3-4-5 MARZO 2000
n° 28-29-30/2000
Editors: Domenico Cilenti email: nicocilenti@gmail.com/Joan Nickles email: joannickles@gmail.com
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REPORTAGE
A caccia del mercato asiatico - La Terra è nelle nostre mani - Utilitarie sicure come berline
Utilitarie sicure come berline
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’ultima Punto della Fiat e la nuova Lupo della Volkswagen sono le più sicure tra le sette “super mini” o “city car” recentemente sottoposte ad un rigido programma di crash test. Il programma, condotto dal European New Car Assessement Programme (Euro NCAP), ha riscontrato che le due auto hanno ottenuto il massimo risultato di quattro stelle per la loro resistenza agli urti frontali e laterali. La Smart costruita dalla DaimlerChrysler, l’Atos Hyundai, l’Opel Corsa e la Logo Honda hanno tutte ottenuto tre stelle. La Y della FiatLancia solo due. Tutte le sette auto hanno raggiunto solo due stelle in caso di incidenti con i pedoni. Euro NCAP, un consorzio che comprende cinque governi europei, tre organizzazioni motoristiche e l’International Consumer Research & Testing, ha dichiarato di aver registrato un forte miglioramento nelle condizioni di sicurezza di guidatore e passeggeri rispetto al primo test del 1997. Chris Patience, responsabile della politica tecnica per la Automobile Association, ha accolto positivamente il risultato. “I costruttori di automobili ci avevano detto solo tre anni fa che era virtualmente impossibile ottenere quattro stelle in un crash test, è ancora così, ma uno dei modelli in questo ultimo gruppo sta battendo la migliore prestazione registrata dal test del 1997”. Euro NCAP renderà noti i risultati di questi test su più utilitarie alla fine di quest’anno.
IL PRESIDENTE DELLA INTERNATIONAL AUTOMOBILE FEDERATION, Max Mosley,
conversa con Luc Werring, capo della Road Safety European Commission, accanto ad una Fiat Punto, alla presentazione dei risultati dei crash test. Al Museo Mondiale delle Auto di Bruxelles, sono stati testati sette nuovi modelli di supermini. La Fiat Punto e la Volkswagen Lupo hanno ottenuto il punteggio di quattro stelle dallo European New Car Assessment Programme.
Le city-car stanno ottenendo Il motore del futuro potrebbe essere alimentato da questo gas e rilasciare vapore acqueo invece di gas velenosi risultati sempre I costruttori automobilistici e gli esperti di compagnie petrolifere, impegnati in programmi me Ballard Power System Inc, in quello che potrebbe essere una nuova fonte di grandi guadaenergia, hanno finalmente concordato che l’au- a medio termine. migliori nei to del futuro sarà mossa dall’idrogeno e non ge- I costruttori d’auto e le compagnie petroli- gni. Le compagnie petrolifere stanno procedennererà emissioni dannose bensì vapore acqueo. fere, stanno sostenendo una serie di tecnologie do con cautela e stanno chiedendo assicuraziodi passaggio, carburanti e ibridi alimentati alMa ci potrebbero volere 20 anni prima di camcrash-test biare le tradizionali automobili a combustione ternativamente a benzina e ad elettricità - per ni su come il mercato evolverà, prima di investi-
Dalla benzina all’idrogeno
MAX MOSLEY PARLA DURANTE UNA CONFERENZA STAMPA CON LUC WERRING, prima della presentazione
dei risultati dei crash test eseguiti sulle auto europee al Museo Mondiale delle Auto di Bruxelles.
interna, commentano gli esperti. Tra il presente e quel verde futuro, tutte le scommesse sono incerte - ed è motivo di grandi preoccupazioni per i produttori di auto e le
rimanere nei limiti sempre più ristretti presenti in Europa e Nord America. Gli investitori stanno cominciando a fare le loro scommesse, seguendo leader di settore co-
UNA PORSCHE TURBO 911, versione top della 911 family, all’apertura del General International Car Show. L’auto ha un motore 3600 cc a sei cilindri, sei
velocità manuali, ABS e raggiunge una velocità di 305 kmh. La Porsche 911 è in mostra all’esposizione di Ginevra, aperta al pubblico dal 2 marzo.
re miliardi di dollari in nuove installazioni e stazioni di servizio.
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La Terra è nelle nostre mani
Basta petrolio, usiamo l’energia del sole!
THE GERMAN ANTI-POLLUTION VESSEL "Neuwerick Kustenwache", one of eight ships from France, Spain, Britain, Germany and the Netherlands, starts mopping up operations of heavy fuel oil in the Atlantic. Thousands of tons of heavy fuel oil has been drifting slowly parallel to the France's western seaboard following the break-up and sinking of the Maltese-registered tanker Erika off the Brittany coast, December 1999.
La Terra si riscalda, le emissioni di biossido di carbonio sono al limite ma le compagnie petrolifere non vogliono cedere.
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entre il clima del mondo diventa sempre più caldo e micidiale, difficilmente la pubblica opinione riesce a vedere questi cambiamenti come una conseguenza dell’era del petrolio. Così dice il petroliere diventato ambientalista Jeremy Leggett, che sostiene che le compagnie petrolifere stiano spargendo i semi della propria distruzione, se continueranno ad evitare di combattere il riscaldamento della Terra. “Stiamo osservando i primi deboli segnali di quanto male possa andare”, dichiara Leggett, riferendosi alle valanghe di fango che hanno ucciso più di 30.000 persone in Venezuela e alle tempeste abbattutesi sulla Francia dicembre scorso. In un libro chiamato “The Carbon War”, parla di un crescente coro di osservazioni, che comprendono tanto il settore finanziario che quello assicurativo, che punta il dito sull’incapacità delle grandi compagnie petrolifere ad abbracciare l’energia pulita. “Ci stiamo avvicinando all’apocalisse”, scrive l’antico conferenziere e consulente dell’industria petrolifera. “Mentre si avvicina la fine del secolo degli idrocarburi, le compagnie petrolifere mescolano le posizioni, evidentemente dubbiose su come muoversi, mentre il loro mondo cambia attorno a loro come mai prima”. Leggett ha trascorso gli anni ‘90 come consulente di Greenpeace ai negoziati che hanno condotto nel 1997 al patto di Kyoto, che limita le emissioni di gas che provocano l’effetto serra. Il suo libro, un diario di quegli anni, evidenza quella che lui chiama la crassa disinformazione sostenuta dalle lobby petrolifere, che vogliono screditare l’evidenza che il clima sia cambiato a causa dell’intervento umano. Leggett riconosce tristemente la bravura delle lobby petrolifere e dei legislatori, nel cancellare le complessità scientifiche e presentare vigorose attrattive a giornalisti con-
servatori. Dice inoltre che i petrolieri lavorano in accordo con paesi dell’OPEC, come l’Arabia Saudita e il Kuwait, per rimandare o spostare il dibattito a riunioni chiave. La lobby petrolifere di solito sono riuscite a celare all’opinione pubblica gli scenari peggiori, in cui è l’intervento umano a causare l’aumento della temperatura del pianeta e hanno potuto innescare un naturale meccanismo di estrazione di incontrollabili quantità di metano dal fondo degli oceani, scrive Leggett. Una tale catastrofe avrebbe bisogno di soluzioni drastiche. “Ma potrebbe essere troppo tardi. Non importa quanto siano grandi le riduzioni delle emissioni umane, potrebbero essere cancellate dalle emissioni naturali.... noi abbiamo forzato all’aumento il termostato del pianeta”. Leggett ha partecipato ad un’azione per Greenpeace volta a fare un elenco dei sostegni che possono dare la compagnie assicurative contro quello che lui chiama carbon club. “Le conseguenze di un riconoscimento di responsabilità per alcuni dei danni causati dal cambiamento di clima, potrebbero essere devastanti per l’industria alimentata a carbone”, sostiene un’alleato di Leggett, Mark Mansley. Loro hanno scoperto che l’anno più caldo, il 1998, coincise con l’anno più costoso per perdite assicurative causate da catastrofi collegate al clima. Tempeste, inondazioni, siccità e incendi nel mondo, durante il 1998, hanno superato tutte le perdite collegate al clima negli anni ‘80. L’attacco di Leggett ha portato a vivaci scambi di vedute, come quello fra l’assicuratore James Anderson e il consulente petrolifero J.R. Spradley. “Si sa che il settore assicurativo potrebbe ridurre gli investimenti su petrolio e carbone”, avrebbe detto Anderson, dei Lloyd’s.“È una vostra scelta”, avrebbe risposto Spradley. Leggett sostiene che un dirigente
dell’OPEC, Sadallah al-Fathi avrebbe detto ad un meeting nel 1992: “Mi chiedete perchè siamo qui? Io lo chiedo a voi. Noi non volevamo questa convention. Qui non c’è nulla che ci riguardi”. Il riscaldamento del globo è un argomento critico per l’industria petrolifera, perchè i combustibili fossili - carbone, petrolio e gas naturale - rappresentano circa l’80% delle emissioni di biossido di carbonio causate dall’uomo. Molti scienziati credono che i gas stiano contribuendo al graduale riscaldamento dell’atmosfera terrestre. Gran parte delle società petrolifere americane si oppongono al trattato di Kyoto per i tagli alle emissioni - sebbene sembri che alcune abbiano cominciato a prestare attenzione al caso ambientalista. “Siamo arrivati all’inizio degli ultimi giorni dell’era del petrolio”, ha detto Mike Bowlin, capo esecutivo della Atlantic Richfield. Leggett sostiene che il commento di Bowlin è indice della confusione esistente nelle lobby petrolifere americane e di un tentativo di accettazione di quelle forme di energia rinnovabile che un giorno rimpiazzeranno il petrolio. Il messaggio non è stato trascurato dalle europee BP Amoco e Royal Dutch/Shell, che hanno ambedue installato unità solari per afferrare quella che loro vedono una lucrosa attività. Altre società produttrici di combustibili potrebbero rimandare l’adozione di forme di energia rinnovabili, ma alla fine le società conservatrici dovranno badare alle opposizioni al combustibile fossile, sostiene Leggett. “Hanno già perso la battaglia fondamentale nella guerra del carbone. La rivoluzione solare sta cominciando.È inevitabile”, ha scritto Leggett. “L’unica domanda senza risposta è: comincerà in tempo?”.
HONDURAS-FLAGGED TANKER AL JAZYA 1 sinks off the coast of Abu Dhabi, causing an oil slick up to 900 meters long after 200-300 tons of oil leaked out, officials said. All nine crew were rescued. Officials said choppy seas and oil dispersal operations had reduced the slick to 200-300 meters. Six clean-up vessels, owned by subsidiaries of Abu Dhabi National Oil Co (ADNOC), as well as coastguard and other vessels were on the scene, an ADNOC official said.
PANAMANIAN-REGISTERED FREIGHTER Wan He, carrying a 110-ton shipment of toxic U.S. military waste, the destination of which was yet to be decided, arrives back at Japan's Yokohama port after it was rejected by U.S. and Canadian officials. Japan's government expressed concern over the well-traveled waste, urging that it not be dumped on Japanese soil. The U.S. embassy said the waste materials are safe and will be stored in appropriate manner for less than one month before it is reshipped out of Japan.
A BLACK FUEL COVERED CORMORANT is picked up after the sea bird was fully covered by the spillage from a Russian tanker that sank off Istanbul. Turkish authorities said that around 850 tons of fuel spilled ashore causing an environmental disaster effecting more than one km of beach in Istanbul. The Russian flagged "Volganeft 248" ran aground in the Marmara Sea off Istanbul as a violent storm pounded the country's northwest.
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The Earth is in our hands L’AFRICA HA UN TASSO DI DEFORESTAZIONE
dello 0,7%, più del doppio della media mondiale che è dello 0,3% e ha perso 3,7 milioni di ettari di foresta all’anno tra il 1990 e il 1995, a causa di sconvolgimenti sociali, conversione in terra coltivabile, eccessivi disboscamenti e allargamento delle aree destinate a pastorizia e allevamento.
In pericolo la jungla africana Disboscamenti incontrollati e guerre alle radici della deforestazione
NABIALOWA POWER PLANT (above) near the city of Zabrze in the mining region of Silesia, Poland. Japan and the European Union are concerned over the recent United States decision to reject the Kyoto agreement on global warming, which would limit green house gasses such as those generated by coal powered electrical plants.
L’ozono si riduce anche al Polo Nord Nonostante gli accordi internazionali, continuano le emissioni di sostanze dannose per la fascia di ozono
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l fallimento di Cina e India di eliminare le sostanze chimiche pericolose, minaccia il progresso fatto nel risanamento dello strato di ozono che protegge la terra, ha detto l’uomo che ha scoperto il buco nell’ozono sopra l’Antartico. Da quando lo scienziato britannico Joe Farman ha identificato il buco nel 1985, il volume delle sostanze presenti nell’atmosfera che danneggiano l’ozono si sono ridotte, ma è necessario fare di più. “Il problema è ora con i paesi in via di sviluppo, specialmente Cina, India e forse Malesia e Indonesia”, ha dichiarato Farman a Kiruna, 150 km a nord del circolo polare artico. Circa 350 scienziati di tutto il mondo stanno seguendo il lancio del più grande studio sulla diminuzione dell’ozono sopra l’Europa e il Circolo Polare Artico, presso un centro di ricerche nel nord della Svezia. La scoperta dell’assottigliarsi della fascia di ozono risale al Protocollo di Montreal nel 1989, sottoscritto da quasi tutti i maggiori paesi industrializzati e in via di sviluppo.
Ma alcuni paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo, non hanno ancora applicato pienamente il protocollo, che impone loro l’eliminazione del clorofluorocarbonio (CFC), spesso usato nei frigoriferi, e altre sostanze chimiche, a partire da una certa data. “I paesi in via di sviluppo hanno un po’ più di tempo, in base al protocollo, ma non è sicuro che si adegueranno ai nostri obbiettivi di ridurre le emissioni. Uno dei pericoli è ancora l’uso indiscriminato dell’“halon”, ha dichiarato Farman. La fascia di ozono, che difende la terra dalle radiazioni solari, è stata assottigliata da anni di uso scriteriato di prodotti chimici, determinando l’aumento dei casi di tumore della pelle e contribuendo all’innalzamento della temperatura del globo. A partire dal 1985, i governi hanno sospeso o tenuto sotto controllo alcune pericolose emissioni, come quelle degli spray. “C’è un miglioramento, nel senso che si è generalmente smesso di liberare sostanze che danneggiano l’ozono, ma bisogna capire che una volta nell’aria, c’impiega-
no molto tempo prima di dissolversi”, continua Farman. “Quindi, no, le cose non vanno meglio, ma sono stati fatti i passi che assicureranno col tempo la loro scomparsa”. Il buco dell’ozono sopra l’Antartico, dove la fascia è stata più danneggiata, non sta peggiorando, dice ancora Farman. “Ci sono variazioni annuali, ma non c’è nulla che ci permetta di dire che sia una tendenza sistematica. Certo non è ancora migliorata, ma sarebbe veramente sciocco dire che sta andando peggio”. Il buco sull’Antartico ha coperto, il 15 settembre, 25,4 milioni di chilometri quadrati, una superficie grande due volte e mezzo l’Europa. L’inverno estremamente rigido che ha colpito l’Artico e il nord Europa ha ridotto la sovrastante fascia di ozono e può aver aperto un nuovo buco. “Abbiamo una riduzione sull’Artico, ma non così drammatica come sull’Antartico. Però c’è e sta crescendo e probabilmente peggiorerà nei prossimi quattro o cinque anni”, ha concluso Farman.
GENERAL VIEW OF AURUL SA (on the right) gold smelter plant in Baia Mare, northern Romania. A crack in a dam at the plant spilled cyanide into river waters flowing into Hungary, causing wildlife damage.
RESCUE WORKERS (below) remove some of the thousands of fish killed by the cyanide spill in Hungary's Tisza River, at Kiskore (150km east from Budapest). Romanian officials have admitted the poison was dumped into the river in an accident at a gold mine in northwestern Romania.
Una microalga produce idrogeno
Acqua pulita ed energia senza scorie da un micro organismo che si nutre di zolfo
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icroscopiche alghe verdi presto produrranno idrogeno pulito ed efficiente per alimentare le automobili di tutto il mondo, fornire energia all’industria e accendere le luci, questa è la convinzione degli scienziati. Diversi gruppi hanno abbandonato i sistemi altamente tecnologici per produrre energia e stanno tornando alla natura, che da lungo tempo ha mostrato come ricavare energia dall’acqua e dalla luce del sole. In questo caso, l’alga, conosciuta come Chlamydomonas reinhardtii, ha un sistema speciale che le permette di rilasciare idrogeno - un enzima chiamato idrogenase, che permette di dividere l’acqua nei suoi due componenti, idrogeno e ossigeno. “Il microrganismo usa l’energia del sole per produrre idrogeno”, rivela Tasios Melis, un botanico e microbiologo della University of California Berkeley. Queste alghe hanno bisogno di zolfo per crescere e realizzare il processo di fotosinte-
si, ma gli scienziati hanno scoperto che privandole dello zolfo, si mettono a produrre idrogenase. “L’alga verde non muore, non soffoca, ma usa la sua caratteristica. Il processo che porta alla produzione dell’idrogeno è semplicemente un sistema alternativo di respirare”, spiega Melis. Elias Greenbaum dell’Oak Ridge National Laboratory in Tennessee, rivela che l’alga, invece di usare la luce per estrarre i carboidrati del diossido di carbonio e dell’acqua, usa l’idrogenase per disgregare le riserve di energia. Le piante, normalmente, rilasciano ossigeno, quando però scivolano nel ciclo dell’idrogenase, rilasciano idrogeno. Facendo riferimento all’impiego dell’elettricità per separare l’idrogeno dall’ossigeno, Greenbaum dice che questa attività dell’alga è molto simile all’elettrolisi. Ad una riunione della American Association for the Advancement of Science, il gruppo di Melis ha comunicato
L’Africa ha perso 3,7 milioni di ettari di foresta all’anno tra il 1990 e il 1995, a causa di sconvolgimenti sociali, conversione in terra coltivabile, eccessivi disboscamenti e allargamento delle aree destinate a pastorizia e allevamento, sono queste le notizie rivelate dalla FAO. Le considerazioni sono contenute in uno studio che sarà discusso durante la 21a Conferenza Regionale per l’Africa, attualmente riunita a Yaounde, in Camerun. Il rapporto riferisce che la deforestazione è una seria minaccia per gran parte dei paesi in Africa, dove le foreste coprono 520 milioni di ettari. Il continente rappresenta la seconda più grande estensione di foresta tropicale del mondo, dopo l’America Latina. L’Africa ha un tasso di deforestazione dello 0,7%, più del doppio della media mondiale che è dello 0,3%.
Si dice che le popolazioni subsahariane fanno assegnamento più che mai sulla legna da ardere per le loro necessità domestiche. Tra il 70 e il 90% dell’energia termica utilizzata in Africa, viene dalla legna da ardere e la dipendenza dalle foreste, probabilmente, andrà aumentando a causa della povertà. Dei circa 570 milioni di metri cubi di legname prodotto nel 1994, l’84% è stato usato per accendere il fuoco e una popolazione in crescita significa che questa tendenza continuerà. Scontri militari, coinvolgendo diversi paesi, hanno reso impossibile salvaguardare le foreste, dove molte zone sono state minate. Forse uno spiraglio, però, comincia ad aprirsi, visto che le preoccupazioni a livello politico hanno accentuato, in alcuni paesi, lo sviluppo dei programmi nazionali per la salvaguardia delle foreste.
Un secolo bollente Il XX secolo è stato il più caldo degli ultimi cinque Il XX secolo è stato il più caldo negli ultimi 500 anni.La temperatura della Terra è aumentata di circa un grado centigrado a partire dal 1500, rivelano gli scienziati. Nell’emisfero settentrionale l’incremento è più rapido: 1,1C negli ultimi 500 anni e 0,6C solo nel XX secolo. “Il XX è stato il più caldo degli ultimi cinque secoli e quello che più rapidamente stava cambiando”, rivela Henry Pollak, della University of Michigan. Pollak e il suo collega Shaopeng Huang e Po-Yu Shen della University of West Ontario, hanno ricostruito i passati andamenti del cambiamento di clima usando dati sulla temperatura al di sotto della crosta terrestre raccolti attraverso perforazioni praticate in 616 luoghi diversi in ogni continente tranne che nell’Antartico. La loro ricerca è stata pubblicata nell’ultima edizione del giornale scientifico “Nature”. Termometri estremamente sensibili, posizionati nei fori, mostrano quanto la temperatura sia cambiata negli anni, perché indicazioni della temperatura di superficie sono conservate nelle rocce e nel terreno. Le temperature degli ultimi 1.000 anni sono registrate ad una profondità di 500 metri. “Così i 500 metri superiori sono un archivio - una registrazione storica dei cambiamenti di temperatura che sono avvenuti negli ultimi mille anni”, dice Pollak. Dalla media delle temperature raccolte per mezzo delle perforazioni, i ricercatori hanno ricostruito un quadro dei climi passati. Pollak e il suo team hanno intanto esaminato informazioni tratte da 358 scavi in tutto il mondo. I loro ritrovamenti sono compatibili con altri metodi di studio della passata temperatura come lo studio del ghiaccio in profondità, i sedimenti dei laghi e la crescita del corallo.
che per mettere l’alga in condizione di produrre l’idrogeno, occorre prima farla crescere in modo naturale, consentendole di usare la luce del sole e l’acqua per realizzare la fotosintesi. “(Solo) allora ... la priveremo dello zolfo”, ha concluso Melis. Dopo quattro o cinque giorni, le alghe cominciano a nutrirsi delle loro stesse proteine, così deve essere permesso nuovamente di realizzare la fotosintesi. Ma non ci sono limiti a quanti cicli possano essere sottoposte queste alghe. In pratica vivono per sempre. Il professor Melis ritiene che un laghetto pieno di alghe - non ha indicato le dimensioni del laghetto - potrebbe produrre idrogeno sufficiente a muovere una dozzina di auto per una settimana. Immagina un complesso dove laghetto dopo laghetto le alghe fanno ribollire l’idro-
geno, con coperture isolanti che sarebbero rimosse per dare alle alghe la loro dose regolare di luce solare e zolfo. Forse, continua Melis, potrebbero essere alimentate con le acque di scarico, risolvendo così due problemi in un colpo solo. Melis non si aspetta che le alghe produttrici di gas naturale entrino presto in azione: “Non siamo pronti a gestire commercialmente questo processo. Non siamo ancora soddisfatti dei nostri raccolti”. Ogni litro di alghe cresciute in laboratorio, produce circa tre millilitri di gas ogni ora, ma Melis ritiene che sia possibile aumentare il rendimento. Prima che la gente possa usare il gas nelle proprie auto, però, occorrerà risolvere i problemi di immagazzinamento e di utilizzo dell’idrogeno, gas altamente infiammabile.
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A caccia del mercato asiatico
I grandi produttori d’auto occidentali calano in Asia con diverse politiche e strategie, i più efficaci sembrano essere GM e Ford
DECINE DI AUTO, ANCORA SOTTO I TELONI, DURANTE I PREPARATIVI PER ALLESTIRE I PADIGLIONI DELLA 70a EDIZIONE DEL SALONE DELL’AUTO DI GINEVRA. Quest’anno, la
manifestazione si svolgerà fino al 12 marzo.
Si cambia! Le aziende automobilistiche giapponesi abbandonano i vecchi modi di operare e puntano a ridurre i costi
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JOHN MACK, DESIGNER CAPO DELLA PONTIAC PIRANHA, DI PRODUZIONE GENERAL MOTORS,
spiega le caratteristiche dell’auto al Chicago Auto Show. Il modello Piranha è un’auto sportiva, destinata al mercato dei giovani.
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fabbricanti d’auto si stanno tutti giocando uno spazio in Asia, a lungo dominata dai giapponesi, ma ora attento obbiettivo dei grandi produttori americani e di alcuni fra i più ambiziosi rivali europei. Al centro dei riflettori la General Motors, che ha salvato l’industria della regione con una zattera fatta di alleanze, sebbene la Ford Motor Co abbia posto una forte base in Asia, attraverso il controllo della Mazda Motor Corp. Dall’Europa, la Daimler-Chrysler è alla ricerca di un’acquisizione o di un’alleanza nella regione, mentre la francese Renault SA, con l’assorbimento della giapponese Nissan Motor Co, si è resa competitiva. E altri, come la tedesca Volkswagen, che ha due joint venture in Cina e una posizione dominante sul mercato locale, sembrano concentrare i propri sforzi su un solo paese. A dispetto delle sfide, gli analisti dicono che i produttori giapponesi come Toyota Motor Corp e Honda Motor Co sono ben equipaggiati per affrontare la battaglia, specialmente nel sud est asiatico, dove hanno una lunga esperienza. Toyota domina i mercati thailandesi e indonesiani, mentre Honda è considerata come uno dei più forti produttori asiatici di automobili, capace di crearsi uno spazio costruito sulla fedeltà alle sue motoci-
clette. Ma le pressioni dei produttori occidentali stanno cominciando ad essere insistenti. GM e Ford, i due maggiori produttori mondiali, hanno ambedue l’obbiettivo di conquistare un 10% del mercato asiatico. GM vorrebbe arrivarci in cinque anni, raddoppiando il suo attuale risultato, mentre Ford, che detiene solo l’1% del mercato si posta la data del 2007. Poichè in Asia ci sono alcune fra le nazioni più densamente popolate del mondo, e che hanno la necessità di motorizzarsi, la gara fra i produttori promette grandi ricchezze a chi svilupperà le strategie migliori, e trovare le strategie migliori significa fare l’uso migliore dei partner asiatici. Acquisendo strategiche partecipazioni in piccoli produttori giapponesi, GM ha fatto in modo di acquisire il progetto e il know-how di una small-car asiatica, come pure i canali di distribuzione, necessari per avere successo in Asia. Possiede il 20% della Subaru così da accrescere la propria tecnologia nelle quattro ruote motrici e ha il 49% della Isuzu, produttrice di camion, che è forte in Thailandia. Detiene anche un 10% della Suzuki Motor, che in una joint venture con il governo indiano domina il mercato indiano delle automobili. Il primo risultato della cooperazione GM-Suzuki è YGM-1, un’auto “strategicamente asiatica” presentata ottobre
scorso ed accolta entusiasticamente. Un’auto piccola e sportiva, commercializzata come una Chevrolet, e che sarà prodotta a partire dal prossimo anno. GM è anche considerata come il miglior acquirente della sud coreana Daewoo Motor ed è un passo avanti rispetto a Ford in Cina, dove dispone di una maggiore capacità produttiva. Secondo alcuni analisti, GM e le sue affiliate hanno lasciato Ford nella polvere, ma altri sono meno convinti, prevedendo che Ford realizzerà una efficacie ristrutturazione della Mazda. Puntano inoltre sulle installazioni Ford a Taiwan, Malaysia, Filippine e Vietnam, dove GM non è presente, e apprezzano inoltre i suoi sforzi di costruire una rete di concessionari e servizi finanziari. Ford è stata anche attiva nel sviluppare le sue auto per l’Asia, creando la Ford Ikon per l’India, una versione della Fiesta con le porte a vento per favorire l’accesso alle donne vestite con il sari e dall’abitacolo più alto per gli uomini col turbante. Ma la competizione non si ferma a GM e Ford. Sebbene la Daimler-Chrysler sia considerata pigra in Asia, anche se citata come possibile acquirente della Daewoo, lasciata da GM, sta cercando potenziali partner asiatici con alcuni rapporti che segnalano un movimento all’inizio dell’anno.
l mondo automobilistico giapponese sta attraversando un momento di ristrutturazione. A smuovere tutto il settore, le ristrutturazioni portate avanti dalla Nissan Motor Co, che hanno investito principalmente i fornitori di componentistica per le auto. La posizione della casa giapponese può essere sintetizzata in: acquisto dal miglior offerente. Una posizione che ha costretto le altre aziende ad assumere atteggiamenti similari, stravolgendo situazioni antiche e spingendo i contoterzisti a guardarsi attorno, alla ricerca non più e non solo di una, due case da fornire stabilmente, bensì di numerosi possibili acquirenti. Altra via che le aziende automobilistiche stanno prendendo, è il trasferimento di alcune produzioni secondarie in regioni in grado di rispettare gli standard qualitativi, a fronte però di costi di produzione inferiori. In tal senso, molto interessante è l’offerta thailandese, che garantisce il prezzo, senza dimenticare che, essendo sede di altre aziende automobilistiche, fra cui alcune occidentali, risponde al necessario livello qualitativo. Una scelta, quella che le aziende giapponesi stanno portando avanti, che sicuramente servirà a smuovere il settore produttivo e periferico dell’automobile, creando i presupposti per l’apertura di altre strutture produttive in altri paesi, fra cui la Cina e l’Indonesia, che sembrano progettare una loro risposta nel lungo periodo.
IL PRESIDENTE DELLA FORD MOTOR CO. WILLIAM CLAY FORD JR. (a sinistra) e
l’amministratore della Ford, Jac Nasser, posano accanto ad una Ford Modello T del 1914. Il modello T è stato nominato “Auto del Secolo” nel 1999 da un gruppo di giornalisti specializzati. William Ford è pronipote del fondatore della Ford Motor, Henry Ford.
Statistiche asiatiche Dopo la crisi del 1998, il mercato automobilistico asiatico ha realizzato un inaspettato recupero nel 1999 e ancora maggiori risultati si aspettano per il futuro, tanto che le previsioni parlano di un mercato di 15 milioni di veicoli nel 2004 e di 19 milioni nel 2009, rispetto agli 11 milioni del 1999. Ecco di seguito la situazione in alcuni fra i maggiori paesi asiatici.
Giappone Il secondo mercato mondiale per gli autoveicoli dopo gli USA, con 71 milioni di mezzi in circolazione. 5,88 milioni di unità vendute nel ‘99, lontano dal picco raggiunto nel ‘90 con 7,77 milioni di unità. Previsioni industriali di crescita del 2% nelle vendite.
Cina Solo 14,7 milioni di veicoli su una popolazione di 1,2 miliardi di persone. Dati imprecisi sulla situazione, ma lo stato riferisce di 1,83 milioni di veicoli nel ‘99, con una crescita dell’11% rispetto all’anno precedente.
Corea del Sud Esplosione di vendite nel 1999, con una crescita del 63%, pari a 1,2 milioni di unità vendute contro le 779,905 dell’anno prima, ma ancora lontane da 1,64 milioni vendute nel ‘96. La Corea del Sud ha 45 milioni di abitanti e più di 11 milioni di automezzi in circolazione.
India Le vendite complessive di autoveicoli sono cresciute del 33%, raggiungendo le 810.000 unità nel ‘99, con le automobili a rappresentare il 71% delle vendite.
Malaysia Le vendite di nuovi autoveicoli hanno sfiorato una crescita del 76% con le 288.547 unità nel ‘99, di cui l’11% di veicoli commerciali. Le previsioni di un’associazione industriale vedono il raggiungimento delle 350.000 unità, che si avvicina al picco di 404.839 nel 1997. Su una popolazione di 23,3 milioni di abitanti, ci sono quattro milioni di veicoli.
Thailandia IL PRESIDENTE DELLA FORD DIVISION, JAMES O’CONNOR (a destra) e il manager del marketing
della Ford, Jan Klug (a sinistra), attaccano un adesivo sulla Ford Focus. L’auto è stata nominata la “North American Car of the Year” per il 2000 all’International Auto Show del Nord America, che si è tenuto a Detroit. Nel 1999, la Ford Focus si è aggiudicata il titolo di Auto Europea dell’Anno. È la prima volta che lo stesso veicolo ottiene entrambi i titoli.
Crescita del 52% con 218.330 unità vendute nel 1999, ma ancora molto lontana dalle 589.126 del 1996. I veicoli commerciali rappresentano i due terzi del mercato, molti dei quali sono autocarri da una tonnellata. La popolazione è composta da 62 milioni di abitanti e conta su più di 5,79 milioni di automezzi.
Indonesia Su una popolazione di 216 milioni di abitanti, circolano solo sei milioni di veicoli, per il 90% commerciali. Nel ‘99 si è registrata la vendita di 94.023 unità contro i 58.198 dell’anno precedente, ma ancora lontana dalle 386.711 del ‘97.