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Blue Economy e la minaccia del crimine organizzato transnazionale
Conferenza FWW 2020 New York – Sala Assemblea Generale Nazioni Unite (archivio autore).
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Il Prof. Caputo interviene alla Conferenza FWWMUN 2020 New York – Sala Assemblea Generale Nazioni unite (archivio autore).
Nel settore dell’economia oceanica sostenibile, la comunità internazionale è da diversi anni preoccupata dalla minaccia rappresentata dalle attività criminali. Tanto i decisori politici quanto i ricercatori scientifici stanno approfondendo lo studio delle dinamiche dell’economia sommersa blu e del ruolo distruttivo della criminalità organizzata all’interno di questa economia.
Nel 2008 l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha lanciato un allarme sulla «possibile connessione tra la criminalità organizzata internazionale e la pesca illegale in alcune regioni del mondo» (1). L’ONU ha esortato gli Stati a indagare sul collegamento tra la criminalità organizzata transnazionale e l’economia oceanica, «tenendo presente i distinti regimi giuridici e rimedi previsti dal diritto internazionale applicabili rispettivamente alla pesca illegale e alla criminalità organizzata internazionale».
Nel 2011 è stato prodotto un rapporto completo che mette in evidenza la vulnerabilità del settore della pesca globale a molteplici tipi di criminalità, molti dei quali erano riconducibili al crimine organizzato. Il rapporto raccomandava una risposta collettiva da parte delle Forze dell’ordine al problema, successivamente ripresa dalla Commissione delle Nazioni unite per la prevenzione della criminalità e la giustizia penale, per prevenire la criminalità organizzata transnazionale in mare (2).
Nel 2013, l’INTERPOL ha istituito un gruppo di lavoro sulla criminalità nel settore della pesca, per poter
coordinare al meglio le operazioni congiunte di contrasto delle reti transnazionali della criminalità organizzata.
Nel 2019 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha ulteriormente considerato la criminalità organizzata transnazionale in mare una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali (3).
Le lezioni apprese sono state condivise con la comunità internazionale in occasione di simposi internazionali annuali, che hanno portato all’adozione di una Dichiarazione ministeriale sulla criminalità organizzata transnazionale nel settore della pesca globale (Dichiarazione di Copenaghen) nel 2018. La Dichiarazione traccia un percorso di impegno globale per combattere la criminalità organizzata transnazionale nel settore della pesca e per aiutare a promuovere un’economia blu sostenibile.
Nel 2020, una ricerca del World Resources Institute ha presentato lo stato attuale delle conoscenze su come la criminalità organizzata nel settore della pesca ostacoli la realizzazione di un’economia oceanica sostenibile, analizzando i vari tipi di reato che rientrano nel termine «criminalità della pesca» e quali misure pratiche possano essere adottate per contrastare questa fattispecie di crimine (4).
Unione europea: economia blu sostenibile e strumenti di finanziamento
Il 17 maggio 2021 la Commissione europea ha presentato un nuovo approccio per realizzare un’economia blu sostenibile nell’UE, in linea con l’invito del Green Deal europeo a trasformare la nostra economia in un’economia efficiente e competitiva, eliminando progressivamente le emissioni di carbonio, proteggendo l’ambiente e la biodiversità e non lasciando indietro nessuno.
Il 3 maggio 2022, a Strasburgo, è stata approvata la Risoluzione del Parlamento europeo verso un’economia blu sostenibile nell’UE, che si è focalizzata specificatamente sul ruolo dei settori della pesca e dell’acquacoltura. Questa Risoluzione interpreta il convincimento della Commissione europea che dovessero essere elaborati orientamenti strategici specifici finalizzati allo sviluppo competitivo e resiliente dei settori della pesca e dell’acquacoltura, garantendo la fornitura di alimenti nutrienti e salutari e creando posti di lavoro. Enorme importanza è stata data alla promozione della ricerca e dell’innovazione, senza dimenticare la tutela dell’ambiente e della biodiversità.
La Risoluzione mira a definire un’agenda generale per il conseguimento di tali obiettivi, in modo da sostituire l’idea di una «crescita blu» incontrollata con l’idea di un’«economia blu sostenibile» basata sulla protezione dei tre pilastri della sostenibilità, ovvero la sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Allo scopo di migliorare l’accesso ai finanziamenti e la prontezza agli investimenti per le start-up, le imprese in fase iniziale e le PMI (5) è stato istituito il Fondo europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (FEAMP), il cui programma operativo è stato approvato, al termine della procedura di consultazione, dalla Commissione europea nel 2015 (6).
Tra il 2016 e il 2021 il FEAMP ha assegnato oltre 65 milioni di euro alle PMI che sviluppano progetti con prodotti, tecnologie e servizi innovativi per la Blue Economy (7). Sono stati finanziati quasi 60 progetti, inclusi molti progetti che supportano la biodiversità e la rigenerazione degli ecosistemi attraverso l’innovazione.
Nel 2019 e nel 2020 il processo di selezione è stato rafforzato per porre maggiormente l’accento sulla prontezza del mercato. In particolare, i bandi Blue Economy Window/BlueInvest si sono rivelati molto efficaci nell’identificare e sostenere le tecnologie promettenti in fase iniziale e le PMI.
Nel 2020, la Commissione europea ha collaborato con il Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) per lanciare il Fondo BlueInvest finalizzato a finanziare fondi azionari che supportino le società innovative della Blue Economy. BlueInvest Fund è stato strutturato nell’ambito del prodotto azionario del Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (FEIS) con una garanzia FEIS di 75 milioni di euro.
A oggi, il FEI ha erogato con successo finanziamenti per la Blue Economy, superando in definitiva l’obiettivo iniziale di 75 milioni di euro. Sulla base di un invito ai gestori di fondi, sono stati approvati quattro accordi per un importo di 85 milioni di euro (comprese le risorse proprie del FEI) e un quinto accordo di 15 milioni di euro nell’ambito di InnovFin Equity (8). Ciò ha portato il totale degli impegni dei fondi approvati o
Conferenza FWWMUN 2020 New York - da sinistra verso destra: il Prof. Renato Caputo, l’Amb. Stefano Stefanile, Vice Rappresentante Permanente d’Italia presso le Nazioni unite a New York, l’Amb. Rocco Antonio Cangelosi, già Consigliere Diplomatico del Presidente della Repubblica Italiana (archivio autore).
firmati a 100 milioni di euro e l’importo totale previsto del capitale mobilitato (con investimenti privati) a 300 milioni di euro.
Basato sul modello BlueInvest, Portugal Blue, è stato lanciato uno strumento di finanziamento nazionale da 50 milioni di euro con il sostegno del Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI). Con la firma di questi cinque accordi, il FEI prevede di concludere il lancio di questa iniziativa e di aprire la strada a un programma di scale up nel prossimo Quadro multi-finanziario.
Nel marzo 2022 è stata annunciata una nuova iniziativa azionaria dedicata, nell’ambito InvestEU, che mobiliterà fondi dell’Unione Europea per ulteriori 500 milioni di euro in favore degli intermediari finanziari che investono in questo settore. Lo storico annuncio è stato dato dal commissario Virginijus Sinkevičius (9), insieme a Roger Havenith (10). È stato inoltre comunicato che le attività della piattaforma proseguiranno a operare fino al 2026.
Ciò si tradurrà in 1,5 miliardi di euro di finanziamento del rischio a disposizione delle PMI e delle start-up della Blue Economy innovative e sostenibili, tramite intermediari finanziari.
I finanziamenti governativi, il capitale di rischio e il private equity possono svolgere un ruolo fondamentale nei prossimi anni nel sostenere lo sviluppo di tecnologie e innovazioni sostenibili che contribuiranno alla conservazione degli oceani, delle coste, della vita marina e della Blue Economy in generale.
Occorrerà, però, vigilare per evitare che la criminalità organizzata possa mettere le mani su queste ingenti risorse finanziarie. L’interesse da parte della criminalità organizzata per questo settore non è nuovo. Basti pensare ai molteplici reati che si verificano in mare e che rappresentano una minaccia per la pace e la sicurezza. Tra essi, senza dubbio, debbono essere inclusi i reati commessi nel settore della pesca.
Le minacce alla sicurezza in mare
I «conflitti di pesca», che possono derivare da una combinazione di fattori, tra cui la pesca illegale, sono riconosciuti come una potenziale minaccia alla sicurezza marittima e ai mezzi di sussistenza e c’è una letteratura crescente sull’argomento (11)(12)(13).
Nel Golfo di Guinea, numerose attività criminali organizzate in mare minacciano la pace e la sicurezza, tra cui pirateria e rapine a mano armata, sequestri a scopo di riscatto, rapine e contrabbando di carburante e gas, traffico di droga e armi e pesca illegale. Ciò incide negativamente sulle basi economiche degli Stati della regione attraverso, per esempio, l’aumento dei premi assicurativi per le navi mercantili, che ostacola la circolazione di beni e servizi e si traduce in una perdita di reddito per le imprese e per i Governi, con conseguente aumento del prezzo di beni e servizi (14).
In Nigeria, per esempio, la pirateria e le rapine a mano armata in mare comportano una riduzione dell’apporto del settore della pesca nazionale al prodotto interno lordo (PIL), poiché un minor numero di navi paganti con licenza è disposta ad andare in mare (15). Inoltre, i pescatori costieri che temono di prendere il mare in Nigeria a causa degli attacchi violenti di pescherecci illegali sono stati reclutati da reti criminali organizzate impegnate in rapine e contrabbando di petrolio, e le donne che si occupavano della vendita del pesce, in alcuni casi, sono state indotte alla prostituzione (16).
Nel 2019, una risoluzione del Consiglio di sicurezza ha espresso preoccupazione per i legami tra il terrori-
smo internazionale e la criminalità organizzata, compresa la criminalità organizzata transnazionale in mare (17). Il Consiglio di Sicurezza ha ulteriormente evidenziato la complessa relazione tra la pesca illegale su larga scala e il crimine internazionale di pirateria, come definito nel diritto internazionale del mare delle Nazioni unite (18) nelle acque somale dell’Oceano Indiano.
Per realizzare un piano d’azione antipirateria efficace, la comunità internazionale deve essere in grado di sviluppare una sempre maggiore collaborazione multilaterale tra i paesi.
Per raggiungere un’economia oceanica sostenibile è necessario bilanciare l’uso dello spazio oceanico e delle sue risorse con la capacità di carico a lungo termine degli ecosistemi oceanici (19). In linea con il concetto a tre pilastri dello sviluppo sostenibile nell’ambito del processo di Rio, un’economia oceanica sostenibile dovrebbe basarsi sull’uso sostenibile dell’oceano da una prospettiva economica, sociale e ambientale (20).
L’Agenda 2030 (adottata al vertice delle Nazioni unite sullo sviluppo sostenibile il 25 settembre 2015) estende le tre dimensioni della sostenibilità a cinque aree di importanza critica (vale a dire: persone, prosperità, pace, partenariato e pianeta), a cui dovrebbero improntarsi gli interventi politici sinergici tra agenzie per consentire il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG).
La criminalità organizzata, nel settore della pesca, può seriamente compromettere la possibilità di realizzare una serie di SDG, come: fame zero (21), lavoro dignitoso e crescita economica (22), consumo e produzione responsabili (23) e «vita sott’acqua» (24).
L’obiettivo di sviluppo sostenibile 16, che riguarda «pace, giustizia e istituzioni forti», ha un ruolo fondamentale per affrontare le varie manifestazioni della criminalità organizzata nel settore della pesca (25).
Solo a titolo esemplificativo, basti pensare alle comunità costiere che, non avendo reali opzioni economiche alternative, diventano facile preda delle organizzazioni criminali, laddove depredate della fonte di sostentamento primario costituita dalla pesca.
Nel 2012, alla Conferenza Rio + 20 (26), venne coniata la definizione di «economia blu», a sottolineare che questa economia rappresenta la parte marina della più ampia «economia verde», finalizzata a conseguire un miglioramento del benessere umano e dell’equità sociale, riducendo al contempo in modo significativo i rischi ambientali e le scarsità ecologiche.
Il moderno settore della pesca è, come molti altri settori economici, globalizzato, industrializzato e integrato nel mercato finanziario mondiale; è quindi ugualmente esposto alla criminalità organizzata. D’altro canto, la criminalità organizzata nel settore della pesca non è un elemento nuovo. Basti pensare, per esempio, che il famigerato Al Capone sfruttò l’industria della pesca per la produzione di rum negli anni 20 (27)(28).
Le conseguenze di questa «economia sommersa blu», però, vanno ben oltre il danneggiamento dell’ecosistema oceanico. Rappresenta una vera e propria minaccia per la pace e la sicurezza internazionale, in quanto — rendendo impossibile il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile — mette in pericolo la sicurezza alimentare e distrugge le già fragili società costiere.
Gli oceani sono fonte di sussistenza per circa 520 milioni di persone che dipendono dalla pesca o dal suo indotto, senza poi parlare degli oltre 2,6 miliardi di persone che mangiano pesce come alimento base.
Tuttavia, la pesca illegale mette a repentaglio la crescita dell’economia blu, la sicurezza nazionale, la sicurezza alimentare e i diritti umani. Questo risulta ancor più evidente nel Pacifico, dove la pesca illegale spesso viene praticata impunemente. Ciò è particolarmente vero per i paesi in via di sviluppo che non possono permettersi un sistema di gestione e controllo della pesca costoso e complicato come quelli realizzati nelle acque territoriali europee.
I ricercatori ritengono che la pesca illegale e non regolamentata venga praticata principalmente nei paesi che presentano fenomeni corruttivi su larga scala, una legislazione ambigua in materia o strutture inadeguate per dare piena attuazione alle leggi adottate per disciplinare questo settore.
Diversi esperti hanno suggerito che le opportunità di corruzione possono anche essere ridotte attraverso modifiche al modo in cui vengono negoziati le licenze di pesca e gli accordi di accesso. A livello nazionale, i comitati multi-stakeholder potrebbero essere impiegati per supervisionare le decisioni sulle licenze, invece che questo ruolo sia svolto da un solo funzionario o dipartimento. Anche la capacità di tracciare il movimento dei frutti di mare dalla fonte all’uso finale può aiutare a smascherare le pratiche illegali e creare catene di approvvigionamento trasparenti a sostegno della sostenibilità marina e dei diritti umani. La Seafood Alliance for Legality and Traceability (SALT) è un’iniziativa che si muove in tal senso. La SALT rappresenta una comunità globale di governi, industria ittica e organizzazioni non governative che lavorano insieme per condividere idee e collaborare a soluzioni per prodotti ittici legali e sostenibili, con un focus particolare sulla tracciabilità: la capacità per monitorare il movimento dei prodotti ittici attraverso le catene di approvvigionamento.
Affrontare la pesca illegale porterà allo sviluppo inclusivo e all’empowerment delle persone che dipendono dagli oceani per la propria alimentazione o per il proprio lavoro.
È fondamentale riconoscere che la democrazia, il buon governo, la rule of law, a livello nazionale e internazionale, nonché un ambiente favorevole, sono essenziali per sviluppare una crescita economica inclusiva, garantendo sviluppo sociale, protezione dell’ambiente e lo sradicamento della povertà e della fame.
Per contrastare, nell’ambito della Blue Economy, la minaccia transnazionale del crimine organizzato c’è bisogno di istituzioni a tutti i livelli che siano efficaci, trasparenti, responsabili e democratiche. 8
NOTE
(1) Assemblea generale delle Nazioni unite. Pesca sostenibile, anche attraverso l’Accordo del 1995 per l’attuazione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982 relativa alla conservazione e alla gestione degli stock ittici transzonali e degli stock ittici altamente migratori, e strumenti correlati. Risoluzione ONU A/RES/63/112, 2008, https://undocs.org/en/A/RES/63/112. (2) Commissione per la prevenzione della criminalità e la giustizia penale. Dichiarazioni sulle implicazioni finanziarie presentate alla Commissione per la prevenzione della criminalità e la giustizia penale prima dell’esame dei progetti di risoluzioni nella sua ventesima sessione. Rapporto n. E/CN.15/2011/21 (UN ODC, 2019). (3) Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. La criminalità organizzata transnazionale in mare come minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali. 8457a Riunione del rapporto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite n. S/PV.8457 (UNSC, 2019). (4) Witbooi E., Ali K.D., Santosa M.A. e altri, Organized Crime in the Fisheries Sector. Washington, DC, World Resources Institute, 2020, https://oceanpanel.org/bluepapers/organised-crime-associated-fisheries. (5) Piccole e Medie Imprese. (6) Decisione di esecuzione n.C (2015) 8452 del 25 novembre 2015. (7) Addamo A., Calvo Santos A., Guillén J., e altri, The EU blue economy report 2022, European Commission, Directorate-General for Maritime Affairs and Fisheries, 2022, https://data.europa.eu/doi/10.2771/793264. (8) Il programma InnovFin Equity è un prodotto finanziario lanciato dalla CE e dal FEI nell’ambito di Orizzonte 2020. Fornisce investimenti azionari e co-investimenti a o insieme a fondi di investimento, concentrandosi su aziende nelle prime fasi di sviluppo, operanti in settori innovativi coperti di Orizzonte 2020 (InnovFin Equity (europa.eu)). (9) Virginijus Sinkevičius è un politico lituano, commissario europeo con il portafoglio per l’ambiente e gli oceani dal 2019. È stato membro del Seimas della Repubblica di Lituania e ministro dell’Economia e dell’innovazione del suo paese. (10) Vicedirettore generale del Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI). (11) Okafor-Yarwood I., «The cyclical nature of maritime security threats: illegal, unreported and unregulated fishing as a threat to human and national security in the Gulf of Guinea», African Security 13(2), 2020, pp. 116-146. (12) Spijkers J. e altri, Global patterns of fisheries conflict: forty years of data, Global Environmental Change, Volume 57, luglio 2019, 101921. (13) Pomeroy R. e altri, Fish wars: conflict and collaboration in fisheries management in Southeast Asia, Marine Policy, Volume 31, 6, novembre 2007, pp. 645-656. (14) Gilpin R., Enhancing Maritime Security in the Gulf of Guinea. Strategic Insights, Volume VI, gennaio 2007. (15) Onuoha F., Piracy and Maritime Security in the Gulf of Guinea: Nigeria as a Microcosm, Al Jazeera Center for Studies, 2012. (16) Okafor-Yarwood I. op.cit. (17) Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Minacce alla pace e alla sicurezza internazionale. Risoluzione 2842/2019 del Consiglio di sicurezza. 8582a Riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite n. S/RES/2842 (UNSC, 2019). (18) ONU, United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), articolo 101, 1982. (19) Kraemer R.A., A Sustainable Ocean Economy, Innovation and Growth: A G20 Initiative. CIGI Policy Brief n. 113, Centre for International Governance Innovation, 2017, www.cigionline.org/ publications/sustainable-ocean-economy-innovation-and-growth-g20-initiative. (20) ONU, The Future We Want: Outcome Document of the United Nations Conference on Sustainable Development, 2012, https://sustainabledevelopment.un.org/content/documents/733FutureWeWant.pdf. (21) Sustainable Development Goal 2: Zero Hunger. (22) L’obiettivo di sviluppo sostenibile 8 riguarda «lavoro dignitoso e crescita economica» ed è uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliti dall’Assemblea generale delle Nazioni unite nel 2015. (23) L’SDG 12 vuole garantire il benessere della popolazione attraverso l’accesso all’acqua, all’energia e agli alimenti, riducendo allo stesso tempo il consumo eccessivo delle risorse naturali. (24) Sustainable Development Goal 14. (25) Kercher J., Fisheries crime and the SDGs: the call and the tools for interagency cooperation, FishCRIME, 2018. (26) La Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile (UNCSD), venne comunemente denominata RIO +20 in quanto tenutasi a 20 anni di distanza dal Vertice della Terra di Rio de Janeiro UNCED del 1992. Risoluzione RES/64/236 del 23 dicembre 2009. (27) Ensign E.S., Intelligence in the Rum War at Sea, 1920–1933 (Joint Military Intelligence College, 2001), https://ni-u.edu/ni_press/pdf/Intelligence_RUM_WAR.pdf. (28) Demont J., Maritime Drug Smuggling and Rum-Running, Maclean’s magazine, pubblicato online 17 maggio, 2002, ultimo aggiornamento: 30 giugno 2020, www.thecanadianencyclopedia.ca/en/article/maritime-drug-smuggling-and-rum-running.
«U nlike air crashes, submarine accidents frequently have survivors, which makes the imperative of developing rescue capabilities even more acute» (2). Questa affermazione, apparentemente semplice, racchiude in sé la complessità della gestione di un sottomarino sinistrato che richiede, in estrema sintesi, la perfezione nelle risposte.
Come noto, i sottomarini sono mezzi dalle caratteristiche peculiari che, a similitudine degli aeromobili, operano in uno spazio tridimensionale. Circa quarantuno nazioni nel mondo sono dotate di una flotta sottomarina più o meno moderna a cui sono affidate diverse tipologie di missioni.
Data questa premessa, un sottomarino sinistrato indica che il battello non è in grado di emergere autonomamente, ovvero che il suo equipaggio non può abbandonare il mezzo nel più classico dei modi usando i mezzi di salvataggio di superficie, quali scialuppe o battelli autogonfiabili, in dotazione a tutte le navi e natanti di ogni ordine. Prestare quindi soccorso all’equipaggio di un sottomarino sinistrato (concetto reso con l’acronimo DISSUB - Distressed Submarine) vuol dire essere in grado di mobilitare efficacemente uomini altamente addestrati e specializzati e mezzi dedicati ovunque nel mondo.
Per l’equipaggio di un sottomarino sinistrato le uniche due alternative di fuoriuscita sono: la procedura autonoma di ciascun membro dell’equipaggio, classificata internazionalmente come ESCAPE, oppure l’assistenza ai membri da parte di mezzi di soccorso esterni che provvedono a riportarli in superficie. Ciò viene identificato con il termine inglese RESCUE.
In passato, durante gli albori del «sommergibilismo», i mezzi a disposizione erano poco complessi e principalmente progettati per navigare in superficie e all’uopo immergersi per brevi periodi a quote poco profonde. In quel periodo si sono avuti per lo più incidenti causati da difetti progettuali e errori umani provocati da una inevitabile mancanza di esperienza nella conduzione del mezzo stesso. In sostanza, nelle fasi più remote della sommergibilistica i sistemi di salvataggio si
Nave ANTEO.
focalizzarono sull’applicazione di metodi di fuoriuscita individuale, basati quasi esclusivamente su autorespiratori singoli, derivanti da quelli in uso nelle miniere di carbone. Ad esempio, il 17 gennaio del 1911 (3) ventisette marinai tedeschi dell’U-3 fuoriuscirono attraverso i tubi lanciasiluri usando gli autorespiratori tedeschi «Dräger» di chiara derivazione commerciale. A ogni buon conto lo sviluppo tecnologico negli anni venti e trenta del secolo scorso, progredì rapidamente tanto che il compito del sommergibile passò dalla difesa della propria base a quella delle coste nazionali. Tale passaggio di impiego implicava il fatto che ora il sommergibile offensivo era capace di compiere la propria offesa nelle acque nemiche (4). Tuttavia, nonostante tale cambio di impiego del mezzo, di contro non si registrarono significativi progressi nel campo della fuoriuscita dei mezzi di soccorso collettivi, ma soltanto evidenti passi in avanti nel miglioramento delle maschere individuali.
A partire dalla seconda metà degli anni 20 a seguito di una serie di incidenti occorsi a sommergibili statunitensi il capitano di corvetta Charles B. Momsen, ufficiale sommergibilista americano, «conceived a concept of marine rescue chamber that could be lowered from the surface to mate with a submarine’s hatch and proposed through official channels» (5). Negli anni il Progetto di Momsen fu perfezionato dal comandante Allan Rockweel McCann; pertanto nel 1930 la marina statunitense iniziò la produzione di dodici esemplari di quella che ancora oggi è conosciuta come Submarine Rescue Chamber (SRC), nota anche come «Campana McCann». Con l’avvento di tale strumento di salvataggio, si poté assistere all’impiego del primo vero mezzo di soccorso in favore dei sommergibili sinistrati. Nel 1939, grazie alla SRC fu possibile soccorrere i membri del sommergibile americano USS Squalus affondato su un fondale di circa 70 metri a causa di una serie di avarie alle proprie valvole (6).
Col proseguire del tempo l’evoluzione tecnologica del mezzo e con essa il mutamento degli scenari operativi in cui i sommergibili sarebbero stati destinati a operare, spesso molto lontano dai sorgitori amici, indussero l’industria a creare nuovi mezzi atti al soccorso. La prima risposta fu affidata alla creazione di navi dedicate al soccorso sommergibili, ovvero armate con apparecchiature fisse dedicate, nonché da spazi medici e logistici per il personale soccorritore ma anche per gli equipaggi salvati. Si sviluppò quindi il concetto di Mother Ship (noto con l’acronimo MOSHIP) ossia una nave esclusivamente dedicata al soccorso sommergibili. Con l’avvento dell’era moderna nucleare, la limitata velocità di una unità navale, le problematiche connesse alle manutenzioni e agli approntamenti così come l’ormai globale bacino di gravitazione dei sommergibili atomici e convenzionali, hanno dato impulso a uno nuovo concetto di mezzo di soccorso che doveva rispondere a requisiti diversi. Sono stati perciò introdotti i concetti di trasportabilità aerea, di modularità, di interoperabilità e di autonomia.
La Marina Militare italiana, da sempre all’avanguardia nel soccorso ai sommergibili, ha raccolto la sfida dotandosi di un sistema che si può definire di assoluta eccellenza. Tale sistema è denominato con la sigla S.A.V.E.R. (Submarines Assistance Ventilation Equipment and Rescue) (7) e si compone di una miscellanea di sottosistemi trasportabili e dedicati al recupero di naufraghi da un sottomarino sinistrato unitamente a specifici trattamenti iperbarici.
Il complesso sistema si compone di due sottosistemi distinti: Intervento Subacqueo (SIS) e Soccorso e Recupero (SRS). Il principio di funzionamento di entrambi i sistemi prevede che le apparecchiature siano fisicamente connesse al sommergibile attraverso: connettori e prese esterne per quanto concerne la ventilazione; mentre per il trasferimento del personale in superficie è necessario che il modulo o la campana di soccorso siano agganciate alla mastra del battello attraverso il cosiddetto effetto ventosa. I succitati sottosistemi sono riassumibili come segue: – SIS, ovvero Submarine Intervention Systems (8); questi sono tutti quegli assetti che, in funzione dello scenario SMER (Submarine Escape and Rescue) (9) in atto, operano in primis per mantenere in vita i naufraghi, fino all’avvenuta evacuazione dal sommergibile sinistrato (DISSUB), e forniscono supporto generico in superficie e in immersione. Nel
SIS sono inclusi anche i sistemi che permettono il trasporto di materiali da e verso il DISSUB e/o il recupero di personale in particolari condizioni operative (fino a 300 metri e senza necessità di ri-compressione dei naufraghi in superficie). Pertanto, in dettaglio, seppur sinteticamente, il sottosistema SIS si compone dei seguenti «elementi»: • VS sistema di ventilazione di emergenza del DIS-
SUB; • IZ sistema di insufflazione casse zavorra dall’esterno del DISSUB; • SRC campana di soccorso; • WROV veicolo a controllo remoto e filoguidato per attività lavorative. – SRS, ovvero il Submarine Rescue System (10); si tratta di tutti quegli assetti che, nella loro interezza, sono necessari per recuperare e trattare i naufraghi di un DISSUB fino ad una quota operativa di 600 metri e una pressione interna del DISSUB fino a 6 bar assoluti. Questo sottosistema si articola nelle seguenti componenti: • SRV mezzo di soccorso filoguidato (modulare per differenti payload oltre alla capsula di soccorso); • PLARS sistema di lancio e recupero del mezzo di soccorso; • DDC complesso di camere iperbariche di decompressione; • FASD complesso di sistemi ausiliari di supporto.
Il sistema è reso indipendente operativamente dalla piattaforma su cui è installato dai sistemi ausiliari facenti parte del FASD (cfr. supra).
Occorre rimarcare che i componenti del sistema S.A.V.E.R. sono realizzati per essere trasportati in modalità intermodale, cioè impiegando per il trasporto unità di carico (quali container, moduli, ecc.) in grado di essere facilmente trasferite su diversi mezzi di trasporto (come navi, camion e treni) ed essere portate a destinazione compresa la movimentazione su velivoli (11). Il sistema italiano S.A.V.E.R. qui sopra sommariamente descritto, se confrontato con gli esistenti sistemi di soccorso e intervento per i sottomarini sinistrati, risulta essere al momento quello più avanzato, in quanto caratte-
Nave ANTEO - Messa a mare della campana subacquea SDC.
rizzato da un pool di sistemi che massimizzano la probabilità di successo.
Il S.A.V.E.R. può operare in piena sicurezza anche in avverse condizioni meteo marine e perfino in presenza di una corrente sottomarina elevata grazie alla soluzione filoguidata del SRV che massimizza la potenza installata sui propulsori del veicolo garantendo, altresì, una «endurance» praticamente illimitata in termini di approvvigionamento-potenza e svincolando la durata della missione di soccorso dalla capacità delle batterie installate a bordo dei veicoli free-flying. Il sistema rappresenta il punto focale nella organizzazione di una risposta, a un eventuale allarme, assolutamente rodata e performante che coinvolge attori eterogenei che devono essere sincronizzati nell’immediatezza. Pertanto, se da un lato i sottomarini hanno fatto passi da gigante anche i sistemi di soccorso hanno saputo adeguarsi ai tempi e ai mutati scenari garantendo ai professionisti degli abissi una possibilità concreta di salvataggio. Sono così passati cinquecento anni da quando il genio di Leonardo da Vinci intuì il sottomarino meccanico (12) e quasi quattrocento da quando l’olandese Cornelius Van Drebbel costruì materialmente il primo sottomarino dandone dimostrazione a re Giacomo I d’Inghilterra (13). I sottomarini continuano a far sognare e a far pensare ma anche a porre problemi di come salvare l’equipaggio in caso di un distress. L’Italia, con la Sua Marina Militare, ha posto un punto di particolare rilievo in questa affascinante storia che avrà, come ogni cosa di rilievo, ulteriori e proficui sviluppi. 8
NOTE
(1) Apparecchiatura per l’assistenza, la ventilazione e il soccorso ai sommergibili. (2) A differenza di un incidente aereo, di frequente accade che in un incidente occorso a un sommergibile ci siano dei superstiti e ciò rende imperativo che la capacità di inviare soccorsi sia molto efficace. Cfr. Goldstein L. - Murray W., International Submarine Rescue: A Constructive Role for China?, in «Asia Policy» n. 5, January 2008, pp. 167-183. (3) Cfr. Lockwood C. A. - Adamson H. C., Hell at 50 Fathoms, Mishawaka (IN) USA 1952. (4) Cfr. Hezlet A. R., Storia dei sommergibili. La guerra subacquea dalle origini all’era atomica, London 2018, p. 87. (5) Ideò e propose, attraverso i canali ufficiali preposti, un concetto di camera iperbarica marittima che potesse essere calata dalla superficie fino a raggiungere la mastra del sommergibile e fare ventosa. Cfr. Maas P., The Rescuer, London 1968, p. 51. (6) Cfr. Maas P. The terrible Hours: the Man Behind the Greatest Submarine Rescue in «History», New York 1999, p. 49. (7) Apparecchiatura per l’assistenza, la ventilazione e il soccorso ai sommergibili. (8) Sistemi di intervento su sommergibile. (9) Soccorso e fuoriuscita da un sommergibile. (10) Sistema di soccorso a un sommergibile. (11) Si tratta, in concreto, di velivoli modello C-130J e C-130J-30 come requisito primario e come requisito secondario comunque sui velivoli inseriti nella lista associata ai requisiti di trasportabilità dei mezzi di soccorso NATO quali C-17, C-5 e AN-124. (12) Tale idea leonardesca, ritrovata nel foglio 881v del Codice Atlantico, era un progetto ambizioso e militarmente micidiale poiché il «sottomarino» di Leonardo era progettato per essere agganciato sotto la prua di una imbarcazione; questo avrebbe dovuto funzionare con un motore a pedali e l’operatore nascosto al suo interno lo avrebbe impiegato per raggiungere la nave nemica e sabotarla. (13) Il sommergibile di Van Drebbel, si immerse a 3-4 metri nel Tamigi.
BIBLIOGRAFIA
Goldstein L. - Murray W., International Submarine Rescue: A Constructive Role for China?, in «Asia Policy» n. 5, January 2008, pp. 167-183. Hezlet A. R., Storia dei sommergibili. La guerra subacquea dalle origini all’era atomica, London 2018. Lockwood C. A. - Adamson H. C., Hell at 50 Fathoms, Mishawaka (IN) USA 1952. Maas P., The Rescuer, London 1968. Maas P. The terrible Hours: the Man Behind the Greatest Submarine Rescue in «History», New York 1999.
Il conflitto in Ucraina, oltre le conseguenze che sta avendo sul piano geopolitico e degli equilibri internazionali, sta ripresentando anche il dibattito su una questione che si credeva ormai appartenente a un’altra epoca storica, ovvero quella della neutralità stabilita per un paese da un accordo internazionale e garantita da una serie di Stati terzi. Le soluzioni proposte in queste settimane sullo status di cui potrebbe disporre l’Ucraina una volta terminato il conflitto sono essenzialmente quelle fissate per la Finlandia e l’Austria al termine della Seconda guerra mondiale, due esempi di neutralità che tuttavia presentano tra loro delle differenze sostanziali. Da alcuni osservatori è stato poi anche avanzato il modello deciso per il Belgio nel 1839 e rimasto in vigore fino allo scoppio del primo conflitto mondiale.
I soldati finlandesi alzano una bandiera al confine norvegese dopo l’espulsione degli ultimi soldati tedeschi (wikiwand.com).
Il modello di neutralità del Belgio (1839-1914)
Lo status di neutralità stabilito per il Belgio traeva origine dagli eventi che seguirono la conclusione delle guerre napoleoniche. Conquistato dalle truppe francesi e annesso alla Francia nel 1795, una volta sconfitto Napoleone i paesi della «Quadruplice Alleanza» — Russia, Gran Bretagna, Prussia e Austria — dietro le pressioni di Londra decisero però che nessuna parte di territorio belga dovesse essere lasciato sotto il controllo francese. Il Belgio venne così riunito con la «Repubblica delle Province Unite» in un regno comune pro-
prio nell’intento di formare uno «Stato cuscinetto» funzionante da barriera qualora in futuro si fosse ripresentata una nuova politica di espansionismo francese (1). Tuttavia, l’unione di queste due realtà estremamente diverse al loro interno, terminò con la rivolta della popolazione belga che nell’agosto 1830 allontanò gli olandesi da Bruxelles proclamando l’indipendenza del Belgio che venne riconosciuta il 20 gennaio 1831 dalla conferenza di Londra.
Al termine di diversi anni di lavori preparatori, Gran Bretagna, Austria, Belgio, Prussia, Francia e Paesi Bassi firmavano nel 1839 il «Trattato di Londra», il quale all’art. 7 richiedeva al Belgio di rimanere neutrale e alle potenze firmatarie di esercitare il ruolo di garanti della neutralità del paese. Trent’anni più tardi, con lo scoppio del conflitto franco-prussiano, nell’agosto 1870 la Gran Bretagna, temendo una possibile occupazione del territorio belga da parte dei paesi belligeranti, firmò con la Francia e la Prussia due trattati in base ai quali entrambi i paesi si impegnavano a preservare la neutralità del Belgio durante il conflitto (2). In seguito, la posizione di neutralità del Belgio trovò un’ulteriore conferma con la stipula della «Seconda Convenzione de L’Aia» del 1907, firmata e ratificata anche dalla Germania, la quale all’art. 1 affermava come il territorio di un paese neutrale era da ritenersi inviolabile e all’art. 2 dichiarava che alle parti belligeranti veniva anche interdetto all’interno di questo il transito di reparti militari e di mezzi d’approvvigionamento. Lo status di neutralità belga resse quindi sostanzialmente nonostante le tensioni internazionali accadute tra il XIX e il XX secolo, garantendo così al paese un momento di forte sviluppo economico e industriale che consentì a Bruxelles di avviare anche una politica di espansione coloniale conclusasi con l’acquisizione del territorio del Congo nel 1885. Ma proprio lo sviluppo economico condusse negli anni che precedettero lo scoppio del primo
conflitto mondiale a un significativo cambiamento all’interno della politica belga. Il rapido incremento dei rapporti commerciali con Berlino aveva difatti portato nel 1910 la Germania a diventare il principale partner economico del Belgio superando la Francia, tanto che gran parte dell’opinione pubblica aveva ormai un atteggiamento filo-tedesco lasciando le sole Forze armate ancora orientate verso una posizione filo-francese. In questo quadro, il Belgio si trovò quindi ad affrontare gli eventi che portarono allo scoppio del conflitto nel 1914 in una situazione non certo favorevole vista anche l’impreparazione e la debolezza delle forze militari del paese. Così quando il 24 luglio 1914 il Governo ribadì la sua neutralità, il ministro tedesco a Bruxelles rispose affermando che, qualora la Francia avesse usato il territorio belga per un’azione offensiva contro la Germania, Berlino per tutelare i suoi interessi avrebbe occupato il paese e, in questo caso, se le autorità belghe non avessero collaborato, i tedeschi avrebbero considerato il Belgio come uno Stato nemico. Davanti alla risposta negativa del Governo di Bruxelles, la Germania il 4 Agosto dichiarò così guerra al Belgio il cui territorio venne invaso e occupato dalle forze tedesche in aperta violazione della neutralità di cui Berlino era garante secondo il trattato del 1839 (3). Terminato il con-
Leopoldo III, re del belgio, passa in rassegna una colonna di carri armati, alla sua sinistra il ministro della guerra belga, il generale Denis (wikipedia.org).
flitto, il Belgio e la Francia il 7 settembre 1920 stipularono un’intesa in base alla quale si stabiliva come i reparti militari belgi e francesi avrebbero preso parte all’occupazione della Renania e che i due paesi avrebbero provveduto inoltre a mobilitare i loro riservisti qualora la Germania avesse deciso di riarmarsi. Tuttavia nel 1936, all’indomani della rioccupazione della Renania da parte della Germania, re Leopoldo III affermò come da quel momento la politica estera del paese sarebbe stata «…completamente ed esclusivamente belga…», ovvero tornata a una posizione di neutralità. Questa, dopo gli eventi del secondo conflitto in cui il Belgio nel 1940 venne nuovamente occupato dalla forze tedesche, sarebbe stata poi definitivamente abbandonata nel 1949 con l’adesione di Bruxelles alla NATO (4).
Il modello di neutralità dell’Austria in base al «Trattato di Stato» del 1955
Al termine del secondo conflitto mondiale, il territorio dell’Austria venne suddiviso in quattro zone d’occupazione controllate dalle potenze alleate vincitrici, mentre la capitale Vienna dal 1° settembre 1945 fu sottoposta a un’amministrazione quadripartita.
Alla guida del Governo fu posto l’esponente del Partito Socialdemocratico Karl Renner, al cui esecutivo vennero progressivamente attribuite un crescente numero di competenze pur conservando comunque il «Consiglio Alleato» la funzione di controllo e supervisione sull’operato delle autorità austriache. Il clima tra le quattro potenze alleate iniziò però a peggiorare e, dopo la decisione delle autorità sovietiche di occupazione di procedere forzosamente all’acquisizione del campo petrolifero di Zisterdorf nelle vicinanze di Vienna, appariva evidente come Mosca non avesse più intenzione di collaborare con i paesi occidentali. Di conseguenza, gli Stati Uniti si convinsero come fosse opportuno avviare una conferenza per decidere lo status dell’Austria ed evitare che il paese finisse nella sfera d’influenza sovietica. Nel 1947 si aprirono così i negoziati per definire l’assetto che avrebbe assunto lo Stato austriaco che si protrassero fino al 1955 alternando momenti di apertura e di rottura in base all’andamento delle relazioni tra Mosca e Washington. Questi vennero interrotti una prima volta nel 1949 dall’Unione Sovietica in risposta sia politica alla di assistenza attuata dagli Stati Uniti verso i paesi europei attraverso il «Piano Marshall» che alla decisione di istituire uno Stato tedesco indipendente nella parte occidentale posta sotto il controllo degli alleati, per essere poi ufficialmente sospesi dalla metà del 1950 fino al 1953. Tuttavia, la dirigenza sovietica iniziò a prendere atto come non solo una linea di chiusura non avrebbe impedito il riarmo della Repubblica Federale di Germania se non a rischio di un nuovo conflitto i cui costi sarebbero stati insostenibili per Mosca, ma che probabilmente la posizione intransigente nei negoziati sullo status dell’Austria, unita alla formazione del nuovo Stato tedesco-occidentale, sarebbe stata vista dai paesi dell’Europa orientale come una pesante sconfitta diplomatica dell’Unione Sovietica. Ma a spingere Mosca verso una posizione più pragmatica in merito alla conclusione del trattato sul futuro assetto dell’Austria vi era soprattutto la convinzione che la firma di un accordo sulla neutralità austriaca avrebbe impedito a Vienna di entrare nella NATO interrompendo inoltre le vie di comunicazione dirette tra la Germania e l’Italia (5). Così nel corso della «Conferenza di Berlino» del
I festeggiamenti del Trattato di Stato austriaco, che ristabilì la completa sovranità nel 1955. Da allora Vienna ha sancito la propria neutralità (keystone).
1954, il ministro degli Esteri sovietico Molotov avanzò una proposta per la soluzione del problema austriaco nella quale si dichiarava come l’Austria non avrebbe dovuto ospitare sul suo territorio alcuna base militare di paesi stranieri o entrare a far parte di qualsiasi alleanza diretta contro gli Stati le cui Forze armate avevano partecipato alla guerra contro la Germania nazista e alla liberazione dell’Austria stessa.
La risposta austriaca alla proposta sovietica fu quanto mai positiva, tanto che il Governo di Vienna dichiarò di vedere con favore la convocazione di una conferenza quadripartita, affermando inoltre che l’Austria non aveva l’intenzione di partecipare ad alcuna alleanza né di voler ospitare sul suo territorio basi militari di paesi stranieri o di aspirare a una nuova unione (Anschlüss) con la Germania, essendo inoltre disposta a fornire a Mosca le garanzie che riteneva necessarie per il raggiungimento dell’accordo. Le considerazioni austriache vennero accolte con favore dall’Unione Sovietica e il 24 marzo 1955 il ministro degli Esteri sovietico Molotov invitò il cancelliere austriaco Julius Raab a Mosca per i negoziati sul futuro status dell’Austria che iniziarono il 12 aprile per concludersi tre giorni dopo con la firma di quello che venne indicato come il «Memorandum di Mosca». Suddiviso in tre parti, questo ai punti 1 e 2 della prima obbligava Vienna a rilasciare una dichiarazione nella quale si affermava come l’Austria avrebbe seguito una forma di neutralità perpetua sul modello di quella adottata dalla Svizzera e che questa dichiarazione sarebbe stata poi presentata al Parlamento austriaco per l’approvazione una volta avvenuta la ratifica del trattato in discussione. Di seguito, al punto 3 si invitava Vienna a effettuare tutti i passi necessari per giungere al riconoscimento internazionale dello status di neutralità approvato dal Parlamento, mentre al punto 4 si affermava come fosse opportuno che le quattro potenze alleate dessero la loro garanzia sull’inviolabilità delle frontiere e l’integrità del territorio nazionale austriaco. Infine, nei punti 1 e 2 della parte seconda si enunciava come l’Unione Sovietica riconosceva la dichiarazione di neutralità dell’Austria impegnandosi, insieme alle altre tre potenze alleate, al rispetto dell’integrità territoriale austriaca. In seguito, il 26 ottobre 1955, il Parlamento di Vienna approvava lo statuto federale costituzionale sulla neutralità permanente dell’Austria (6).
Dal punto di vista giuridico però la dichiarazione unilaterale di neutralità espressa da Vienna avrebbe avuto effetto solo se questa fosse stata riconosciuta dalla comunità internazionale (7). Così, vista la moderazione espressa da Mosca nei negoziati con l’Austria, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia accettarono la proposta sovietica per avviare dei colloqui con i quali definire il futuro status dell’Austria che si aprirono a Vienna il 2 maggio 1955. Tenuti per due settimane dagli ambasciatori delle quattro potenze alleate, i negoziati registrarono il successo di Londra, Parigi e Washington nel limitare lo spazio di manovra che l’Unione Sovietica avrebbe avuto sulla politica austriaca, mentre Vienna da parte sua ottenne che venisse cancellata dal preambolo il riferimento alle responsabilità avute dall’Austria durante la guerra. Sul piano commerciale, era poi previsto che Vienna assicurasse la libera navigazione sul Danubio alle navi e alle merci di qualsiasi Stato (8). Il 15 maggio 1955 veniva quindi firmato il «Trattato di Stato» che venne ratificato dalle parti il successivo 27 luglio, mentre il 25 ottobre dello stesso anno le ultime Forze militari d’occupazione lasciavano l’Austria (9). Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e il cambiamento del quadro politico internazionale, l’Austria il 1° gennaio 1995 è entrata a far parte dell’Unione europea, mentre l’adesione alla NATO continua a rimanere sullo sfondo, essendo sostenuta solo da esponenti del Partito Popolare, la più importante formazione del centro-destra, tanto che, stando ai sondaggi, il 75% degli austriaci sostiene la neutralità del paese e l’80% è contrario all’ingresso nell’Alleanza Atlantica (10). E la conferma di questa posizione è venuta anche da quanto espresso dal cancelliere austriaco Karl Nehammer, il quale poco dopo l’inizio del conflitto in Ucraina ha affermato come «…l’Austria era neutrale, è neutrale e rimarrà neutrale…», escludendo quindi ogni ipotesi di ingresso di Vienna nella NATO (11).
Il modello di neutralità della Finlandia dopo il secondo conflitto mondiale
Degli esempi di neutralità descritti in questa analisi, quello seguito dalla Finlandia è sicuramente il più strin-
gente, tanto che non pochi analisti lo descrivono simile più a una «neutralizzazione» imposta dall’esterno che non a una scelta adottata autonomamente dal paese. Le ragioni che dopo il secondo conflitto mondiale portarono la Finlandia ad adottare questa linea politica vanno ricercate negli eventi avvenuti tra il 1939 e il 1944. Già tese dal momento in cui Helsinki conquistò l’indipendenza nel 1917 (12), le relazioni con Mosca sfociarono in un conflitto tra i due paesi esploso nel novembre 1939 quando l’Unione Sovietica attaccò il territorio finlandese. Con un Esercito debole e male equipaggiato e priva degli aiuti militari che Francia e Regno Unito avevano promesso di offrire, la Finlandia, dopo che nelle prime fasi del conflitto aveva seriamente impegnato le forze dell’Armata Rossa, si trovò all’inizio del 1940 praticamente impossibilitata a proseguire la guerra e così nel marzo dello stesso anno firmò a Mosca un trattato di pace le cui condizioni erano estremamente pesanti per Helsinki. L’anno seguente però, subito dopo l’attacco tedesco all’Unione Sovietica del giugno 1941, la Finlandia decise di riprendere le ostilità contro Mosca partecipando al conflitto come «co-belligerante» ma non «alleato» della Germania, respingendo il Governo finlandese tutte le proposte avanzate da Berlino per un accordo formale di alleanza e non partecipando all’assedio di Leningrado in quanto l’operazione non era nell’interesse del paese (13). E questa diversa posizione assunta nel conflitto venne riconosciuta sia dagli Stati Uniti, che non dichiararono guerra alla Finlandia, ma anche dalla stessa Unione Sovietica, la quale abbandonò la richiesta di una resa senza condizioni di Helsinki per accettare invece quella di un armistizio da raggiungere attraverso dei negoziati che fu concluso nel settembre 1944. Le clausole dell’armistizio furono estremamente severe per la Finlandia, che si vedeva obbligata a cedere all’Unione Sovietica un decimo del suo territorio la cui popolazione, pari a circa mezzo milione di per-
Jägers finlandesi a Vaasa (wikipedia.org).
Sturmgeschütz III tedesco, in dotazione all'esercito finlandese, in marcia durante la guerra di continuazione 1941-44 (wikipedia.org).
sone, doveva essere ricollocata in altre aree del paese, a espellere i soldati tedeschi dislocati nelle regioni settentrionali e a corrispondere in otto anni, a titolo di risarcimento verso Mosca, dei prodotti industriali per un valore pari a 300 milioni di dollari americani. Inoltre, al paese era imposto di cedere in affitto all’Unione Sovietica la penisola di Porkkala, situata nelle vicinanze di Helsinki, dove i sovietici installarono una base militare equipaggiata con carri armati e armi pesanti (14), mentre nella stessa capitale del paese veniva insediata una «Commissione Alleata di Controllo» incaricata di verificare l’applicazione delle disposizioni. Infine, alla Finlandia era impedito di unirsi a qualsiasi alleanza internazionale. Tuttavia, a differenza di quanto previsto nelle condizioni di armistizio stabilite per gli altri paesi alleati della Germania, la Finlandia non vedeva però il suo territorio occupato dagli alleati conservando quindi la sua indipendenza e il proprio sistema politico e istituzionale (15). E nei primi anni del dopoguerra, proprio per segnalare all’Unione Sovietica come il paese fosse intenzionato a rispettare la sua neutralità e a migliorare i rapporti con Mosca, il presidente finlandese Juho Kusto Paasikivi (1946-56) prese due decisioni di rilevante significato politico, quali la scelta di non accettare gli aiuti economici statunitensi contenuti all’interno del «Piano Marshall» insieme alla decisione di processare alcuni importanti politici del paese che ebbero un ruolo di primo piano negli eventi del 1941-44. Ed è soprattutto su quest’ultima decisione che si accesero in Finlandia numerose polemiche. Stando a quanto previsto dall’art. 13 dell’armistizio concluso tra Finlandia e Unione Sovietica nel 1944, Helsinki era obbligata a collaborare con gli alleati per arrestare e processare le personalità accusate di crimini di guerra. Dietro pressioni della «Commissione Alleata di Controllo», il Parlamento finlandese approvò così la legge che rendeva possibile il processo contro i leader politici in carica durante il conflitto, ma gran parte dell’opinione pubblica e la stessa
Corte Suprema ritenevano il provvedimento introdotto incostituzionale, in quanto questo definiva delle responsabilità penali con efficacia retroattiva andando quindi contro l’ordinamento legislativo finlandese (16).
Ma a definire concretamente la politica di neutralità della Finlandia sarà il «Trattato di Amicizia, Cooperazione e Mutua Assistenza» firmato con l’Unione Sovietica il 16 aprile 1948 il quale costituirà la base dei futuri rapporti tra Helsinki e Mosca (17). Secondo l’art. 1 del trattato stesso, la Finlandia era obbligata a difendere con ogni mezzo la sua integrità territoriale qualora fosse stata attaccata dalla Germania o da un paese suo alleato oppure nel caso il suo territorio fosse stato utilizzato per un attacco contro l’Unione Sovietica. E in questa eventualità, se necessario, la difesa del territorio finlandese poteva avvenire con l’assistenza oppure congiuntamente alle forze sovietiche. Stando invece all’art. 2, era previsto che Mosca ed Helsinki tenessero delle consultazioni bilaterali qualora si fosse presentata una situazione di crisi inclusa tra quelle previste dal trattato (18). Tuttavia, il Governo finlandese cercherà fin dall’inizio di evitare il verificarsi di circostanze in grado di richiedere l’applicazione di questo articolo proprio per non dare alla comunità internazionale l’immagine di un paese allineato con l’Unione Sovietica, anche se nell’ottobre 1961 Mosca fu sul punto di invocarlo, suscitando così la preoccupazione di Helsinki (19).
E la particolare posizione di Helsinki condusse gli ambienti diplomatici occidentali a coniare il termine «finlandizazzione», proprio per indicare la scelta di un paese di voler seguire una politica estera orientata a non creare tensioni con uno Stato vicino molto più potente. Difatti se da una parte la Finlandia aveva conservato un sistema politico democratico e multipartitico con un economia di mercato elementi che facevano rientrare il paese tra quelli indicati come «occidentali», dall’altro però la collocazione di Helsinki escludeva la Finlandia da quell’«area grigia», nella quale era invece inclusa la Svezia, che avrebbe potuto contare sul sostegno militare degli Stati Uniti in caso di attacco sovietico (20). Rinnovato nel 1955, nel 1970 e nel 1983 per una durata ventennale, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica Helsinki e Mosca il 20 gennaio 1992, attraverso uno scambio di note, sancivano la cancellazione del «Trattato di Amicizia, Cooperazione e Mutua Assistenza» firmato oltre quarant’anni prima.
Considerazioni conclusive
I tre modelli di neutralità sopra descritti presentano caratteristiche estremamente differenti tra loro. Quello del Belgio, riflette la concezione giuridica degli anni che vanno dal XIX secolo al primo conflitto mondiale. In quel periodo, i congressi internazionali delle potenze europee decidevano, in base a considerazioni geopolitiche e strategiche, di istituire un paese neutrale il cui status veniva garantito da uno o più stati terzi e che, come nel caso del Belgio, servisse da «cuscinetto» tra due potenze potenzialmente ostili.
Completamente differenti sono invece i casi dell’Austria e della Finlandia. Annessa alla Germania nel 1938, l’Austria al termine del Secondo conflitto mondiale fu occupata dalle potenze Alleate e dall’Unione Sovietica, ma mantenne un proprio governo nazionale e venne considerata come una «vittima» della politica nazista. Con la firma del «Trattato di Stato» del 1954, l’Austria riacquistò la piena sovranità a condizione che restasse neutrale. Tuttavia, nei quarant’anni che vanno dal 1954 all’adesione austriaca all’Unione Europea, Vienna mantenne la sua piena sovranità interna, conducendo anche, pur nel rispetto di una linea di equidistanza tra i due blocchi, una politica estera contrassegnata da posizioni autonome come fu nel caso dell’atteggiamento tenuto verso Israele.
Diverso è invece il caso della Finlandia, i cui rapporti con il potente vicino sovietico hanno caratterizzato gli equilibri interni del paese fin dalla sua indipendenza. La sconfitta seguita al conflitto del 1941-44 impose ad Helsinki non solo delle pesanti concessioni economiche e territoriali nei confronti dell’Unione Sovietica, ma anche delle severe limitazioni alla sua autonomia politica interna ed internazionale. Come riportato nel paragrafo precedente, lo status della Finlandia è più simile ad una «neutralizzazione» imposta dall’esterno, con delle condizioni così stringenti che non solo la politica estera finlandese, ma anche le sue stesse scelte politiche interne venivano a essere influenzate dall’atteggiamento e dalla posizione assunta dal Cremlino in quel determinato momento. 8
NOTE
(1) Il «Regno Unito dei Paesi Bassi» si componeva di due territori differenti dal punto di vista economico, linguistico e religioso. La parte settentrionale era di lingua olandese, di religione protestante e con un economia in cui il commercio rappresentava il settore più importante, mentre la parte meridionale era cattolica, in parte francofona e con un economia a base industriale. E anche se formalmente i due gruppi nazionali erano posti su un piano paritario, il ruolo degli olandesi risultava nettamente predominante rispetto a quello dei francofoni, tanto che l’olandese costituiva la lingua ufficiale. Sulle vicende storiche dal 1815 al 1839 vedi William E. Lingelbach, Belgium Neutrality: Its Origins and Interpretation, in The American Historical Review, Vol. 39, Nr. 1, ottobre 1933, pagg. 48-72. (2) La Gran Bretagna aveva dichiarato che se Francia e Prussia, garanti della neutralità belga ma visti anche come potenziali occupanti del paese data la situazione, fossero venuti meno agli impegni assunti, le Forze militari britanniche sarebbero intervenute a tutela del Belgio e del suo status neutrale. Il Governo britannico aggiunse poi anche di essere disposto a unire i propri reparti unitamente a quelli dell’altro Stato garante della neutralità belga qualora uno dei paesi parte del trattato del 1839 avesse attaccato il Belgio. Vedi su questo A. G. De Lapradelle, The Neutrality of Belgium, in The North American Review, Vol. 200, Nr. 709, dicembre 1914, pagg. 847-857. (3) Il 4 Agosto 1914 il cancelliere tedesco Theobald von Bethmann-Hollweg, parlando dinanzi al «Reichstag» affermò: «…È vero che l’invasione del Belgio costituisce una violazione del diritto internazionale, ma in uno stato di necessità non si deve tenere conto della legge. La Francia si era impegnata a rispettare la neutralità belga, ma dalle informazioni in nostro possesso appariva invece evidente che le forze francesi erano pronte a occupare il paese…». In sostanza ammetteva che l’invasione del Belgio andava contro gli accordi sottoscritti pure da Berlino ma, trovandosi la Germania in uno «stato di necessità», questa situazione portava a non dovere tenere in considerazione quanto previsto dai trattati. E sempre Bethmann-Hollweg, in un colloquio tenuto lo stesso 4 Agosto con l’ambasciatore britannico a Berlino, Sir Edward Goschen, definì il trattato con cui si garantiva la neutralità del Belgio nient’altro che «un pezzo di carta». Vedi su questo Germany and the Neutrality of Belgium, apparso in The American Journal of International Law, Vol. 8, Nr. 4, ottobre 1914, pagg. 877-881. (4) Per effetto della decisione, Francia e Gran Bretagna firmarono nel 1937 una nuova intesa con il Belgio che sostituiva le disposizioni del trattato di Locarno del 1920 nonché quelle contenute nell’accordo militare franco-belga dello stesso anno. Vedi in proposito Pierre H. Laurent, The Reversal of Belgian Foreign Policy, 1936 – 1937, contenuto in Review of Politics, Vol. 31, Nr. 3, luglio 1969, pagg. 370-384. (5) Sugli eventi avvenuti tra il 1945 e il 1954 e le trattative per la definizione del futuro status dell’Austria vedi Robert L. Ferring, The Austrian State Treaty of 1955 and the Cold War, apparso su The Western Political Quarterly, Vol. 21, Nr. 4, dicembre 1968, pagg. 651-667. (6) Va poi evidenziata una differenza sostanziale tra quanto enunciato nel «Memorandum di Mosca», dove si fa riferimento al «tipo di neutralità seguito dalla Svizzera», e nello statuto approvato dal Parlamento austriaco, dove al contrario questo riferimento non è presente. Si deve inoltre aggiungere che lo status di neutralità permanente della Svizzera imponeva al paese di non presentare domanda di ammissione alle Nazioni unite, mentre nel testo del «Trattato di Stato» firmato con l’Austria le quattro potenze alleate si impegnavano «…ad appoggiare l’adesione austriaca all’ONU…». A detta degli esperti però la partecipazione di Vienna alle Nazioni unite non metteva in discussione la posizione austriaca, anche perché era prassi consolidata che i membri del «Consiglio di Sicurezza» avrebbero esentato uno Stato dalla neutralità permanente, come era appunto l’Austria, dal partecipare alle sanzioni economiche e militari approvate dal Consiglio stesso. (7) Lo statuto federale di neutralità approvato dal Parlamento austriaco esprimeva soltanto tre obblighi derivanti al paese da questa posizione, ovvero quello di non entrare a far parte di qualsiasi alleanza internazionale, di non concedere alcuna base militare a Stati stranieri e di difendere la neutralità dell’Austria con ogni mezzo. È opinione degli analisti che le prime due garanzie furono approvate per soddisfare le richieste dell’Unione Sovietica, mentre la terza venne votata dietro indicazione degli Stati Uniti. (8) Sui negoziati che portarono alla firma del «Trattato di Stato» e le disposizioni che vi sono contenute vedi Josef L. Kunz, The State Treaty with Austria, apparso in The American Journa of International Law, Vol. 49, Nr. 4, ottobre 1955, pagg. 535-542. (9) Vedi sull’argomento Josef L. Kunz, Austria’s Permanent Neutrality, apparso in The American Journal of Law, Vol. 50, Nr, 2, aprile 1956, pagg. 418-425. (10) As Finland and Sweden consider Nato membership, Austria clings to neutrality, The Statesman, 22 marzo 2022. (11) Austria to «stay neutral», says chancellor, Euractiv, 8 marzo 2022. (12) La Finlandia dal 1809 al 1917 costituì un Granducato autonomo all’interno dell’Impero russo. (13) La Finlandia non firmò il «Patto Tripartito» e a differenza degli altri paesi alleati dell’Asse non costituiva uno Stato autoritario, avendo difatti delle istituzioni di tipo democratico. Inoltre, il suo Governo non formulò alcuna politica imperialistica o improntata alla superiorità razziale, tanto che non venne mai attuata nessuna persecuzione contro gli ebrei. Tuttavia, Helsinki accettò che sul suo territorio stazionassero 200.000 militari tedeschi, un elemento questo che, a detta di diversi giuristi, rendeva la Finlandia un «co-belligernate indipendente» con una posizione non dissimile quindi a quella della Romania e dell’Ungheria. (14) L’area ritornò sotto il controllo della Finlandia nel 1956. (15) Vedi su questo Ralf Törngren, The Neutrality of Finland, apparso su Foreign Affairs, Vol. 39, Nr. 4, luglio 1961, pagg. 601-609. (16) Il processo che vedeva imputati l’ex-presidente della Repubblica Risto Ryti insieme all’Ambasciatore finlandese a Berlino e ad altre sei personalità politiche che avevano ricoperto ruoli di primo piano nel Governo, si concluse il 16 febbraio 1946 con una serie di condanne che però vennero ritenute dalla «Commissione Alleata di Controllo» non troppo severe. Venne così indetto un nuovo processo nel quale tutte le personalità coinvolte vennero condannate a pene tra i due e i dieci anni di carcere. Nessuno dei condannati scontò per intero la condanna venendo tutti graziati dal presidente Paasikivi. Vedi su questo Immi Tallgren, The Finnish War-Responsibility Trial in 1945–6: The Limits of Ad Hoc Criminal Justice? in Kevin Heller/Gerry Simpson, The Hidden Histories of War Crimes Trials, Oxford University Press, Oxford 2013. (17) Il testo del trattato è consultabile al sito http://heninen.net/sopimus/1948_e.htm. (18) A differenza delle intese firmate dall’Unione Sovietica con i paesi dell’Europa orientale, il trattato con la Finlandia lasciava tuttavia a Helsinki la competenza di difendere il proprio territorio, mentre non vi era nessuna disposizione che avrebbe attivato automaticamente l’assistenza militare sovietica, la quale inoltre doveva essere preceduta da consultazioni politiche bilaterali. Vedi in proposito Juhana Aunesluoma/Johanna Rainio- Niemi, Neutrality As Identity? Finland’s Quest for Security in the Cold War, apparso in Journal of Cold War Studies, Vol. 18, Nr. 4, autunno 2016, pagg. 51-78. (19) Due esempi illustrano bene quanto fosse penetrante l’azione dell’Unione Sovietica all’interno della Finlandia. Il primo avvenne nell’agosto 1958 quando, in un clima segnato da attacchi portati dai quotidiani finlandesi nei confronti di Mosca, a Helsinki venne formato un nuovo governo guidato da Karl-August Fagerholm dal quale erano esclusi i comunisti pur avendo conseguito alle elezioni il 25% dei voti, una scelta questa non gradita dal Cremlino che bloccò i negoziati bilaterali in corso su alcune importanti questioni avviando inoltre una serie di ritorsioni commerciali che ebbero pesanti effetti sull’economia finlandese. Pochi mesi dopo il Governo Fagerholm cadde e se da una parte gli Stati Uniti suggerirono alla Finlandia di non includere nella maggioranza il Partito Comunista, dall’altro l’Unione Sovietica dichiarò che non avrebbe accettato la partecipazione dei conservatori della «Coalizione Nazionale» e dei socialdemocratici. Alla fine, venne formato un esecutivo formato in maggioranza da esponenti del Partito Agrario del presidente Kekkonen che pose termine alla crisi. Il secondo si verificò nell’ottobre 1961 all’apice delle tensioni seguite alla costruzione del Muro di Berlino. Nell’occasione, il ministro degli Esteri sovietico Gromyko comunicò all’Ambasciatore finlandese a Mosca che «delle consultazioni bilaterali erano opportune per garantire la sicurezza delle frontiere dei due paesi alla luce dei pericoli posti dalla Germania e dai suoi alleati». Il ministro degli Esteri finlandese Karjalainen si incontrò con il suo omologo sovietico e il significato politico del colloquio era che Mosca intendeva rafforzare la sua posizione sul fianco orientale nei confronti degli Stati Uniti e della NATO. Vedi su questo l’analisi Why Finlandization Is a Terrible Model For Ukraine, apparso su Lawfare il 21 aprile 2022. (20) In base ai documenti recentemente declassificati, appariva evidente come la Finlandia non avrebbe potuto ricevere nessuna garanzia per la propria sicurezza dai paesi occidentali, per i quali Helsinki era considerata come la prima linea di difesa dell’Unione Sovietica. Se la Svezia in base a intese e impegni «non-ufficiali» avrebbe potuto contare sul sostegno statunitense, Washington, al contrario, dal 1968 aveva escluso per la Finlandia ogni possibilità di appoggio militare. Va poi ricordato come prima Khruscev nel 1956 e poi Gorbachev nel 1989 avevano ufficialmente riconosciuto la «neutralità» di Helsinki. Vedi su questo Klaus Tornudd, Finnish Neutrality Policy during the Cold War, apparso su «SAIS Review of International Affairs», Vol. 25, Nr. 2, estate/autunno 2005, pagg. 43-52.
La crisi ucraina La crisi ucraina sotto il profilo delle sotto il profilo delle sanzioni economiche UE sanzioni economiche UE
Tunno Daniele Antonio
Sono diverse le questioni poste dall’ultima grave evoluzione della crisi ucraina che purtroppo ha segnato questo inizio 2022.
Gli argomenti che sicuramente bisogna considerare sulla questione concernono in primis profili specifici di diritto internazionale.
Il primo di essi riguarda la fondatezza o meno, in termini di rivendicazioni giuridiche, della narrazione del Presidente russo esposta nel «discorso alla nazione» tenuto la sera del 21 febbraio scorso.
Altri aspetti connessi si riferiscono più specificamente ai due distinti «Ordini Esecutivi» sottoscritti da
Nel 2001 consegue la laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Siena, portando a termine un percorso fortemente improntato su materie di diritto internazionale e comparato. Successivamente si trasferisce a Milano dove realizza un percorso professionale trasversale tra legale, amministrativo e commerciale maturando esperienze tra multinazionali, pubblica amministrazione e studi professionali. Attualmente ricopre il ruolo di Regulatory Compliance Expert in un importante gruppo bancario internazionale con sede nel capoluogo lombardo. È appassionato di storia dei trattati, storia moderna, politica internazionale e geopolitica.
Putin sul riconoscimento unilaterale delle «Repubbliche Popolari» di Donetsk e di Lugansk, e sul fondamento giuridico con cui si è disposto l’intervento militare russo nell’area, ora dissimulato sotto forma di «peacekeeping».
In questa sede però si intendono affrontare gli aspetti circa le sanzioni economiche poste in atto dall’Unione europea e le specifiche misure adottate dal nostro paese per fronteggiare l’emergenza sul piano militare, ma anche energetico e umanitario.
Misure UE
In attuazione sia di risoluzioni ONU che di decisioni autonome prese nel quadro della politica estera di sicurezza comune (PESC), l’Unione europea ha già in passato emanato una serie di regolamenti recanti misure restrittive nei confronti dei regimi per contrastare l’attività dei paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale.
Facciamo riferimento a quei provvedimenti, che a partire dal 2006, sono stati adottati nei confronti dell’Iran e della Corea del Nord.
Tali misure, per il nostro ordinamento, trovano fondamento normativo nel D.Lgs. 109/2007 - Misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l’attività dei paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale, in attuazione della Direttiva CE 60/2005 (1).
Ora con gli eventi della crisi Russia-Ucraina (che certo si trascina dal 2014) siamo entrati in una fase
Mappa invasione russa in territorio ucraino (wikipedia).
nuova e senza precedenti: siamo — a mio giudizio — andati ben oltre la «minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale»: un paese (per giunta membro permanente del Consiglio di Sicurezza ONU), ha invaso un altro Stato nel cuore dell’Europa che — al netto delle guerre jugoslave tra il 1991 e il 2001 quale conseguenza estrema della dissoluzione di uno Stato quale appunto la Repubblica socialista federale di Jugoslavia — dalla fine della Seconda guerra mondiale non assisteva all’invasione — almeno in questi termini — di uno Stato da parte di un altro.
Il 23 febbraio l’Unione europea ha adottato un pacchetto di misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina, tra le quali misure di congelamento di fondi e risorse economiche nei confronti di soggetti designati: • Regolamento 259/2022 che modifica il Regolamento UE 269/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (2)(3);
Esercito ucraino (wikipedia).
• Regolamento UE 260/2022 che attua il Regolamento UE 269/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (4); • Regolamento UE 261/2022 che attua il Regolamento UE 269/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (5);
• Regolamento UE 262/2022 che modifica il Regolamento UE 833/2014 concernente le misure restrittive a fronte delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (6)(7); • Regolamento UE 263/2022 concernente misure restrittive in risposta al riconoscimento delle zone non controllate dal governo delle regioni ucraine di Donetsk e Lugansk e la conseguente decisione di inviare truppe russe in tali zone (8); • Decisione PESC 264/2022 che modifica la Decisione PESC 512/2014 concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (9)(10); • Decisione PESC 265/2022 che modifica la Decisione PESC 145/2014 relativa a misure restrittive in relazione ad azioni che ledono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (11)(12); • Decisione PESC 266/2022 concernente misure restrittive in risposta al riconoscimento delle zone non controllate dal governo delle regioni ucraine di Donetsk e Lugansk e la conseguente decisione di inviare truppe russe in tali zone (13); • Decisione PESC 267/2022 che modifica che modifica la Decisione PESC 145/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (14).
Successivamente il 25 febbraio l’Unione europea, visto l’aggravarsi della situazione in Ucraina, ha adottato ulteriori misure restrittive, che modificano il Regolamento UE 833/2014 e ha ampliato l’elenco dei soggetti designati che figura nell’allegato I del Regolamento UE 269/2014: • Regolamento UE 328/2022 che modifica il Regolamento UE 833/2014 concernente misure restrittive in considerazione di azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (15); • Regolamento UE 332/2022 che attua il Regolamento UE 269/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (16).
Infine tra il 28 febbraio e l’8 aprile l’Unione europea ha emanato ulteriori misure restrittive tra le quali il divieto di ogni operazione con la Banca centrale di Russia.
Sono previste inoltre l’estensione dell’elenco dei soggetti designati e rettifiche al Regolamento UE 263/2022.
Nello specifico le ultime disposizioni normative adottate dalla UE in termini di misure economiche contra la Russia per la sua invasione in Ucraina sono: • Regolamento UE 334/2022 che modifica il Regolamento UE 833/2014 concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (17); • Decisione PESC 335/2022 che modifica la Decisione PESC 512/2014 concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (18); • Regolamento UE 336/2022 che attua il Regolamento UE 269/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (19); • Regolamento 345/2022 che modifica il Regolamento UE 833/2014 concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (20); • Decisione PESC 346/2022 che modifica la Decisione PESC 512/2014 concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (21); • Regolamento UE 350/2022 che modifica il Regolamento UE 833/2014 concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (22); • Decisione PESC 351/2022 che modifica la Decisione 512/2014 concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (23); • Regolamento UE 353/2022 che attua il Regolamento UE 369/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (24); • Decisione PESC 354/2022 che modifica la Decisione PESC 145/2014 concernente misure restrittive
relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (25); • Regolamento UE 396/2022 che attua il Regolamento UE 269/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (26); • Decisione PESC 397/2022 che modifica la Decisione PESC 145/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (27); • Decisione PESC 429/2002 che modifica la Decisione PESC 145/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (32); • Decisione PESC 430/2022 modifica la Decisione
PESC 512/2014 concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (33); • Regolamento (UE) 2022/580 del Consiglio, dell’8 aprile 2022, che modifica il regolamento (UE) n. 269/2014, concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’inte-
grità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (34); • Regolamento di esecuzione (UE) 2022/581 del
Consiglio, dell’8 aprile 2022, che attua il regolamento (UE) n. 269/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (35); • Decisione (PESC) 2022/582 del Consiglio, dell’8 aprile 2022, che modifica la decisione 2014/145/
PESC concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (36); • Regolamento (UE) 2022/576 del Consiglio, dell’8 aprile 2022, che modifica il regolamento (UE) n. 833/2014 concernente misure restrittive in consi-
• Regolamento UE 394/2022 che modifica il Regolamento UE 833/2014 concernente misure restrittive in considerazione di azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (28); • Decisione PESC 395/2022 che modifica la Decisione PESC 512/2014 concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (29); • Regolamento UE 427/2022 che attua il Regolamento UE 269/2014 concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina (30); • Regolamento UE 428/2022 che modifica il Regolamento UE 833/2014 concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (31);
Il conflitto russo-ucraino ha generato anche una grave crisi energetica (investigate-europe.eu).
derazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (37); • Regolamento (UE) 2022/577 del Consiglio, dell’8 aprile 2022, che modifica il regolamento (CE) n. 765/2006 concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Bielorussia e del coinvolgimento della Bielorussia nell’aggressione russa contro l’Ucraina (38); • Decisione (PESC) 2022/578 del Consiglio, dell’8 aprile 2022, che modifica la decisione 2014/512/
PESC concernente misure restrittive in considerazione delle azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina (39); • Decisione (PESC) 2022/579 del Consiglio, dell’8 aprile 2022, che modifica la decisione 2012/642/
PESC, relativa a misure restrittive in considerazione della situazione in Bielorussia e del coinvolgimento della Bielorussia nell’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina (40).
Andando nel dettaglio di tutti questi provvedimenti normativi UE si rileva che, a seguito del riconoscimento delle Regioni di Doneck e Lugansk, l’Unione europea ha adottato il primo blocco di sanzioni nei confronti della Russia (modificando il Regolamento UE 269/2014 adottato appunto all’inizio della crisi 8 anni fa) che comprende: • La designazione di 26 individui ed entità legati alla minaccia all’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina.
Tra le entità designate sono presenti (ex Regolamento UE 260/2022): — Bank Rossiya; — PROMSVYAZBANK; — VEB.RF (a.k.a. Vnesheconombank).
La normativa UE specificatamente adottata prevede comunque la possibilità di svincolo di taluni fondi o risorse economiche congelati appartenenti a tali banche o la messa a disposizione di tali entità di taluni fondi o risorse economiche previa autorizzazione delle autorità nazionali competenti, entro il 24 agosto 2022, per contratti conclusi con tali entità prima del 23 febbraio 2022 (ex Regolamento UE 259/2022).
La designazione di 351 membri della Duma di Stato russa — contro cui sono state adottate specifiche misure restrittive — che hanno votato per il riconosci-
mento delle cosiddette Repubbliche Popolari di Doneck e Lugansk (ex Regolamento UE 261/2022).
Inoltre il Regolamento UE 262/2022, che modifica il Regolamento UE 833/2014, prevede: • Divieto di vendere, acquistare e fornire, direttamente o indirettamente, servizi finanziari per l’emissione di strumenti del mercato finanziario emessi dopo il 9 marzo 2022; • Divieto di concludere accordi, direttamente o indirettamente, in relazione a nuovi crediti o debiti dopo il 23 febbraio 2022 nei confronti della Federazione
Russa, del Governo russo, della Banca Centrale e di qualsiasi persona che agisca per conto o sotto il controllo di essi.
E previsto comunque un Trade Finance Exception — paragrafo 2 dell’articolo 5 bis — il quale dispone che «il divieto non si applica ai prestiti o ai crediti che hanno l’obiettivo specifico e documentato di fornire finanziamenti per le importazioni o le esportazioni di beni e servizi non finanziari non soggette a divieti tra l’Unione e qualsiasi Stato terzo, comprese le spese per beni e servizi provenienti da un altro Stato terzo necessarie per l’esecuzione di contratti di esportazione o di importazione».
Proseguendo il Regolamento UE 263/2022, concernente misure restrittive in risposta al riconoscimento delle aree non governative di Doneck e Lugansk dell’Ucraina e all’ordine delle Forze armate russe in quelle aree, stabilisce: • Embargo all’importazione di beni provenienti delle
Regioni Doneck e Lugansk. Il Regolamento fa salva l’esecuzione fino al 24 maggio 2022 di contratti conclusi prima del 23 febbraio 2022; • Divieto di effettuare investimenti, aumentare le quote di partecipazioni o acquisire il controllo di entità presenti nel territorio delle Regioni Doneck e Lugansk; • Divieto di acquisto di proprietà nelle Regioni Doneck e Lugansk; • Divieto di concedere prestiti o crediti o fornire in altro modo finanziamenti, compreso il capitale azionario, a un’entità nel territorio delle Regioni Doneck e Lugansk; • Divieto di creazione di joint venture nel territorio delle Regioni Doneck e Lugansk o con un’entità nel suddetto territorio; • Divieto di fornire servizi di investimento relativi alle attività sopra;
Guerra vuole dire anche emergenza umanitaria dove i più� colpiti sono i bambini (wikipedia).
• Divieto di fornire servizi turistici; • Divieto di vendita, fornitura, trasferimento di beni e tecnologie inseriti nell’Annex II, relativi al settore energetico, delle telecomunicazioni, del trasporto e del settore petrolifero, del gas e di risorse minerarie, oltre al divieto di fornire assistenza tecnica e servizi di intermediazione; • Divieto di fornire direttamente assistenza tecnica o servizi di intermediazione, di costruzione o di ingegneria relativamente alle infrastrutture nel territorio delle Regioni Doneck e Lugansk; il Regolamento fa salva l’esecuzione fino al 24 agosto 2022 di contratti conclusi prima del 23 febbraio 2022.
Più specificatamente con la modifica del Regolamento UE 833/2014 si è disposto: • Divieto di fornire beni dual-use ex Regolamento UE 821/2021 e di beni «quasi dual-use» elencati in uno specifico allegato e identificati tramite codice doganale (i divieti includono assistenza tecnica o finanziaria) — a eccezione, fra le altre fattispecie, di forniture destinate a scopi umanitari, usi medici, aggiornamenti software, dispositivi di comunicazione al consumo, sicurezza dell’informazione (ma non a vantaggio del
Governo e delle imprese controllate), programmi spaziali, sicurezza nucleare e marittima, reti TLC e internet, branch di entità costituite conformemente al diritto di uno Stato membro UE o degli Stati Uniti.
Previste deroghe per primarie entità russe in caso di esecuzione di contratti e mitigazioni rischi; • Divieto di fornire beni e tecnologie adatti all’uso nella raffinazione del petrolio o nell’aviazione e industria spaziale, elencati in uno specifico allegato e identificati tramite codice doganale (i divieti includono assistenza tecnica o finanziaria). Previste deroghe per esecuzione contratti e altre fattispecie; • Divieto di compiere molteplici attività su valori mobiliari e strumenti del mercato monetario da parte di determinate entità elencate; • Divieto di concludere accordi destinati a erogazione di prestiti o crediti a determinate entità elencate, con eccezioni relative a prestiti o ai crediti che hanno l’obiettivo di fornire finanziamenti per le importazioni o le esportazioni di beni e servizi non finanziari non vietati; • Divieto di accettare depositi di cittadini e entità giuridiche russe superiori a centomila euro, che non si applica ai depositi necessari per gli scambi non vietati di beni e servizi; • Divieto di vendere valori mobiliari denominati in euro emessi dopo il 12 aprile 2022 a cittadini ed entità giuridiche russe; • Vendere, fornire, trasferire o esportare, direttamente o indirettamente, beni e tecnologie per la navigazione marittima a qualsiasi persona fisica o giuridica, entità od organismo in Russia o per un uso in
Russia, o per la collocazione a bordo di una nave battente bandiera russa; • Prestare, direttamente o indirettamente, assistenza tecnica, servizi di intermediazione o altri servizi connessi ai beni e alle tecnologie di cui al paragrafo 1 e alla fornitura, alla fabbricazione, alla manutenzione e all’uso di tali beni e tecnologie, alle persone fisiche o giuridiche, alle entità o agli organismi in
Russia o per un uso in Russia; • Fornire, direttamente o indirettamente, finanziamenti o assistenza finanziaria in relazione ai beni e alle tecnologie di cui al paragrafo 1, per la vendita, la fornitura, il trasferimento o l’esportazione di tali beni e tecnologie, o per la prestazione di assistenza tecnica, di servizi di intermediazione o di altri servizi connessi, a qualunque persona fisica o giuridica, entità od organismo in Russia o per un uso in Russia.
Inoltre con gli interventi di metà marzo sono state disposte ulteriori modifiche al già citato Regolamento UE 833/2014 e in particolare si segnala l’inserimento del Registro Navale Russo, nell’elenco delle persone giuridiche, delle entità e degli organismi relativamente ai quali sono vietati l’acquisto, la vendita, la prestazione di servizi di investimento o l’assistenza all’emissione, diretti o indiretti, o qualsiasi altra negoziazione su valori mobiliari e strumenti del mercato monetario emessi dopo il 12 aprile 2022.
Da segnalare anche, in termini di misure restrittive, che sono state adottate decisioni contro la United Shipbuilding Corporation, un conglomerato di costruzione navale di proprietà dello Stato russo, è il principale fornitore di navi da guerra alla marina russa. È proprietario di numerosi cantieri navali e uffici di progettazione.
La grande nave da guerra anfibia «Pyotr Morgunov» — Project 11711, costruita dalla United Shipbuilding Corporation, ha partecipato all’invasione illegale russa dell’Ucraina nel 2022.
Anche il pattugliatore «Vasily Bykov» — Project 22160 della flotta del Mar Nero, progettato da United Shipbuilding Corporation, ha partecipato all’aggressione russa contro l’Ucraina.
Con i provvedimenti adottati e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale Europea ad aprile sono state disposte anche misure verso la Bielorussia in qualità di paese che sostiene e riconosce come lecita l’azione militare di Mosca a danno di Kiev: • il divieto, a partire da agosto 2022, di acquistare, importare o trasferire nell’UE carbone e altri combustibili fossili solidi, se originari della Russia o esportati dalla Russia. Attualmente il valore delle importazioni di carbone nell’UE ammonta a 8 miliardi di euro all’anno; • il divieto di dare accesso ai porti dell’UE alle navi registrate sotto la bandiera della Russia. Sono concesse deroghe per i prodotti agricoli e alimentari, gli aiuti umanitari e l’energia; • il divieto alle imprese di trasporto su strada russe e bielorusse di trasportare merci su strada nell’Unione, anche in transito. Sono concesse deroghe per una serie di prodotti, come i prodotti farmaceutici, medici, agricoli e alimentari, compreso il frumento, e per il trasporto su strada per scopi umanitari; • ulteriori divieti di esportazione diretti a carburante per aerei e altri beni come computer quantistici e semiconduttori avanzati, elettronica di alta gamma, software, macchinari sensibili e attrezzature per il trasporto, nonché nuovi divieti di importazione per prodotti quali legno, cemento, fertilizzanti, prodotti ittici e liquori. I divieti di esportazione e di importazione concordati rappresentano un importo pari, rispettivamente, a 10 miliardi di euro e a 5,5 miliardi di euro.
Misure del Consiglio europeo
In data 24 febbraio 2022, a seguito dell’invasione russa in territorio ucraino, il Consiglio europeo ha adottato le Conclusioni sull’aggressione militare non provocata e ingiustificata della Russia nei confronti dell’Ucraina.
Tali sanzioni riguardano: — settore finanziario; — settori dell’energia; — trasporti; — beni a duplice uso; — politica in materia di visti.
Il Consiglio europeo ha altresì condannato fermamente il coinvolgimento della Bielorussia nell’aggressione nei confronti dell’Ucraina e la invita ad astenersi da tali azioni e a rispettare i suoi obblighi internazionali.
Misure adottate dall’Italia
Anche i singoli paesi, nell’ambito della loro stretta competenza nazionale, hanno adottato specifiche misure per fronteggiare la crisi.
Con riferimento all’Italia è stato approvato il D.L. 16/2022 - Ulteriori misure urgenti per la crisi in Ucraina (41) — il quale (ex art. 1 «cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari»), prevede che fino al 31 dicembre 2022, previo atto di indirizzo delle Camere, è autorizzata la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina, in deroga alle disposizioni di cui alla Legge 185/1990 - Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento (42) — e agli articoli 310 e 311 del D.Lgs. 66/2010 - Codice dell’ordinamento militare (43) — e alle connesse disposizioni attuative.
Con uno o più decreti del ministro della Difesa, di concerto con i ministri degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e dell’Economia e delle Finanze, sono definiti l’elenco dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari oggetto della cessione di cui al comma 1 del citato art 1 D.L. 16/2022, nonché le modalità di realizzazione della stessa, anche ai fini dello scarico contabile.
Il citato Decreto Legge si aggiunge ad altro provvedimento normativo avente stessa natura, D.L. 14/2022 (44), il quale ha previsto che: — venga autorizzata, fino al 30 settembre 2022, la partecipazione di personale militare alle iniziative della
NATO per l’impiego della forza a elevata pron-
tezza, denominata Very High Readiness
Joint Task Force (VJTF), unità NATO multinazionale di 5.000 militari, con forze marittime, aeree e speciali disponibili, capace di essere schierata in qualsiasi parte del mondo entro 2-3 giorni dall’attivazione. Tale unità nasce nel settembre 2014 a seguito delle azioni che proprio in quell’anno — a conferma dunque che quella tra Russia e Ucraina (e la NATO), non è certo una crisi nata nel 2022 — la Russia ha posto in essere contro l’Ucraina mediante l’annessione del territorio della Crimea. — venga autorizzata, per l’anno 2022, la prosecuzione della partecipazione di personale militare al potenziamento dei seguenti dispositivi della
NATO: a) dispositivo per la sorveglianza dello spazio aereo dell’Alleanza. b) dispositivo per la sorveglianza navale nell’area sud dell’Alleanza. c) presenza in Lettonia (Enhanced Forward Presence). d) Air Policing per la sorveglianza dello spazio aereo dell’Alleanza.
Il D.L. 14/2022 è stato convertito nella Legge 28/2022 (45) e nella stessa legge di conversione sono state fatte confluire le disposizioni del citato D.L. 14/2022 che quindi è stato formalmente abrogato.
In definitiva le disposizioni ex D.L. 14/2022 e 16/2022 sono state inserite nella Legge 28/2022.
«L’Italia — ha dichiarato il ministro della Difesa, on. Lorenzo Guerini — sta contribuendo con rapidità e convinzione alle decisioni prese in ambito NATO (vedi rafforzamento del sistema di deterrenza sul fianco est dell’Alleanza raddoppiando in Romania il numero dei velivoli Eurofighter già operanti nella Task Force Air «Black Storm» nell’attività della NATO di Air Policing) e il Governo ha approvato una serie di significative misure a seguito dell’inaccettabile e ingiustificata aggressione della Russia all’Ucraina».
Lo stesso D.L. 16/2022 contiene poi disposizioni per fronteggiare l’eccezionale instabilità del sistema nazio-
Task Force Air «Black Storm» (difesaonline). nale del gas naturale derivante dalla guerra in Ucraina e le eccezionali esigenze di accoglienza dei cittadini ucraini in conseguenza del conflitto bellico in atto in quel paese dichiarano, su questo particolare e delicato punto, lo stato di emergenza fino al 31/12/2022. L’Italia ha anche aderito a una dichiarazione del 26/2/2022 di vari paesi UE ed Extra-UE con quale è stata espressa una condanna congiunta della guerra di aggressione condotta dalla Russia contro l’Ucraina, preannunciando l’adozione di molteplici iniziative e misure contro esponenti del regime russo. Tra queste iniziative figura l’istituzione di una «Transatlantic Task Force» incaricata di favorire l’efficace applicazione delle sanzioni finanziarie attraverso l’individuazione e il congelamento dei beni riconducibili ai soggetti designati. Nel quadro della Task Force intergovernativa le Financial Intelligence Unit di Australia, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Olanda, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti hanno istituito un Gruppo di Lavoro per sviluppare attività e collaborazione per contribuire alle iniziative in corso. Gli obiettivi del Gruppo di Lavoro sono enunciati nella «Dichiarazione di Intenti» approvata dalle FIU il 16 marzo 2022: • Contribuire all’efficace applicazione delle misure restrittive decise dalla comunità internazionale, fornendo indicazioni al settore privato e contrastando comportamenti elusivi;
• Impiegare gli strumenti delle analisi e della collaborazione per individuare e «tracciare» beni riferibili alla nomenclatura russa.
Conclusioni
Quanto sopra riportato rappresenta l’insieme di misure di natura economico/sanzionatoria UE che cerca — la situazione nel momento in cui questo articolo viene scritto è in continua evoluzione — di contrastare l’aggressione della Russia contro l’Ucraina.
A questa azione abbiamo visto inevitabilmente si è affiancata un’attività di «tipo militare» che consisterà nel fornire armi all’Ucraina escludendo — almeno per ora ma e ci si augura che sia così anche nel corso (che non sarà breve) dei successivi sviluppi della crisi al fine di evitare una pericolosa escalation — un intervento armato direttamente nel territorio dell’Ucraina.
Terminando la nostra analisi una piccola considerazione: è sufficiente una rilettura integrale delle norme di diritto internazionale perché ci si renda conto come la Russia di Putin abbia travalicato i propri limiti. Non a caso, proprio il giorno prima che Mosca passasse all’azione, la stessa Cina, che pure si era manifestata vicina alle iniziali posizioni della Russia sulla crisi dell’Ucraina, è intervenuta dichiarando che «la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale vanno sempre garantite: L’Ucraina non è un’eccezione». 8
NOTE
(1) Gazzetta Ufficiale n.172 del 26/07/2007. (2) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 42 del 23/03/2022. (3) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 78 del 17/03/2014. (4) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 42 del 23/02/2022. (5) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 42 del 23/02/2022. (6) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 42 del 23/02/2022. (7) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 229 del 31/07/2014. (8) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 42 del 23/02/2022. (9) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 42 del 23/02/2022. (10) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 229 del 31/07/2014. (11) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 42 del 23/02/2022. (12) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 78 del 17/03/2014. (13) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 42 del 23/02/2022. (14) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 42 del 23/02/2022. (15) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 49 del 25/02/2022. (16) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 53 del 25/02/2022. (17) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 57 del 28/02/2022. (18) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 57 del 28/02/2022. (19) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 58 del 28/02/2022. (20) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 63 del 02/03/2022. (21) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 63 del 02/03/2022. (22) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 65 del 02/03/2022. (23) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 65 del 02/03/2022. (24) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 66 del 02/03/2022. (25) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 66 del 02/03/2022. (26) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 80 del 09/03/2022. (27) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 80 del 09/03/2022. (28) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 81 del 09/03/2022. (29) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 81 del 09/03/2022. (30) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 87 del 15/03/2022. (31) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 87 del 15/03/2022. (32) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 87 del 15/03/2022. (33) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 87 del 15/03/2022. (34) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 110 del 08/04/2022. (35) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 110 del 08/04/2022. (36) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 110 del 08/04/2022. (37) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 111 del 08/04/2022. (38) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 111 del 08/04/2022. (39) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 111 del 08/04/2022. (40) Gazzetta Ufficiale Unione Europea L 111 del 08/04/2022. (41) Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28/02/2022. (42) Gazzetta Ufficiale n.163 del 14/07/1990. (43) Gazzetta Ufficiale n.106 del 08/05/2010. (44) Gazzetta Ufficiale n. 47 del 25/02/2022. (45) Gazzetta Ufficiale n. 87 del 13/04/2022.
BIBLIOGRAFIA
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IstitutoHelveticoSanders
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Il terrorismo nella seconda metà del XX secolo: la causa palestinese, le nuove modalità operative, le convenzioni settoriali
A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, davanti alle nuove modalità operative di volta in volta utilizzate dal terrorismo internazionale, la comunità internazionale rispose mediante l’elaborazione di convenzioni settoriali.
Da un’attenta analisi delle fasi di questa evoluzione, compiuta alla luce delle vicende storiche che maggiormente hanno caratterizzato la seconda metà del secolo, emerge come il manifestarsi delle nuove modalità operative e l’individuazione degli obiettivi da colpire siano fenomeni strettamente legati alla «internazionalizzazione del fenomeno terroristico» e ruotino soprattutto intorno alla c.d. «questione palestinese» e al fondamentalismo islamico che si sviluppò in quegli anni. È infatti opportuno ricordare che a partire dagli anni Sessanta nacquero gruppi terroristi in varie zone del mondo (2), ma solo il terrorismo mediorientale divenne un fenomeno veramente senza confini, rivolto, soprattutto dopo la guerra dei sei giorni, che vide confluire nell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) i gruppi terroristi preesistenti, contro tutti gli Stati occidentali che appoggiavano Israele (3).
Tratti comuni di tutte le forme di terrorismo sviluppatesi a partire dagli anni Sessanta dello scorso secolo sono stati, secondo parte della dottrina, la mancanza di una forte ideologia (che invece era tipica del terrorismo anarchico), la ricerca dell’intimidazione della società e dei mass media e l’essere pilotati da lontano (4).
Approfondendo la nascita del terrorismo estremista islamico, che è sempre stato ritenuto legato esclusivamente alla questione palestinese, va rilevato come vada probabilmente ricercata in tre importantissimi avvenimenti del 1979: la rivoluzione in Iran, l’invasione sovietica in Afghanistan, e la rivolta presso la Grande Moschea de La Mecca. Si tratta di avvenimenti strettamente connessi tra loro, che modificarono gli equilibri dell’intera regione, fomentarono il fanatismo religioso
e trasformarono un problema locale in un problema globale: la questione palestinese da lotta di indipendenza di un popolo divenne lotta contro l’Occidente e i suoi valori. Con la rivoluzione khomeinista e l’espulsione dello Scià, nel 1979 l’Iran, da Stato filoamericano, divenne culla del fondamentalismo sciita e lasciò campo aperto all’Unione Sovietica per l’invasione dell’Afghanistan, in soccorso del quale arrivarono per combattere l’invasore «infedele» decine di migliaia di giovani musulmani. Nel frattempo, un gruppo di fanatici religiosi assaltò la Grande Moschea de La Mecca, sequestrando migliaia di persone, con un assedio che finì in un bagno di sangue. In quegli stessi anni in un Libano sempre più spaccato in due, con i cristiani al potere e i musulmani
in aumento a causa dell’arrivo dei profughi palestinesi, scoppiò una tremenda guerra civile e, sotto la spinta del fondamentalismo sostenuto da Teheran (5), iniziarono a proliferare campi di addestramento per giovani palestinesi che avevano in animo di abbracciare un percorso terroristico (6). Fu così che si arrivò nel 1982 all’invasione israeliana del Libano, che regalò al fondamentalismo islamico un nemico unico: lo Stato di Israele e i suoi alleati in Occidente.
Fu in tale contesto che il terrorismo internazionale islamico iniziò a manifestarsi con le citate nuove modalità operative, che possono essere così cronologicamente schematizzate (7): • anni Sessanta-Settanta: dirottamenti aerei e altri atti illeciti contro l’aviazione civile (impossibile fare un elenco neanche lontanamente esaustivo, ma a titolo di esempio si possono annoverare i quattro effettuati tra il 6 e il 9 settembre 1970 ai danni di aerei commerciali (due aerei statunitensi, uno svizzero e uno britannico), che vennero fatti esplodere dopo l’atterraggio al Cairo e a Zarkia (Giordania), e soprattutto il dirottamento compiuto nel giugno 1976 da un commando palestinese su un volo francese in volo da Tel
Aviv a Parigi, che divenne famoso in seguito al perfettamente riuscito intervento operato dalle Forze speciali israeliane all’aeroporto ugandese di Entebbe, che scatenò aspre polemiche nella comunità internazionale e rimane ancora oggi uno dei casi più eclatanti di raid compiuti all’estero in difesa di propri cittadini senza l’autorizzazione dello Stato territoriale); • anni Settanta: uccisioni e sequestri del personale di-
plomatico, e di altre persone dotate di protezione speciale (vanno ricordati il sequestro dei ministri dell’O.P.E.C., avvenuto a Vienna il 21 dicembre 1975, e quello del personale dell’Ambasciata statunitense a Teheran, che ha avuto luogo dal novembre 1979, ma anche quello di alcuni atleti della squadra israeliana avvenuto alle Olimpiadi di Monaco del 1972 da parte di un gruppo di terroristi palestinesi aderenti a «settembre nero»); • anni Ottanta: attacchi a navi e postazioni marittime fisse (si pensi al sequestro della nave Achille Lauro nell’ottobre 1985); • anni Novanta: aumento degli attentati con l’uso di esplosivo verso obiettivi sempre più rilevanti (si possono citare l’attentato al World Trade Center del 1993 e quelli compiuti nell’agosto 1998 contro le
Ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania).
Non potendo esaminare come e perché si arrivò all’elaborazione delle varie convenzioni con cui la comunità internazionale rispose alle varie modalità operative man mano utilizzate dal terrorismo, basti a titolo di esempio una breve ricostruzione di ciò che portò all’elaborazione della prima di esse.
La prima nuova modalità operativa adoperata dal terrorismo internazionale a partire dagli anni Sessanta è stata quella del dirottamento di aeromobili, espressione con la quale si identifica l’azione effettuata da uno o più passeggeri che con la minaccia o l’uso della forza impongono al pilota una rotta diversa da quella prevista. Dopo i primi casi, verificatisi nell’area caraibica dopo la rottura delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e
Cuba, e l’interruzione dei normali collegamenti aerei tra i due Stati, che spinse alcune persone a dirottare degli aerei con il solo scopo di raggiungere uno Stato altrimenti molto difficile da raggiungere (8), iniziarono a emergere scopi più propriamente politico-terroristi.
Decine furono i dirottamenti portati a termine dai terroristi palestinesi in quegli anni, alcuni dei quali purtroppo con esiti tragici. I dirottatori miravano sicuramente a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla questione palestinese e a ottenere la liberazione di terroristi detenuti in vari Stati occidentali, ma al contempo volevano creare un clima di insicurezza, spargere il terrore in tutti gli Stati occidentali considerati filosionisti e nella stessa comunità internazionale (9).
Questa, davanti a una nuova modalità operativa del terrorismo, per la quale non si poteva applicare la c.d. «clausola belga», tentò inizialmente di qualificare i dirottamenti aerei come «pirateria aerea» e di inquadrarli nella definizione di pirateria accolta nell’art. 15 della Convenzione di Ginevra sull’alto mare del 1958 per ricondurli a tale disciplina. Ben presto, però, la dottrina escluse tale possibilità in quanto il dirottamento aereo, a differenza degli atti di pirateria effettuati nell’alto mare, difetta sempre del requisito secondo il quale l’atto deve essere condotto da persone che non si trovano a bordo, spesso di quello che prevede il verificarsi dell’illecito in alto mare, e quasi sempre del requisito delle motivazioni personali del dirottatore (10).
Alla luce dell’inapplicabilità delle norme per la pirateria al fenomeno del dirottamento aereo, la comunità internazionale, posta di fronte alla necessità di elabo-
rare strumenti giuridici capaci di contrastare questa nuova modalità operativa, iniziò a dar vita a quell’approccio settoriale che ha condotto all’elaborazione di numerose Convenzioni settoriali contro il terrorismo.
Questo l’elenco delle Convenzioni adottate in quegli anni: • Convention on Offences and Certain Other Acts
Committed on Board Aircraft, Tokyo, 14 September 1963 - UN Doc. A/C.6/418/Corr.1, Annex II. • Convention for the Suppression of Unlawful Seizure of Aircraft, The Hague, 16 December 1970 - UN
Doc. A/C.6/418/Corr.1, Annex II. • Convention for the Suppression of Unlawful Acts against the Safety of Civil Aviation, Montreal, 23
September 1971 - UN Doc. A/C.6/418/Corr.2,
Annex III. • Convention on the Prevention and Punishment of
Crimes against Internationally Protected Persons, including Diplomatic Agents, New York, 14 December 1973 - UN Doc. A/Res/28/3166. • International Convention against the Taking of Hostages, New York, 17 December 1979 -
UN Doc. A/Res/34/146. • Convention on the Physical Protection of Nuclear Material, Vienna, 3 March 1980 - IAEA
Doc. C/225. • Protocol on the Suppression of Unlawful Acts of Violence at Airports Serving International
Civil Aviation, supplementary to the Convention for the Suppression of Unlawful Acts against the Safety of Civil Aviation, Montreal, 24 February 1988 - ICAO Doc. 9518. • Convention for the Suppression of Unlawful Acts against the Safety of Maritime Navigation,
Rome, 10 March 1988 - IMO Doc. Sua/Con/15. • Protocol for the Suppression of Unlawful Acts against the Safety of Fixed Platforms located on the Continental Shelf, Rome, 10 March 1988 - IMO Doc. Sua/Con/16/Rev.1. • Convention on the Marking of Plastic Explosive for the Purpose of Detection, Montreal, 1
March 1991 - UN Doc. S/22393/Corr.1. • International Convention for the Suppression of Terrorist Bombings, New York, 15 December 1997 - UN Doc. A/Res/52/164. • International Convention for the Suppression of the Financing of Terrorism, New York, 9 December 1999 - UN Doc. A/Res/54/109.
Ancorché a oggi ci siano solo convenzioni settoriali, è stato giustamente rilevato che «l’esistenza di uno standard normativo comune nelle varie convenzioni per la prevenzione e la repressione delle singole attività terroristiche consente in qualche misura di superare i limiti connessi all’approccio settoriale adottato dalla comunità internazionale in materia» (11).
Al di là delle diverse figurae criminis prese di volta in volta in esame, che per ricadere sotto la disciplina delle convenzioni debbono presentare come presupposto carattere di internazionalità, le convenzioni disegnano uno standard normativo comune, costituito da obblighi di prevenzione e repressione.
Quanto ai primi, le convenzioni demandano ai legislatori nazionali l’adozione di misure opportune in vista della prevenzione dei crimini in oggetto, accompagnando tale obbligo con quelli di predisporre misure statali tese allo scambio di informazioni e al coordinamento di attività amministrative.
Maggiore importanza rivestono gli obblighi previsti a carico degli Stati contraenti in tema di repressione, tra cui spiccano quello di immettere nella legislazione penale nazionale le fattispecie di reato (12) contemplate nelle convenzioni e quello di estradare il presunto autore del crimine o di sottoporlo a giudizio, in osservanza del principio aut dedere aut iudicare (13). Questo costituisce il vero fulcro di tutte le convenzioni settoriali ed è riprodotto in ognuna di esse con espressioni pressoché identiche (14). La prima possibilità prevista, quella di estradare, rimanda alle legislazioni interne e ai trattati bilaterali di estradizione (che debbono necessariamente considerare come estradabili i presunti autori delle fattispecie terroristiche contemplate nelle convenzioni) quanto alla regolamentazione specifica e alle modalità dell’estradizione stessa; l’obbligo di giudicare, che scatta automaticamente in caso di rifiuto di estradizione, comporta l’adeguamento delle legislazioni nazionali al fine di immettervi la competenza a esercitare l’azione penale su persone che si trovano sul proprio territorio e che siano accusate di uno dei reati previsti dalle convenzioni, anche nel caso di cittadini stranieri e di fatti commessi in uno Stato terzo (15).
L’internazionalizzazione e la nascita di Al Qaeda: i primi segnali di un nuovo tipo di terrorismo c.d. «universale»
Alla luce dell’evoluzione delle modalità operative del terrorismo internazionale, sia la dottrina che la comunità internazionale ipotizzarono un ulteriore passo in avanti, mediante l’utilizzo di armi di distruzione di massa (16).
Il terrorismo dimostrò invece di poter provocare migliaia di morti anche usando armi già conosciute, semplicemente facendone un uso diverso: l’11 settembre 2001 la comunità internazionale è stata colpita in modo devastante semplicemente fondendo due preesistenti manifestazioni terroriste, il dirottamento aereo e gli attacchi suicidi.
Ma era un «nuovo terrorismo internazionale» (17), nato dalla globalizzazione dei movimenti terroristi islamici, che aveva sviluppato la forza per attaccare il mondo occidentale in un modo nuovo, trovandolo impreparato e vulnerabile. Si trattava di un terrorismo che era divenuto globale, non mirava più ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica su una determinata causa, ma a uccidere e terrorizzare il più grande numero possibile di persone e a creare ingenti danni economici: il suo fine ultimo era divenuto sovvertire lo status quo e cancellare i principi alla base della comunità internazionale. Si trattava, inoltre, di un terrorismo capace di agire nel rispetto di un progetto politico unitario, elaborato da Al Qaeda, un non - State actor che aveva visto la sua nascita alla fine degli anni Ottanta.
Ciò che va compreso è che l’11 settembre non è la data in cui è nato questo nuovo terrorismo, ma solo la data nella quale la comunità internazionale ha avuto contezza della sua esistenza e del fatto che essa stessa è il suo obiettivo. È per questa ragione che analizzando l’evoluzione del terrorismo internazionale nel corso del secolo scorso si devono approfondire le motivazioni che spinsero sul finire del XX secolo alcuni uomini a fondare quell’organizzazione a noi nota come Al Qaeda (18), perché l’attuale fenomeno del terrorismo jihadista si è sviluppato con il tempo, partendo dal terrorismo internazionale che si era manifestato nei decenni precedenti e si era iniziato a modificare soprattutto a partire dal 1979.
Per comprendere questo ulteriore sviluppo del terrorismo internazionale, non si può prescindere soprattutto dall’analisi delle motivazioni che hanno spinto Osama bin Laden a sviluppare il desiderio di «punire gli Stati Uniti» per quello che secondo lui avevano fatto dopo la caduta dell’Unione Sovietica, per il sostegno a Israele, e per tutte quelle azioni che avevano portato a far soffrire popolazioni musulmane e a «invadere» la «Terra Santa». Figlio di una dinastia saudita miliardaria (il padre aveva fondato un’azienda edile, che trasformò in impero multimiliardario), a metà anni Settanta si recò negli Stati Uniti avendo contatti anche con ricchi uomini d’affari, ma poi nel periodo universitario, trascorso in Arabia a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, entrò in contatto con la Fratellanza Musulmana, venendone notevolmente influenzato. La vera svolta avvenne nel 1979: bin Laden sentì la necessità di andare in Afghanistan per unirsi alla lotta dei mujaheddin portando soldi, esplosivi ed esperienza professionale (propria e con manodopera) nel campo delle demolizioni edili. In Afghanistan lavorò a stretto contatto con Azzam, reclutatore per eccellenza, palestinese, acerrimo nemico di Israele e fondatore del c.d. Ufficio dei servizi, e conobbe Ayman al-Zawahiri, dottore egiziano sostenitore del jihad mondiale, che aveva partecipato al gruppo di cospiratori dell’attentato del 1981 a Sadat. Con loro Osama nel 1988 fondò Al Qaeda, che dopo il ritiro dei sovietici si concentrò su altri «bersagli», tra i quali rientrarono presto anche gli Stati Uniti, verso cui già da anni stavano mutando i sentimenti di bin Laden. Divennero poi ai suoi occhi colpevoli, du-
rante la guerra del Golfo, di aver dispiegato truppe di infedeli, per aggiunta di entrambi i generi, in territorio saudita. Dopo aver trascorso un periodo in Sudan e, come si seppe solo anni dopo, aver da lì organizzato nel 1993 attacchi alle truppe americane a Mogadiscio, nel 1996 bin Laden tornò in Afghanistan, da dove dopo vari proclami e interviste annunciò nel 1998 la costituzione del «Fronte islamico mondiale per il jihad contro gli ebrei e i crociati» e lanciò la Fatwa contro gli americani. In quegli anni ci furono la bomba esplosa sotto le torri del World Trade Center nel 1993, gli attacchi quasi simultanei del 1998 alle Ambasciate statunitensi in Tanzania e in Kenya, e l’attacco alla nave USS Cole nel porto yemenita di Aden nell’ottobre 2000.
Si arrivò così agli attacchi dell’11 settembre e alla consapevolezza di trovarsi davanti a un nuovo tipo di terrorismo internazionale, che in pochi anni nel corso del secolo attuale si è ulteriormente trasformato, costringendo la comunità internazionale a ridisegnare totalmente gli strumenti per una lotta globale al terrorismo internazionale (19). 8
NOTE
(1) Le opinioni sono personali dell’autore e non rispecchiano necessariamente le amministrazioni di appartenenza. (2) Si ricordino: gruppi legati alla guerra d’indipendenza algerina, il terrorismo indipendentista dell’IRA in Irlanda e dell’ETA in Spagna, le Brigate Rosse in Italia, le rivoluzioni popolari e i colpi di Stato militari in numerosi Stati dell’America centrale e soprattutto dell’America latina. Si veda, Bonante L., Terrorismo internazionale, Firenze, 2002, 70 ss. (3) Per avere un quadro dell’internazionalizzazione del terrorismo palestinese basti pensare che tra il 1968 e il 1986 vennero compiute 565 azioni terroriste fuori dai confini di Israele, che provocarono 498 morti e 1783 feriti, tra i quali i cittadini israeliani furono rispettivamente solo 54 e 79 (Bonante L., Terrorismo internazionale, op. cit., 125s.). (4) Laqueur W., Storia del terrorismo. L’analisi storica del più drammatico fenomeno del nostro tempo, 1978, Milano, 6-7. (5) L’Iran fu il principale sponsor e finanziatore del movimento libanese sciita Hezbollah che, protetto anche dalla Siria, si rese responsabile di numerosi attacchi suicidi contro obiettivi civili e militari occidentali. (6) In questo periodo è Beirut la base operativa dell’OLP di Yasser Arafat: dopo il «settembre nero» (del 1970) infatti i gruppi terroristi si insediarono in Libano e riuscirono ad acquisire quell’indipendenza operativa che la Giordania non aveva mai consentito loro. (7) In dottrina tra i principali studiosi di tale evoluzione si possono ricordare Panzera e Bassiouni. Per il primo cfr. soprattutto: Panzera A.F., Attività terroristiche e diritto internazionale, Napoli, 1978; Panzera A.F., voce Terrorismo, b) Diritto internazionale, in Enciclopedia del Diritto, vol. XLIV, Milano, 1992, 370 ss.; Ronzitti N. (a cura di), Europa e terrorismo internazionale - Analisi giuridica del fenomeno e Convenzioni internazionali, Roma, 1990. Per Bassiouni, tra i numerosissimi scritti, cfr. soprattutto Bassiouni M.C., International Terrorism: Multilateral Conventions (1937-2001), New York, 2001. Per una ricostruzione dell’evoluzione delle modalità operative si veda, soprattutto, Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Il terrorismo internazionale come crimine contro l’umanità - da crimine a rilevanza internazionale a crimine internazionale dell’individuo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2006, capp. 1 e 2. (8) Tali motivazioni sono riscontrabili anche in alcuni dirottamenti compiuti in quel periodo nell’Europa dell’est. (9) In tal senso cfr. Panzera A.F., Attività terroristiche e diritto internazionale, op. cit., 49. (10) Una parte della dottrina, per estendere anche ai casi di dirottamento aereo il principio dell’universalità della repressione, tipico della pirateria, elaborò proposte tese a considerare i dirottamenti aerei una nuova forma di pirateria o comunque a estendervi la disciplina mediante accordi internazionali. Tra i sostenitori della prima tesi cfr. Breton, Piraterie aérienne et droit international public, in Revue générale de droit international public, 1971, 392 ss.; Valladao E., Piraterie aérienne; nouveau délit international, in Revue générale de l’air et de l’éspace, 1969, 261 ss.; per la seconda tesi, cfr. Jacobson, From Piracy on the High Seas to Piracy in the High Skies: A Study of Aircraft Hijacking, in Cornell International Law Journal, 1972, 161 ss. (11) Panzera A.F., La disciplina normativa sul terrorismo internazionale, in Ronzitti N. (a cura di), Europa e terrorismo internazionale, op. cit., 18. In senso analogo si è espresso anche Gioia, cfr. Gioia A., Terrorismo internazionale, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, in Rivista di Diritto Internazionale, n. 1/2004, 16 ss. (12) È espressamente specificato che esse vadano punite con pene severe, appropriate alla gravità del fatto. (13) Esistono anche una serie di obblighi accessori o sussidiari, quali quello di adottare le misure necessarie ad assicurare la presenza del presunto autore del reato fino al processo o all’estradizione e quelli di avviare un’inchiesta preliminare, volta anche alla raccolta di prove e all’assunzione di prove testimoniali. (14) Il principio aut dedere aut judicare deriva dalla famosa formulazione elaborata da Hugo Grotius nel 1642 e abbreviata con l’espressione «aut dedere aut punire» (Grotius H., De Jure Belli ac Pacis, lib. II, cap. XXI, sez. III, in Scott J.B. (ed.), Classic of International Law, 1925), che a partire dagli anni Settanta è stata trasformata (cfr. Bassiouni M.C. - Nanda V. (ed.), A Treatise on International Criminal Law, Springfield, 1973; Bassiouni M.C. (ed.), International Terrorism and Political Crimes, Springfield, 1975, XIX s.), modificando l’obbligo di punire in quello di giudicare. (15) Le convenzioni settoriali contro il terrorismo imposero l’applicazione del principio aut dedere aut judicare senza fare più distinzioni basate sulla cittadinanza, ma prevedendo al contrario l’obbligo di adeguare la legislazione penale interna per poter processare anche i non cittadini per reati commessi all’estero. Cfr. Caracciolo I., Dal diritto penale internazionale al diritto internazionale penale. Il rafforzamento delle garanzie giurisdizionali, Napoli, 2000, 180 ss. (16) In tal senso cfr. soprattutto Laquer W., Il nuovo terrorismo, Milano, 2002, e Bassiouni M.C., International Terrorism: Multilateral Conventions (1937-2001), op. cit., 44-54. (17) Per questa nuova forma di terrorismo, che per alcuni aspetti l’11 settembre 2001 è divenuto un crimine contro l’umanità, si veda Quadarella Sanfelice di Monteforte L., Il terrorismo internazionale come crimine contro l’umanità - da crimine a rilevanza internazionale a crimine internazionale dell’individuo, op. cit., capp. 3 e 4. (18) Per approfondire come è nata e si è sviluppata Al Qaeda, tra l’ampia bibliografia si veda: Byman Daniel, Al Qaeda, the Islamic State, and the Global Jihadist Movement: What Everyone Needs to Know, 2015; Burke Jason, Al Qaeda. La vera storia, Feltrinelli, Milano, 2004; Hoffman Bruce, Rethinking Terrorism and Counterterrorism Since 9/11, in Studies in Conflict & Terrorism, vol. 25, 2002, 303 ss; Hoffman Bruce, Al Qaeda, Trends in Terrorism, and Future Potentialities: An Assessment, in Studies in Conflict & Terrorism, vol. 26, 2003; Hoffman Bruce, The Changing Face of Al Qaeda and Global War on Terrorism, in Studies in Conflict & Terrorism, vol. 27, 2004, 549 ss.; Hoffman Bruce, Inside Terrorism, Columbia University Press, New York, 2006; Lynn John A., Une autre guerre: Histoire et nature du terrorisme, 2021 ; Quadarella Sanfelice di Monteforte Laura, Il terrorismo internazionale come crimine contro l’umanità - da crimine a rilevanza internazionale a crimine internazionale dell’individuo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2006; Quadarella Sanfelice di Monteforte Laura, Il terrorismo «fai da te». Inspire e la propaganda online di AQAP per i giovani musulmani in Occidente, Aracne Editrice, Roma, 2013; Quadarella Sanfelice di Monteforte Laura, Perché ci attaccano. Al Qaeda, l’Islamic State e il terrorismo «fai da te», Aracne Editrice, Roma, seconda edizione, 2017; Wright lawrence, Le altissime torri. Come al-Qaeda giunse all’11 settembre, Adelphi, Milano, 2007. (19) A partire, nel settembre 2001, dalle Risoluzioni 1368 e 1373, United Nations, Security Council, Resolution 1368, UN Doc. S/RES/1368 (2001), 12 September 2001, United Nations, Security Council, Resolution 1373, UN Doc. S/RES/1373 (2001), 28 September 2001.
L’enoxaparina sodica nel trattamento del Covid-19 Il principio attivo è utilizzato nel mondo da anni ma solo dal 2017 è stato registrato il biosimilare e commercializzato in Europa. Viene utilizzato anche nel trattamento delle complicanze dell’infezione da Covid-19 da Oriente ad Occidente, la via della seta e oggi anche del farmaco. Da ormai quasi tre anni Techdow Pharma opera in Italia ed è riconosciuta come la prima azienda farmaceutica cinese ad aprire l’attività nel Belpaese. La società attualmente commercializza la prima enoxaparina sodica biosimilare ma è atteso nei prossimi anni l’arrivo di nuovi prodotti frutto della corposa pipeline di ricerca. «Crediamo che a breve verranno lanciati nuovi farmaci innovativi in aree terapeutiche importanti quali la cardiologia, la diabetologia e l’oncologia» spiega Giorgio Foresti, Amministratore Delegato Techdow Pharma che è la sorella farmaceutica del gruppo Hepalink, leader mondiale nella produzione e commercializzazione di principi attivi a base di eparina. Si tratta di una società che esporta il principio attivo della Eparina in più di cinquanta nazioni e rifornendo anche le più grandi multinazionali farmaceutiche internazionali. La sede centrale dell’azienda si trova nell’hub cinese della ricerca scientifica a Shenzhen, mentre la sede italiana si trova a Milano.
Come nasce l’azienda e con quali obiettivi?
«Abbiamo avviato gli uffici di Milano nell’ottobre del 2017. I primi mesi, ovviamente, sono stati dedicati all’organizzazione e solo a partire da gennaio è iniziata la commercializzazione del prodotto. La struttura inizialmente era composta da 15 persone tra interni e esterni, ma a partire dal 2019 l’organizzazione è cresciuta con l’inserimento di una rete di trenta informatori medici. Attualmente contiamo sull’impegno di circa cinquanta persone tra interni ed esterni che si dedicano al 100% al supporto di INHIXA, prodotto salvavita. Nel corso di questi tre anni abbiamo conquistato quasi il 50% del consumo di enoxaparina sul mercato italiano, prevalentemente nel mercato ospedaliero, ma una buona fetta anche nel mercato retail in Farmacia».
In quali contesti trova applicazione il farmaco e con quali benefici?
«L’enoxaparina è un farmaco molto importante perché considerato salvavita. Viene utilizzato prevalentemente nella profilassi della trombosi venosa profonda post-intervento chirurgico ma se ne fa anche un importante utilizzo in ambito medico in tutti quei casi di patologie acute che comportano perdurata immobilità e quindi incremento del rischio di trombosi ed in particolare nelle persone anziane. Il farmaco viene quindi impiegato prevalentemente per la profilassi delle malattie a rischio Tromboembolico Venoso (TEV) e per tale motivo di grande attualità nella cura della malattia da Covid-19 caratterizzata nelle forme moderate severe e critiche da gravi complicazioni trombotiche e tromboemboliche. Di recente, anche l’Aifa con una nota del 24/11/20 ha espresso la raccomandazione di usare l’Eparina ed in particolare l’Enoxaparina sin dai casi moderati se sottoposti a immobilizzazione o ipomobilità sino alle forme più gravi ospedalizzate. Possiamo dire che è un farmaco molto conosciuto perché lanciato sul mercato più di trent’anni fa, ma sono solo nel 2017 il Biosimilare ha iniziato ad essere commercializzato nel mercato europeo. Di questo principio attivo se ne fa ormai un largo utilizzo.».
Rispetto a questa nuova emergenza sanitaria, in che modo il farmaco ha trovato impiego nella lotta al Covid-19?
“L’Eparina ha oggi un ruolo fondamentale in tutte le Linee Guida Mondiali dopo le prime raccomandazioni comparse all’inizio del 2020 nelle note della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e viene impiegata nel trattamento dei malati Covid-19 come profilassi e come trattamento delle complicazioni trombotiche. Nella malattia da Covid-19, dopo la prima fase virale si scatena una risposta infiammatoria che provoca una coagulopatia importante. Sono note le proprietà della Eparina sia nel mitigare l’infiammazione che nel contrastare la coagulopatia, riducendone così le complicazioni trombotiche. E’ per tali motivi ben supportati dagli studi pubblicati, che AIFA nel Maggio 2020, ha autorizzato lo studio INHIXACOVID19 che ha nei suoi obiettivi la prova della sua sicurezza, vale a dire basso rischio di emorragie durante la somministrazione, ed della sua efficacia nei malati nella fase lieve, moderata e severa, con dosi intermedie ritenute ormai più adatte a tale indicazione terapeutica. Tale studio ha coinvolto tredici centri a livello italiano ed è coordinato dal centro di infettivologia dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna Università di Bologna, coordinato dal Prof. Pierluigi Viale. Lo studio ormai in fase avanzata di arruolamento ha mostrato primi risultati davvero molto incoraggianti».
Quali sono le prospettive di mercato di questo farmaco e quali sono i progetti dell’azienda per il futuro?
«Al momento commercializziamo solo questo prodotto, ma stiamo lavorando per essere pronti il prima possibile per ottenere altre molecole sia di origine aziendale, e che giungono quindi dalla nostra ricerca, sia acquisite in licenza o in concessione da altre aziende. Siamo convinti che nel 2023 saremo nelle condizioni di lanciare nuovi prodotti e molecole anche sul mercato italiano».
L’azione L’eparina agisce sugli effetti della malattia e, quindi, sulle infiammazioni e sulla coaguolpatia provocate dal Covid-19 che generano un forte rischio di trombosi a livello polmonare e non solo.
Box Investimenti e ricerca Techdow Pharma investe annualmente in sviluppo e ricerca circa il dodici per cento del fatturato. Recentemente la società è stata quotata alla borsa di Hong Kong proprio allo scopo di reperire capitali da poter investire in ricerca e ampliare così la fase di investimenti in ricerca e sviluppo. In Italia la società opera prevalentemente nella commercializzazione del farmaco. Ha avviato uno studio sull’eparina, effettuando un piccolo investimento che si può considerare di ricerca per valutare la sicurezza e l’efficacia dell’eparina proprio sui malati Covid-19. Si tratta di uno studio autorizzato dall’Aifa e che nei primi mesi del 2021 dovrebbe arrivare a conclusione fornendo dati sull’efficacia del farmaco per questo genere di patologie.