DOMANI È DOMENICA, Sandrine Fabbri

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sandrine fabbri

DOMANI È DOMENICA Traduzione di Daniela Almansi

Keller editore


F

ino all’ultimo hanno ballato. Fino all’ultimo pezzo. E dopo, dopo questo primo incontro al Grand Hotel sul lungolago che posso solo immaginare, raccontato da suo fratello che suonava con i Cadetti di Ginevra, e dopo cosa è successo? Briciole, ecco cosa ho ottenuto, sempre e solo briciole, frammenti strappati nel corso degli anni, estratti estirpati con le tenaglie da bocche di tacer bramose, bocche che mi imploravano di concedere a tutti la pace dell’amnesia. Le mie domande hanno trovato solo scappatoie e pseudospiegazioni, luoghi comuni che allontanano sempre più l’inconcepibile definitivamente ineffabile. Dimentica, dimentica, suo fratello, sua sorella, tutti, sempre, mi imploravano di dimenticare, di non parlarne, perché rivangare il fango del passato, lascia i cadaveri dove stanno. Come faccio a dimenticare, come faccio a dimenticare prima di sapere. Il dramma lo conosco. Il motivo e l’autore dell’intreccio, no. Su mia madre mio padre ha sempre imposto un silenzio di piombo, nemmeno un ricordo ha mai evocato della defunta se non per pretendere ostinatamente che la sua morte fosse stata un incidente e che lei lo avesse amato fino all’ultimo. Un incidente che avevo intuito? Un incidente che avevo anticipato? Scap-

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pare, lei voleva scappare da lui, è scappata da lui nella morte. È amore questo, amore fino all’ultimo? Mio padre ha fagocitato mia madre nei suoi sogni menzogneri, per non doversi confrontare con lei e per portarmela via. Ora che anche lui non c’è più, ora che lui tace, lui che non ha più pronunciato il nome di lei da quella notte in bianco in cui ha gridato, ora quindi, dopo ventisette anni di silenzio e di menzogne, voglio sapere perché lei, prima di partire definitivamente, era rimasta. Cosa è successo dopo quel primo incontro al Grand Hotel sul lungolago, come si sono concatenati gli eventi che hanno portato all’intrecciarsi di due vite fino alla cancellazione di una delle due. Due giorni dopo lui le ha telefonato, si lascia sfuggire suo fratello. Lei aveva ventitré anni ma viveva ancora con noi, non si voleva sposare. Voleva godersi la vita, amava la musica, le sale da ballo, gli amici, gli amanti, i viaggi. Ma lui era paziente, testardo. Si è imposto, a poco a poco. Lei lo lasciava, lui tornava. Lei rompeva con violenza, a volte in pubblico, una volta lo ha addirittura schiaffeggiato davanti a noi, ma lui niente, non si scoraggiava. Il giorno dopo le portava dei fiori. Sicuro di convincerla, sicuro di vincerla. Lui era più vecchio, di undici anni, per lui era arrivato il momento, da un bel pezzo, di sposarsi, aveva fatto carriera, l’immigrato slavo meccanico di precisione col passaporto italiano era diventato funzionario internazionale a

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Ginevra, poteva, voleva metter su famiglia. E ha scelto lei, che voleva solo godersi la vita. Perché? Erano belli quando ballavano insieme, aggiunge suo fratello, unica immagine di armonia rubata a tutte quelle scene di conflitto, immagine che riprende in infinite declinazioni la prima, quella dell’incontro, come se tutto fosse rimasto fermo lì, come se la loro sola possibile vita insieme fosse stata un eterno pas de deux sopra l’abisso. E lei perché lo ha sposato, se fin dall’inizio non faceva altro che scappare? Perché ha ceduto, perché ha ceduto a lui malgrado le liti, le rotture? Cosa le è piaciuto in quell’uomo? Era galante come nessuno qui, di quella galanteria slava, le apriva la porta, le infilava il cappotto, le accendeva la sigaretta, ed era generoso, generosissimo, cedeva a tutti i suoi capricci, sì, era proprio innamorato, dice ancora suo fratello che cerca, invano, qualcosa da aggiungere. Nessuno mi ha mai dato un motivo valido. O si è dato la pena di cercarne uno. Lei non avrebbe dovuto sposarlo. Punto. Malgrado le danze, malgrado i capricci, malgrado la galanteria. È stato un errore. Tutto qui, perché cercare oltre. Ma non si commettono errori del genere, errori mortali, senza un perché, per un po’ di danze, di capricci e di galanteria. Come accontentarsi di un padre che oltre a non essere il suo tipo è stato pure un errore, un errore mortale che

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tutti preferiscono scacciar dalle memorie e bandir dalle parole per ritrovare un dolciastro benessere. Come accontentarsi di una madre che cede alle danze, ai capricci e alla galanteria, lei che aveva tutto questo, lei che era circondata da amanti. Altro, ci doveva essere altro, qualcosa che l’ha spinta a rimanere con quest’uomo che non era il suo tipo perché troppo serio, troppo possessivo, perché voleva lei, proprio lei con la sua bellezza e la sua leggerezza, il suo umorismo e i suoi stravaganti sbalzi di umore, sì, lui voleva tutto questo. Ma non ciò che tutto questo comportava. La vita che lei conduceva. E che avrebbe tentato di portarsi dietro. Perché è andata con lui? Non lo amava, me l’hanno sempre detto. Ma non può aver semplicemente ceduto andando contro se stessa, contro il desiderio, contro l’amore. Ha ceduto alla sua determinazione, alla sua fedeltà, aveva bisogno dell’amore che lui aveva per lei, ha amato l’amore che lui provava per lei? Ha avuto paura, paura di invecchiare, di avere trent’anni senza essere sposata, sai negli anni Cinquanta, la pressione sociale, anche su di lei, mi dice sua sorella, io ero troppo giovane, non capivo come mai abitasse ancora da noi dato che si guadagnava da vivere e aveva degli amanti. Mi ricordo, la prima volta che mi ha parlato di lui, mi ha detto tutta orgogliosa: È biondo, alto, slavo e funzionario internazionale. Che fosse funzionario internazionale le

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piaceva da matti, era impressionata da quello status, da quella sicurezza. Lo status, la sicurezza, lei così indipendente, eccentrica, lei che si godeva una vita libera, una vita di amanti e di bohème? L’esotismo lo posso capire, uno slavo, uno slavo galante, c’era di che stuzzicare la fantasia. E sì, forse, un funzionario non statale ma internazionale negli anni Cinquanta doveva essere una cosa poco comune, il cern era ancora agli inizi… E poi lo statuto di funzionario internazionale con tutti i suoi vantaggi, specialmente fiscali, mascherava il vero mestiere di mio padre. Meccanico di precisione. È durata cinque anni. Per cinque anni, mio padre ha sottoposto mia madre che lo lasciava in continuazione a una corte ostinata.

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