24-25-26 MARZO 2000
n° 40-41-42/2000
Khost fa sentire la sua
Editors: Domenico Cilenti email: nicocilenti@gmail.com/Joan Nickles email: joannickles@gmail.com
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REPORTAGE
voce ai Talebani - Roulette Russa - Baghdad, l’embargo colpisce l’uomo comune
Khost fa sentire la sua voce ai Talebani Le tribù dell’antica città afghana mantengono la loro autonomia sociale culturale e contestano le ingerenze del governo nella loro regione
ESILIATI AFGHANI PARTECIPANO AD UN GIOCO TRADIZIONALE CON I CAVALLI CHIAMATO “BUZKASHI”, a Peshawar, città di frontiera del Pakistan. Il gioco, proibito dalle leggi talebane in Afghanistan, consiste nel raccogliere la carcassa di una capra e porla in un cerchio sul terreno. Il Pakistan ospita oggi circa 1,2 milioni di esiliati afghani.
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iccola Mosca è stata per secoli una regione difficile da domare per i leader afghani e ora si sta dimostrando fastidiosa anche per il movimento talebano al potere. Khost, circa 300 km a sud di Kabul, ha una storia fatta di irrequitezza fin dalle lotte contro gli inglesi nel XIX secolo. È stata anche teatro di combattimenti quando i mujahidin sfidarono il governo comunista di Kabul. Non tutte le turbolente tribù della regione erano dalla stessa parte e la città era chiamata “Piccola Mosca”, perchè molti degli antichi leader marxisti del paese venivano da quella regione. E fin da quando i Talebani si sono impadroniti del territorio, circa 5 anni fa, ci sono state diverse scaramucce per motivi apparentemente futili. Questi contrasti erano ancora l’argomento principale quando i Talebani all’inizio di quest’anno allontanarono il governatore di Khost, negando che quell’agitazione ne fosse la causa. I Talebani hanno dichiarato che l’allontanamento di Sayed Abdullah era routine, sebbene sia avvenuto dopo che gli anziani delle tribù avevano lanciato un ultimatum proprio ai Talebani, reclamando la liberazione del territorio che avrebbero sottomesso illegalmente, oppure sarebbe stata lanciata una “jihad”, o guerra santa. I Talebani e i leader locali hanno negato nonostante la notizia sia stata lanciata dai quotidiani pakistani e riportata da alcuni uomini d’affari in viaggio da Khost a Kabul - che la rimozione sia stata effettuata dopo che un elenco di richieste era stato portato loro.
Per rispondere alla diffusione di quete notizie, il governo talebano ha raccolto oltre 2.000 persone nella piazza di Khost per far ascoltare ai giornalisti stranieri che non esistono dissapori fra leader nazionali e locali. “Non ci sono problemi tra le province del sud, specialmente Khost, e i Talebani” ha detto Tahir Khan, un leader della potente tribù Sarabai. “Certo, la gente ha bisogno di nuove scuole e strade, e noi lo abbiamo detto al governatore”. Lo scorso anno, una disputa su un gioco in cui si battono le uova una contro l’altra per vedere chi possegga l’uovo più duro, ha portato alla morte di parecchi residenti e di un funzionario governativo, dopo che i Talebani avevano dichiarato che quel gioco non era islamico. I Talebani decidono come spendere le entrate fiscali, ma, diversamente che nelle altre parti dell’Afghanistan, le tribù di Khost sono autonome in materia culturale e sociale. Due mesi fa, i residenti hanno raccontato di un’altra disputa, apertasi quando le tribù decisero che il mese del Ramadam cominciava un giorno più tardi, rispetto alla data indicata dai Talebani. Ciò ha causato un confronto tra le tribù e il governo su quando sarebbe dovuto cominciare il festival di Eid al-Fitr, che segna la fine del Ramadam. Ma le differenze non si limitano a questo, molti altri sono i fatti che producono contrasti. I Talebani sono stati pesantemente criticati per come trattano le donne, ma quelle rigide misure che ne limitano l’educazione e le opportunità di lavoro, e le obbligano ad indossare il burqa - che le avvolge completamente - a Khost
sono state normali per generazioni. I Talebani hanno talmente voluto confutare le notizie di agitazioni, che hanno inviato a Khost un rappresentante governativo, Amir Khan Muttaqi, perchè tenesse un discorso all’interno della moschea. In quella occasione ha sostenuto come le notizie fossero state diffuse da persone che miravano dividere l’Afghanistan. L’atmosfera nella moschea era piuttosto dimessa, tanto che quando un uomo ha cominciato a cantare “Allah-o-Akbar (Allah è il più grande), nessuno lo ha affiancato. Sebbene le tribù siano di etnia Pashtuns, come i Talebani, c’è sempre stata una tradizionale diffidenza tra i Pashtuns dell’est e quelli del sud. Nel 1998, Khost è stata anche oggetto di un attacco missilistico americano, poichè si sospettava la presenza di campi di addestramento del terrorista saudita Osama bin Laden, accusato da Washington di aver progettato gli attentati dinamitardi contro le ambasciate americane in Kenya e Tanzania. I Talebani sono stati i benvenuti in molte regioni dopo la loro salita al potere, poichè hanno lanciato una pesante campagna contro il crimine e creato una situazione
stabile dopo anni di guerra. Un commerciante di Khost ha raccontato che i residenti non sono contenti di come il governo sta spendendo il denaro, ma ha aggiunto che non sono contro i Talebani. “Noi vogliamo
strade migliori. È una strada questa?”, chiede indicando una strada piena di buche davanti il suo negozio.
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he former Russian embassy in southwestern Kabul is a sad, sprawling complex at the end of a long street of bombed-out buildings. It was built to house officials and soldiers during the decade-long bid by the then Soviet Union to prop up a faltering Marxist regime in Afghanistan. Now, the massive complex with more than 35 huge apartment buildings is home to nearly 20,000 refugees who have fled the fighting that has ravaged Afghanistan since the Soviet army pulled out more than 10 years ago. Pakistan is the only country with a functioning embassy in Kabul. Embassies belonging to other countries such as Germany and the United States are boarded up and have guards and other staff looking after them. Renewed fighting between the ruling Taleban and the Northern Alliance in the Panjshir Valley north of Kabul forced about 100,000 people to flee to the city. Those who could not stay with relatives flooded into the battered buildings in the compound. U.N. officials said the influx of refugees had created a familiar dilemma for aid groups, which want to provide help but at the same time do not want to make it so comfortable it would discourage people from wanting to return home. “We are trying to convince the authorities that come the spring it is better that they go back (home),” said Peter Goossens, deputy country director for the U.N.’s World Food Program. But Goossens said that depended on whether the fighting resumed after a break for winter. The Taleban control about 90 percent of the country and are fighting to win over the remainder. The opposition is led by Ahmad Shah Masood, the military chief of the goverment ousted by the Taleban more than three years ago.
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Ai nastri di partenza
Voglia di democrazia
Profilo dei candidati alla poltrona presidenziale Pronta e ormai definitiva la lista dei candidati alla poltrona presidenziale, anche se è giudizio unanime che il vincitore potrà essere uno solo, Vladimir Putin. Ad ogni modo saranno in 12 a scendere in lizza domenica 26 marzo, tra loro anche un candidato ceceno e una donna, la prima in assoluto a presentarsi per la carica di presidente della repubblica. Parteciperà alla corsa anche l’ultra nazionalista Vladimir Zhirinovsky, che la Commissione Centrale russa per le Elezioni aveva inizialmente escluso dalla competizione. Il leader nazionalista aveva però fatto ricorso alla Corte Suprema, che lo ha infine ammesso, sorvolando su alcune irregolarità minori della sua dichiarazione civile. Ecco un breve profilo dei candidati Vladimir Putin: 47 anni, inizialmente capo del FSB, servizio per la sicurezza nazionale, diventa primo ministro nel 1999 pur essendo politicamente quasi uno sconosciuto e assume la carica di presidente ad interim dopo le dimissioni rassegnate da Boris Yeltsin alla vigilia del 2000. Putin ha raccolto una larga approvazione presso il popolo per l’energica condotta tenuta durante la guerra in Cecenia, ma i suoi critici sostengono che non abbia chiari obbiettivi politici. Ha tenuto gelosamente custodito il suo passato di agente del KGB. Gennady Zyuganov: leader del Partito Comunista, è da 10 anni il principale oppositore del Cremlino ed è la seconda volta che concorre alla carica di presidente. La prima volta fu nel 1996, quando perse contro Yeltsin.
Grigory Yavlinsky: capo del partito liberale Yabloko, ha partecipato alle elezioni del ‘96 arrivando quarto. Predica riforme di mercato dal volto umano e ha promesso la fine della guerra in Cecenia se sarà eletto. Konstantin Titov: governatore della regione di Samara, sul Volga. Titov è uno dei più potenti leader regionali ed è membro del Consiglio Federale, la camera alta del parlamento. Sostiene le riforme liberistiche e ha l’immagine di un energico affarista. Le sue possibilità di vittoria sono molto esigue. Aman Tuleyev: governatore con tendenze di sinistra del Kemerovo, regione ricca di carbone, Tuleyev sostiene i Comunisti russi ed ha già fatto esperienze di rincorse presidenziali, anche se non è mai andato vicino alla vittoria. Yuri Skuratov: un procuratore capo sospeso un anno fa per uno scandalo di sesso e corruzione. Il Cremlino ha cercato per tre volte di allontanarlo definitivamente, il Consiglio Federale ha ogni volta impedito di obbligarlo a dimettersi. Skuratov sostiene che lo scandalo fu organizzato dal Cremlino stesso per metterlo in disgrazia e sospendere le investigazioni sulla corruzione ad alto livello. Umar Dzhabrailov: 41 anni, ceceno, è un uomo d’affari che opera a Mosca e afferma che sarà eletto perchè ama la vita. Ella Pamfilova: prima donna a concorrere alle elezioni presidenziali, è anche l’unica a fra tutti i candidati. In precedenza membro della Duma, è a capo di un’organizzazione chiamata Per la Dignità Civile e afferma che la sua sfida
vuole creare un precedente per le altre donne. Stanislav Govorukhin: un deputato del partito Patria di Tutte le Russie, guidato dal sindaco di Mosca Yuri Luzhkow e dal precedente primo ministro Yevgeny Primakov. Govorukhin era un popolare regista durante l’era sovietica ed è da tempo un oppositore di centro-sinistra del Cremlino. Alexei Podberyozkin: dapprima assistente di Zyuganov, lascia il Partito Comunista per formare una sua formazione, il partito dell’Eredità Spirituale. È considerato il rappresentante dell’ala intellettuale della Russia comunista. Yevgeny Savostyanov: un tempo capo del dipartimento moscovita del FSB e una volta membro dello staff del Cremlino. Attualmente a capo del fondo di Mosca dei programmi presidenziali. Vladimir Zhirinovsky: nazionalista, è la terza volta che punta alla carica presidenziale. Irruento, è noto per le sue performance televisive, come quando ha lanciato in faccia ad un rivale un bicchiere di succo d’arancia o ha preso per i capelli una membro del parlamento. È stato visto ballare con una zingara e bere vodka mandando poi in frantumi il bicchiere, inoltre sembra che abbia regalato a questa zingara 200 dollari, cosa che certamente non gli attirerà le simpatie della gente di un paese dove lo stipendio medio si aggira sui 100 dollari mensili. Una sua dichiarazione degli ultimi giorni, però, dice che forse potrebbe ritirarsi dalla competizione per favorire o Zyuganov oppure Yavlinsky.
Putin è appoggiato dagli elettori filo-occidentali che aspirano ad un regime liberale e democratico I russi che appoggiano Vladimir Putin alle prossime elezioni presidenziali, si aspettano che il loro candidato favorito guidi il paese verso un regime liberale e democratico. Secondo un sondaggio dell’Indipendent Institute of Sociological Analysis, Putin è sostenuto soprattutto dai filo-occidentali che vogliono una Russia democratica, in grado di garantire alti standard di vita, rispetto per i diritti umani e per la proprietà privata. Più del 75% degli elettori si aspetta che Putin rafforzi le relazioni con l’Occidente. Il leader deve il suo successo anche alla campagna militare che sta conducendo contro i ribelli Ceceni e al suo impegno di riportare l’ordine in Russia dopo anni di riforme, corruzione e depressione economica.
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Sarà un’incoronazione Tutti danno ormai Putin per vincente, ma non mancano critiche e accuse di elezioni di fatto poco democratiche Vladimir Putin ha un tale vantaggio nella corsa alla poltrona presidenziale, che alcuni dicono il 26 marzo non ci sarà un’elezione, bensì un’incoronazione. Per molti analisti politici questa tornata elettorale non darà pari opportunità a tutti i candidati, il che, se per certi versi è perfettamente normale, in questo specifico momento della storia russa significa che non ci sarà di fatto alcuna gara. Il risultato è già scritto e una guerra dove già si contano migliaia di vittime è diventata uno strumento per la campagna elettorale. Basti pensare all’atteggiamento degli operai di una fabbrica di armi alla periferia di Mosca che hanno detto a Putin: “Grazie per la Cecenia”, dato che il conflitto ha generato la necessità di rifornimenti bellici e conseguentemente lavoro per il settore. Gli ultimi sondaggi accreditano Putin di un 60% contro il 22-26% del suo rivale più prossimo, Gennady Zyuganov, capo del Partito Comunista. L’analista politico Andrei Piontkovsky, afferma che le dimissioni di Boris Yeltsin, che hanno scioccato il mondo, erano state pianificate per ridurre i tempi effettivi della campagna elettorale da sei mesi a tre, a beneficio del fino ad allora sconosciuto ex membro del KGB, Vladimir Putin. “La sua popolarità è basata sulla guerra e a Putin è stata data l’opportunità di presentare la sua guerra in televisione come un successo e una vittoria - sostiene l’analista. In un periodo di sei mesi, non sarebbe stato altrettanto facile”. Altri analisti concordano, dicendo che Putin, a dicembre, ha manovrato rapidamente per minare il sostegno ai governatori delle regioni russe - che, in grado di influenzare il loro elettorato, sono difficilmente rimossi dal potere centrale di Mosca. “I leader regionali vogliono tutti dimostrare la loro lealtà al nuovo presidente e per questo io credo che cercheranno di mettersi in mostra quanto meglio possibile e di evidenziare il mag-
gior sostegno a Putin”, sostiene Nikolai Petrov, un analista della Carnegie Endowment. “Molti elementi di questa campagna non appartengono alle regole della democrazia - ha aggiunto. Ognuno ha i capi che si merita e se la democrazia rappresenta il potere della gente, Putin è un riflesso della gente di oggi. Loro vogliono un capo forte”. Putin sta ancora cavalcando l’onda di popolarità dei sei mesi di campagna militare in Cecenia e pochi candidati hanno il coraggio di schierarsi contro il conflitto, che, a dispetto di crescenti problemi, apparen-
Putin. Primakov, il cui partito era stato tartassato dai giornali fedeli al Cremlino, in vista delle elezioni parlamentari di dicembre, ha dichiarato di rifiutarsi di prendere parte alla competizione presidenziale in un paese che si è allontanato dalla democrazia. Putin assicura che riporterà l’ordine in Russia e ricostruirà la dignità della sua popolazione, aggiungendo che sosterrà le riforme di mercato e la libertà di espressione. Ma gli analisti osservano
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17 temente gode ancora di una certa popolarità. “La posizione dei Comunisti e del partito al potere deve essere più vicina. I Comunisti sostengono la guerra in Cecenia e se la guerra è il primo punto del programma di Putin, come possono loro schierarsi contro le posizioni di chi governa?” si domanda Piontkovsky. Gli analisti hanno anche notato che il probabilmente più pericoloso avversario di Putin, il vecchio primo ministro Yevgeny Primakov, è già stato tagliato fuori dalla gara, per chiarire il modo in cui si realizzerà la probabile vittoria di
16 11 che il suo rifiuto di affrontare dibattiti televisivi con Zyuganov mostra la mancanza di volontà di affrontare seriamente la campagna elettorale. Secondo Piontkovsky, Putin rifiuta i dibattiti semplicemente perché ha paura, criticandolo per l’uso frequente che fa di frasi fatte. “In Occidente, se un candidato rifiutasse di partecipare ad un dibattito, televisivo, sarebbe un suicidio politico”.
“La Russia vuole uno stato super centralizzato”
A favore di Putin, per conservare l’autonomia
Putin offre al popolo russo la promessa di uno stato forte, per riportare il paese agli antichi splendori
Le genti degli Urali appoggiano il leader russo, ma vogliono serbare la loro indipendenza
Il presidente Putin considera la tendenza ad uno stato fortemente centralizzato come parte invariabile della natura russa e crede che possa condurre un giorno alla rinascita della monarchia. “In generale, la Russia ha sviluppato sin dall’inizio uno stato super centralizzato. È parte del suo codice genetico, della sua tradizione e della mentalità della gente”, dice il presidente russo. Putin, che ha basato la sua campagna presidenziale sulla promessa di restaurare uno stato forte, crede che il ritorno alla monarchia sia improbabile ma non impossibile, perché la Russia ha subito molti cambiamenti imprevisti. “Molte cose sembravano inimmaginabili e impossibili e poi… boom! Qualcosa è accaduto all’Unione Sovietica e nessuno pensava che
potesse collassare. Ma in generale, in alcune epoche, in alcuni luoghi e sotto determinate circostanze, la monarchia ha avuto un ruolo positivo”. Al contrario di Yeltsin, che salì al potere ribellandosi al sistema comunista, Putin non è stato mai un dissidente. Il presidente ha detto di aver lasciato il KGB dopo il fallimento del colpo di Stato del 1991 contro il leader sovietico Gorbaciov. “In principio, la causa dei ribelli era nobile: volevano evitare la disgregazione dell’Unione Sovietica. Ma i mezzi da loro scelti hanno portato il paese verso l’annientamento”. Putin intende riportare la Russia all’antica grandezza migliorando l’economia e la qualità della vita del suo popolo. È importante far rivivere lo spirito nazionale e dare forma a nuovi principi morali, ha aggiunto.
Incontro di Blair e Putin a San Pietroburgo Il premier inglese ha espresso parole di ammirazione per il leader russo Blair è stato il primo leader occidentale a volare in Russia per incontrare Putin. Blair, che ama definire il suo governo come una forza per la modernizzazione, vede similitudini con
Putin, anche egli ex studente di legge alla soglia dei cinquant’anni. “Putin vuole modernizzare il suo paese. Vuole prepararlo per il futuro e portarlo nel XXI secolo”, dice Blair.
Una slitta trainata dai cavalli entra nel piccolo villaggio di Iskra, dove un manifesto ritrae Vladimir Putin che chiede agli elettori di sceglierlo come presidente della Russia. Ma le chiacchere del conducente e dei suoi passeggeri mostrano che l’appello del leader per uno stato fortemente centralizzato non cattura l’attenzione di molti. Politicamente, l’avvento di Putin potrebbe significare la perdita di un’ampia autonomia goduta fin dal 1990 dai leaders del Bashkortostan, negli Urali, 1500 km ad est di Mosca. La regione ospita quattro milioni di persone appartenenti a più di 70 gruppi etnici. I russi rappresentano la maggioranza, ma sono affiancati dai musulmani tartari e dai Bashkirs. Anni dopo il declino dell’era sovietica, la lingua parlata è il Chuvash. Nel paese, la principale fonte d’informazioni è la TV e la maggior parte della regione riceve solo le emittenti di stato, che sono in favore di Putin. Il capo di Iskra, Vladimir Gerashimov, dice che le elezioni interessano poco i suoi
1.200 residenti. “Mosca è lontanissima. Noi abbiamo sempre vissuto qui e ci vivremo sempre”. Le autorità locali confermano il loro sostegno a Putin, ma un ritorno ad uno stato centralizzato potrebbe costare loro l’indipendenza, che dicono di aver utilizzato per proteggere la regione dai peggiori rigori delle riforme economiche russe. “Le riforme dovrebbero essere graduali”, dice il presidente del Bashkortostan, Murtaza Rakhimov, “Noi stiamo portando avanti le riforme lentamente e funziona. Abbiamo un efficiente sistema bancario, raffinerie di petrolio e laboratori chimici”. Secondo l’analista politico Nikolai Petrov, Rakhimov e il presidente della vicina Tatarstan, Shaimiyev, stanno lottando per preservare la loro autonomia. “Mostreranno la loro lealtà a Putin per mantenere le loro posizioni. Non hanno altra scelta che mantenere relazioni il più amichevole possibili con il futuro presidente”.
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Il presidente Putin parla con i media a bordo di nuovo treno per pendolari sulla via di ritorno per Mosca. Il leader ha compiuto un viaggio di propaganda ad Orekhovo-Zuyevo, dove ha visitato una fabbrica tessile e un'industria di treni pendolari. A destra, il governatore della provincia di Mosca, Boris Gromov e il maggiore Yuri Luzhkov. 2 Uno studente grida slogans a favore di Putin durante un incontro a San Pietroburgo a cui hanno preso parte 1.000 studenti. Secondo un sondaggio, Putin riscuote il favore del 60% degli elettori. 3 Putin sorride durante una cerimonia tenutasi al Cremlino per la consegna di premi agli scienziati. 4 L'ex leader sovietico Gorbaciov, durante il recente congresso di fondazione del suo partito social democratico, a Mosca. Il nuovo gruppo politico di Gorbaciov ha ottenuto meno dello 0,1% di voti nelle elezioni parlamentari di dicembre. 5 Il leader russo ultranazionalista Vladimir Zhirinovsky mostra la sua carta di candidato presidenziale ricevuta alla Commissione Elettorale Centrale. 6 Il leader comunista russo Zyuganov e sua moglie Nadezhda all'entrata di un concerto, a Mosca. Zyuganov è stato il principale oppositore del Cremlino negli ultimi dieci anni e, nel 1996, ha perso la campagna presidenziale contro Yeltsin. Quest'anno, il leader ci riprova per la seconda volta. 7 Una donna parla accanto ad un manifesto elettorale di Umar Dzhabrailov, in una via di Mosca. Dzhabrailov, il primo ceceno in gara per la presidenza, ha detto che sarà scelto dagli elettori perché ama la vita. 8 Alcuni dei candidati alla presidenza della 2 Russia. Da sinistra a destra: Zhirinovsky, Dzhabrailov, Ella Pamfilova (la prima donna a candidarsi alla carica) e il regista Stanislav Govorukhin. Sebbene abbiano una minima possibilità di essere eletti, questi candidati potrebbero minare le aspirazioni degli sfidanti più potenti, tra cui Putin e Zyuganov, sot traendo loro voti indispensabili.
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9 Putin e il patriarca russo Alexiy II durante una cerimonia per commemorare i soldati morti in Cecenia, al monastero Novospassky di Mosca. 10 Putin stringe la mano agli operai durante una visita alla città siberiana di Surgut. Il governo russo sta progettando di incrementare le esportazioni di idrocarburi e di petrolio grezzo. 11 Putin saluta il leader religioso della Cecenia, il Mufti Akhmad Alidkhadzhi Kadyrov e il leader dei musulmani russi, Ravil Gainutdin (a destra). 12 Putin saluta un cosacco durante una visita al monumento commemorativo della battaglia di Volgograd, un tempo conosciuta come Stalingrado. La città fu teatro della più sanguinosa battaglia della II Guerra Mondiale. 13 Un carro armato si muove tra gli edifici distrutti della capitale cecena di Grozny. I militari russi dicono di aver fatto progressi nel ripristino del controllo sulla Cecenia separatista e hanno segnalato gravi perdite tra i ribelli. 14 Il direttore dell'industria aeronautica Vyacheslav Salikov presenta a Putin un modello del l'aereo II-96, durante una visita alla fabbrica di Voronezh, 600 km a sudest di Mosca. A destra, il primo ministro Valentina Matviyenko. Putin ha compiuto un rapido viaggio nelle province russe promettendo di migliorare la qualità della vita del suo popolo. 15 Putin applaude mentre il Primo Ministro Valentina Matviyenko riceve dei fiori, durante una cerimonia che ha celebrato la Festa della Donna nella città di Ivanovo, 300 km a est di Mosca. Putin ha elogiato le donne del popolo russo ed è stato ripagato con un'ondata di complimenti e con la promessa del sostegno femminile nella sua corsa alla presidenza. 16 Il premier Tony Blair e il presidente russo Putin nel palazzo Petrodvorets, a San Pietroburgo. Blair è stato il primo leader occidentale ad incontrarsi con Putin. 17 Putin stringe la mano a James Wolfensohn, presidente della Banca Mondiale, in visita a San Pietroburgo per discutere del rilascio di due prestiti alla Russia. 7
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JAMILAH HATIN, MOGLIE DI UN CONTADINO rimasto ferito quando i missili occidentali distrussero il suo villaggio, prepara il pane per i suoi bambini ad al-Fahad, 270
km a sud di Baghdad. Dalla guerra del Golfo del 1991, gli aerei da guerra britannici e americani impongono la “no-fly zones” sul territorio iracheno.
Nove anni di sanzioni ONU stanno rendendo l'Iraq sempre più povero, ma non indeboliscono il governo di Saddam
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BAMBINI IRACHENI passeggiano tra i tronchi
degli alberi abbattutti dai missili occidentali durante un raid aereo sul villaggio al-Fahad.
a Arasat Street, nel centro di Baghdad, è costellata di eleganti ristoranti, negozi di elettronica e di firme dell'ultima moda occidentale. Ma quelli che possono permettersi un'alta qualità della vita sono dei privilegiati. I nove anni di sanzioni imposte dalle Nazioni Unite all'Iraq in seguito all'invasione del Kuwait, hanno enfatizzato l'ampio divario esistente tra ricchi e poveri. La maggior parte dei 22 milioni di persone che abitano il paese lotta ogni giorno per mangiare e comprarsi un paio di scarpe. Per la classe media irachena, Arasat Street è un lontano
ricordo dei giorni d'oro degli anni '70, quando l'Iraq era una potenza petrolifera. Ora i salari sono crollati e la gente è costretta a vendersi l'auto e la televisione per pagare gli studi ai propri figli. Alcuni hanno scoperto la strada verso il benessere, schivando le sanzioni. Le persone sentono che l'embargo non sta realizzando il suo originario obbiettivo d'indebolire il governo. “L'embargo sta colpendo l'uomo comune, che rifiuta di essere condizionato dalla sua fame, dalle sue necessità di base e dalla perdita dei suoi figli”, dice un funzionario iracheno. I devastanti effetti delle sanzioni stanno
danneggiando il tessuto della società irachena, producendo una generazione di persone scontente, malnutrite e ineducate. Sebbene demoralizzati, gli iracheni si rifiutano di abbandonare le speranze. “Viviamo per vedere la luce alla fine del tunnel”, dice un uomo d'affari. “Ma anche se l'embargo fosse annullato domani, non avremmo felicità immediata”. A dicembre, l'ONU ha approvato una risoluzione che punta ad allentare le sanzioni, purchè venga permesso agli ispettori di tornare in Iraq per controllare la eventuale presenza di armi nucleari. Ma Baghdad ha rifiutato la riso-
luzione, chiedendo l'immediato annullamento delle sanzioni. Intanto, molti indigenti si stanno avvicinando alla religione. Sembra che siano molte più di prima le donne che scelgono di entrare in convento. Le recenti dimissioni di due funzionari ONU stanziati a Baghdad, per protestare contro il fallimento dei programmi delle loro agenzie, hanno richiamato l'attenzione sulla crisi umanitaria. Gli USA hanno promesso di rivedere la loro politica per accelerare il processo umanitario. Ma il governo iracheno si dichiara scettico in proposito.
Baghdad, l'embargo colpisce l'uomo comune