La primavera dei barbari, Jonas Lüscher

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jonas l端scher

LA PRIMAVERA DEI BARBARI Traduzione di Roberta Gado

Keller editore



Cos’è realmente la barbarie? Non equivale al primitivismo culturale, a tirare indietro le lancette dell’orologio. […] È una condizione in cui sono presenti molti valori della grande civiltà, benché privi della coerenza sociale e morale indispensabile al funzionamento razionale di una cultura. Ma proprio per questo la barbarie è anche un processo creativo: quando la coesione generale di una cultura va in pezzi, si apre la via a un rinnovamento della forza creativa. Questa via può indubbiamente passare per il collasso della vita politica ed economica, per secoli di impoverimento materiale e spirituale e per orribili sofferenze. Il nostro tipo specifico di civiltà e cultura potrà non sopravvivere intatto – ma è certo che i frutti della civiltà e della cultura, in qualche forma, sopravviveranno. L’ipotesi della tabula rasa come risultato finale è priva di fondamento storico. Franz Borkenau



I

N

o» disse Preising, «fai le domande sbagliate» e si fermò nel bel mezzo del vialetto di ghiaia per sottolineare la sua contrarietà. Un’abitudine che non sopportavo perché a quel modo le nostre passeggiate somigliavano alle escursioni strascicate di vecchi bassotti obesi. Ciò nonostante andavo a passeggio con Preising tutti i giorni, visto che in quel luogo egli era pur sempre il compagno migliore, persino con le sue copiose, sgradevoli peculiarità. «No» ripeté rimettendosi finalmente in moto, «fai le domande sbagliate». Per essere uno che parlava così tanto, Preising prendeva con stupefacente serietà il senso delle proprie parole e sapeva sempre con esattezza cosa voleva che gli si chiedesse affinché il flusso del discorso potesse imboccare la direzione premeditata. A me, che in un certo senso ero imprigionato lì, non restava che seguirlo su quella via. «Sta’ attento» disse, «te lo dimostrerò, e con questo intendimento ti racconterò una storia». Anche questa era una sua abitudine: usare parole che nessun altro aveva più in repertorio. Purtroppo era una mania che nelle ultime settimane doveva aver contagiato anche me. A volte c’erano buone ragioni di dubitare che fossimo un bene l’uno per l’altro, io e Preising. 11


«Una storia che insegna qualcosa» mi promise. «Una storia ricca di svolte impreviste, avventurosi pericoli ed esotiche tentazioni». Chi adesso si aspettasse una storia lasciva, non potrebbe essere più lontano dalla verità. Preising non parlava mai della sua vita sessuale. Non avevo motivo di temerlo, lo conoscevo a sufficienza. Sul fatto che ne avesse una, potevo solo fare congetture. Difficile immaginarlo, ma rischiavo di sbagliarmi. In fondo a volte mi stupisco io stesso, in piedi davanti allo specchio, che un tipo poco vitale come me sia riuscito a metterne insieme una. Prima di riuscire a cominciare la storia, Preising interruppe più volte la nostra camminata, come se gettasse uno sguardo al passato che pareva scorgere all’orizzonte – nel nostro caso vicinissimo, tracciato dall’orlo di alte mura gialle. Intanto strizzava gli occhi, arricciava il naso e le labbra sottili. «Forse» cominciò infine a raccontare, «il tutto non sarebbe mai successo, se Prodanovic non mi avesse mandato in ferie». Prodanovic, benché responsabile del ricovero di Preising, non era il suo medico di base o simili. Prodanovic era il brillante dipendente di Preising che da giovane, inventando il circuito a base comune in tungsteno, un componente elettronico di cui nessuna antenna radio mobile al mondo ora può fare a meno, aveva salvato dal fallimento incombente la società in accomandita semplice specializzata in ricezione televisiva e antenne da esterno che Preising aveva 12


ereditato, proiettandola a inimmaginabili livelli di leadership nel mercato mondiale dei circuiti a base comune. Il padre di Preising, che si era preso per morire esattamente il tempo necessario a Preising per completare gli studi di economia aziendale dopo un’interruzione di un anno e mezzo trascorsa in una scuola privata di canto parigina, lasciò al figlio una fabbrica di antenne televisive con trentacinque dipendenti in un’epoca in cui i collegamenti via cavo erano ormai all’ordine del giorno. Ai tempi l’azienda, nata dalla manifattura di bobine di reattanza e potenziometri del nonno in cui gli avi di Preising si erano rovinati le dita torcendo fili di rame, doveva pressoché l’intero fatturato alla produzione di quelle antenne lunghe metri, ma decisamente convenienti perché quasi prive di diramazioni, che i radioamatori – altra specie ahimè in via di estinzione – solevano piantare sul tetto. Preising venne dunque in possesso, non per colpa sua, di un’azienda in condizioni desolate che avrebbe richiesto qualche decisione risoluta e, dunque, oggi di certo non esisterebbe se il giovane tecnico di misurazione Prodanovic non avesse inventato il circuito a base comune in tungsteno e preso in mano le redini dell’attività. Ne consegue che era merito di Prodanovic se nel frattempo Preising era diventato non solo il facoltoso proprietario, ma anche il presidente del consiglio d’amministrazione di una società con millecinquecento dipendenti e filiali nei cinque continenti. Quanto meno visto dall’esterno, perché la gestione operativa della dinamica impresa, che ora portava il dinamico 13


nome Prixxing, era da tempo in mano a Prodanovic, coadiuvato da una schiera di risoluti capisettore e creatori di valore aggiunto. Preising però era ancora richiesto come volto dell’azienda, poiché Prodanovic sapeva che, se Preising era buono a qualcosa, questo era trasmettere continuità, lo spirito imperturbabile di un’impresa di famiglia alla quarta generazione: era l’unica cosa che Prodanovic, figlio di un cameriere di tavola calda bosniaco, non si sentiva in grado di fare, essendo egli stesso dell’idea che l’elemento balcanico fosse l’incarnazione dell’instabilità, un’impressione da evitare a tutti i costi. Quando la sua fitta agenda glielo consentiva, Prodanovic teneva volentieri brevi interventi nelle scuole malfamate della città, dove si presentava come esempio di integrazione riuscita. Questo Prodanovic, dunque, in possesso di piena procura, aveva mandato in ferie Preising. Una mossa che faceva regolarmente quando c’erano decisioni importanti da prendere. E con ciò, questo lo avevo già capito, Preising era riuscito a sottrarsi alla responsabilità autoriale degli eventi successivi già nella prima frase della sua storia. Nemmeno la meta della vacanza aveva richiesto una sua decisione. Prodanovic, da persona efficiente, cercava sempre di unire l’utile al dilettevole. In quel caso Preising sarebbe dovuto andare in Tunisia, dove, in un basso edificio di lamiera su una strada per Tunisi, in una delle tante 14


zone industriali ai margini di Sfax, aveva sede uno dei loro subfornitori. Slim Malouch, il proprietario dell’azienda di assemblaggio, era un instancabile uomo d’affari, attivo in settori disparati come la produzione di apparecchi elettronici, il commercio di fosfati e il turismo d’élite. Possedeva una manciata di alberghi esclusivi. Preising sarebbe stato suo ospite. Malouch stava cercando contatti con un imprenditore legato in qualche modo alle telecomunicazioni, perché non solo ci vedeva il futuro, come ormai facevano tutti, ma il salvataggio dell’azienda di famiglia. Aveva quattro figlie intelligenti e, assicurò a Preising, decisamente carine, cui però con suo rammarico non poteva affidare la direzione della holding di famiglia perché il contesto tunisino non lo consentiva, e dunque tutta la responsabilità gravava sulle spalle del figlio. Spalle che costui, Foued Malouch, si era già lasciato prematuramente piegare dal fardello morale di una laurea in geoecologia a Parigi, cosicché non si sentiva in grado di guidare un’impresa che doveva il proprio fatturato principale a fosfati destinati a finire sui campi d’insalata d’Europa in forma di concimi chimici. Foued si era spinto fino a minacciare il padre di andare a cercar fortuna in una fattoria biologica nel dipartimento di Lot. Dunque Slim Malouch, che non era solo un uomo perbene, come Preising riteneva d’aver colto, ma anche un uomo ragionevole, voleva abbandonare i fosfati e passare alle telecomunicazioni, obiettivo per cui confidava nel suo rapporto con Preising. 15


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