

Nell’affascinante mondo degli oceani e dei mari, si staglia con contorni netti e precisi, la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare (UNCLOS). Con i suoi 320 articoli e ben 9 allegati, rappresenta la Magna Carta degli oceani, mari, fondi e sottofondi delle acque marine del globo, che coprono per oltre il 70%, della superficie del nostro pianeta terra, che a stretto rigore del vero, si sarebbe dovuto chiamare «Pianeta Mare o Pianeta Blu». La Convenzione internazionale sul (nuovo) diritto del mare, firmata nel 1982, a Montego Bay - Giamaica, ha visto impegnati sin dagli anni 70 e fino agli anni 90, la maggior parte degli Stati costieri e privi di litorale, compresi gli Enti territoriali e non. Una grande, calibrata e ben riuscita, opera di codificazione delle norme internazionali consuetudinarie, di cui all’articolo 38, dello Statuto della Corte internazionale di Giustizia, enucleate in un testo da definirsi storico per la difesa, protezione e preservazione degli spazi marittimi e oceanici, ivi compresi i fondi, sottofondi, colonne d’acqua sovrastanti, con risorse viventi e presenti, in questo fantastico mondo blu. Con questa riflessione a più mani e pensiero costruttivo, si vuole fornire il proprio contributo per la «difesa del mare e delle coste», vera ricchezza universale da preservare e salvaguardare a beneficio della vita e benessere economico, delle presenti e future generazioni. Il mondo scientifico universitario nazionale vede in prima linea d’azione, l’Università della Tuscia di Viterbo, con il Polo Specialistico di Civitavecchia, considerato d’eccellenza internazionale, di economia circolare, aziendale, sicurezza dell’economia del mare, dei trasporti intermodali sostenibili, portualità, logistica, scienze ambientali e biologia del mare. Inoltre, è bene ricordare, che con la legge n. 91 del 14 giugno 2021 — titolata: Istituzione di una Zona Economica Esclusiva (ZEE) oltre il limite esterno al mare territoriale, (G.U. Serie Generale n.148 del 23/06/2021), in conformità alla Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare, (Montego Bay 1982) ratificata in Italia, con legge n.689 del 2 dicembre 1994 — è stata autorizzata l’istituzione della ZEE, con enormi benefici economici e diritti esclusivi e sovrani dello Stato costiero, quale è l’Italia (1).

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Gli oceani e l’economia del mare

Gli oceani coprono circa il 70% della superfice totale del pianeta e assorbono il 30% delle . Molte società nelle aree costiere fanno affidamento alle attività marittime per il loro sostentamento. Tuttavia, la qualità e la biodiversità degli ecosistemi marini stanno subendo enormi impatti dovuti principalmente alle attività antropocentriche dell’uomo condotte su mare e terra. L’economia del mare integra una vasta gamma di attività economiche dal turismo costiero e marittimo al trasporto marittimo, alla cantieristica navale e attività portuali, alla pesca e all’acquacoltura e alle energie rinnovabili offshore. L’attività connessa allo sviluppo è indubbiamente il trasporto marittimo (2). Il trasporto via mare è la spina dorsale dell’economia globale, infatti, oltre il 90% delle merci scambiate viaggia sul mare, ed è fisicamente impossibile da sostituire con un altro mezzo di trasporto (3). Sia previsioni del WTO (4) che quelle OCSE (5), concordano sul fatto che entro il 2030 il commercio marittimo e le attività connesse potrebbero superare la crescita economica globale nel suo complessivo, sia in termini di valore aggiunto e occupazionale. Se da una parte questo comparto rappresenta il motore del commercio mondiale, dall’altro, le navi hanno un impatto significativo in termini di inquinamento, e questo non solo durante il periodo di servizio, ma anche alla fine della loro vita. L’attuale flotta mercantile mondiale comprende 99.800 navi, di cui circa il due per cento raggiunge il fine vita ogni anno. In media, la vita utile di una nave oscilla, a seconda della tipologia di imbarcazione, dai 20 ai 30 di servizio. Attualmente l’industria della demolizione di navi obsolete contamina mari e suoli, mettendo in serio pericolo la biodiversità marina e danneggia la salute dei lavoratori. Sicuramente mettere a condizione di riciclo una nave, significa anche dover tenere conto del valore dell’inventario di tutti i materiali presenti e recuperabili, capaci di instaurare un mercato di materie prime seconde. Un valore di tipo circolare che se pianificato correttamente potrebbe cambiare lo scenario e le dinamiche ambientali di impatto dello ship recycling aprendo la strada verso nuovi modelli di business puliti e circolari. C’è una crescita di aspettativa politica a dimensione globale, sulla necessità di puntare, non soltanto su strumenti che applichino il principio di «chi inquina paga», ma anche su meccanismi economici che aiutino a colmare il divario di competitività che si prospetta della imprescindibile futura gestione green delle attività produttive. Si stima che i materiali riciclabili rappresentino tra il 95 e il 98% del peso leggero di una nave. Il riciclaggio delle navi si riferisce al loro processo di smantellamento con lo scopo di estrarre e recuperare materiali, come l’acciaio, che comprende il 95% del materiale utilizzato per la costruzione di una nave, e altre categorie come le leghe di rame bonificate, titanio e leghe di titanio, alluminio e piombo e varie apparecchiature elettroniche che possono essere riutilizzate o decostruite per i loro materiali preziosi. È facile intuire quindi che il valore di una nave a fine vita dipende sicuramente dai prezzi sottostanti ai mercati delle relative materie prime. Invece i tassi (il costo) di demolizione dipendono anche da altri fattori come dal costo del lavoro e dalle misure ambientali seguite e implementate nei cantieri. Qui si apre un mondo dove i metodi di demolizione navale più redditizi sono anche quelli «più pericolosi» sia per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori e sia per gli impatti ambientali.

I lavoratori tirano una corda legata a una piattaforma petrolifera dismessa per smantellarla presso il cantiere navale Alang, nello stato occidentale del Gujarat, India, il 29 maggio 2018 (REUTERS/Amit Dave).

La geografia dello ship recycling e le pratiche irresponsabili

Le coste dell’Asia meridionale testimoniano un’industria il cui bilancio ambientale e sanitario necessitano urgentemente di un cambiamento, tali pressioni sono dovute alle tecniche di smantellamento e agli standard degli impianti di riciclaggio non conformi alle norme internazionali sulla sicurezza dei lavoratori e sulla protezione dell’ambiente marino. Secondo i dati diffusi dalla NGO ShipBreakingPlatform ogni anno tra le 800 e le 1.100 navi approdano sulle coste dell’Asia meridionale per essere smantellate, applicando tecniche di disassemblaggio scadenti. Paesi quali India, Bangladesh e Pakistan, gestiscono insieme l’80% GT (Gross Tonnage) smaltita a livello globale. L’attrattività del business della rottamazione e riciclaggio delle navi in questi paesi è determinato dall’elevato prezzo offerto dai cantieri situati nel Sud-Est asiatico per l’acquisto della nave e dalle deboli normative e standard in ambito ambientale e di sicurezza sul lavoro. Secondo dati diffusi dalla NGO ShipBreakingPlatform (6) nel 2021: 763 navi commerciali oceaniche sono state vendute ai cantieri di demolizione; di queste, 583 grandi petroliere, bulker, piattaforme offshore, cargo e navi da crociera sono state demolite con metodi scadenti. Nella tabella seguente sono riportati per le diverse aree geografiche i numeri delle navi con la relativa stazza lorda smantellata nel 2021:

La scelta della destinazione per il riciclaggio di una nave è determinata dal metodo di demolizione più redditizio. Esistono quattro metodi principali di riciclaggio delle navi che variano in termini di costi, sicurezza e impatto ambientale, questi sono: – Arenamento: metodo con standard minimi di sicurezza ambientale e sicurezza sul lavoro, viene utilizzato in Bangladesh, India e Pakistan. In media un cantiere che utilizza tale metodo può pagare per l’acquisto della nave fino a $600 (7) per ldt (tonnellata di materiale leggero da dislocare). Questo metodo consiste nel trasportare le navi su distese fangose durante l’alta marea. Una volta che la marea si ritira la nave viene messa a terra e centinaia di lavoratori tagliano manualmente i pezzi dalla nave. – Sbarco: metodo standard simile all’arenamento, utilizzato principalmente in Turchia. Il prezzo offerto per l’acquisto di una nave con tale metodo può variare dai $250 ai $270. – Rottura lato molo: la rottura a lato molo è un metodo standard utilizzato in Cina, UE e Stati Uniti, che assicura la nave a un molo in acque riparate. L’offerta per l’acquisto di una nave varia $100-$150 per ltd. – Bacino di carenaggio: la rottura delle navi in bacino di carenaggio è un metodo standard utilizzato in

Cina, negli Stati Uniti e nell’UE. Questo metodo è il più sicuro dal punto di vista ambientale ma anche il più costoso. L’offerta per l’acquisto della nave varia dai $100-$150 per ltd.

Tabella 1: navi e relativa stazza lorda smaltita nelle diverse aree geografiche nel 2021 (ONG Shipbreaking «2021 list of all ship dismantled all over the world»).

Destinazione

Bangladesh

India

Pakistan

Turchia

Resto del mondo

EU

N°navi

254 210 119 77 66 37

Gross Tonnage

8.036.554 3.144.135 2.972.585 1.368.929 387.278 104.983

Il surplus economico dovuto alla vendita delle navi in centri di riciclaggio scadenti, non ha incentivato molti armatori al riciclo «verde», ovvero un riciclo conforme alle normative e agli standard internazionali per la sicurezza lavorativa e ambientale. Di conseguenza, i costi vengono esternalizzati alle comunità più povere. La persistente difficoltà del management di fine vita delle navi, nonché del riciclaggio dei relativi materiali, è una problematica di dimensione mondiale risolta da comportamenti che tendono a eludere i regolamenti internazionali in potenziale condizione di Dumping. Gli acquirenti in contanti pagano il prezzo più alto per le navi fuori uso e sono intrinsecamente legati ai cantieri di spiaggiamento. Gli acquirenti in contanti cambiano le bandiere delle navi in bandiere di comodo (Panama, Liberia, Palau, Isole Marshall, Comoros, Gabon) e registrano nuova-

mente le navi con nuovi nomi e società di caselle postali anonime, così da illudere il diritto internazionale e rendere difficile rintracciare gli armatori o gli acquirenti in contanti. Il principale mercato che invia navi in disarmo alla demolizione è l’Unione europea.

Il quadro normativo dello ship recycling, soluzioni esistenti e circolari

Per affrontare le controversie legate al giusto smaltimento delle navi e la mappatura dei rifiuti pericolosi, la comunità internazionale ha tentato attraverso due Convenzioni di risolvere e mitigare il fenomeno del riciclaggio delle navi e dei relativi oneri ambientali e sociali. Tali Convenzioni sono: – la Convenzione di Basilea (8), firmata da 187 parti il 22 giugno 2020, ha lo scopo di ridurre al minimo il trasferimento transfrontaliero di rifiuti pericolosi dalla sua origine (principalmente nei paesi sviluppati) ai paesi meno sviluppati, ma l’applicazione delle sue disposizioni alle navi fuori uso è un compito impegnativo; – la Convenzione di Hong Kong (9) del 2009 dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO) utilizza un approccio più sistematico. I regolamenti della Convezione riguardano: la progettazione, la costruzione, l’esercizio e la preparazione delle navi in modo da facilitare il riciclaggio sicuro e rispettoso dell’ambiente, senza compromettere la sicurezza e l’efficienza operativa delle navi; il funzionamento degli impianti di riciclaggio delle navi in modo si-

curo e rispettoso dell’ambiente; e l’istituzione di un adeguato meccanismo di applicazione per il riciclaggio delle navi, che incorpori requisiti di certificazione e rendicontazione. Un’appendice alla Convenzione fornisce un elenco di materiali pericolosi la cui installazione o uso è vietata o limitata nei cantieri navali, nei cantieri di riparazione navale e nelle navi. I cantieri di riciclaggio delle navi dovranno fornire un piano di riciclaggio delle navi, per specificare il modo in cui ogni singola nave sarà riciclata, a seconda delle sue particolarità e del suo inventario. L’entrata in vigore della Convenzione avviene dopo la firma di 15 Stati che rappresentano il 40% del traffico mercantile mondiale. La Conven-

zione non è ancora entrata in vigore, attualmente è stata ratificata da 15 Stati che rappresentano il 29,42% del traffico mercantile mondiale.

L’Unione europea ha preso una posizione attiva sulla questione dello smantellamento delle navi sin dall’introduzione dello Ship Recycling Regulation (10), che è in gran parte ispirato dalla Convenzione di Hong Kong. Il 20 novembre 2013 il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea hanno adottato il regolamento (UE) N. 1257/2013 relativo al riciclaggio delle navi. Dal 31 dicembre 2018 secondo l’art. 2 del Regolamento, le navi battenti bandiera dell’UE di stazza superiore a 500 GT devono essere riciclate in impianti di riciclaggio sicuri e rispettosi dell’ambiente. L’elenco è stato istituito per la prima volta in data 19 dicembre 2016 ed è periodicamente aggiornato per aggiungere ul-

teriori agevolazioni conformi, o, in alternativa, per rimuovere strutture che hanno cessato di ottemperare. L’elenco comprende strutture che operano in territorio UE ed extra-UE. La Decisione di esecuzione (UE) 2021/1211 ha riconosciuto 44 impianti idonei agli standard di riciclaggio delle navi in territorio UE e nove impianti idonei in territorio extra-UE, è da sottolineare che nessun impianto situato nel Sud-Est asiatico rientra tra gli standard europei né tantomeno è ricompreso nella lista degli impianti idonei. Per rendere competitivo e stimolare il mercato del riciclaggio all’interno dei paesi UE, il Regolamento EU 1257/2013 all’art.29 e al considerando 19, si allude a un potenziale strumento di natura finanziaria come misura di emergenza contro eventuali rischi di elusione dell’elenco europeo. Un incentivo finanziario avrebbe lo scopo di annullare il divario in termini di profitto fra lo smantellamento in cantieri non conformi alle regole e quello in cantieri che figurano nell’elenco europeo. In questa dinamica i quadri legislativi vincolanti europei per la demolizione sostenibile e riciclaggio delle navi in impianti «autorizzati», e della strategia per la «licenza di riciclaggio delle navi», si pone la questione della sostenibilità industriale dei processi ma soprattutto dell’internalizzazione del costo sociale. Un aspetto, quello legato alle certificazioni di idoneità al riciclaggio, che oggi unisce forma e sostanza nell’evoluzione dei criteri di autorizzazione per gli impianti. Ciò al fine di garantire anche un regime di ispezione efficace in termini di compliance ai regolamenti relativi alla demoli-

zione delle navi. Nelle loro attività, le organizzazioni impegnate nella ricerca di soluzioni sostenibili su scala globale dal segretariato della Convenzione di Basilea, l’ILO e l’IMO, stimolano a inquadrare la questione in un ragionamento unico di valorizzazione del costo sociale in termini di opportunità imprenditoriale oltre i «piani nazionali di ship-recycling». Secondo l’ultimo rapporto sul trasporto marittimo, la flotta mercantile mondiale tenderà ad aumentare nei prossimi decenni e di conseguenza si prospetta un aumento dello smantellamento delle navi. Trovare soluzioni che riescano a mitigare il fenomeno portando una convergenza nel settore mettendo in risalto i principi di sostenibilità sembra un’impresa ardua e difficile da programmare nel tempo.

Ipotizzare un mercato green per il settore del riciclaggio delle navi si traduce in un mercato dove l’ottimazione della gestione del flusso di materie prime seconde, secondo un approccio «end of waste», incoraggiano lo sviluppo di un commercio business to business per l’approvvigionamento di materie prime, seconde e materie prime critiche al fine di migliorare la progettazione a monte e il recupero a valle per nuovi processi industriali (11). Bisogna considerare che i futuri sviluppi sono condizionati dalle diverse variazioni del prezzo dei materiali utilizzati per le navi. A oggi, con l’acciaio che rappresenta la maggior parte del materiale recuperabile di una nave, ciò che può condizionare la decisione di demolizione di una nave, è l’andamento dei prezzi per tonnellata di acciaio riciclato, che mostra una dinamica rialzista; ciò può far ipotizzare un crescente aumento nella richiesta di demolizione. Non solo, i prezzi dei materiali, ma anche la corsa all’approvvigionamento, può influenzare la decisione.

Riflessioni

In una prospettiva di eco-neutralità (12) una nave green ha sotto controllo tutti i suoi aspetti ambientali. Essa sarebbe frutto di una progettazione circolare, cioè fatta con metodi avanzati di impiego dei materiali e dell’energia, in cui tutti i componenti sono pensati per essere continuamente riutilizzati nei progetti futuri, riducendo gli sprechi. Un incessante sistema di smontaggio, recupero e riassemblaggio, fatto di sviluppo dei mercati verdi intersettoriali e di filiere di prossimità, danno vita a un’industria fatta di flussi circolari delle risorse. Materie prime, seconde e materie prime critiche scambiate in un network di mercati green grazie a passaporti digitali, possono rendere fluido e gestionale un sistema di economia circolare. Dimostrare che è possibile costruire un sistema circolare per il settore navale non deve essere teoria. Per orientare tutti gli attori verso la strada di una strategia di sistema, non soltanto è necessario un ampio esercizio di consultazione delle parti coinvolte sul terreno comune del valore delle risorse, come anche richiesto dall’ultima comunicazione della Commissione europea, ma bisogna inquadrarla a livello temporale. Flussi di investimento produttivi che, se da una parte avviano un percorso di crescita verso la realizzazione di impianti moderni e mercati green su scala mondiale, dall’altra sono uno strumento strategico di cooperazione e di presenza internazionale per lo sviluppo di infrastrutture a sostegno di un obiettivo ambientale a lungo termine. Non solo, i tempi e le abilità politiche, ma anche un cambio di prospettiva, una visione ambientale nel fare industria, permettono l’allocazione ottimale degli investimenti che diano una ricaduta di sistema nella strategia verde di riciclaggio delle navi all’altezza delle aspettative politiche per l’ambiente. Investire contemporaneamente, nei tempi giusti, sia in impianti extra UE per un’idoneità effettiva degli impianti e della sicurezza sociale e ambientale e, in un’ottica di più a lungo termine nell’adattamento degli impianti UE può essere un moltiplicatore di forza non soltanto in termini di capacità complessiva ma anche di competitività industriale che spinge in alto gli standard nel campo dello «smontaggio» delle navi e permette di attivare le filiere dei mercati green. Un percorso di coesione operativa della diplomazia industriale green per fare vivere nuove dinamiche di mercato. 8

NOTE

(1) Errigo A., Focus Europa-Un miliardo di euro per gli oceani, Alis Magazine n.6/2022. (2) Mosconi Enrico Maria, Lo Ship Recycling tra Dumping e Circular Economy, Alis Magazine n.2/2022. (3) The Review of Maritime Transport 2021, UNCTAD. (4) OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio), in inglese WTO (World Trade Organization), è un’organizzazione internazionale istituita per supervisionare gli accordi commerciali tra gli stati membri. Attualmente vi aderiscono 164 paesi. (5) OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). L’ OCSE è un organizzazione internazionale di studi economici per i paesi membri, paesi sviluppati aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico e un’economia di mercato. (6) The Toxic Tide. NGO ShipBreaking Platform. (7) GMS Report, The Ship Recycling, 2020. (8) Basel Convention on the control of transboundary movements of hazardous wastes and their disposal. (9) Hong Kong International Convention for the safe and environmentally sound recycling of ships. (10) Regolamento (UE) n. 1257/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013 relativo al riciclaggio delle navi e che modifica il Regolamento (CE) n. 1013/2006 e la Direttiva 2009/16/CE. (11) Mosconi Enrico Maria, Lo Ship Recycling tra Dumping e Circular Economy, Alis Magazine n.2/2022. (12) Enrico M. Mosconi, audizione presso la 13 Commissione del Senato territorio, ambiente, beni ambientali del 19/05/2020, «Dal waste recycling al waste prevention: panoramica e considerazioni critiche alla luce del nuovo piano d’azione europeo per l’economia circolare».

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