Roma Tre News 3/2015

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UniversitĂ degli Studi Roma Tre - via Ostiense, 159 - www.uniroma3.it

Periodico di Ateneo

Anno XVII, n. 3 - 2015

SostenibilitĂ responsabile


Sommario Editoriale Pensiero sostenibile e agire responsabile Anna Lisa Tota Primo piano La vacanza in bicicletta I panorami come compagni di viaggio Mario Panizza Il trasporto ferroviario in Italia Un nuovo modello di mobilità sostenibile Tiziano Onesti

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Diritti in carcere Il progetto di Roma Tre che combatte le diseguaglianze Marco Ruotolo

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Uniwording Una lingua dei segni per tutti Mirella De Paris

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Wasteland Un progetto artistico che interpreta l’emergenza ecologica a cura della redazione del progetto Wasteland

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Verso un’Europa low-carbon Il progetto di ricerca EU-FP7 “GLAMURS”: Stili di vita verdi, modelli alternativi e sviluppo della sostenibilità regionale Giuseppe Carrus e altri

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Quale sviluppo sostenibile? 14 In equilibrio dinamico all’interno dei grandi cicli geofisici e biologici del pianeta Giovanni Scarano Ecologia del movimento La via in salita della mobilità sostenibile a Roma Tre (con qualche discesa improvvisa) Stefania Angelelli e Stefano Carrese

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Andare per treni e stazioni Viaggio lungo la “spina dorsale d’Italia” Enrico Menduni

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Il Viaggio in Italia di Goethe 59 Un monumento all’amore dei tedeschi per l’Italia Marino Freschi Strada facendo 2016: l’anno nazionale dei cammini Giulia Pietralunga Cosentino

Verso Roma Tre sostenibile 22 Il ruolo dell’Università a sostegno degli obiettivi dell’Agenda Globale Paola Marrone

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Inaugurazione dell'A.A. 2015/2016 62 L'Università come motore del cambiamento sociale e promotore della dignitas umana Valentina Cavalletti

Se stiamo bene lavoriamo meglio! Il benessere organizzativo nelle aziende e nella pubblica amministrazione Maria Rosaria Cagnazzo

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Sostenibilità alla prova Modelli e pratiche di governo del territorio Anna Laura Palazzo

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Isolare con leggerezza Minori consumi e costruzioni più salubri Gabriele Bellingeri

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Scenari sostenibili per il cambiamento Verso la transizione energetica e la decarbonizzazione della nostra società Chiara Tonelli

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Rubriche Audiocronache Il mondo visto da Roma Tre Radio Ilaria Sinopoli

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Sostenibilità e radicamento territoriale Le sfide metodologiche e operative per l’analisi dello sviluppo Elena Battaglini

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Palladium Il possibile e il necessario. Sulla sostenibilità del mestiere teatrale Raimondo Guarino Aprile in danza al Teatro Palladium Ylenia Giorgione

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Incontri Celso Amorim. «Not intervention, not indifference» Valentina Cavalletti

Educarsi alla cura: coltivare, custodire, cantare 44 Un commento all’enciclica Laudato si’ di papa Francesco Chiara Giaccardi e Mauro Magatti Sardex Storia di successo di un modello di mercato complementare, basato sulla fiducia fra i singoli e la comunità Carlo Mancosu

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Reportage La Terra dei fuochi Una tragedia annunciata Giulia Simonetti

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Post lauream 75 Educazione interculturale: master di primo livello del Dipartimento di Scienze della formazione Massimiliano Fiorucci Non tutti sanno che Il portale Croqqer sbarca a Roma: un ponte tra tecnologia e umanità Alessandra Lombardi

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Recensioni Mai più spose bambine La campagna di Amnesty International in collaborazione con Roma Tre Riccardo Noury

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Periodico dell’Università degli Studi Roma Tre Anno XVII, numero 3/2015 Direttore responsabile Anna Lisa Tota (professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi)

Il bambino che scoprì il mondo 80 Fra sogni e radici: il viaggio per diventare grandi Francesca Gisotti Tradurre in realtà un’utopia Itinerario narrativo attraverso le città ideali Michela Monferrini

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Caporedattore Alessandra Ciarletti Vicecaporedattore e segreteria di redazione Federica Martellini romatre.news@uniroma3.it Redazione Valentina Cavalletti, Gessica Cuscunà, Paolo Di Paolo, Francesca Gisotti, Elisabetta Garuccio Norrito, Michela Monferrini, Giulia Pietralunga Cosentino, Francesca Simeoni Hanno collaborato a questo numero Stefania Angelelli (mobility manager Università degli Studi Roma Tre), Luca Aversano (professore associato di Storia della musica), Elena Battaglini (responsabile dell’Area di ricerca “Economia Territoriale”, Fondazione Di Vittorio), Maria Rosaria Cagnazzo (Area per il benessere organizzativo, l’innovazione e la diffusione di strumenti informatici), Stefano Carrese (delegato del Rettore per la mobilità sostenibile), Mirella De Paris (coordinatrice progetto Uniwording), Massimiliano Fiorucci (direttore del Master in Educazione interculturale), Marino Freschi (professore emerito - Dipartimento di Lingue, letterature e culture straniere), Chiara Giaccardi (professore ordinario di Sociologia dei processi culturali - Università cattolica di Milano), Ylenia Giorgione (studentessa CdLM Informazione, editoria e giornalismo - tirocinante Teatro Palladium), Raimondo Guarino (professore ordinario di Discipline dello spettacolo e coordinatore dei Corsi di studio DAMS), Alessandra Lombardi (consulente di comunicazione Portale Croqqer), Mauro Magatti (professore ordinario di Sociologia - Università cattolica di Milano), Carlo Mancosu (cofondatore del Circuito Sardex.net), Paola Marrone (delegato del Rettore alla sostenibilità ambientale), Enrico Menduni (professore ordinario di Culture e formati della televisione e della radio), Riccardo Noury (portavoce di Amnesty International Italia), Tiziano Onesti (professore ordinario di Economia aziendale - presidente di Trenitalia), redazione del progetto Wasteland, Anna Laura Palazzo (professore associato di Urbanistica), Mario Panizza (Rettore Università degli Studi Roma Tre), Marco Ruotolo (professore ordinario di Diritto costituzionale direttore del Master in Diritto penitenziario e Costituzione), Giovanni Scarano (presidente della Scuola di Economia e Studi aziendali), Giulia Simonetti (laureata in Teoria della comunicazione), Ilaria Sinopoli (studentessa della Laurea magistrale in Cinema, televisione e produzione multimediale - speaker di Roma Tre Radio), Chiara Tonelli (delegato del Rettore per Strat up e impresa), redazione del Progetto Wasteland

Periodico Periodico di Ateneo

Anno XVII, n. 3 - 2015

Immagini e foto Amnesty International Italia, Associazione Antigone, Antonio Azzurro, Barbara Cardone, Luigi De Santis, Chiara Di Battista, Vanessa D’Orazi, Creatività e broadcasting - FS italiane, Oriella Esposito, Maria Cristina Finucci, Gariwo, Mauro Pagnano, Marta Perrotta, Progetto Garbage Patch State, Giovanni Scarano, Stefano Vaja Bia Simonassi (issuu.com/treebookgallery/docs) ha realizzato i mind map pubblicati alle pp. 5 e 42-43 Progetto grafico Magda Paolillo, Conmedia s.r.l. - Piazza San Calisto, 9 - Roma 06 64561102 - www.conmedia.it Il progetto grafico della copertina è di Tommaso D’Errico Impaginazione e stampa Tipografia Gimax di Medei Massimiliano Via Valdambrini, 22 - 00058 Santa Marinella (RM) - tel. 0766 511644

Sostenibilità responsabile

In copertina Chêne. Foto di Jean-Christophe Capdupuy © Fine lavorazione marzo 2016 ISSN: 2279-9206 Registrazione Tribunale di Roma - n. 51/98 del 17/02/1998


«In a country with growing socioeconomic inequality and human rights violations, Berta Cáceres rallied the indigenous Lenca people of Honduras and waged a grassroots campaign that successfully pressured the world’s largest dam builder to pull out of the Agua Zarca Dam». Goldman Environmental Prize Così scrive di Berta Cáceres la pagina web del prestigioso Goldman Environmental Prize, che lo scorso anno l’ha premiata per le sue battaglie ecologiste in Honduras. Cofondatrice nel 1993 del Consiglio dei popoli indigeni dell’Honduras (COPINH), Berta Cáceres era diventata nel corso degli anni un punto di riferimento per la causa indigena: aveva rappresentato i diritti delle popolazioni dell’Honduras di fronte alla Corte europea di Strasburgo e alla Banca mondiale. Il 2 marzo scorso è stata uccisa nella sua casa, secondo le fonti ufficiali nel corso di una rapina. «Noi tutti sappiamo – ha tuttavia dichiarato la madre – che è accaduto per via delle sue battaglie». La ONG Global Witness ha documentato a livello globale, per l’anno 2014, l’uccisione di 116 attivisti che operavano nel campo della tutela ambientale e dei diritti umani. La maggior parte dei delitti è avvenuta in Brasile (29), seguito da Colombia (25), Filippine (15) e Honduras (12). Il 40 per cento delle vittime apparteneva a gruppi indigeni. Sempre secondo Global Witness nel 2014 si è registrato un incremento di delitti connessi a progetti idroelettrici e le dispute intorno ai diritti di sfruttamento dei territori hanno fatto da sfondo alla maggior parte di questi crimini. Berta Cáceres è stata protagonista della lotta della comunità di Rio Blanco contro la realizzazione del complesso idroelettrico Agua Zarca, previsto sul Rio Gualcarque, un fiume sacro nella cosmogonia Lenca che costituisce una fondamentale risorsa idrica per circa 600 famiglie che vivono nella foresta pluviale. Con questo disegno, realizzato per noi da Bia Simonassi, la ricordiamo e le rendiamo il nostro omaggio


Pensiero sostenibile e agire responsabile Anna Lisa Tota «Non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli». (Proverbio del popolo navajo)

Anna Lisa Tota

«Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita». (Al-

bert Einstein) Il concetto di sostenibilità venne introdotto per la prima volta nel 1972, durante la prima conferenza ONU sull’ambiente. Tuttavia, da quella data dovettero trascorrere ancora quindici lunghi anni prima che esso fosse teorizzato compiutamente grazie alla pubblicazione del rapporto Brundtland intitolato Our common future da parte della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo dell’UNEP (United Nations Environment Program). Gro Harlem Brundtland era a quel tempo il primo ministro norvegese e fu scelto come presidente di quella commissione proprio per il suo forte background scientifico. In Our common future l’intento dichiarato fu di «far sì che lo sviluppo potesse soddisfare i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere ai loro». «Lo sviluppo sostenibile, lungi dall’essere una definitiva condizione di armonia» – fu definito come – «processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali fossero resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali». Nei decenni successivi si è passati a posizioni più critiche e radicali che hanno sottolineato la necessità di mettere in discussione l’ottimistica fiducia nella tecnologia che avrebbe dovuto portare ad una nuova era di “crescita economica”. Nel dibattito successivo si sono contrapposte almeno due concezioni di sostenibilità: una radicale e una più sensibile alle necessità di sviluppo dei sistemi economici. Tuttavia, al di là delle mere contrapposizioni, come sottolinea Giovanni Scarano, la questione fondamentale riguarda la ridefinizione della complessità dell’organizzazione sociale: «i sistemi economici capitalistici – egli afferma – sono come le biciclette: se non corrono diventano instabili e tendono a crollare. Per immaginare sistemi socioeconomici stazionari occorrerebbe ridefinire in modo radicale le forme dell’organizzazione sociale». La questione centrale diviene allora: siamo disposti a sostenere, promuovere e im-

plementare tali cambiamenti? La sostenibilità rimane un concetto limitato se non coniugato con la responsabilità. Come sottolineava un attivista alcuni anni or sono, non basta più non inquinare, ora occorre anche farsi carico di ripulire il pianeta per poterlo consegnare alle future generazioni senza che esso sia irrimediabilmente compromesso. “Sostenibilità responsabile” è il titolo che abbiamo scelto per questo numero: la sostenibilità va pensata, narrata, praticata e… insegnata. C’è un nesso inscindibile che lega pensieri, parole ed azioni. È un nesso significativo, su cui si è soffermato il Mahatma Gandhi quando affermava: «Prenditi cura dei tuoi pensieri, perché diventeranno azioni. Prenditi cura delle tue azioni perché diventeranno abitudini (…)». In questo senso potremmo dire che ci sono pensieri, azioni, abitudini e stili di vita che rendono sostenibile la nostra vita su questo pianeta e altre che si limitano a esternalizzare i costi del benessere attuale sulle generazioni del futuro. Abitare il pianeta il modo sostenibile richiede di rendere visibili i costi invisibili del nostro attuale benessere. Se un certo tipo di consumi, di mobilità o di interventi sul territorio produce danni ambientali nel breve, medio e lungo periodo, questi danni possono essere stimati e devono essere inclusi nel computo dei costi effettivi dei beni che consumiamo, della mobilità che scegliamo o degli interventi sul territorio che progettiamo.

Pensare e abitare il pianeta in modo sostenibile significherebbe, applicando a questo concetto la prospettiva di Merleau-Ponty, ricollocare il pensiero nella carne del mondo Maurice Merleau-Ponty nella sua ultima opera L’occhio e lo spirito sottolinea la necessità di riconnettere il pensiero filosofico e scientifico con la carne del corpo: «sul terreno del mondo sensibile e del mondo lavorato così come sono nella nostra vita, per il nostro corpo… » (1964, p. 15). Pensare e abitare il pianeta in modo sostenibile significherebbe, applicando a questo concetto la prospettiva di Merleau-Ponty, ricollocare il pensiero nella carne del mondo. Non più un pensare e un agire astratti, ma calati nell’effettiva vita del pianeta che ci permettano di assumerci la responsabilità dei nostri stili di vita e delle nostre scelte. Quanto costa un viaggio aereo Roma-Parigi? Costa davvero la cifra che siamo disposti a pagare quando acquistiamo il biglietto oppure ci sono dei danni dovuti all’inquinamento che derivano dal trasporto aereo che non sono quantificati e inclusi nella cifra che abbiamo pagato? Ma se non li paghiamo (e nemmeno li vediamo) ora mentre acquistiamo il biglietto, chi li pagherà? È come emette-


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re una cambiale senza definire chi sarà il debitore e cadere nella fallacia di credere che alla fine, poiché il debitore non è identificato sin dall’inizio, nessuno pagherà. In termini ambientali al contrario, “non paga nessuno” equivale spesso a “pagano tutti”. È qui che il concetto di responsabilità assume una nuova centralità. Ricongiungere il pensiero alla carne del mondo – nel senso auspicato da Merleau-Ponty – può comportare un mutamento culturale di vaste proporzioni che porti a ribellarci alle logiche degli imballaggi, dello spreco energetico, dell’accumulo indiscriminato dei rifiuti, della mobilità estrema e forzosa, delle bottigliette d’acqua di plastica e dei loro tappi che finiscono nello stomaco degli albatros. Non si tratta soltanto di evitare interventi sul territorio dalle conseguenze più o meno catastrofiche, ma di ripensare ad un nuovo connubio tra l’intervento umano e la natura, una sorta di nuovo patto cooperativo che non abbia come unico e principale obiettivo quello dello sfruttamento economico delle risorse ambientali, ma che metta al centro la sostenibilità responsabile di tutte le scelte. Esiste una gerarchia dei desideri e delle volontà che colloca al centro le generazioni attuali e che occulta le altre posizioni. Indipendentemente dall’ovvia constatazione che la maggior parte delle generazioni attuali è composta da padri, madri, nonni e nonne, zie e zii, il progresso ha significato e ancora significa il soddisfacimento dei desideri di consumo e di qualità della vita delle generazioni presenti, mentre il computo dei costi che il soddisfacimento di tali bisogni e desideri nel presente comporta è esternalizzato sulle generazioni future che non sono tuttavia da pensarsi in astratto, ma più concretamente come i figli dei nostri nipoti.

Come mai non usiamo il termine “terrorismo ambientale” per indicare chi uccide al fine di poter continuare a distruggere l’ambiente e lasciamo che sia usato piuttosto per indicare chi si oppone al perpetrarsi della distruzione ambientale? Il 15 ottobre del 2014 è uscito il film Il sale della terra di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado (figlio di Sebastião Salgado). Il documentario è un lungo e articolato omaggio al lavoro del più grande fotografo del mondo, Sebastião Salgado. Dopo Migrations (2000) in cui il fotografo brasiliano documenta l’orrore delle migrazioni di massa causate dalle carestie, dai disastri naturali e ambientali, egli dedica otto lunghi anni al suo lavoro più recente: Genesis. In questa sua nuova collezione di scatti egli scopre e fotografa deserti, mari, oceani, animali e popolazioni che si sono finora sottratti al contatto con la società “civilizzata”. Sono parti del pianeta ancora incontaminate, quelle a cui idealmente tornare nelle nostre riflessioni sulla sostenibilità responsabile. Salgado è il poeta delle imma-

gini che con Genesis propone un inno alla vita del pianeta. Sembra offrirci con le sue foto un’ideale colonna sonora alle riflessioni sulla sostenibilità.

Salgado è il poeta delle immagini che con “Genesis” propone un inno alla vita del pianeta. In questo numero parleremo di percorsi in bicicletta, di viaggi in treno, di economia, di case sostenibili e di molti altri argomenti. Parliamo anche di Berta Isabel Càceres Flores, un’attivista ambientalista dell’Honduras a capo dei Lenca, una popolazione indigena centro-americana che discende dai Maya e che risiede nella parte sud-occidentale dell’Honduras al confine con il Salvador. Berta Isabel, nata il 4 marzo 1971, è stata uccisa il 3 marzo 2016 all’età di 45 anni. Madre di quattro figli, è stata la cofondatrice e la coordinatrice del Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras (COPINH). Ha vinto nel 2015 il Goldman Environmental Prize (il Green Nobel) per la sua campagna di opposizione alla costruzione di un’enorme diga che avrebbe devastato il territorio. In un’intervista alla stampa internazionale, subito dopo l’uccisione della madre, la sua figlia primogenita di 25 anni Berta Isabel Zúñiga Cáceres ha dichiarato di ritenere responsabile dell’assassinio di sua madre la compagnia che intende costruire la diga. Di sostenibilità ancora si può morire. In alcune parti del pianeta chi pensa sostenibile e agisce responsabilmente viene minacciato di morte e ucciso nella propria casa. Questo è un atto di ecoterrorismo o terrorismo ambientale. Sorprende il fatto che questo termine sia stato utilizzato per descrivere le azioni di guerriglia di gruppi radicali che avrebbero utilizzato la violenza per azioni a salvaguardia del pianeta. Sono state talora definite ecoterroriste attiviste come Julia Butterfly Hill, che “pericolosamente” decise di vivere dal 10 dicembre del 1997 al 18 dicembre del 1999 appesa su una antichissima sequoia per impedire che fosse tagliata insieme a molti altri ettari di foresta in California da parte della Pacific Lumber Company. Azioni come queste sono state talora definite dalle multinazionali che vedevano minacciati i loro interessi economici come forme di ecoterrorismo. Ma chi sono gli ecoterroristi? Come mai non usiamo il termine “terrorismo ambientale” per indicare chi uccide al fine di poter continuare a distruggere l’ambiente e lasciamo che sia usato piuttosto per indicare chi si oppone al perpetrarsi della distruzione ambientale? Come mai non diciamo apertamente che Berta Isabel Càceres Flores è una vittima dell’ecoterrorismo e che i mandanti di questo omicidio sono da definirsi ecoterroristi? Le parole contano. È meglio restituire loro il significato originario; altrimenti rischiamo che esse ci confondano le idee. Questo numero è dedicato a Berta Isabel Càceres Flores, vittima di un’azione di ecoterrorismo, quello vero che risponde alla logica del profitto e non certo a quella della sostenibilità responsabile.


La vacanza in bicicletta I panorami come compagni di viaggio

Mario Panizza

Perché andare in vacanza in bicicletta? Ci si ferma dove si vuole, perché il problema del parcheggio non esiste e, soprattutto, si ha l’agio di curiosare in posti che, con un veicolo appena più ingombrante o viaggiando a una velocità meno “da lumaca”, non sarebbe possibile scoprire.

La vacanza in bicicletta incomincia molto prima di partire. L’itinerario va studiato in anticipo per evitare sorprese che potrebbero compromettere il viaggio: scegliere cosa visitare, gli ambienti naturali e i centri storici, ma anche le “stazioni di posta” dove fermarsi a mangiare e “recuperare le forze”. Questa conoscenza anticipata non indebolisce però la curiosità perché, al gusto di vedere le cose di persona, aggiunge anche l’emozione di scoprire

Gota Kanal

se la programmazione è stata efficiente, in grado di scongiurare sorprese negative. Al neofita va detto che la vacanza in bicicletta è fatta di percorso e non di mete raggiunte. Il tempo maggiore è infatti passato pedalando e non fermi in città. Sono i panorami i veri compagni di viaggio. Le decisioni da prendere all’inizio non sono poche e non riguardano solo i luoghi da visitare e il percorso. La prima è: prendo la bicicletta in affitto nella regione che voglio visitare o parto con la mia, eventualmente pieghevole se penso di intervallare il viaggio con tratti in treno? Ovviamente la bici in affitto obbliga a costruire un percorso che ritorni nel punto di partenza, o vicino a esso, in modo che la bici possa essere restituita facilmente. Per ovviare a questo si può optare per un tour organizzato che offra soluzioni complete di tutto, risolvendo anche il recupero della bicicletta in altro luogo rispetto alla partenza. Il viaggiatore “fai da te” deve invece scegliere il ciclista dal quale affittare, quasi sempre a distanza, la bicicletta: il consiglio migliore è la “pignoleria” con cui formulare le domande sul prodotto offerto e la verifica della “disposizione” ad accontentare le richieste (le caratteristiche dei ganci per le borse da

primo piano

Mario Panizza

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Sassonia

viaggio, il kit di manutenzione, le luci di emergenza etc.). Se il ciclista individuato, anche dopo domande così puntigliose, continua a soddisfare le nostre esigenze, allora ci possiamo fidare e partire con la buona consapevolezza che al nostro arrivo troveremo un negoziante appassionato, ben disposto ad assecondare le voglie di noi, cicloamatori esigenti.

I lungofiumi offrono in generale un’ottima opportunità di viaggio: il lungo Elba, la riva destra del Po o, ancora più articolato, il canale artificiale costruito nella seconda metà dell’Ottocento in Svezia per collegare Stoccolma a Göteborg e permettere il trasporto delle merci sull’acqua senza dover ricorrere alla circumnavigazione sul Mar Baltico Fissata la partenza, si passa alla scelta del percorso che occupa, anche nella preparazione, la parte più piacevole e curiosa del viaggio, perché richiede di mettere nel migliore equilibrio possibile una serie di variabili non indifferenti: bellezza dei panorami che, con l’esperienza si riescono a decifrare anche attraverso le informazioni cartografiche, fondo stradale, asperità altimetriche, presenza di traffico automobilistico, lunghezza della tappa; ma

ancora luoghi di interesse, qualità dell’offerta per dormire e varietà delle curiosità culinarie. Insomma predisporre un viaggio in bici, sempre che si abbia il piacere di farlo in autonomia, occupa, e non poco, i mesi che precedono la partenza. Le occasioni per scegliere un itinerario sono molteplici e si appoggiano a opportunità di varia natura: geografiche (il corso di un fiume, il bordo di una costa etc.); storiche (il tracciato di un cammino significativo, di un muro di confine etc.); culturali (collegamento di edifici stilisticamente omogenei etc.); antropologiche (usi e costumi, itinerari dei vini etc.). A seconda dello spirito e dell’interesse, si avvia di conseguenza la costruzione del percorso. Personalmente ne ho sperimentati molti e, in ogni situazione, ho trovato il gusto del viag-

Normandia, Parigi-Londra


Newcastle

gio, con il piacere indotto, almeno per chi fa turismo e non attività agonistica, del movimento e dello stile di vita. La condizione di benessere che si prova dopo una settimana di viaggio in bicicletta, con una media di 50-60 chilometri al giorno, è tangibile.

Partire da Notre Dame e arrivare a Big Ben significa scoprire, pedalata dopo pedalata, le tracce sul territorio della storia di due popoli vicini, ma spesso in conflitto. Si scoprono le consuetudini, ma anche i segni del paesaggio, che raccontano il modo di lavorare la terra e costruire gli agglomerati urbani I lungofiumi offrono in generale un’ottima opportunità di viaggio, in quanto disegnano un tracciato riconoscibile, marcato nel territorio da un letto che, se percorso dal lato più “conveniente”, assicura una strada tutta in discesa. Il lungo Elba, la riva destra del Po o, ancora più articolato, il canale artificiale costruito nella seconda metà dell’Ottocento in Svezia per collegare Stoccolma a Göteborg e permettere il trasporto delle merci sull’acqua senza dover ricorrere alla circumnavigazione sul Mar Baltico. Sono tracciati viari che coincidono con la strada del magistrato delle acque, un percorso privilegiato che, dovendo occupare una po-

sizione di controllo, cammina generalmente sul bordo superiore della banchina. Itinerari esclusivamente naturalistici sono quelli che legano le isole di un arcipelago. È il caso, ad esempio, delle Lofoten, raggiungibili attraverso un viaggio di avventura, utilizzando più mezzi di trasporto. In questo caso bisogna essere consapevoli che le condizioni esterne sono difficili (clima e assenza di punti di ristoro) per cui è necessario scegliere la buona stagione ed essere fortunati per non passare tutti i giorni sotto l’acqua, anche se alcuni sono garantiti. Gli itinerari storici possono avere anch’essi molti spunti d’interesse e caratterizzarsi per un tracciato, come il Vallo di Adriano, che, dalla costa occidentale della Cambria, costeggiando il confine della

Magdeburgo

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Isole Lofoten

Scozia, arriva fino a Newcastle. Il tracciato lineare potrebbe essere sostituito da una rete di punti storici, come l’anello delle Fiandre che, richiamando una mitica corsa ciclistica ormai centenaria, unisce una serie di città, molto ricche di storia, cultura e arte. È possibile trovare anche percorsi che combinano insieme più interessi, non trascurando, come quando si percorre la Mosella, di visitare, insieme alle cattedrali gotiche, le aree dei vigneti. Un viaggio da affrontare con spirito profondamente diverso, perché provocato da tutt’altro tipo di curiosità, è il collegamento tra due mete importanti, soprattutto se capitali di stati confinanti o che, negli anni, hanno avuto intense relazioni: da Parigi

Dessau, Casa Klee

a Londra, da Berlino a Copenaghen etc. Partire da Notre Dame e arrivare a Big Ben significa scoprire, pedalata dopo pedalata, le tracce sul territorio della storia di due popoli vicini, ma spesso in conflitto. Si scoprono le consuetudini, ma anche i segni del paesaggio, che raccontano il modo di lavorare la terra e costruire gli agglomerati urbani. Volendo giungere a una valutazione di sintesi, anche se devo riconoscere di essere un giudice molto di parte, posso assicurare che al termine di una vacanza in bicicletta lo stato di soddisfazione e di benessere è un po’ più alto e, se può valere per incoraggiare chi non lo ha mai provato, viene istintivo pensare all’itinerario del viaggio successivo.


Il trasporto ferroviario in Italia Un nuovo modello di mobilità sostenibile Tiziano Onesti

La sfida della sostenibilità ambientale Il 2015 è stato l’anno più caldo da 136 anni a questa parte. L’anno appena trascorso ha battuto il record precedente, che era stato stabilito appena l’anno prima, nel 2014. In pratica, gli ultimi due anni sono stati i più caldi mai registrati, a confermarlo Tiziano Onesti un recente studio del NOAA (Agenzia americana per l’atmosfera e gli oceani) e del Met Office (Ufficio meteorologico britannico). Che la questione energetica abbia assunto dimensioni mondiali è ormai un dato di fatto. Secondi i dati diffusi dall’IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change, negli ultimi 800mila anni la quantità di anidride carbonica nell’aria avrebbe oscillato tra le 180 parti per milione (ppm) durante le ere glaciali e le 280 nei periodi più caldi. Dalla rivoluzione industriale in poi la combustione di fossili ha spinto la CO2 a livelli mai sperimentati prima: è da almeno tre milioni di anni che la concentrazione di diossido di carbonio non superava le 440 ppm. In un simile scenario, le politiche di sostenibilità ambientale – rafforzate dai recenti accordi di Parigi sul clima – rappresentano il vero spartiacque tra l’era dei combustibili fossili e quella delle energie pulite e risultano quanto di più definito, scientificamente plausibile e in concreto applicabile oggi nel mondo. Un dato acquisito tanto per i paesi più industrializzati che per le economie emergenti: l’impegno nella sostenibilità ambientale è il vero core business su cui puntare. Le imprese in questo senso giocano un ruolo decisivo nel nostro Paese. Trenitalia, realtà che appartiene al più grande gruppo italiano del settore dei trasporti – quasi ottomila treni al giorno che viaggiano lungo i 16mila chilometri di linea – ha da tempo lanciato la sua sfida, conducendo le attività industria-

li nel rispetto dei principi della sostenibilità sociale, ambientale ed economica.

Le politiche di sostenibilità ambientale di Trenitalia per il Paese costituiscono un ampio progetto che riguarda anzitutto le linee del trasporto regionale, percorse giornalmente da circa 2,5 milioni di pendolari. È proprio grazie alla scelta responsabile di queste persone che nel 2015 sono stati risparmiati all’atmosfera 5,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica, 73mila chilogrammi di particolato (PM10 e PM2,5), 22mila tonnellate di ossidi di azoto e 2mila tonnellate di idrocarburi Il treno: un volano che riavvia il paese verso un nuovo modello di mobilità Il trasporto ferroviario nel nostro Paese produce soltanto il 2% delle emissioni totali di diossido di carbonio, mentre il settore dei trasporti, nel suo complesso, è responsabile di circa il 30% delle emissioni totali di CO2, soprattutto legate al traffico su strada e all’aereo. Sono numeri importanti, che orientano sempre più le politiche di mobilità e gli investimenti verso modalità di trasporto “virtuose”. Trenitalia fa la sua parte, come dimostra la recente consegna alle Regioni, a tempi di record, degli oltre 350 nuovi Jazz e Swing per i pendolari di tutta Italia e il recente arrivo del Frecciarossa 1000 per i milioni di passeggeri che scelgono ogni giorno l’alta velocità ferroviaria. Trenitalia e le politiche di sostenibilità ambientale Nel 2014 i consumi per trazione ferroviaria, che rappresentano l’80% dei consumi di energia primaria del Gruppo FS, sono diminuiti del 4,5% rispetto al 2013, confermando l’efficacia delle azioni di razionalizzazione delle attività e di risparmio energetico collegati all’esercizio ferroviario. Il miglioramento del trend può essere ricondotto, inoltre, ad un progressivo decremento dei treni-km effettuati con trazione diesel, oltre che dal fattore climatico favorevole che ha consentito di razionalizzare l’utilizzo dei servizi di climatizzazione (invernale ed estiva) a bordo treno.

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Emissioni Le politiche di sostenibilità ambientale di Trenitalia per il Paese costituiscono un ampio progetto che riguarda anzitutto le linee del trasporto regionale, percorse giornalmente da circa 2,5 milioni di pendolari. È proprio grazie alla scelta responsabile di queste persone che nel 2015 sono stati risparmiati all’atmosfera 5,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica, 73mila chilogrammi di particolato (PM10 e PM2,5), 22mila tonnellate di ossidi di azoto e 2mila tonnellate di idrocarburi. Anche i viaggiatori che nel 2015 hanno preferito il Frecciarossa tra Roma e Milano hanno consentito di non immettere nell’atmosfera circa un milione di tonnellate di CO2, 10 tonnellate di PM10, 6mila tonnellate di NOx e 500 tonnellate di idrocarburi non metanici, che sarebbero state prodotte se avessero viaggiato in auto.

La nuova gara da 4,5 miliardi per l’acquisto di altri 500 nuovi treni per i pendolari, e i due miliardi e mezzo di euro già investiti per ammodernare la flotta e la qualità dei servizi rivolti ai viaggiatori sono la prova evidente dell’impegno quotidiano di Trenitalia per favorire il riequilibrio modale In particolare, in Trenitalia le emissioni specifiche di CO2 per la trazione ferroviaria del servizio passeggeri e di quelli merci registrano una flessione, rispettivamente del 14,4% e del 22,7% nel 2014. Il risultato dell’impegno della società nel promuovere e realizzare interventi volti alla mitigazione degli impatti ambientali è evidente anche in merito all’andamento delle emissioni di CO2 degli impianti industriali di Trenitalia soggetti alla direttiva ETS (Emission Trading System), che si riducono del 28% nel 2014. Un dato tanto più significativo proprio per Roma e Milano, due grandi città europee, dove l’allarme smog ha visto registrare valori delle polveri sottili così elevati da richiedere misure di contrasto come le targhe alterne o il blocco delle automobili private. La mobilità sostenibile è uno dei punti cardine del processo di modernizzazione del Paese: il principale contributo di Trenitalia e di tutto il Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane consiste nell’offrire al Paese un efficiente sistema di trasporti, per passeggeri e merci, in grado di realizzare il necessario riequilibrio modale, spingendo al passaggio dalla gomma e dall’aereo verso il trasporto su ferro. La nuova gara da 4,5 miliardi per l’acquisto di altri 500 nuovi treni per i pendolari, e i due miliardi e mezzo di euro già investiti per ammodernare la flotta e la qualità dei servizi rivolti ai viaggiatori sono la prova evidente dell’impegno quotidiano di Trenitalia per favorire il riequilibrio modale. Le società del Gruppo FS sono fortemente impegnate in un processo di sensibilizzazione dei cittadini – soprattutto giovani – al tema della sostenibilità, in modo da aumentare la consapevolezza dei vantaggi ambientali di cui il treno è portatore. A questo scopo,

Trenitalia, offre sul suo sito web l’applicativo Ecopassenger, che consente di misurare l’impatto ambientale relativo ad uno specifico viaggio in termini di consumi energetici e di emissioni inquinanti. Con tale applicazione è possibile paragonare gli effetti prodotti sull’ambiente dalle diverse modalità di trasporto. Per il trasporto di merci, invece, analoghi confronti possono essere simulati con l’applicativo Ecotransit. Sempre al fine di responsabilizzare la collettività, anche nel 2014 FS e Legambiente hanno presentato il Treno Verde, iniziativa giunta alla ventiquattresima edizione che ha svolto una grande campagna di rilevamento dell’inquinamento acustico e atmosferico. Rifiuti Trenitalia, ha ridotto la produzione dei rifiuti speciali nel 2014 del 24,6% tramite una graduale contrazione delle campagne demolizione di carri ferroviari per il trasporto merci.

Le società del Gruppo FS sono fortemente impegnate in un processo di sensibilizzazione dei cittadini al tema della sostenibilità. A questo scopo, Trenitalia, offre sul suo sito web l’applicativo Ecopassenger, che consente di misurare l’impatto ambientale relativo ad uno specifico viaggio in termini di consumi energetici e di emissioni inquinanti Campi elettromagnetici In merito a tal punto, sono state effettuate numerose indagini sui materiali rotabili per verificare il rispetto dei valori limite di campo elettromagnetico (CEM) previsti dalla normativa Frecciarossa 1000, Jazz e Swing: tecnologia, velocità, comfort e puntualità nel rispetto dell’ambiente Se parliamo di Alta Velocità, Trenitalia, nel progettare e realizzare i nuovi interni del Frecciarossa 1000, ha prestato grande attenzione ai materiali utilizzati e al risparmio energetico: grazie alle nuove luci a led


utilizzate nelle carrozze, i consumi per illuminazione si sono ridotti del 25 per cento, a fronte di un aumento della luminosità del 20 per cento. Inoltre, si è dato ampio spazio all’utilizzo di materiali riciclabili, vernici a basso impatto ambientale e pelli provenienti da fornitori certificati. Anche i nuovi Jazz e Swing rispondono ai criteri di politica ambientale di Trenitalia: realizzati con materiali riciclabili per il 95%, garantiscono ridotte emissioni in atmosfera di CO2 e si distinguono per i bassi consumi energetici. Come per il Frecciarossa 1000, l’illuminazione per i passeggeri è a led, con taratura automatica in funzione della luce esterna, e i sistemi di climatizzazione sono regolati anche in base al numero di persone presenti nelle carrozze.

Trenitalia stampa i suoi biglietti su carta certificata secondo gli standard del Forest Stewardship Council® (FSC), autorevole organizzazione internazionale non governativa, che assicura l’utilizzo di materiale prodotto con cellulosa proveniente da foreste gestite in modo responsabile, o dal riciclo post-consumo. Si tratta di circa 120 milioni di biglietti all'anno, pari a 360 tonnellate e quasi due chilometri quadrati di carta: una pila di biglietti alta quasi tre volte il monte Everest, pesante quanto un Frecciargento e sufficiente a ricoprire 270 campi di calcio Anche le società di pulizia della flotta Alta Velocità e regionale sono coinvolte nella policy ambientale di Trenitalia: si tratta di ditte in possesso della certificazione ambientale ISO 14001, così come tutte le aziende che forniscono i prodotti chimici, i materiali e le apparecchiature. Le tecniche di pulizia a bordo treno sono all’avanguardia e consentono fino al 70 per cento di risparmio d’acqua. Gran parte dei prodotti impiegati sono in possesso del marchio di qualità ecologica Ecolabel dell’Unione europea e sono super concentrati, diluiti cioè solo al momento dell’uso, garantendo una minor produzione di rifiuti da imballaggio e minori consumi nella fasi di approvvigionamento. Risparmio carta, sistema FSC e digitalizzazione dei biglietti L’attenzione alla sostenibilità ambientale si riflette in tutte le attività di Trenitalia e del Gruppo: dalla progettazione alla realizzazione e manutenzione delle opere e dei mezzi, dalla gestione dell’infrastruttura e delle stazioni alla circolazione dei treni passeggeri e merci, dagli impianti di manutenzione agli uffici.

Un piccolo esempio, ma significativo. Trenitalia stampa ogni mese circa 10 milioni di biglietti su carta certificata secondo gli standard del Forest Stewardship Council® (FSC), autorevole organizzazione internazionale non governativa, che assicura l’utilizzo di materiale prodotto con cellulosa proveniente esclusivamente da foreste gestite in modo responsabile, o dal riciclo post-consumo. Si tratta di circa 120 milioni di biglietti all’anno, pari a 360 tonnellate e quasi due chilometri quadrati di carta: una pila di biglietti alta quasi tre volte il monte Everest, pesante quanto un Frecciargento e sufficiente a ricoprire 270 campi di calcio. Ma non basta. Anche la rivista di bordo La Freccia – con più di 80mila copie stampate al mese – viene realizzata su carta FSC. E grazie alla modalità di acquisto Ticketless, Trenitalia permette ai propri clienti di salire a bordo senza dover stampare il biglietto. La progressiva digitalizzazione dei documenti di viaggio del treno inoltre - grazie ai 16mila tablet di cui sono stati dotati macchinisti e capitreno dei quasi 8mila treni che circolano ogni giorno sugli oltre 16mila chilometri di rete - permette un risparmio quantificato in 160 tonnellate di carta l’anno. Certificazione qualità, ambiente, salute e sicurezza sul lavoro Trenitalia è la prima grande impresa ferroviaria europea ad aver ottenuto la certificazione Qualità, Ambiente, Salute e Sicurezza sul lavoro di tutto il proprio business. Questo Sistema di Gestione Integrato consente all’impresa di trasporto di monitorare, valutare e migliorare le proprie performance ambientali in tutte le decine di realtà produttive presenti sul territorio nazionale. Prospettive per il 2016 Poi c’è il futuro. Trenitalia ha l’ambizione di lanciare nuove proposte e nuove formule green per i suoi clienti, all’insegna della mobilità sostenibile. La sensibilità per l’ambiente – dimostrata scegliendo di viaggiare con le Frecce – trova modo di manifestarsi anche nella scelta dell’albergo dove pernottare e del mezzo privato da usare negli spostamenti cittadini, dalla bici all’auto ecologica. Tutto questo grazie a vere e proprie alleanze strategiche tra Trenitalia e altre realtà eco-sensibili come la prosecuzione della partnership con Eni relativa al car sharing Enjoy, nonché l’accordo con Clear Channel per promuovere il bike sharing nelle città di Milano e Verona.

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Quale sviluppo sostenibile? In equilibrio dinamico all’interno dei grandi cicli geofisici e biologici del pianeta Giovanni Scarano

Il concetto di sviluppo economico sostenibile ha condiviso la sorte di molti slogan di forte impa tto emo t i v o , ma di indubb i a v aghezza semantica. Alcuni hanno perfino declinato la sostenibilità come la capacità di un progetto o di un’azione di farsi accettare sotto un profilo etico. Giovanni Scarano Ma la migliore definizione è stata forse fornita involontariamente dagli economisti francesi, che nel loro perenne tentativo di evitare una subalternità culturale al mondo anglosassone, hanno tradotto la locuzione sustainable development con développement durable: uno sviluppo economico capace di perdurare nel tempo. Le caratteristiche attribuite a un tale tipo di sviluppo economico, però, variano a seconda delle diverse impostazioni teoriche e culturali, dalle quali scaturiscono anche differenti indicazioni normative che spesso entrano in contrasto tra loro. E ciò diventa vieppiù inquietante nel momento in cui la “sostenibilità” ambientale è assunta come un “valore assoluto”, che può confliggere con altri obiettivi del benessere sociale. In un mondo caratterizzato ancora da forti disparità di reddito e

Campagna inglese

di tenori di vita, il porre vincoli ai processi di crescita economica può, infatti, porre gravi problemi etici per quella parte della popolazione mondiale, ancora minoritaria, che ha acquisito una sensibilità ecologica solo dopo aver raggiunto l’opulenza materiale; soprattutto quando la tutela dell’ambiente naturale può essere sospettata di essere una nuova forma di barriera non tariffaria nelle relazioni commerciali internazionali, utilizzata in modo surrettizio dai paesi di antica industrializzazione per arginare la sfida competitiva dei paesi emergenti.

Il concetto di sviluppo economico sostenibile ha condiviso la sorte di molti slogan di forte impatto emotivo, ma di indubbia vaghezza semantica. Tra le diverse interpretazioni della sostenibilità ambientale è possibile distinguere almeno due orientamenti contrapposti. Da un lato si pone una concezione di “sostenibilità forte”, che caratterizza in genere i movimenti ambientalisti, e dall’altro quella di una “sostenibilità debole”, che tende a prevalere negli approcci di politica economica degli Stati e delle organizzazioni internazionali. La prima presuppone un netto trade off tra carrying capacity degli ecosistemi naturali e crescita economica e conduce a posizioni “conservazioni-


Appennino toscano

ste” nei confronti degli ambienti naturali, fino ad arrivare alla teorizzazione della decrescita, secondo la quale l’attuale livello di sfruttamento delle risorse naturali avrebbe già ampiamente superato il limite che comprometterebbe le condizioni di esistenza delle future generazioni umane. L’archetipo di questo approccio è rinvenibile nel pensiero “ecologico” di Gilbert White, elaborato nella seconda metà del XVIII secolo, che inventò quel sentimento incantato per una natura idealizzata che animerà gran parte del romanticismo, nel quale la campagna inglese, che era una realtà intensamente antropizzata e modellata da secoli di attività agricole e pastorali, appariva come un armonico meccanismo generato dalla volontà divina e affidato in usufrutto agli uomini, che ne potevano godere solo a condizione di rispettarlo e preservarlo nelle sue forme originarie, al fine di riconsegnarlo inalterato a Dio alla fine dei tempi. Se a Dio si sostituiscono le ipotetiche generazioni future, ci si ritrova esattamente con il nucleo centrale dell’attuale paradigma della sostenibilità forte. La seconda concezione di sostenibilità considera invece le risorse naturali come una delle tante componenti dello stock complessivo di capitale a disposizione dell’umanità e, data la loro scarsità relativa, punta a tassi di consumo della componente naturale che non eccedano i tassi della sua progressiva sostituzione con capitale tecnico. Il tipico esempio è quello di una progressiva sostituzione di fonti energetiche non rinnovabili, quali il petrolio e il gas naturale, con dispositivi tecnici, quali pannelli solari o pale eoliche, che consentano di utilizzare fonti energetiche rinnovabili. In realtà, dietro un’ampia serie di differenze interpretative, entrambe le concezioni di sostenibilità conferiscono centralità alla nozione di scarsità delle risorse naturali e al limite che essa pone alle possibilità di sviluppo economico. Ciò conduce a un rifiorire di impostazioni neomalthusia-

ne, che guardano con avversione crescente gli obiettivi tradizionali della crescita economica. Quest’ultima, poi, è vista come un modello di sviluppo coscientemente scelto dalle autorità governative e in quanto tale è contestato, contrapponendogli modelli di sviluppo e scelte sociali di carattere diverso.

Il nostro pianeta non è mai stato un’entità stazionaria e immutabile. La sua attuale configurazione è il risultato transitorio di un lungo e complesso processo di evoluzione dinamica, in cui l’atmosfera, l’idrosfera, la litosfera e l’ecosfera si sono continuamente modificati nella loro interazione reciproca Ma la crescita economica non è un modello di sviluppo consapevolmente scelto e perseguito. L’incapacità ormai cronica dei governi dei paesi sviluppati di garantire tassi di crescita adeguati a evitare il problema della disoccupazione tecnologica e a garantire l’equilibrio della finanza pubblica sono un’evidente testimonianza di come i processi di crescita capitalistica assomiglino più alle forze cieche della natura, determinate dagli assetti sociali esistenti, che a un programma politico coscientemente perseguito. La crescita economica, più che essere una scelta consapevole delle moderne società industriali e postindustriali, è il risultato oggettivo di una forma di organizzazione della società umana che ha finito per prevalere nello sviluppo della sua storia universale: il modo di produzione capitalistico. La crescita economica

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Centrale elettrica dell’Agro Romano

è l’effetto delle tendenze all’accumulazione di capitale che caratterizzano la società civile, sulla base di rapporti di produzione storicamente determinati. E i sistemi economici capitalistici sono come le biciclette: se non corrono diventano instabili e tendono a crollare. Per immaginare sistemi socioeconomici stazionari occorrerebbe ridefinire in modo radicale le forme dell’organizzazione sociale.

Gli individui e le singole specie soccombono in continuazione, e gli ecosistemi, che sono il risultato dinamico della loro interazione, si modificano ed evolvono, contribuendo a creare la storia naturale del pianeta, di cui la specie umana, con le proprie attività economiche e le proprie conoscenze scientifiche, è parte integrante Quindi il principale limite che accomuna tutte le attuali concezioni di sviluppo sostenibile risiede nel considerare gli effetti dei processi di accumulazione capitalistica come un effetto negativo del suo

apparato tecnologico di supporto: si scambia per limite tecnico ciò che è in realtà un limite sociale. Il nostro pianeta non è mai stato un’entità stazionaria e immutabile. La sua attuale configurazione è il risultato transitorio di un lungo e complesso processo di evoluzione dinamica, in cui l’atmosfera, l’idrosfera, la litosfera e l’ecosfera si sono continuamente modificati nella loro interazione reciproca. Esso è un complesso sistema dinamico, in cui ogni elemento, animato o inanimato, è inserito in una rete di interrelazioni con gli altri elementi, e in cui ogni specie vivente è parte integrante dell’ambiente di altre specie, influenzandone le condizioni di esistenza e di riproduzione. Nella sua storia evolutiva ogni specie vivente ha sempre trovato nel proprio ambiente naturale tanto le condizioni della propria esistenza e della propria riproduzione quanto le cause della morte dei propri individui o le condizioni per la propria estinzione. Tra le specie viventi e il loro ambiente vi è sempre stata un’interazione antagonistica, in cui ogni organismo riesce a sopravvivere nella misura in cui è in grado di trasformare parti del proprio ambiente. Questa dialettica permanente tra le diverse componenti del pianeta conduce, per tempi più o meno lunghi, a forme di equilibrio dinamico all’interno di grandi cicli geofisici e biologici, ma questi equilibri non sono mai stati permanenti. Gli individui e le singole specie soccom-


bono in continuazione, e gli ecosistemi, che sono il risultato dinamico della loro interazione, si modificano ed evolvono, contribuendo a creare la storia naturale del pianeta, di cui la specie umana, con le proprie attività economiche e le proprie conoscenze scientifiche, è parte integrante.

Nel momento in cui la potenza di azione umana sembra raggiungere livelli confrontabili con quelli delle grandi forze della natura, divenendo capace di incidere in modo rilevante su aspetti macroscopici del pianeta, l’antica propensione umana a progettare e realizzare ambienti artificiali e antropizzati deve volgersi verso l’obiettivo di controllare e garantire in forma consapevole le condizioni generali di riproduzione dell’intero pianeta Se si esula da considerazioni di carattere mistico o religioso, che prefigurino l’esistenza e la conoscenza di valori assoluti propri del divino, le collettività umane, nella loro interazione con gli ele-

Dolomiti

menti del proprio ambiente naturale, non possono che utilizzare criteri decisionali di natura antropocentrica. Ciò che esse possono fare è prendere coscienza dei nessi strutturali che legano le diverse componenti del pianeta, al fine di controllare in modo consapevole le condizioni della propria riproduzione materiale e della propria evoluzione storica. In tale prospettiva, una corretta impostazione dei problemi connessi alla sostenibilità dello sviluppo economico può derivare solo dalla consapevolezza che, a fronte del poderoso sviluppo delle capacità tecnologiche e produttive degli ultimi decenni, risulta sempre più urgente controllare in modo razionale, e nei limiti delle attuali conoscenze scientifiche, i tradizionali processi di modificazione dell’ambiente naturale messi in atto al fine di soddisfare le esigenze umane di natura biologica e sociale. Nel momento in cui la potenza di azione umana sembra raggiungere livelli confrontabili con quelli delle grandi forze della natura, divenendo capace di incidere in modo rilevante su aspetti macroscopici del pianeta, l’antica propensione umana a progettare e realizzare ambienti artificiali e antropizzati deve volgersi verso l’obiettivo di controllare e garantire in forma consapevole le condizioni generali di riproduzione dell’intero pianeta. Il problema principale diviene dunque la capacità delle forme di organizzazione sociale dell’umanità di individuare e approntare azioni collettive razionali e coscienti che siano effettivamente confacenti con i suoi interessi generali.

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Ecologia del movimento La via in salita della mobilità sostenibile a Roma Tre (con qualche discesa improvvisa) Stefania Angelelli e Stefano Carrese Un lavoro più smart, un ambiente più sano. Se dovessimo ridurre a slogan la missione di un mobility manager potremmo anche dire così. Ma per capire meglio l’azione di questa figura, anche a Roma Tre, bisognerebbe prima chiarire il concetto di mobilità sostenibile. La definizione ritenuta più efficace la considera «la Stefania Angelelli capacità di soddisfare i bisogni della società di muoversi liberamente, di accedere, di comunicare, di commerciare e stabilire relazioni senza sacrificare altri valori umani ed ecologici essenziali, oggi e in futuro». Se non si parte da questa premessa, dire che quello del mobility manager aziendale è un ruolo introdotto con un decreto del Ministero dell’ambiente del 1998 nell’ambito delle misure per ridurre l’inquinamento atmosferico delle aree urbane, diventa pura teoria. O peggio ancora, astrusa burocrazia. Anche a Roma Tre il mobility manager ha, tra i suoi incarichi, il compito di redigere il piano spostamenti casa-lavoro, per analizzare le abitudini e le esigenze di mobilità dei dipendenti e promuovere forme di mobilità alternativa all’automobile per recarsi al lavoro. Un compito complesso, specie per una città come la capitale e per un quadrante congestionato come quello di Roma sud. Il nostro Ateneo è stato una delle prime realtà sul territorio a nominare un proprio mobility. La dislocazione delle sedi in zone diverse ha presto evidenziato la necessità di studiare modi per collegare al meglio le varie realtà accademiche contenendo l’impatto ambientale. Agire non è mai semplice, ma qualche realizzazione all’attivo lascia ben sperare per il futuro. Tra le prime iniziative che il mobility manager ha intrapreso, ci sono state, già dagli anni passati, l’introduzione di scooter elettrici e quella di un servizio di bikesharing (a oggi sono state distribuite oltre 500 chiavi per l’utilizzo delle bici). Il tutto, tramite l’applicazione di un piano spostamenti (casa-lavoro e poi lavoro-lavoro) redatto e promulgato dal mobility stesso. L’applicazione del piano ha fatto sì che il numero degli studenti che si recano all’università in bicicletta sia in costante aumento. Per rispondere alle esigenze di parcheggio dei ciclisti l’Ateneo ha provveduto all’installazione di nuove rastrelliere. Proprio in questi giorni il Comune di Roma sta regalando al nostro Ateneo 20 rastrelliere da 5 posti ciascuna che verranno istallate in tutte le sedi. Questo, per quanto concerne il traffico privato. Ma c’è soprattutto chi usa il mezzo pubblico per raggiungere Roma Tre. Una modalità da incentivare: se si può avere in comune

uno scooter o una bici, figuriamoci la metropolitana o l’autobus. Assieme ad ATAC sono state attivate per un periodo di tempo navette dedicate agli spostamenti degli studenti e dipendenti dell’Ateneo. Poi si è deciso di andare oltre, creando una politica di convenzioni, sempre migliorata nel tempo. È infatti possibile acquistare Stefano Carrese abbonamenti Metrebus annuali per Roma e per il Lazio a prezzi scontati per i dipendenti con la possibilità di pagare tramite rate deducibili dallo stipendio. Il contatto con ATAC è vivo anche per promuovere l’uso del carsharing, una modalità ancora in fase sperimentale, ma in continua espansione. ATAC non è l’unico soggetto con il quale Roma Tre, tramite il mobility manager, dialoga per la condivisione automobili.

Mobility manager. La definizione ritenuta più efficace la considera «la capacità di soddisfare i bisogni della società di muoversi liberamente, di accedere, di comunicare, di commerciare e stabilire relazioni senza sacrificare altri valori umani ed ecologici essenziali, oggi e in futuro» L’Ateneo ha infatti stipulato una convenzione con CAR2GO con agevolazioni per studenti e dipendenti. Così come è in fase di attivazione una convenzione con ENJOY. Ma il discorso della convenienza è valido anche su rotaie, grazie a una convenzione con Italo Treno rivolta a studenti e dipendenti, che prevede uno sconto del 10%. Queste sono alcune delle iniziative del Mobility Manager di Roma Tre per cercare di rendere appropriato l’abbandono del mezzo privato. Ciò che però è importante non è soltanto parlare alle tasche delle persone, ma anche alla testa, al cuore. Creare una sensibilità, una cultura, una vera e propria attenzione verso la sostenibilità ambientale. Per fare questo, l’Ateneo usa i mezzi giusti: la comunicazione dedicata, un lavoro in rete sfruttando la sinergia con i vari soggetti attivi della città e l’organizzazione di progetti ed eventi specifici. Tra i progetti, ce n’è stato uno particolarmente fortunato e di successo: ELEbici@Roma3, nato da un accordo con Enel Green Power. Il mobility ma-


nager di Roma Tre ha dato impulso alla mobilità elettrica, nel settore delle biciclette a pedalata assistita, attraverso una sperimentazione cittadina. Iniziato nel luglio 2012, questo test ha avuto una durata di diciotto mesi. Un periodo in cui sono stati raccolti dati sperimentali, divenuti sempre più affidabili nel tempo. Enel Green Power ha fornito 30 biciclette a pedalata assistita, mentre Roma Tre ha selezionato altrettanti studenti per guidare i mezzi a due ruote e raccogliere dati durante il periodo di utilizzo. In particolare, il progetto è stato rivolto a studenti iscritti a tre diverse aree di studio: Architettura, Economia e Ingegneria. Collegata a ELEbici@Roma3 è stata la stesura della rete ciclabile di Ateneo. L’Ateneo, in collaborazione con il Municipio VIII, ha progettato un percorso ciclabile di circa 50 Km di collegamento delle sedi universitarie tra di loro, con le fermate metro e con i poli caratteristici del quartiere.

Un compito complesso, specie per una città come la capitale e per un quadrante congestionato come quello di Roma sud. Il nostro Ateneo è stato una delle prime realtà sul territorio a nominare un proprio Mobility. La dislocazione delle sedi in zone diverse ha presto evidenziato la necessità di studiare modi per collegare al meglio le varie realtà accademiche contenendo l’impatto ambientale Il progetto ha vinto il premio per il miglior poster presentato presso l’Accademia dei Lincei. Quando un’iniziativa è vincente, ne nascono altre, tutte in rampa di lancio. Mediante TRENEL l’Università Roma Tre ed ENEL Energia stanno mettendo a punto un progetto di ricerca sul car-sharing elettrico. Il progetto verrà sviluppato su quattro sedi universitarie le quali verranno dotate di colonnine di ricarica e avranno come veicoli 20 TWIZY e 10 ZOE RENAULT. Saranno coinvolte anche colonnine esterne all’Ateneo situate in punti strategici di Roma, per una fruizione completa della città. Un progetto quinquennale, prorogabile se tutto andrà come previsto. L’Ate-

neo ha inoltre in programma la realizzazione di una cicloo ff i c i n a p e r studenti e dipendenti autogestita, da realizzare in collaborazione con il Comune di Roma e da collocare presso il Rettorato. L’idea originale prevede la riqualificazione di uno spazio pubblico degradato, tuttora adibito ad aiuola spartitraffico tra la via Ostiense e la via laterale di servizio. Si potrà usare così uno spazio pubblico per promuovere forme di mobilità sostenibile, attraverso la dotazione di rastrelliere e servizi per la mobilità ciclistica. È inoltre in fase embrionale il bike-sharing elettrico, la cosiddetta “pedalata assistita”. Un progetto che con il tempo permetterà a coloro che frequentano a vario titolo Roma Tre di continuare ad andare in bici in Ateneo, risparmiando tempo, energia e sudore. Ma soprattutto dando il buon esempio a chi proprio non vuole lasciare la macchina. Non va però sottovalutata la comunicazione dedicata alla mobilità sostenibile, un aspetto importante e sempre in divenire. Comunicare sostenibilità significa cambiare stili di vita e vecchie abitudini. I convegni dell’ultimo trennio hanno assolto a questo compito in maniera decisiva, altro ancora si farà in futuro. Vanno ricordati in particolare: Mobilitàsostenibile@RomaTre, novembre 2013; Lavoro-Bici-Sicuri - European Mobility Week 2014 - Our Streets Our Choice, settembre 2014 e, ultimo in ordine di tempo, “Art. 5 del Collegato Ambientale Legge di Stabilità 2016”, che aggiorna sulle ultime normative – in termini assicurativi – di spostamento casa-lavoro e sull’istituzione del mobility manager scolastico. Un ultimo aspetto importante. Poiché l’unione fa la forza, anche in campo ambientale, il mobility di Roma Tre è a capo del Coordinamento nazionale mobility manager università e ricerca. Si tratta di un gruppo di lavoro composto dai mobility manager degli atenei italiani, con lo scopo di condividere le esperienze messe in pratica nell’ambito della mobilità sostenibile delle singole realtà locali. L’intento è quello di creare una collaborazione tesa a realizzare nel tempo non solo un proficuo scambio di buone pratiche, ma anche per costituire un soggetto in grado di dialogare a livello istituzionale. Promuovere azioni comuni, creare una banca dati condivisa, individuare soluzioni e finanziamenti comunitari e nazionali per la realizzazione di progetti. Una via forse in salita e ancora quasi tutta da percorrere, almeno in ambito universitario. Ma noi ci avvaliamo della pedalata assistita e perciò partiamo in chiaro vantaggio.

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Andare per treni e stazioni Viaggio lungo la “spina dorsale d’Italia” Enrico Menduni

Ho recentemente dedicato un libro ad Andare per treni e stazioni, dopo averne scritto un altro, vari anni fa, su L’Autostrada del Sole. Mi occupo da sempre di “comunicazioni” ma ho sempre interpretato questo termine in modo estensivo. C’è la comunicazione radiofonica e televisiva, poi ci sono le Enrico Menduni telecomunicazioni (telefono fisso e mobile con i suoi derivati), ma comunicare è anche trasportarsi fisicamente da un luogo all’altro: strade, ferrovie, autostrade, rotte navali e aeree. E dunque tanti artefatti: locomotive, navi a vela e a motore, aerei e dirigibili, automobili; e tanti luoghi (aeroporti, moli, magazzini, hangar, rimesse, autogrill, ponti, tunnel) su cui si sono esercitati architetti e ingegneri. Mi sono sempre chiesto perché tutto ciò eserciti tanto fascino e tanta emozione: probabilmente perché viaggiare è una metafora di un percorso anche personale, intellettuale e psicologico; e – in determinati tratti e momenti storici – esprime anche grandi stagioni della vita collettiva. È il caso della navigazione a vela nel corso delle grandi scoperte geografiche e, per venire a tempi più vicini a noi, della costruzione delle ferrovie. In questo secondo caso c’è anche un particolare intreccio tra pubblico e privato, tra collettivo e personale. Treni e stazioni sono una parte importante della vita privata e personale e, insieme, della storia del nostro paese. Ciascuno di noi ha ricordi ferroviari, viaggi con i genitori o con i nonni, paesaggi visti dal finestrino, le stazioni affollate di persone sconosciute; tutti abbiamo viaggiato, conosciuto nuove città e paesi, intrecciato questi trasferimenti con speranze, amori, lotte politiche e sociali. Un amico psicanalista mi dice che i treni compaiono e tornano spesso nei sogni: appuntamenti e coincidenze ricercati, e qualche volta affannosamente persi, cambiamenti e spostamenti con valigie piene di ricordi, nuovi incontri con persone offerte dal caso. Il treno, la stazione, la ferrovia sono però anche preziosi elementi della nostra storia nazionale. Ciò avviene particolarmente in Italia: la nostra faticosa unificazione, nella seconda metà dell’Ottocento, coincide esattamente con lo sviluppo delle strade ferrate, che sono state l’elemento principale per unire regioni, dialetti, economie, usanze profondamente diversi

tra loro: in qualche modo la nostra è stata una unità d’Italia cementata, anche in senso letterale, dalla ferrovia. Le stazioni e le linee sono state le prime costruzioni standardizzate della nostra modernità, con una progettazione coordinata e l’uso di materiali come il ferro e la ghisa, il vetro e il cemento. E sono state anche il primo modo per fare affari: le nuove borghesie post-unitarie (ceti agrari rapidamente convertiti al regno d’Italia) trafficavano in concessioni ferroviarie, nella compravendita dei terreni necessari, nei lavori di costruzione e manutenzione delle linee, ma anche negli investimenti in quello che oggi chiameremmo venture capital. Mi ha sempre colpito nel centro di Firenze (via S. Gallo) il palazzo di Emanuele Fenzi, banchiere, industriale e imprenditore ferroviario ottocentesco che ha come stemma di famiglia null’altro che una locomotiva a vapore. La ferrovia promuove una nuova città. È difficile portarla nel centro storico, sventrando interi quartieri e abbattendo pezzi di mura: la soluzione che ovunque si trova è quella di lambire la città con le nuove linee ferroviarie, unendo poi la stazione al centro con un nuovo viale (che si chiama spesso Via Nazionale, guarda caso), attorno a cui si costruiscono alberghi, negozi, edilizia residenziale. La stazione è un edificio straordinario e bifronte: ha una facciata monumentale, come un teatro; poi entriamo e dentro c’è un edificio industriale, di ferro e vetro, in cui i treni attendono di partire, con le loro grandi locomotive.

Mi sono sempre chiesto perché tutto ciò eserciti tanto fascino e tanta emozione: probabilmente perché viaggiare è una metafora di un percorso anche personale, intellettuale e psicologico e – in determinati tratti e momenti storici – esprime anche grandi stagioni della vita collettiva Proprio come l’edificio teatrale ottocentesco che accoglie tutti, l’intera città, ma ognuno al suo posto: in platea, nei vari ordini di plachi, nell’affollato loggione. Una rigida divisione in classi dentro una esperienza corale, collettiva: proprio come la prima, la seconda, la terza classe del treno. Il tempo ferroviario ha caratteristiche tutte particolari. Intanto, offre uno sguardo sul paesaggio di tipo laterale, come gli occhi dei faraoni dipinti nelle tombe egizie. La visione frontale ci è preclusa, con rarissi-


confinato. Ciò avviene nei primi anni Duemila quanto i vantaggi dell’alta velocità ferroviaria cominciano a farsi tangibili.

Treni e stazioni sono una parte importante della vita privata e personale e, insieme, della storia del nostro paese. Ciascuno di noi ha ricordi ferroviari, viaggi con i genitori o con i nonni, paesaggi visti dal finestrino, le stazioni affollate di persone sconosciute; tutti abbiamo viaggiato, conosciuto nuove città e paesi, intrecciato questi trasferimenti con speranze, amori, lotte politiche e sociali

me eccezioni (il treno di lusso “Settebello” negli anni Cinquanta), ed è riservata ai macchinisti del treno. Il finestrino del treno è il primo esempio di un paesaggio in movimento che scorre: diciamo uno schermo cinematografico prima del cinema, che infatti ha col treno una particolare congenialità. In secondo luogo, è un tempo unitario: non ci sono i semafori, non ci sono i caselli, non c’è la via crucis per raggiungere l’aeroporto, poi il check-in, la sala d’aspetto e l’ingresso nell’aereo, imbracati nella cintura di sicurezza. In treno, dopo aver raggiunto il proprio posto, non c’è nient’altro da fare che pensare ai fatti propri, alla persona che ci attende quando saremo arrivati, al giornale che stiamo leggendo, al computer con cui stiamo lavorando. Mentre il treno va a 300 all’ora, noi ci riposiamo. Guidare la macchina non è più così piacevole ed emozionante come nell’epoca in cui l’automobile, insieme alla tv, sembrava il passaporto per entrare nel benessere. Si andava alla scoperta dell’Italia, si percorrevano le autostrade, si aveva la sensazione di poter scegliere la propria strada, di fermarsi dove e quando si desiderava, senza obblighi, senza orari. La crisi petrolifera del 1975 ha dato un colpo mortale a questi sogni; poi ci sono stati gli ingorghi, l’inquinamento, i limiti di velocità. Il treno aveva perso le caratteristiche di simbolo della modernità. Nella seconda metà del Novecento, questa simbologia è diventata più individualistica e privatistica ed è stata assunta dall’automobile. Tuttavia, con un capovolgimento raro nella storia, in treno è tornato oggi ad essere un segno del cambiamento, sconfiggendo la marginalità in cui stava per essere

L’alta velocità ferroviaria ha cambiato i rapporti fra città un tempo lontanissime (prima di tutto Milano e Roma), creando un nuovo immaginario. Io ho cercato di scrivere un libro che non fosse nostalgico, con la testa voltata all’indietro, ma che tenesse conto di questa grande novità: un paese così scassato come il nostro ha prodotto 1350 chilometri di alta velocità ferroviaria in meno di 15 anni. Un piccolo capolavoro di efficienza amministrativa, con un certo decisionismo saggiamente dosato per vincere resistenze campanilistiche, proteste non sempre giustificate e grovigli burocratici che avevano penalizzato il passato: 22 anni per fare la direttissima ferroviaria Firenze-Roma. Quando vediamo il nostro treno che supera in un soffio le piccole auto sull’autostrada, così lente, confuse con lunghi cortei di TIR, abbiamo l’impressione che la modernità stia sulle rotaie, oggi. Certo i problemi rimangono. I collegamenti trasversali sono un disastro, le linee minori pure; molti treni per pendolari sono lenti, affollati, con i gabinetti eternamente fuori servizio. Tuttavia qualcosa si è mosso. Nel libro che ho scritto questa idea si coniuga con la scelta di raccontare la tratta Torino-Milano-Napoli-Salerno. È la spina dorsale d’Italia, la tratta più frequentata della rete, un simbolo delle differenze (e somiglianze) tra Sud e Nord. È il tracciato su cui si è sperimentata e affermata l’alta velocità, con i nuovi dispositivi di segnalamento (in cui l’Italia ha una posizione di primo piano in Europa) che la rendono sicura. Confesso che questa scelta, consigliata dall’editore Il Mulino per aderire alle caratteristiche della collana “Ritrovare l’Italia” in cui il testo è inserito, ha comportato un grosso sacrificio: per me è stata una vera sofferenza non parlare anche del resto, le ferrovie della Valtellina e quelle calabresi a cremagliera, i tratti abbandonati e coperti d’erba, le tradizioni dei ferrovieri, i trafori alpini, i grandi ponti… ma ci sarà forse il tempo e il modo di parlarne ancora.

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Verso Roma Tre sostenibile Il ruolo dell’Università a sostegno degli obiettivi dell’Agenda Globale Paola Marrone L’Agenda 2030 ha avviato una riflessione sugli impatti che gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) avranno sulle politiche europee e sulla necessità di anticipare rischi e sfide del futuro, attraverso decisioni sempre più basate sull’evidenza dei dati e su strumenti rigorosi, per Paola Marrone una valutazione complessiva di tutte le dimensioni dello sviluppo sostenibile. Nel rapporto della Commissione Europea (Giovannini, E. et al., The role of Science, Technology and Innovation Policies to Foster the Implementation of the Sustainable Development Goals (SDGs), European Commission, Directorate-General for Research and Innovation, 2015), che è seguito alla pubblicazione dell’Agenda 2030, ricerca, tecnologia e innovazione (STI) sono le leve chiave e a lungo termine per favorire crescita economica e sostenibilità ambientale, come auspicato, in particolare, negli Obiettivi 9.5 e 17. Nuove politiche, orientate e coerenti, avranno il compito di re-indirizzare sia la condivisione delle conoscenze e gli ambiti di ricerca - tra cui anche quelli del programma Horizon 2020 - sia il trasferimento tecnologico, verso una ‘capacità di costruire innovazione’ (Building Innovation Capacity) che coinvolga tutti i soggetti interessati in rapporto alla sostenibilità del capitale economico, sociale e naturale. In virtù delle responsabilità che rivestono nella formazione delle generazioni future, anche le Università sono coinvolte, da qualche anno, in un processo per incorporare i principi dello sviluppo sostenibile nelle proprie missioni di Formazione, Ricerca e, oggi, anche di Terza Missione. La «Talloires Declaration» è il primo documento, elaborato nel 1990 e condiviso da oltre 350 università, per definire e promuovere la sostenibilità nell’Alta Formazione. A questo documento ne sono seguiti molti altri, fino alla recente costituzione, presso la CRUI-Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, della Rete delle Università Sostenibili, per diffondere la cultura e la pratica della sostenibilità, promuovere la responsabilità sociale e rafforzare l’esperienza italiana a livello internazionale. Sulla scia anche degli indici etici o socialmente responsabili, che la Finanza applica alle performance

aziendali su temi ambientali e sociali, si sono poi sviluppati vari sistemi di valutazione degli atenei (per es.: UI Green Metric-World University Ranking; STARS-The Sustainability, Tracking, Assessment and Rating System; The College Sustainability Report Card). Accanto a questi sistemi, si sono costituiti vari network internazionali (per es.: ISCN_International Sustainable Campus Network; GUPES_The Global Universities Partnership on Environment for Sustainability; HESD_Higher Education and Sustainable Development-International Association of Universities; Unica Green) (Figg. 1 e 2). Le classifiche ‘verdi’ sono così diventate strategiche per la visibilità internazionale degli atenei, come dimostrano le risorse impiegate e la partecipazione sempre più numerosa a «Green Metric», uno dei ranking più rinomati (Fig.3).

In virtù delle responsabilità che rivestono nella formazione delle generazioni future, anche le Università sono coinvolte, da qualche anno, in un processo per incorporare i principi dello sviluppo sostenibile nelle proprie missioni di Formazione, Ricerca e, oggi, anche di Terza Missione Questi sistemi di valutazione cercano di raccogliere e mettere a disposizione informazione comparabile, affinché le università imparino dalle rispettive esperienze e le usino per incoraggiare la sostenibilità nella gestione organizzativa ed economica che, come definito dalle «Copernicus Guidelines» (Copernicus Guidelines for Sustainable Development in the European Higher Education Area. How to incorporate the principles of sustainable development into the Bologna Process (20062007) - elaborate nell’ambito del programma Socrates della Commissione Europea e seguite alla «University Charter for Sustainable Development» del 1993 - deve abbracciare tutti e tre i livelli sui quali si basano le Università: quello Istituzionale/Amministrativo, quello Accademico e quello della Ricerca e della Tecnologia. Da questa prima impostazione si sono sviluppati vari sistemi per la valutazione della sostenibilità degli atenei, che partono da un’analisi dettagliata: - della struttura accademica e delle attività di ricerca;


I criteri di valutazione secondo il ranking «UI Green Metric»

- degli impegni verso gli utenti del campus/università (studenti e personale); - degli impegni verso i soggetti portatori d’interesse o la società; - del funzionamento complessivo (edifici, consumi energetici, rifiuti, trasporto, acquisti, ecc.); - della pianificazione e dell’amministrazione delle attività; - delle capacità d’innovazione a tutti i livelli. La sostenibilità è per l’Università Roma Tre un impegno prioritario - come più volte dichiarato dal Rettore Panizza nei discorsi inaugurali dell’anno accademico - sia nella gestione dell’Ateneo, sia nelle attività didattiche e di ricerca del corpo docente. Lo dimostrano anche le prossime conferenze dedicate alla sostenibilità che l’Ateneo, in occasione del Giubileo straordinario 2015-2016, ha avviato, con il sostegno del MIUR, nell’ambito delle attività del CRUL-Comitato Regionale di Coordinamento delle Università del Lazio. Nel campo della didattica e della ricerca sono numerosi i corsi e i progetti dedicati allo sviluppo sostenibile in tutti i Dipartimenti. Altre iniziative riguardano, poi, la gestione dell’Ateneo, dalle attività per il miglioramento della mobilità della comunità accademica, fino alla riduzione dei consumi energetici e all’introduzione di fonti rinnovabili. Tuttavia, l’impegno dell’Ateneo Roma Tre verso uno sviluppo sostenibile richiede, com’è accaduto in altri Atenei, una condivisione collettiva sulla policy di sostenibilità che si traduca in una «Carta degli impegni di sostenibilità» in cui sono definiti modi e obiettivi «…volti a minimizzare il proprio impatto sull’ambiente e sulle risorse naturali, ad aumentare la coesione sociale e a ridurre le disuguaglianze al suo interno, a favorire la crescita culturale e il progresso economico sostenibile del territorio» (Bilancio di so-

stenibilità, Università Cà Foscari, Venezia 2014, p.9). Per definire il piano della sostenibilità dell’Ateneo Roma Tre e poter essere inclusi nelle reti delle università ‘green’ occorrerà: - costituire una struttura di governo dedicata; - dotarsi di strumenti operativi ai diversi livelli; - promuovere un’indagine accurata delle iniziative già in atto; - individuare le azioni possibili per implementarne gli impegni; - condividere le informazioni.

La sostenibilità è per l’Università Roma Tre un impegno prioritario come più volte dichiarato dal Rettore Panizza nei discorsi inaugurali dell’anno accademico - sia nella gestione dell’Ateneo, sia nelle attività didattiche e di ricerca del corpo docente Sulla base della comparazione dei diversi ranking è stata già individuata una prima griglia di categorie e macro-ambiti a cui riferire iniziative e impegni: 1 - Programmazione e gestione a. Politica e piani strategici b. Organizzazione c. Statuti e codici d. Risorse umane e. Stakeholders f. Reti e Partenariati 2 - Missioni a. Didattica b. Ricerca c. Terza Missione

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I criteri di valutazione e punteggi secondo il ranking «STARS 2.0»

3 - Strategie ambientali a. Rifiuti e riciclo b. Energia e acqua c. Mobilità e trasporti d. Acquisti verdi 4 - Servizi e infrastrutture a. Strutture edilizie b. Aree verdi c. Servizi agli studenti d. Servizi per il personale

e. Monitoraggio f. Comunicazione. La categoria ‘Programmazione e gestione’ si riferisce a un orientamento trasversale di sostenibilità in tutti gli strumenti che definiscono la politica, la programmazione, l’organizzazione e la gestione dell’Ateneo. La categoria ‘Missioni’ pone l’attenzione sul contributo che le diverse discipline, in collaborazione, danno alla costruzione di una formazione e di uno sviluppo scientifico sui temi della sostenibilità. Le ultime due categorie indicano obiettivi e parametri di valutazione delle strategie d’intervento e, di conseguenza, individuano le strutture deputate alla loro attuazione in virtù delle risorse umane coinvolte. Da queste osservazioni e dai temi chiamati in causa, la comunità accademica può contribuire a uno sviluppo sostenibile e responsabile attraverso impegni e iniziative a diversi livelli, purché si realizzi un ambiente in grado di innescare percorsi e processi innovativi che lo favoriscano in tutte le sue declinazioni, coinvolgendo strutture e utenti. Conoscenza e innovazione – principali ‘prodotti’ della missione universitaria - devono portare a un risultato che sia innovativo e ‘responsabile’. La «Rome Declaration on Responsible Research and Innovation in Europe» (22 novembre 2014), affermando la necessità della diversità nella ricerca e nell’innovazione e del coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, rileva proprio questo: affinché anche l’innovazione sia sostenibile, occorre ‘apertura, responsabilità e produzione di conoscenza condivisa’.

Secondo il ranking «UI Green Metric 2016», su 407 Università 18 sono italiane; una sola rientra nelle prime 100 (Cà Foscari con 5570 punti) e sei tra le successive 200


Se stiamo bene lavoriamo meglio! Il benessere organizzativo nelle aziende e nella pubblica amministrazione Maria Rosaria Cagnazzo In questi ultimi anni, con la crisi fiscale dello Stato e stante la situazione economica che dal 2008 stiamo vivendo, nelle aziende si è posta molta attenzione al benessere organizzativo e lavorativo al fine di migliorare le condizioni di lavoro e di vita dei propri dipendenti, introducendo, anche se in maniera non uniforme sul territorio nazionale, programmi di welfare aziendale. Per welfare aziendale si intende in generale l’attenzione posta dalle aziende alla soddisfazione di esigenze dei propri dipendenti, considerando la pubblica amministrazione, sia quella centrale, sia quella locale, sia gli enti non economici, alla stregua di un’azienda. Al sistema di welfare di primo livello a carico dello stato (pensioni, sanità, cassa integrazione, de-

trazioni, investimenti etc.), si è venuto via via affermando un sistema di “welfare di secondo livello”, che in molti casi si affianca e/o supplisce a quello di primo, cercando di interpretare o prevenire i bisogni sociali dei propri dipendenti con piani di benefit e servizi, ancorati sul territorio e coinvolgenti tutti gli attori sociali in esso operanti. Se si considera il welfare a livello di salute all’interno dell’azienda, facendo una sintesi storica dai primi anni del secolo scorso fino alla fine degli anni Novanta, si passa da nessuna attenzione alla salute al concetto di salute non solo come assenza di malattia, ma come stato di benessere psicofisico, e le strategie adottate diventano promozione della cultura della salute, della prevenzione e della sicurezza.

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Le differenze in termini di possesso (istogrammi) e interesse (linee) per le varie prestazioni da parte di uomini (sopra) e donne (sotto). Fonte: Fabio Carniol, Edoardo Cesarini, Giordano Fatali, Employee Value Proposition & Flexible Benefit. Politiche retributive, attrattività e benefit nelle imprese del XXI secolo, Milano, Franco Angeli, 2012

L’individuo viene così considerato nella sua unicità psico-fisica come un sistema complesso a cui fornire strumenti per il suo benessere. Il superamento del fordismo all’interno del mondo lavorativo – non solo nelle aziende ma anche in alcuni settori della PA – ha fatto sì che si intrecciassero e procedessero di pari passo, il passaggio dal lavoro-alienazione al lavoro-partecipazione. Questo processo è stato indotto anche da un mutamento della struttura della società e della coscienza individuale.

Per welfare aziendale si intende in generale l’attenzione posta dalle aziende alla soddisfazione di esigenze dei propri dipendenti, considerando la pubblica amministrazione, sia quella centrale, sia quella locale, sia gli enti non economici, alla stregua di un’azienda Al tema del “benessere organizzativo” o “salute organizzativa” è stata dedicata particolare considerazione, anche nella normativa. Per il pubblico impiego citiamo: la direttiva del Ministro della funzione pubblica emanata il 24 marzo 2004 e la leg-

ge 183/2010, che all’art. 21 ha previsto i Comitati unici di garanzia (CUG), atti a garantire pari opportunità, benessere di chi lavora e assenza di discriminazioni nelle amministrazioni pubbliche. La PA aveva già previsto il telelavoro con l’art. 4 della Legge 16 giugno 1998 n. 191 e il suo regolamento con il DPR 8 marzo 1999, n. 70. Per quanto riguarda le aziende nuove disposizioni sono state inserite nella legge di stabilità del 2016, mentre negli anni precedenti si è posta molta attenzione per la valutazione del rischio “stress lavoro correlato” (D. Lgs. 81/2008 modificato dal D. Lgs. 106/09). Al 31 dicembre 2014, l’ISTAT ha reso noto che la popolazione residente in Italia è di 60.795.612 persone; in tabella è riportata la popolazione con età compresa tra i 65 e i 90 anni pari al 21 % della popolazione totale, e poiché la situazione economica e finanziaria non è migliorata nell’ultimo periodo e il debito pubblico continua ad essere molto alto, la quantità e la qualità del welfare di primo livello sta subendo un forte ridimensionamento soprattutto nei servizi sanitari, anche se si sta provvedendo contemporaneamente ad una loro riorganizzazione. Ne consegue che la realtà che viviamo tutti i giorni, ci presenta una classe lavoratrice sempre più impegnata in lavori di cura per i familiari anziani;


questo crea i presupposti affinché le aziende e la PA rivolgano una maggiore attenzione alle esigenze dei lavoratori.

Il superamento del fordismo all’interno del mondo lavorativo – non solo nelle aziende ma anche in alcuni settori della PA – ha fatto sì che si intrecciassero e procedessero di pari passo, il passaggio dal lavoroalienazione al lavoro-partecipazione. Questo processo è stato indotto anche da un mutamento della struttura della società e della coscienza individuale Riporto dal Rapporto Annuale ISTAT 2014, cap. IV: Tendenze demografiche e trasformazioni sociali; nuove sfide per il sistema di welfare: «L’Italia è settima tra i 28 Paesi Ue per la spesa per la protezione sociale, come si evince dal confronto con gli altri Paesi europei nel 2011, anno nel quale la spesa destinata alla protezione sociale assorbe nei paesi della Ue28 il 29,0 per cento del prodotto interno lordo (Pil), registrando un incremento di oltre due punti percentuali rispetto al 2008 (26,7 per cento). L’Italia, paese ben noto per la specificità del sistema di welfare rispetto al contesto europeo, nel 2011, destina per questa funzione il 29,7 per cento del Pil, valore al di sopra della media europea, collocandosi al settimo posto tra i paesi della Ue28. L’Italia però occupa la penultima posizione tra i paesi europei per le risorse dedicate alle famiglie, Centro estivo

per le quali lo stanziamento, che si mantiene sostanzialmente stabile dal 2008, ammonta al 4,8 per cento della spesa, sotto forma di benefici finalizzati al sostegno del reddito a tutela della maternità e paternità, di assegni familiari e di altri trasferimenti erogati a supporto di alcune tipologie familiari, asili nido, strutture residenziali per le famiglie con minori, assistenza domiciliare per famiglie numerose. La percentuale maggiore per tale funzione è allocata da Lussemburgo (16,5 per cento), mentre nei Paesi Bassi si registra la percentuale più bassa (4,0 per cento)». L’OECD, in Italia più conosciuto come OCSE, fornisce (http://www.oecdbetterlifeindex.org/media/bli/documents/how_life-2015-sum-it.pdf e http://www.oecd.org/els/soc/) interessanti considerazioni sulla situazione italiana riguardo al benessere, inteso nella sua accezione più ampia, e sulle strategie da adottare per raggiungerlo. Operando una macro differenza tra aziende manifatturiere e aziende di servizi, tra cui inserisco la PA, le prime forniscono soprattutto benefit economici, le seconde si avvalgono anche di altri strumenti volti in prevalenza alla conciliazione dei tempi di cura e di lavoro. «Il welfare aziendale, che nasce dalla presa di coscienza della responsabilità sociale delle aziende nei confronti dei territori in cui operano, si inserisce appieno nel concetto di secondo welfare integrativo. Non si tratta tanto di sostituire la spesa pubblica con quella privata, quanto di mettere a disposizione risorse aggiuntive per rispondere all’aumentare dei cosiddetti «rischi sociali» come sottolinea Fabio Carniol, Country leader e amministratore delegato di Towers Watson Italia. Dalla letteratura pubblicata in Italia sull’argomento, da articoli di giornali che ci informano quasi

Attività a cura dell’Area Benessere Realizzazione 2014 Realizzazione 2015 Sono stati trattati i seguenti argomenti

Per uno stile di vita

Sostegno alla prevenzione medica In collaborazione con l’Ufficio Grafico della VI Direzione e l’area TLC

Obiettivo salute Vantaggi e benefici della promozione dell'attività fisica sul luogo di lavoro Per uno stile di vita Suggerimenti per il benessere della propria salute, attraverso una corretta alimentazione e l'attività fisica L'acqua Informazioni utili sui benefici dell'acqua Decalogo per una corretta postura e uso del computer Semplici accorgimenti per migliorare la nostra posizione davanti al computer Prof. Enzo Soresi • Recensione del libro "Guarire con la nuova medicina integrata" • Intervista del giornalista Stefano Lorenzetto pubblicato su "Il Giornale.it" il 15/06/2008 Servizio di prenotazione di checkup generali e specialistici, offerte di sconti su prestazioni applicati ai listini dei centri diagnostici convenzionati. Questo servizio è stato esteso anche ai familiari dei colleghi.

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28 Sostegno economico alla famiglia del lavoratore

Assicurazione sanitaria Convenzioni

Attività a cura di altri uffici 1. Rimborsi a. Asilo nido b. Scuola elementare c. Scuola media d. Centri estivi 2. Tasse universitarie ridotte per i figli studenti del nostro Ateneo Tramite polizza Convenzioni con categorie merceologiche di vario genere a cura dell’Ufficio Convenzioni

settimanalmente su esperienze di telelavoro, smart working, piani strutturati di politiche sociali volte a migliorare la vita lavorativa dei dipendenti, si evince che le esperienze sono molteplici, ma tuttavia c’è ancora molto da fare. Gli ostacoli da superare sono di due ordini: • diffondere una cultura del benessere lavorativo, sia in campo aziendale che nella PA; • conoscere le esigenze effettive dei lavoratori.

«Il concetto di benessere organizzativo si riferisce, quindi, al modo in cui le persone vivono la relazione con l'organizzazione in cui lavorano; tanto più una persona sente di appartenere all'organizzazione, perché ne condivide i valori, le pratiche, i linguaggi, tanto più trova motivazione e significato nel suo lavoro» Alla prima difficoltà si può sopperire con la diffusione dei risultati ottenuti dalle aziende che hanno applicato programmi di welfare aziendale che hanno dimostrato che le strutture più efficienti sono quelle con dipendenti soddisfatti e un “clima interno” sereno e partecipativo. Inoltre «la motivazione, la collaborazione, il coinvolgimento, la corretta circolazione delle informazioni, la flessibilità e

la fiducia delle persone sono tutti elementi che portano a migliorare la salute mentale e fisica dei lavoratori […] e, in via finale, ad aumentare la produttività. Il concetto di benessere organizzativo si riferisce, quindi, al modo in cui le persone vivono la relazione con l’organizzazione in cui lavorano; tanto più una persona sente di appartenere all’organizzazione, perché ne condivide i valori, le pratiche, i linguaggi, tanto più trova motivazione e significato nel suo lavoro» (Wikilabour, definizione di benessere organizzativo). Alla seconda con la predisposizione di piani che riflettano le reali esigenze dei lavoratori e non siano calati dall’alto. Il grafico che qui propongo mette bene in evidenza la differenza di genere tra il possesso di benefit e quelli desiderati; fa rilevare una volta di più quanto il tempo di cura sia a carico delle donne. Come si può notare nella fascia grigia a destra, le donne e gli uomini hanno uguale possesso dei servizi, ma esprimono un interesse decisamente diverso. Per quanto riguarda la conciliazione tempi di cura – tempi di lavoro, cito la flessibilità oraria in ingresso e in uscita, l’applicazione del part-time come previsto dal CCNL vigente, e quasi in anticipo su molte altre realtà nazionali della PA, il telelavoro, partito in maniera sperimentale nel 2008. Sul telelavoro a Roma Tre, vi invito a consultare il sito dell’Area benessere, in cui troverete due lavori curati da me e da Anna Consuelo Ercoli.

Per saperne di più Francesco Avallone, Alessia Paplomatas, Salute organizzativa - Psicologia del benessere nei contesti lavorativi, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2005 Fabio Carniol, Edoardo Cesarini, Giordano Fatali, Employee Value Proposition & Flexible Benefit. Politiche retributive, attrattività e benefit nelle imprese del XXI secolo, Milano, Franco Angeli, 2012 Laura Balbo, Il lavoro e la cura. Imparare a cambiare, Torino, Luigi Einaudi Editore, 2008 Jeremy Rifkin, La fine del lavoro, il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato. Milano, Baldini &Castoldi, 1995 Gianluca Urbisaglia, Il welfare aziendale al tempo della crisi: la rete di imprese GIUNCA. Astril, Working Paper n.16/2015 www.astril.org http://www.oecd.org/els/family/47701018.pdf http://www.cnr.it/benessere-organizzativo/docs/Il-benessere-il-clima-e-la-cultura-delle-organizzazioni.pdf http://www.istat.it/it/files/2014/05/cap4.pdf http://www.oecd.org/social/income-inequality-9789264246010-en.htm http://host.uniroma3.it/uffici/areabenessere/index.php


Sostenibilità alla prova Modelli e pratiche di governo del territorio Anna Laura Palazzo

Le esigenze di tutela e riproducibilità delle risorse ambientali, il contenimento dei suoli urbanizzati, e più recentemente le misure di adattamento e mitigazione climatica, forniscono all’agenda della sostenibilità tematiche che reclamano un trattamento adeguato anche a livello di forma urbana e di Anna Laura Palazzo landscape design. Nell’ambito della pianificazione urbana e delle pratiche di regolazione degli usi del suolo, le attese di “uno sviluppo che risponda ai bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di far fronte ai loro bisogni” si sono progressivamente alleggerite delle velleità più ottimistiche e caricate di adempimenti non meno ambiziosi. Le sfide energetiche e climatiche dell’ultimo decennio, cadenzate su scenari di drastica riduzione delle emissioni ma anche di produzione locale e distribuzione dell’energia, hanno aggiornato le due fondamentali traiettorie delle agende della sostenibilità, chiamate ad operare in stretta connessione: da un lato, le acquisizioni provenienti dalle scienze della natura che postulano l’integrazione dei principi dell’ecologia vegetale nella pianificazione fisica si sono conquistate uno spazio di rilievo anche all’interno dei sistemi urbani; dall’altro, la ricerca e sperimentazione di pattern insediativi in grado di declinare la sostenibilità come “buona forma urbana”, pur nella diversità degli approcci, appaiono orientate al superamento di una forma di governo del territorio intesa come rigida definizione degli assetti ex-ante. Ciò vale anche nelle esperienze di pianificazione di area vasta, dove la buona forma sta per conformance – sostenibilità nello spazio come armonizzazione tra geografie ereditate, modi di possedere, vocazioni e propensioni alla trasformazione – e performance sostenibilità nel tempo come garanzia di riproducibilità delle risorse. Nell’agenda delle amministrazioni nazionali e locali più avvisate, la questione dei modelli di sviluppo è allo studio da almeno un ventennio. Nella variabilità delle sperimentazioni sulla buona forma, le dominanti tematiche sono riconducibili a tre matrici concettuali. La prima, nel richiamarsi alla tradizione europea di governo del territorio, contrasta la nota problematica del consumo di suolo attraverso una “intensità urbana” conseguita con organizzazioni spaziali in grado di favorire mixité funzionale e den-

sità di attività superiori a soglie ritenute critiche, ancorché variabili da caso a caso. La seconda affronta congiuntamente usi del suolo e mobilità dei sistemi urbani, ragionando sull’ottimizzazione delle prestazioni per effetto di un riequilibrio modale, con simulazioni che portano in conto l’incertezza nelle pratiche sociali e nei comportamenti individuali evitando il determinismo dei modelli cibernetici in voga alcuni decenni or sono. La terza, che insiste su temi squisitamente ambientali (aria e acqua, condizioni climatiche), recupera una policy area di tradizione antica, come l’approccio bioclimatico alla progettazione urbana, innestandola nei nuovi avanzamenti tecnologici (Musco, Fregolent, 2015).

Le sfide energetiche e climatiche dell’ultimo decennio hanno aggiornato le due fondamentali traiettorie delle agende della sostenibilità, chiamate ad operare in stretta connessione: le acquisizioni provenienti dalle scienze della natura che postulano l’integrazione dei principi dell’ecologia vegetale nella pianificazione fisica e la ricerca e la sperimentazione di pattern insediativi in grado di declinare la sostenibilità come buona forma urbana Il noto rapporto della Urban Task Force del Regno Unito, Towards an Urban Renaissance (1999), è tra i primi documenti a incardinare la rigenerazione urbana su pratiche e comportamenti ambientalmente responsabili, orientati tra l’altro alla riduzione dei consumi di suolo urbanizzato. Una esperienza meno nota ma di ampio risalto per la sua dimensione territoriale, è la politica varata dal governo dello Stato dell’Australia Occidentale con il documento Liveable Neighbourhoods a cura di P. Newman e J. Kenworthy (2000): qui la valutazione dei piani di sviluppo induce a sostenere la validità dell’insediamento “tradizionale”, con maglie d’impianto regolari, rispetto a quello “convenzionale”, della scuola organica, di cui si sottolinea la forte matrice anti-urbana. O ancora, nell’ambito delle ricerche ispirate dal movimento statunitense dello Smart Growth, riscontri empirici su un ampio campione di aree metropolitane confermano la crescente insostenibilità anche economica di modelli di conurbazione dispersi e dispersivi. Da ultimo, nel volume Future Forms and Design for Sustainable Cities (2005), M. Jenks e N. Dempsey

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The rural-to-urban transect. La teoria del “transetto”, che prende lo spunto dalle tecniche di campionamento effettuate nell’ambito della biologia, distingue sei tipi di habitat umani secondo densità e “intensità” crescenti lungo una ideale sezione territoriale dalle zone più naturali ai centri urbani Fonte: Duany, A., Wright, W., Sorlien, S. (2008). SmartCode & Manual, New Urban Publications Inc., New York. http://www.dpz.com/Initiatives/Transect

affrontano una riflessione sugli approcci alla forma urbana alle diverse scale, con studi di caso relativi ad esperienze nell’Estremo Oriente, negli Stati Uniti e nell’Europa Centrale, sottolineando “alcuni dei molteplici aspetti che sono inestricabilmente connessi, e influenzano significativamente, lo scopo della pianificazione urbana sostenibile”, e richiamandosi alla evidenza empirica delle “prove di sostenibilità” a carico di specifiche politiche istituzionali.

Il noto rapporto della Urban Task Force del Regno Unito, Towards an Urban Renaissance (1999), è tra i primi documenti a incardinare la rigenerazione urbana su pratiche e comportamenti ambientalmente responsabili, orientati tra l’altro alla riduzione dei consumi di suolo urbanizzato In anni recenti, alcuni studi hanno considerato con maggiore cautela la correlazione virtuosa tra sostenibilità e densità insediativa. Con riferimento a due sistemi urbani – rispettivamente nel vasto hinterland sud-orientale di Londra e nel Nord-est dell’Inghilterra – la ricerca SOLUTIONS (Sustainability Of Land Use and Transport In Outer NeighbourhoodS), svolta nel 2012 da M. Echenique, A. Hargreaves e G. Mitchell, ha stimato di qui a trent’anni la performance relativa delle opzioni spaziali derivanti da tre politiche

alternative: Compaction (sviluppo ad alta densità nell’urbano esistente orientato a misure di trasporto pubblico); Market led Development (sviluppo a media e bassa densità orientato verso l’uso del trasporto privato); Planned Expansion (sviluppo di nuovi insediamenti e espansioni urbane a media densità e con un mix di trasporti pubblici e privati). L’utilizzo di modelli statistici per la previsione delle preferenze dei residenti nella interazione tra mercato dei suoli e dei trasporti ha dato luogo a simulazioni con una serie di indicatori di efficienza economica, uso delle risorse, impatto sociale e ambientale delle opzioni spaziali per rendere esplicito il confronto tra costi e benefici dei diversi pattern insediativi. La conclusione generale dello studio è che le forme urbane, anche per la moderata crescita prevedibile nel lungo periodo, e le associate modalità di organizzazione dei sistemi di trasporto, determinano impatti differenti ma non tali da decretare una evidente superiorità di un modello sugli altri. Non solo: tali impatti risultano generalmente trascurabili rispetto a quelli prodotti dai prevedibili cambiamenti negli stili di vita. È invece assodato che i pattern sono determinanti nella scelta delle tecnologie più appropriate (ad esempio pompe di calore geotermico o solare sono indicate per insediamenti a bassa densità mentre la cogenerazione richiede forme compatte), aprendo a interessanti sviluppi sulle ricadute della pianificazione territoriale sulla cosiddetta “economia verde”. In altri termini, le correlazioni “virtuose” che vanno ricercate in uno specifico modello di sviluppo attengono alle filiere produttive e soluzioni tecnologiche che ne ottimizzano gli scambi di materia e di energia con l’ambiente.


In Francia, questi orizzonti Queste letture, pur destabisociali, ambientali e cultulizzanti nei confronti del rali trovano degli elementi primato della città compatdi aggancio quantitativo in ta, ragionano tuttavia ancodiversi dispositivi di politira su morfologie, sintassi o ca urbana e una trascrizioparatassi determinate dai ne operativa negli strumenfatti urbani e dalla loro perti di programmazione stravasiva diluizione nello spategica sovracomunale, in zio aperto; allo stesso modo, studi di matrice geograparticolare gli Schémas de fica insistono su di una incohérence territoriale (SCOT). E l’allineamento teressante declinazione di tra scienze della natura e città-regione, che si avvale discipline del progetto della diffusione insediativa (Grenelle de l’Environneper estendere i benefici di ment, 2007) avviene prosettori trainanti delle ecoprio a partire dalla “trama nomie urbane a porzioni verde” che, assistita da efterritoriali via via più esteficacia giuridica entro il se contrastando il portato negativo della dispersività Code de l’Urbanisme, si operativizza e contribuisce (Camagni, Gibelli, Rigapositivamente al metabolimonti, 2002). Una indicasmo urbano connettendo zione indiretta, questa, che alle diverse scale del proarriva alla buona forma a Franc Lyonnais. Liaisons vertes. partire dall’efficienza delle Le Liaisons vertes sono percorrenze ciclo-pedonali a sezioni va- getto spazi eterogenei con riabili ma sufficienti a ospitare dei filari alberati, utilizzate per un ruolo di protezione attiprestazioni territoriali. gli spostamenti o per la passeggiata con lo scopo di agevolare Una chiave esplicativa l’accesso alle attrezzature pubbliche. Possono partecipare al fun- va nei riguardi dei valori complementare, in grado zionamento dei corridoi ecologici, o più semplicemente essere naturali e culturali e di contrasto ai fenomeni di di interpellare le nuove impiegate come percorsi per il loisir e la distensione. geografie e morfologie Fonte: Agence d’urbanisme pour le développement de l’Agglo- frammentazione del suolo dell’interfaccia urbano-ru- mération Lyonnaise, Liaisons vertes. Les nouvelles voies de la (Blanc, Clergeau, 2014). La flessibilità della trama rale con una specifica sen- Ville Nature (2009) verde è motivo della sua sibilità ai valori di relazioestrema capillarità fin dentro i tessuti edificati dove ne istituiti con i territori di prossimità, si è progressisi qualifica come rete di percorrenze ciclo-pedonali vamente affermata da distinte posizioni disciplinari e a diverse latitudini, attraverso misure per la biodiver(Liaisons vertes, Fig. 2). Anche nel Regno Unito, una serie di misure dedicate sità volte a ripristinare la continuità ecologica, particolarmente compromessa nelle aree periurbane. In alle Open Space Strategies (OSS) ha consentito ai Borough londinesi di definire gli obiettivi qualitativi e sotali circostanze, a quanti sostengono il rischio di obciali da perseguire per realizzare sistemi verdi di contisolescenza delle aree di frangia urbana assai meno nuità. Qui la buona forma dà voce ad esigenze puntuali stabili all’usura della città compatta, alcuni studi rema soprattutto plurali di soggetti che intendono ristabicenti dimostrano il forte potere di rigenerazione della lire un contatto quotidiano con le pratiche dello spazio risorsa suolo proprio in virtù di tali condizioni di aperto, siano esse legate al loisir, all’agricoltura urbabassa densità. na, o a variegate risorgenti forme di agricivismo. Oltreoceano, si sono affermate pratiche di Landscape Queste accezioni “territorializzate” dello sviluppo Urbanism (Duany, 2002) che lavorano su sequenze di sostenibile non pretendono di riformare gli statuti sezioni rappresentative di habitat umani caratterizzati della convivenza, ma si propongono di migliorare le da diverso gradiente di naturalità, secondo un “Ruralprestazioni territoriali attraverso orientamenti, pratito-Urban Transect”: da quelli a vocazione prevalenteche e attività la cui efficacia, già di per sé evidente, si mente agricola, marginali nelle logiche dello sviluppresta a misurazioni e valutazioni per sub-obiettivi po, a quelli più fortemente antropizzati, disponibili parziali e intermedi ma tangibili, in sostituzione di tuttavia a un recupero o a modi condivisi di “reinvenobiettivi globali, intergenerazionali ed astratti. zione” del paesaggio con trame di continuità dello Per tale ragione, la razionalità di questa particolare spazio aperto il cui valore strutturante è in condizioni filosofia dello sviluppo sostenibile, nell’avvalersi di di dare nuova forma alle conurbazioni (Fig. 1). retoriche di persuasione o dissuasione entro gli struA livello europeo, la Green Infrastructure informa menti di politica urbana, predilige spesso argomenti l’agenda della sostenibilità con tematiche interdisciplinari: biodiversità, rigenerazione delle risorse e mia contrario, ove la simulazione di ciò che potrebbe accadere in assenza di correttivi, pur richiedendo glioramento delle prestazioni ambientali, salvaguarparticolare prudenza, risulta di impatto immediato. dia dei valori naturali e paesaggistici, difesa del suoSe la sfida nella ricerca e nella prassi dell’Urban Delo e messa in sicurezza del territorio, promozione di sign è aperta, anche il modello di governo del territopolitiche agro-alimentari sostenibili, fruizione sociario più consonante con queste aspettative non può le, benessere e salute psico-fisica dei cittadini (EU che essere aperto e flessibile. Commission, 2013).

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Isolare con leggerezza Minori consumi e costruzioni più salubri Gabriele Bellingeri

Il settore edilizio si presenta attualmente come uno dei comparti produttivi più pesanti per l’ambiente. Come tutti sappiamo, infatti, è responsabile di oltre il 40% dei consumi di energia nel nostro paese. Se aggiungiamo allo stock residenziale e terziario anche gli edifici industriali, che ogGabriele Bellingeri gi sono climatizzati, ci avviciniamo al 50% del consumo energetico totale, facendo impallidire il ruolo dell’industria e dei trasporti che nell’immaginario collettivo sono in genere identificati come i responsabili del disastro ambientale. Quando nelle nostre città si registrano picchi di inquinamento che superano i valori di soglia, si tenta di limitare la circolazione di veicoli, ma l’efficacia di questi provvedimenti è sempre limitata perché i veri responsabili sono gli impianti di climatizzazione delle nostre case. Siamo tutti convinti quindi che sia necessario migliorare le prestazioni delle costruzioni che progettiamo e forse ancor più migliorare le prestazioni delle costruzioni che già esistono, rendendole più efficienti e quindi in un certo modo più sostenibili per l’ambiente. Indubbiamente per diminuire consumi e inquinamento si può agire migliorando l’efficienza degli impianti di climatizzazione, ma questo significa, nel migliore dei casi, aumentare l’efficienza del sistema edificio impianto di circa il 20-30%. Intervenire sulla prestazione dell’edificio nel suo complesso ci consente invece di ottenere aumenti

di efficienza dell’ordine del 70-80% per le costruzioni nuove, e del 50-60% per le costruzioni esistenti, con investimenti che, con l’attuale costo dell’energia, possono essere recuperati in un ragionevole lasso di tempo.

Quando nelle nostre città si registrano picchi di inquinamento che superano i valori di soglia, si tenta di limitare la circolazione di veicoli, ma l’efficacia di questi provvedimenti è sempre limitata perché i veri responsabili sono gli impianti di climatizzazione delle nostre case Per le costruzioni nuove progettare ad alta efficienza significa prestare la massima attenzione all’orientamento, alla morfologia, alle caratteristiche dell’involucro ed alla sinergia edificio-impianto di climatizzazione. Per le costruzioni esistenti, l’orientamento e la morfologia non sono modificabili e dobbiamo quindi limitarci a migliorare le caratteristiche dell’involucro facendo attenzione all’isolamento delle parti opache, alla massima efficienza delle finestre e calibrando quindi i sistemi di climatizzazione estiva ed invernale in rapporto alle mutate caratteristiche dell’edificio. Sarà quindi necessario mettere in opera importanti quantità di materiali isolanti per garantire le migliori prestazioni delle parti opache dell’involucro. Fino ad oggi quando si parla di materiali isolanti per l’edilizia, si parla nella maggior parte dei casi di materiali sintetici derivati del petrolio. Sono

Isolamento di edificio residenziale in Umbria realizzato con muratura portante armata in laterizio porizzato da 30 cm con doppio strato di pannelli di sughero da 5 cm e rivestimento in pietra


materiali molto isolanti e anche molto resistenti nel tempo, spesso di facile posa in opera, ma presentano alcuni svantaggi. Hanno in genere un altissimo contenuto di energia primaria inglobata, e questo significa che è stata consumata molta energia per produrli e quindi il bilancio rispetto al risparmio energetico in condizioni di esercizio non è così positivo come a prima vista possa sembrare. Spesso inoltre questi materiali sviluppano vapori tossici alla combustione, non sono permeabili al vapore e sono sempre for-

temente inquinanti per l’ambiente al momento della dismissione. Una concreta alternativa è costituita oggi dagli isolanti non derivati dal petrolio: i così detti isolanti naturali. Questi materiali sono stati per molto tempo un prodotto di nicchia per il costo elevato e la scarsa reperibilità sul mercato dei prodotti per l’edilizia. Una maggiore attenzione dei consumatori per la salubrità delle costruzioni e per i problemi legati all’ambiente li ha resi oggi protagonisti nella realizzazione di case efficienti e sostenibili.

conducibilità termica (W/mK) fibra di cellulosa

energia inglobata MJ/kg

0,04

2,94

fibra di legno

0,041

17

fibra di canapa

0,041

15

fibra di cocco

0,045

4,9

sughero

0,04

7,05

lana di pecora

0,04

12,6

pomice naturale

0,11

1,48

argilla espansa

0,11

3,48

perlite espansa

0,051

13,62

calce-cemento cellulare

0,045

18,57

vetro cellulare

0,04

67

lana di vetro

0,04

34,6

lana di roccia

0,04

22,12

polistirene espanso sinterizzato (EPS)

0,04

99,2

0,035

107,15

poliuretano espanso (PUR)

0,03

126,2

polietilene espanso

0,04

107

polistirene espanso estruso (XPS)

Come si vede gli isolanti “naturali” presentano una conducibilità termica di poco maggiore degli isolanti sintetici e sono quindi in grado di garantire sostanzialmente le stesse caratteristiche di prestazione delle parti opache in termini di isolamento termico. Presentano però in genere altre caratteristiche che, per un progettista attento ai temi ambientali, possono essere estremamente importanti, quali ad esempio l’atossicità totale in fase di produzione e di esercizio, la biodegradabilità completa, la buona permeabilità al vapore. Una delle caratteristiche infatti che contribuiscono alla generazione del comfort degli ambienti indoor è quella dell’umidità relativa. Garantire la trasmigrazione del vapore acqueo attraverso le pareti utilizzando una stratigrafia composta da materiali permeabili al vapore garantisce da un lato la possibilità delle pareti di assorbire l’umidità in eccesso, e di rilasciarla poi quando l’aria dell’ambiente si fa più secca, funzionando come un regolatore naturale del grado di umidità relativa, funzione che

le murature tradizionali hanno sempre svolto. La capacità degli involucri di gestire la trasmigrazione controllata del vapore acque contribuisce inoltre a diminuire i rischi di condensazione superficiale. Vediamo ora in dettaglio caratteristiche, vantaggi e svantaggi degli isolanti naturali più comunemente impiegati nel settore delle costruzioni. Sughero Il sughero naturale è un materiale con struttura alveolare molto minuta: circa 40 milioni di cellule per centimetro cubo. Questo si traduce in una grande leggerezza, in una grande elasticità ed in un elevato potere isolante. Nel processo di produzione dei pannelli inoltre il materiale aumenta il suo volume di circa il 30% esaltando le caratteristiche del materiale naturale. Per la prodizione dei pannelli infatti il materiale sfuso viene posto in contenitori metallici squadrati (blocchiere) nei quali viene poi immesso vapore acqueo in pressione ad una temperatura di 280°C.

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Isolamento con fibra di legno a bassa densità di pareti prefabbricate per il prototipo Med in Italy progettato dal team di Roma Tre per il Solar Decathlon 2012 a Madrid

per effetto della temperatura i granuli di sughero si espandono rilasciando al contempo le sostanze cerose che contengono: lignina e suberina che costituiscono il legante naturale del materiale. I blocchi vengono quindi estratti dal contenitore e raffreddati. Si procederà poi alla squadratura ed al taglio di pannelli dello spessore desiderato. La suberina una volta raffreddatasi contribuisce a garantire l’impermeabilità del materiale garantendone al contempo la massima permeabilità al vapore. L’assenza di collanti rende il materiale estremamente bio-sostenibile, completamente atossico e totalmente biodegradabile al momento della dismissione. Per le sue caratteristiche il sughero può essere impiegato con successo per l’isolamento delle pareti, delle coperture ed anche per i solai. Ha una buona resistenza meccanica ed è quindi adatto all’isolamento di superfici calpestabili. L’utilizzo estensivo del sughero favorisce inoltre la piantumazione programmata delle querce da sughero. Il sughereto è uno dei 35 ecosistemi più ricchi e importanti per biodiversità del mondo, combatte la desertificazione e regola il ciclo idrogeologico.

Intervenire sulla prestazione dell’edificio nel suo complesso ci consente di ottenere aumenti di efficienza dell’ordine del 70-80% per le costruzioni nuove, e del 50-60% per le costruzioni esistenti, con investimenti che, con l’attuale costo dell’energia, possono essere recuperati in un ragionevole lasso di tempo Fibra di legno Prodotta con gli scarti della lavorazione del legno, la fibra di legno è forse il materiale naturale attualmente più utilizzato in edilizia. Si tratta anche in questo caso di un materiale con un’ottima per-

meabilità al vapore ed un ottimo potere isolante (in genere circa0,038 W/mK) La fibra di legno ha il vantaggio di poter essere prodotta in pannelli con diverse densità. In genere si usano elementi rigidi con una densità di circa 110kg/mc per l’isolamento a cappotto delle pareti e delle coperture, e pannelli con densità più bassa, in genere 40-50 Kg/mc, per l’inserimento tra elementi strutturali. L’uso del materiale flessibile rende possibile infatti un efficace inserimento tra i montanti in legno garantendo, grazie alla sua elasticità, una buona adesione con gli elementi strutturali. È l’isolante naturale in pannelli con il miglior rapporto prestazione/prezzo attualmente disponibile sul mercato. Due sono a mio parere i limiti di questo ottimo materiale. Il primo è che teme l’umidità e quindi va protetto in maniera adeguata con apposite membrane traspiranti, che, se correttamente istallate, garantiscono una ottima prestazione e una grande durabilità del materiale. Il secondo è che è un materiale infiammabile e che quindi va opportunamente protetto con pannelli resistenti alla fiamma come cartongesso o fibrogesso. Fibra di cellulosa Spesso, in modo particolare nelle ristrutturazioni, ma anche nelle nuove costruzioni in cui sia prevista la realizzazione di intercapedini è necessario realizzare l’isolamento mediante insufflaggio di materiale isolante sfuso. Il materiale naturale che si usa più spesso in questi casi è forse la fibra di cellulosa in fiocchi. Ottenuta attraverso il riciclaggio della carta o gli scarti di lavorazione della produzione di carta è un materiale economico, traspirante e con ottime prestazioni termiche. Anche questo è un materiale che teme l’umidità ed è facilmente combustibile e deve essere quindi sempre opportunamente protetto. Perlite espansa sfusa Ottimo isolante con elevate proprietà di resistenza meccanica viene impiegato sfuso per isolamento dei solai e ed anche con malta cementizia per la realizzazione di massetti alleggeriti. Si presta in maniera ottimale per realizzare l’isolamento delle zone dei solai nei quali sono presenti le canalizzazioni deli impianti elettrici, idraulici o termici. È


Inserimento perlite sfusa per isolare il vano impianti del prototipo RhOME di Roma Tre, in concorso al Solar Decathlon 2014 a Versailles

un materiale in genere piuttosto costoso e conviene quindi usarlo solo dove sarebbe difficile usare un altro isolante naturale. Lana di Roccia Non so se possiamo veramente considerare questo come un prodotto completamente naturale. È ottenuto dalla fusione di rocce basaltiche attraverso un processo industriale che potremmo definire “pesante”. Dal punto di vista ambientale, anche se viene prodotto con materiali non rinnovabili e utilizza un discreta quantità di energia nel suo processo produttivo, al momento della dismissione è comunque un materiale inerte che non produce inquinamento ed è totalmente riciclabile. Può essere prodotto con diverse densità per meglio adattarsi all’utilizzo nella realizzazione di pareti solai intercapedini ecc. e anche in pannelli a densità variabile con un cuore interno a media densità

e superfici esterne con densità maggiore in modo da poter combinare una maggiore resistenza meccanica con una maggiore leggerezza. Il suo principale pregio è che è un materiale piuttosto economico e totalmente ignifugo che può quindi essere impiegato in sicurezza senza necessità di essere involucrato con materiali resistenti alla fiamma. In conclusione, se è vero che nelle costruzioni di domani useremo sempre maggiori quantità di materiale isolante per avere migliori prestazioni termiche, è estremamente importante che i progettisti si orientino verso l’utilizzo di materiali che garantiscano la realizzazione di costruzioni più sostenibile e più salubri, e non contribuiscano a danneggiare ulteriormente il nostro fragile pianeta.

Isolamento di edificio residenziale in Umbria realizzato con muratura portante in laterizio porizzato da 35 cm con uno strato di pannelli di lana di roccia da 12 cm, membrana traspirante di tenuta all’aria e all’acqua e rivestimento in pietra

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Scenari sostenibili per il cambiamento Verso la transizione energetica e la decarbonizzazione della nostra società Chiara Tonelli

Nel 2015 hanno avuto luogo tre importanti azioni volte ad arginare il cambiamento climatico e favorire lo sviluppo sostenibile dell’intero pianeta, e cioè: • l’Enciclica Papale «Laudato Sì, sulla cura della casa comune», che ha puntato il dito sulla necessità di rivedere i nostri comportamenti, Chiara Tonelli causa principale della crisi ecologica e sociale della Terra, proponendo azioni concrete per risanare il nostro ecosistema; • la definizione dei «17 Obiettivi per uno sviluppo sostenibile» e le loro 169 finalità da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite, obiettivi integrati e indivisibili che bilanciano le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile, economica, sociale e ambientale, che stimoleranno azioni nei prossimi 15 anni su ambiti di importanza cruciale per l’umanità e il pianeta, e in particolare: • la gente, con l’obiettivo di far cessare la povertà e la fame, in tutte le loro forme e dimensioni, e di assicurare che tutti gli esseri umani possano affermare il loro potenziale, in dignità ed equità, e in un ambiente salubre; ▪ il pianeta, proteggendolo dal degrado, includendo usi e consumi sostenibili, gestione consapevole delle risorse naturali e avviando un’azione urgen-

I 17 obiettivi sostenibili delle Nazioni Unite

te per il cambiamento climatico, in modo tale che siano supportati i bisogni delle generazioni presenti e future; ▪ la prosperità, puntando a garantire a tutti gli esseri umani vite soddisfacenti, in un progresso economico armonico con la natura; ▪ la pace, perseguendo la realizzazione di società libere da paura e violenza, poiché la pace è condizione essenziale per lo sviluppo sostenibile; ▪ la partnership, ovvero un rafforzamento della solidarietà globale, orientato sui bisogni dei più poveri e vulnerabili; • la 21° Conferenza delle Parti - COP21 sui cambiamenti climatici, con il raggiungimento di uno storico accordo tra i 196 paesi convenuti, con un obiettivo a lungo termine, che impone di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C e sollecita sforzi per centrare l’obiettivo del contenimento entro 1,5°C attraverso il principio della responsabilità comune e dell’impegno volontario a tradurre in azioni concrete gli obiettivi definiti insieme. Tuttavia, nonostante sia divenuto bagaglio comune e condiviso che l’era dell’energia da fonti fossili è terminata e che serve una sempre più diffusa consapevolezza su usi e consumi di energia, si assiste a una forte contraddizione dell’attività politica, in Europa in particolare. Si pensi, ad esempio, alla prosecuzione della politica nuclearista della Francia, e alla Germania, invece, che, pur avendo deciso di rinunciare alle centrali nucleari, rilancia l’uso del carbone. E mentre si inneggia alla decarbonizzazione, molti Governi appoggiano iniziative di estrazione del gas, co-


Prototipo di RhOME, progetto vincitore di Solar Decathlon

me l’Olanda, o di trivellazione e ricerca petrolifera, come l’Italia. Una ricerca, quella italiana, di una risorsa che, se anche ci fosse, al massimo potrebbe supplire al fabbisogno energetico nazionale di alcuni anni. Risorse finanziarie ingenti che potrebbero, invece, essere ben meglio rivolte all’avvio della transizione energetica per la quale il nostro paese registra un ritardo assai preoccupante, soprattutto se confrontato con la forte dipendenza da altri paesi per la fornitura di fonti di energia.

È chiaro a tutti quanto gli interessi economici prevalgano su quelli dell’ambiente e delle persone che vi abitano e senz’altro il principale motore finanziario attuale è proprio quello legato al mercato dell’energia. Si è parlato molto, infatti, della tecnica del fracking, e della conseguente diminuzione a livello globale del costo del barile di greggio, ma si parla meno della distruzione ambientale che ne è conseguita nel nord America È chiaro a tutti quanto gli interessi economici prevalgano su quelli dell’ambiente e delle persone che vi abitano e senz’altro il principale motore finanziario attuale è proprio quello legato al mercato dell’energia. Si è parlato molto, infatti, della tecnica del fracking, e della conseguente diminuzione a livello globale del costo del barile di greggio, ma si parla meno della distruzione ambientale che ne è conseguita nel nord America. E si parla ancor meno dei terremoti che ne sono conseguiti in Texas e per niente di quelli che l’estrazione

del gas sta provocando in Olanda. Effettivamente un paese così green, dove le biciclette e il trasporto pubblico hanno completamente annullato la presenza di automobili private e di conseguenza di emissioni nocive, non consente nemmeno di ipotizzare che, per interessi puramente economici, si stia realizzando un’emergenza sisma. Invece, i sismi provocati dall’uomo, per svuotare le sacche di gas presenti nel sottosuolo, sono sempre più numerosi. E il parco immobiliare dei Paesi Bassi non possiede una resistenza strutturale idonea a fronteggiarli, poiché le abitazioni olandesi sono generalmente costruite con paramenti murari ad una testa, ovvero 12-15 cm. Ma poiché l’estrazione non si arresta, il governo per far fronte alle gravi problematiche strutturali degli edifici, ha varato una politica di retrofitting sismico. L’Europa, pertanto, pur detenendo ancora il ruolo di leader mondiale sui temi della transizione energetica, a causa di queste nuove tecniche estrattive sta modificando le proprie politiche, portando il negawatt a divenire un puro esercizio tecnico, piuttosto che la vera chiave di risoluzione per i consumi energetici. Tanto basta per comprendere l’attuale livello di sensibilità verso le tematiche ambientali: una sensibilità assente, che provoca problemi, disagi e innesca circoli viziosi che portano alcuni ad arricchirsi e molti a finire in povertà. Un quadro che deve fare i conti con il riscaldamento globale e l’inaridimento progressivo di grandi territori e con i problemi geopolitici dell’intero pianeta e delle coste del Mediterraneo in particolare, che costringono ingenti masse di persone a emigrare verso l’Europa, alla ricerca di condizioni di vita migliori. Persone che si riversano principalmente sulle città. Fenomeno questo che innesca problematiche urgenti di accoglienza e sostentamento e che, per il momento, ha generato favelas, slum, villas, bidonville, baraccopoli nelle grandi città a clima caldo o caldo-temperato del mondo. Una condizione questa cui la nostra penisola non è esente, quale principale avamposto del Nord Africa e

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Quartiere urbano di RhOME for denCity (render elaborato da Barbara Cardone e Chiara Di Battista)

prima meta per le popolazioni che da lì provengono in cerca di migliori condizioni di vita. Ma anche quale paese in grado di offrire condizioni accettabili, anche in inverno, a persone senza tetto. Un paese, quindi, il nostro, destinato non solo a impoverirsi per la diminuzione delle caratteristiche ambientali, a causa del riscaldamento globale, ma anche ad aumentare la propria popolazione a ritmi incessanti, a causa degli ingenti flussi migratori prevedibili. Una previsione che andrebbe tenuta in considerazione nelle politiche urbanistiche delle grandi città e nella conseguente ricerca di soluzioni tecnologiche rapide ed economiche per il settore delle costruzioni, al fine di non trovarsi impreparati. Il quadro fin qui rapidamente tracciato descrive un mondo avviato velocemente verso l’autodistruzione. Eppure a fronte delle molte avversità si possono individuare altrettanti segnali positivi.

L’Europa, pertanto, pur detenendo ancora il ruolo di leader mondiale sui temi della transizione energetica, a causa di queste nuove tecniche estrattive sta modificando le proprie politiche, portando il negawatt a divenire un puro esercizio tecnico, piuttosto che la vera chiave di risoluzione per i consumi energetici Tantissimi sono i movimenti, le fondazioni, le associazioni che si impegnano quotidianamente per ostacolare errate attività, dalle edilizie a quelle di caccia, pesca, allevamento o agricoltura. Altrettante le aziende che perseguono politiche sostenibili, facendo attenzione alla qualità e all’impronta ambientale di prodotti e processi produttivi.

Molti i governi che hanno avviato la realizzazione di parchi naturali, dove viene preservata la biodiversità, e di riserve marine per evitare la pesca invasiva, dove i pesci trovano rifugio. E molti anche quelli che hanno varato stringenti politiche energetiche, in grado di ridurre le emissioni di gas serra, garantendo al contempo i livelli di comfort e avanzamento tecnologici già raggiunti. Tra questi spicca la Confederazione Elvetica, che ha sposato lo slogan «Verso una società a “2000 watt”», ideato dall’ETH di Zurigo alcuni anni or sono, come sintesi di un nuovo scenario teorizzato per l’economia svizzera, che ha l’obiettivo di ridurre di tre volte i consumi pro-capite del ricco paese. Tale scenario si è tramutato negli anni in un programma energetico, adottato prima sperimentalmente da alcuni cantoni e poi dall’intera confederazione, che contabilizza i consumi di energia mirando a mantenere inalterati i livelli di benessere raggiunti, ma eliminando gli sprechi. Un mondo, infine, dove la ricerca scientifica ha sviluppato tecnologie che, ispirandosi al passato, trovano in chiave contemporanea le tecniche per realizzare edifici che nonostante consumi energetici minimi o quasi nulli riescono a garantire le elevate condizioni di comfort cui siamo oggi abituati. Edifici in grado di offrire una speranza alle future generazioni per un mondo più salubre e meno inquinante. Uno di questi, RhOME for denCity, è il prototipo di casa progettato e realizzato dall’Università Roma Tre in partnership con aziende e industrie italiane e multinazionali. Si tratta di un progetto che prevede abitazioni a basso costo, dotate di alti livelli di comfort e in grado di produrre energia termica ed elettrica da fonti rinnovabili, da inserire nella periferia romana a sostegno di politiche di densificazione urbana e in risposta all’emergenza abitativa che si sta acuendo anche in seguito alle recenti difficoltà geopolitiche delle coste sud ed est del Mar Mediterraneo.


Sostenibilità e radicamento territoriale Le sfide metodologiche e operative per l’analisi dello sviluppo Elena Battaglini

Negli studi regionali in cui si applicano approcci socio-ecologici, il concetto di sostenibilità è comunemente adottato nell’accezione di necessità di preservare la qualità delle risorse naturali per le generazioni presenti e future. Per alcuni autori, tuttavia, il concetto è ormai così generaliElena Battaglini sta da essere insignificante. L’economista Pearce (Pearce et al. 1990) scrive, a questo proposito, che è difficile non essere d’accordo con gli assunti di base dello sviluppo sostenibile perché, come «la mamma e la torta di mele», costituiscono temi su cui tutti dovremmo convenire. A fronte della scarsa efficacia di certe politiche promosse in nome dello sviluppo sostenibile, ma riferite essenzialmente allo sviluppo inteso come crescita, notevoli, tuttavia, sono stati gli stimoli che i principi del Rapporto Brundtland hanno dato alla ricerca socio-economica, dalla sociologia ed economia dell’ambiente alla più radicale ecological economics, sia in ambito teorico che applicativo. Le difficoltà che si riferiscono all’operativizzazione di questo concetto sono tuttavia rilevanti e riteniamo siano da connettersi con la difficoltà di cogliere e analizzare le interazioni complesse che sussistono tra le dimensioni sociale, culturale, economica e ambientale dello sviluppo di un’area alle diverse scale.

Il complesso industriale Zlatiborac

Obiettivo di questo contributo è quello di fornire un esempio delle modalità con cui questo concetto è stato operativizzato nell’ambito di una ricerca da noi svolta in Serbia, alfine di delineare le sfide metodologiche e operative che l’analisi dello sviluppo sostenibile pone agli studiosi del territorio.

Nella nostra prospettiva analitica, con il termine risorse intendiamo l’insieme del patrimonio territoriale costituito da beni economici, ambientali e sociali nelle forme specifiche in cui la società locale le reinterpreta e trasforma a proprio uso e consumo e, in definitiva, a proprio beneficio Quali sono le variabili che sottendono ai processi di sviluppo sostenibile? Quali culture, quali valori imprenditoriali orientano effettivamente la scelta di prodotti e processi d’impresa? Quali sono i fattori su cui far leva per le politiche volte alla sostenibilità? L’obiettivo principale della ricerca che presentiamo è l’analisi di percorsi di sviluppo locale in una regione con alte potenzialità sia agricole sia turistiche, in un paese candidato all’ingresso nell’Unione Europea. Assunto principale d’analisi è che l’adozione di un modello, esogeno o endogeno, di sviluppo territoriale si correli al radicamento territoriale delle comunità locali e, quindi, ai significati e valori attribuiti dalle comunità locali alle risorse.

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Il villaggio etnoturistico di Sirogojno

Abbiamo quindi operativizzato il concetto di sviluppo sostenibile in termini di territorializzazione (Turco 1988; Battaglini 2014): processo attraverso il quale le comunità locali percependo le specificità e le caratteristiche del luogo, attribuendo valori alle risorse e alle peculiarità locali, reificano e organizzano lo spazio. Nella nostra prospettiva analitica, con il termine risorse intendiamo l’insieme del patrimonio territoriale costituito da beni economici, ambientali e sociali nelle forme specifiche in cui la società locale le reinterpreta e trasforma a proprio uso e consumo e, in definitiva, a proprio beneficio. Distinguiamo, cioè, tra patrimonio dato e risorse, ponendo l’accento sui valori che la società locale attribuisce ai singoli beni e attraverso i quali sceglie, poi, di usarli, trasformarli o semplicemente conservarli. Alla luce della letteratura sullo sviluppo locale, abbiamo infine assegnato un ruolo cruciale al milieu locale, quale sistema di relazioni, conoscenze, fiducia che costituisce la lente interpretativa e trasformativa del patrimonio territoriale. Le domande di ricerca che hanno guidato il nostro percorso d’analisi erano, quindi, le seguenti: come percepiscono le comunità locali di Zlatibor il territorio e le sue risorse materiali e immateriali? Quali variabili orientano le comunità locali ad attribuire valori e significati al proprio patrimonio e a determinare il suo uso o il non uso? In che modalità questo processo di ascrizione di interessi sociali alle risorse si relaziona con il processo di territorializzazione delle comunità locali?

Queste domante più generali sono state accompagnate dalle seguenti questioni più specifiche: come viene costruito socialmente un percorso di territorializzazione? Qual è il ruolo specifico svolto dalla natura del luogo e dal suo patrimonio naturale? Quali qualità vengono percepite dalle comunità nel patrimonio locale? Quali valori, norme e significati sottendono a questa attribuzione di qualità? In che modo il milieu locale condiziona questi processi? Con quali modalità questi processi orientano le traiettorie di sviluppo locale? Posto che la ricerca si poneva anche obiettivi di policy, ci siamo interrogati sulle modalità attraverso le quali le politiche pubbliche (locali, nazionali o internazionali) favoriscono o ostacolano le dinamiche di sviluppo locale. A fronte degli assunti, delle domande-guida e delle risorse a disposizione, abbiamo costruito il nostro disegno d’indagine. Innanzitutto abbiamo selezionato l’area locale oggetto di studio: Zlatibor è un’area rurale che sorge in una zona di elevati pregi paesistici e culturali nella Serbia Centrale, a 230 km da Belgrado. Costituisce una delle zone serbe di maggiore afflusso turistico e centro di produzione della Zlatiborac Company Ltd., azienda agroindustriale di grande successo commerciale, che lega la sua identità di impresa e i suoi prodotti al territorio. La selezione della regione rurale di Zlatibor poteva quindi consentire, da una parte, di indagare comunità che avevano subito processi di deterritorializzazione e, dopo i conflitti, erano indirizzate a riterritorializzare l’area di appartenenza e, dall’altra, di analizzare le variabili che determinano la direzione e l’orientamento delle traiettorie di sviluppo locale senza un significativo condizionamento di dinamiche esogene.

Le dinamiche bi-direzionali complesse tra natura del luogo e società locale sono mediate dal milieu. Questo concetto si compone di due diverse dimensioni: la prossimità geografica si riferisce alla posizione geografica, al clima, alle risorse naturali, culturali, economiche, alla qualità della vita, alle strutture economiche Abbiamo quindi adottato un modello concettuale che potesse dar conto delle dimensioni delle variabili riferite alla natura dei luoghi, alla percezione e attribuzione di qualità e valori alle risorse in relazione con il milieu locale. In riferimento agli obiettivi di policy del progetto di ricerca abbiamo tematizzato queste relazioni complesse all’interno del concetto del capitale territoriale di cui intendevamo misurare dinamiche e livello. Le dinamiche bi-direzionali complesse tra natura del luogo e società locale sono mediate dal milieu. Questo concetto si compone di due diverse dimensioni: la prossimità geografica si riferisce alla posizione geografica, al clima, alle risorse naturali, culturali,


Artigianato locale

Prodotti di una filiera ortofrutticola locale

economiche, alla qualità della vita, alle strutture economiche. La prossimità socio-culturale si rapporta, invece, ai fattori immateriali, alla cultura, al capitale sociale, al clima relazionale locale (aperto / chiuso; progressista / conservatore; reattivo / proattivo; inclusivo / esclusivo, e così via), alle conoscenze tacite, alle tradizioni e i costumi, alla qualità della governance, alla fiducia reciproca, e a tutte le regole informali che permettono agli attori di lavorare insieme in condizioni di incertezza. Ma anche l’ambiente nella sua connotazione morfologica, fisica e climatica informa di sé le percezioni, le attribuzioni di senso hanno potere di agency sulle pratiche di uso e consumo delle risorse. Si pensi alla natura di un suolo vitivinicolo, ai sui lieviti naturali, a quanto il suo microclima condizioni la caratterizzazione di un vitigno e dello stesso processo di produzione vinicola. Lo stesso paesaggio agrario dove quella vigna cresce, condiziona, con i suoi valori materiali e immateriali, le modalità di commercializzazione e posizionamento nel mercato del vino prodotto. In sostanza, la natura fisica dei luoghi ha potere di agency in relazione a percezioni, significati e valori attribuiti dalle comunità locali alle risorse. In questo senso, possiamo affermare che le modalità per le quali nel corso del processo di insediamento e territorializzazione di un luogo gli attori sociali percepiscono, valorizzano e gestiscono le risorse locali dipende dalla specifica caratterizzazione che assume il rapporto tra ambiente e società, natura e cultura. Ed è proprio l’essenza di questo rapporto che occorre studiare al fine di osservare le specifiche modalità con cui le comunità locali intraprendono sentieri di sviluppo di natura endogena o esogena. Lo strumento di ricerca che abbiamo adottato è stato quello dello studio di caso (Yin, 1984 e Franklin, 2011) che per la sua struttura formale poteva consentire di sviluppare diverse tecniche di ricerca all’interno dello stesso strumento. Le ipotesi così costruite ci hanno orientato nell’adozione di diverse tecniche, che abbiamo sistematizza-

to attraverso un percorso d’indagine che comprendeva una fase di tipo desk e una sul campo. Nella fase desk, abbiamo promosso uno studio dei dati ecologici a livello territoriale e un’analisi documentale sulla stampa locale e nazionale al fine di analizzare descrittivamente: il patrimonio geografico e fisico, i beni economici, ambientali, culturali e il capitale sociale (risorse umane, sociali, istituzionali); le modalità e il livello di utilizzo del capitale territoriale economico, ambientale e culturale; le componenti riconosciuti come risorse del milieu territoriale. Abbiamo poi avviato un’analisi descrittiva e delle correlazioni spaziali di indicatori considerati significativi a livello di sviluppo territoriale delle diverse aree della regione, utilizzando alcune tecniche GIS per costruire indici di dipendenza spaziale (Indice I Moran (1950) e la G di Ord e Getis (1992). Nel corso del lavoro sul campo sono state condotte interviste in profondità a esponenti di tre generazioni della società locale e stakeholders, tecniche di osservazione partecipante e metodi visuali al fine di analizzare il processo di radicamento territoriale, del milieu socio-culturale, delle strategie di sviluppo regionale e dei loro impatti. I risultati della ricerca (Battaglini e Babović, 2015; Battaglini, Babović, Bodganov, 2015) danno conto di come il concetto di territorializzazione ben si presti a ‘dar corpo’ allo studio sullo sviluppo sostenibile proprio perché mette in evidenza la dimensione spaziotemporale nell’uso e nel consumo delle risorse. Ciò che conta, negli studi sullo sviluppo endogeno, sono le relazioni che le comunità insediate costruiscono e normalizzano, nel tempo e nei luoghi d’elezione, in riferimento alle risorse e alle specificità locali. La territorializzazione può infatti esprimere l’esistenza o meno del senso di appartenenza e di identificazione della comunità con lo spazio abitato, secondo segni tangibili di riconoscimento o differenza, armonia o distanza sia nella sua conformazione morfologica sia in quella organizzativa. Essa può quindi orientarne le sorti anche in termini di equità intragenerazionale e intergenerazionale nell’uso delle risorse.

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Educarsi alla cura: coltivare, custodire, cantare Un commento all’enciclica Laudato si’ di papa Francesco Chiara Giaccardi e Mauro Magatti Il mondo nuovo Nella sua prima enciclica, ispirata dal santo da cui ha preso il nome, Papa Francesco afferma che l’obiettivo di una nuova ecologia umana ha bisogno di contemplazione e non solo di tecnologia. Economia ed ecologia, due ambiti discorsivi tecnici, sono riportati Chiara Giaccardi alla loro radice antropologica e teologica: la casa comune, di tutti - credenti e non. È proprio grazie ai grandi progressi della tecnoscienza, che oggi l’umanità si trova in una situazione inedita. Mai le condizioni di vita sulla terra sono cambiate tanto radicalmente quanto negli ultimi due secoli, e siamo ormai entrati nell’era dell’Antropocene. Il Papa non usa questo neologismo, ma il senso della sua riflessione lo implica: a partire dalla rivoluzione industriale, e per impulso del sempre più accelerato processo di innovazione e diffusione dei modelli di produzione e di consumo associati alla tecnoscienza, il livello di sviluppo - e i relativi modi di vita - non solo incide profondamente sull’ecosistema terrestre, ma arriva a modificare la relazione tra l’essere umano e l’ambiente circostante. Nell’era dell’Antropocene l’essere umano è sempre più in grado di manipolare la natura e la vita. Una condizione nuova, una responsabilità senza precedenti.

È proprio grazie ai grandi progressi della tecnoscienza, che oggi l'umanità si trova in una situazione inedita. Mai le condizioni di vita sulla terra sono cambiate tanto radicalmente quanto negli ultimi due secoli, e siamo ormai entrati nell'era dell'Antropocene Papa Francesco ci dice che, per quanto preziosa, la ragione tecnica da sola non risolverà i problemi che la sua affermazione porta con sé. La soluzione va invece cercata nel riaprire un discorso che si fa sempre più autoreferenziale a dimensioni non puramente tecniche. Tornando a comprendere che la conoscenza del mondo non passa esclusivamente dalle certezze dell’esperimento, ma coinvolge anche

la sfera molto più delicata, flessibile e plurale dell’esperienza. Nell’affrontare il problema, Francesco ripropone «una concezione integrale della vita e dell’umano come via per affrontare le sfide della condizione contemporanea». In dialogo con tutti gli uomini di buona volontà. Mauro Magatti Per vivere e continuare a progredire nell’era dell’Antropocene, ci vuole un uomo all’altezza dei tempi. L’essere umano di cui abbiamo bisogno non è l’oltreuomo. Né a portarci fuori dai guai sarà una superintelligenza. Ciò che invece ci salverà, dice papa Francesco, è l’uomo che non dimentica di essere radicato nella vita. E perciò è in grado di ascoltare. Solo a condizione di essere capaci di fermarci a guadare e ascoltare o meglio a contemplare - oltre le nostre sempre più potenti capacità di fare e di agire, possiamo riconoscere le contraddizioni alle quali ci troviamo esposti. Partendo da questo piano sarà possibile colmare quel divario istituzionale di cui ogni giorno viene denunciata la carenza. La ragione della paralisi istituzionale di cui oggi soffriamo, sostiene papa Francesco, è il frutto di quella attitudine tipicamente moderna a non voler impiegare l’intero spettro delle capacità umane nell’organizzare la vita insieme. Se si parte da un’idea di vita neutra e asettica si arriverà a costruire un mondo neutro e asettico, iperfunzionale e disumano. Capace, alla fine di distruggere quella vita che pretende di conoscere e dominare, ma che in realtà dimentica. Ecco dunque dove arriva la provocazione di Francesco, che con questa enciclica si pone sulla scia dei suoi gradi predecessori, pronunciando una parola sulla questione più profonda del nostro tempo: «l’idea che ha alimentato la crescita degli ultimi secoli - quella secondo cui il semplice perseguimento dell’interesse individuale e la nostra capacità tecnica sono sufficienti per creare ricchezza collettiva - si rivela sempre più inadeguata». Al punto in cui siamo, c’è bisogno di un cambio di passo. Abbiamo bisogno di ricomporre su basi nuove la possibilità di espressione dell’io con la cura del contesto circostante; l’organizzazione dei sistemi tecno-economici con le esigenze dell’ecosistema; le nostre certezze scientifiche con lo spazio del mistero. Perché è per questa via che l’esse-


grovigliato nella sua ombra, nel suo sogno, nella sua immagine: il sogno del suo potere portato all’estremo, convertito in assoluto». Coltivare e custodire la terra. Due modi di abitare il mondo che non possono essere separati. Non perché indicano spinte contrastanti (modificare e conservare), ma perché esprimono, con sfumature diverse, la risposta all’invito che sin dall’inizio è stato rivolto alla nostra libertà: prendersi cura, creativamente, nella gratitudine. È bello il significato di ‘custodire’ nella lingua di Papa Francesco: cuidar non è fare i guardiani, difendere, sorvegliare (come l’immagine del custode potrebbe suggerire). Piuttosto è guardare con minuziosa attenzione, preoccuparsi, prendersi cura, far crescere ciò che è altro da sé con dedizione. È la sollecitudine che accompagna e nutre, per consentire la piena fioritura di ogni bellezza. È la via che ci educa in modo non moralistico all’alterità, all’incontro che mentre fa da limite al nostro io lo aiuta a uscire da se stesso verso l’altro (LS 208), a trascendersi, a crescere in umanità. Lo sguardo della cura è uno sguardo rigenerato, che vede la bellezza anche in ciò che pare appassito e contrasta la disumanizzante cultura dello scarto, che colpisce tanto le persone quanto le cose (LS 22). Ecologia umana ed ecologia ambientale, cura della natura e quella dei fratelli e sorelle fragili camminano insieme (LS 64). Prendersi cura dei fratelli e delle creature, una Il più recente libro di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, che sono anche promotori del progetto www.generativita.it - Genius Loci. L’Archivio della generatività italiana

re umano può arrivare a capire che la condizione di libertà che lo caratterizza non cancella, ma esalta, la sua responsabilità - cioè il suo essere in relazione - rispetto a ciò che lo circonda. È questa la conversione che il Papa chiede. Una conversione che ha bisogno, per potersi realizzare, di un tipo d’uomo diverso da quello oggi prevalente. Per un umanesimo della cura La libertà di noi moderni si è costruita, secondo Hannah Arendt, su una doppia uccisione simbolica: quella di Dio padre e quella della madre terra (dalla quale evadere verso lo spazio da conquistare). Ovvero, sulla negazione del fatto che noi siamo ‘figli di’, che non ci siamo fatti da soli, e che questo ha delle implicazioni. Di rispetto, di gratitudine, di fratellanza: la stessa «fraternità universale» (LS 228), la «luminosa fratellanza con tutte le creature» (LS 221) che ha cantato con altissima poesia il santo da cui Papa Francesco prende il nome. E se la terra, l’acqua, il vento e le stelle sono nostri fratelli e sorelle, la nostra postura non può essere quella del dominio, dello sfruttamento, bensì della tenerezza, di uno sguardo benevolo che si posa sul mondo senza la pretesa di ridurlo a qualcos’altro. Non è un caso, forse, che alla ‘morte di Dio’ sia succeduta la perdita di rispetto per la terra. Così, come ha scritto Maria Zambrano, «nell’atto di affermarsi l’uomo è inciampato in se stesso, si è ag-

Nell'era dell'Antropocene l'essere umano è sempre più in grado di manipolare la natura e la vita. Una condizione nuova, una responsabilità senza precedenti «cura generosa e piena di tenerezza» (LS 220) significa prendersi cura di se stessi, perché «tutto è intimamente connesso» (LS 16). C’è una reciprocità nella cura, una «relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura» (LS 67): se ci prendiamo cura della natura, la natura si prende cura di noi. Se vogliamo dominarla, usarla, si ribella e ci distrugge. Il movimento della cura, sbilanciato ‘in uscita’, ci educa al legame, al «mistero delle molteplici relazioni» (LS 21) che precedono e sostengono la nostra individualità; e in questo modo la solidarietà non è un dover essere che ci imponiamo, ma il riconoscimento che «tutti noi esseri creati abbiamo bisogno gli uni degli altri» (LS 42). Per questo l’umanesimo oggi deve promuovere una visione «integrata e integrante» (LS 141), capace di mobilitare una «unione di forze, una unità di contribuzioni» (LS 219): perché ciascuno, anche il più fragile, ha qualcosa da dare. «L’umanesimo della dignità è un umanesimo della contribuzione». E il linguaggio per dire tutto questo, insieme, è il canto: «Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza» (LS 244).

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Sardex Storia di successo di un modello di mercato complementare, basato sulla fiducia fra i singoli e la comunità Carlo Mancosu Quando è cominciata la crisi? È davvero possibile individuare un momento zero? Come ci ricorda Gramsci la crisi non rappresenta mai un evento bensì uno svolgimento. Si può dire pertanto che della crisi non può esistere una data di inizio, ma solo alcune “manifestazioni”, più o meno evidenti, che convenzionalmente vengono individuate come l’inizio della crisi. A dire il vero, anche in questo caso, non si tratterebbe d’altro che dell’intensificazione quantitativa di elementi non nuovi e non originali e la riduzione e/o sparizioni di altri sui quali i primi hanno avuto il sopravvento. La crisi è pertanto l’emergere, il manifestarsi di uno stato di cose già presente, non il realizzarsi di una possibilità ma la presa di coscienza di una realtà già in atto.

La domanda da cui siamo partiti è la seguente: è possibile affiancare al sistema monetario vigente uno strumento econometrico che possa incentivare la collaborazione, la reciprocità, la resilienza, la sostenibilità, la creazione di un benessere condiviso e duraturo, che possa mitigare gli effetti collaterali legati al concetto dominante di mercato e di moneta? Per quanto concerne l’attuale crisi economico-finanziaria, si sono scelte come date convenzionali il 2007 ed il 2008 e come cause scatenanti la crisi dei mutui subprime ed il crollo della banca d’affari Lehman Brothers. La scelta del tutto arbitraria di queste date e di questi eventi come genesi e detonatori dell’esplosione di quella che in molti hanno ribattezzato come la “grande recessione” ci spingono quasi inconsciamente a contingentare quanto è accaduto alla sfera finanziaria. Tuttavia, se ci limitassimo all’analisi della crisi finanziaria fine a se stessa finiremmo a torto per ricercare le cause, o meglio, le “manifestazioni” della crisi nell’aspetto puramente finanziario di ciò che è accaduto, giungendo ad una semplificazione eccessiva. La crisi di per sé infatti non rappresenta il male da curare ma piuttosto il sintomo. Tutti sapevano che sarebbe stata solo una questione di tempo e la crisi finanziaria si sarebbe presto trasformata, dapprima in una crisi del credito, poi dei consumi (e quindi della domanda) ed infine in una crisi produttiva ed occupazionale, ma ciò che tutti sembravano, più o meno consapevolmente, ignorare è che la bolla dei

mutui subprime e il crollo di Lemhan Brothers non avrebbero in alcun modo inficiato la capacità delle nostre imprese, dei nostri territori, delle nostre comunità, di produrre valore. Con il crollo della banca “too big to fail” quindi non erano state le nostre imprese, le nostre vite, ad “entrare in crisi” ma un intero sistema di valori, un’intera visione del mondo, dei rapporti, dell’economia, della finanza. A scricchiolare furono le fondamenta stesse del paradigma economico dominante. I processi di finanziarizzazione dell’economia che ci erano stati venduti fino a quel momento come l’unica via per il benessere e la sicurezza, si sono presentati al mondo per quello che erano, castelli di carta, paradisi artificiali capaci di tramutarsi da un giorno all’altro in un inferno. Dopo decenni di ingegneria finanziaria la così detta finanziarizzazione dell’economia è resa quanto mai evidente dai numeri. Negli ultimi 40 anni l’espansione del volume di investimenti nei mercati finanziari è stata esponenziale. Il volume delle transazioni su questi mercati supera oramai i 2.500.000 miliardi di dollari, mentre il PIL mondiale raggiunge appena 70.000 miliardi di dollari. Come osservava giustamente Keynes nella sua teoria generale: «Fino a quando è aperta all’individuo la possibilità di impiegare la sua ricchezza nel tesaurizzare, e fare denaro con il denaro, l’alternativa di investire nell’acquisto di asset reali non può essere resa abbastanza attraente per giustificare una preferenza di investimento». La speculazione dal loro punto di vista non rappresenta pertanto una aberrazione né costituisce un vizio del sistema, ma diviene una esigenza logica, quasi una condizione necessaria.

Nel 2010 nasce sardex.net: un circuito economico integrato progettato per facilitare le relazioni tra soggetti economici operanti in un dato territorio La crisi che stiamo attraversando quindi non rappresenta solo, per dirla con Samuelson, un fallimento del mercato o il frutto dell’effetto distorsivo della tendenza a massimizzare i profitti a discapito di tutto e di tutti ma rappresenta più in generale il fallimento dell’impianto filosofico di quello che le teorie neoliberaliste definiscono individualismo ontologico. La massimizzazione dei profitti da parte del singolo individuo è infatti uno dei cardini stessi del sistema capitalistico neo liberista, il faro che guida le azioni del cosiddetto homo oeconomi-


I circuiti di credito commerciale costruiti sul modello di Sardex.net

cus. Ma siamo davvero certi che questo comportamento sia davvero socialmente desiderabile ed economicamente efficiente? Siamo certi che siano questi gli obiettivi economici che dovremmo perseguire? Quando alla vigilia dell’esplosione della cosiddetta bolla dei mutui subprime abbiamo iniziato a progettare il Circuito Sardex siamo partiti dall’assunto che, per riformare gli obiettivi dell’economia si dovesse innanzi tutto ripensare almeno in parte il nostro rapporto con i mezzi attraverso cui l’economia si manifesta e le regole attraverso cui quei mezzi sono reso disponibili agli agenti economici: il denaro e il credito. La domanda da cui siamo partiti è pertanto la seguente: è possibile affiancare al sistema monetario vigente uno strumento econometrico che possa incentivare la collaborazione, la reciprocità, la resilienza, la sostenibilità, la creazione di un benessere condiviso e duraturo, che possa mitigare gli effetti collaterali legati al concetto dominante di mercato e di moneta? Nel 2010 nasce sardex.net: un circuito economico integrato progettato per facilitare le relazioni tra soggetti economici operanti in un dato territorio. Attraverso l’implementazione di un sistema di conti online e l’utilizzo di una “moneta” digitale locale, il Circuito offre la possibilità alle imprese e ai professionisti di finanziarsi reciprocamente e di trasformare la propria capacità produttiva inespressa in liquidità supplementare utile a sostenere parte delle proprie spese correnti, operare investimenti e, tramite l’apertura di conti personali, effettuare parte delle proprie spese personali. Lo scopo del circuito è pertanto quello di riconnettere le imprese del territorio, erogare servizi di promozione ad alto valore aggiunto e fornire alle PMI ed ai professionisti sardi strumenti di paga-

mento e di credito paralleli e complementari a quelli tradizionali. A poco più di cinque anni dalla sua nascita coinvolge oltre 3200 PMI operanti in Sardegna. Negli ultimi tre anni in Sardegna oltre 100 milioni di euro di beni e/o servizi sono stati comprati e venduti senza l’ausilio del denaro, ma tramite la nostra unità di conto interna al Circuito: il Sardex. Una “moneta” che non è imposta per legge o garantita da metalli pregiati, ma che è garantita da qualcosa di molto più prezioso dell’oro, dalla fiducia del singolo verso la propria comunità e dalla capacità produttiva di ognuno dei soggetti che la compongono. Nel corso degli anni il “modello Sardex” ha gradualmente attirato anche l’attenzione di istituzioni internazionali tra i quali la Commissione europea e il Dipartimento di sviluppo delle Nazioni Unite, di importanti opinion leader nazionali e internazionali, come il Financial Times, e di prestigiose università come la Yale University, il Politecnico di Zurigo e la London School of Economics. A partire dal 2014 il modello di Circuito di Credito Commerciale ideato da Sardex è stato esportato con successo dalla Sardegna in altre otto regioni d’Italia (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Lazio, Molise e Campania) ed è in fase di avvio in Umbria e Veneto. Ad oggi oltre 6000 imprese in Italia hanno scelto di affiancare all’euro un’altra unità di conto (ogni circuito regionale ha la propria), attraverso cui finanziarsi reciprocamente senza interessi attraverso la valorizzazione proprio potenziale produttivo inespresso. Il funzionamento è semplice. Le PMI si iscrivono al circuito versando una quota di iscrizione una tantum e una quota annuale commisurata alle proprie potenzialità. Ad ognuna di loro viene aperto un conto presso la camera di compensazione del circuito. Il conto è denominato in Sardex (1 sardex equivale ad 1 euro). Ogni conto ha saldo iniziale pari a 0.

Sardex non è garantita da metalli pregiati, ma da qualcosa di molto più prezioso dell'oro, dalla fiducia del singolo verso la propria comunità e dalla capacità produttiva di ognuno dei soggetti che la compongono Ad ogni azienda è accordata la possibilità di “andare in rosso”, entro determinati limiti, e attraverso questa disponibilità può effettuare acquisti presso altri iscritti alla rete. Ad ogni acquisto il conto dell’acquirente viene addebitato per un ammontare pari al prezzo di vendita del bene/servizio acquistato. Viceversa il conto del fornitore sarà accreditato per un pari importo. I saldi complessivi della camera di compensazione sono sempre pari a zero; per questo motivo il circuito non ha bisogno di riserve. Le aziende che evidenziano un saldo negativo potranno portare a pareggio il proprio conto semplicemente effettuando vendite presso altre aziende ade-

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renti al circuito. Allo stesso modo le aziende con saldo attivo potranno monetizzare i crediti sardex accumulati facendo acquisti presso le altre imprese iscritte. La particolarità di questo sistema di mutuo credito è che creditori e debitori sono trattati in maniera simmetrica: i debitori non pagano interessi sulle proprie passività così come i creditori non ricevono nessun interesse sui propri saldi attivi. La mancanza di un premio di tesaurizzazione, che ad un primo sguardo potrebbe sembrare una pratica ingiusta, è in realtà perfettamente giustificata dal fatto che i creditori non hanno depositato niente nel circuito, ma anzi beneficiano dei suoi servizi, esattamente come i debitori. Infatti, se da una parte il circuito consente a questi di acquistare ciò che altrimenti non avrebbero potuto permettersi, allo stesso modo, in maniera del tutto speculare, consente a quelli di vendere ciò che altrimenti non avrebbero venduto. I saldi attivi si svalutano di pari passo con l’inflazione, perdendo valore al ritmo con cui la divisa ufficiale (a cui l’unità di conto interna fa riferimento) si deprezza nel tempo. Per questo motivo le aziende in attivo cercheranno di monetizzare il credito accumulato acquistando beni e/o servizi all’interno del circuito, spendendo i propri crediti Sardex nel più breve tempo possibile, pena la perdita costante di potere d’acquisto. Allo stesso modo i debitori saranno portati a ripagare il proprio saldo debitorio entro i 12 mesi, attraverso i propri beni e/o servizi, onde evitare di subire un esborso in moneta corrente. Queste due spinte, normalmente contrapposte nel mercato tradizionale, all’interno del circuito convergono creando una tensione ottimale e costante verso l’equilibrio iniziale, verso la simmetria, verso lo zero. In questo modo il mezzo di pagamento, svolto il suo compito, scompare secondo una dinamica tipica dei sistemi di clearing. Non a caso, in inglese, il verbo “to clear” significa non solo “compensare” o genericamente “schiarire”, “render chiaro”, ma anche, in senso figurato, “liberare”, “affrancare”, e forse è proprio quest’ultimo il suo attributo più straordinario: quello di liberare il mezzo di pagamento, di lasciarlo svanire, permettendo che i debiti possano infine essere ripagati attraverso il lavoro. In questo modo il Circuito rappresenta un mercato in cui l’interesse del singolo è indissolubilmente legato e armonizzato a quello di tutto il gruppo secondo dinamiche opposte a quelle caratteristiche dell’individualismo ontologico a cui, come dicevamo in apertura, il nostro comportamento economico viene ricondotto. Tra i partecipanti al Circuito emerge di contro quella che, per dirla con Searle, potremmo definire come una sorta di “coscienza del noi”. Il passaggio da un rapporto fondato sulla regola del do ut des, preferibilmente sbilanciato sul

des, ad un rapporto comunitario fondato sul do ut possis dare, su un atto di fiducia tra il singolo e la comunità e la comunità e il singolo. Quest’ultimo è senza dubbio uno dei caratteri distintivi rispetto a quello che accade nel mercato tradizionale euro, mercato in cui le aziende naturalmente si trovano comunque ad operare. Infatti non bisogna dimenticare che Sardex rappresenta per le imprese un mercato complementare e supplementare. Non un’alternativa al mercato tradizionale ma semplicemente un’opportunità in più. Negli ultimi anni, con l’ingresso nella rete dei lavoratori e dei collaboratori delle imprese aderenti, unitamente a quello delle associazioni operanti nel terzo settore, il Circuito si è arricchito non solo in termini di possibilità ed opportunità ma anche e soprattutto in termini di radicamento e sostegno al territorio mostrando una grande capacità di generare coesione e impatto sociale. In questo modo, con il passare del tempo, il rapporto degli aderenti con lo strumento è diventato quotidiano abbracciando qualsiasi ambito della vita di tutti i giorni (dalla spesa alimentare allo svago, per arrivare fino alle donazioni). Attraverso queste semplici azioni, la partecipazione al circuito, oltre a rappresentare un’occasione di risparmio economico è diventata per ognuno dei partecipanti anche un modo di accrescere la propria partecipazione alla vita comunitaria e al contempo di rafforzare i rapporti fiduciari all’interno della stessa. Infatti i legami fiduciari che i circuiti di credito commerciale come Sardex intendono difendere sono un fondamentale elemento di ricchezza della collettività spesso trascurato dall’economia. Una scienza economica sana dovrebbe aiutare l’individuo, le comunità a sviluppare il proprio potenziale inespresso, infondere la consapevolezza dell’immane ricchezza che esso può generare, l’immensa ricchezza che ogni individuo ed ogni comunità rappresentano. É proprio questo che ogni mattina ci spinge a lavorare con sempre maggiore volontà, coraggio e umiltà. La consapevolezza che Sardex.net non è un algoritmo, ma il lavoro quotidiano dello staff e delle aziende. Uno staff che le assiste in ogni fase, consigliandole e supportandole nella scelta dei fornitori, nel reperimento dei preventivi, nella promozione, nel facilitare la reciproca conoscenza e relazioni fiduciarie tra imprese iscritte. Delle imprese che hanno preferito alla competizione fratricida la collaborazione inaugurando un nuovo concetto di mercato. Se è vero infatti che, come afferma qualcuno, in futuro «communities will be the new currencies», le relazioni e la fiducia reciproca saranno presto i capitali su cui costruire nuovi modelli di sviluppo veramente condivisi, duraturi e sostenibili.


Diritti in carcere Il progetto di Roma Tre che combatte le disuguaglianze Marco Ruotolo

«Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà». Così scriveva Cesare Beccaria nel libriccino Dei delitti e delle pene (1764). La cultura è strumento per la liberazione degli uomini, fuori e dentro le mura del carcere. Con questa consapevolezza, l’Università Roma Tre contiMarco Ruotolo nua a promuovere diverse iniziative, da oggi riconducibili al Progetto “Diritti in carcere”, con la precisa volontà di contribuire a rimuovere alcune diseguaglianze, nel segno dell’integrazione e dell’inclusione sociale. Tutto ha inizio con un’innovativa attività formativa per gli studenti di Giurisprudenza da me realizzata a partire dall’a.a. 2011/2012 e intitolata Diritti dei detenuti e Costituzione. Nel tempo l’attività formativa si è arricchita e trasformata in un insegnamento a scelta libera: passando così dalla riflessione teorica intorno al mondo delle carceri, alla realizzazione di attività che mettessero gli studenti di Giurisprudenza a contatto con la realtà penitenziaria, comprendendo una parte pratica (la clinica legale) che gli ha consentito di partecipare, tra l’altro, ad uno Sportello legale istituito in uno storico carcere romano. Agli oltre cinquecento iscritti che hanno partecipato all’attività formativa si sono aggiunti i circa cento studenti che hanno dato il loro contributo allo sportello legale, il quale, in poco più di un anno, ha esaminato circa 350 casi. La passione con la quale i nostri studenti si sono dedicati alle attività promosse dai predetti insegnamen-

Studenti all'ingresso dello Sportello legale, Regina Coeli

ti, ha trovato ulteriore riscontro nell’ausilio fornito a favore delle persone detenute iscritte a corsi di laurea in giurisprudenza. A tale fine lo stesso Dipartimento di Giurisprudenza ha stipulato un’apposita convenzione con la Direzione di Rebibbia Nuovo Complesso, prevedendo la selezione di propri studenti senior (iscritti al IV o V anno) ai quali riconoscere crediti soprannumerari (nell’ambito del diploma supplement) a fronte del supporto didattico offerto ai colleghi detenuti appartenenti al “gruppo universitario” di Rebibbia N.C. Le domande per le selezioni sono state ogni anno nettamente superiori ai posti messi a bando e l’impegno profuso dai nostri studenti si è rilevato assiduo e prezioso per la prosecuzione – o addirittura per la conclusione – del percorso di studi dei colleghi detenuti. In questi giorni si procederà al rinnovo della Convenzione, potenziando questa attività proficuamente svolta da più di un triennio.

Circa 50 studenti detenuti in carceri laziali hanno deciso di iscriversi a Roma Tre a partire dal 2012 (attualmente sono 28), con risultati in molti casi particolarmente positivi, specie nei corsi di laurea in Giurisprudenza e DAMS Quanto all’impegno dell’Ateneo, devono essere sottolineati i passi importanti compiuti dapprima con il Protocollo di collaborazione con l’Ufficio del Garante regionale dei diritti dei detenuti confluito poi in un’apposita Convenzione che vede la partecipazione del Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria del Lazio. Circa cinquanta studenti detenuti in carceri laziali hanno deciso di iscriversi a Roma Tre

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Sala studio a Rebibbia

a partire dal 2012 (attualmente sono 28), con risultati in molti casi particolarmente positivi, specie nei corsi di laurea in Giurisprudenza e DAMS. L’incentivo iniziale, consistente nell’esonero dal pagamento dei contributi universitari, ha sicuramente avuto riscontri importanti, agevolati anche da una buona organizzazione delle attività che dovrebbe essere ottimizzata attraverso l’uso del collegamento Skype. Tale sistema risulterebbe particolarmente proficuo sotto un duplice profilo, agevolando l’attività di assistenza agli studenti detenuti nel percorso di preparazione del singolo esame e, in particolari circostanze, potrebbe essere utilizzato per lo svolgimento delle prove di profitto.

La cultura è strumento per la liberazione degli uomini, fuori e dentro le mura del carcere. Con questa consapevolezza, l’Università Roma Tre continua a promuovere diverse iniziative, da oggi riconducibili al Progetto Diritti in carcere, con la precisa volontà di contribuire a rimuovere alcune diseguaglianze, nel segno dell’integrazione e dell’inclusione sociale L’impegno su più fronti del nostro Ateneo ha trovato riscontro positivo anche nel campo dell’alta formazione con il Master di II livello da me diretto in “Diritto penitenziario e Costituzione”, attivato nel 2013 presso il Dipartimento di Giurisprudenza in convenzione con il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Ad oggi gli iscritti al Corso sono stati circa duecento, con una significativa partecipazione del personale dell’amministrazione penitenziaria, segno evidente di una volontà di rinnovamento che pervade

il sistema dell’esecuzione penale e che il Master intende sostenere e incentivare. All’interno dello stesso Master è attiva, dal 12 settembre 2014, una Convenzione stipulata tra il Tribunale di Sorveglianza di Roma ed il Dipartimento di Giurisprudenza, che consente agli iscritti – e a coloro che abbiano già conseguito il relativo titolo – di svolgere l’attività di “assistente volontario” presso il Tribunale di Sorveglianza di Roma. Inoltre, già a partire dalla prima edizione del Master i corsisti hanno avuto la possibilità di svolgere uno stage settimanale presto diversi istituti penitenziari tra cui Rebibbia Nuovo Complesso, Ancona, Milano Opera, Milano Bollate e Sassari. Importanti iniziative sono state svolte – e sono ancora in corso – presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo del nostro Ateneo. Penso al festival Made in Jail. Carcere e cultura, svoltosi presso il Teatro Palladium nel dicembre 2014, e all’assai frequentato laboratorio dedicato a “Teatro e Carcere” proposto da un biennio nel corso di laurea DAMS. Non va poi dimenticata la positiva esperienza della Polisportiva Atletico Diritti, istituita dalle Associazioni Antigone e Progetto Diritti con il patrocinio del nostro Ateneo. La squadra, composta da migranti, rifugiati, detenuti, ex detenuti e studenti universitari scende in campo ogni domenica contro razzismo ed esclusione sociale, dimostrando che il calcio – guardato nella giusta direzione – può essere un importante strumento per veicolare principi di integrazione e condivisione. Molte delle iniziative qui sinteticamente rievocate confluiscono oggi nel Progetto “Diritti in carcere”, attraverso il quale si intende mettere a sistema e migliorare le esperienze maturate. Un’unica formula, che rappresenta un impegno costante dell’Università Roma Tre su più fronti e che pone il nostro Ateneo in una posizione di avanguardia nel variegato processo di promozione dell’istruzione e della cultura negli Istituti penitenziari.


Uniwording Una lingua dei segni per tutti Mirella De Paris

Mirella De Paris

A volte può bastare un lapsus, per dire tutto. A me è già capitato di dire lingua dei sogni, quando invece avrei voluto dire lingua dei segni. Il sogno è presto detto: poter comunicare con chiunque usando i segni. Uniwording, detto in due righe, è questo. O meglio: è un progetto che nasce, come tanti pro-

getti, da un sogno. Un giorno, uscendo dalla funicolare che porta in centro città a Lugano, ho notato davanti a me due ragazze che camminavano verso Piazza Riforma conversando molto vivacemente, eppure al mio orecchio, sebbene io fossi soltanto a pochi passi da loro, non arrivava alcuna parola. Poi ho capito, anzi ho visto. Le due giovani, sorde, comunicavano usando i segni del loro linguaggio. A me sembrava di assistere ad un duetto di armoniose mani parlanti. L’idea Uniwording è nata in quel preciso momento: la lingua dei segni – la lingua dei sordi - è troppo bella, per non darle l’opportunità di diventare una lingua di tutti. Immaginiamo allora che sia permesso non pensarla soltanto come una lingua per i sordi. Che si possa sciogliere l’incoerenza di considerarla una lingua, ma per chi non può parlare.

Foto: Luigi De Santis

Perché mai non dovremmo assecondare il bisogno di impararla anche da udenti e addirittura sin da piccoli? E perché mai non pensare di poter scaricare una app, che con una didattica multimediale all’avanguardia ci faccia apprendere le basi di una lingua dei segni adatta all’ uso internazionale, per poi servircene, ad esempio, quando siamo in viaggio? È un’utopia prevedere che in un futuro prossimo potremmo trovarci, dall’altra parte del mondo, a condividere conversazioni nelle quali, con naturalezza, si mischieranno parole fonetiche e parole-segni? Questa lingua ponte fra culture e diversità anacronistiche, potrà chiamarsi Uniwording. Sarà la realizzazione dell’utopia cullata dagli esperantisti.

L’idea Uniwording è nata in quel preciso momento: la lingua dei segni – la lingua dei sordi – è troppo bella, per non darle l’opportunità di diventare una lingua di tutti Un’accessibilità che non crea nicchia Uniwording è una lingua dei segni di sintesi ed è per tutti: non si creeranno nel mondo comunità di “Uniwordisti”. Ha molte caratteristiche in comune con le lingue dei segni presenti nel mondo, ricordiamo qui che ogni entità linguistica ha una

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Foto: Luigi De Santis

propria lingua dei segni. È però anche molto diversa da queste, perché è più semplice, ha una grammatica ridotta e non può essere considerata, diversamente dalle altre lingue dei segni, una lingua-cultura-identità. Uniwording può essere compresa in Cina come in Germania o in Italia. Da chi ha studiato e da chi ha poca istruzione, chi è molto giovane e chi è in età avanzata. Il suo obiettivo è di proporsi come lingua che agevoli la comunicazione in presenza di barriere linguistiche, senza altre pretese se non quella dell’inclusione, della comunicazione agevolata laddove vi sarebbe un silenzio che sancisce distanze e alterità.

È un’utopia prevedere che in un futuro prossimo potremmo trovarci, dall’altra parte del mondo, a condividere conversazioni nelle quali, con naturalezza, si mischieranno parole fonetiche e parole-segni? Non c’è già l’ inglese come lingua universale? Non esclude l’inglese, la lingua Uniwording, semmai gli cammina accanto, ne completa la funzione di lingua franca, tenendo presente che accessibilità e costi (Uniwording app sarà scaricabile ad un prezzo irrisorio) rappresentano una variabile che fa la differenza: non tutti possono imparare l’inglese. Nella sala delle conferenze di Shangai è usata da tutti i partecipanti la lingua inglese, ma al passante sulla strada, che quasi certamente non conosce l’inglese (chi viaggia ne ha fatto esperienza) ci si rivolgerà in lingua Uniwording per sapere se nei dintorni vi sia una pizzeria. Una lingua ponte Sono stati scelti, tra le varie lingue segniche usate dai

sordi nel mondo, i segni che meglio si prestano alla creazione di un linguaggio di base adatto a tutti, e per tutte le età. Si dà, attraverso l’app Uniwording, la possibilità di reperire e apprendere questa lingua di base universale in modo divertente. L’ applicazione, disponibile attualmente come prototipo, e che sarà pronta alla fine del 2016, è un modo economico e coinvolgente per apprendere una lingua universale in modo autodidatta ovunque. Uno sguardo lanciato nel futuro All’origine del lavoro che si sta facendo, ossia la creazione della lingua Uniwording e dell’app che darà la possibilità di apprenderla, vi è il vissuto citato, ma anche la volontà di interrogare alcuni pregiudizi. I pregiudizi possono essere sottili, invisibili, qualche volta. Lo sono, per esempio, quelli che tendono, senza sforzo alcuno, a mantenere viva e inalterata l’idea che il comunicare attraverso dei “segni” sia un’opzione che riguarda un certo gruppo di “altri”. Questi altri sono i sordi (che tra l’altro non amano essere definiti “non udenti”). Un’opzione, quella della lingua dei segni, che riguarda insomma una categoria precisa di persone che rispetto al comunicare degli udenti è al di là di un muro. Hanno i loro interpreti, i sordi, i loro appuntamenti con i tg in lingua dei segni, i loro insegnanti di sostegno se sono bambini in età scolare e hanno tutto il loro mondo a parte. Basta poco, per rispecchiarsi nel proprio pregiudizio. Perché si insiste nel definire Uniwording una lingua dei segni “per udenti” Nonostante il vice-presidente del team Uniwording sia una persona sorda (Boban Veljkovic è entusiasta del progetto e da 4 anni insegna Uniwording ai Corsi per Adulti della Svizzera Italiana), vi è comunque pudore e prudenza, nel proporre la lingua Uniwording alle comunità dei sordi, che tendono a riconoscere soltanto nella “loro” lingua


Foto: Luigi De Santis

dei segni una vera identità e cultura. La loro lingua dei segni è il loro valore di riconoscimento. Dunque si preferisce, almeno per ora, lasciare che siano i sordi stessi a mostrare, nel pieno rispetto dei tempi e degli adattamenti naturali, un interesse verso questa potenziale seconda lingua. Intanto potranno osservare la crescita degli udenti che potranno rivolgersi a loro senza particolari sforzi.

Sono stati scelti, tra le varie lingue segniche usate dai sordi nel mondo, i segni che meglio si prestano alla creazione di un linguaggio di base adatto a tutti, e per tutte le età. Si dà, attraverso l’app Uniwording, la possibilità di reperire e apprendere questo linguaggio di base universale in modo divertente Una tesi su Uniwording presso l’Università della Svizzera Italiana Con un lavoro di tesi intitolato “Linguaggio universale dei segni per la comunicazione interculturale odierna” (relatrice la Prof.ssa Francesca Rigotti), nel 2015 la studentessa Isabely Imbriani si interroga sulle eventuali riserve che le comunità sorde potrebbero manifestare nei confronti di un progetto come Uniwording, e di cui è necessario tenere conto: «(…) Negli anni Cinquanta del secolo scorso prende vita la creazione di una lingua internazionale dei segni attraverso la quale i sordi appartenenti a diverse culture potessero comunicare. Essa prese il nome di Gestuno. Per molti anni si cercò di comunicare attraverso questa lingua, ma a causa del dizionario gestuale limitato e del conseguente rallentamento della comunicazione dovuto alla non naturalezza dei gesti, la

sua diffusione non andò a buon fine. (…) Gestuno non ottenne il successo sperato e venne utilizzato solo in occasione di conferenze internazionali, senza mai diventare ufficialmente una lingua dei segni universale adattata dalle comunità di sordi di tutto il mondo». (Emmorey, Reilly 2013). Chi ne è entusiasta Se da un lato è difficile al momento misurare l’impatto della nuova lingua fra le comunità sorde, dall’altro è invece marcato l’entusiasmo riscontrato fra i bambini delle classi elementari dove si è svolto il corso pilota. Ma anche e fra adulti, che mostrano il desiderio di coglierne il potenziale inclusivo. Pur imparando questa lingua con un senso del gioco che è pari a quello dei bambini. Cosa potrà cambiare Si potrà apprezzare l’uso della lingua dei segni condivisa, ad esempio in un pronto soccorso di un villaggio turco: sapremo dire al dottore che avvertiamo un forte bruciore di stomaco da ieri sera. Il medico di turno ci chiederà, usando anch’egli i segni, se la carne era abbastanza cotta, se l’acqua era di rubinetto oppure in bottiglia, e ci assicurerà che il male dopo la pastiglia passerà sicuramente, e ci dirà che la farmacia più vicina si trova a soli due chilometri da lì. Ma accadrà anche qualcos’altro, fra questi interlocutori descritti, quelli nel pronto soccorso e quelli che si incontrano casualmente nelle piazze del mondo: mentre si “parleranno”, si dovranno guardare negli occhi, e si accorgeranno che è quasi impossibile comunicare in lingua dei segni senza sorridere a chi ascolta empaticamente. Come si misura la portata di un simile valore? Misurando il calore che produce nell’animo, e soppesando l’impatto che può produrre, nella società degli individui e dell’individualismo (e degli smartphone che abbassano gli sguardi), una vita arricchita di sorrisi e di intese, che prima ce le potevamo soltanto sognare.

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Wasteland Un progetto artistico che interpreta l’emergenza ecologica a cura della redazione del Progetto Wasteland

«Qualche anno fa, su un settimanale, lessi la notizia dell’esistenza del Garbage Patch, un’isola composta da detriti plastici, grande quanto il Texas e profonda trenta metri, che galleggiava in mezzo all’Oceano Pacifico. Ne rimasi tremendamente colpita e decisi subito che avrei voluto visitarla». Nasce così il progetto Wasteland: è il frutto dell’impegno, della costanza e dell’intraprendenza di Maria Cristina Finucci, lucchese, architetto per formazione e artista multidisciplinare per vocazione. La sua è una marcia silenziosa e pacifica che pone l’arte al servizio dell’ambiente, un viaggio a più tappe sulla terraferma per raccontare la triste storia dei nostri mari, afflitti oggi da livelli di inquinamento inimmaginabili. «Quando iniziai la mia ricerca, mi accorsi che il problema era ancora più grave, malgrado non risultasse così appariscente – spiega l’artista toscana – e da allora non ho mai smesso di pensare a questo disastro ecologico: dovevo fare qualcosa». La componente emozionale, unita all’estro artistico, è il motore del progetto Wasteland, che dal 2012 si propone di coinvolgere istituzioni pubbliche, imprese private e realtà sociali per sensibilizzare il mondo sul tema dei Garbage Patch, e perché no, tentare di trovare soluzioni all’emergenza ecologica del pianeta con l’aiuto della forza dell’arte. Sono molte le enormi chiazze di immondizia che galleggiano negli Oceani, dal Pacifico all’Atlantico, dall’Indiano al Mediterraneo, se ne conoscono vagamente le coordinate geografiche, ma non si conosce la reale estensione dell’accumulo di detriti non biodegradabili che vaga trascinato dalla corrente oceanica in un vortice con movimento a spirale. La NOAA, National Oceanic and Atmosferic Administration, ha stimato una superficie totale di circa 16 milioni di chilometri quadrati. Intorno al 2010-2011, i media internazionali sono tornati ad alzare un grido d’allarme per l’aumento preoccupante delle dimensioni di queste isole di spazzatura galleggiante, formate da rottami marini e da rifiuti composti al 90 per cento da materie plastiche: residui di polimeri che fotodegradandosi posso-

no ridursi in pezzi minuscoli, microscopici e dunthe “away” “aw waay”” state st que invisibili, ma assolutamente indistruttibili. Tali particelle plastiche sulla superficie del mare, simili al plancton, vengono facilmente ingerite dai pesci favorendo l’introduzione della plastica nella catena alimentare. Maria Cristina Finucci ha analizzato a fondo il tema in questi anni, alla ricerca del linguaggio più immediato ed efficace per comunicare alto e forte il suo messaggio di allarme. «Wasteland è un progetto work in progress, concepito come narrazione transmediale, per creare un simulacro di Stato/nazione come identità di un Paese», precisa la signora Finucci. «La ragione per cui questo enorme problema ambientale è così trascurato risiede nel fatto che i detriti, per la maggior parte, non sono visibili ad occhio nudo. Ed io ho deciso di usare il linguaggio artistico per questa mia personale campagna contro un disastro che riguarda tutti, perché è opera di tutti». L’11 aprile del 2013 nasce così ufficialmente, a Parigi nella sede dell’Unesco, il Garbage Patch State, un vero e proprio Stato virtuale fatto da queste isole non proprio immaginarie, anche se apparentemente invisibili, e che, come ogni Stato che si rispetti, è dotato di simboli tangibili, come la bandiera, la costituzione e le leggi, le ambasciate, persino le foto cartolina e, ovviamente, un proprio sito internet: www.garbagepatchstate.org.

THE GARB GARBAGE GARBAGE PATCH PATCH H STATE ST TA ATE T

Sono formate da rottami marini e da rifiuti composti al 90 per cento da materie plastiche: residui di polimeri che fotodegradandosi possono ridursi in pezzi minuscoli, microscopici e dunque invisibili, ma assolutamente indistruttibili Per Maria Cristina Finucci l’elemento caratterizzante, tangibile e riconoscibile del Garbage Patch State sono i tappi di plastica colorati, simbolo di uno “stato dei rifiuti” destinato a colonizzare il mondo e dunque


chiedere la cittadinanza dello Stato e il relativo documento di identità. L’opera d’arte interagisce così con il pubblico. Maria Cristina Finucci riesce a coinvolgere in poco tempo nel suo percorso artistico, informativo ed educativo diversi organismi internazionali (Unesco, Onu, Cop 21), alcune istituzioni della società civile (Università Ca` Foscari, Università Roma Tre, Istituto Europeo del Design e Museo Maxxi) e importanti gruppi imprenditoriali (Fondazione Bracco, Acciona). Fondamentale è in particolare la collaborazione dell’Università Roma Tre che, attraverso la raccolta promossa dagli uffici del Rettorato per il riciclo della plastica a scopo benefico, ha fornito in questi anni la maggior parte dei tappi impiegati per le diverse installazioni. «Ringrazio profondamente il rettore Mario Panizza e l’architetto Stefania Angelelli, Mobility manager di Roma Tre, per il grande sostegno al mio progetto, unito a lungimiranza e sensibilità non comuni verso temi ecologici ed ambientali». Dopo Parigi, il Garbage Patch State viaggia per il mondo per farsi conoscere. Prima tappa Venezia, nel maggio del 2013, con la creazione di un vero e proprio padiglione nel cortile dell’Università Ca` Foscari, visitabile durante la 55° Biennale di Venezia. È composto da due cubi di materiale riflettente che ospitano, all’interno, una video-documentazione relativa ai Garbage Patch; all’esterno, invece, dal padiglione si dipana un serpentone formato da sacchi di rete contenenti tappi di plastica, che si inerpica sulle mura antiche di Ca` Foscari verso il canale antistante.

Climatesaurus alla Cop 21 di Parigi, dicembre 2015

presenti in tutte le installazioni dell’artista. Sul pavimento della grande Sala “des pas perdus”, nel padiglione centrale dell’Unesco, sono stati collocati centinaia di sacchi trasparenti contenenti, insieme ad acqua, una miriade di coloratissimi tappi di plastica, immaginaria riproduzione delle isole. Lo specchio di trenta metri della hall ha permesso di raddoppiarne l’effetto visivo, acuito dall’immagine sonora che riproduce nella sala il rumore della risacca del mare. È il primo atto di Wasteland, opera complessa che da allora sta impegnando l’artista toscana in una serie di interventi site specific legati al tema ambientale. «Si tratta di un’opera che si avvale di molte forme di espressione, dall’installazione alla performance, dalle foto a qualsiasi altra cosa ritenga utile. Traggo nutrimento e ispirazione dall’interazione con le persone che via via vengono coinvolte nel mio progetto, dai loro flussi energetici, e credo che lo scambio debba essere reciproco. Il mio lavoro non nasce soltanto da una risposta razionale al problema dell’inquinamento dei mari, ma ha un aspetto irrazionale, non premeditato, anche fortemente emotivo». Il neonato stato federale del Garbage Patch in poco tempo avrà la sua ambasciata e la sua festa nazionale, a un anno dalla fondazione. Accade l’11 aprile del 2014 al Maxxi di Roma dove, tra le onde fatte di Pet chips di bottiglie riciclate, realizzate in collaborazione con il dipartimento Maxxi Educazione, si può ri-

Tali particelle plastiche sulla superficie del mare, simili al plancton, vengono facilmente ingerite dai pesci favorendo l’introduzione della plastica nella catena alimentare Lo stesso inquietante serpentone colorato riappare ciclicamente in luoghi e in circostanze diverse. Nell’ottobre del 2014, l’installazione The snake si presenta all’Onu e invade nientemeno che la lobby della Secretariat Building del Palazzo di Vetro, insinuandosi nella facciata dell’edificio che rappresenta il cuore pulsante dell’umanità. Un anno dopo, poi, un mostro simile appare a Venezia, al Padiglione Aquae Expo a Mestre, all’interno della sala dove si tiene l’incontro internazionale High Level Conference Bluemed, dedicata allo stato delle acque del Mediterraneo. Si chiama Bluemedsaurus, animale misterioso non ancora classificato nelle tavole zoologiche che non appartiene al mondo animale ma a quello artificiale: affiora e scompare dal pavimento della sala portando con sé una miriade di bottiglie di plastica ed è percorso in tutta la sua lunghezza da una cresta nera che emana luce. «L’idea – spiega l’artista – è quella di un grande mostro che cambia continuamente sembianze, è subdolo e per ora non ha né capo né coda, anche se è sempre più evoluto». Dopo Venezia, infatti, è la volta di nuovo di Parigi, in occasione del Cop 21, la grande conferenza sul clima del dicembre 2015: l’animale fantastico creato da Ma-

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fit presieduta da Lucia Oderia Cristina Finucci entra scalchi, creata per promuocon forza a Palazzo Potocvere la sostenibilità attraki, hotel particulier sede verso le arti visive e per trodella Camera di Commercio vare finanziamenti per i ree Industria di Parigi, dove è lativi eventi artistici. in corso la conferenza pa«Senza il contributo dei rallela Energy for tomorrow miei validissimi collaborapromossa dal New York Titori non avrei mai potuto mes con la sponsorizzaziorealizzare tanti progetti in ne di Acciona, azienda spacosì poco tempo. Voglio gnola leader nel settore delringraziare in particolare, l’energia rinnovabile. per la professionalità e la «Acciona mi ha chiesto di dedizione, il project manacreare un’immagine iconica ger del padiglione di Venedell’impresa, il cui simbolo zia Carlo Maria Lolli Ghetti è una foglia stilizzata bian(fondatore della galleria roca e rossa. Questa volta in- The Garbage Patch State all'Università Ca' Foscari di Venezia mana White Nose) e l’insofatti i tappi riciclati sono avstituibile talentuoso architetto Giovanni Vimercati, che volti nella rete di plastica che normalmente si utilizza ha lavorato per me indefessamente e con entusiasmo a per contenere le arance o alcune verdure che si vendoMadrid, New York e Milano». no sui nostri mercati. È una allusione voluta alla plastiI tappi di plastica sono il filo conduttore dell’opera artica che contamina tutto il nostro cibo, e non solo i pesci stica e divulgativa di Maria Cristina Finucci. Ma la difche la inghiottono attraverso l’acqua del mare». Daficoltà di reperirli, trasportarli ed aggregarli tra loro vanti ai grandi impresari dell’economia mondiale, il non è secondaria negli sforzi economici e logistici del mostro assume le sembianze immaginarie di un Climaprogetto Wasteland. Per questo l’ateneo Roma Tre è tesaurus ed è avvolto da una lunghissima striscia bianimplicato attivamente anche nella prossima impresa ca di materiale riflettente che si illumina quando viene dell’artista prevista per maggio sull’isola di Mothia, in fotografato con i flash. Emerge dal cortile di Palazzo Sicilia, di proprietà della prestigiosa Fondazione WiPotocki, si insinua all’interno e rispunta sullo scalone thaker, dove grazie ai famosi resti archeologici fenici e centrale, rendendosi ben visibile con la sua presenza ingombrante e accompagnando gli ospiti alla conferenalle bellezze naturali, si coglie ancora oggi un genius za al piano nobile. loci unico che renderà ancora più drammatica la denuncia ambientale. Simili per finalità, ma diverse per concezione, sono le «È importante, per abbattere i costi, trovare tappi a chidue installazioni realizzate nel febbraio del 2014 a lometro zero. Perciò l’Università Roma Tre si sta imMadrid e nel giugno del 2015 a Milano, sempre nelpegnando per trasmettere il proprio know how alla l’ambito di Wasteland. In collaborazione con la sede Università di Palermo, affinché si attivi anche sull’isomadrilena dello IED, Istituto Europeo del Design, e in la, nelle scuole e tra la gente, una campagna di sensibiconcomitanza con Arco, la fiera dell’arte contemporalizzazione per la raccolta e il riciclaggio della plastica nea, l’architetto Finucci ha installato a due passi dalla simile a quella già in atto a Roma. Attraverso questa Gran Via, nella calle de la Flora, un lenzuolo fatto di task force, verranno raccolti i materiali che utilizzerò bottiglie di plastica trasparenti con la scritta The Garper la mia prossima installazione a Mothia». bage Patch State, che pende a 12 metri da terra. Nasce Questa nuova tappa è resa possibile grazie al contricosì la bandiera dello stato. buto della Fondazione Terzo Pilastro Italia e MediterraA Milano, invece, non poteva mancare un evento paneo, presieduta dal professor Emmanuele F.M. Emarallelo per Expo 2015, dove il tema dei rifiuti alimentanuele, che ha sostenuto da subito l’idea. ri è ampiamente trattato anche in una parte specifica del Padiglione Zero, con un link indiretto allo stato am«Il mio intervento si intitolerà probabilmente L’età delbientale del pianeta. Maria Cristina Finucci crea un imla plastica, con chiara allusione alle grandi ere preistoriche dell’umanità – conclude Maria Cristina Finucci – pressionante Vortice di tappini colorati montato nel e si propone come un’immagine simulata di fantacortile della Fondazione Bracco, azienda farmaceutica scienza archeologica. Creerò a Mothia le ipotetiche romilanese con sede a Lambrate. In collaborazione con il vine della civiltà del terzo millennio, davanti alle quali Ministero per l’ambiente, l’installazione è un vortice potrebbe trovarsi un archeologo in un futuro lontanissiluccicante di 7 metri di altezza che trascina nel suo mo, ma probabile: nel parco archeologico dell’isola ci gorgo migliaia di tappini colorati. Il vortice è da un lato saranno resti di fondazioni fatte con muretti di blocchi simbolo di energia e di vitalità, ma nel contempo allucompatti di tappini di plastica, che si mescoleranno tra de alla forza distruttiva della corrente marina che agi resti della ben più antica città fenicia. L’effetto della grega, mantiene compatti e muove sulle superfici degli vista dall’alto, a volo d’uccello, dovrebbe creare la oceani i rifiuti dei Garbage Patch. scritta Help, il grido d’aiuto di una civiltà ai suoi diPer la realizzazione dei diversi progetti, l’architetto Fiscendenti nel tempo. Nel piccolo ma bellissimo museo nucci si è avvalsa in questi anni di validi collaboratori. dell’isola, poi, tra le teche che custodiscono statuette A Paola Pardini, manager con ampia esperienza nel votive e oggetti d’uso quotidiano, ci saranno anche settore universitario, ha affidato la gestione amminipiatti, bicchieri e posate di plastica, quel che resta imstrativa di Wasteland, che a sua volta dipende dall’Asperituro del nostro disastro ambientale». sociazione Arte per la Sostenibilitá 2012, onlus no pro-


Verso un’Europa low-carbon Il progetto di ricerca EU-FP7 “GLAMURS”: Stili di vita Verdi, modelli alternativi e sviluppo della sostenibilità regionale Giuseppe Carrus, Fridanna Maricchiolo, Ambra Brizi, Angelo Panno La transizione verso lo stile di vita sostenibile e la green economy è una tra le sfide più importanti del nostro tempo. Il progetto GLAMURS, finanziato dal 7 ° programma quadro di ricerca della Commissione Europea (FP7 / 2007-2013, grant agreement n ° 613.420), per la durata di tre anni (gennaio 2014-dicembre 2016), esplora le complesse interazioni tra fattori economici, sociali, culturali, politici e tecnologici che influenzano gli stili di vita sostenibili e la transizione verso una green economy. GLAMURS ha come obiettivo finale quello di fornire supporto e dare indicazioni sulle politiche ambientali ai policy makers europei, alle imprese e ai cittadini, al fine di prendere decisioni ottimali volte a promuovere un futuro sostenibile. GLAMURS intende creare contesti comunicativi a livello europeo e regionale sullo studio di possibili transizioni verso la sostenibilità ambientale ed economica. I metodi perseguiti sono vari, e spaziano dai processi di co-produzione della conoscenza, all’ABM (Agent –Based Modeling, ossia modelli che pongono al centro delle loro analisi degli attori, detti agenti, e che simulano in scala i comportamenti delle persone nei sistemi sociali complessi), per includere modelli di macro- e micro-economia. Tutte queste differenti prospettive, unitamente ad una visione profondamente integrata del team interdisciplinare di GLAMURS, contribuiscono a trovare argomenti più incisivi per comprendere le complesse questioni relative allo sviluppo sostenibile. Il progetto è coordinato dall’Università di La Coruña (Spagna), comprende undici partner tra Università ed enti di ricerca di diversi paesi europei: Spagna, Italia, UK, Olanda, Romania, Austria, Germania, Norvegia, e integra diversi livelli disciplinari: psicologia sociale, cognitiva e ambientale, scienze informatiche, ingegneria, macro e micro economia, scienze politiche, sociologia. Nello specifico, GLAMURS si occupa di studiare sei domini comportamentali che formano il nostro stile di vita: 1) il consumo di energia; 2) l’edilizia abitativa; 3) l’equilibrio tra lavoro e tempo libero; 4) la produzione e il consumo di cibo; 5) la mobilità; 6) il consumo di beni prodotti manifatturieri. Inoltre, ben sette casi di studio vengono utilizzati per cercare di capire come le transizioni verso uno stile di vita sostenibile siano praticabili nella vita quotidiana delle persone. Sono stati scelti, infatti, come “guide” alla sostenibilità alcune aggregazioni e comunità promotrici di stili di vita sostenibili all’interno dei loro territori, in diverse regioni dei Paesi partner del consorzio: Galizia (Spagna), Aberdeenshire (Scozia, UK), Banat Timis (Romania), Danubio-Selva Boema (Austria), Rotterdam-Delft-The Hague (Olanda), Germania centrale (Germania), Regione Lazio (Italia). At-

traverso l’osservazione e lo studio, svolto con metodi qualitativi e quantitativi, di queste regioni e in particolare di queste comunità, GLAMURS contribuisce a fornire indicazioni su come gli insegnamenti dei “pionieri” della sostenibilità possano ispirare e indurre attori diversi a livello regionale a modificare le proprie impostazioni politiche affinché la transizione verso la sostenibilità delle regioni diventi realtà. Allo stesso tempo, lo studio regionale e le analisi di casi, forniscono una panoramica di come si possa estendere la transizione verso la sostenibilità e ampliare le politiche di green economy oltre i livelli regionali. La gestione del progetto si sta svolgendo attraverso sette diversi Work Packages (WP), che operano in parallelo e in interazione tra loro. Ciascun WP è coordinato da un partner, ma in esso partecipano e sono coinvolti anche gli altri partner nel fornire sia conoscenze disciplinari specifiche, sia dati empirici raccolti nella propria regione di studio. Il primo gruppo di lavoro (WP1), coordinato dall’Università di La Coruña, è responsabile della qualità scientifica ed assicura il controllo e la tempestiva evoluzione del progetto, attraverso la verifica dei diversi passaggi e dei relativi risultati, e facilita gli incontri tra i vari responsabili del progetto organizzando i lavori comuni sia attraverso meeting di progetto in presenza che videoconferenze. Il secondo gruppo (WP2), coordinato dallo James Hutton Insitute (Scozia, UK), ha il doppio compito di integrare le conoscenze dei dati raccolti nel progetto e di esplorare, attraverso analisi di ABM, la possibilità di trasformare gli stili di vita rendendoli più sostenibili a livello societario. Avrà inoltre il compito di sviluppare la strategia volta ad analizzare l’impatto del coinvolgimento degli stakeholder nel processo di ricerca. Il terzo gruppo (WP3), coordinato dall’Università degli Studi Roma Tre (Italia), è incaricato di integrare le conoscenze teoriche rilevanti nelle diverse scienze sociali (psicologia, scienze politiche, economia), con lo scopo di sviluppare nuovi modelli teorici in grado di meglio individuare le preferenze e gli stili di vita indirizzati alla sostenibilità sociale, economica ed ambientale. In questo WP viene dunque preso in considerazione il ruolo dei diversi fattori (psicologici, sociali, ambientali, economici) che possono influenzare gli stili di vita sostenibili. L’obiettivo del quarto gruppo di lavoro (WP4), coordinato dall’Università di La Coruña, è quello di fornire, attraverso indagini empiriche sui contesti regionali di studio, un approfondimento dei modelli di impiego del tempo e di consumo ad esso associati (energia, cibo, prodotti etc.) e dei relativi fattori che li determinano, contribuendo così alla validazione empirica dei nuovi modelli teorici de-

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lineati. I dati raccolti in questo WP vengono utilizzati per le simulazioni economiche (modelli di micro-economia), nonché tutte le informazioni sui comportamenti e le scelte che definiscono gli stili di vita delle persone nelle regioni indagate, su aspetti socio-demografici ed economici, nonché sulle dimensioni chiave (psicologiche, sociali, ambientali) di impatto ambientale. Il quinto gruppo (WP5) gestito dall’Helmholtz-Zentrum für Umweltforschung (Lipsia, Germania) ha il compito di analizzare le iniziative di stile di vita sostenibile e le motivazioni che inducono gli abitanti dei sette paesi europei convolti a modificare le proprie abitudini ed il proprio benessere in ambito ecologico nel corso della vita quotidiana. La ricerca ha l’obiettivo di osservare i domini comportamentali sopra citati nelle persone coinvolte in iniziative sostenibili nelle diverse regioni del progetto, attraverso analisi sistematica delle loro attività, mappatura delle loro reti sociali nel territorio, interviste in profondità e questionari che indagano questi aspetti e i fattori sociali e psicologici che stanno alla base delle loro scelte di vita. L’idea è che queste piccole iniziative possano farsi promotrici di stili di vita verdi e sostenibili presso una fascia più ampia di pubblico a livello regionale. Il sesto gruppo (WP6), coordinato dall’University of Bath (UK), ha il compito di sperimentare e perfezionare i modelli di transizione verso stili di vita sostenibili e di green economy, combinando modelli micro e macro economici con la metodologia ABM al fine di esplorare e ipotizzare i meccanismi di cambiamento verso modelli di crescita verde (green growth) e verso un’economia low-carbon. Il settimo gruppo (WP7) condotto dall’Università di Scienze e tecnologie della Norvegia (NTNU; Trondheim, Norvegia) studia gli impatti ambientali dei futuri stili di vita e delle alternative economiche attuali e potenziali. Per fare ciò, si valuta come i cambiamenti tecnologici, economici, sociali e comportamentali possano avere un impatto sul clima e sulle emissioni di CO2, considerando l’efficienza delle risorse, le politiche di green economy, la sostenibilità ambientale dei diversi stili di vita e fornendo indicazioni e criteri di valutazione strumentale per i casi studio. L’obiettivo dell’ottavo gruppo di lavoro (WP8), coordinato dall’Istituto di ricerca europeo sulla sostenibilità, (SERI, Austria) è quello di sviluppare e promuovere la comunicazione e la diffusione tra gli stakeholder dei risultati del progetto. La strategia di disseminazione mira ad importanti gruppi sociali, quali: responsabili politici europei, regionali e locali; imprese; comunità scientifica; società civile e cittadini in generale. Questo obiettivo viene attuato attraverso una combinazione di mass-media tradizionali, media audiovisivi innovativi, newsletter e blog, social network, nonché attraverso seminari con gli stakeholder europei e regionali e attraverso l’uso di media scientifici. I casi studio proposti da GLAMURS sono analizzati nelle regioni partecipanti. Nella regione della Galizia, in Spagna, GLAMURS studia il cibo e le cooperative di agricoltura sosteni-

bile e la cultura sostenibile in Galizia. L’attenzione è focalizzata su iniziative come “Zocaminhoca” che fa parte della rete di nuova nascita del consumo responsabile, per un totale di 1500 persone, con un reddito di quasi un milione di euro l’anno. Nella regione di Aberdeenshire, in Scozia, vengono analizzate politiche pubbliche necessarie a diversificare l’economia dipendente dal settore petrolifero e del gas, attraverso misure mirate alla diminuzione nell’uso dei mezzi di trasporto privati e per attuare politiche innovative di work-life-balance. La regione della Germania centrale, prevalentemente rurale con poche città di medie dimensioni, deve ancora affrontare importanti sfide economiche e demografiche. Allo stesso tempo, esiste in tale contesto una diversità di iniziative nell’ambito della sostenibilità che cerca modi alternativi di vivere. Viene studiato lo sviluppo e il potenziale di una serie di iniziative che si trovano nella rete di transizione della cittadina di Halle, nello stato della Sachsen-Anhalt. Nella regione di Banat Timis, in Romania, viene studiato l’impatto di eco-villaggi rurali e la costruzione di serre per l’agricoltura sostenibile. Si pone l’attenzione sulla mobilità, sul consumo di acqua, sui sistemi di riscaldamento e sui metodi agricoli alternativi come la permacultura. La regione del Danubio e foresta Boema, in Austria, nonostante sia una piccola regione rurale, ha ricevuto lo status di regione pioniera non solo per l’agricoltura biologica, ma anche per l’uso di fonti alternative di energia, di mobilità e di edilizia. Viene studiato come questa regione a confine tra Austria, Germania e Repubblica Ceca abbia raggiunto un equilibrio e come le misure politiche sostenibili abbiano trovato diffusione rispetto ad altre aree. La Regione di Rotterdam e Delft in Olanda, altamente urbanizzata, è caratterizzata non solo da enormi industrie, ma anche da pesca e navigazione interna circondata da aree verdi. In questa città si studiano i distretti ecologici (villaggi verdi galleggianti, eco-case etc.), le attività sostenibili in campo agricolo (agricoltura urbana, cooperative alimentari, centri commerciali e mercati verdi) e la mobilità sostenibile come il car-sharing e l’e-biking. La Regione Lazio è il caso di studio italiano: qui vengono studiate iniziative che fanno parte di una rete di cooperative agricole nella zona urbana e periurbana a Nord di Roma. L’iniziativa principale sarà la Cooperativa Romana AGricoltura GIOvani (Co.R.Ag.Gio.), la quale si è impegnata a sviluppare un modello agricolo urbano sano, biologico e multifunzionale. Il caso di studio comprende anche una analisi del movimento Slow Food. Tra i principali obiettivi di queste iniziative vi è la conservazione della cucina tradizionale e regionale e della sostenibilità nella produzione alimentare, e la promozione di modelli di agricoltura territoriale che riflette e conserva la diversità biologica, ambientale, paesaggistica e culturale della penisola italiana. Il progetto GLAMURS attraversa attualmente la sua fase cruciale e si concluderà alla fine del 2016. I primi risultati saranno presentati e discussi a livello internazionale in un workshop che si terrà a Bruxelles dal 29 novembre al 1° dicembre 2016.


Il Viaggio in Italia di Goethe Un monumento all’amore dei tedeschi per l’Italia Marino Freschi

Nel 1816, esattamente duecento anni fa, usciva il primo volume del Viaggio in Italia di Goethe. Un’opera che incontrò e incontra ancora oggi un notevole successo di critica e di pubblico. Il testo si riferisce al viaggio del massimo poeta tedesco in Italia dal 1786 al 1788. È strano che Marino Freschi questo racconto autobiografico sia stato composto e pubblicato a trent’anni di distanza. È strano inoltre che Goethe distrusse numerose carte su cui aveva costruito il suo tardivo racconto come se non volesse che si curiosasse su quei documenti. Perché questo occultamento delle prove e perché questa stesura così tardiva? Il viaggio avvenne a ridosso della Rivoluzione Francese in una Europa ancora tradizionalista in cui Goethe poteva progettare un’estetica e un’antropologia sostanzialmente aristocratiche, mentre nel 1816 era tutto cambiato. L’Europa tentava di superare lo choc delle guerre napoleoniche con il Congresso di Vienna, appena terminato. Una forte esaltazione dell’ideologia romantica favoriva le conversioni al cattolicesimo in consonanza con la Restaurazione, ostile all’Illuminismo. Il nuovo secolo propendeva per l’estetica romantica, avversa al classicismo, quello weimariano, concepito e realizzato da Goethe e Schiller.

Tutto il viaggio è un mistero. Comincia di nascosto alle tre di notte del 3 settembre. Goethe parte senza avvertire nessuno, né il sovrano di cui era ministro e amico, né l'amata Charlotte, che pianta in asso senza nemmeno un bigliettino. Si fa vivo da Roma dopo circa due mesi E i commenti al libro non si fecero attendere. Proprio da Roma, dagli ambienti particolarmente sensibili e autorevoli del Romanticismo partirono le critiche più vigorose. I Nazareni, i celebri pittori tedeschi trapiantati a Roma alla ricerca dell’arte sacra cristiana, rimasero sbalorditi dal “paganesimo” del libro e dall’unilateralità delle scelte italiane di Goethe. Niebuhr, uomo politico e storico insigne, da Roma elencava a Savigny, il caposcuola

del pensiero giuridico tedesco, le volute stranezze del viaggio italiano del massimo poeta tedesco. La più vistosa fu la permanenza di solo tre ore a Firenze, nonché l’omissione della visita alle Cascate delle Marmore. A ciò si deve aggiungere l’ostinata e ingiusta polemica contro «il triste duomo di San Francesco ad Assisi», volutamente trascurato per esaltare il tempietto classico di Minerva, oggi Santa Maria sopra Minerva. Niebuhr conclude: «Dico tutto ciò solo per confermare il mio giudizio che Goethe ha visto senza amore. E proprio lui che da giovane aveva entusiasmato i tedeschi per l’arte medievale! Come era potuto avvenire un simile radicale cambiamento? Ma certo, colpa della vita alla corte di Weimar» per cui per Niebuhr: «Sansone aveva perso la chioma». Ma Goethe, accusato di paganesimo, proprio questo voleva: scrivere un significativo capitolo della sua autobiografia e insieme attaccare l’estetica romantica. Vi era in lui la volontà di una resa dei conti con quegli ambienti intellettuali e artistici che proclamavano con un ritorno al misticismo estetico medievaleggiante un inquietante patriottismo germanico che il cosmopolita Goethe non poteva accettare. Le Globe da Parigi difendeva il poeta per il suo oggettivismo impolitico, assai malvisto dai giovani romantici. Insomma, il Viaggio in Italia è anche una controestetica e una disperata, quanto ormai inattuale professione di fede antiromantica in nome del classicismo e della concezione illuminista come dimostrano gli ingenti interventi scientifici che in realtà già si allontanano dal materialismo razionalista per alludere a una interpretazione originalissima della natura, che forse solo Rudolf Steiner ha finora veramente preso in seria considerazione. Insomma dietro l’apparenza di un racconto di viaggio, alquanto innocente, affiora uno spessore assai complesso e problematico, che incontriamo già con la faticosa stesura del libro. Al fedele Eckermann Goethe confida nell’aprile del 1829, di aver solo parzialmente usato le lettere del periodo, in parte distrutte, nonché un diario, pensato per l’adorata Charlotte von Stein, che non gradì. Tutto il viaggio è un mistero. Comincia di nascosto alle tre di notte del 3 settembre. Goethe parte senza avvertire nessuno, né il sovrano di cui era ministro e amico, né l’amata Charlotte, che pianta in asso senza nemmeno un bigliettino. Si fa vivo da Roma dopo circa due mesi. Il duca capì e invece di licenziarlo in tronco, acconsentì a un congedo (retribuito) di quasi due anni. Anzi al ritorno gli aumentò lo stipendio e gli ridusse il carico di lavoro, legandolo per sempre a Weimar, da allora icona della Germania migliore, mentre il generoso sovrano divenne il simbolo del principe illuminato, un’otti-

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contatti massonici ma mossa politica a del poeta, vivacissifavore dell’ancient mo e insieme prurégime in tempi dente: era pur semburrascosi per il lepre ministro di un gittimismo monarDucato protestante. chico. Ma il vero falò fu Goethe a Roma è in quello che circa un incognito spacciananno dopo il suo ridosi per il pittore torno, scoppiò a PaPhilipp Möller per rigi con la rivoluevitare guai con zione. Goethe tentò l’Inquisizione che con Schiller di salnon avrebbe visto di vare il salvabile buon occhio in città della cultura estetil’autore del Werca del classicismo ther, all’indice in finché non venne quanto apologia al travolto dall’avansuicidio; inoltre il zata della modernipoeta era un noto Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Goethe nella campagna romana (1816) tà. Nel suo libro di membro della masviaggio affiora l’esoneria e dell’Ordistrema nostalgia per un’Italia e per una Europa, ne degli Illuminati, proprio allora sotto processo. entrambe scomparse. Intanto proseguiva a comIl discorso cambia quando si trasferisce a Napoli, regno assai più indulgente, dove frequenta Gaetaporre il suo capolavoro assoluto, il Faust, la grandiosa replica alla crisi del mondo della Tradizione no Filangieri, illuminista e massone, mentre a Pacon l’apertura critica e creativa alla modernità al lermo visita una povera famiglia, i Balsamo, i padi là del suo classicismo, ma anche del Romanticirenti del più famoso mago del secolo, il Conte di smo, nobili segmenti ormai superati. Cagliostro, alias Giuseppe Balsamo, su cui scrisse E l’Italia, e Roma? Nell’aprile del 1788 lascia in una mediocre commedia Il Gran Cofto. una struggente notte di plenilunio la città, dove aveva sperimentato una autentica rinascita, comIl Viaggio in Italia è anche una controprendendo che l’arte era la missione della sua vita estetica e una disperata, quanto ormai e non la politica, l’amministrazione ducale, il poinattuale, professione di fede tere statale. E abbandona l’Urbe con uno strano sentimento di identificazione con Ovidio scacciato antiromantica in nome del classicismo da Augusto in esilio nella lontanissima Tomi sul e della concezione illuminista come Mar Nero. Soltanto che per lui non si tratta certo dimostrano gli ingenti interventi di esilio, ma di ritorno in patria, richiamato dal scientifici che in realtà già si suo Duca Carl August, che lo ricopre di onori e lo solleva da molti oneri. allontanano dal materialismo Tuttavia Roma continua a vivergli dentro sulla scia razionalista per alludere a una dell’esperienza del padre che aveva vissuto in Italia interpretazione originalissima della il suo tempo felice tanto da rievocarlo in un commonatura, che forse solo Rudolf Steiner vente libro di memorie scritto in un improbabile italiano. Nel 1830 lo raggiunge la ferale notizia che Auha finora veramente preso in seria gust, il suo unico figlio, era morto a Roma, dove è considerazione sepolto nel cimitero acattolico alla Piramide, con un elegante medaglione di Thorvaldsen e una stupefaIn Italia ricomincia, dopo il decennio di lavoro cente iscrizione: Goethe filius patri antevertens obiit, senza nemmeno nominare il suo nome. amministrativo a Weimar, a scrivere, a dipingere e Quasi ottantenne confidava a Eckermann: «Sì, lo ad amare la bella Faustina, immortalata nelle auposso proprio dire: soltanto a Roma ho sentito vedaci Elegie Romane, capolavoro della lirica classiramente che cosa significhi essere un uomo. Quelcheggiante ed erotica. Tornato a casa, a Weimar, la felicità, quella elevatezza di sentimenti, in secambia tutto: niente più affari di stato e niente guito non le ho mai più ritrovate; rispetto a come Charlotte, sostituita con una giovane donna del pomi sentivo felice allora Roma, potrei dire di non polo, Christiane Vulpius, che sposa nel 1806. L’Italia fu veramente liberatoria. Anni fa uno storiessere mai più stato veramente felice». Amaro bilancio per una vita così lunga e ricca, eppure queco italiano, Roberto Zapperi, scoprì a Weimar un sta affermazione spiega la profonda motivazione faldone, trascurato dagli studiosi tedeschi, con i conti degli acquisti effettuati da Goethe in Italia e del Viaggio in Italia. Per questa intensità emotiva il libro, sintesi di vita e di cultura, è un autentico con due lettere di amore, tra cui una sgrammaticacapolavoro, molto “partigiano”, un manifesto antita ma assai sentimentale di Faustina. Chissà se alromantico, ma anche e soprattutto un monumento tre epistole sentimentali furono bruciate, come siall’amore dei tedeschi per Roma e per l’Italia. curamente lo furono tutti i documenti riguardanti i


Strada facendo 2016: l’anno nazionale dei cammini Giulia Pietralunga Cosentino

Il 24 ottobre scorso, a conclusione del convegno “I cammini incontrano il Giubileo” che si è tenuto a Roma presso la biblioteca di Castel Sant’Angelo, il Ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini ha p r o c l a m a t o ufficialmente il 2016 Giulia Pietralunga Cosentino come anno nazionale dei cammini. «I cammini sono il cuore di questo progetto - spiega il ministro - puntano a far diventare l’Italia la meta di un turismo sostenibile. I cammini sono una opportunità straordinaria per rivalutare zone intere del territorio italiano; un turismo povero, lento e sostenibile, che valorizza i posti meno conosciuti del nostro paese». In contemporanea al Giubileo il turismo in Italia si mette in marcia, riuscendo per la prima volta a riunire Stato, regioni, comuni, Santa sede, enti locali, pubblico e privato, sulle tracce di quei 6.600 chilometri di cammini, religiosi ma anche culturali, naturalistici, spirituali, che attraversano il paese da nord a sud. Un nuovo modo di viaggiare, sempre più in espansione, il turismo sostenibile non è uno dei settori, ma la vocazione necessaria del sistema paese. Puntare su questo vuol dire valorizzare l’Italia come museo diffuso. L’anno nazionale dei cammini coincide con l’Anno santo e con la filosofia di un Giubileo povero, umile e di pellegrinaggio. Lo stesso Bergoglio, nell’enciclica Laudato Si, «comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale». Dalla lettura dell’enciclica emerge innanzitutto il riconoscimento delle profonde connessioni che esistono tra le criticità ambientali e quelle sociali tanto da affermare che non ci sono «due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale» (par. 139). Profondamente collegato con le parole dell’enciclica è l’invito del pontefice a vivere l’Anno santo seguendo l’antica tradizione del cammino per raggiungere la Porta Santa. Le istituzioni hanno raccolto la richiesta di Papa Francesco ripristinando nella loro completa fruibilità antichi percorsi che fanno parte di itinerari religiosi e di pellegrinaggio provenienti dall’Oriente e dall’Occidente europeo. La Regione Lazio ha scelto di puntare sui quattro cammini considerati più rappresentativi dal punto di vista del contesto internazionale, soprattutto per l’importanza cruciale

che rivestono come percorsi di spiritualità come La Via Francigena, nel nord del Lazio, da Roma a Proceno, ai confini con la Toscana; la Via Francigena nel sud del Lazio, da Roma a Minturno e a Cassino, ai confini con la Campania e il Molise; il Cammino di Benedetto, che attraversa il Lazio da Norcia a Montecassino; il Cammino di Francesco, alla scoperta dei luoghi francescani, dall’Umbria a Roma attraverso la Valle Santa reatina.

É un movimento “lento” che, come a Santiago di Compostela, può cambiare il profilo di interi territori, portando cultura e sviluppo. I camminatori sono l’avanguardia di un movimento molto più ampio di persone che non si accontenta più di andare in vacanza ma vuole fare un’esperienza, capire, assaporare un’identità Il progetto dell’anno dei Cammini si affianca e prende spunto dall’anno giubilare ma non sarà certamente un legame esclusivo; verrà istituito, infatti, un portale dei cammini, in cui verranno raccolte tutte le informazioni disponibili sulle rotte e i percorsi. Sarà un’occasione straordinaria per tantissimi luoghi, ad oggi, ancora poco conosciuti e poco valorizzati. É un movimento “lento” che, come a Santiago di Compostela, può cambiare il profilo di interi territori, portando cultura e sviluppo. I camminatori sono l’avanguardia di un movimento molto più ampio di persone che non si accontenta più di andare in vacanza ma vuole fare un’esperienza, capire, assaporare un’identità. Il primo passo da affrontare, però, è capire quanti e quali siano i cammini praticabili su tutto il territorio italiano. E se alcuni cammini sono già pronti, da quello di San Benedetto nato su iniziativa dei privati e ora amatissimo dai tedeschi a quello di San Francesco con tanto di App per incontrarsi in marcia, a sostegno dei viaggiatori nasce anche il progetto Case Cantoniere: 1600 strutture da convertire, in accordo con Anas e Demanio, in ostelli, locande, stazioni per bici o cavalli, affidandole a privati. Si celebra la passione di molti, ma soprattutto si valorizza il nostro paese, i suoi sentieri e le meraviglie che lo attraversano. L’Italia è ricca di cammini in ogni regione; da quelli che necessitano di molti giorni per essere percorsi, a quelli di poche ma intense tappe. In entrambi i casi l’esperienza che se ne ricava è sempre forte, dal punto di vista spirituale, emotivo e naturalistico.

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Inaugurazione dell'A.A. 2015/2016 L'Università come motore del cambiamento sociale e promotore della dignitas umana Valentina Cavalletti

Il 3 dicembre 2015 il Magnifico Rettore prof. Mario Panizza ha inaugurato il 24° Anno Accademico dell’Università degli Studi Roma Tre, il terzo per lui come Rettore. La cerimonia è stata introdotta da alcune testimonianze di chi studia e lavora all’UValentina Cavalletti niversità e mostrano un quadro critico ma anche ben augurale del nostro Ateneo. Veronica Moro, rappresentante degli studenti, ha messo in evidenza l’importanza di investire maggiori risorse nel sistema universitario, come impegno per garantire un futuro di sviluppo e di crescita per il nostro Paese. Ha ricordato anche la necessità di incrementare le risorse per il diritto allo studio per garantire agli studenti fuori sede di studiare a Roma con più facilità. Monica L’Erario ha parlato a nome del Personale tecnico amministrativo e bibliotecario, evidenziando i punti critici a partire dalla sua personale e significativa storia non solo come tecnica ma anche come studentessa, come lavoratrice e come dottoranda all’interno dell’Università. Avendo speso gli ultimi 23 anni all’interno dell’Università con diversi ruoli, ha raccontato il suo sgomento nel vedere svilito il ruolo sociale e culturale dell’istituzione universitaria, oggetto di tagli continui non solo alla ricerca ma anche al personale, con i blocchi del turn over e dei rinnovi del contratto del pubblico impiego. Dopo questi interventi, il Direttore Generale Dott. Pasquale Basilicata ha richiamato l’attenzione sui diversificati interventi che Roma Tre sta riuscendo a portare avanti con quello spirito collegiale e comunitario che da sempre la caratterizza, nonostante i numerosi tagli a cui è soggetta l’istituzione universitaria. Il Rettore ha quindi aperto ufficialmente l’anno accademico. Nella sua relazione, il prof. Panizza ha sottolineato come Roma Tre si continui a caratterizzare come un Ateneo che opera «oltre i limiti di una visione novecentesca, rigidamente contenuta all’interno di didattica e ricerca, con l’impegno di fornire un contributo essenziale allo sviluppo culturale e sociale del territorio». In questo orizzonte di cambiamento, si collocano le nuove strutture di servizio come la Fondazione Roma Tre Palladium e la

Fondazione Roma Tre Education che, di pari passo con una forte attenzione all’internazionalizzazione, sono pensate come ulteriori «estensioni dell’attività accademica» del nostro Ateneo. Queste due fondazioni rappresentano da un lato la possibilità di continuare ad avere quel ruolo importante nei rapporti con la città proponendo spettacoli di qualità all’interno del teatro di Garbatella; dall’altro di continuare a disseminare una cultura della formazione a distanza attraverso l’uso delle tecnologie applicate alla didattica. L’aspetto più importante che ha caratterizzato la cerimonia è stato il lancio di un «progetto ambizioso», come è stato definito dal Rettore stesso: un seminario multidisciplinare internazionale rivolto ai giovani laureati provenienti dal bacino del Mediterraneo. Il progetto coinvolge coloro i quali vogliano collaborare per il recupero della identità culturale millenaria che ruota intorno al mare nostrum con l’obiettivo di promuovere una cooperazione coerente ed efficace per contrastare «lo sbilanciamento che si è venuto a determinare nei secoli, soprattutto tra le sponde sud e nord» e per gestire diversamente la povertà urbana e rurale a fronte delle attuali dinamiche demografiche e migratorie. L’invito è stato rivolto anche agli esponenti delle tre Università presenti alla cerimonia, la prof.ssa Eva Wiberg, Vice Rettore della Lund University (Svezia), il prof. P. Andreu Oliva, Rettore dell’Università Centroamericana José Simeòn Cañas de El Salvador (San Salvador) e il prof. Abdel Salam Tawfik Seddik, Vice Presidente dell’Università di Alessandria (Egitto), coinvolti con l’intento di mettere in comune, «su un piano di assoluta parità culturale», esperienze diverse e lontane nello sforzo «di individuare condizioni adeguate ai Paesi con i quali si coopera» e una costante comunione di intenti. Tutti e tre i rappresentanti delle Università straniere hanno ampiamente sottolineato l’importanza di consegnare all’istituzione universitaria un ruolo trainante nel dibattito pubblico, sia nei momenti critici e bui, come quello sul fronte del terrorismo internazionale, sia nei confronti delle grandi sfide dei nostri giorni, come quella dell’immigrazione. Dalle due estremità del Mediterraneo e dell’Europa, sono risuonate parole cariche di ottimismo, contrarie alla negatività dei tempi: mentre il prof. Seddik ha ricordato che per combattere gli estremismi e i terrorismi è necessario dare nuova centralità all’istruzione, che può e deve plasmare i valori delle future generazioni, promuovendo il cambiamento sociale e veicolando una sempre più ampia e convinta esposizione alla


tre aspetti fondacultura degli altri mentali che ripaesi, la prof. guardano l’acWiberg ha rimarcessibilità, l’occato l’importanza cupabilità e la per le università sostenibilità del di mantenere «la sistema. Il tema mente aperta» di dell’accesso è fronte alle necesstrettamente lesità dei migranti, gato all’idea che proponendo una l’istruzione è serie di politiche «l’unica vera leattive che conceva di riscatto indano delle scordividuale e di ciatoie ai rifugiati all’interno dei La consegna del sigillo di Roma Tre agli ospiti: il prof. Seddik Abdel Salam Tawfik, miglioramento e contesti accade- il ministro Stefania Giannini, il rettore Mario Panizza, la prof. Eva Wiberg, il prof. di sviluppo sopadre Andreu Oliva. Foto: Antonio Azzurro ciale» e il fatto mici. che in Italia l’UMa non si è parniversità abbia perso negli ultimi 5 anni circa lato solo di Mediterraneo e di Europa. Il prof. Oliva 70.000 studenti è un fatto assolutamente preoccuha descritto la situazione di emergenza del Sud pante, che non può essere eluso in alcun modo. Il America, e in particolare del proprio paese, tuttora Ministro ha poi ricordato da un lato il proprio imsegnato dalla guerra civile di 24 anni fa che ha lapegno a mettere al centro dell’agenda di governo sciato i segni indelebili della povertà, dell’emargiquesta debolezza strutturale, dall’altro l’importanza nazione sociale, delle disuguaglianze, della corrudi valorizzare la responsabilità politica, sociale e zione, delle ingiustizie e dell’impunità dei colpevoculturale nei confronti di quei talenti che giungono li. Tuttavia ha ricordato il ruolo fondamentale di dalla sponda sud del Mediterraneo. Il risultato è promotore del cambiamento sociale della propria mettere a fattore comune – come detto anche dalla università, che ha optato «per i poveri e gli emargiprof.ssa Wiberg – le competenze dei migranti e dei nati» affinché il paese si strutturi nel tempo sui rifugiati, creando per l’Europa un’opportunità e un principi della giustizia sociale. Scegliere la strada patrimonio da utilizzare, superando la mera visione dell’educazione, in un paese che ha imbracciato le legata alla paura e alla minaccia. Il Ministro ha armi per perseguire la liberazione, è una scelta forquindi spiegato l’importanza del tema dell’occupate, volta a rimarcare «che la forza e la violenza non bilità, inteso come tema centrale per creare nei giosono stati, non sono e non saranno la soluzione di vani una buona maturità professionale «ancora prinessuno dei conflitti del nostro mondo». ma che entrino in azienda», senza tuttavia con queL’intervento del Ministro dell’Istruzione Stefania sto minare l’eccellente preparazione teorica che Giannini ha concluso la cerimonia, dando ampia ril’Accademia italiana continua a erogare. Infine ha sonanza alle relazioni precedenti e approfondendo concluso parlando del tema della «sostenibilità acil concetto della terza missione dell’università, che cademica» che, oltre ad essere connesso alla queha il «dovere di confrontarsi con ciò che avviene stione squisitamente finanziaria, è legato al tema fuori dalle aule» in un continuo scambio con il terdella strategia e della responsabilità politica. Perritorio circostante, come Roma Tre fa egregiamente tanto, secondo il Ministro, di fronte alle sfide glocon il quartiere dove è sorta, con la città di Roma, bali che il mondo ci pone oggi, il compito primario con l’Europa e con il mondo. Il Ministro ha quindi dell’educatore, «a qualunque livello esso si esercisottolineato l’importanza della dimensione internati», e in particolare nelle Università, è quello di «rizionale delle università e ha salutato con grande endare centralità e dignità alla persona», in tutte le tusiasmo la creazione del network voluto dal Rettosue sfumature. re prof. Panizza. Nella sua relazione ha parlato di

Foto: Antonio Azzurro

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«Not intervention, not indifference» The challenges of the global order according to Brazilian Ambassador Celso Amorim Valentina Cavalletti

incontri

Diplomatico di carriera Celso Amorim è stato ministro degli Affari esteri del Brasile dal 1993 al 1994, durante la presidenza di Itamar Franco, e dal 2003 al 2010, nei due mandati del presidente Lula Da Silva, nonché ministro della Difesa nel primo mandato del presidente Dilma Rousseff, dal 2011 al 2014. Amorim è stato anche capo della missione permanente del Brasile presso le Nazioni Unite a New York, occasione nella quale ha presieduto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e capo della missione permanente del brasile a Ginevra. Amorim è stato ambasciatore del Brasile a Londra e presidente di Embrafilme, impresa brasiliana di cinema. Nel 2010 la rivista Foreign Policy lo ha inserito al sesto posto nella classifica dei più importanti pensatori globali. Mr. Ambassador, you have held prominent positions in your government. What, in your experience, is the most important challenge we face in the world today? Peace is the biggest challenge, because peace is linked to inequality, as it is expressed in different ways and in different places. For example, in Europe you have the immigration problem, which is related to inequality across borders. Also , I’d love a better organization of international institutions like the UN. They must become more pragmatic and more connected to reality. I know this is a very difficult thing and won’t happen quickly but I suggest it must improve — and along with formal institutions, informal institutions, informal mechanisms, must change. In the financial area, we’ve already done it. We’ve created the G20, which for practical reasons takes the place of the G7. The G20 could solve political questions, peace and security questions along with economic questions. Not only terrorism but other aspects that have to do with world peace. . . Brazil was very much involved in finding a solution for the Iranian nutrition program but it didn’t work because those who proposed the initial agreement changed their minds.

Generosity in policy is not just being good like going to church and giving money to poor people. Generosity is also looking out for your own interests in the long run What role does sustainability play within that context?

Sustainability has many meanings. Maybe you are speaking of environmental sustainability, but I think we also have the problem of social sustainability. I believe that the establishment’s new objectives are very important but the real question is how to get there. Positive steps have been taken regarding the climate, but it’s not enough.

Speaking of immigration, we need a better distribution. It seems simple but, of course, it’s not automatic or easy. If we had paid more attention in the past, maybe we wouldn’t have all the problems we have today So I think we can be optimistic because the sustainability agenda has become important not only for the U.S. but for many states on the planet. And as sustainability is not just economical but also social, we go back to the first point about equality, not only within states but among states. This point involves trade very strongly. I was very much involved in trade negotiations as a Foreign Minister under the Lula government and I’m glad that some agreements are possible now in Nairobi, for example. They are very small agreements, very modest agreements compared to what we would have wanted but they are a reality. In the case of trade, the big challenge is to make it possible without taking anything away, because that would be the end of trade. We must help countries of this kind. If Europe or the United States or Japan continue to restrict agriculture production, Western countries will lose the possibility of having a sustainable world. So when we speak about a more balanced world, trade is


think that they are right and that other countries are wrong, so the concept of generosity can make things even worse — if a country thinks that because it is in the right it should bomb another country to give it some sort of democracy. But bombing another country doesn’t create democracy. It’s correct to use persuasion but it must be an evolution not an imposition. The examples are there: Iraq, Libya are both worse now than they were before. This relates to the other part of your conference

We must become less dependent on imports and create better integration with South America. This should be our direction in the future

very important. It is important to cope with immigration. Most people leave their homes not for fun, but because they can’t live there any longer without work and fair trade. During the conference you spoke about the importance of generosity applied to countries. Could you tell us again what that means? I had to develop this concept because in our own country we were criticized for being too generous with other countries, especially in South America and I had to explain my point of view, which is that generosity in policy is not just being good like going to church and giving money to poor people. Generosity is also looking out for your own interests in the long run. I mean if we help Paraguay to have a better standard of living, to use hydroelectric power better, it will be good for us because they will be happier and they will not create any problems for us, in terms of any specific crisis.

Bombing another country doesn’t create democracy. It’s correct to use persuasion but it must be an evolution not an imposition. The examples are there: Iraq, Libya are both worse now than they were before Speaking of immigration, we need a better distribution. It seems simple but, of course, it’s not automatic or easy. If we had paid more attention in the past, maybe we wouldn’t have all the problems we have today. It’s not simple because, on the other hand, there is the temptation for some countries to

when you spoke about the principle you believed in when you were Foreign Minister: “Not intervention but not indifference”. Could you tell us what that means? Thank you for asking me this because this is indeed a very central concept of my paper and of my policy in Brazil. I invented this particular expression during the Lula Government. We should not intervene does not mean we have to be indifferent to what happens in other countries. So if conditions are right, if you see that there is some sort of acceptance, it’s okay to try to help them to find a solution — working together, to let them find their own solution. When we helped Venezuela — together with a group of friends of Venezuela — to provide relief during their crisis, we had nothing to gain in the short run, but it was in the interest of the region and also in our own interest to have a stable Venezuela. It’s not easy to help a country to find their own way but you must avoid intervention, by which I mean using force to impose your own ideas. But if you can help, you should do it. How can the states solve the problem of public debt? What would happen if all the world debt were simply cancelled? No, that won’t happen. The question of debt is only about proportion. The real problem is what the proportion of debt produces. In Brazil we paid all our foreign debt because we had more reserves than debts, so we had a surplus, but internal debt continued. The proportion diminished very much because the economy grew, so the proportion of debt to GDP diminished. This is not simple, of course, but when the economy grows, the proportion of debt diminishes. Unfortunately, now the proportion is growing again in Brazil and we have a very difficult situation. But I’m sure if we are able to keep interest rates low and improve our industrial position, Brazil will face this difficult crisis, as we did in the 1930s. We must become less dependent on imports and create better integration with South America. This should be our direction in the future.

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La Terra dei fuochi Una tragedia annunciata

reportage

Giulia Simonetti

È conosciuto come Terra dei Fuochi, appellativo usato per la prima volta nel Rapporto Ecomafia 2003 di Legambiente, e si trova in piena Campania Felix, il triangolo geografico di Giuliano, Villaricca, Qualiano, tra la provincia di Napoli e quella di Caserta, «un paesaggio fuori dal comune. Giulia Simonetti Nell’hinterland a nord di Napoli a ridosso dell’asse mediano, in quei comuni che hanno un facile collegamento, non solo geografico, con Casal di Principe, terra d’origine della camorra […]. Pattumiera d’Italia per decenni». Il fenomeno dei roghi tossici, per l’incenerimento di rifiuti pericolosi e speciali, imperversa ormai da più di trent’anni; continui gli avvelenamenti del sottosuolo, per lo smaltimento dei liquami industriali, che stanno devastando un patrimonio storico-ambientale senza eguali, con tutte le inevitabili conseguenze per la salute della popolazione. Un territorio di 1.076 Km² nel quale sono situati 57 Comuni, per un totale di circa 2.500.000 abitanti. A ogni ora del giorno e della notte, senza interruzione, veri e propri falò, appiccati per liquidare di tutto: decine di milioni di tonnellate di rifiuti tossici tra cui arsenico, cadmio, alluminio, rame, piombo, zinco, scarti di vernici, fanghi di depuratori, rifiuti ospedalieri, solventi, diluenti, plastiche varie, fino alle scorie nucleari. Sostanze di scarto delle industrie che, anziché essere smaltite secondo le norme previste relative al trattamento dei rifiuti pericolosi e speciali, si affidano alle aziende camorristiche, le quali si occupano poi di depositarle sulle strade o in discariche abusive. I numeri? Le stime di Legambiente hanno registrato, nei primi vent’anni di anni di attività di smaltimento illecito di rifiuti di ogni tipo, 82 inchieste della magistratura, circa 1.000 arresti, 443 aziende coinvolte, per 10.000.000 di tonnellate di rifiuti tossici, trasportati su e giù per l’Italia da un totale di 410.000 camion. L’interesse industriale è mosso dall’evasione fiscale e dal risparmio sui costi: il mercato legale impone prezzi che vanno dai 21 ai 62 centesimi al chilo. I clan forniscono lo stesso servizio per 9 o 10 centesimi al chilo. Una produttività, quella del traffico dei rifiuti, che supera addirittura il mercato della droga e della prostituzione. Un intreccio fatale tra industria, camorra e appendici dello Stato: nelle testimonianze dei primi pentiti si parla, tra l’altro, di massoneria e P2, di Licio Gelli e dei contatti che quest’ultimo intratteneva con una ignota

società di Milano, tramite la quale i rifiuti partivano dal nord e arrivavano nelle campagne campane. I fuochi: roghi appiccati generalmente di notte, nelle campagne o sulle strade secondarie; colonne di fumo alte più di 50 metri, che bruciano di tutto, senza alcun tipo di controllo, con una tecnica collaudata e che rilasciano nell’aria quantità enormi di diossina. Attività illecite che non si sono fermate neanche davanti all’emanazione del d.l. 136/2013, diventato poi legge nel febbraio 2014, che introduce il reato di combustione illecita dei rifiuti e che prevede, quale sanzione, una reclusione da 2 a 5 anni, pena che può salire a 6 anni nel caso di rifiuti pericolosi.

A ogni ora del giorno e della notte, senza interruzione, veri e propri falò, appiccati per liquidare di tutto: decine di milioni di tonnellate di rifiuti tossici tra cui arsenico, cadmio, alluminio, rame, piombo, zinco, scarti di vernici, fanghi di depuratori, rifiuti ospedalieri, solventi, diluenti, plastiche varie, fino alle scorie nucleari Terra dei Fuochi, ma anche dei veleni. Non solo roghi: molte le tecniche illecite di smaltimento capaci di evolvere nel corso degli anni, passando dalle tradizionali discariche a cielo aperto, tipiche del periodo compreso tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, a una vasta gamma di metodologie, tra cui il caratteristico “tombamento”, ossia l’apertura di buche sotterranee dove vengono seppelliti i rifiuti, poi ricoperti da uno strato di terriccio; lo spandimento sul terreno di pseudo-fertilizzanti (ulteriori fonti di profitto) provenienti da attività di compostaggio di fanghi non idonei per la presenza di sostanze cancerogene e di elevate concentrazioni di metalli pesanti; l’immissione nei cicli produttivi per la produzione dei laterizi e dei fanghi industriali. Si stima che ogni anno, in Campania, facciano ingresso 4.500.000 rifiuti industriali. Di fronte a dati così allarmanti, minime le azioni di intervento delle istituzioni, che divengono facile bersaglio di un diffuso clima di sfiducia e che, da più parti, vengono additate come colluse. Si avverte il serpeggiare di un grave malcontento tra i cittadini e gli attivisti più impegnati nella tutela di quei territori: «la notizia […] è stata volutamente messa a tacere [perché] dà fastidio ai potenti […] non ti diranno mai che si sono ammalati perché hanno respirato i fumi, hanno mangiato degli alimenti inquinati, non te lo diranno mai», «noi andiamo a votare, quindi abbiamo messo la no-


Foto: Mauro Pagnano

stra vita nelle mani di chi doveva proteggerci e invece non lo ha fatto […]. Non è successo, come dicono, “è capitato, è successo”, no. C’è stata la complicità di chi aveva il potere, di chi stava al potere e ha permesso tutto ciò. E oggi, i cittadini non si fidano, non si fidano delle istituzioni”, queste le dichiarazioni di alcuni membri del CCF, il Coordinamento comitato fuochi, aggregazione di circa un centinaio di associazioni del territorio, costituito nel 2012, a salvaguardia dell’ambiente e per la tutela del diritto alla salute delle popolazioni campane. “Monnezza” che pesa come oro, che vale quanto oro. Un ammorbamento dei terreni che continua da decenni, senza interruzione, e che riguarda in larga parte i terreni destinati alle colture ed al pascolo, essendo la Campania ancora terra di agricoltura e regione a bassissimo sviluppo industriale. L’intero ciclo naturale è compromesso. Interi territori devastati da veleni immondi che si insinuano silenziosamente nel sottosuolo, da qui alle coltivazioni, al bestiame, dunque all’uomo, inevitabilmente coinvolto, senza considerare l’incalcolabile danno per i contadini ed i pastori locali che vedono a rischio le proprie attività, uniche fonti di sostentamento per intere famiglie. L’allarme alla produzione scatta nell’aprile 2002 quando, durante un’indagine di routine sul latte di pecora, in molti allevamenti delle province di Napoli e Caserta si riscontrano valori di psicogrammi di diossina, per ogni grammo di grasso, anche 10/11 volte il limite consentito dalla legge. Molte le aziende sequestrate. Il 44% dei casi riguarda il latte di pecora, il 32% quello di bufala, il 25% le verdure. Oggi si discute sui livelli di corrispondenza tra inquinamento da rifiuti e aumento di mortalità e malattia:

studi autorevoli, come quello di Antonio Giordano e Giulio Tarro (Campania, terra di veleni, Denaro Libri 2012), dimostrano come le mappe dello sfregio ambientale si sovrappongano alle mappe del più alto rischio oncologico. Abbiamo assistito a decenni di rapporti annuali di Legambiente che segnalavano non meno di 30 milioni di tonnellate di rifiuti speciali industriali che perdevano la tracciabilità dal luogo di produzione al luogo di smaltimento, pericolosi non solo per l’ambiente, ma soprattutto per la salute umana.

Si stima che ogni anno, in Campania, facciano ingresso 4.500.000 rifiuti industriali. Di fronte a dati così allarmanti, minime le azioni di intervento delle istituzioni, che divengono facile bersaglio di un diffuso clima di sfiducia e che, da più parti, vengono additate come colluse Una tragedia annunciata: i termini e la portata del drammatico orizzonte che si andava profilando erano già stati delineati nel lontano 1976, attraverso uno dei primi importanti studi scientifici circa la dinamica correlazione tra inquinamento e aggravamento delle condizioni di salute delle popolazioni campane, il Libro Bianco Salute e ambiente in Campania (Tarro, Giordano, 1977), che rendeva nota all’opinione pubblica nazionale la “Mappa della no-

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Foto: Mauro Pagnano

cività a Napoli e provincia”. Una tragedia che però rimaneva nascosta tra le pagine delle deposizioni che, nel 1993, rilasciava Carmine Schiavone, ex cassiere dei Casalesi, cugino del boss Francesco Schiavone detto “Sandokan”, uno dei primi collaboratori di giustizia del clan che si occupava del mercato dei rifiuti nella zona di Casal di Principe. L’anno seguente scoppiava l’emergenza rifiuti in Campania, ma l’attenzione che la politica ed i media rivolgevano alla questione ambientale era diretta esclusivamente alla gestione dei rifiuti urbani. Intanto, le scottanti dichiarazioni di Schiavone rimanevano segreto di Stato. Soltanto nel 2013 la Camera dei Deputati desecreta i verbali di deposizione. Lo Stato sapeva da vent’anni. Ma nulla è stato fatto. E ora è il turno delle bonifiche. Sono stati da poco pubblicati, nell’aggiornamento del rapporto “Mortalità, ospedalizzazione e incidenza tumorale nei Comuni della Terra dei fuochi in Campania”, i dati dell’Istituto superiore di sanità

sulla situazione epidemiologica dei 55 comuni di riferimento, che registrano più morti, ricoveri e tumori rispetto alla media regionale. Per quanto riguarda la salute infantile emerge un quadro di criticità meritevole di attenzione, con eccessi di ricoveri nel primo anno di vita per tutti i tumori, osservati in entrambe le province. Un risultato importante per chi oggi porta addosso i segni dello scempio: il rapporto introduce ufficialmente come fattore di rischio l’esposizione a un insieme di sostanze inquinanti che possono essere emesse e rilasciate da siti di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e/o di combustione incontrollata di rifiuti: «Ora devono dimostrarci che non ci sbagliamo», dichiara una mamma attivista, membro dell’Associazione Noi Genitori di Tutti, per la tutela della salute infantile nel Triangolo della morte. La Terra dei Fuochi, ribattezzata anche Diossina Land. L’inferno sulla Terra. Una tragedia annunciata, che rimane inascoltata.

Questo articolo si base sulla tesi di laurea dell’autrice Simonetti G., La Terra dei Fuochi. Definizioni pubbliche e memorie contese. Tesi di Laurea discussa in data 17 Luglio 2015, presso l’Università degli Studi di Roma Tre, Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo, Corso di Laurea in Teoria della Comunicazione. Per saperne di più, le principali fonti consultate dall’autrice Giordano A., Tarro G., Campania, terra di veleni, a cura di, Napoli, Denaro Libri, 2012. Legambiente, Rapporto Ecomafia 2003, Napoli, Esselibri Simone, 2004. Musmeci L., Comba P., Fazzo L., Iavarone I., Salmaso S., Conti S., Manno V., Minelli G., Mortalità, ospedalizzazione e incidenza tumorale nei Comuni della Terra dei Fuochi in Campania (relazione ai sensi della Legge 6/2014), Roma, Istituto Superiore di Sanità (Rapporti ISTISAN 15/27), 2015. Tarro G., Giordano A., Salute e ambiente in Campania, Napoli, Politica Meridionalista Editrice, 1977.


Audiocronache Il mondo visto da Roma Tre Radio

mazione e una crescita professionale, culturale e Correva l’anno 1998 umana ricevute mediante l’acquisizione di compequando, presso l’Unitenze concrete. versità degli Studi di Lo staff della nostra radio, coordinato da docenti e Siena, prendeva vita il station manager, risponde alla necessità di organizzaprimo progetto di radiore il lavoro piuttosto che a definire delle gerarchie rifonia universitaria itagide. Esiste una suddivisione dei compiti che porta a liano: Facoltà di Frecostituire figure professionali capaci di svolgere ogni quenza. tipologia di mansione: gestire responsabilità, ideare Da quel piccolo seme, format, creare contenuti, strutturare scalette e playnel corso degli anni, solist, realizzare podcast, fino alla produzione in diretta no spuntate come fune alla promozione attraverso canali come social netghi in quasi tutti gli atework (Facebook e Twitter), mail e app di riferimento. nei italiani, diventandoIlaria Sinopoli Roma Tre Radio non è semplicemente la voce “dei ne la voce meno ufficiaragazzi della radio” ma la voce degli universitari che le e coinvolgendo migliaia di giovani studenti. È un parlano ad altri universitari. Costruisce la propria imfenomeno relativamente recente per il nostro paese e magine attraverso vari elementi: musica, programancor più recente per il nostro Ateneo. mazione, redattori, registi e speaker. Nata dall’esigenza dell’università di comunicare, Roma Tre Radio dà il buongiorno agli studenti con il mettere in contatto e rafforzare tra le varie componenti accademiche il senso di appartenenza alla cosuo programma di punta, il morning show La Fretta munità universitaria, Roma Tre Radio è frutto di un Biscottata, in cui si dà voce alle principali notizie della giornata: cronaca, esteri, politica, sport, salute, progetto di inclusione sociale in cui i giovani possocultura, spettacolo e infine il focus sul mondo unino sperimentare, imparare ed esprimersi. Ad appena un anno di vita, è una freccia importante versitario. Quest’ultimo approfondito da Dica Roma all’arco del nostro Ateneo e diretta emanazione di esTre che propone notizie, iniziative, dritte e curiosità sul mondo universitario e sulla vita dello studente. so, un laboratorio aperto a proposte culturali, modaliUn percorso, quello universitario, che si conclude nel tà di formazione, interessi di ogni tipo per stimolare non solo la partecipazione ma soprattutto la creativigiorno della laurea. The Day after è il luogo di Roma Tre Radio dove i neolaureati possono raccontare i tà degli studenti coinvolti. tanti mesi passati alla ricerca di informazioni e apMichele Tesolin, ex presidente dell’Associazione Raprofondimenti per mettere in piedi la propria tesi e duni, considera le radio universitarie come «Una divulgare il proprio lavoro di tesi con l’obiettivo di grande risorsa per gli atenei e per gli studenti. Ogni essere d’ispirazione ai laureandi e futuri dottori. singola radio ha una storia personale che la rende Due i programmi di approfondimento cinematografiunica». Ed ora è giusto raccontare la nostra. L’obiettivo di Roma Tre Radio è insegnare a portare co: 16:9 e Go ciak yourself. Uno sguardo critico e innovativo che esplora i film, i avanti un’esperienza lavorativa e formare vere e prolinguaggi, i registi il primo, approfondimento sul ciprie figure professionali quali speaker, redattori, renema contemporagisti. neo, anteprime, feIl lavoro all’interstival, box office il no della nostra secondo. La geneemittente univerrazione del nuovo sitaria è molto etemillennio è fatta di rogeneo, sia nella giovani cresciuti compagine che con serie, serial, nella numerosità e serie serializzate, nell’organizzaziomini-serie, anime ne, ma soprattutto che diventano le è frutto di un’eprotagoniste del sperienza volontaprogramma di apria degli studenti profondimento deche, provenienti dicato alla serialità dai diversi Dipartimenti, partecipatelevisiva, Serial no e si prestano a Lo studente Stefano Riccio alla regia del morning show La Fretta Biscottata. Foto Killer. Un’attenzione parfronte di una for- Oriella Esposito

rubriche

Ilaria Sinopoli

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Sarah Penge e Cristiano Tofani, due studenti intervistano Massimo Margottini, delegato del Rettore alle politiche di orientamento. Foto: Marta Perrotta

Rosaria Della Ragione, Mattia Cinquegrani e Ilaria Sinopoli, studenti e inviati di Roma Tre Radio al Festival di Sanremo 2016

ticolare rivolta all’informazione, dalla politica alla storia passando per lo sport e il sesso. Radar intende discutere di temi di attualità e politica con ospiti, dibattiti e vox populi, creando un filo diretto con gli ascoltatori. Un tuffo nella cultura storica con Giano, il programma nato dal Master in Esperto in comunicazione storica, televisione e multimedialità che, ogni settimana ci conduce in un diverso percorso nel passato più o meno remoto. Fantacalcio, anticipi di campionato e iniziative sportive sono invece i protagonisti di Triplice Fischio. Intorno a tutte le declinazioni del sesso gravita Bonobo che, attraverso contributi, interviste e approfondimenti esplora diversi territori scansando ogni tipo di tabù, preconcetto e imbarazzo. Personaggi, storie, spettacoli, aneddoti Dietro le quinte della scena teatrale romana e non solo. Un viaggio nel mondo della letteratura, della scrittura, nei modi di in cui le parole prendono vita con Dickens. Insomma cinema, musica, letteratura, teatro, sport, politica, sesso, informazione e curiosità d’Ateneo, tutto ciò che in generale possa essere di interesse della comunità universitaria diventa immediatamente oggetto di ricerca dei redattori che realizzano contenuti cercando di creare e stimolare l’interazione tra gli ascoltatori e lo speaker “on air”. La voce dello speaker è fondamentale per dare un’esplicita immagine sonora e se vogliamo anche un carattere. Ad ogni studente che decide di approcciarsi al microfono è affidato il compito di dare una voce, un colore, un’intensità, un’intenzione, uno stile e quindi un’anima poiché riflette tutto il lavoro svolto da tecnici, redattori e registi. Quando ascoltiamo la radio, il nostro immaginario si rivolge subito alla conduzione, alle voci e ai contenuti ma tutto questo non potrebbe andare in onda senza colui che sta dietro le quinte, che si occupa di “mettere la musica”, i jingle, che regola i microfoni, che dà i tempi al programma, che fornisce indicazioni allo speaker circa i tempi a disposizione per parlare: il regista. Anche la musica ha un ruolo centrale che tende a convergere su una selezione alternativa a quella adottata da altre radio. Ben tre i programmi che ci raccontano la musica in tutte le sue sfaccettature. Una library in cui trova spazio musica degli anni Sessanta e Settanta, dal Punk al Surf fino al Reggae, musica

pop e commerciale fino a quella emergente e indipendente. È questo l’obiettivo di Get Back, Around the Pop e Doremu, univoca e compatta missione di ricerca e originalità orientate a dare una personalità autonoma e coerente alla radio. Il requisito principale richiesto agli studenti è avere entusiasmo e passione e soprattutto avere qualcosa da dire. In questa dimensione l’amicizia, la complicità fra colleghi, le capacità di lavorare in team, di fare squadra sono pratiche ed elementi necessari per poter “fare radio”, poiché diventano il cuore pulsante per proseguire l’esperienza radiofonica al di là di possibili riscontri in termini di crediti formativi. Tutto il resto verrà costruito attraverso la formazione che l’Ateneo garantisce all’interno dei propri Dipartimenti, attraverso corsi (il Laboratorio di Operatore radiofonico della prof. Marta Perrotta) e soprattutto attraverso la pratica e la costanza. Roma Tre Radio inoltre cerca di trasformare la passione in lavoro grazie alle connessioni create con il mondo radiofonico esterno all’università. Un’opportunità, quest’ultima, che la nostra radio ha dato sin da subito agli studenti, ovvero lavorare nel settore radiofonico e giornalistico in progetti nazionali ed europee come M2U University e Europhonica. Roma Tre Radio è entrata a far parte m2U insieme ad altre 17 radio del circuito RadUni. Ogni settimana le voci dei nostri speaker si alternano al microfono per proporre brevi notiziari sugli eventi che si svolgono a Roma Tre sulle frequenze nazionali del network m2o. Al programma Europhonica, un format internazionale in diretta dal Parlamento europeo che, grazie alla prima redazione europea di studenti e professionisti, ne racconta i lavori in tutte le lingue delle radio aderenti (Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Germania), partecipano altrettanti rappresentanti di radio universitarie italiane, tra due studentesse dell’Università che già collaborano con Roma Tre Radio. La radio universitaria è un valido strumento di formazione, di comunicazione e di aggregazione per gli studenti dove possono sperimentare e cimentarsi con un linguaggio e un mondo ricco, appagante e pieno di stimoli come quello radiofonico. Roma Tre Radio è tutto questo ma è principalmente e semplicemente una voce, un mixer, un microfono, una squadra. Ingredienti vincenti di una realtà giovane ma animata dalle energie di coloro che ne fanno e ne vorranno far parte.


Palladium Il possibile e il necessario. Sulla sostenibilità del mestiere teatrale Raimondo Guarino

Se parliamo di teatro, le urgenze e le questioni vitali non riguardano edifici da riempire di eventi o istituzioni che controllano e valutano (e finanziano) pratiche consuete eppure sempre incerte. Le urgenze e le emergenze toccano la sopravvivenza di chi fa il Raimondo Guarino teatro, individui e comunità che inventano forme di convivenza e modi di produzione culturale. Pilota del possibile, l’attore contemporaneo ha smarrito armi e difese della sua società alternativa, la microsocietà descritta dalle analisi di storici e testimoni come Nando Taviani e Claudio Meldolesi, che hanno elargito alle ricognizioni storiche e sociologiche la descrizione di una realtà misconosciuta. Discuto quotidianamente con attori trentenni che si pongono quesiti sostanziali sulla definizione della loro identità professionale e artistica, che cercano di progettare la trasversalità e la continuità, tra cinema, scena e media, della loro esperienza. Cerco di distoglierli da una definizione puramente tecnica o psicologica del loro sconcerto. Non sono le pressioni dei media, o la rarefazione della sfera pubblica, a decretare il disorientamento del mestiere teatrale, ma la fine della ragione artistica e comunitaria della compagnia teatrale, e la sua difficile eredità nel Novecento: l’eredità dei laboratori e dei teatri di gruppo, che nei decenni conclusivi del secolo scorso hanno surrogato le sfaldate convenzioni della vita nel teatro. Non si deve perdere consapevolezza di questi fattori, se si vuole dare un senso alla riflessione su trasformazione e cambiamento di funzione del fare teatro. Specialmente oggi, nel momento in cui, alla funzione della produzione di intrattenimento colto si sta affiancando e sostituendo, come accredito istituzionale, un orizzonte di impegno che si traduce nelle formule del «teatro sociale» o «teatro di interazione sociale». Il teatro non si spiega come specchio di una società ma come esperimento o crisi di un’identità comunitaria, al cui interno si rinnovano, si custodiscono o si atrofizzano saperi e strategie. Le pratiche e le culture che attribuiamo al teatro hanno valore in quanto focalizzano il rapporto tra «costanza della trasmissione» e «scelta» nella tradizione di comportamenti e di azioni simboliche (faccio ricorso al lessico di Schechner in Restoration of Behavior). Si tende a ridurre lo

spessore relazionale del teatro all’insorgenza fenomenica della presenza dell’attore e dello spettatore nel luogo e nel tempo dello spettacolo, alle sue varianti più o meno imprevedibili. Si tratta di situazioni in cui si nascondono strutture profonde, e si condensano conflitti e possibilità incalcolabili, che ne sono l’ombra indispensabile. Anche nella sua precarietà, costante e attuale, il teatro si cerca nella «verità limitata» del «gesto compiuto» (Artaud). Per questo negozia costantemente condizioni economiche e invenzioni sociali. Sospende identità e comunità e le ricrea. Il teatro è vivo quando reinventa un’economia. Quando la subisce, o si le si assoggetta perde definizione e sopravvive sugli equivoci. Quando non tocca la reinvenzione della persona e del suo campo di azioni e passioni, il fare teatro resta la riproduzione della funzione esaurita di un assetto sociale inerte. Oppure un risvolto secondario e residuale dei modi di produzione e consumo egemoni dello spettacolo. Oggi l’orizzonte del «teatro sociale», nelle segreterie degli assessorati, e anche nelle assemblee e nelle programmazioni dei teatranti, sembra risolutivo; ed è in parte una percezione fondata, perché identifica zone e ragioni di bisogno della compe-

Julian Beck (1925-1985), fondatore con Judith Malina del Living Theatre

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Teatro in carcere: Shakespeare. Know well, Compagnia della Fortezza, regia di Armando Punzo, carcere di Volterra, luglio 2015. Foto: Stefano Vaja

tenza specifica dell’uomo di teatro sugli strumenti e le dimensioni della relazione interpersonale. Ma è opportuno distinguere, nel considerare la portata di questa riconversione, fasi e direzioni del processo. C’è una fase (anni 1960-70), in cui l’esplorazione dei margini ha coinciso con le necessità e con la ricerca di trasformazione di esperienze radicali, portando gli uomini di teatro a trovare campo e senso nei territori dell’istituzione totale (i passaggi del Living Theatre nell’universo carcerario e manicomiale, il lavoro di Giuliano Scabia con Basaglia a Trieste). Qualche decennio dopo, intorno al 2000, la percezione sensibile e aggiornata del teatro vivo e manifesto si è completamente spostata su zone fertili e impervie, aperte e dissodate da ostinate esplorazioni. Esplicitando esempi di riferimento, per il lettore italiano è obbligata la menzione della Compagnia della Fortezza, nata dentro le mura del penitenziario di Volterra, o del lavoro di Marco Martinelli nello sfacelo civile di Scampia. Episodi che hanno generato e accompagnato processi diffusi, configurazioni e reti, ricognizioni e obiezioni. In relazione a questi movimenti, e alle rivendicazioni e posizioni di protagonismo nel terreno della marginalità, la ricerca originaria è stata intercettata e reinvestita dalle istituzioni (e da ciò che resta delle politiche culturali) in termini di riconoscimenti e assegnazioni di competenza sui fattori elementari della relazione creativa; e tradotta nella fissazione di nuove funzioni del fare tea-

trale come mobilitazione di comunità ristrette, separate o subalterne. Rispetto a questa delega, che corrisponde a requisiti e valori intrinseci, l’uomo di teatro dovrebbe restare consapevole dell’autonomia dei suoi fini e della misura delle sue necessità. L’indipendenza del teatro nelle nuove funzioni, oltre i variabili compromessi e l’adattamento a requisiti e risorse, è una specie di mandato di originalità antropologica. Il terreno conteso, rispetto al quale si può ragionare di indipendenza e di possibilità di negoziare sopravvivenza e coerenza, ha a che fare con il corpo, la persona, la memoria. Credo che implicita nella persistenza del teatro ci sia un’aspirazione all’esperimento dell’estraneità, della differenza radicale. Differenza, tuttavia, è un termine sottile e stregato, coniato e connotato dalla filosofia. Per questo preferisco suggerire la concretezza di una verità limitata e irriducibile, che non è una categoria ma un atteggiamento, un ambiente e un respiro. Le preoccupazioni e le intenzioni dell’attore trentenne, e dello studente che si muove nella rarefazione dei riferimenti, dovrebbero comunque, più che curare la riconoscibilità della propria immagine, la sanzione del proprio passaggio tra supporti, contesti e dispositivi, orientarsi oltre le scansioni dell’estetico e del politico, nella sfera in cui le riflessioni su tecniche e valori interpellano nuove misure dell’azione e nuovi principi della convivenza. In un celebre intervento del 1990 (pubblicato nel 1993), Jerzy Grotowski, riprendendo una definizione del suo lavoro formulata da Peter Brook, ha indicato il saliente decisivo con una frase concisa e rivelatrice come un emblema, anche ovviamente in virtù della portata dell’esperienza che la detta: Dalla compagnia teatrale a L’arte come veicolo. Una diagnosi in cui la percezione di una dinamica storica si converte in una visione pragmatica. Dopo la disfatta delle specifiche ragioni sociali e organizzative dettate alla produzione di spettacoli, gli uomini di teatro, per qualche generazione, hanno attraversato con un bagaglio proprio la perdita di potere e di definizione del fare artistico, e sofferto l’asfissia di un’inutile libertà. Hanno reagito col generare discipline e rivolte, pratiche e ambiti di invenzione, critica e conservazione del rapporto tra corpi e menti, tra persone e ruoli, nelle circostanze date del presente, specialmente nelle zone in cui la persona si perde e si cerca. Le traiettorie memorabili del teatro del secondo Novecento hanno approfondito e poi trapiantato e testato in ambiti di esclusione e reclusione gli esperimenti sulla verità scenica. Hanno spostato i confini, rifuso l’intimo e il pubblico, rifatto i corpi e trasformato le sostanze vitali e la biosfera di un mestiere arduo e inesauribile perché anacronistico. Studiare e pensare il teatro, per gli studenti e gli attori del 2020, significa muoversi in questa regione. Non è possibile un viaggio di ritorno né un miraggio di quiete. Non restano, come approdi di una necessità condivisa, che il valore e la coscienza del mestiere, la verità limitata e focalizzata e la creazione continua dei gesti compiuti.


Palladium “Aprile in danza” al Teatro Palladium Ylenia Giorgione

Una primavera all’insegna di Tersicore, quella del Teatro Palladium dell’Università Roma Tre, che nel prossimo aprile ospiterà per la prima volta una rassegna specificamente dedicata alla danza contemporanea. Si tratta di un’importante novità, sia per il Ylenia Giorgione programma del teatro, sia per la difficoltà di trovare nella capitale spazi appositi per l’espressione di questa particolare forma d’arte. Queste le date (con inizio previsto sempre alle 20.30): sabato 2 aprile, Il tempo del ritorno di Benedetta Capanna; giovedì 7 aprile, The Vanity Monsters della compagnia Out Dance Project; sabato 23 aprile, Demetra Core 2.0, di Giovanna Velardi; venerdì 29 aprile, BEHIND, Universi paralleli della “Mandala Dance Company”. Il tempo del ritorno, presentato dall’Associazione Culturale “Excursus Onlus”, è una sorta di sguardo composito sulla danza, articolato in tre lavori coreografici. Il primo, Danze rotte, nella bolla di

Demetra Core 2.0 di Giovanna Velardi, il 23 aprile al Teatro Palladium

Pasolini, è un pezzo coreografato e danzato da Benedetta Capanna, artista internazionale, per la direzione di Mauro Raponi (regista e fotografo con esperienza specifica in arti visive) e con la consulenza musicale di Vittorio Giannelli. La coreografia proietta lo spettatore nella realtà di Roma, la grande città “dove tutto sembra spezzettarsi” e ad avere la meglio è la solitudine. La danza viene accompagnata dalle suggestioni di uno dei più grandi poeti che ha raccontato la vera anima di Roma nelle sue opere, Pier Paolo Pasolini. Il secondo, Epiphany of Returning, è un film di danza di Benedetta Capanna e Richard Spunthoff, filmaker e fotografo, girato a Baad Bronx nel gennaio 2014, e vincitore di numerosi premi internazionali. Il filo conduttore del “ritorno” è qui inserito come esempio di mistero e stupore: i gesti ripetuti e le loro variazioni vogliono ricercare l’autenticità del presente. Infine, Apah, coreografia di Benedetta Capanna, porta in scena Benedetta Capanna, Maria Elena Curzi (laureata a Roma Tre, con esperienze al Renato Greco Dance Studio, al Duncan 3.0 e al Modem Pro della Compagnia Zappalà) e Giordano Novielli (laureato in Moderne TheaterDans presso la Theaterschool di Amsterdam e tra i fondatori, nel 2014, del gruppo di ricerca performativa “Cadavre Exquis”). La coreografia, che

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BEHIND, Universi paralleli, Mandala Dance Company, il 29 aprile al Teatro Palladium

simboleggia il ritorno alle origini, ricrea in un rituale danzato una sorta di trance attraverso cui poter elaborare ed esorcizzare la pesantezza della nostra storicità e della semplice fragilità umana. The Vanity Monsters, inscenato dalla compagnia “Outdance Project”, per la coreografia e la regia di Cristina Pitrelli, è uno spettacolo di danza contemporanea sull’importante tema dell’accettazione di se stessi da parte dei giovani. L’ossessiva ricerca di appartenere a uno stereotipo, che cancella la propria identità, è una condizione che viene sottolineata attraverso il corpo e il movimento, un linguaggio dinamico concepito per rappresentare le paure, le debolezze e lo smarrimento dei giovani. La leggerezza e l’ironia delle danzatrici, nella libera espressione del loro corpo, intendono tuttavia lanciare un messaggio positivo, per l’accettazione di se stessi, alla ricerca di un proprio equilibrio, tra i volteggi sul palco come nella vita. Demetra Core 2.0 apre le porte sul mondo del mito greco, in particolare quello di Demetra e Persefone, per riflettere e interrogarsi sull’appartenenza del potere e sul funzionamento della democrazia. La coreografa, Giovanna Velardi, descrive così il suo progetto: «È uno spettacolo coreografico, che nasce dalla ricerca di un significato condiviso dei simboli, un’indagine interculturale sul rapporto tra l’uomo e l’avatar, tra un oggetto e il suo segno. Un percorso coreografico sul fantasma, sul prestanome, sul valore del simbolo nella società dell’immagine». Alla base dello spettacolo è un coro formato da danzatrici, il quale evoca lo spazio teatrale antico,

l’elemento umano presente nel mito. Lo spettacolo, «un percorso non lineare, fatto di emozioni, di pensieri e riflessioni, di intenzioni che si traducono in segmenti che, giustapposti creeranno un percorso drammaturgico che indaga gli aspetti umani le pulsioni, animali, ancestrali, terrene», invita a riflettere sulla società dell’immagine, quella società svuotata di significato e resa viva nella sua volgare banalità. Ultimo degli appuntamenti è BEHIND, Universi paralleli, presentato da “Mandala Dance Company”, per la regia e le coreografie di Paola Sorressa. Lo spettacolo s’ispira ai temi delle discipline scientifiche, in particolare ai concetti della fisica quantistica, mescolando arte e scienza non solo attraverso la danza, ma anche tramite la musica, composta appositamente dal M° Claudio Scozzafava. La musica affianca atmosfere elettroniche a un quartetto d’archi, trasportando lo spettatore in uno spazio senza tempo, con un’interessante innovazione della modalità di costruzione musicale: «nel primo studio le coreografie sono nate sulla musica; invece nel completamento definitivo della produzione il compositore, con le stesse modalità del cinema, ha creato le musiche sulle coreografie». Nell’insieme, “Aprile in danza” al Palladium assicura uno sguardo articolato e complesso su diversi aspetti della danza contemporanea, offrendo al contempo la possibilità, a giovani talenti, di esibirsi sul palco di un teatro universitario, la cui missione è anche quella di essere luogo d’incontro e discussione di nuove proposte provenienti dal mondo dell’arte e della cultura.


Post Lauream Educazione interculturale: master di primo livello del Dipartimento di Scienze della formazione Massimiliano Fiorucci «Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla» Martin Luther King Nel medesimo contesto socio-economico e culturale si trov an o oggi a convivere, più Massimiliano Fiorucci che in passato, persone provenienti da paesi e da sistemi sociali e culturali diversi. La società odierna è, infatti, sempre più il frutto delle relazioni tra coloro che, pur facendo riferimento a sistemi culturali e valoriali in alcuni casi differenti, contribuiscono alla creazione e allo sviluppo della società in cui si trovano a vivere. Sta diventando, dunque, sempre più indispensabile garantire le condizioni affinché tutti possano accedere alle medesime opportunità sociali, nell’ottica della realizzazione dei singoli progetti di vita e, affinché questo avvenga, è necessario predisporre curricula di educazione interculturale al fine di consentire, da una parte, l’inserimento dei soggetti stranieri nelle società di arrivo e, dall’altra, la diffusione di abiti di accoglienza tra gli autoctoni. L’educazione interculturale nasce proprio dal bisogno di trovare strumenti adeguati ad accompagnare e gestire alcuni fenomeni divenuti oggi cruciali, tra i quali in particolare l’immigrazione, che sta assumendo una dimensione sempre più planetaria, l’inarrestabile processo di globalizzazione dei mercati e dell’informazione, il riemergere nelle società occidentali di nuove forme di razzismo e di intolleranza nei confronti delle “diversità”. L’educazione interculturale si propone di rispondere, in termini di prassi formativa, alle sfide e ai problemi che pone il «mondo delle interdipendenze» (Susi, 1999) e vede, chiaramente, la scuola e

tutte le altre agenzie educative e formative come punti nevralgici per la costruzione di una società realmente interculturale. L’esigenza di operatori e professionisti in grado di gestire ed avviare pratiche interculturali è sempre più avvertita e, pertanto, sempre più azioni formative sono finalizzate a soddisfare questi bisogni differenziati che richiedono una formazione qualificata e aggiornata. Per contribuire a questo processo di formazione e aggiornamento, a partire dall’anno accademico 2014/15, il Dipartimento di Scienze della formazione, avvalendosi della collaborazione del CREIFOS (Centro di Ricerca sull’Educazione Interculturale e la Formazione allo Sviluppo), ha attivato il Master di primo livello in Educazione interculturale (www.creifos.org/master). Il master si propone di promuovere nei corsisti le competenze culturali, pedagogiche, metodologiche e didattiche necessarie per un corretto svolgimento dei processi di formazione interculturale. La formazione offerta riguarda aspetti culturali, pedagogici e didattici finalizzati all’aggiornamento e alla qualificazione degli operatori che, sia nella scuola sia nell’extrascuola, si occupano di immigrati stranieri ai diversi livelli di età e che sono impegnati nella predisposizione di curricula di educazione interculturale. Un punto di forza del master è l’approccio formativo basato sull’intreccio tra teoria e prassi che offre sia momenti di riflessione, tematizzazione e approfondimento, sia momenti operativi e concreti durante i quali fare esperienza e imparare a riflettere su di essa. Docenti e tutor seguono i corsisti per tutta la durata del percorso, incoraggiando il confronto e lo scambio di esperienze, coinvolgendo attivamente i partecipanti (i quali sono visti come competenti ed esperti) e predisponendo strumenti atti a sperimentare nuove strategie di intervento sul campo. Il Master, di durata annuale, è svolto in modalità didattica blended (mista); in particolare si effettua a distanza l’erogazione dei contenuti formativi e lo svolgimento di attività di esercitazione, di laboratorio e di scambio di comunicazione tra gli iscritti, i tutor e/o i docenti; si svolgono invece in presenza i periodici incontri seminariali, lo stage e la prova finale. Il totale delle attività prevede un impegno di 1500 ore pari a 60 CFU.

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Non tutti sanno che Il portale Croqqer sbarca a Roma: un ponte tra tecnologia e umanità Alessandra Lombardi

Alessandra Lombardi

È appena stato lanciato in Italia il sito per condividere arti e mestieri, modello simile alla banca del tempo, ovvero lavoro in cambio di tempo o di crediti. Il suo scopo è quello di creare connessioni tra abitanti di un quartiere o vicini di casa per condividere tempo, talento e competenze tra

di loro. Si chiama Croqqer, è una piattaforma di sharing economy e rappresenta un sistema operativo di jobsharing del futuro, a chilometro zero, per rendere possibile l’incontro e lo scambio veloce, fluido, sicuro, affidabile e pratico tra le esigenze delle persone e la possibilità di soddisfarle. Una piattaforma online dove domanda e offerta si incontrano. Sei un Croqqer se metti in rete quello che sai fare, se baratti il tuo tempo con altro, se chiedi di essere aiutato nei lavori domestici o in cucina, se hai bisogno di un furgone per un trasporto o un trasloco. Sei un Croqqer sia che tu possa farlo gratuitamente sia che tu voglia chiedere un compenso equo. Nata inizialmente in Olanda, dal 1° ottobre è attiva a Roma, Milano, Monza e tutta la Brianza, Genova, Trento, L’Aquila, Pescara, Lanciano, Ortona, Napoli e Bari. La missione, in un’epoca in cui si sta rivoluzionando il concetto di lavoro, è di costruire le basi per una trasformazione positiva nel mondo del lavoro e generare un impatto positivo sulle persone e sulla società, creando valore sociale ed economico. Croqqer è una comunità di persone che si propone di distribuire i dividendi con la comunità stessa per il sostentamento della piattaforma. È infatti appena diventata una B Corp, vale a dire un’azienda che si contraddistingue per un impatto positivo rispetto ai lavoratori, all’ambiente e alla comunità in cui opera che vede il business come una forza di rigenerazione della società e del pianeta. Di recente è stata infatti approvata al Senato una proposta di legge che prevede l’istituzione in Italia della Benefit-Corporation. Il nostro paese quindi, dopo l’approvazione alla Camera, diventerà il primo al mondo, dopo gli Stati Uniti, a riconoscere le bCorp. Croqqer è una “piazza comune” sotto forma di piattaforma tecnologica dove chiunque può postare gratuitamente la propria richiesta di aiuto sia per lavori manuali (imbiancare una stanza, monta-

re un mobile, fare giardinaggio e così via) sia per lavori non manuali (lezioni, traduzioni, assistenza digitale e così via). I servizi si possono “comprare”, donare o scambiare con tre possibili modalità di gestione della transazione: A – si può offrire in cambio un compenso stabilito liberamente tra le parti B – chiedere che l’aiuto venga offerto su base volontaria C – chiedere che il rapporto sia regolato attraverso uno scambio (ad esempio il montaggio di un mobile in cambio di lezioni di inglese). Pubblicare una richiesta di servizio è gratuito, basta registrarsi online sul sito. Una volta inserita la richiesta, si aspettano le risposte, si analizzano i profili e le recensioni e si sceglie l’aiuto Croqqer ritenuto più adatto. Gli scambi sono moderati da un team di community manager locali appositamente specializzato. Una volta scelto il Croqqer giusto, le parti regolano tra loro la transazione e, solo se il lavoro prevede un compenso, Croqqer trattiene una percentuale che serve a fare funzionare e crescere la piattaforma e invia regolari fatture proprio per evitare lavori al nero. Per ulteriori informazioni visitate il sito www.croqqer.it o scrivete a: italia@croqqer.com


Mai più spose bambine La campagna di Amnesty International in collaborazione con Roma Tre

Riccardo Noury al Giardino dei Giusti a Roma. Foto: Gariwo

Secondo le stime delle Nazioni Unite, ogni anno 13 milioni e mezzo di ragazze sono costrette a sposarsi prima dei 18 anni con uomini molto più vecchi di loro: una media di 37.000 matrimoni forzati e precoci al giorno. I matrimoni forzati e precoci sono una gravissima violazione dei diritti umani. Isolate, tagliate fuori da famiglia, istruzione e sostegno, le spose bambine perdono la loro infanzia e la loro libertà e sono sottoposte a vessazioni e violenze. Molte di loro rimangono immediatamente incinte, a un’età in cui il loro corpo non è pronto per una gravidanza. La correlazione tra matrimoni forzati e precoci e mortalità materna è tremenda. L’8 marzo l’Università Roma Tre e Amnesty International Italia hanno organizzato la proiezione, in anteprima nazionale, del film La sposa bambina della regista yemenita Khadija al-Salami. Il sottotitolo del film (che a fine aprile sarà distribuito da Barter Italia) dice tutto: «Mi chiamo Nojoom, ho 10 anni e voglio il divorzio». E lo ottiene… Per Nojoom e tante altre ragazze di età inferiore ai 18 anni, in Yemen è molto comune essere sposate; sono stati registrati addirittura casi che coinvolgono bambine di 8 anni. Il fenomeno è presente in molte altre zone del Medio Oriente. Donne e ragazze rifugiate siriane in Giordania tendono a essere date in sposa prima dei 18 anni secondo una pratica diffusa soprattutto nelle aree rurali della Siria; le siriane che vivono nel campo rifugiati di Zaatari hanno riferito di alcuni giordani che visitano i campi in cerca di donne da sposare. In Iran, l’età legale per il matrimonio per le ragazze è di 13 anni, ma possono essere date in sposa anche a un’età inferiore a una persona scelta dal padre o dal nonno paterno, se esiste il permesso di un tribunale.

Nell’area del Maghreb, il fenomeno dei matrimoni forzati si inserisce nel contesto di quadri legislativi lacunosi che non tutelano adeguatamente le donne dalla violenza. Il Marocco ha abolito la norma che prevedeva l’impunità in cambio del “matrimonio riparatore” in caso di stupro di una minorenne, ma è privo di un quadro legislativo organico sulla violenza contro donne e ragazze. Negli ultimi anni in Algeria le autorità hanno varato alcuni provvedimenti volti a migliorare i diritti delle donne, tuttavia è rimasta in vigore la norma abrogata in Marocco, in base alla quale gli uomini che stuprano ragazze di età inferiore ai 18 anni non sono perseguibili penalmente se sposano la loro vittima. Il fenomeno dei matrimoni precoci è diffuso anche moltissimo in Asia meridionale, dove il 46 per cento delle ragazze viene dato in sposa prima di aver compiuto 18 anni. Secondo i dati dell’Unicef, il Bangladesh è il paese al mondo con il più alto tasso di matrimoni di bambine al di sotto dei 15 anni. In Afghanistan, uno studio condotto dal ministero degli Affari femminili nel 2004 ha rilevato che il 57 per cento delle donne intervistate era stato dato in sposa prima dei 16 anni, alcune anche a soli 9 anni. In Burkina Faso, il matrimonio forzato è un fenomeno estremamente diffuso, soprattutto nelle zone rurali. Alcune ragazze hanno raccontato ad Amnesty International di essere state costrette a sposarsi a 11 anni. Il paese africano è al settimo posto al mondo per matrimoni forzati e precoci: una bambina su 10 si sposa prima dei 15 anni. Più della metà di tutte le donne del paese si è sposata quando aveva meno di 18 anni. La differenza di età tra una ragazza e il suo futuro coniuge arriva fino a 50 anni. Ma proprio dal paese africano arrivano, a seguito di una campagna di Amnesty International, segnali incoraggianti. Il 29 dicembre 2015 il ministero per l’Azione sociale e la solidarietà nazionale ha adottato la Strategia nazionale 2016-2025 e un piano triennale d’azione (20162018) per far cessare e prevenire il fenomeno delle spose bambine. Dal canto suo la settimana scorsa il ministro della Giustizia, dei diritti umani e della promozione civica ha affermato l’impegno del governo nella medesima direzione, attraverso l’innalzamento a 18 anni dell’età minima delle donne per il matrimonio e l’introduzione del reato di matrimonio forzato nel codice penale.

recensioni

Riccardo Noury

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«La Sposa Bambina è una tipologia di film necessaria che dovrebbe essere prodotta e distribuita con grande attenzione, perché ci porta in contatto con realtà lontane e culturalmente ancora primitive ma ahimè ancora attuali. Come ufficio stampa del film è un piacere poter presentare questa storia ai giornalisti affinché se ne facciano tramite. Il cinema non può cambiare il mondo ma può aiutare ad arricchirne la conoscenza e La Sposa Bambina dimostra come la possibilità di imparare è forse l’unica strada per cambiare » Stefania Collalto


Safa e la sposa bambina Intervista all’autrice e interprete Isabel Russinova Federica Martellini

Isabel lei è autrice e interprete di Safa e la sposa bambina, un lavoro che si ispira ad una storia vera che accade nella Siria contemporanea… Sì, la narrazione teatrale prende spunto da una storia vera, purtroppo una storia come tante, troppe che si possono raccontare in questi cinque terribili anni in cui la Siria è precipitata all’inferno. La Siria è un paese dove niente è più com’era – ancora una volta assistiamo all’orrore della storia e la brutalità dell’uomo ritorna a calcare i passi della vergogna – e dove ci vorrà tanto, troppo tempo per dimenticare e ricostruire. Safa è una donna come le tante a cui la guerra ha tolto tutto, affetti, famiglia, figli, amore, casa; le ha lasciato ancora la vita che è però terribilmente appesantita e chiusa in un incubo che la maggior parte di noi non può neanche immaginare, credo che solo chi ha vissuto la guerra possa davvero capire. In questi anni ci sono stati tanti morti, più di 4 milioni di profughi sono fuggiti e ci sono più di 8 milioni di sfollati, persone come noi, che avevano una vita normale, un impiego, un futuro e che ora hanno perso tutto e vagano senza aiuti in un deserto di morte dove ogni minuto potrebbe essere l’ultimo. Safa è una rifugiata, ora vive in un campo profughi, una volta aveva un casa, un lavoro, un figlio, un marito, delle ambizioni, delle aspettative; ora non ha niente, solo incubi che non si placano. È scappata portando con sé un giovanissima sposa bambina che con lei ha diviso la stessa sorte di schiava daesh, sono riuscite ad andare via e insieme cercano una piccola luce per illuminare ancora il loro futuro, l’unica strada per Safa è rifugiarsi nel sogno, nella fantasia, costruire una realtà parallela per poter sopravvivere, così inventa una favola che diventa metafora e anche chiave di una porta dove potersi rifugiare per non morire, un po’ come accade col racconto di Sherazade che ogni notte, per poter sopravvivere, non conclude la storia che racconta al sultano che la tiene prigioniera e l’ha già condannata a morte. Ed è proprio la storia che lui vuole continuare ad ascoltare che la salverà. Potremmo dire che il testo è soprattutto il racconto di una alleanza al femminile come chiave per sopravvivere alla violenza? Sì certo è così, fantasia, creatività, immaginazione diventano strada, strumento, nutrimento che permette di sopravvivere, la solidarietà femminile, la volontà e il sentimento materno che scaturisce in Safa nei confronti della giovanissima sposa bambina sono così forti da sfidare la brutalità, la violenza, l’ignoranza, ancora una volta il femminile torna ad essere portatore di vita, come in fondo è il mondo femminile da sempre, cuore pulsante di vita. La donna sa sopportare, sa soffrire, sa aspettare, sa pazientare, sa immaginare, sa lottare per un cambiamento; così è stato da sempre, la donna non si è mai rassegnata, piegata e non si piega e non si rassegna a chi la vuole offendere, è la storia a dirlo. Mi viene ora da pensare a Kobane dove molte donne hanno scelto di stare in prima linea e combattere e lottare per i propri diritti e quelli di tutta la loro comunità, dove uomini , donne, kurdi , turcomanni, arabi sunniti, sciiti cristiani, yazidi, atei possano avere gli stessi diritti e una convivenza serena. Quanto, a suo avviso, è cruciale la forza creativa di questa alleanza nella storia delle donne e nei destini di tante di noi, in molte epoche e tante latitudini? Credo che sia basilare e credo che appunto la storia della donna lo racconti, i suoi corsi e ricorsi la vedono comunque sempre protagonista di battaglie atte a portare luce, civiltà, apertura, nonostante tutto, nonostante il suo destino, che in molti casi l’ ha costretta a muoversi nel buio, a non avere voce, ad essere spinta nella dimensione del nulla, nonostante tutto la donna è sempre risorta per accompagnare il futuro dell’umanità.

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Il bambino che scoprì il mondo Fra sogni e radici: il viaggio per diventare grandi Francesca Gisotti Il cinema ha trattato spesso, soprattutto negli ultimi anni, il tema della sostenibilità. Lo ha fatto raccontando storie sui processi di trasformazione del Pianeta, sia ambientali che economici, documentando le conseguenze di sistemi produttivi aberranti, che hanno sconvolto l’esiFrancesca Gisotti stenza di milioni di persone, analizzando possibili modelli di sviluppo alternativi, più rispettosi dell’ecosistema e delle tradizioni e radici culturali delle popolazioni interessate. Fra i film che hanno saputo coniugare un contenuto tematico forte con la potenza espressiva delle immagini, parlando contemporaneamente sia alla testa che al cuore degli spettatori, c’è Il bambino che scoprì il mondo, lungometraggio di animazione del regista brasiliano Alê Abreu. Un’opera poetica e delicata che affida agli occhi curiosi e pieni di meraviglia di un bambino il compito di aprire una finestra sulla realtà del Brasile contemporaneo. Un film che racconta la sostenibilità da tanti punti di vista differenti. C’è innanzitutto la sostenibilità intesa nel senso letterale di “possibilità di sostenere”. Qui a sostenersi l’uno con l’altro sono i componenti della famiglia a cui il bambino appartiene. Figure stilizzate che rappresentano una famiglia fra tante nel mondo, con le necessità concrete delle persone reali. All’inizio della storia, la loro vita scorre serena, in armonica sintonia con la natura in cui sono immersi. La campagna brasiliana viene rappresentata da Abreu come un tripudio di colori e creature meravigliose: fiori, pesci, uccelli, piante, nuvole che catturano quotidianamente l’attenzione del bambino, regalandogli un’infanzia in cui sperimentare il potere del gioco come occasione costante di conoscenza. La musica accompagna e valorizza la rappresentazione di questo universo, lavorando insieme alle immagini a tracciare un percorso segnato dalle relazioni fra il bambino e il mondo che lo circonda, raccontato attraverso il filtro delle sue emozioni ed esperienze sensoriali. Ma poi ecco che qualcosa di estremamente doloroso arriva a

sconvolgere l’esistenza del piccolo. Il padre è costretto a partire alla ricerca di un lavoro, portando con sé anche l’idea di una vita al riparo dalle preoccupazioni e dalle responsabilità. Inizia anche per il bambino un viaggio, il viaggio del diventare grandi, della consapevolezza e della scoperta di una realtà “altra”, molto meno rassicurante di quella in cui era vissuto. Partito alla ricerca del padre, ma soprattutto di sé, il bambino si ritroverà all’interno di contesti a lui totalmente estranei: piantagioni di cotone gestite da grossi proprietari terrieri, fabbriche grigie dove gli operai sono ridotti a semplici strumenti di produzione, metropoli pericolose e sovrappopolate, in cui le persone si muovono come automi, incuranti le une delle altre, e la musica si fa assordante e ripetitiva . Gli esseri umani sono diventati corpi indistinti che procedono per forza di inerzia, tutti presi nelle medesime occupazioni, omologati ad un sistema che nega ogni individualità. Per “sostenersi”, in questo contesto, è necessario affidarsi ai ricordi e ai sogni, per non perdere quelle tracce della propria storia che sole possono garantire la salvaguardia delle proprie radici. Il bambino si sposta nello spazio e nel tempo, incontrando lungo la strada figure amiche la cui vera identità sarà compresa alla fine. Il bambino non ha nome né voce (in questo film vengono pronunciate pochissime parole, fra l’altro in una lingua inesistente), ma parla il linguaggio universale della fantasia e della creatività. Un linguaggio che Alê Abreu conosce molto bene e che ha saputo utilizzare con grande originalità e raffinatezza, riuscendo a muoversi con disinvoltura attraverso tipi di animazione diversi fra loro, dal disegno animato al découpage, dalla computer grafica al cut out, e alternando momenti di leggerezza a momenti di tensione drammatica. L’idea iniziale era quella di un documentario di animazione sulla storia latinoamericana, poi Abreu ha ritrovato un quaderno in cui aveva abbozzato il personaggio del bambino e il racconto ha preso un’altra forma. La rappresentazione del Brasile diventa quindi rappresentazione di un luogo simbolico della società contemporanea, con i suoi problemi e le sue contraddizioni. Un luogo da riscoprire con gli occhi pieni di meraviglia dell’infanzia, racchiusa in ognuno di noi e desiderosa di continuare a vivere e a sostenerci.


Tradurre in realtà un’utopia Itinerario narrativo attraverso le città ideali Michela Monferrini

A vederle non sembrerebbe, ma c’è qualcosa che lega Latina, la città laziale, a Scarzuola, in provincia di Terni. Geometrica e razionale l’una; esplosione di forme, simboli, giochi di luce e d’acqua l’altra, per di più disabitata (o meglio, abitata privatamente da una Michela Monferrini sola famiglia) e nascosta, aperta solo per le visite obbligatoriamente guidate. Ma c’è un legame sotterraneo tra le due cittadine, ed è lo stesso che lega pure Pienza, in Toscana, ad Acaya, nel leccese; o San Leucio a Palmanova a Sabbioneta: città “ideali”, città nate, fondate, su un progetto, su una “visione” prima ancora che per necessità, o per caso, come pure è stato per tante altre. Lo spiega la stessa, eclettica, guida che apre le porte della surreale Scarzuola ai visitatori: Marco Solari, proprietario del luogo “alchemico”, ed erede del progettista e “sognatore” Tomaso Buzzi. All’origine di queste città c’è in genere una persona visionaria che intende incarnare architettonicamente i suoi ideali, dando vita a una metafora attraversabile, vivibile, abitabile. Il giornalista Fabio Isman, storica firma del Messaggero, ha tracciato una mappa di questi luoghi Andare per le città ideali (Il Mulino, pagine 144, euro 12,00) -, dal nord al sud del Paese passando per le isole (la sosta sarda, per esempio, prevede la visita di Arborea e Fertilia), un percorso narrativo in 15 tappe da portare con sé in un zaino attraversando il Paese, una guida turistica appassionante (spesso, la visita di questi luoghi richiede soltanto una piccolissima deviazione rispetto ai percorsi più seguiti del turismo, strade meno battute – a volte persino dissestate – portano in poco tempo in luoghi da realtà parallela. Al tempo stesso, si tratta di un lavoro incredibilmente documentato: Isman ha consultato centinaia di opere, incrociando in modo trasversale al tempo e alla geografia autori e storie, tra filosofia, storia dell’arte e architettura. Il concetto di “città ideale” ha un’origine antichissima; l’autore riporta dalla Bibbia: «Costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo» e ricorda che la Torre di Babele è già, a tutti gli effetti, una città ideale. È – prima ancora del dato verificabile – proprio questo elemento teorico ad appassionare Isman; l’edificazione della città è in tutti i casi il punto d’arrivo – seppur necessario – di un complesso

progetto sociale; finale e però necessario al suo compimento. Platone, Aristotele, il mondo rinascimentale, l’epoca moderna sino alla contemporanea: si è cercato sempre di tradurre in realtà un’utopia. Ma il vero segreto di una città ideale diventata reale è la rappresentazione – talvolta la costituzione – di un esercizio di potere, e qui la storia architettonica si incontra con quella politica, militare, dittatoriale. Città stellate, città fortificate, città-fortezza: di qui alla città-prigione il passo è breve, come nel caso della Terra del Sole, edificata nel 1564 da Cosimo I de’ Medici nei pressi dell’odierna Forlì; e la letteratura è ricca di esempi di luoghi architettonicamente perfetti che celano un’assoluta mancanza di libertà (si pensi anche ai luoghi nella letteratura distopica o di fantascienza quando questa sia denuncia del presente). Qui l’excursus dell’autore tocca il suo nodo cruciale: le città ideali sono “frutto di visioni laiche e quasi mai religiose” ammonisce Isman, e invita a verificare di persona seguendo quelle numerose tracce che restano di una visione iniziale.

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UniversitĂ degli Studi Roma Tre - via Ostiense, 159 - www.uniroma3.it

Periodico di Ateneo

Anno XVII, n. 3 - 2015

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