Arnost Lustig, Nei suoi occhi verdi

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NEI SUOI OCCHI VERDI Traduzione di Letizia Kostner

Keller editore



Nei suoi occhi verdi



A Eva e a tutti quelli che sono e saranno con lei

Quanti hanno un segreto che nessuno scoprirĂ mai?



prima parte



1.

E

ra dal mattino che i reparti delle Waffen-ss continuavano ad arrivare alla cascina. Avevano imposto di prolungare il turno fino alle quattro del pomeriggio. quindici: herrmann hammer, fritz blßcher, reinhold wupperthal, siegfried fuchs, bert lippert, hugo redinger, liebel ulrych, alvis graff, sigmund schwerstei, herbert gmund, hans frische, arnold frey, philip petsch, mathias krebs e ernst lindow. Durante la notte i muri della cascina avevano sorretto una cinta di neve fresca, come un cappello da cuoco con un lungo strascico dietro. Giunta l’aurora, quando il vento aveva spazzato via le nuvole dopo la tempesta, la neve per terra era parsa macchiarsi di sangue. Per un paio di minuti si era bagnata di porpora e rosso rubino. Un silenzio impalpabile aveva ammantato la regione. Lungo il corridoio si snodava una scritta rossa e marrone in puntuti caratteri gotici: siamo nati per morire. I due fulmini delle ss erano segni runici. Il silenzio invisibile era stato turbato da un camion o da un autobus diretto al bordello militare. In lontananza, tra il cielo e la terra, tuonavano i cannoni. Si era svegliata nel cuore della notte. Sentiva male in mezzo alle gambe. Aveva aperto gli occhi e nelle orecchie le era risuonata la frase pronunciata dal polacco sulla rampa di Auschwitz-Birkenau quando erano scesi dai vagoni; la voce profonda, di petto, dell’omone preposto al Kommando Canada che camminando esortava 13


le madri: «I bambini dateli alle nonne». Solo dopo aver superato i medici tedeschi in fondo alla fila, che dividevano la gente, a destra, a sinistra, ormai nel Frauenkonzentrationslager, aveva risolto l’enigma: le vecchie e i bambini andavano direttamente dalla rampa al gas. Per ciascuna madame Kulikowa aveva in serbo un consiglio: «Gli uomini non li devi prendere in giro. Si prendono in giro da soli». Gelava già da tre giorni. Le condutture della cascina erano crepate, l’acqua rimasta dentro congelata. Avevano dato loro due nuove tinozze. Anche in quelle l’acqua era diventata di pietra. A ghiacciare era stata prima l’acqua stagnante, poi quella che scorreva nel fiume. Il ferro si arrugginiva, l’acciaio si fendeva. Talvolta oltre il ponte un treno si fermava perché la caldaia della locomotiva si era spaccata per il gelo. L’intonaco nella casa andava ammuffendo e il fumo anneriva i muri delle cabine e della sala da pranzo comune con un lungo tavolo per sessanta persone. Le stanze abitate sembravano affumicatoi. dodici: sepp erlanger, konrad von heincke, gerald nauman, ernst varin, nicolaus geist, wolf kramer, siegfried barlinger, ernst wozarin, wolf steinitz, willi brecker, dietrich bonar funk e harry mützenbecher. dodici: manfred seidenstricker, horst gescheit, asa joche breubauer, jens vogelmann, heinz zingerle, fritz bausinger, winfried merzenstiel, hans weltfuss, arno heintze-lorentz, adalbert hecht, jürgen freye e lutz renn. Ciò che preservo dal regno dell’oblio è un’insondabile striscia di penombra a cavallo tra la notte e l’alba. Una luce in cui nulla produce ombra. Ciò che scrivo è un’approssimazione.

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Forse è così che è stato. Il presente della Bambola, Hanka Kaudersová, un presente nel quale desiderava seppellire il passato. Dalle torri di guardia le Waffen-ss sparavano ai lupi. Talvolta ai ratti. I lupi attraversavano di corsa il fiume gelato, si facevano largo tra le canne ghiacciate, passavano davanti alla cava abbandonata in cui l’estate precedente avevano giustiziato delle ragazze macchiatesi di una qualche colpa e dove, oltre ai lupi, si nascondevano banditi, truppe sparse dell’esercito polacco da tempo sconfitto ed ebrei fuggiti dai lager. Il capobranco era un esemplare color argento che le guardie non erano ancora riuscite ad abbattere. Il vento faceva tintinnare le lattine attaccate ai muri per spaventare i lupi. Quelli che si era riusciti ad abbattere giacevano distesi sulla neve. Un treno sferragliava attraversando il fiume. Ai finestrini c’erano soldati in licenza. A gelide altezze era apparso un velivolo, si lasciava alle spalle una coda di gas bianchi che poi diventavano azzurri e ghiacciavano sulla superficie inclinata del cielo. Non erano riuscite a distinguere se si trattava di caccia tedeschi o russi. dodici: bruno langbein, hubert fitzke-czerny, erhard römer, hans-georg röhrich, sepp hoyer, dietrich wagner, gerd müller, siegfried rahm, franz burger, heinrich brunner, hermann loki e franz-ulrich rolf mötz. A inaugurare l’attività del Nr. 232 Ost era arrivato il generale delle Waffen-ss Brigadeführer Andreas Strassmeyer, accompagnato dal Waffen-ss Brigadeführer Justen Herles e dal Waffen-ss Standartenführer Konrad Uhlfelder. Aveva parlato della Ahnenerbe, l’eredità ancestrale. Nessuno era riuscito a capirlo, tranne quando aveva proclamato che “avrebbero fatto una bella vita”.

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Madame Kulikowa aveva elevato il maggiore Karl Maximilian von Kalckreuth al rango di suo angelo custode. Sulla scia di un certo marchese, il maggiore soleva ripetere che il male è connaturato all’uomo; più ne commette, più si sente beato; punire i peccati è un’assurdità. Era stata la guerra a smentire nel maggiore la saggezza da manuale scolastico secondo la quale un uomo comprende il bene, non il male. Lui si trovava piuttosto d’accordo col marchese. A madame portava cioccolato proveniente dalle razioni militari destinate agli aviatori. Le tirava su il morale quando aveva le mestruazioni. Le forniva collutorio e dentifricio. Denaro, per principio in banconote. Il maggiore non era certo quel generale polacco che, la mattina in cui la prostituta aveva accennato ai soldi, aveva dichiarato che lui, per principio, da una signora non avrebbe accettato un centesimo. Insieme giocavano a Skat. Era capace di perdere persino le mutande. In cuor suo il maggiore era un monarchico. Sul petto, appeso a una catenella d’argento, portava un monocolo che gli cadeva non appena lo metteva all’occhio. Il maggiore era rimasto scosso dal settembre dell’anno precedente. Dalla condanna a morte del suo pianista preferito, Karlrobert Kreiten, al quale i baffi di Hitler non andavano a genio. «Sai cosa mangerei adesso con tutto il cuore?» aveva chiesto il maggiore. «Una Schweineschnitzel mit Kartoffelknödel auf bayerische Art». Inoltre, prima di prendere lei, avrebbe voluto un Rüdesheimer Kaffee con acquavite di Asbach e una Schwarzwälder Kirschtorte. Finito il primo turno, la Grande Leopolda Kulikowa aveva detto alla Bambola: «Quando una donna sanguina, è il cuore a sanguinarle». E poi: «Se sarai triste morirai». Questa è la mia storia romantica. Parla d’amore quasi quanto d’omicidio, di uno dei tanti volti dell’amore. (Durante l’amples-

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so l’Obersturmführer Sarazin non aveva forse detto alla Bambola che uccidere è la verità mentre tutto il resto sono solo balle?) Del bordello militare presso il fiume San. Di ciò che può sperimentare una ragazza di quindici anni nel giro di ventuno giorni. Di come intervengano o meno la memoria, l’oblio. Mi innamorai del sorriso della Bambola. Sapevo quanto c’era in esso di impotente, di impacciato, quanta speranza conteneva. Delle rughe da sedicenne che in certi momenti già le si formavano sul viso. A salvare le mie approssimazioni è il tempo. I frammenti di cui si compone questa storia. I colori, le ombre. Alla vigilia dell’evacuazione del Nr. 232 Ost, prima che la mettessero al muro a pochi passi dalla cucina da campo e la salva iniziale le frantumasse i denti, madame Kulikowa aveva affermato che in fondo al cuore non si aspettava nulla di meglio. Ancor prima le aveva detto: «Prendi la vita come viene o ti schiaccerà. Ogni cosa è normale. Non farti nessuna meraviglia. I torti? Di quelli fregatene. Ne ricevono tutti. In questo modo li digerirai, altrimenti finirai soffocata». Lei ne aveva digeriti più degli altri. dodici: karl-gottlieb hain, johann oberslatzer, wilhelm tietze, arnold köhler, gottfried lindner, moritz krantz, andreas schmidt, granz biermann, carulus mautch, august kreuter, felix körner e jorgen hofer-wettermann. Nella mia testa ascolto madame Kulikowa mentre inizia la Bambola, Hanka Kaudersová, all’attività del Nr. 232 Ost. È un venerdì mattina, la Bambola è al suo primo giorno. Ciò che non è espressamente consentito, è vietato. (Questo la Bambola l’ha già imparato nel lager di Auschwitz-Birkenau.) Le regole sono incollate sulla porta delle cabine. Il soldato ha sempre ragione. È vietato baciare. Si richiede obbedienza assoluta. Le ragazze non possono farsi dare

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nulla, fumare (i soldati sì) e via di seguito. Devono essere pulite e profumate. Mostrarsi accondiscendenti. Saper parlare di ciò di cui vuol conversare il soldato. Di pesci, di corse in slitta. Dei vari tipi di automobili. Senza far tanti ragionamenti inutili. La mattina di quel primo venerdì madame Kulikowa le aveva chiesto come si sentiva. «Forte» era stata la risposta. «Sono contenta che tu non dica bugie» aveva detto madame. Aveva cercato nei suoi occhi verdi la debolezza che l’ostinazione aveva soppiantato. La forza di madame Kulikowa non risiedeva solo nei suoi muscoli, nei seni possenti che parevano due zucche e nelle cosce robuste coperte da cuscinetti di grasso, ma anche nella sua memoria. Le faceva fondere tutto in racconti ed episodi. Infilzava storie passate e dimenticate della sua vita personale come perline su un filo. Si proteggeva con la memoria, scudo invisibile. Tornando a tempi migliori. «I vantaggi li dividiamo in parti uguali» aveva detto infine madame Kulikowa in tono un po’ vago e astuto. Da vera puttana aveva subito capito con chi aveva a che fare. Poi aveva aggiunto: «Un uomo è come un bambino e spesso come tale si comporta. Si aspetta di ottenere quel che vuole. Presuppone che nei suoi confronti ti comporterai in maniera disinteressata, come una madre». L’aveva esortata a pensare alle cose più piacevoli. Lei stessa aveva già assistito alle fucilazioni di un paio di ragazze contro il muro posteriore; ancor prima era stata a Auschwitz-Birkenau, nel settore ariano. A Cracovia i tedeschi amavano impiccare i polacchi a ganci di macelleria di produzione locale. Tra le regole del bordello quella fondamentale è: non parlare di morte, dolore o sofferenza, quand’anche fossero i soldati, i sottufficiali o gli ufficiali a cominciare. Una ragazza ignora la morte, il dolore, la sofferenza.

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A una scarica di botte si sopravvive, purché non si ripeta più di tre volte. L’amplesso, a volerlo proprio analizzare passo dopo passo come un’esecuzione capitale, si andrebbe troppo per le lunghe. L’Oberführer Schimmelpfennig aveva ordinato di incollare sulla porta delle cabine, nonché in sala d’attesa e ai lavatoi, il decreto: “Si proibisce con decorrenza immediata: Fornire servizi senza protezione di gomma. Si vietano quanto più severamente i rapporti anali, orali e violenti. Prendere in bocca urina o seme. Condividere protezioni o strumenti erotici già utilizzati”. dodici: heinrich faus, felix schellenberg, fritz zossen, siegfried skarabis, adolf seidel, günter eichman, hans scerba, rudolf weinmann, hugon gehard rossel, ernst heidenkamf, manfred wostrell, eberhard bergel. Sull’avambraccio e sulla pancia un polacco che veniva dal Wehrkreis aveva tatuato loro la parola Feldhure, puttana da campo, perché non gli venisse voglia di scappare. 2.

D

i sera, mentre spalava la neve accanto al cancello con l’aquila imperiale, componeva i monticelli in coni.

Chi era la Panciona, dalla quale aveva ereditato la cabina numero 16 e una pentola di ghisa per scaldare l’acqua e il mastello? E chi invece Krikri o Maria-Gisela? Le prime due erano finite al muro, la terza all’“Hotel per stranieri” di Festung Breslau, la fortezza di Breslavia. Chi era la ragazza soprannominata Voce felice? Che tipa era la Bella? Estela, Maria di Poznań e la Stangona, la Grassa, la Volpe e la Cheta, le altre? Come si chiamava o quale sopran-

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