Mangiafoglio n° 3-4-5/2000
Editors: Domenico Cilenti email: nicocilenti@gmail.com/Joan Nickles email: joannickles@gmail.com
GIGI DE SANTIS
21-22-23 GENNAIO 2000
Mangiafoglio Mangiare bene e dormire meglio
Il Peperoncino
Gigi de Santis inter vista Gualtiero Marchesi
Secondo recenti ricerche il peperoncino ha una for te azione antiar trosica, antireumatica, digestiva ed antiemorroidaria, regola la pressione ed il colesterolo.
C
’è un fermento in atto da qualche tempo su quello che mangiamo ogni giorno, su come ci comportiamo a tavola ed in cucina. Consigli, suggerimenti, avvisi e reprimende si susseguono implacabili, rischiando di farci perdere l’appetito e quel pò di buonumore che dovrebbe accompagnarci a tavola. Dietologi e gastronomi, con qualche infiltrazione di sociologi e psicoterapeuti, si affannano a dirci come dovremo mangiare negli anni a venire per salvaguardare salute e palato. Dappertutto si ridiscute tutto: la famosa nouvelle cuisine, che ha imperversato nel bene e nel male nell’ultimo decennio, é ormai affossata da tutti; la cucina dei nostri antenati è invece rispolverata e riproposta con toni di “rivisitazione”; la dieta mediterranea ci ritorna dagli USA, non come un boomerang ma come una parente simpatica che non vedevamo da tempo.
Il fascino delle erbe Si ritorna alle erbe fresche o essiccate (non si teorizza ancora su questo) al cibo più naturale possibile; il massimo traguardo è il “buono che fa bene”, concetto che si era un pò perso. Intanto, c’è chi parla di “dietologia tridimensionale” e chi, con l’Euro in arrivo, dice che dovremo salvaguardare al massimo i valori della tradizione e della regionalità. Il fascino delle erbe ci seduce da tempo: è fin troppo evidente il richiamo alla natura che esse esprimono; oggi frequentiamo sempre più spesso erboristi e verdumai. È sempre più vicino il successo in cucina delle erbe che qualcuno vede come le protagoniste della tavola e dei fornelli negli anni ‘90. In questo “andante con brio” si muove da qualche tempo una vecchia conoscenza della cucina meridionale: il peperoncino. Chi non lo conosce? Il suo attuale successo è certamente dovuto al grande favore di cui godono i cibi naturali ma anche ad alcune rivelazioni recenti di dietologi, alimentaristi e teorici della nutrizione. Il peperoncino è una pianta delle solanacee (come la patata, il pomodoro ed il tabacco) originaria dell’America meridionale; ha un frutto conico che da verde diviene giallo e successivamente rosso vivo, di sapor acre piccante e con semi arrotondati e numerosi. È proprio in questi semi che si nascondono e conservano le qualità più benefiche del frutto. Le proprietà del suo seme lo rendono ancora più benefico ed efficae dell’aglio e della cipolla, noti benefattori della tavola. Secondo recenti ricerche il peperoncino ha una forte azione antiartrosica, antireumatica, digestiva ed antiemorroidaria, regola la pressione ed il colesterolo. Nella sua bacca si annida un summit di principi biologici attivi e di vitamine. Fra queste spicca la E che ha una nota azione antiossidante, e quindi combatte l’invecchiamento, e la P che azione revulsiva, accelera cioè la circolazione del sangue, agendo sulle pareti sia dello stomaco che dell’intestino. Forte è la presenza della vitamina C e della K2 che ha azione protettiva-riparativa. Chi dice tutto questo? Alcuni eminenti studiosi, come il prof. Lino Businco, docente di Patologia Generale dell’Università di Roma che individua nel peperoncino “notevoli proprietà dietologiche che hanno ampio campo di applicazione nei più vari settori patologici”.
Polverizzato e crudo Il prof. Giulio Tarro, notissimo can-
cerologo, lo raccomanda come forte antidoto preventivo contro il male del secolo. Una vera autorità, come lo scienziato dell’alimentazione Ancel Keys rileva dagli USA come sia minore l’incidenza delle malattie cardiovascolari nelle popolazioni che usano regolarmente il peperoncino nella loro alimentazione. Altri studiosi dell’alimentazione indicano questo bene naturale come una vera panacea per molti possibili mali: l’elenco dei nomi sarebbe lungo. È più interessante notare invece che il peperoncino va usato crudo, spargendolo sulle pietanze come fosse del parmigiano. La cosa più importante è comunque che il peperoncino venga usato in polvere: solo così può essere assunto dal nostro organismo che altrimenti lo espellerebbe. Questo prodigioso ortaggio contiene fra i suoi tesori naturali la Capsaicina la quale stimola potentemente la produzione di succhi gastrici, determina cioè la secrezione di un ormone, detto gastrina, che ha il compito di esaltarte l’attività delle ghiandole gastriche. Il peperoncino è d’altronde ricco di betacarotene e di altri carotenoidi che agiscono nell’organismo come precursori della vitamina A ed esercitano azione protettiva verso alcuni agenti potenzalmente cancerogeni, presenti nel cibo e nel fumo delle sigarette. Fra le ricerche in tal senso, si segnalano gli studi dell’equipe dell’Istituto di Patologia Generale dell’Università di Pavia, diretto dal prof. Leonida Santamaria. In anni molto recenti il Centro di Ricerche Gerontologiche di Baltimora (USA), diretto dal prof. Richard Cutler, ha scoperto l’esistenza di un rapporto fra la concentrazione di betacarotene nel sangue e la durata media della vita di numerose specie di mammiferi: il betacarotene potrebbe essere uno dei fattori determinanti della longevità. Queste ipotesi sono in linea con le idee di molti studiosi che suggeriscono di arricchire la nostra dieta di vegetali rossi per migliorare lo stato della nostra salute.
A tavola con sale La presenza del peperoncino sulle nostre tavole è oggi in continua crescita, soprattutto in quelle regioni che sono più lontane dalla zona di produzione elettiva, la Lucania. È una piccola rivoluzione gastronomica quella alla quale stiamo assistendo: il peperoncino in polvere, usato a mo’ di parmigiano è richiesto in molti ristoranti e trattorie del centro-nord Italia. In qualche caso i ristoratori lo fanno trovare al cliente insieme al sale ed al coperto tradizionale. Dietro tutto questo crescente interesse per questa magica polvere rossa c’è l’opera costante, non silente ma anzi molto rumorosa, di un convinto assertore delle proprietà di questa pianticella. È un gentiluomo lucano che vive da molti anni nel centro storico di Bologna e dedica ogni suo tempo alla diffusione e alla conoscenza del peperoncino. Si chiama Ettore Liuni e qualcuno ha già definito la sua battaglia per il peperoncino un “quasi apostolato”. Da anni Liuni si batte per far conoscere le qualità di questa solanacea: interviene a dibattiti, scrive libri ed articoli esclusivamente dedicati al peperoncino, appare in trasmissioni televisive e radiofoniche, sempre con argomenti rinnovati e dichiarazioni di studiosi e medici. Il merito di Ettore Liuni è quello di avere individuato nel seme del peperoncino le sue qualità primarie; in ogni circostanza viene raccomandato di consu-
13
marlo crudo, spargendolo sulle pietanze. Questo non vuol dire che non possa usarsi anche in cucina: l’effetto sarà solo gustativo e non terapeutico: basterà allora spolverare la pietanza preparata con la polvere rossa al momento del servizio in tavola. Il peperoncino dilata le papille gustative facendo risaltare la pietanza in tutte le sue sfumature; usato con discrezione non condiziona il piatto, come potrebbe accadere con una spolverata di pepe nero, ma sottolinea ed esalta i suoi più riposti sapori. Il peperoncino preparato da Liuni, il Capsor, viene da coltivazioni lucane, è quasi inodore ed in qualche modo insapore: il suo gusto si definisce in unione alle pietanze.
La capsor e i semi Usato crudo mantiene inalterati i suooi componenti organolettici, enzimi, fermenti, vitamine e sali, che potranno agire per il nostro benessere; il calore e la cottura salverebbero infatti solo il piccante che è un fatto puramente gastronomico e non certo alimentare o dietetico. Nella preparazione del Capsor secco in polvere, il seme secco ha parte preponderante proprio perchè contiene l’acido grasso insaturo; una fine macinazione divide il seme in tanti piccollissimi grani, allargando al massimo la superficie di contatto con gli agenti digestivi ed in sostanza con tutto l’organismo umano. Insomma il famoso piatto di spaghetti, aglio, olio e peperoncino, tanto amato in tutta la penisola non avrebbe anche una efficacia salutare se non fosse spolverato da un pugnetto di polvere rossa cruda. Poco a poco questa pianticella apparentemente modesta è entrata ormai nel nostro immaginario gastronomico come qualcosa della quale probabilmente si dovrà tenere forte considerazione nella nostra futuribile dietologia e negli usi cucinari; una sorta di Gerovital dei poveri che ben si inserisce nella filosofia tutta utilitaristica del “buono che fa bene”. Ma nel dossier di benemerenze del peperoncino c’è una pagina addirittura luminosa: questo rosso dono della natura ha concorso alla scoperta della vitamina C, tanto preziosa ed indispensabile per il nostro organismo. Lo studioso ungherese Szent Gyorgyi scoprì questa vitamina proprio analizzando le proprietà salutari del peperoncino, che ne è ricchissimo. Grazie a questa scoperta, lo scienziato si vide attribuire il premio Nobel. Ce n’è abbastanza per spolverare della preziosa polvere rossa il nostro piatto di pasta quotidiano ...
Capsicum Annuum Identikit Nome latino: Capsicum Annumm Famiglia: Solanacee Parenti Stretti: tabacco, patata, pomodoro, guisquiamo, belladonna, stramonio, mandragora, ecc. Luogo d’origine: America meridionale Descrizione: Pianta annua (o perenne), con radice cilindrica, fibrosa; fusto eretto di cm 40-70; foglie alterne ellittico-acuminate o lanceolate; fiori solitari con corolla rotata e lembo di cinque lobi, bianchi d’estate; frutto conico che da verde passa a giallo e poi a rosso vivo, di sapore acre piccante; semi arrotondati, numerosi. Coltivazione: Mediante semina in cassette o lettorini, in marzo, in buche piene di letame o terra sostanziosa leggera. Sarchiare, sopprimere i getti bassi e innaffiare spesso. Raccolta in agosto. Staccare i frutti, farne delle ghirlande e far essiccare al sole. Temo-
no l’umidità e la golosità di insetti demolitori. Quando i peperoncini saranno diventati “secchi crocchianti” polverizzarli con tutti i semi, salvo altri modi di conservarli, sia freschi che secchi, a seconda di innumerevoli modalità regionali. Uso interno: Secco, in polvere sulle vivande, o fresco e secco per ricette, varie e fantasiose, a seconda dei gusti o dei luoghi di fruizione, per l’azione stimolante dell’appetito, digestiva, antiartrosica, antiemorroidaria, antireumatica. Uso esterno: Per l’azione rubefacente, antinevralgica, revulsiva, mediante infusi, impacchi, tinture, unguenti, estratti fluidi, cerotti, frizioni, possibilmente col consiglio del medico.
Lucania, terra del peperoncino Fin dal paleolitico inferiore, la Basilicata fu sede di una forte concentrazione dei più antichi insediamenti umani. Soprattutto i bacini lacustri e le sponde dei fiumi favorivano la frequentazione della regione da parte di gruppi di cacciatori. La prima svolta nella storia della regione coincide con l’immigrazione di una popolazione proveniente dall’Anatolia: i Liki, da cui alcuni ritengono provenga il nome di Lucania, altri ritengono che derivi da “lux”, “La parte da dove proviene la luce, il sole”. Altri ancora da “bosco”: Lucos, di cui la regione abbondava. Dotati di un grado di civilità notevomente superiore alle popolazioni indigene, riuniti in società di uomini liberi secondo un’equa ripartizione della terra, i Lyki si costituiscono in federazione e si sottopongono a un basileus solo in caso di guerra. Resistono alla minaccia greca (a partire dal VIII secolo a.C. erano nate colonie elleniche di Metaponto, Siris, Heraclea, Posidonia ...) e si alleano con i Sanniti di cui acquisiscono la scrittura. Nel 291 a.C., ormai assunto il nome di Lucani, si battono contro Roma che li vince. Le conseguenze sono molto dure: i centri cittadini decadono, il latifondo si sostituisce alla precedente distribuzione fondiaria (sintomatico il fatto che in Lucania, dopo la 2^ Guerra Mondiale si siano sviluppate le più virulente contestazioni per il possesso della terra). La vicenda ha anche il suo validissimo poeta: Rocco Scotellaro di Tricarico. Alla fine della dominazione romana gran parte della popolazione vive nella completa indigenza. Nel medioevo, dopo le invasioni di Visigoti ed Ostrogoti, un nuovo anelito di vita si irradia con le comunità monastiche. In seguito inizia la dominazione normanna che, trasferita la sua capitale da Melfi a Salerno, segna la fine dell’antica Lucania. Alla fine del XI secolo la regione comincia a essere chiamata Basilicata, perché territorio di giurisdizione del vescovo metropolita che reggeva la basilica di Acerenza (il termine Lucania, comunque sparirà ufficialmente solo dopo la seconda guerra mondiale). Nei secoli seguenti la regione é a più riprese sconvolta da guerre, carestie e pestilenze. Nell’era moderna è fra le regioni che si distinguono per lo sviluppo di movimenti antiborbonici e contrari al latifondo. L’unità, comunque, non risolve i gravi problemi della Basilicata, né riescono a farlo le leggi speciali promulgate fin dal 1904. La storia più recente, quella, l’avete studiata a scuola, perciò faccio punto.
L’altra notte abbiamo fatto un sogno veramente strano: sfogliavamo un vecchio dizionario-enciclopedia sui nostri tempi e con tutte le parole ed i nomi che oggi sono importanti e di moda. Il libro era piuttosto vecchiotto perché il sogno si svolgeva negli ultimi anni 2000, inoltratissimi. Così abbiamo per curiosità guardato tutte le parole di moda e i nomi dei personaggi famosi nei nostri anni di fine secolo. Poi la nostra curiosità di ghiottoni ha avuto il sopravvento e siamo andati a vedere cosa c’era scritto alla voce Gualtiero Marchesi... I sogni sono spesso confusi e non ricordiamo con esattezza tutto quanto era scritto ma più o meno la voce diceva questo: “Il migliore in assoluto fra i grandi cuochi italiani della fine del novecento. Personaggio dotato di grande inventiva, cultura ed ironia, ha rinnovato un modo di intendere la cucina. Esaltato dai buongustai e dalle persone di gusto, fu in qualche modo denigrato dai mangioni e da chi ha un’idea riempitiva del mangiare”. Seguiva poi una descrizione della vita del Nostro e dei suoi successi. Non ricordiamo altro, anche perché ci siamo svegliati di colpo, forse per la fame. Alla prima occasione, abbiamo raccontato il buffo sogno proprio al diretto interessato. Ne è venuta fuori una chiaccherata con Gualtiero, in uno dei suoi momenti di libertà, quando magari si rifugia con un amico in una trattoria popolare a mangiare un piatto genuino della tradizione; in tutta tranquillità, anche perché in posti del genere, certo solo in questi, nessuno magari lo riconosce e lo interpella. Ed è proprio sulla semplicità che attacchiamo a parlare: “Mi sarebbe piaciuto se nella enciclopedia del tuo sogno ci fosse stato scritto che la mia è stata una cucina semplice ...” Ma come può essere semplice una cucina che impiega ingredienti costosi, uomini ed ore di lavoro e la tua presenza costante?... “Ma la semplicità è un punto d’arrivo: la mia semplicità passa attraverso il disdegno per le salse, le cotture rapide. Se non è conquistata a questi prezzi, la semplicità è solo banalità e niente altro”. Allora, oggi, ha un futuro una cucina semplice? “Un futuro ed un presente, certo. Ma la cucina, i piatti, devono avere anche un valore ‘timbrico’, tonale direi: pensa ad una ratatouille, o ad un brassato o ad una pasta e fagioli. E poi ci vuole l’intuizione del momento: io la seguo molto, d’istinto ...” E la nuova cucina? “Si, nel ‘67 nasceva in Francia dai famosi Troigros che venivano dal Giappone: era il momento ...” Non pensi che la nouvelle cuisine abbia servito a rinnovare, a rimettere in piedi un interesse per la gastronomia che andava scemando; come i calciatori stranieri tesserati in Italia, hanno riportato interesse verso il calcio? “Si, forse, ma poi c’è stata una esasperazione dell’idea di nuova cucina. In ogni caso la cucina è sempre creativa perché chi la segue è un artista”. E allora la cucina quotidiana? Quella delle casalinghe? “La donna cucina con cuore, di cuore. L’uomo con intelletto. Anche se a me piace talvolta anche la cucina femminile, devo dire che non esistono donne che facciano una grande cucina”. Tu sei stato in Francia a farti le ossa, si dice che l’esperienza di Diogene sia stata molto importante per la tua formazione professionale. “Si, in Francia ho avuto come una conferma di quelle mie idee sulla cucina che qui in Italia non avevano molto seguito; tanto per dire: assenza di grassi, leggerezza, rispetto dei sapori, della stagionalità degli ingredienti ed altissima qualità dei medesimi. In Francia cucinano solo gli uomini: hanno in genere gran gusto e capacità tecnica. La donna ai fornelli è sempre istintiva ma non ha tecnica. Un cuoco per essere grande deve avere insieme gusto, creatività e basi tecniche ...”. Cosa pensi allora dei cuochi d’istinto che spesso hanno gran successo, pur venendo da altre professioni; hanno diritto di cittadinanza questi naifs della cucina? “Si, il naif cucina secondo gusto; può essere un grande gusto ed allora ha anche un grande successo, come accade appunto a certi pittori naifs. Ma non hanno quasi mai basi teoriche. Allora, a parità di condizioni, è meglio una cucina d’istinto ma di donne. La donna in questo caso mi da un’emozione in più che il cuoco uomo, improvvisato, non mi da, perché non avendo tecnica arriva subito all’essenziale del piatto. La creatività ha comunque bisogno sempre di un bagaglio tecnico: questo è un punto fermo. Un po’ come per i pittori astrattisti che sanno benissimo muoversi nel figurativo ...”. Che collaboratori hai in cucina? “Anche dei giovani, ma uomini: gente capace di costruire il piatto anche razionalmente, con rispetto dei valori e dei sapori”. Come hai imparato a muoverti in cucina? “Con naturalezza ed anche con passione. Se avessi dovuto studiare forse non sarei mai riuscito. Quando ero studente, un vecchio cuoco di mio padre mi diceva: portami qui i libri di scuola, te li faccio bollire e domattina ti do il consommé, così saprai tutto”. Dove va secondo Gualtiero Marchesi la cucina? “In un momento come questo c’è tutto da fare, altro che sedersi, come fanno certi. Siamo in epoca di grandi trasformazioni: pensa che il medico oggi surgela il midollo spinale. Ma ho fiducia: quel poco di sapore che c’è ancora, in qualche modo lo salveremo”.
Gualtiero Marchesi