catherine mavrikakis
GLI ULTIMI GIORNI DI SMOKEY NELSON Traduzione di Silvia Turato
Keller editore
SYDNEY BLANCHARD
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a ti muovi o no, cinese di merda?! Non vedi che mi fai perdere l’entrata al cimitero, deficiente… E adesso, cazzo fai??? Va’ a parcheggiare, sol levante! Cavati di torno… Mai visto un coglione così! Hai visto, Betsy? T’hanno svegliato ’sti stronzi… Te la dormivi, vero ciccia? Una motoretta, sembravi… Un trattore. Ma guarda! Guarda… Porca troia! C’è tutta la famiglia asiatica! Cazzo… Bloccato… Un corteo di mangiariso al completo… Manco per i funerali mollano le cinesate, quelli… Ficcano oro dappertutto… Come in quelle cazzo di pagode… Bisogna accecarci… Peggio dei fari della mia macchina! Dev’esserne schiattato uno e tutti dietro a portarlo all’eterno riposo! E doveva proprio capitare il giorno che vengo al Greenwood Memorial Park Cemetery! C’ho messo un po’ a trovarlo il posto… Ho girato in macchina come un coglione… Anche con le indicazioni del mio coinquilino, Lewis… Tu dormivi, Betsy… Hai fatto bene a russartela, la mia locomotivetta, mi ero proprio perso per strada… Non c’era niente da vedere… Che palle! Saranno i cinesi a portare sfiga! Mica è la prima volta che mi fanno un tiro del genere… Ci invadono la città, cazzo! Vengono da quel loro Paese del cazzo e si riproducono come conigli… A casa loro sono miliardi… Hanno bisogno di spazio… E allora, vi spicciate??? Se continuate così, rischiate di farvi il funerale di qualcun altro dei vostri… Finisce male, eh! Il mio cane vi mangia naso e didietro! Bisogna che gli mostri i denti, Betsy, che fai la cattiva,
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che li spaventi ’sti guerrieri kung fu! La mia pazienza ha un limite… Cazzo… Fagli passare la voglia di piangere, io… Non ci credo! Ma…! Non ci credo… La puttana troia, non ci posso credere… Questi guidano come delle vecchie, nelle loro macchinette mignon… ok, dai, imparerai un altro giorno come si parcheggia! Spicciati, mezza porzione! Voglio solo passare a destra… Uff! No! Eccone un altro che vuole uscire e che ha la brillante idea di andare in senso contrario ai suoi amichetti… Mancava solo ’sto coglione! E poi, tutti gli altri che han deciso di fargli ciao ciao con la manina… Va solo a comprarsi le sigarette, ragazzi! Non è che serve fargli una scena d’addio… Non state a tirar fuori i fazzoletti e a preparare il discorso… Pare che tutta la Cina s’è data appuntamento qui, oggi, in ’sto cazzo di cimitero… Tutto il popolo dei mandarini… A Renton. Per il funerale di un vecchio bonzo… Cazzo, non finisce più… Eccone un’altra… Sì, parcheggia… Sì, così, amore, così… Vai così… Sì, piano, piano… Ce la puoi fare… Con calma, mi raccomando… Non ho fretta… Nessuno ha fretta… Rilassati, va’ tranquillo amico… Sono felice per te… No ma, detto fra noi: l’hai trovata in un pacchetto di Cracker Jack la patente? Sì, direi, no? Non lo dico a nessuno… Betsy guida meglio di te, imbecille… Ma nel tuo Paese ci sono le macchine, amico? Smettila di guardarmi! Sono nero come il carbone che usavi per scaldarti nel tuo buco di casa e la mia macchina è grande come una nave da crociera… Non come la bagnarola che t’ha portato qui… È la prima volta che vedi una roba così, eh? Non ti agitare! Sì, ho una Lincoln Continental bianca e decappottabile del 1966… Bello mio, mi sa che non hai mai visto quella di Kennedy in tivù… Da voi c’era la censura e poi avevate solo la radio, immagino… A Dallas, al momento della sua morte, John Fitzgerald era in una Lincoln nera, decappot-
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tabile… Del 1961… E non gli ha impedito di essere ucciso… Kennedy, ti dice qualcosa, tesoro? Ti ricordi Mao? Ti fa impressione, caro mio, vedere Betsy, il mio cane, sul sedile del passeggero che ti guarda come fossi veramente un coglione… Beh, devi sapere, bello, che Betsy è mille volte più furba di te… Fa un sacco di robe che non puoi neanche immaginarti! Un bull terrier come lei non ha niente a che vedere con i barboncini agghindati delle vecchie… Mica perché a casa tua la gente come te vende i cani come bestie e li mangia, che devi attaccare a salivare quando vedi il mio, di cane! Sono io che ti mangio, la mia zuppetta di miso… Ti faccio passare la voglia di vivere, se scendo con Betsy dalla macchina! L’hai finita di fissarci, Confucio? Sì, bambolino, ho gli interni rossi, rossi, e fai bene a pensare che a Seattle fa un tempo di merda per un gioiellino così… Sì, hai proprio ragione, bellino, ma adesso che hai guardato per bene la macchina, che ti sei fatto una foto completa e registrato tutto nella tua testolina vuota, che hai fissato abbondantemente il negro losco e schifoso che ci sta dentro e che comincia a farti paura con i suoi dentacci bianchi, potresti semplicemente accelerare e continuare per la tua strada ricordandoti che un motore così non ce l’avrai mai… Bisogna saper guidare, prima di poterselo comprare! Sai, la mia macchina non è fatta per un demente come te… Ficcatelo bene in quella roba che c’hai al posto del cervello! Oddio… Ecco che ne escono dodici da quella Mazda scassata! Ci invadono con le loro macchine orribili che inondano il mercato… Non ce l’abbiamo ancora fatta, Betsy… Ti dico solo questo… Ma non metterti ad abbaiare, ciccia! Di certo non aiuta… Occhio! Occhio che la macchina nera ti entra dentro, deficiente! A meno che non ti piaccia farti inculare, bello mio, è meglio se dai un colpo di clacson… Ottimo, ti sei svegliato, cocchino…
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PEARL WATANABE
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’aereo era appena decollato e già Pearl era pentita del viaggio che stava per intraprendere. A Honolulu aveva infine ritrovato una vita tranquilla e pacifica in un mondo protetto. Era sull’isola di Oahu che aveva trascorso, insieme ai suoi genitori, un’infanzia felice, fortunata. Era lì che sperava un giorno di morire in serenità. L’avrebbero sepolta tra i suoi antenati, accanto al padre e alla madre, al termine di un’esistenza che avrebbe finito per non lasciare traccia. Invecchiare alle Hawaii e spegnersi tranquillamente davanti al Pacifico… Era tutto quel che Pearl chiedeva. Non voleva nient’altro… Viaggiare non esercitava più alcun fascino su di lei. Per Pearl la saggezza consisteva nel cogliere la grande fortuna di essere a casa e nella scoperta beata delle gioie nascoste nel cuore del proprio giardino. La routine le era divenuta da molto tempo amica. Forse era stato questo il motivo per cui, quando aveva ricevuto il biglietto per il continente che sua figlia le aveva fatto recapitare a casa, appena chiusa la porta dietro l’impiegato dell’ups che aveva suonato verso le nove di una sera di maggio, Pearl si era lasciata crollare sul divano chiaro e aveva pianto a lungo, guardando in lontananza la sagoma nera del suo vecchio amico, il vulcano spento di Diamond Head che si staccava sul blu profondo della notte? Non capiva bene la natura della sua improvvisa disperazione, visibilmente fuori misura, quasi infantile. Ovviamente aveva voglia di passare un mese coi nipoti, il genero e soprattutto sua figlia, la sua
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adorata figlia, ma quanto temeva di rivedere il Sud degli Stati Uniti! Ne era fuggita in modo precipitoso dopo aver tentato di stabilirsi lì quando era ancora giovane e aveva giurato di non rimetterci più piede… Era da più di tredici anni che Tamara insisteva perché sua madre le facesse visita. Era sempre più difficile trovare pretesti per giustificare i suoi rifiuti. Tamara aveva deciso di comprarle un biglietto e non c’era più modo di tergiversare. Pearl era quindi obbligata ad andare e ne era terrorizzata… Almeno sarebbe stata estate… Il mese d’agosto… Il tempo sarebbe stato bello. Un po’ troppo caldo. Molto umido… Era tutto deciso… Pearl aveva notato subito che sul biglietto figurava in rosso il nome di Atlanta. Era in quella città che sarebbe atterrato l’aereo! Niente di peggio… Tamara doveva aver pensato che sua madre sarebbe stata più comoda prendendo il volo diretto della Delta che faceva Honolulu-Atlanta in appena nove ore… Pearl non si sarebbe dovuta affrettare e agitare negli aeroporti di Los Angeles, di Chicago, di Dallas o di Denver. Non poteva certo dire che non le facilitasse il viaggio… Sarebbe partita da Honolulu nel pomeriggio e sarebbe arrivata a Hartsfield-Jackson al mattino molto presto, con il fuso orario. Tamara, da figlia perfetta, aveva previsto tutto. L’avrebbe aspettata appena scesa dall’aereo. Avrebbero allora avuto un’ora e mezza o due di strada per arrivare a Chattanooga. Nel tragitto Pearl, probabilmente stanca per il viaggio, avrebbe potuto assopirsi nella Chevrolet Astro, un vero e proprio camioncino di cui Tamara vantava le qualità! Tamara era così felice dell’arrivo di sua madre! Pearl si faceva beffe delle preoccupazioni della figlia riguardo al viaggio. La madre sapeva bene che, nonostante i timori di Mara, non avrebbe avuto bisogno di dormire sull’Astro e che avrebbe anche potuto fare scalo qualche ora in un grande ae-
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roporto senza perdersi. Pearl dirigeva da anni il servizio alla clientela di un grande hotel di Honolulu. Solo sua figlia vedeva in lei una vecchia signora incapace. Tuttavia, quando sentì l’aereo prendere velocità e staccarsi violentemente dalla pista per alzarsi nel cielo color inchiostro del Pacifico, Pearl pensava ancora al nome di Atlanta, che tanto l’aveva scossa nel leggerlo sul biglietto… Ritornare nel Sud degli Stati Uniti le sembrava una cosa talmente dolorosa… Certo, si sarebbe potuta divertire con i nipoti e per una parte dell’estate occuparsi di loro. Benché la stagione fosse un po’ in là, si sarebbe data da fare per sistemare il giardino della figlia. Sarebbe piaciuto a entrambe! Da maggio però Pearl era riuscita ad abituarsi all’idea del viaggio. Aveva chiesto un lungo congedo alla direzione dell’hotel Westin, dove lavorava da ormai diciott’anni. Le avevano accordato tutti quei giorni. Una vecchia impiegata come lei meritava di certo di assentarsi un po’ per andare a trovare sua figlia. Prima della partenza Pearl aveva fatto molti straordinari, per essere d’aiuto e coprire le assenze durante le vacanze dei colleghi. Era piuttosto fiera di essere un’impiegata coscienziosa, devota… Quel soggiorno in famiglia si sarebbe svolto in modo molto piacevole. I bambini sarebbero stati adorabili. Howard, il genero, non le avrebbe permesso di lavare le sue cose! Lui e Tamara l’avrebbero coccolata, rimpinzandola per bene! Andava lì a prendere un po’ di chili, garantito… Avrebbe provato a buttarli giù zappando il giardino e anche facendo jogging tutte le mattine. Avrebbe avuto tutto il tempo… In più non conosceva Chattanooga e avrebbe finalmente visto la casa di sua figlia. Ma dopo il decollo, mentre il Pacifico scorreva indifferente sotto la carcassa dell’aereo, lungo le duemilacinquecento miglia che lo separano dal continente americano, a Pearl sembrò che passare per Hartsfield-Jackson
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e traversare in un modo o nell’altro la periferia di Atlanta, così carica di ricordi, fosse al di sopra delle sue forze, non capendo come Mara non avesse potuto prevederlo. Lei che ancora ieri al telefono si vantava con la madre di pensare a tutto. * Tamara aveva sistemato le stoviglie e messo a dormire i suoi due bambini, Luke e Ava, di quattro e cinque anni. Si era appena seduta al tavolo della cucina e aspettava in modo un po’ distratto che il bollitore rosso di ghisa smaltata l’avvertisse con il suo fischio acuto che l’acqua era calda. Tamara voleva prepararsi un tè verde. Ancora senza fiato per tutto quello che aveva appena fatto, si meritava un attimo di riposo. Si era fermata anche solo un secondo? La spesa, i lavori di casa, la cena, il bucato non le avevano dato pace… Doveva essere tutto pronto per domani! I bambini avevano passato il pomeriggio da Deborah, l’unica amica che Tamara avesse conservato dai primi anni sul continente. Debbie cresceva sola due bambini più o meno dell’età di Luke e Ava. Spesso Deborah e Tamara si scambiavano dei piccoli piaceri. Oggi questa loro solidarietà aveva permesso a Tamara di fare il grosso. Howard sarebbe rientrato in un’ora. Lavorava anche quella sera, pover’uomo! Gli orari dei concessionari d’auto non erano per niente facili negli ultimi tempi… Howard non era a casa prima delle nove o le dieci di sera… E tutto per ben poco, dato che con il prezzo della benzina e la recessione le macchine non si vendevano granché… Almeno d’estate… Tamara era nervosa. Forse una tisana l’avrebbe calmata… Anche se verde, il tè dopotutto non era una buona idea… Non sarebbe riuscita a chiudere occhio per tutta la notte. Un infuso senza caffeina sarebbe stato meglio. Dove aveva
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colpito tutti e in particolare i media che avevano finito per adorarla. Ma quella probità le era naturale. Non c’era nessun merito in questo. In quel preciso istante nel parcheggio aveva vissuto qualcosa di nuovo, di incredibile, ma non era stata capace di vederlo sul momento, pensando solo di scambiare due parole allegre con un cliente, fumando e flirtando un po’… Ancora oggi, non riusciva a concepire ciò che era avvenuto tra lei e Nelson quel mattino d’ottobre del 1989. A bordo del Boeing della Delta che la riportava dopo quasi vent’anni a Atlanta, Pearl era finita sull’estratto del libro di Deepak Chopra. Una frase fu per lei all’improvviso chiara: “Se foste testimoni di un miracolo, sareste capaci di riconoscerlo?” È vero, da anni Pearl si sforzava di vedere i grandi e piccoli miracoli della vita. Ma non arrivava ancora a cogliere in tutta la sua portata il miracolo di quel mese d’ottobre del 1989, quando aveva fumato una sigaretta ridendo con l’assassino della famiglia O’Connors. Allo stesso modo il suo ritorno nel Sud doveva essere accolto come un avvenimento prezioso che le avrebbe insegnato quel che ancora non sapeva e che aveva fuggito. La vita era fatta di svolte e sbandamenti, di tempi vuoti e di accelerazioni. Bisognava essere pronti a vedere ciò che riservava. Pearl non voleva mancare gli appuntamenti con il destino. L’aereo che volava in direzione di Atlanta conduceva Pearl verso un pezzo della propria stella che all’improvviso desiderava staccare dal cielo e tenere stretta.
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RAY RYAN
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i sta alzando il sole oggi, Ray. E quest’alba, figlio mio, celebra l’ultimo giorno degli impuniti. Domani mattina a quest’ora, sai bene, l’empio sarà morto. Il regno dei vivi sarà purgato del male che ospita da così lungo tempo. Così ho deciso… Gli uomini non possono farci nulla. Sono sempre stati impotenti davanti a me. E lo rimarranno. Sia fatta la mia volontà! Ray, domani il sacrilego comparirà di fronte alla giustizia divina e sarò io il solo a giudicarlo. La legge degli uomini è debole, ridicolmente piccina in confronto al tribunale del Cielo, l’immenso, l’unico per l’eternità. Da molto ti prometto un castigo per l’assassino, e domani, prima del levar del sole, Ray, mio lealissimo figlio, sarà esaudito il tuo desiderio più caro. Stanne certo! Ricompenserò la tua incrollabile fede in me, il tuo fervore placido che da così tanti anni mi testimoni senza risentimento né rancore… Venga il mio regno! E avverrà! Hai fatto bene a pregare, figlio mio… E domani, all’aurora, nel momento in cui il sole carezzerà la terra con i suoi raggi rosa e abbraccerà la Georgia ancora incandescente, febbricitante, del mese d’agosto, l’assassino arriverà, nudo, disarmato, e dovrà rispondere davanti a me e me solo degli orrori che ha commesso diciannove anni fa. In questo angolo di Georgia così dolce, così tranquillo, figlio mio, tu e la tua famiglia ritroverete la pace. Ti dirò di più: la tua sofferenza, come una ferita, sarà cicatrizzata. E ti offrirò infine il balsamo che tanto speravi. Sarò la tua guarigione…
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Questo mattino il sole si leva maestoso sulla tua proprietà, Ray. E davanti a casa tua contempli a est le montagne e, se porti lo sguardo a ovest, vedi i campi in cui i cavalli e le mucche a breve pascoleranno decisi. In lontananza, mentre prendi il tuo caffè, senti le galline chiocciare intorno al gallo. I tuoi cinque cani si dirigono verso la veranda di legno bianco che fa il giro della tua dimora e sulla quale tu stai, con una tazza in mano, ad ammirare i primi chiarori del giorno. I tuoi animali vengono a domandarti nutrimento, carezze, benevolenza, amore, e come ogni mattino, mentre corrono poderosi davanti agli alberi che circondano la tua dimora, ti meraviglia la loro forza animale, il loro vigore bruto. Come all’inizio dei tempi quando Adamo fu colpito dalla bellezza del giardino dell’Eden, tu stai lì, Ray, ad assaporare ogni momento di quest’aurora ancora porpora, nella quale il sole penetra le foschie d’ovatta in lontananza e, sorridendo, ricordi che ho creato questo mondo in sei giorni. Sì, è vero! Nessun dubbio. A Dio tutto è possibile. Lo sai bene, figlio mio. E tu, tu sai vedere. Quanto è infinita la mia potenza! Con il mio respiro ho fatto il Cielo e la Terra. Poi ho detto: «Luce». E luce fu! Ho riunito le acque sotto il cielo e ho creato la terra asciutta perché l’uomo potesse viverci. E l’uomo ci ha vissuto! Ho ordinato a quella stessa terra di dare vita a tutto ciò che cresce. Ho ingravidato il mondo con la mia parola e ho benedetto tutto ciò che vola, tutto ciò che striscia, tutto ciò che si muove nelle acque dei mari, tutto ciò che è piccolo e ciò che è grande, ciò che respira e muore grazie a me. Unicamente grazie a me. Ho separato il giorno dalla notte per illuminare il mondo affinché sia la vita. E la vita fu! Molteplice, abbondante. La pianta da semi ha dato i semi. L’albero da frutto ha dato i frutti. L’Adamo ha dato l’Eva. È l’opera così abbondante di Dio che oggi si dispiega davanti ai tuoi occhi,
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come nel primo mattino del mondo. Ed eccoti, Ray, fervente, al cospetto di questo universo impenetrabile che non riesci a smettere di trovare semplicemente grande e buono. Il sole s’innalza all’orizzonte e nella luce timida di levante che illumina piano le Blue Ridge Mountains, che conosci sin dalla tua nascita, Ray, tu godi di tutti i tuoi beni. Quelli che ho voluto darti e per i quali tu mi ringrazi. A ottocento piedi dalla tua veranda, nella casa di tuo figlio John, tua nuora Cindy allatta l’ultimo nato, quel messia della famiglia venuto al mondo il giorno benedetto di Natale, e gli altri bambini si stiracchiano nel letto, dopo aver dormito il sonno riparatore che offro ai piccoli giusti. Oggi i bambini si lanceranno sull’erba della tua tenuta, felici come animali innocenti, e profitteranno di questa Terra che ho creato per loro. Ancora più lontano, dall’altra parte del fienile, tuo figlio Tom, quello che ti somiglia di meno e che ciò nonostante lavora con te in modo così accanito, così integro, esce di casa e si reca al ferramenta. Scuote il braccio dalla jeep per salutarti. La merce arriva stamane e qualcuno deve essere là per supervisionare il lavoro dei camionisti venuti da tutti gli angoli degli Stati Uniti a depositare il contenuto del loro carico. Sua moglie Patricia si prende cura dei bambini che si stanno svegliando mentre i grandi riposano ancora cinque minuti nelle loro camere. Ray, mio figlio prediletto, puoi essere fiero della tua vita! Proprio mentre il sole vigoroso si prepara a fecondare la fertile terra della Georgia, la tua progenie si moltiplica come i pani e i pesci dei Santi Vangeli. I tuoi figli vivono accanto a te e Susan nella tenuta che hai ottenuto a forza di lavoro e coraggio. I tuoi nipoti si fanno grandi all’ombra delle sofferenze e crescono rettamente sotto gli auspici tuoi e della tua dolce sposa, Ray, mio eletto. Le tue nuore allevano i frutti del tuo seme in modo
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materno, degno, secondo i precetti di Dio. Hanno il compito di tenere quei bambini sacri lontani dalla cinta putrida delle scuole, al riparo da quei luoghi di perdizione dove la menzogna e l’empietà regnano al giorno d’oggi. I tuoi diciassette nipoti, Ray, apprendono che io solo sono il creatore del mondo e che bisogna temermi e insieme adorarmi. Scoprono anche con gioia che una vita non ha bisogno di essere cullata dalle dicerie fallaci, calunniose dei saperi umani più pretenziosi e vani. Quel che Dio ha voluto che gli uomini sapessero ve l’ha donato da decifrare nel suo Libro. Tutto è consegnato lì. E tu, Ray, tu mantieni occulta e viva la mia parola prodigandola a ognuno. Il resto è il mistero divino sul quale nessuna scienza ha potere. La vita per te rimane semplice. L’uomo vero deve accontentarsi di quel che ottiene dal lavoro e dalla preghiera, nella sottomissione incondizionata alla mia volontà. Il sole comincia or ora la sua corsa eclatante in questo mattino impetuoso del mese d’agosto e nella tua immensa veranda già apprezzi, Ray, come ogni giorno, le ricchezze che possiedi. Le montagne sbadigliano ancora allungando i colori dell’azzurro. Il silenzio del mattino ti permette di sentire crepitare l’acqua del torrente Toccoa, nel quale le trote blu balzano verso l’aria d’ardesia. La sera, quando torni dal lavoro, a volte ancora molto tardi malgrado l’età e l’aiuto prezioso che ti offre tuo figlio Tom, guardi con gioia la vita che scorre attorno a te, con calma, secondo la volontà divina, la mia. Sei l’eletto del Signore, Ray! Sono io che ho deciso così! Sì, ti ho scelto, figlio mio, perché sapevo che tu, e tu solo, avevi la forza di subire le più grandi prove e di non perdere mai la fede. Ho avuto ragione ad aver fiducia in te, Ray. Dio mette alla prova solo coloro che ama. Ti ricordi dell’uomo del paese di Uz? Si chiamava Giobbe. Come te, era un uomo giusto, integro. Non temeva che Dio
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SMOKEY NELSON
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l mattino della sua esecuzione Smokey Nelson aveva un po’ freddo. Per lui era una sensazione strana. Aveva conosciuto solo il caldo, quello spietato, muschiato, quasi animale di New Orleans, la città natale che a due anni aveva lasciato con la madre, la zia e sua sorella maggiore Martha. E poi più tardi quello ovattato e di un bianco violento dell’Alabama, dove aveva vissuto fino a diciannove anni, prima di essere incarcerato e condannato a morte dallo Stato della Georgia per un quadruplice omicidio volontario e premeditato. Smokey non era più abituato ad avere i brividi. Era un ragazzo del Sud. Conosceva il sudore, il suo e quello degli altri. Il desiderio indecente dell’ombra e poi il piacere, che assaporava da bambino, di bere una bella bottiglia di Coca ghiacciata, appena uscita dalla macchinetta rossa e bianca, una vera caverna di piacere, che troneggiava davanti alla stazione di servizio in cui da quando aveva sei anni lavorava d’estate e nei weekend cambiando gomme alle auto. Smokey ricordava bene quella sensazione di intensa freschezza, la stessa che vedeva rappresentata nelle pubblicità della sua infanzia che passavano senza sosta in tivù. Ma il freddo, quello no… Non l’aveva mai provato. Aveva a volte immaginato la neve, senza essere davvero sicuro di capire cosa fosse un fiocco o ancora una tempesta. Un amico di suo zio era scomparso in Canada dopo aver combinato un guaio. Non avendo più ricevuto sue notizie, la gente, divertita, raccontava che doveva essere rimasto sepolto sotto un blocco
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di ghiaccio dall’altra parte dei Grandi Laghi. Lassù… Ancora più su di Chicago. Lassù in alto sulla mappa che stava dietro il bancone, sul muro verde della stazione di servizio, e che aveva in basso una puntina rossa per indicare la cittadina di Selma, in Alabama, dove Smokey aveva passato gran parte della sua giovinezza, tra la macchinetta di Coca che sembrava sempre eruttare furiosa e pneumatici mal messi, dai quali si alzava un forte odore di caucciù troppo caldo che si andava a mischiare in modo strano alle emanazioni di benzina. No, Smokey non aveva mai sentito il freddo nel suo corpo. Era una cosa nuova e sorprendente. E, ridendo, pensò che doveva proprio scoprire quella sensazione all’alba della propria morte, per poter rimpiangere ancora di più tutto ciò che non aveva vissuto. Fuori il sole della Georgia stava per alzarsi, inondando di luce le tende dei media dove giornalisti stanchi, in rappresentanza di una moltitudine di canali tivù e radio, si preparavano a fare il primo bollettino della mattina, mescolando un caffè di fortuna incaricato di dare loro lo slancio necessario per mettere in moto un’altra difficile giornata. Sarebbe di nuovo stato caldissimo… L’inizio del mese d’agosto era stato soffocante. Erano quindici giorni che il termometro credeva di potersi permettere di tutto e puntava, arrogante, verso i 115° F. Pareva quasi impossibile stare all’aperto senza beccarsi un colpo di calore, e gli spostamenti avvenivano con molta lentezza, come per non far arrabbiare l’aria vibrante, spessa, intensamente striata. La Georgia è uno Stato magnifico, quello delle pesche, dei frutti succosi, rotondi, paffuti, dalla polpa oscena e innocente, inondato di un sole che sembra non rinunciare mai alla bontà che prodiga alla terra. La Georgia è un luogo benedetto sul quale Dio e il governatore dello Stato vegliano, ciascuno a suo modo, con fermezza e indulgenza.
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