LE LUPE DI SERNOVODSK, Irena Brežná

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LE LUPE DI SERNOVODSK Reportage sulla Cecenia Traduzione Alice Rampinelli

Keller editore



  Anna Politkovskaja

Durante la Conferenza di Mosca sulla Cecenia prende la parola Irena Brežná, giornalista e scrittrice svizzera arrivata in Russia da Basilea per scrivere un reportage sulle donne cecene; l’ marzo si è introdotta nel villaggio di Sernovodsk dopo la sua “epurazione”, nascosta in mezzo a un gruppo di cecene alle quali era stato concesso del tempo per mungere le mucche, portare all’abbeveratoio gli animali e seppellire i morti: «Dopo tutto questo, di cosa dovrei scrivere? Del livello spirituale del Vostro Paese, che permette a soldati giovanissimi di penetrare nelle case cecene, di saccheggiarle, di fare a pezzi ogni cosa e addirittura di portarsi via la biancheria intima femminile (un regalino per l’amata?), di fare i propri bisogni in salotto, di bere vodka, di lasciare siringhe vuote in giro… Faccio fatica a comprendere quello che ho visto. E le cose che i membri dell’esercito non sono riusciti a rubare, le hanno crivellate di colpi. Hanno chiuso le mucche nelle camere da letto, nei salotti… Si può ben immaginare quel che 9 |    


hanno trovato poi le proprietarie di casa… Le cecene hanno scavato fosse per i loro morti, hanno dato da mangiare agli animali e hanno parlato con loro come si fa con le persone. (…) Mi ha sconvolto anche l’assenza dei media internazionali. E che assenza! Più di seimila rifugiati provenienti dal villaggio di Samaški – e solo un giornalista finlandese… Un vero peccato anche che non ci fossero gli intellettuali russi, i quali avevano dichiarato che sarebbero venuti a dire net a questa guerra efferata e senza regole. Per come la vedo io, se non vanno in Cecenia e non protestano, sono complici. Proprio non riescono a immaginare cosa ne sarà di questi uomini votati al saccheggio, visto che hanno tutta la vita davanti? Perché gli intellettuali russi non dicono ora quello che pensano? Mio figlio ha diciotto anni. Nelle postazioni militari ho parlato con reclute della sua età, sono ragazzi sporchi, affamati, corrotti. Parlano solo nello slang volgare, il mat. Quando ho chiesto perché mi parlassero in quel modo, un soldato si è scusato e mi ha risposto che ormai non se ne rende nemmeno più conto, non conosce un’altra lingua oltre a quella…» Il  marzo Irena Brežná è tornata nella sua meravigliosa Svizzera – per scrivere. Certo, si potrebbe senza dubbio pensare che questa giornalista sensibile si sbagli di grosso, che sia frastornata   K | 10


dalla propaganda di Dudaev. E chissà – magari è addirittura un’agente di Dudaev. Però torniamo alla domanda che ci è stata rivolta: dove sono gli intellettuali russi? Sì, infatti, noi dove siamo? C’è solo una risposta: siamo stanchi. È così che si dice. E poi si dice che qui a Mosca l’abbiamo visto fin troppo – il sangue versato in Cecenia. Si dice anche che la psiche deve riprendersi. Già da un anno e mezzo non facciamo che angustiarci per via di ciò che accade in Cecenia, è un tempo davvero troppo lungo per il sistema nervoso di una persona intellettualmente sviluppata. Non prendiamoci in giro – siamo noi che parliamo così. Noi, e nessun altro. Dimostriamo un’incredibile capacità: quella di abbandonarci all’autoipnosi collettiva per non vedere quanto siamo inebetiti. Al diavolo questo intelletto (…)!  ,  , ,   .

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Le lupe di Sernovodsk

Quel lunedì  marzo  indossai una lunga gonna scura e una giacca di pelle marrone; vestita così assomigliavo alle donne del posto. Solo che avevo il capo scoperto. Era una settimana ormai che passavamo le giornate sulla strada principale della cittadina inguscia di Slepcovskaja, a parlare con i rifugiati che venivano dal vicino villaggio ceceno di Sernovodsk e che ascoltavano stoici il bombardamento del loro villaggio. Giorno e notte sentivamo gli schianti e i fischi dei colpi di artiglieria, delle bombe e degli ordigni, eppure non riuscivano a frenare il nostro fiume di parole. La sera ci sintonizzavamo sull’emittente russa Pervyj Kanal, in cui quest’azione punitiva era definita con i soliti termini militari: far “piazza pulita” di banditi e terroristi. Sul cadavere di un ufficiale russo era stata rinvenuta una cartina militare preparata per la conquista del villaggio. C’erano dei cerchi rossi attorno alle case da distruggere, tra cui quella del sindaco. Era la prova che i negoziati tra i militari russi e gli anziani del villaggio per evitare i bombardamenti erano solo una menzogna. 15 |    


Domenica  marzo la raffica di bombe contro Sernovodsk si era arrestata, e il giorno seguente le donne avevano avuto il permesso di tornare nel loro villaggio per un paio d’ore. Quel lunedì mattina, sulla strada principale regnava un’agitazione incredibile. Vidi partire gli autobus con le rifugiate, feci un cenno all’autista, saltai a bordo e chiesi: «Signore, avete un fazzoletto da darmi?» Nell’autobus, alcune donne mi si fecero intorno, una giovane contadina mi annodò un fazzoletto attorno alla testa. Era grande e beige, con frange di lana sporgenti. «È di mia nonna, lei è rimasta a Sernovodsk» mi disse. «Metti via l’anello» mi consigliò un’altra «o te lo portano via loro». Le donne non li chiamavano mai “soldati” o “russi”, dicevano semplicemente “loro”. Come se parlassero di esseri umani di un altro genere. Mi tolsi l’anello e lo misi nella tasca della giacca. Il passaporto svizzero e il badge da corrispondente speciale che mi era stato rilasciato dal Ministero degli esteri a Mosca, me li infilai nei collant, all’altezza della pancia. «Sei un’insegnante di Sernovodsk e ti chiami Irina Michailovna Kuznecova». «Ma quando parlo russo, l’accento si sente». «Se piangi non lo noteranno».   K | 16


Per la gioia delle signore ripetei: «Irina Michailovna Kuznecova». Ci avvicinammo alla postazione militare, e le donne mi istruirono in fretta: «Non fare neanche un passo da sola, non aprire nessuna porta e non entrare da sola nelle case. Potrebbero aver messo delle granate che esplodono quando apri la porta. Devi restare con noi. Avranno anche schierato i tiratori scelti, e ci osserveranno con i cannocchiali». Scendemmo. Fissai due bassi soldati che camminavano avanti e indietro armati di enormi kalashnikov. Sul volto, dei passamontagna neri di lana. «Guarda a terra, altrimenti quelli ti riconoscono dallo sguardo». «Ho paura» dissi piano. Una donna mi prese sottobraccio: «Abbiamo tutte paura. Vieni con me, qualcuno deve pur scrivere tutto». Davanti al posto di blocco c’erano già più o meno duecento donne in attesa. Un carro armato fendeva lento la folla che si divideva per lasciarlo passare. Fui spinta verso il bordo della strada, ma le donne mi trattennero: «Non allontanarti dalla strada, la settimana scorsa, proprio qui, tre donne hanno rincorso una mucca e sono saltate in aria per una mina». Quattro soldati senza passamontagna controllavano i documenti. Fui spintonata vicino a un 17 |    


vecchio soldato dal volto smunto, ma decisi di farmi largo fino a uno più giovane con gli occhi azzurri. Quando fu il mio turno le lacrime mi scorrevano senza sforzo lungo le guance, e le dita fredde si torcevano nervosamente: «La mia casa è bruciata, ho perso tutto». Il soldato tentò di mascherare con la disciplina una sorta di compassione: «Ha un permesso di soggiorno per Sernovodsk?» Deglutii, e alcune donne gridarono indignate: «È la nostra insegnante. Non ce l’ha una coscienza, lei?» Lui mi guardò con aria inquisitoria e mi lasciò passare. Le donne mi presero nel loro gruppo bisbigliando: «Ben fatto». Camminammo sempre dritto sulla strada principale per circa venti minuti. Tutt’intorno, avvolta nel gelo sottile, la campagna morbida. Pensavo all’esercito di occupazione che aveva accerchiato il villaggio e riempito i campi di mine, pensavo a quanto fosse stretta la striscia d’asfalto sicuro sotto i nostri piedi. La guerra restringe gli spazi, pensai. Alcuni giovani alberi sul bordo della strada erano crivellati di proiettili, i rami spezzati penzolavano verso il terreno. «Perché hanno sparato agli alberi?» «Così» rispose una donna.   K | 18


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