ANDREI KURKOV, DIARI UCRAINI, KELLER 2014

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andrei kurkov

DIARI UCRAINI un reportage dal cuore della protesta Traduzione di Sibylle Kirchbach

Keller editore


La maggior parte dei nomi presenti nel testo è traslitterata dal russo, la lingua in cui scrive l’autore ucraino. Per i termini seguiti dall’asterisco si veda la voce relativa nella Mappa di orientamento in fondo al libro.


Prefazione

Chi vive una vita e un luogo in cui non succede mai nulla di eccezionale, ha di solito la sensazione che il tempo sia infinito e invariabile. Questa forma di esistenza – che spesso si consolida dopo aver raggiunto l’apice della carriera professionale o dopo aver acquistato una casa, un’auto nuova, o ancora, dopo aver consumato le grandi celebrazioni familiari, i matrimoni o i divorzi – coincide in fondo con il concetto di stabilità. Chi invece vive vicino a un “punto focale”, fosse anche soltanto un vulcano ancora attivo, non ha mai la sensazione che il tempo sia infinito. Il valore di ogni singolo giorno, anzi, di ogni singola ora vissuta vicino a un fuoco è assai maggiore di un’intera settimana passata in uno stato di stabilità. Chi vive vicino a un vulcano, sia in senso concreto che metaforico, vivrà giornate così intense che gli sarà impossibile trattenerne nella memoria tutti gli eventi. Eventi che prima o poi entreranno a far parte dei libri di storia, a volte riempiendo una o due righe, a volte intere pagine, ma riducendosi comunque perlopiù a un miscuglio di nomi e date. Nel corso degli anni quindi ho capito come mai sin da ragazzo ho sempre preferito ai libri di storia i diari di scrittori e politici direttamente coinvolti

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negli eventi. Ho ancora un ricordo vivo dei diari che il grande poeta russo Aleksandr Blok scrisse tra il 1917 e 1918, e di quelli di Franz Kakfa, oltre al ricordo particolarmente acceso che mi ha lasciato l’edizione integrale di quelli di Aleksandr Dovženko, il noto regista ucraino. Li ho riletti da poco: l’autore inserisce a intervalli regolari un inno a Stalin e una carrellata di biasimo contro gli ebrei e contro gli ucraini, così da poter sfoderare lealtà al regime sovietico in caso fosse stato arrestato dal kgb e i suoi scritti privati fossero capitati in mani sbagliate. Sono più di trent’anni che tengo un diario. I miei editori ucraini mi hanno chiesto più volte di poterne pubblicare almeno qualche estratto, ma non sono mai riuscito a prendere da questi scritti privati qualcosa che fossi pronto a condividere con i lettori. Ora però, dopo aver vissuto già diverse “tempeste della storia”, sono di nuovo diventato testimone di eventi drammatici, iniziati in Ucraina a novembre del 2013 e non ancora terminati. Non posso sapere come finirà il tutto, non so nemmeno cosa aspetta me e la mia famiglia domani. Posso soltanto sperare. Ma non me ne vado dal Paese. Non mi nascondo dalla realtà. La vivo. Giorno per giorno. Noi tutti – io e mia moglie Elizabeth, e i nostri figli Gabriela, Teo e Anton – continuiamo a vivere insieme nella nostra casa, un appartamento al terzo piano nel centro di Kiev, a

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soli cinquecento metri dal Maidan*, con un balcone dal quale abbiamo visto il fumo salire dalle barricate, le granate esplodere, le armi sparare, una casa che lasciamo regolarmente per andare al lavoro o a manifestare o da qualunque altra parte. Per tutto il tempo, infatti, la vita ha continuato ad andare avanti, non si è fermata mai neanche per un istante. E questa vita l’ho raccontata quasi giornalmente nel tentativo di catturarne i dettagli. Una vita nel grembo della rivoluzione, in attesa di una guerra che anche adesso, mentre scrivo queste righe, sembra imminente, forse ancora piĂš di quanto non lo fosse giĂ una settimana addietro.

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21 novembre 2013 Questa notte, poco prima dell’una, quasi nel mezzo tra un giorno e l’altro, è caduta una meteorite su Sebastopoli*. E perché mai proprio su Sebastopoli? Puro caso presumibilmente. Eppure: perché scegliere proprio la città più russa di tutta l’Ucraina, le cui pittoresche insenature fungono da base per la flotta militare russa?! Forse non avrei dedicato alcuna attenzione alla meteorite, se non fosse che proprio oggi il primo ministro Nikolaj Azarov ha annunciato la sospensione della firma dell’accordo sull’integrazione dell’Ucraina nell’Unione Europea. Nella mia trilogia Geografia di uno sparo solitario descrivo una fabbrica segreta, nascosta da qualche parte negli Urali, in cui si producono meteoriti artificiali. I vertici militari dell’Unione Sovietica sognano infatti di distruggere gli Stati Uniti con meteoriti artificiali facendoli passare per veri. Non ho quindi potuto evitare di pensare: E se fosse stata una meteorite artificiale mandata dalla Russia per segnalare alla “città più russa di tutta l’Ucraina” che l’incontro tra Janukovič e Putin sull’abbandono dell’integrazione in Europa si era concluso con successo (per Putin)? Buonanotte Europa. Ce ne torniamo ad abbracciare la grande madre Russia. L’Europa sembra sotto shock. Anch’io lo sono. Ma c’era bisogno allora che Janukovič ci raccontasse per sei mesi che “andiamo in Europa”? C’era bisogno che ancora a settembre di quest’anno mettesse in riga la sua fazione par13


lamentare nel quartier generale del Partito delle Regioni, che ha sede storica nel cinema Zoriany, e che esortasse i suoi membri a seguirlo verso la terra europea, invitando gli indecisi ad andare pure a cercarsi un altro Partito?! E adesso in che direzione marcerà, avanti marsch, quel Partito delle Regioni tanto docile ai suoi ordini?! La reazione del popolo all’annuncio di Azarov non si è fatta attendere, la sera stessa si è riunito a Maidan Nezaležnosti, la piazza dell’Indipendenza. Alla notizia principale, sulla sospensione dell’adesione all’ue, si è aggiunta un’altra dichiarazione. Il Ministero degli Esteri ucraino ha trombeggiato con aria festosa che d’ora in avanti non sussiste più alcun pericolo ad andare in vacanza in Egitto. Cioè: Ragazzi, al posto di imbarcarvi per l’Europa, volate in Egitto e fatevi saltare in aria – accidentalmente, o appositamente, quel che sia – dal primo “gruppo rivoluzionario” islamico che vi capiti. Mi manca l’aria. E io che dovrei andare a Vilnius a tenere un discorso sulle prospettive dell’Ucraina in Europa e gli effetti dell’integrazione sulla vita del Paese! Il copione che seguono gli eventi è pertanto sempre lo stesso: Azarov fa il suo annuncio mentre Janukovič è assente. È in Austria e da lì rassicura l’Europa che non c’è niente da temere, lo firmeremo ancora questo accordo, ma un po’ più tardi. Nel contempo aggiunge che, no, la liberazione della Timošenko* non è in programma.

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Se Janukovič fosse un dragone a tre teste, comparirebbe senz’altro in questo istante in tre posti diversi e le sue teste si muoverebbero comunque sincronizzate tra di loro. Ma se una di queste capitasse a Mosca, la “bocca moscovita” di Janukovič reciterebbe un testo ben diverso dalle altre due e l’Europa non verrebbe nemmeno menzionata. Avevo voglia di prendere una boccata di aria. Senza finire il nuovo capitolo del mio romanzo lituano1, sono andato nella caffetteria Jaroslavna a bere un caffè. Ne ho poi corretto il gusto con un bicchierino di cognac ucraino Zakarpatskij. Che però non mi ha fatto stare meglio. In quel momento non c’era lì nessuno che conoscessi. Sono entrati alcuni avventori con sguardi tanto abbattuti che sembrava avessero capito anche loro che l’Ucraina se la deve scordare l’Europa, almeno per ora. O forse erano preoccupati per qualcos’altro di personale, magari banali problemi della vita quotidiana. Tornato a casa, sono andato su Facebook. L’invito a unirsi alla protesta e chiedere con forza che l’accordo venga firmato sta facendo il giro di tutte le bacheche. Si consiglia di portarsi dietro vestiti caldi, tappetini di gomma, thermos di tè e qualcosa da mangiare per la notte. A me manca proprio la forza di andare. Non lo desidero, anzi, non avverto proprio alcun desiderio. Per di più in 1 L’autore si riferisce a un romanzo a cui sta lavorando, ambientato in Lituania. n.d.r.

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televisione c’è Putin che sorride di gusto mentre il presentatore dice, scandendo le parole con tono sospetto, che la Russia è lieta di incrementare i suoi rapporti con l’Ucraina. Ma quali rapporti? Tre anni di guerre commerciali, con tanto di embarghi sull’esportazione dei formaggi e della carne o dei salumi e della birra, e via di questo passo; è stata vietata perfino l’esportazione degli aerei ucraini Antonov, la cui produzione non è mai stata nemmeno avviata! Al crepuscolo mi torna in mente l’unico sorriso che la giornata è riuscita a strapparmi. Il comico Michail Dobkin (governatore della regione di Char’kov, ex sindaco della città, e prima ancora ex poliziotto) ha scritto una nuova poesia, dedicata a una sua collega, Irina Farion, la più convinta adepta del Partito nazionalista Svoboda (Libertà). Da poco si è saputo che si era iscritta al vecchio Partito comunista sovietico proprio quando la gente iniziava ormai a uscirne, alla fine degli anni Ottanta, cosa che lei ha sempre negato, fino al giorno in cui hanno tirato fuori dagli archivi il fascicolo che dimostrava non soltanto la sua iscrizione, ma anche che lei, il pc non lo avrebbe mai voluto lasciare. Simonenko, il capo della sezione ucraina del pc, ha dichiarato che la Farion è ancora regolarmente iscritta ma che al prossimo congresso la escluderanno di sicuro perché non paga la quota d’iscrizione da ben venticinque anni! Ed ecco che arrivano le rime di Dobkin sulla Farion: “Irina

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