n° 1/2000
Mangiafoglio
Editors: Domenico Cilenti email: nicocilenti@gmail.com/Joan Nickles email: joannickles@gmail.com
GIGI DE SANTIS
15 GENNAIO 2000
Mangiafoglio Mangiare bene e dormire meglio
Gigi de Santis inter vista Iginio Massari
La Patata Quali sono più buone? Quelle abr uzzesi o quelle campane? Molti tifano per quelle venete o calabresi. Le patate italiane sono sempre buone, ci sono tutto l’anno e ser vono per mille situazioni in cucina.
Benedetta patata I suoi dati anagrafici Cenni di botanica La patata é una pianta erbacea che appartiene alle solanacee, famiglia botanica che comprende specie agrarie ed orticole quali il pomodoro, il peperone, la melanzana e il tabacco. Origini La sua origine é da ricercare in Sud America ed in particolare sulla Cordigliera delle Ande. Venne portata in Europa alla Corte di Spagna, si diffuse in Portogallo e in Italia dopo la metà del 1500. In Italia la sua coltivazione vera e propria iniziò verso la fine del 1700 e si estese gradatamente in tutte le regioni. Qualità alimentari Come alimento bisogna innanzitutto sfatare il detto “la patata ingrassa”! Non é affatto vero: 100 gr. di patate contengono solo 80 calorie, i grassi sono quasi inesistenti, contiene vitamina C e sali minerali sotto forma di potassio e proteine. Si può dedurre quindi che la patata é un alimento che contiene: vitamine, proteine e sali minerali, è priva di grassi, nutre, sazia ed
é di facile digeribilità. E con la fantasia si possono fare dei gustosi e meravigliosi piatti. Frittata di patate Ingredienti: gr. 700 di patate, gr. 100 di pancetta, n. 2 cucchiaiate di strutto, 1 cipolla piccola, sale-pepe Preparazione 1- Lessare le patate, sbucciarle e schiacciarle con la forchetta. 2- In un tegame mettere un pò di strutto con la pancetta tagliuzzata e far rosolare. 3- Versare nel recipiente il passato di patate, salare e pepare mescolando bene finché assorbe tutto il grasso. 4- Appiattire il tutto usando la paletta dei fritti. 5- Levare il recipiente dal fuoco. 6- Mettere il rimanente strutto nella padella dei fritti unendo la cipolla tagliata a metà; quando sarà ben rosolata, levarla. 7- Far scivolare nel recipiente la frittata di patate, lasciarla colorire perfettamente da una parte, capovolgerla, cuocerla dall’altro lato e servirla.
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Benedetta patata Quali sono più buone? Quelle abruzzesi o quelle campane? Molti tifano per quelle venete o calabresi. Le patate italiane sono sempre buone, ci sono tutto l’anno e ser vono per mille situazioni in cucina: non bisognerebbe mai scordarlo quando siamo al supermercato, anche perché si conservano abbastanza facilmente. Quelle a pasta gialla sono più sode, quelle a pasta bianca più farinose. Le possiamo usare in mille contorni o come protagoniste del piatto. Quelle a pasta gialla sono adatte a cotture dove la patata sia intera o a pezzi; se la pasta è bianca allora vanno bene per puré, le crocchette ed in genere in quelle preparazioni che prevedono la sfarinatura durante la cottura o dopo. Scegliamole sode, senza macchie verdi o germogli, le laviamo bene anche se dobbiamo togliere la buccia ma possiamo anche lessarle con la buccia, che la protegge, togliendola poi dopo. Ci ricorderemo sempre che la patata una volta cotta non si
conser va: meglio consumarla in breve tempo, senza tenerla in frigorifero. Sulla patata si poteva scrivere un libro intero ma questo libro ora c’è: si intitola “Benedetta Patata” ed è stato scritto da Salvatore Marchese, uno dei migliori scrittori gastronomici italiani. Non è solo un libro di ricette, ce ne sono una cinquantina tutte interessanti, ma una vera e propria storia di come la patata sia arrivata dalle Ande fino a noi, ad arricchire la nostra meravigliosa tavola: in tutte le nostre regioni è presente la patata in cucina. Un libro scritto molto bene, che si muove con eleganza fra il saggio storico ed il ricettario di qualità. E soprattutto originale perché non esistevano saggi precedenti; sapevamo solo che la patata è buona, ora sappiamo, grazie al libro di Marchese, molte cose in più. Sarà bene leggerlo: “Benedetta Patata” di Salvatore Marchese pag. 211 Lit. 24.000, Franco Muzzio Editore.
All’estero ce lo invidiano ma in Italia ancora lo conosciamo poco. È Iginio Massari, che tutti chiamano Gino, come fosse Bartali. È esattamente il contrario, quanto a carattere ed indole, dei pasticceri stranieri che lavorano in Italia: sorridente ed allegro, traduce la sua malinconia (male professionale dei pasticceri...) in sarcasmo e ironia molto singolari. Sposato con Mari, altra metà di se stesso, Massari vive a Brescia, dove conduce una pasticceria famosa con un buon ristorante. Anche se ha da poco passato la cinquantina, ha un curriculum denso e compatto, dai primi lavori di ragazzetto, contro il volere dei genitori, in Svizzera, poi in Francia, Belgio e Germania. Prima panettiere, poi cuoco, quindi pasticcere e più in là consulente di industrie nazionali: Bauli, la Star. Intervistarlo é quasi un problema perché è un continuo fiume di parole, ha studiato a fondo ogni minimo ingrediente che entra nelle sue composizioni dolciarie, risalendo indietro fino alle origini, spesso poco conosciute. È praticamente insonne: la notte scrive appunti e libri sull’arte della pasticceria, dai titoli insoliti, Programma, Pensieri, Armonia. Titoli strani, vagamente criptici, dietro i quali c’è però il grande amore alla cucina ed alla pasticceria. A Massari, mentre lavora nel suo laboratorio vasto come una catena di montaggio della Fiat, rivolgo una elementare domanda: dove va oggi la pasticceria? “Va verso la qualità, non c’è futuro senza qualità, che deve essere percepita e non imposta. Deve essere il consumatore a capire quale cosa é migliore e non il produttore a imporglielo. Inoltre, la qualità é un bisogno: significa che finché le cose vanno troppo bene nessuno sente l’esigenza di migliorarsi, ma sente questo bisogno solo quando le cose vanno meno bene. Inoltre, la qualità ha un costo, non si può scendere sotto un certo livello. Per esempio, chi vende la pasticceria a 12.000 lire il kg non può assolutamente fare qualità. La qualità, il buono assoluto sono valori reali. Chi fa prodotti di qualità, soprattutto nel settore artigianale, deve fare attenzione a non lasciarsi prendere dal successo commerciale, altrimenti mette a rischio la qualità. Io quest’anno avrei potuto vendere tranquillamente il doppio dei panettoni che ho infornato, ma non l’ho fatto perché non avrei potuto curare il prodotto nello stesso modo. La qualità deve avere una coscienza alle spalle. Vale a dire che chi produce deve anche avere la capacità di fare autocritica, di sapersi confrontare, senza essere distruttivo nei confronti di chi é più bravo. Cosa che é tipicamente italiana. Ricordo una volta una visita con una decina di pasticceri italiani da Fauchon a Parigi. C’era una pasta sfoglia straordinaria fatta con un burro di Strasburgo soavissimo e un’ottima vaniglia di Tahiti. Un collega italiano criticò quel dolce, così solo per il gusto di farlo, quando lui non sarebbe mai stato capace di fare qualcosa di simile”. Cosa pensa della pasticceria nell’alta ristorazione? “Nella ristorazione, nel settore cucina sono stati fatti grandi passi in avanti, ma forse non altrettanti nel settore della pasticceria, che é sempre stata considerata l’ultima ruota del carro. Fino a trent’anni fa chi non riusciva in pasticceria finiva a fare il pasticcere in cucina dei grandi alberghi. Lì il pasticcere era molto sacrificato, doveva alzarsi la mattina per fare i dolci, a pranzo e a cena era sempre l’ultimo a lasciare la cucina. C’è un errore di valutazione di fondo. Si dice che il dolce è una cosa importante perché è l’ultima cosa che mangia il cliente e perciò deve essere molto curata. Non è vero, il ricordo del cliente si basa su tutto l’insieme. Il difetto maggiore della pasticceria dei ristoranti italiani è quella di essere troppo francesizzata. Abbiamo una serie di ottimi dolci regionali che potrebbero essere valorizzati. E non mi vengano a dire che è un problema di dimensioni perché le torte regionali sono troppo grandi, si può fare anche un’ottima sbrisolona di 50-100 grammi, senza perdere nulla nel sapore”. Massari é uno strenuo difensore dello zucchero, colpevole invece secondo molti, di malanni e malattie, una vera “morte bianca”, come la chiamano gli inglesi. “Lo zucchero, dice Gino, ha modificato in modo incisivo l’alimentazione umana, senza zucchero non esisterebbero pasticcerie e gelaterie e neanche noi che ne parliamo, come in questa intervista. Lo zucchero é incorruttibile, é un energetico immediato. Ma deve essere di canna o di barbabietola, altrimenti sono guai. Tutta la pasticceria é basata sul migliore zucchero; è incredibile che la chimica che ci ha aiutato a ricavarlo dalla barbabietola, poi ce lo riproponga con i surrogati, che fanno tanto male. Certamente l’uso smodato dello zucchero provoca danni spesso irreparabili ma è colpa solo dei golosi senza ritegno: come non é colpa del vino se esistono gli alcolizzati. Lo zucchero é antichissimo: Caterina de’ Medici che lo porta a Parigi? Vai indietro ad Alessandro il Macedone che vide la canna da zucchero lungo l’Indo? Va’ ancora indietro: Dioscoride, Plinio e Teofrasto e ancora indietro. Poi gli Arabi portarono in epoca a noi più vicina la canna sul Mediterraneo: era il sale indiano. Per non parlare di Nostradamus e le centinaia di pagine in cui parla di marmellate, gelatine, cotognate e canditi ... Un eccellente confiseur: viaggiò a Venezia, centro rinascimentale dello zucchero, dove in un libro di autore anonimo si parla per la prima volta di zucchero. Provate ad immaginare Caterina de’ Medici ed i suoi confettieri, i gelatieri siciliani a Parigi, i trofei, le statue, i “i trionfi”, senza lo zucchero. Nel ‘500 e nel ‘600 noi europei intuiamo, con le grandi scoperte geografiche, anche la possibilità di enormi guadagni dalla canna da zucchero dei territori tropicali. Nei secoli successivi l’Europa è ormai padrona dello zucchero delle Antille e dei Tropici”. Massari non é un pasticcere “tout court”: é un agitatore di problemi, un operatore della pasticceria, insegna ai futuri professionisti e collabora alle riviste di settore. È l’unico membro italiano di Relais Dessert , esclusiva associazione internazionale, nella quale si entra solo se in possesso di certi requisiti e che praticamente annovera i Gotha mondiali della pasticceria, tanto per dire Fassbinder a Colonia e Moreno a Madrid, con 850 dipendenti. Cifre e strutture che da noi possiamo soltanto sognare ... Massari é presidente della Accademia Maestri Pasticceri Italiani, da lui fondata e che ha sede a Brescia: “Ho voluto crearla per spingere verso l’alto la nostra professione: posso dire che i nostri iscritti hanno fatto in questi anni passi da gigante e presto sentiremo parlare di loro ...”
Iginio Massari, il principe dei pasticceri italiani