D'Alma, romanzo di una collezione

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IT z 10,00 - AUT e 15,00 - BE e 15,00 - D e 19,00 - PTE CONT. e 14,00 - E e 14,00 - UK £ 10,00 - USA $ 20,00

COVER STORY Giuggiù di Angela Caputi VIAGGI DEL TUCANO Uzbekistan GREAT EXHIBITION Diana Vreeland DESIGN Baroni FOOD COUTURE Grana Padano SICILY FOOD&WINE Saro D’amico ed Enzo Alagna

ANNO VI - N° 34 - Marzo/Maggio 2012 doppio numero e 10,00 - Bimestrale


NEW BRAND

D’ALMA Il romanzo di una Collezione Di Federica Melani

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Sono le 22:00 di un venerdì sera e la mia camera è un caos. Sto rivoluzionando il mio armadio alla disperata ricerca di un vestitino e un tacco 12 che risaltino le mie gambe e il mio corpo, per distogliere l’attenzione dalla faccia stanca e provata dalla settimana. Tra mezz’ora passa a prendermi Romina, mia fedele compagna di avventure da più di un anno, e ci dirigiamo insieme allo Yab, uno dei locali più in voga e IN di Firenze. Qui tutto è esasperato. Vedo arrivare macchine belle, bellissime. All’ingresso ragazzi e ragazze impeccabili ed eleganti che mentre mi passano accanto non lasciano la scia del loro profumo ma quella dell’aria che solo per un attimo vogliono farmi respirare per ribadire quanto sono fortunati, invidiabili e ricchi. Io non invidio ma osservo. Osservo quanti soldi girano all’interno del locale: tanti, tantissimi. Non stiamo parlando della classica clientela che consuma al bancone, stiamo parlando di ragazzi giovanissimi che ogni settimana spendono al tavolo normali stipendi, barattando la stima delle belle ragazze con bottiglie di vodka e champagne da 1000 € l’una. Osservo con quanto scrupolo tutto sia curato, ed è strano come si cerchi di inquadrare un mondo che invece non vuol essere inquadrato: il mondo della notte. Un’amante infedele, la notte. Nasconde ma svela, è l’altra faccia della nostra medaglia, crea l’illusione di vivere in un’altra realtà, una dimensione fatta di eccessi, di sballo, dove tutto è concesso, tutto accade veloce ma al tempo stesso a rilento, come se le ore non passassero mai. Tutto si consuma sul filo del rasoio, tutto è ovattato, la libertà di non avere freni è un gioco dove la gente si reinventa, un gioco pericoloso alcune volte, sesso, droga e per ultimo e minore importanza, rock’n’roll. Strano a dirsi ma è proprio in questo contesto che ho avuto lo stimolo per un progetto che da gioco è diventato lavoro. “Stanotte, signor Cavaliere. Ha fischiato. L’ho sentito fischiare... Il treno? Sissignore. E se sapesse dove sono arrivato!” Come Belluca il mio treno ha fischiato e mi ritrovo in un vortice di idee che non posso frenare quando, una normalissima notte come tante altre, io e la mia amica Romina ci siamo guardate negli occhi e abbiamo capito che era arrivata l’ora di cambiare un po’ le cose, era l’ora di agire e non più di subire, di imporsi con qualcosa di nostro, di far capire a tutta quella gente che eravamo due cervelli prima che due “cosce”, anzi, due anime, pronte a tutto pur di riscattarsi per la troppa ambizione. Due anime, dicevo, che in spagnolo sento pronunciare da Romina in modo perfetto, date le sue origini Argentine: Dos Alma. E da qui inizia la storia, da qui comincia il “romanzo di una collezione”. Mi chiamo Federica Melani e abito in un paesino vicino Firenze. Alle superiori ho frequentato il liceo artistico, indirizzo pittura ad Empoli non solo per la sensibilità verso l’arte e la facilità con la quale disegno, ma per la convinzione che nella mia vita avrei fatto qualcosa di inerente alla creatività. Sono un’anima in pena, “sconfusionata” e irrequieta per il sovraccarico di energie che mi ritrovo in corpo. Una vita frenetica la mia, per scelta, e segnata da moltissimi errori che, come accenti sulle vocali, completano la struttura di un dettato non molto lungo ma sicuramente intenso. Finite le scuole superiori, mi ritrovo a dover scegliere realmente quale sarebbe stata da quel momento in poi la mia posizione nella società. Dopo un anno sabbatico nel quale mi sono improvvisata commessa, cameriera e fioraia, ho scelto di iscrivermi ad una scuola di moda a Firenze: il Polimoda con indirizzo in Marketing Communication. Si riparte per l’ennesima volta da zero. Nuova città. Nuove compagne. Nuovi ritmi. Ma tutto dannatamente interessante e stimolante per me. Una scuola che prepara sui retroscena della moda, della pubblicità, del consumo, su quel circolo vizioso che si chiama “mercato”, sulla comunicazione e, a parer mio, “su come si abbindola la gente”. Non è facile, dovendo mantenere tutte le mie spese da sola, frequentare i corsi senza lavorare ecco perché, continuo a I.QUALITY • 122

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trarre più profitti possibili dalla mia seconda scuola di vita: i locali notturni, dove lavoro da più di quattro anni e dove ho modo di vedere migliaia di persone ogni sera. Dove ho modo di osservare mille volti e stili, mille modi di interpretare la moda per esibirsi, mille modi di atteggiarsi e vestirsi che danno vita a mille spunti e a mille idee. In questo mondo le righe non ci sono quindi non importa nemmeno leggervi dietro, tutto è abbastanza chiaro e l’abbigliamento delle persone rispecchia ciò che realmente sono, non avendo vincoli con il “perbenismo”. “Si parte, si parte … Signori, per dove? Per dove?” Quella magica sera, quando il mio treno ha fischiato, è stato un fulmine a ciel sereno. L’accumulo di stress che condividevo con la mia amica Romina per la frenesia dei nostri ritmi, ci ha portate a decidere che dovevamo stravolgere le cose e che mettendo insieme le nostre qualità, la nostra creatività, le nostre conoscenze, la nostra voglia di fare e il nostro estro avremmo potuto creare qualcosa di veramente interessante. Non c’è più tempo da perdere. Siamo arrivate alla fine dell’estate e questo progetto ci martella in testa incessantemente. Chiamo subito mio padre, l’uomo che più amo e odio al mondo, e mi intrometto nei suoi impegni lavorativi perché doveva dedicare a me e Romina dieci minuti del suo pomeriggio. Mio padre è titolare, insieme ad altri due soci, di una confezione di abbigliamento in pelle a Castelfranco di Sotto (PI) chiamata SEM e creano linee di giacchetti da più di trenta anni per un target elevato e classico. Sono cresciuta con l’odore della pelle nel naso e da piccola mi divertivo a disegnargli capospalla ridicoli e irrealizzabili convinta che un giorno li avrebbe presi in considerazione. Invece non mi ha mai considerato, anche quando, a distanza di anni, gli propongo di rinnovare la sua linea di abbigliamento, di rivisitare un po’ i modelli, i colori, le forme per ringiovanire e rendere più frizzante l’immagine della sua azienda. Ma in fondo cosa voglio saperne io di come va il mondo? Ecco cosa mi sento dire, e la voglia di rivalsa è sempre più grande perché in cuor mio, sapevo che le mie idee non erano poi così assurde e improponibili come diceva mio padre. Non mi arrendo. Inizio a disegnare, strappo le pagine dei giornali di moda appena vedo un chiodo di pelle, osservo le ragazze, i loro giacchetti, come un gufo scruto quelle che entrano traballando sopra i loro tacchi 15 cm già ubriache allo Yab e conservo tutto il materiale confrontandomi poi con Romina che ha gli stessi miei gusti anzi, la focosa argentina si appassiona quanto me a questa cosa e insieme ogni pomeriggio ci mettiamo a disegnare, a scaricare immagini, a sfogliare riviste per arrivare ad una conclusione che ci ha complicato la vita: avevamo una nostra linea di capospalla in pelle da realizzare. Ma come? Inizia una vera e propria guerra. Ma in guerra e in amore sono le ritirate che scatenano le avanzate e davanti a tutti i “no” di mio padre si accumula una determinazione sempre più prepotente da parte nostra. Doveva ascoltarci. Doveva darci fiducia. Doveva credere in noi. Noi che chiamiamo la nostra ipotetica linea D’ALMA, l’insieme di due parole (dos alma, due anime) che ribadiscono il forte legame tra me e Romina. Due sorelle. Quello strano susseguirsi di casi, che io chiamo destino, ci ha fatto conoscere in modo bizzarro ma ha dato vita ad un’amicizia talmente forte che solo con lei avrei potuto intraprendere un progetto del genere. Ma D’ALMA è anche un acronimo che sta alla base della nostra filosofa: Davanti Ai Limiti Mai Arrendersi. E noi non l’abbiamo fatto, neanche per un secondo. Non ci siamo arrese davanti a niente, davanti ai no di chi non ci credeva, davanti allo sconforto di chi ci dava per pazze, davanti a chi rideva dicendo che azzardavamo un passo troppo grosso e che, dato il nostro aspetto fisico, dovevamo puntare su quello e non sull’imprenditoria. I.QUALITY • 124

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“Settembre, andiamo, è tempo di migrare” sono forse gli unici versi di D’Annunzio che ho amato veramente ed è proprio a settembre che cambiano le cose. Mio padre sembra cedere alle nostre pressioni e decide di assecondarci dandoci l’opportunità di lavorare con la sua modellista e la sua stilista Elisabetta Gambini, di usare i suoi materiali e le sue attrezzature. Comincia un lavoro che dura interi mesi perché anche quello che sembrava più facile da realizzare in realtà non lo è. Iniziamo anche a cercare un diversivo per l’effetto che volevamo trasmettere sul giacchetto: un capo che doveva sembrare vissuto, un po’ consumato e che avesse “qualcosa da raccontare”. Quindi pelle tinta in capo, unita ad un lavaggio con le pietre che desse quel tocco di vintage al quale ci ispiravamo. Colori forti ed accesi che contrastano i tagli regolari e semplici. Spesso mi è capitato di chiedere agli amici quale fosse il capo nell’armadio al quale erano più affezionati. Nella maggior parte dei casi la risposta è stata: un giacchetto di pelle.

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È anche il mio caso. Mi sono chiesta il perché e la risposta l’ho trovata quando ho capito quanto si tenda ad associare un bel ricordo vissuto a ciò che stavamo indossando in quel momento. Ecco l’amore per il giacchetto in pelle, che non è più un oggetto che ripara dal freddo, acquista valori diversi, si libera della sua funzione e vive di luce propria come se filtrasse ciò che proviamo ed un po’ lo conservasse al suo interno. Abbiamo lavorato tanto e duramente, ma alla fine il sacrificio è stato ricompensato dalla soddisfazione di vedere realizzata un’intera collezione primavera/ estate 2012. Ogni capo curato nel dettaglio ed unico nel suo genere. Alle spalle abbiamo avuto la ditta di mio padre che lavora nel settore da tantissimi anni e senza la quale, lo ammetto, non avremmo potuto fare niente, abbiamo potuto contare sulla qualità della pelle, sul made in Italy e sulla manodopera che rendono ogni giacchetto inimitabile. E poi ecco arrivare un’altra idea. Qualcosa di veramente graffiante: la pelle nera che si adatta al corpo femminile come seconda pelle, e che sottoforma di capospalla diventa un urlo silenzioso di egocentrismo. Un’edizione limitata fatta da capi che si distinguono dagli altri per il loro tocco aggressivo e accattivante che solo la borchia può dare. Borchie sulle spalline rinforzate, borchie nel reverse e sulle maniche, borchie sulla cintura da portare rigorosamente sganciata. Un argento, quello della borchia, che viene risaltato in maniera perfetta dal nero lucido della pelle e che deve essere sdrammatizzato da un abbigliamento più classico e regolare. Due concept che sono opposti ma che si attraggono, perché secondo noi questi capi, se abbinati in modo giusto, riescono a rendere elettrizzanti e passionali anche i tubini neri più semplici. Una borchia killer che non ribadisce la trasgressione, dato che ormai tutto e niente è trasgressivo, ma che aumenta quell’alone di mistero che ogni donna porta con sé. Quell’altalenarsi di ruoli che ciascuna donna interpreta. Quel gioco di identità che diventa tangibile quando ad un vestitino all’apparenza sobrio e casto, viene abbinato un giacchetto in pelle nero borchiato attillato che ribalta il messaggio: sono buona quanto cattiva. Ci siamo divertite molto anche nel fare lo scouting e tutta la parte fotografica curata dal mio carissimo amico Francesco Nuti. Siamo state pretenziose e forse un po’ egocentriche ma come testimonial nessuno meglio di noi poteva incarnare il concetto D’ALMA. Quindi ci siamo improvvisate modelle per la nostra campagna pubblicitaria facendoci coinvolgere anche a livello emotivo. Qui finisce la storia, o forse comincia. Come andrà a finire non lo so ma di sicuro so con quanta grinta abbiamo creduto nel nostro progetto, anche quando tutto sembrava remarci contro. So che adesso vogliamo farci conoscere, abbiamo progetti per ingrandirci e migliorarci, vogliamo far capire che in mezzo all’oceano ci siamo anche noi. Sarà altrettanto dura e difficile la strada anche perché abbiamo scelto un gioco nel quale non ci sono regole ma voglio arrivare un giorno a poter dire: quanto abbiamo fatto bene a giocare.

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