P Periodico eriodico di Ateneo
Anno XVII, n. 2 - 2015
L’acqua
Sommario Editoriale La vita dell'acqua Anna Lisa Tota Primo piano «È fiume, è mare, è lago» L'acqua, così comune e così stravagante Maria Antonietta Ricci L'uso economico dell'acqua La gestione sostenibile di una risorsa preziosa Giovanni Scarano
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L’acqua virtuale 14 Un concetto semplice e innovativo per interpretare e orientare in modo sostenibile le politiche di gestione delle risorse idriche Michele La Rocca
Il Contratto di fiume La governance dell'area romana Anna Laura Palazzo
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Le acque del Tevere Il millenario rapporto della Città Eterna con il suo fiume María Margarita Segarra Lagunes
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Il ciclo antropico dell’acqua Disponibilità, fruibilità e qualità Carlo Ottavi
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Musica e acqua Tra scienza, leggenda e magia Luca Aversano
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Natura e sentimento L’acqua è l’impronta del tempo, un sogno di trasformazione Raffaele Milani
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«Utile e umile e preziosa e casta» Il rapporto fra acqua e religioni Roberto Cipriani
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C’era una volta l’acqua su Marte
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L'acqua virtuale non è apolitica Francesca Greco
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AguaSociAL Un progetto per la gestione delle risorse idriche nell’Amazzonia brasiliana Salvatore Monni
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La mostra dell’acqua di Trevi Le ragioni di una forma e un restauro Maurizio Gargano
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Regina aquarum Gli acquedotti di Roma antica Arnaldo Marcone
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La rinnovabilità dell'acqua La grande risorsa idrica dell’appennino centrale Lucia Mastrorillo e Roberto Mazza
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L’acqua pubblica a Roma Sulle tracce di una storia secolare Francesca Simeoni
Vista fiume L’acqua, il Tevere e Roma Giulia Caneva
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Incontri Giuseppe Vitiello e Alberto Tedeschi Il ruolo dell'acqua nei sistemi viventi Alessandra Ciarletti
Tra tutela e accesso 38 Il ruolo della regolazione giuridica nella salvaguardia delle risorse idriche Andrea Farì Inondazione delle città d’arte 42 Il caso di Roma Guido Calenda, Corrado Paolo Mancini, Maria Margarita Segarra Lagunes, Eleonora Proietti Bioindicatori Le piante acquatiche e la qualità delle acque: applicazioni ai fiumi Tevere e Aniene Simona Ceschin
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L'uomo alla ricerca di tracce di vita nello spazio Elena Pettinelli Elliot for Water 68 Il motore di ricerca che utilizza il 70% dei profitti per realizzare progetti legati all’acqua Andrea Demichelis e Costanza Rivarossa 71
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Stefan Uhlenbrook Un momento chiave per le risorse idriche a cura di Simona Gallese
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Paolo Scoppola e Christina Sassayannis AquaBoll Federica Martellini
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Rubriche Audiocronache Il mondo visto da Roma Tre Radio Giulia Pietralunga Cosentino
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Palladium Presentazione della stagione 2015/2016 Giuditta Pascucci
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Post lauream Il Master del Dipartimento di Studi Umanistici in Esperto in comunicazione storica Manfredi Merluzzi
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Non tutti sanno che H2O Circle Time Sabrina Carletti
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Direttore responsabile Anna Lisa Tota (professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi) Caporedattore Alessandra Ciarletti Vicecaporedattore e segreteria di redazione Federica Martellini romatre.news@uniroma3.it Redazione Valentina Cavalletti, Gessica Cuscunà, Paolo Di Paolo, Francesca Gisotti, Elisabetta Garuccio Norrito, Michela Monferrini, Giulia Pietralunga Cosentino, Francesca Simeoni, Elisabetta Tosini
Recensioni L’Ultimo giorno Racconto di una scuola oltre il confine Francesca Gisotti
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Il ponte sulla Drina La storia è una questione di ritorni Michela Monferrini
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One Water L’elemento del sudore e delle lacrime Giulia Pietralunga Cosentino
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P Periodico eriodico di Ateneo
Periodico dell’Università degli Studi Roma Tre Anno XVII, n. 2/2015
Anno XVII, n. 2 - 2015
L’acqua
Hanno collaborato a questo numero Luca Aversano (professore associato di Storia della musica), Guido Calenda (Dipartimento di Ingegneria), Giulia Caneva (professore ordinario di Botanica - direttore del Centro di Ateneo per studio di Roma), Sabrina Carletti (incisore e pittrice), Simona Ceschin (professore associato di Botanica), Roberto Cipriani (professore ordinario di Sociologia), Andrea Demichelis (managing director Elliot for Water), Andrea Farì (ricercatore, professore aggregato di Diritto dell’ambiente, Dipartimento di Giurisprudenza), Simona Gallese (UN WWAP UNESCO ), Maurizio Gargano (professore associato di Storia dell’architettura), Francesca Greco (PhD candidate, Geography Dept., King's College – UN WWAP UNESCO), Michele La Rocca (professore ordinario di Idrodinamica), Corrado Paolo Mancini (Dipartimento di Ingegneria), Arnaldo Marcone (professore ordinario di Storia romana), Manfredi Merluzzi (professore associato di Metodologia della ricerca storica), Lucia Mastrorillo (professore a contratto di Idrogeologia), Roberto Mazza (professore associato di Geologia), Raffaele Milani (professore di Estetica - direttore del Laboratorio di ricerca sulle città, Università di Bologna), Salvatore Monni (professore associato di Economia dello sviluppo), Carlo Ottavi (Amici della Terra), Anna Laura Palazzo (professore associato di Urbanistica), Giuditta Pascucci (studentessa CdL DAMS Teatro, musica,danza), Elena Pettinelli (ricercatrice Dipartimento di Matematica e Fisica), Eleonora Proietti (Dipartimento di Ingegneria), Maria Antonietta Ricci (professore ordinario di Fisica applicata), Costanza Rivarossa (business developer Elliot for Water), Giovanni Scarano (presidente della Scuola di Economia e Studi aziendali), María Margarita Segarra Lagunes (ricercatrice Dipartimento di Architettura) Immagini e foto Nicola Caravaggio, Steve Cutts per UNESCO project “The Water Rooms”, Oriella Esposito, Martina Iorio, Lucia Mastrorillo, NASA/GSFC, Leonardo Piccinetti, Giovanni Scarano, María Margarita Segarra Lagunes, Leonardo Sagnotti, Paolo Scoppola, Jorge Silva Junior, www.sciencemediacentre.co.nz, Solwa, Marco Tonsini, Francesca Vaino, UNEP (Environmental Data Explorer), UN WWAP Bia Simonassi (treebookgallery.blogspot.com) ha realizzato il mind map “H2O” pubblicato alle pp. 40-41
Progetto grafico Magda Paolillo, Conmedia s.r.l. - Piazza San Calisto, 9 - Roma - 06 64561102 - www.conmedia.it Il progetto grafico della copertina è di Tommaso D’Errico Impaginazione e stampa Tipografia Gimax di Medei Massimiliano Via Valdambrini, 22 - 00058 Santa Marinella (RM) - tel. 0766 511644 In copertina Through Waters project Cristian Trappolini "Texture di mare" 2009 Fine lavorazione dicembre 2015 ISSN: 2279-9206 Registrazione Tribunale di Roma n. 51/98 del 17/02/1998
Foto: Š Paolo Scoppola
La vita dell’acqua Anna Lisa Tota «Ecco come bisogna essere! Bisogna essere come l’acqua. Niente ostacoli - essa scorre. Trova una diga, allora si ferma. La diga si spezza, scorre di nuovo. In un recipiente quadrato, è quadrata. In uno tondo, è rotonda. Ecco perché è più indiAnna Lisa Tota spensabile di ogni altra cosa. Niente esiste al mondo più adattabile dell’acqua. E tuttavia quando cade sul suolo, persistendo, niente può essere più forte di lei». (Lao Tzu)
Con le parole del leggendario filosofo cinese Lao Tzu, vissuto nel VI secolo a. C. e considerato il fondatore del taoismo, si introduce il nuovo argomento cui è dedicato questo numero di Roma Tre News. Esso continua il ciclo sugli elementi (inaugurato nel numero precedente con il tema della luce) ed è dedicato all’acqua. I contributi su questo tema spaziano dalla storia alla filosofia, dalla sociologia alla musicologia, dalla geologia all’economia, dalla fisica quantistica all’architettura e all’arte, per citare soltanto alcune delle prospettive disciplinari che troverete nelle pagine che seguono. Che cosa è l’acqua? Secondo Aristotele, la materia era costituita da quattro elementi: la terra, l’aria, l’acqua e il fuoco. Secondo la teoria dei cinque elementi della medicina tradizionale cinese, invece, gli elementi sono cinque: l’acqua, il metallo, la terra, il fuoco e il legno. L’acqua fu considerata indivisibile per secoli, ma grazie ai lavori di Lavoisier e Cavendish si scoprì che i due elementi costitutivi dell’acqua erano idrogeno e ossigeno. Oggi sappiamo che l’acqua è una molecola estremamente semplice, formata da due atomi di idrogeno e un atomo di ossigeno legati fra loro dai cosiddetti “legami”. L’acqua, tuttavia, nella sua semplicità ha caratteristiche molto specifiche e sorprendenti, in quanto è l’unico elemento che nell’ambiente si presenta in tutti e tre gli stati fisici: gassoso, liquido e solido. I fisici richiamano la nostra attenzione sul fatto che l’acqua presenta numerose anomalie: ad esempio, allo stato liquido ha un punto di ebollizione molto elevato, presenta un notevole aumento di volume nel congelamento. Inoltre a differenza di ogni altro composto chimico conosciuto, l’acqua non raggiunge la massima densità a 0°C quando solidifica, ma alla temperatura di 4°C, quando si trova ancora allo stato liquido. Sono proprietà del tutto note agli scienziati, ma riconsiderate con lo sguardo del quotidiano ci restitui-
scono la complessità e la specificità di questo elemento che ha affascinato poeti e poetesse, scrittori e scrittrici. Così, ad esempio, la poetessa ambientalista di origine canadese Margaret Eleanor Atwood si riferisce all’acqua: «L’acqua non oppone resistenza. L’acqua scorre. Quando immergi una mano nell’acqua senti solo una carezza. L’acqua non è un muro, non può fermarti. Va dove vuole andare e niente le si può opporre. L’acqua è paziente. L’acqua che gocciola consuma una pietra. Ricordatelo, bambina mia. Ricordati che per metà tu sei acqua. Se non puoi superare un ostacolo, giragli intorno. Come fa l’acqua». All’elemento acqua è da sempre legata una profonda valenza simbolica. Ball (2000) nel suo libro sulla biografia dell’acqua ci ricorda come essa non sia solo la sostanza più diffusa sulla terra, ma anche la condizione necessaria, la fonte, la matrice della vita: «In tutti gli antichi miti della creazione, in principio era l’acqua: nella Bibbia “lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”; nel Regveda, tutto “era acqua indistinta”. Quando la spogliamo dei suoi abbellimenti simbolici, della sua associazione con la purezza, l’anima, la maternità, la vita e la giovinezza; anche quando la riduciamo ad un fenomeno da laboratorio, chimico o geologico che sia, l’acqua continua ad affascinarci». (Ball, 2000). Nei secoli l’acqua è stata portatrice di progresso: lungo i fiumi sono sorte spesso grandi civiltà. Basti pensare al Tigri e all’Eufrate, al Nilo, al Tevere. L’acqua è stata definita come la risorsa fondamentale del nuo-
All’elemento acqua è da sempre legata una profonda valenza simbolica. Ball nel suo libro sulla biografia dell’acqua ci ricorda come essa non sia solo la sostanza più diffusa sulla terra, ma anche la condizione necessaria, la fonte, la matrice della vita vo millennio. Oggi sappiamo che la vita su questo pianeta senza acqua non può continuare. Tuttavia non si tratta soltanto di rendere accessibili quantità di acqua sufficienti a garantire la vita in tutte le aree del pianeta. Ciò che davvero conta è la qualità dell’acqua disponibile, il suo stato di salute. «Di che colore è l’acqua disponibile?» Ci si chiede con urgenza da più parti. Infatti, l’acqua è portatrice di vita e condizione necessaria per un’alimentazione sana a condi-
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zione di essere pura e potabile, ma in molte aree del pianeta l’acqua è malata. L’unica acqua disponibile è sporca di fango, portatrice di batteri e di malattie (come il tifo e il colera) in molti casi mortali, soprattutto per le fasce più deboli della popolazione, come i neonati e gli anziani. Emblematico in tal senso fu il boicottaggio mondiale organizzato ai danni della Nestlé alcuni anni fa, per protestare contro la scelta della multinazionale di promuovere la diffusione del latte in polvere anche nel Sud del mondo, senza tenere conto delle ripetute denunce dell’Unicef, secondo le quali l’uso del latte in polvere (al posto dell’allattamento al seno) avrebbe provocato un drastico aumento del rischio di mortalità infantile, in quanto l’acqua in quelle zone del mondo era malsana e portatrice di morte e malattie. Nonostante la sua importanza, la centralità dell’acqua nel ciclo della vita sembra ancora in parte misconosciuta: sebbene si elevino appelli a gran voce in sua difesa, l’acqua continua ad essere usata, abusata, violata, inquinata, sprecata, come se fosse una risorsa inesauribile, sempre disponibile e sempre rinnovabile, come se si trattasse di una risorsa di cui abbondiamo e che pertanto possiamo permetterci di “mal utilizzare”. Probabilmente ciò dipende dal fatto che i decisori – coloro cioè che avrebbero potere di intervenire efficacemente sulle politiche dell’acqua – guardano a questo elemento da una posizione privile-
Lungo i fiumi sono sorte spesso grandi civiltà. Basti pensare al Tigri e all’Eufrate, al Nilo, al Tevere. L’acqua è stata definita come la risorsa fondamentale del nuovo millennio. Oggi sappiamo che la vita su questo pianeta senza acqua non può continuare giata, da luoghi in cui la siccità è rara e l’acqua è abbondante, oltre ad essere “sana”. Dai loro punti privilegiati di osservazione riescono certamente a cogliere le conseguenze negative degli abusi sulle risorse idriche del pianeta, ma non riescono ad operare in maniera incisiva per impedire che gli abusi e gli sprechi continuino. Vandana Shiva nel suo libro Le guerre dell’acqua (2004) riporta una previsione inquietante espressa nel 1995 dal vicepresidente della Banca mondiale: «Se la guerre di questo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del secolo prossimo avranno come oggetto del contendere l’acqua». Secondo l’autrice i conflitti per il controllo dell’acqua stanno già verificandosi, ma spesso non sono visibili. Sono occultati e travestiti da conflitti etnici e religiosi, mentre in realtà sono guerre “per l’acqua”. L’autrice sottolinea come questi scontri fra culture dell’acqua si stiano verificando ormai in ogni società. Si conta che nel mondo ci siano oltre 600 conflitti gravi per il controllo dell’acqua (di cui molti sono conflitti armati) che invece vengono
reinterpretati nella sfera pubblica come conflitti etnici e religiosi. «Che si tratti del Punjab o della Palestina, spesso la violenza politica nasce dalla competizione sulle scarse ma vitali risorse idriche. Molti conflitti politici determinati dal controllo sull’acqua sono celati o repressi. Per esempio, nel Punjab una delle ragioni del conflitto che negli anni ottanta ha provocato oltre quindicimila morti è stata il continuo disaccordo sulla spartizione delle acque del fiume. (…) Chi controlla il potere preferisce mascherare le guerre dell’acqua travestendole da conflitti etnici e religiosi. Sono travestimenti facili perché le regioni lungo i fiumi sono abitate da società multietniche che presentano una grande diversificazione di gruppi umani, lingue e usanze. (…) L’avidità e l’appropriazione delle preziose risorse del pianeta che appartengono ad altri, sono alla radice dei conflitti, alla radice del terrorismo». (Vandana Shiva, 2004). Infine, last but not least, un’ultima riflessione riguarda le teorie relative alla capacità dell’acqua di ricor-
Forse dobbiamo arrenderci all’idea che non solo l’acqua sia condizione necessaria per la nostra vita, ma che sia essa stessa viva e partecipe di una qualche formadi pensiero universale dare e dimenticare, come scrive il fisico Giuseppe Vitiello nel suo contributo a questo numero. Già nel 1988 l’immunologo francese Jacques Benveniste aveva pubblicato su Nature (Davenas, et al., 1988) un articolo che documentava la capacità dell’acqua di conservare memoria delle sostanze in essa dissolte. Quest’articolo fu al centro di un’intensa controversia scientifica, in quanto le sue conclusioni avrebbero documentato la validità della medicina omeopatica, recando un potenziale grave danno economico alle grandi multinazionali dell’industria farmaceutica tradizionale. Alcuni anni dopo lo scienziato giapponese Masaru Emoto (1999) scrisse un libro sulla memoria dell’acqua, cercando di illustrare come l’energia delle parole e della coscienza avesse un impatto diretto sulla struttura molecolare dell’acqua. Emoto fotografò questi mutamenti. Tuttavia anche il lavoro di Emoto fu aspramente criticato. Recentemente il medico francese Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina, con il suo team (di cui hanno fatto parte i fisici italiani Emilio Del Giudice, Alberto Tedeschi e Giuseppe Vitiello) è giunto alla conclusione (Montagnier et al. 2011) che l’acqua ha la capacità di memoria e di oblio. Gli studi interdisciplinari sull’acqua proliferano e le conferenze mondiali sull’acqua si moltiplicano. Forse dobbiamo arrenderci all’idea che non solo l’acqua sia condizione necessaria per la nostra vita, ma che sia essa stessa viva e partecipe di una qualche forma di pensiero universale.
«È fiume, è mare, è lago» L’acqua, così comune e così stravagante Maria Antonietta Ricci rebbero i primi strati di ghiaccio, impedendo alla fauna lacustre di sopravvivere all’inverno. I fondali oceanici rimarrebbero ghiacciati per tempi lunghissimi, anche durante l’estate, impedendo il trasporto di acque tropicali calde attraverso l’Oceano Atlantico, verso il nord Europa, con conseguenze disastrose sul nostro clima. Il punto è che la densità dell’acqua non è massima a 0 oC, che è il suo
L’acqua è il liquido più diffuso sulla superficie del nostro pianeta e, nell’immaginario collettivo, è l’archetipo del liquido; per i fisici, invece, è il liquido più strano e anomalo che si conosca punto di solidificazione, ma a 4 oC (Fig. 1a). Al benefico effetto della Corrente del Golfo sul nostro clima contribuisce anche un’altra anomalia dell’acqua: la sua straordinaria capacità termica (Fig.1b). Infatti, per far bollire una pentola d’acqua è necessaria un’energia molto maggiore di quella che servirebbe per produrre la stessa variazione di temperatura in un liquido normale e, mentre in tutti i liquidi normali la capacità termica diminuisce al diminuire della temperature, quella dell’acqua cresce molto rapidamente, mano a mano che si abbassa la temperatura. Questo implica che, al diminuire della temperatura, l’acqua evolve verso stati sempre più ordinati. D’altra parte, se a causa dell’elevata capacità termica è costoso riscaldare l’acqua, per la stessa ragione è altrettanto difficile raffreddarla: per questo la Corrente del Golfo trasporta ogni giorno fino alle coste del nord Europa una quantità di calore (energia) pari al doppio di quella che si potrebbe produrre bruciando tutto il carbone estratto in un anno nel mondo. La Fig. 1c riporta l’andamento con la pressione del coefficiente di diffusione dell’acqua a basse temperature. Questa grandezza misura la capacità delle molecole d’acqua di spostarsi da un punto all’altro del recipiente e, se l’acqua fosse normale, dovrebbe diminuire sempre all’aumentare della pressione, proprio come succede a noi quando cerchiamo di spostarci su un autobus: se l’autobus è quasi vuoto, non abbiamo problemi a raggiungere l’uscita, mentre se è affollato - la pressione aumenta - ci muoviamo con difficoltà e dobbiamo chiedere permesso a molte persone, che devono spostarsi a loro volta. Nel caso dell’acqua, invece, il coefficiente di diffusione inizialmente aumenta all’aumentare della pressione, fino a raggiungere
primo piano
«È fiume, è mare, è lago, stagno, ghiaccio e quant’altro… È dolce, salata, salmastra, è luogo presso cui ci si ferma e su cui si viaggia». (Ηράκλειτος, 535 a.C. – 475 a.C.) L’acqua è il liquido più diffuso sulla superficie del nostro pianeta e, Maria Antonietta Ricci nell’immaginario collettivo, è l’archetipo del liquido; per i fisici, invece, è il liquido più strano e anomalo che si conosca. Tutti siamo affascinati dai laghi, dalle cascate, dalla maestosità dei grandi ghiacciai e non realizziamo che il fatto stesso che l’acqua sia presente in tutte e tre le forme di aggregazione (gas, liquido e solido) sulla superficie della Terra è un sintomo di stravaganza, per non parlare poi del fatto che gli iceberg galleggiano… Se pensate infatti a un’altra qualunque sostanza che avete visto sia in fase liquida che solida (il burro, il cioccolato, un metallo…) vi rendete conto che si comporta in modo diverso, ovvero che il solido affonda nel liquido. Eppure di fronte allo spettacolo di un lago ghiacciato l’ultimo pensiero che ci sfiora la mente è che stiamo osservando una delle principali stravaganze dell’acqua. La differenza principale tra un solido cristallino e un liquido sta nel fatto che nel solido gli atomi sono disposti secondo un ordine preciso, mentre nel liquido regna il disordine. È esperienza comune che in una valigia si riescono a mettere molti vestiti, se questi sono stirati, ben piegati e disposti ordinatamente, mentre la stessa valigia ne conterrà molti di meno, se li buttiamo dentro alla rinfusa: quindi un sistema ordinato (solido cristallino) è più denso di uno disordinato (liquido). Nei liquidi normali, ovvero in quelli che i fisici sanno descrivere bene con i loro modelli, la densità è più bassa di quella del corrispondente solido, anche del 10%. Nell’acqua succede il contrario: il ghiaccio è meno denso del liquido e quindi occupa un volume maggiore; per questo motivo una bottiglia d’acqua dimenticata nel freezer si spacca, come si possono spaccare le tubature d’inverno. Se l’acqua si comportasse normalmente, al diminuire della temperatura ambientale quella che si trova alla superficie dei laghi alpini, raffreddandosi, diventerebbe più densa e precipiterebbe sul fondo, dove si forme-
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Fig.1. Tre anomalie dell'acqua: a) l'andamento della densità con la temperatura; b) l'andamento della capacità termica con la temperatura; c) l'andamento del coefficiente di diffusione con la pressione
un massimo, per poi riprendere l’andamento aspettato per qualsiasi liquido. Questo succede perché l’acqua è come una mamma che sale sull’autobus con quattro bambini, tenendone due in braccio e due attaccati alle gambe. Se l’autobus è vuoto, la mamma e i suoi bambini hanno molta difficoltà a spostarsi verso l’uscita. Se, invece, sull’autobus ci sono altre persone, che prendono ciascuna per mano un bambino, la famigliola riesce a spostarsi più agevolmente.
Se pensate infatti a un’altra qualunque sostanza che avete visto sia in fase liquida che solida (il burro, il cioccolato, un metallo…) vi rendete conto che si comporta in modo diverso, ovvero che il solido affonda nel liquido. Eppure di fronte allo spettacolo di un lago ghiacciato l’ultimo pensiero che ci sfiora la mente è che stiamo osservando una delle principali stravaganze dell’acqua Quelle illustrate fin qui sono solo tre delle numerose proprietà anomale dell’acqua (sul sito http://www1.lsbu.ac.uk/water/water_anomalies.ht ml ne trovate elencate 73), ma sono già sufficienti
a capire che l’acqua, pur essendo il liquido più diffuso sulla Terra non può essere considerata come l’archetipo dello stato liquido. Anzi, come dice Peter Ball «pensare di capire i liquidi studiando l’acqua sarebbe come cercare di capire le abitudini degli inglesi, studiando il comportamento della famiglia reale … e non per mancanza di informazioni, ma perché quella famiglia non è rappresentativa della popolazione». Proprio come l’acqua non è rappresentativa dell’intera categoria ed è ancora il liquido più studiato e meno compreso scientificamente. Proviamo allora a cambiare punto di vista e, per capire cosa c’è di speciale nel liquido più comune sulla Terra, partiamo dalla descrizione di un liquido normale, anche se nella vita di tutti i giorni non è facile incontrarne, dal momento che i materiali “normali” sono liquidi a temperature molto più basse e pressioni molto più alte di quelle a cui si è sviluppata la vita sulla Terra. Cominciamo col dire che i tre stati di aggregazione della materia possono essere rappresentati su un piano pressione temperatura (P,T), che è detto diagramma di fase ed è molto simile a una carta geografica, in cui la pressione e la temperatura fanno le veci della latitudine e della longitudine. In questa carta geografica i tre paesi “solidolandia”, “liquidolandia” e “gaslandia” sono separati da confini con precise collocazioni geografiche (Fig. 2a). Partendo da un punto di solidolandia e viaggiando nella direzione in cui aumenta la temperatura, si attraversa il confine con liquidolandia e poi quello con gaslandia.
Fig. 2. Il diagramma di fase e le carte geografiche
La temperatura alla quale si passa il confine dipende dalla pressione, così come la longitudine a cui si attraversa il confine tra Mali e Algeria dipende dalla latitudine a cui si viaggia. Siamo abituati a pensare che per far evaporare un liquido sia necessario scaldarlo, ma il realtà il passaggio del confine tra liquidolandia e gaslandia avviene a temperatura costante e tutta l’energia fornita nel passaggio , il “calore latente”, viene utilizzata dalle molecole che costituiscono il liquido per arrangiarsi di nuovo nello spazio in modo che la loro densità diminuisca. Questa energia è
Fig. 3 Diagramma di fase dell'acqua a basse temperature
Questo succede perché l’acqua è come una mamma che sale sull’autobus con quattro bambini, tenendone due in braccio e due attaccati alle gambe. Se l’autobus è vuoto, la mamma e i suoi bambini hanno molta difficoltà a spostarsi verso l’uscita. Se, invece, sull’autobus ci sono altre persone, che prendono ciascuna per mano un bambino, la famigliola riesce a spostarsi più agevolmente una specie di pedaggio da pagare e verrà restituita nel momento in cui si farà il passaggio inverso da gas a liquido (questo è il motivo per cui il vapore provoca ustioni più gravi del liquido, a parità di temperatura). Notiamo che liquidolandia è incastrata tra gli altri due stati ed è l’unica che non si estende fino a pressione e temperatura nulle. È come se lo stato solido e quello liquido fossero comuni a tutti i materiali e quello liquido fosse un accidente. Se viaggiamo verso Nord il confine tra solido e liquido si estende fin dove riusciamo a vederlo, mentre quello tra liquido e gas termina in un punto detto punto critico, al di sopra del quale esiste un unico paese in cui la densità varia da quella alta dei liquidi a quella più bassa dei gas, senza “transizioni di fase”, ovvero senza necessità di pagare un pedaggio. La regione che circonda il punto critico è una zona ad alto rischio sismico, nella quale si possono verificare terremoti molto violenti, ovvero variazioni molto consistenti e repentine delle grandezze caratteristiche del sistema (densità, capacità termica, compressibilità etc.), i cui effetti possono essere percepiti anche a grandi distanze. Il diagramma di fase dell’acqua, a prima vista, è molto simile a quello degli altri liquidi, con l’uni-
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Fig.4. a) Una molecola d'acqua (l'atomo di ossigeno è rosso, i due atomi di idrogeno sono bianchi) forma legami idrogeno con 4 molecole prime vicine, che si trovano nelle regioni tinte di giallo; b) nell'acqua a bassa densità le molecole prime vicine formano legami idrogeno con le seconde vicine, creando una rete aperta; nell'acqua ad alta densità le molecole seconde vicine collassano sulle prime vicine
ca diffe re nz a ch e l a pe ndenza de lla l i n ea che separa solidolandia da liquidolandia è negativa (Fig.2b). Potrebbe sembrare una cosa da poco, invece questa differenza è responsabile di molte anomalie dell’acqua, a cominciare dall’andamento della sua densità con la temperatura. Inoltre, se si procede con la dovuta cautela, è possibile portare l’acqua nella fase liquida, al di sotto della sua temperatura di solidificazione, ovvero far passare clandestinamente alcuni abitanti di liquidolandia in solidolandia, senza pagare il pedaggio. L’acqua “clandestina” si trova in uno stato “metastabile” ed è sufficiente una piccola perturbazione per far precipitare la situazione, con conseguente formazione di ghiaccio: la natura reagisce alla presenza di clandestini integrandoli! Esiste quindi un prolungamento del confine liquido-vapore dentro solidolandia, che si estende fino a circa -30oC. Possiamo trovare acqua in questo stato metastabile, ad esempio, all’interno delle nubi di alta quota. Inoltre è più facile sottoraffreddare l’acqua, confinandola in volumi molto piccoli (con dimensioni lineari dell’ordine di pochi nanometri) o in presenza di sali o altri agenti antigelo in soluzione. Se consideriamo il fatto che il nostro organismo contiene una grande quantità di acqua e che questa è confinata all’interno delle cellule e sulla superficie degli organelli intracellulari o delle singole proteine, ci rendiamo conto della rilevanza dello studio delle proprietà dell’acqua sottoraffreddata e confinata, in cui le anomalie dell’acqua (della capacità termica, della compressibilità, del coefficiente di diffusione, etc.) diventano più evidenti. Vale quindi la pena di analizzare più in dettaglio il diagramma di fase alle basse temperature, ovvero quella regione del diagramma evidenziata da un cerchio rosso in fig. 2a. Nel diagramma della fig. 3 la regione in cui l’acqua è metastabile (sottoraffreddata), è compresa tra liquidolandia e una regione detta impropriamente Terra di Nessu-
no (si tratta in realtà di una regione di solidolandia, in cui l’acqua esiste solo in forma cristallina), nella quale non è possibile sperimentalmente
Come dice Peter Ball «pensare di capire i liquidi studiando l’acqua sarebbe come cercare di capire le abitudini degli inglesi, studiando il comportamento della famiglia reale… e non per mancanza di informazioni, ma perché quella famiglia non è rappresentativa della popolazione» mantenere l’acqua allo stato liquido. Al di sotto della Terra di Nessuno, esistono due regioni confinanti e separate da una transizione di fase, in cui l’acqua esiste come solido disordinato o amorfo, con diversa densità. Queste due forme amorfe di acqua, intorno a -140oC, diventano due liquidi ultra viscosi, che sopravvivono come tali solo fino a circa -120 o C, dove si trova il confine inferiore della Terra di Nessuno. Il fatto stravagante è che esistono due regioni del diagramma di fase, non confinanti (separate dalla Terra di Nessuno), dove l’acqua è liquida. Non sappiamo se e quanto i due liquidi ultra viscosi differiscano tra di loro: certamente avranno densità diversa e sono separati da una linea di confine… E se questa linea di confine avesse un prolungamento nella Terra di Nessuno, che separi due fasi di acqua, una ad alta densità e l’altra a bassa densità? Se così fosse e se questo prolungamento terminasse in un punto critico, all’interno della Terra di Nessuno, potremmo spiegare le anomalie dell’acqua a bassa temperatura, come conseguenze dei “terremoti” che avvengono in prossimità di quello che sarebbe il Secondo Punto Critico dell’acqua. Questo hanno pensato H. E. Stanley e i suoi collaboratori, negli anni Novante, basandosi sulle loro simulazioni al calcolatore. La loro affascinante teoria ha stimolato molti esperimenti, ma non è stata ancora confermata e il dibattito è molto vivo nella comunità scientifica. Abbiamo però un’idea di come dovrebbe essere la struttura microscopica di queste due forme di acqua, se esistessero (Fig. 4). Nell’acqua a bassa densità ogni molecola forma quattro legami idrogeno con le molecole circostanti (Fig. 4a), situate nelle regioni colorate di giallo, in prossimità dei due atomi di idrogeno e degli elettroni cosiddetti “solitari” dell’atomo di ossigeno (ricordate la mamma con i quattro bambini?), dando luogo a una rete tetraedrica di molecole che occupa tutto lo spazio (Fig. 4b). Nell’acqua ad alta densità, questa rete di molecole si distorce fortemente e le “maglie” più esterne si avvicinano e penetrano in quelle più interne, in modo che la densità possa aumentare, a scapito della simmetria tetraedrica (Fig. 4c).
L'uso economico dell'acqua La gestione sostenibile di una risorsa preziosa Giovanni Scarano L’acqua è risorsa economica per antonomasia, fondamentale e insostituibile, da un lato, e dotata di usi plurimi e in continua evoluzione dall’altro. Essa entra, con ruoli essenziali e insostituibili, in quasi tutti i processi produttivi. In agricoltura e in zootecnia è un nutriente fondamentale Giovanni Scarano per piante e animali. Nell’industria entra come solvente, diluente, lubrificante o refrigerante. In acquacoltura è il mezzo indispensabile in cui si svolgono le attività produttive. Ma essa è stata anche la fonte primaria di forza motrice sulla cui base si sono sviluppate le prime forme di manifattura meccanizzata. Il vapore da essa prodotto è ancora oggi la forza propulsiva fondamentale che genera energia nella maggior parte delle centrali elettriche, da quelle alimentate a carbone a quelle nucleari. Ed è essa stessa, nel suo defluire in forma di fiumi e torrenti, fonte primaria di energia idroelettrica, fornendo un contributo rilevante alla generazione di energia rinnovabile e sostenibile. L’acqua è stata, ed è ancora oggi, in forma di mari, laghi e fiumi, tra le principali vie di comunicazione umane, che hanno permesso il diffondersi delle popolazioni su tutta la superficie del pianeta e di tessere reti di comunicazione e scambio mercantile su scala planetaria. Ma essa è, ancora, mezzo fondamentale nei sistemi di smaltimento dei rifiuti organici delle società umane e nei sistemi igienicosanitari che tanto hanno contribuito al miglioramento delle condizioni di vita degli agglomerati urbani e all’innalzamento delle attese di vita delle popolazioni. Ed è anche elemento fondamentale in attività ludiche Diga idroelettrica del Passo di Fedaia, Trentino
e sportive e componente essenziale di opere architettoniche di grande fascino e valore artistico, come mostrato in tutto il corso della Storia dalle fontane monumentali e dai giochi d’acqua. Ed è, infine e soprattutto, condizione essenziale dell’esistenza della vita sul pianeta ed elemento fondamentale del funzionamento degli ecosistemi e delle dinamiche climatiche da cui dipende, in ultima istanza, la sopravvivenza della specie umana.
L’uso economico dell’acqua si configura come un terreno d’elezione per la generazione di quelle che, in economia, sono definite esternalità negative, ovvero perdite di utilità sociale non giustificabili dai guadagni di utilità individuali legati alle attività di produzione e consumo che le hanno generate Le scienze economiche, nel loro tipico approccio pragmatico e utilitaristico, che spesso sembra rasentare il cinismo ed è per sua natura poco incline alla poesia e alla contemplazione estetica, la trattano però come uno tra i tanti fattori produttivi e come uno tra i tanti beni di consumo a disposizione dell’umanità. In questo approccio, di natura prettamente funzionale, si tende a distinguere la gestione della risorsa idrica, vista come risorsa naturale, potenzialmente rinnovabile, dalla gestione dei servizi idrici, intesi come l’insieme delle attività produttive umane che provvedono ad effettuare la captazione, l’adduzione e la distribuzione della risorsa, nonché a effettuare, a valle degli usi produttivi o di consumo, la raccolta delle acque reflue e la loro depurazione. Sotto questo punto di vista, l’acqua si confi-
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gura come una risorsa rinnovabile a flusso continuo, strettamente legata ai flussi di energia solare che raggiungono il sistema terrestre e alimentano il ciclo dell’acqua congiuntamente ai cicli atmosferici che regolano il clima del pianeta. Ciò fa sì che le risorse idriche, potenFontana in Trafalgar Square, Londra zialmente, si rigenerino in forma durevole, a condizione di essere gestite in modo sostenibile. L’uso sostenibile della risorsa acqua da parte delle comunità umane è possibile a condizione che i flussi consumati siano pari a quelli riprodotti periodicamente dalle dinamiche del ciclo dell’acqua. Se la captazione eccede i deflussi naturali, si può generare il depauperamento degli stock idrici (falde e bacini idrici) che contribuiscono alla regolare riproduzione nel tempo degli stessi flussi idrici. Così come un uso inadeguato delle acque reflue può generare fenomeni di inquinamento che vanno ad alterare la qualità delle riserve e dei corsi d’acqua, generando perdite di utilità per le collettività umane (danno economico) e mettendo a repentaglio il funzionamento degli ecosistemi terrestri che da esse dipendono, con ulteriori danni per le stesse attività economiche e per le generali funzioni di sostegno della vita sul pianeta.
Entro i limiti degli usi essenziali e socialmente utili, la gestione della risorsa necessita quindi di interventi pubblici che devono esulare da mere logiche di prezzo L’uso economico dell’acqua si configura quindi come un terreno d’elezione per la generazione di quelle che, in economia, sono definite esternalità negative, ovvero perdite di utilità sociale non giustificabili dai guadagni di utilità individuali legati alle attività di produzione e consumo che le hanno generate. Nel contesto della regolazione mercantile che caratterizza i sistemi economici contemporanei, la limitazione delle esternalità negative negli usi dell’acqua presuppone non solo la generazione di norme e regolamentazioni giuridiche che pongano vincoli alle libere attività private, e che siano effettive ed efficaci mediante adeguati sistemi di monitoraggio e di sanzione per gli inadempienti, ma anche di sistemi di incentivi e disincentivi di prezzo, che agiscano nella
direzione socialmente auspicabile attraverso il libero gioco della domanda e dell’offerta sui mercati. Ciò ha delineato, nel contesto legislativo dell’Unione Europea, l’idea fondamentale che l’obiettivo di un utilizzo idrico sostenibile vada perseguito anche mediante strumenti di “prezzo”, ovvero strumenti capaci di porre in una relazione adeguata il beneficio dell’uso della risorsa, ottenuto dai privati, con i costi che la collettività nel suo complesso sostiene per renderla disponibile. L’articolo 9 della Direttiva CE 2000/60, volta a delineare un quadro unitario dei principi e degli obiettivi che devono vincolare e qualificare l’azione normativa dei Paesi membri in ambito di tutela e gestione dei corpi idrici e dei flussi ad essi connessi, impone ai singoli Stati «che le politiche dei prezzi dell’acqua incentivino adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente». Sulla base di questa impostazione, la direttiva chiede dunque che il pagamento da parte degli utenti per l’uso dell’acqua costituisca un adeguato contributo al recupero dei costi del servizio idrico. Questi costi comprendono i costi operativi della produzione del servizio, i costi ambientali (quantificazione monetaria delle esternalità negative) e i costi delle risorse (costi-opportunità dell’acqua e delle risorse finanziarie utilizzate nella produzione del servizio). La direttiva prevede, inoltre, che il recupero dei costi debba avvenire rispettando il principio del “chi inquina paga”, ovvero che sia a carico di chi ha direttamente prodotto l’esternalità. Nel contesto della tutela delle risorse naturali, questo principio può essere tradotto con “chi contribuisce a depauperare la risorsa paga”. E per una risorsa rinnovabile come l’acqua, il depauperamento equivale a un suo uso non sostenibile. Un’interpretazione letterale e acritica della direttiva induce quindi a escludere che l’acqua sia un bene indispensabile, che va garantito anche a chi non ha la possibilità di pagare il “giusto” prezzo per incapienza di reddito. Ma l’acqua, entro i limiti delle quantità necessarie alla sopravvivenza, non è ovviamente un bene dal cui uso si può recedere per incapacità di pagarne il prezzo. Inoltre, gli aspetti di carattere igienico sanitario, connessi al suo uso, la configurano come un bene meritorio, ovvero come una particolare forma di bene pubblico per il quale, come riconosciuto dalla stessa teoria economica, le regolamenta-
zioni di mercato non risultano adeguate e consone alla massimizzazione del benessere sociale. Entro i limiti degli usi essenziali e socialmente utili, la gestione della risorsa necessita quindi di interventi pubblici che devono esulare da mere logiche di prezzo. La gestione raIl Tamigi nei pressi di Hampton Court zionale delle risorse idriche, infine, presenta sempre un’intrinseca dimensione territoriale, perché si trova a connettere riserve e fonti idriche, caratterizzate da una propria
Nel contesto legislativo dell’Unione Europea si delinea l’idea fondamentale che l’obiettivo di un utilizzo idrico sostenibile vada perseguito anche mediante strumenti di “prezzo”, ovvero strumenti capaci di porre in una relazione adeguata il beneficio dell’uso della risorsa, ottenuto dai privati, con i costi che la collettività nel suo complesso sostiene per renderla disponibile
Alonissos, Grecia
intrinseca distribuzione spaziale, determinata dagli aspetti della geografia fisica, con usi e bisogni umani che sono a loro volta necessariamente distribuiti nello spazio geografico, spesso quali risultato di stratificazioni millenarie di dinamiche demografiche ed economiche degli insediamenti umani e delle attività produttive che in essi si svolgono. Ciò fa sì che in alcune aree del mondo, caratterizzate da grande disponibilità di acque per ragioni climatiche e geografiche, la quantità di risorse idriche eccede largamente le necessità delle popolazioni locali, mentre in altre aree geografiche la scarsità di tali risorse è un limite stringente per lo sviluppo delle attività produttive e, spesso, per la stessa sopravvivenza biologica. Ma, contrariamente a quanto suggerito da una pubblicistica ingenua e incline al sensazionalismo, il risparmio della risorsa nelle zone con eccedenza non può trasformarsi, allo stato attuale dello sviluppo tecnologico e dei costi di trasporto, in un contributo alla disponibilità di acqua nelle zone deficitarie. Il problema della scarsità d’acqua in ampie aree del pianeta può essere affrontata solo con adeguati investimenti di capitale al loro interno, che rendano accessibili fonti idriche oggi non utilizzabili e più razionale l’uso di una risorsa localmente scarsa.
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L’acqua virtuale Un concetto semplice e innovativo per interpretare e orientare in modo sostenibile le politiche di gestione delle risorse idriche Michele La Rocca L’acqua riveste un ruolo essenziale nella quasi totalità dei processi produttivi: questo fatto evidente ha probabilmente ispirato al geografo Tony Allan il concetto di acqua virtuale (Virtual Water o VW), ossia la quantità di acqua utilizzata nel processo di produzione di un prodotto induMichele La Rocca striale o agricolo. Il concetto dell’acqua virtuale venne introdotto da Tony Allan nel tentativo di interpretare i processi economici globali in atto quali fattori spontanei di contrasto del deficit idrico dei paesi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord (MENA).
Il concetto dell’acqua virtuale venne introdotto da Tony Allan nel tentativo di interpretare i processi economici globali in atto quali fattori spontanei di contrasto del deficit idrico dei paesi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord Infatti lo scambio commerciale di beni implica anche lo scambio commerciale dell’acqua virtuale (Virtual Water Trade o VWT) in essi contenuta. Lo scambio commerciale dell’acqua virtuale praticamente dà luogo ad un flusso idrico netto verso un determinato paese se il contenuto di acqua virtuale dei beni importati da quel paese supera quello dei beni esportati. Se viceversa il contenuto di acqua virtuale dei beni esportati da un determinato paese è superiore al contenuto di acqua virtuale dei beni importati, il flusso idrico virtuale è uscente da quel paese. Lo scambio commerciale dell’acqua virtuale viene considerato un mezzo che si costituisce spontaneamente nel mercato internazionale per fronteggiare la disomogeneità delle risorse idriche, in una visione in cui i paesi poveri d’acqua tendono ad importare beni ad alto contenuto di acqua virtuale invece di produrre tali beni direttamente, ciò che non sarebbe per loro conveniente, mentre i paesi ricchi d’acqua tendono a produrre ed esportare beni ad alto contenuto d’acqua virtuale. Quanto appena affermato assume un significato più chiaro se si considera che la produzione di 1 kg di grano ri-
chiede tra 1000 e 2000 litri d’acqua, che la produzione di 1 kg di formaggio richiede tra 5000 e 5500 litri d’acqua e che la produzione di 1 kg di carne di manzo richiede 16000 litri d’acqua. L’importanza del concetto di acqua virtuale e del suo commercio è particolarmente evidente nei paesi nei quali la scarsità delle risorse idriche è destinata ad aumentare a causa della riduzione generalizzata delle precipitazioni e dell’aumento dei periodi di siccità nelle stagioni estive. Il caso dei paesi del Medio Oriente, dell’Africa del Nord del bacino Mediterraneo è particolarmente interessante: alcuni studiosi hanno ravvisato una relazione tra le importazioni di acqua virtuale di questi paesi e la mancanza di infrastrutture idriche adeguate, come se la fornitura di acqua virtuale compensasse le carenze strutturali e la scarsità indotta da fattori climatici. Il concetto di acqua virtuale, il cui sviluppo e diffusione sono costantemente cresciute nel tempo, ha stimolato e stimola riflessioni e visioni innovative, accrescendo la consapevolezza e la comprensione delle dinamiche operanti nell’ambito dell’utilizzo e della gestione delle risorse idriche: prova di ciò è l’interesse riscosso dal concetto di acqua virtuale presso i governi e le istituzioni preposte alla gestione delle risorse idriche, quale possibile criterio di orientamento nelle scelte politiche, sebbene l’ utilizzo del concetto di acqua virtuale in tal senso sia ancora oggetto di dibattito.
Lo scambio commerciale dell’acqua virtuale praticamente dà luogo ad un flusso idrico netto verso un determinato paese se il contenuto di acqua virtuale dei beni importati da quel paese supera quello dei beni esportati. Se viceversa il contenuto di acqua virtuale dei beni esportati da un determinato paese è superiore al contenuto di acqua virtuale dei beni importati, il flusso idrico virtuale è uscente da quel paese Come già affermato in precedenza, l’acqua virtuale contenuta in un determinato bene è l’acqua necessaria alla produzione di quel bene, talora indicata come “acqua incorporata” (embedded water) o acqua esogena: quest’ultima denominazione è riferita
al caso di un acqua virtuale. bene importato, Al riguardo è in quanto l’acemblematico il qua necessaria caso del Mali, per la sua proche figura quale duzione non apmodesto esporparteneva al tatore di acqua paese importavirtuale (con un tore. Con partivolume netto di colare riferiacqua virtuale mento ai beni di esportata comconsumo agroapreso tra 0 e limentari, il 5km 3 /anno). Il Mali, nonostancontenuto di acte sia caratterizqua virtuale può zato da un clima essere calcolato subtropicale e con due approcarido, con siccici differenti. Si tà ricorrenti, e può definire coLa figura, tratta dal sito www.sciencemediacentre.co.nz, illustra in modo efficace il conche solo 7 mime contenuto di lioni di ettari su acqua virtuale cetto di acqua virtuale 124 di estensiodi un dato bene ne territorale siano coltivati (nella parte meridionail volume d’acqua effettivamente utilizzato per la le del paese, più ricca di risorse idriche), è di fatto produzione di quel bene o il volume d’acqua che un modesto esportatore di acqua virtuale in quanto sarebbe stato necessario utilizzare per produrre il esporta prodotti ad alto contenuto di acqua virtuabene nel luogo dove viene consumato o utilizzato. le: cotone, arachide, burro di karitè e bestiame, Nel secondo caso il contenuto di acqua virtuale asquest’ultimo allevato anche nelle zone aride. sume un significato particolarmente importante L’Italia è un paese importatore di acqua virtuale, in nell’ottica di una gestione sostenibile e razionale quanto importa prodotti ad alto contenuto d’acqua delle risorse idriche, poiché permette di valutare se virtuale da diversi paesi del mondo. convenga o meno produrre o importare un determiSull’entità del flusso complessivo di acqua virtuale nato bene. Peraltro si può dare il caso che non sia dovuto agli scambi commerciali sono stati condotti possibile produrre un determinato bene nel paese numerosi studi, sebbene la ricerca in tale ambito importatore. In tal caso e con particolare riferimensia iniziata recentemente. Il valore di questo flusso to ai prodotti agroalimentari, il secondo approccio aumenta costantemente nel tempo, così come il nuper il calcolo del contenuto di acqua virtuale di un mero di canali commerciali. Allo stato attuale l’orbene può essere utilizzato applicando il principio dine di grandezza del flusso di acqua virtuale dodell’equivalenza nutrizionale: definendo cioè il vuto agli scambi commerciali è pari a 2000÷3000 contenuto d’acqua virtuale di un bene come il conkm3/anno. Gli studi più accreditati in tal senso sotenuto di acqua virtuale di un bene differente, no quelli dell’Institute for Water Education e della avente lo stesso valore nutrizionale, producibile nel FAO. luogo di importazione. Le maggiori implicazioni pratiche del concetto di acqua virtuale sono legate al commercio di acqua La produzione di 1 kg di grano virtuale e alla connessione tra i modelli di consumo e l’impatto sulla gestione delle risorse idriche. richiede tra 1000 e 2000 litri d’acqua, Per quanto attiene al commercio di acqua virtuale, che la produzione di 1 kg di formaggio si è già accennato nella Premessa che un flusso richiede tra 5000 e 5500 litri d’acqua e netto di acqua virtuale entrante in un paese, come che la produzione di 1 kg di carne di conseguenza dell’importazione di beni ad alto contenuto d’acqua virtuale, possa determinare un effetmanzo richiede 16000 litri d’acqua to benefico sulle risorse idriche del paese. In tal senso si può considerare l’acqua virtuale come una La maggior parte del flusso di acqua virtuale dovuvera e propria sorgente alternativa di acqua, la cui to agli scambi commerciali è relativo ai prodotti importanza sarebbe tale da scongiurare potenziali agricoli (circa il 70%) seguono l’allevamento (circonflitti legati all’utilizzo delle risorse idriche inca il 20%) e i prodotti industriali (circa il 10%). ternazionali. Dallo studio dei flussi di acqua virtuale emergono Si distinguono chiaramente i paesi esportatori e con chiarezza i ruoli giocati dalle nazioni negli importatori di acqua virtuale. È interessante osserscambi commerciali: gli esportatori di acqua virvare che la posizione geografica non necessariatuale che dominano il mercato sono gli Stati Uniti, mente caratterizza un paese come importatore di
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Una suggestiva rappresentazione dei flussi di acqua virtuale, in termini di importazioni ed esportazioni, tratta dal rapporto National water footprint accounts: the green, blue and grey water footprint of production and consumption di M. M. Mekonnen ed A. Y. Hoekstra, pubblicato nel 2011 dall’UNESCO-IHE Institute for Water Education
il Canada, l’Australia, l’Argentina e la Tailandia, mentre tra gli importatori si distinguono il Giappone, lo Sri Lanka e l’Italia. L’analisi dei flussi internazionali di acqua virtuale permette di stabilire che l’essere paesi importatori non necessariamente implica il verificarsi di scarsità di risorse idriche: paesi come la Svizzera o l’Indonesia, in cui non si ha scarsità nelle risorse idriche, importano maggiori quantità di acqua virtuale rispetto a paesi con scarsità nelle risorse idriche come l’Iran e il Pakistan.
L’Italia è un paese importatore di acqua virtuale, in quanto importa prodotti ad alto contenuto d’acqua virtuale da diversi paesi del mondo Tale apparente paradosso è legato alla complessità insita nel concetto di acqua virtuale, per cui è possibile che a paesi ricchi d’acqua convenga comunque importare determinati beni ad alto contenuto d’acqua virtuale, che sarebbe economicamente non conveniente produrre in loco. Poiché secondo le classiche teorie economiche del commercio internazionale le nazioni in cui si ha abbondanza di risorse idriche tenderanno a produrre e ad esportare beni ad alto contenuto di acqua virtuale e le nazioni in cui si ha scarsità di risorse idriche tenderanno ad importare tali beni, il commercio di acqua virtuale potrebbe essere un fattore di stimolo per l’uso razionale e sostenibile delle risorse idriche a livello mondiale e in definitiva per il risparmio di tali risorse. Per quanto concerne l’impatto dei modelli di consumo sulla gestione delle risorse idriche, il concetto di acqua virtuale contenuta in un bene è naturalmente legato alla valutazione dell’impatto ambientale dovuto al consumo del bene stesso. Infatti la
conoscenza del contenuto di acqua virtuale di un bene modifica la percezione che si ha del consumo del bene, consentendo sia di valutarne l’impatto sull’ambiente, sia di stimolare un consumo consapevole, volto all’uso sostenibile della risorsa idrica. Particolarmente interessante ed utile al riguardo
La maggior parte del flusso di acqua virtuale dovuto agli scambi commerciali è relativo ai prodotti agricoli (circa il 70%) seguono l’allevamento (circa il 20%) e i prodotti industriali (circa il 10%). Gli esportatori di acqua virtuale che dominano il mercato sono gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, l’Argentina e la Tailandia, mentre tra gli importatori si distinguono il Giappone, lo Sri Lanka e l’Italia è il concetto di water footprint o impronta idrica, generato dal concetto di acqua virtuale e definito come il contenuto cumulato di acqua virtuale per persona di tutti i beni e servizi consumati in un paese. L’impronta idrica si misura in km3 di acqua per anno e, analogamente all’impronta ecologica, può essere uno strumento molto efficace per illustrare l’impatto di un paese sull’ambiente. Il punto essenziale nel concetto di acqua virtuale e nel suo utilizzo è la sua determinazione quantitativa, obiettivo complesso data la quantità di fattori che coinvolgono l’utilizzo dell’acqua nei processi produttivi: luogo e periodo di produzione, modalità
difference 2010−1986
3
< −1 km 3 −1 to 0 km 0 to +1 km3 > +1 km3
< 0.001 km3 < 0.01 km3 3 < 0.1 km < 1 km3 3 < 10 km 3 < 36.8 km
ITALY
(EXPORT 2010)
< 0.001 km < 0.01 km3 < 0.1 km3 < 1 km3 < 10 km3 < 91.4 km3
3
ITALY < −1 km3 −1 to 0 km3 0 to +1 km3 3 > +1 km
(IMPORT 2010)
difference 2010−1986
L’Italia e i flussi di acqua virtuale in ingresso e uscita. (Immagine pubblicata nell’articolo Local and global perspectives on the virtual water trade, di Tamea et al., pubblicato nel 2013 su Hydrology and Earth System Sciences)
di misurazione, metodo di produzione, considerazione di prodotti intermedi, etc. Nel tempo si sono consolidate diverse “scuole di pensiero”, che, come è ragionevole aspettarsi, producono risultati anche molto diversi tra loro. Un esempio delle differenze e delle loro entità nella determinazione dei valori del volume di acqua virtuale è fornito dalla tabella riportata di seguito.
delle relazioni commerciali e politiche internazionali e il ruolo di orientamento che tale concetto può svolgere nella definizione e nell’adozione delle politiche di gestione delle risorse idriche: di tutto ciò si è tentato di dare un cenno, basandosi sui riferimenti bibliografici di seguito elencati, cui si rimanda per ulteriori approfondimenti.
Contenuto di acqua virtuale (m3/ton)
Hoekstra & Hung (valori medi globali)
Chapagain & Hoekstra (valori medi globali)
Zimmer & Renault (California)
Oki (Giappone)
Grano
1150
-
1160
2000
Riso
2656
-
1400
3600
Mais
450
-
710
1900
Patate
160
-
105
-
Soia
2300
-
(Egitto) 2750
2500
Manzo
-
15977
13500
20700
Maiale
-
5906
4600
5900
Pollame
-
2828
4100
4500
Uova
-
4657
2700
3200
Latte
-
865
790
560
Le differenze risiedono ovviamente nelle metodologie di calcolo: si va dal metodo dei production trees, che analizzano in dettaglio le differenti fasi nel processo produttivo e i relativi fabbisogni d’acqua, al calcolo basato sulla distinzione tra differenti categorie di prodotti. In conclusione, il concetto di acqua virtuale e le sue implicazioni sono di recente introduzione nell’ambito degli studi sulle risorse idriche e molti aspetti della ricerca in questo campo rimangono aperti. Particolarmente interessante è la chiave di lettura che il concetto di acqua virtuale consente di dare
Le impronte idriche dei paesi del mondo secondo le stime dell’UNEP
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L'acqua virtuale non è apolitica Francesca Greco I benefici di poter ottenere derrate alimentari attraverso il commercio internazionale sono sempre stati sotto gli occhi di tutti, dagli albori della nostra storia. Famosi sono i commerci e le rotte dei cereali attraverso l’impero romano, le vie delle spezie, le rotte del riso e perfino quelle della Francesca Greco birra al tempo dei Vichinghi. Finché, tuttavia, il commercio internazionale di derrate alimentari non ha assunto dimensioni globali, in termini di abbattimento delle imposte doganali e di finanziarizzazione degli scambi, il suo impatto sugli ecosistemi e le possibili ricadute sui sistemi politici non erano mai state trattate come una materia a sé. Una volta assodate e diffuse le teorie del “sistema-mondo” e della “dependencia” e ormai che la parola globalizzazione è divenuta una terminologia di uso comune, è ancora più facile capire come i mercati finanziari e le speculazioni che lo caratterizzano abbiano recentemente influenzato il mercato internazionale di derrate alimentari, quello che in modo più estensivo viene chiamato global food trade. Oggi si analizzano le primavere arabe come una possibile conseguenza diretta dell’impennata del prezzo del grano sui mercati finanziari avvenuta nel 2008. Analisi simili vengono proposte per la crisi siriana: tra le motivazioni dell’esacerbarsi del conflitto, viene rintracciata una “insicurezza alimentare di base”. Questa sarebbe stata causata a sua volta dalla siccità, che avrebbe portato masse di popolazione rurale a spingersi verso le città, innescando una rivalità sempre crescente con i gruppi già inurbati e lungo le varie linee di disuguaglianza tra questi (politica, economica, religiosa). Questa tipologia di spiegazioni monocausali (la siccità), vengono normalmente rifiutate dall’analisi critica dell’ecologia politica. Le risorse naturali, infatti, sempre secondo un’analisi di ecologia politica, non sono quasi mai una causa primaria di conflitto. Questo perché sopra ad una situazione oggettiva di scarsità o penuria, si innesta sempre una componente umana, di natura economica e sociale, a determinarne l’esito finale. Ad esempio, attraverso l’analisi di vari casi di scarsità idrica, Anthony Turton e Leif Ohlsonn hanno coniato e applicato la definizione “social adaptive capacity” per poter spiegare i diversi esiti politici, in diverse società, a parità di scarsità di risorsa. Questo
concetto è evidente nella descrizione del caso della scarsità idrica di Singapore: una realtà geografica che non ha fonti idriche, ma che si adatta alla sua scarsità attraverso la “produzione” di acqua dolce tramite la desalinizzazione. In questo caso la capacità socio-economica di adattamento alla scarsità sarà molto alta. Il livello di conflitto innescato da un’effettiva penuria della risorsa sarà pari a zero. L’analisi di ecologia politica ci dimostra che i conflitti, anche se apparentemente monocausali, sono sempre determinati da una componente socio-economica sovrastante all’obbiettività scientifica della situazione di scarsità naturale. La povertà e la disuguaglianza nella distribuzione delle risorse, sia economiche che ambientali, sono spesso le vere cause dei conflitti cosiddetti ambientali; e ogni conflitto, anche per le risorse naturali, ha cause che hanno radici politiche e sociali non solo locali ma spesso, e quasi sempre, globali. Per una politicizzazione del concetto di acqua virtuale Introduciamo qui l’affermazione “l’acqua virtuale non è apolitica”, in relazione al fatto che l’acqua virtuale è un concetto strettamente legato al commercio di beni alimentari e che questo, a sua volta, è dipendente da dinamiche economico-politiche non di certo volte alla tutela ambientale. Questo passaggio si rende necessario perché quello dell’acqua virtuale è stato trattato fino ad ora come un concetto “apolitico”. L’acqua virtuale ha ricevuto l’avallo e il riconoscimento di tutte le comunità scientifiche internazionali, culminato nel 2008 con il conferimento a Tony Allan (creatore del concetto) del “World Water Prize” ( l’equivalente del premio Nobel, ma per l’acqua, conferito presso la casa reale di Svezia dallo Stockholm Water International Institute). Puroppo, queste comunità scientifiche riconoscono all’acqua virtuale un’accezione del tutto “apolitica”, ne danno cioè una definizione secondo la quale, attraverso il commercio di beni alimentari, si otterrebbe un “equilibrio Smithiano” delle risorse idriche globali. L’acqua virtuale, come la mano invisibile di Adam Smith, attraverso il libero mercato globale, riequilibra le risorse idriche del mondo, dando cibo dove non è possibile coltivarlo, ed esportando cibo dove c’e’ acqua in abbondanza. Questo equilibrio avviene sotto i nostri occhi, nel momento in cui possiamo fornire beni agricoli a paesi la cui scarsità non ne permette la coltivazione. Avremo quindi ottenuto un “flusso positivo”, “virtuoso” ed “equilibratore” dell’acqua virtuale ogni volta che quest’acqua si sarà “virtualmente mossa” da una regione ricca ad una povera d’acqua. Ad esempio, se immaginiamo un commercio di cereali provenienti
da una zona piovosa dell’America del Nord, verso il deserto della Libia. Lo stesso discorso è valido per i paesi ricchi di acqua: esportare beni agricoli “intensi” in acqua non danneggia le loro risorse idriche perché ne hanno in abbondanza. Il flusso di acqua virtuale è virtuoso. Purtoppo questa prospettiva “monocausale” (commercio beni agricoli da dove ho ricchezza a dove ho scarsità idrica) non supera il test della realtà dei fatti. È apolitica perché a un’analisi di economia politica internazionale, è evidente che i mercati agricoli non seguono le regole e i criteri “dei flussi di acqua virtuale”, ma quelli del profitto e della fluttuazione dei prezzi sulle piazze finanziarie internazionali. Principio fondamentale del mercato delle derrate agricole è quello di sfruttare al meglio la fluttuazione dei prezzi internazionali e di ottenere il maggior profitto alla luce di tutti i fattori di produzione nel loro insieme: acqua, certo, ma anche terra , manodopera, energia e mezzi di produzione. Gli agricoltori sono costretti in tutto il mondo, in questo periodo storico, ad abbassare i loro prezzi di vendita a favore dei prezzi imposti a livello globale. I flussi di acqua virtuale a volte non riequilibrano affatto le situazioni di scarsità, ma, anzi, le esasperano. Esistono casi di acqua virtuale paradossali, e veri e propri paradossi sono i flussi di acqua virtuale da essi creati. In questi casi, per attenersi al modello di agricoltura industriale
L'analisi di ecologia politica ci dimostra che i conflitti, anche se apparentemente monocausali, sono sempre determinati da una componente socio-economica sovrastante all'obbiettività scientifica della situazione di scarsità naturale da esportazione, si esportano derrate alimentari intense in acqua, da zone desertiche o, per esempio, da falde sotterranee non rinnovabili e quindi soggette a rischio estinzione. Ne esistono centinaia di casi: gli asparagi coltivati sugli altipiani del Perù ed esportati nel Regno Unito, per esempio, creano un “flusso” di acqua virtuale proveniente da una falda acquifera ad alto rischio. E ancora: l’intera produzione agricola di Israele, che viene massicciamente esportata in Europa, è coltivata con la preziosa acqua di una zona desertica che soffre di una scarsità idrica tra le più alte del mondo. Fino a pochi anni fa anche l’Arabia Sau-
dita coltivava cereali nel deserto arabico, e la Giordania, fino a un anno fa, sempre nel deserto Arabico, coltivava meloni da esportazione. Perché, dunque, associare al concetto di acqua virtuale un potere equilibratore che non può avere, o che, quando lo ha, non è comunque esercitato in modo volontario, ma “passivo”, come semplice conseguenza delle leggi del mercato? Associare all’acqua virtuale un ruolo equilibratore significherebbe usare una “monocausa” (il fattore acqua) a una realtà multi causale. Il global food trade (commercio internazionale di derrate alimentari) è infatti il risultato di una serie di cause e di fattori concomitanti (come già accennato, non solo l’acqua, ma anche i prezzi, la terra, la manodopera, il costo dei mezzi di produzione e dell’energia). Alla luca di una prospettiva di ecologia politica multicausale, dunque, l’acqua virtuale non è apolitica. È, al contrario, un concetto altamente politicizzato e dipendente dall’economica politica internazionale. Come tale, ci mette di fronte ai paradossi economici, politici e sociali del nostro sistema di consumo e di scambio attuale. L’acqua virtuale ci mette di fronte a casi in cui si sfruttano risorse preziose perché il mercato lo vuole anche a costo di esacerbare una siccità già esistente o una scarsità al limite dei livelli mondiali. Se non ammettiamo questo, e cioè la natura politica dei flussi di acqua virtuale, non possiamo iniziare a lavorare a una soluzione comune. La prima mossa da fare, come sottolinea Tony Allan, sarebbe senza dubbio aiutare gli agricoltori, che gestiscono la maggior parte delle risorse idriche mondiali. Gli agricoltori, schiacciati da un lato dai prezzi imposti e dall’altro dalla necessità di produrre di più, spesso vanno ad intaccare, sovrautilizzare e caricare di sostanze tossiche le acque, ai fini della commercializzazione e di una conseguente esportazione. Ciò viene fatto senza badare, e spesso senza nemmeno intuire, che si stia di fatto creando un “flusso” di acqua virtuale, virtuoso o paradossale che sia. Le istituzioni internazionali e le legislazioni nazionali dovrebbero invece aiutare gli agricoltori a diventare i “protettori primari” di questa risorsa, fornendo loro i giusti strumenti e i giusti incentivi per la sua protezione. Con questa attenzione per gli agricoltori e per le risorse idriche, molti paradossi potrebbero essere evitati. Senza questa attenzione per gli agricoltori, perderemo di vista qual è il bene primario da salvaguardare: l’acqua dolce del nostro pianeta. Ce n’è poca. E dovrà bastare per tutti. Per sempre.
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AguaSociAL Un progetto per la gestione delle risorse idriche nell’Amazzonia brasiliana Salvatore Monni In molte aree del mondo l’accesso all’acqua sta diventando sempre più una questione vitale. Cambiamento climatico, sovrappopolazione e urbanizzazione incontrollata stanno fortemente incidendo sulla disponibilità e la qualità delle risorse idriche e sul loro corretto impiego. In particolar modo le regioni più Salvatore Monni colpite sono le più povere del pianeta, spesso quelle già in una grave situazione di water-stress. Un problema che, come è facile intuire, è spesso accompagnato da turbolenze di carattere sociopolitico che sfociano il più delle volte in vere e proprie guerre. Fenomeni di questa complessità non possono essere affrontati in un’ottica esclusivamente economica, le loro implicazioni vanno molto aldilà della mera “crescita economica” o dell’aumento del prodotto interno lordo, e richiedono perciò, da parte nostra, il tentativo di elaborare nuovi paradigmi di sviluppo a forte vocazione interdisciplinare e in grado di rispondere in maniera pronta a tali emergenze. In particolar modo vi è la necessità di elementi innovativi e di discontinuità, rispetto alle soluzioni precedenti, che non rappresentino un semplice processo di innovazione tecnologica ma di vera e propria “innovazione sociale”. Pertanto, nel caso specifico dell’acqua, le tecnologie e i modelli di gestione da adottare dovranno necessariamente prendere in considerazione le questioni sociali e ripensare una metodologia tradizionale di pianificazione, cercando di rendere le risorse idriche più accessibili alle popolazioni, e di migliorare la qualità di una risorsa indispensabile per il benessere degli individui. Tali approcci aprono la strada a nuove prospettive in materia di gestione, ricerca e valutazione dei processi di innovazione in generale. In questo quadro si inserisce AguaSociAL un progetto da 315mila Euro finanziato interamente dal Settimo Programma Quadro (2007/2013) dell’Unione Europea, nell’ambito del International Research Staff Exchange Scheme (IRSES) Marie Curie Actions che ha come obiettivo quello di consolidare la cooperazione e la condivisione della conoscenza, in tema di acqua, tra il Brasile e l’Unione Europea. Il progetto si basa sul principio di innovazione sociale e mira a rafforzare le capacità della ricerca di essere applicata e di supportare nuovi paradigmi relativi al trattamento delle risorse idriche nella zona della regione amazzonica del Brasile (negli stati di Pará e Amazonas), che offre un contesto ricco in termini di risorse ambientali ma critico in ter-
mini di definizione di diritti di proprietà e gestione/accesso a beni pubblici locali e globali. AguaSociAL è un progetto che ha inizio nel dicembre 2013 ed è guidato dal Dipartimento di Economia di Roma Tre. Insieme a Roma Tre che guida il progetto sono coinvolte come partner la Leeds Beckett University (Regno Unito), la Universitat Autònoma de Barcelona (Spagna), Universidade Federal do Pará – UFPA (Belém, Pará – Brasile), Universidade do Estado do Amazonas – UEA (Manaus,
AguaSociAL è un progetto da 315.000 Euro finanziato interamente dal Settimo Programma Quadro (2007/2013) dell’Unione Europea, nell’ambito del International Research Staff Exchange Scheme (IRSES) Marie Curie Actions che ha come obiettivo quello di consolidare la cooperazione e la condivisione della conoscenza, in tema di acqua, tra il Brasile e l'Unione Europea Amazonas – Brasile). Il progetto ha l’obiettivo tra gli altri di fornire formazione in loco sulle tecniche e le tecnologie di trattamento delle acque basate sugli approcci di innovazione sociale già richiamati. AguaSociAL in particolare cerca di indagare e sostenere le tecniche e le tecnologie di sviluppo concepite dalle diverse comunità locali per migliorare l’accesso all’acqua delle popolazioni più vulnerabili, ponendo enfasi sull’apporto di innovazione nell’ istruzione e nella formazione. Tra gli altri obiettivi di AguaSociAL c’è quello di facilitare le attività di ricerca e sviluppo nella regione amazzonica. Una particolare attenzione è data alle problematiche riguardanti il trattamento delle acque e delle innovazioni sociali da parte delle comunità locali (in particolar modo a quelle più a rischio). La ricerca è impegnata principalmente nell’identificazione delle tecnologie di trattamento delle acque, riutilizzo, riciclaggio e servizi igienico-sanitari esistenti e potenziali, che siano socialmente accettati e posseduti dalla comunità. Questo approccio dovrebbe consentire il collegamento delle conoscenze scientifiche con le tradizioni locali e allo stesso tempo sostenere un processo di apprendimento condiviso verso uno sviluppo sostenibile. Il Brasile sta vivendo un rapido processo di crescita economica che ha ricadute anche in termini di sviluppo. Tuttavia, la mancanza di un’attenzione alla sostenibilità, intesa qui nel senso più ampio di sostenibilità ambientale economica e sociale, è frequente e preoccupante e mette in serio pericolo lo stesso processo di sviluppo conosciuto negli ultimi anni
Nicola Caravaggio e Martina Iorio
a iniziare con la presidenza Lula (2003-2011). In effetti, la povertà affligge ancora la maggioranza della popolazione brasiliana e soprattutto nelle regioni del nord e del nordest si continua a registrare un altissimo livello di diseguaglianza nella distribuzione del reddito. Allo stesso modo, non è attualmente garantito un accesso egualitario alle risorse pubbliche globali come acqua e terra. Inoltre, l’inquinamento delle acque resta un grave problema in tutto il Brasile ma in particolare nella regione amazzonica dove nonostante l’abbondanza di risorse idriche, vi è una scarsità di acqua idonea al consumo umano. Le questioni relative alla qualità e all’accesso all’acqua influenzano pesantemente la vita sociale e la salute pubblica. Le soluzioni a questi problemi richiedono investimenti nel miglioramento delle tecnologie e nella loro implementazione, un potenziamento di skills e capabilities e l’attuazione di processi partecipativi al fine di veicolare il trasferimento della conoscenza e di generare awarness. Gran parte delle attività di AguaSociAL in ricerca e formazione mira a sviluppare e rafforzare la cooperazione e la condivisione delle conoscenze con le comunità locali più vulnerabili. Importante sarà valutare gli impatti sociali ed economici connessi con lo sfruttamento di tecniche e tecnologie a basso costo per il trattamento dell’acqua al fine di individuare soluzioni adeguate. La partecipazione attiva della comunità locali come principali interlocutori e non come semplici utenti è il fattore chiave per il successo degli interventi di rilievo economico e sociale precedentemente richiamati. Tuttavia, ad oggi, i referenti principali per la corretta implementazione delle “soluzioni” e l’avvio di un circolo virtuoso di sostenibilità in grado di autoalimentarsi a livello sia locale che nazionale rimangono lo Stato Federale (attraverso la partecipazione maggioritaria in imprese energetiche e di servizi) e i soggetti privati. Il programma di formazione e ricerca multidisciplinare ha lo scopo di promuovere l’innovazione attraverso l’elaborazione di innovazioni sociali necessarie alle popolazioni più esposte della regione amazzonica (tecnologia di accettazione). Il progetto prevede il coinvolgimento delle comunità vulnerabili in specifiche aree chiave all’interno delle procedure di valutazione delle loro condizioni e bisogni di base, portando all’elaborazione di linee guida che possano supportare la governance. Il trasferimento della conoscenza e lo sviluppo delle capacità avverrà attraverso lo scambio di know how tra le istituzioni di ricerca europee e brasiliane e la sensibiliz-
zazione all’obiettivo finale delle comunità urbane e rurali Amazzoniche sull’importanza di acqua potabile per il benessere umano fornendo mezzi per una migliore gestione ed un più corretto accesso all’acqua. In questa prima fase del progetto molti sono stati gli scambi intercorsi tra le istituzioni coinvolte. Ricercatori e Professori provenienti dalle Università brasiliane Universidade Federal do Pará – UFPA, Universidade do Estado do Amazonas, hanno visitato la nostra Università e quelle di Leeds e Barcellona ricambiati da ricercatori spagnoli e britannici. Il prossimo anno saranno invece i nostri ricercatori a recarsi in Brasile anticipati da Elisa Natola, componente del coordinamento tecnico del progetto che ha recentemente partecipato alla mobilità svilup-
La ricerca è impegnata principalmente nell'identificazione delle tecnologie di trattamento delle acque, riutilizzo, riciclaggio e servizi igienico-sanitari esistenti e potenziali, che siano socialmente accettati e posseduti dalla comunità pando attività di supporto e formazione tecnica. Tra gli “spin off” del progetto vi è anche la creazione di gruppi di lavoro che coinvolgono studenti della Laurea Triennale in Economia e della Laurea Magistrale in Economia dell’Ambiente e dello Sviluppo. Gruppi che ho coordinato congiuntamente con la Prof.ssa Valeria Costantini, titolare del corso di Economia dell’Ambiente e coinvolta anche lei in AguaSociAL, che nascono con l’obiettivo primario di aiutare gli studenti nella compilazione delle loro tesi di laurea coinvolgendoli nel progetto e mettendoli in contatto con un ambiente di ricerca internazionale fin dall’inizio del loro percorso di tesi. Lo scorso anno due studenti della Laurea Magistrale in Economia dell’Ambiente e dello Sviluppo, Martina Iorio e Nicola Caravaggio, grazie anche alla borsa finanziata dal nostro Ateneo per svolgere il lavoro di tesi all’estero, sono volati nell’Amazzonia brasiliana al fine di effettuare ricerche per le loro tesi, incentrate sulle centrali idroelettriche nel nord del Brasile. I due studenti, seguiti dal Prof. Ronaldo Lopes Rodrigues Mendes (UFPA), si sono recati presso la centrale idroelettrica di Tucuruí e il cantiere della futura centrale idroelettrica di Belo Monte. Partendo dallo studio di una delle tecnolo-
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Bruxelles, foto di gruppo di Aguasocial con ricercatori di Roma Tre, brasiliani, inglesi e spagnoli. Foto Leonardo Piccinetti
gie più pulite al mondo per la produzione di elettricità, l’attenzione degli studenti si è spostata sulla necessità di garantire una maggiore e migliore regolamentazione delle risorse idriche, specialmente in una zona remota come quella amazzonica. L’utilizzo di acqua per la produzione di energia elettrica sta permettendo al Brasile di aumentare la propria autonomia energetica rispetto al resto del mondo con un’ulteriore e significativa riduzione delle emissioni climalteranti nonostante il crescente consumo energetico del Paese. Tuttavia, l’utilizzo indiscriminato della risorsa idrica, seppur per nobili obiettivi, sta generando degli impatti notevoli in termini sociali e ambientali. Primo tra tutti, l’appropriazione della risorsa idrica da parte di imprese pubbliche e private per la generazione di energia sta complicando, più che semplificare, la corretta diffusione dell’accesso all’acqua e sta danneggiando in primo luogo le popolazioni autoctone. In secondo luogo, lo sfruttamento smodato, attualmente ancora in crescita, della risorsa sta generando situazioni di conflitto per il suo utilizzo, come nel caso di corsi d’acqua interrotti, diversamente utilizzabili come arterie di collegamento per la semplice mobilità e per il commercio. Infine, l’intervento dei privati e delle grandi imprese pubbliche è principalmente focalizzato al settore energetico piuttosto che a quello dei servizi sanitari di base, le comunità locali quindi ne subiscono principalmente gli impatti negativi, senza trarne particolari benefici in termini di diffusione di benessere. I nostri studenti hanno raccolto dati e testimonianze tra ottobre
Gli studenti di Roma Tre Gianmarco Diorio, Ilaria Doimo, Martina Stivani e Francesco Tacconi, presso la comunità riberinha "Nossa senhora des navigantes”, dove stanno raccogliendo interviste. Foto Jorge Silva Junior (programma Luz para todos)
e dicembre 2015 facendo sopralluoghi presso le centrali idroelettriche di Tucuruí e di Belo Monte (nello stato del Pará, Regione del Nord) e visitando le comunità locali di Tucuruí, Santarém e Altamira, e le città di Belém e Manaus. Il risultato finale di questa ricerca è stato raccolto nelle loro tesi di laurea magistrali, e la collaborazione con il gruppo di ricerca brasiliano continua tanto che quattro nuovi studenti, Gianmarco Diorio, Ilaria Doimo, Marti-
Gran parte delle attività di AguaSociAL in ricerca e formazione mira a sviluppare e rafforzare la cooperazione e la condivisione delle conoscenze con le comunità locali più vulnerabili na Stivani e Francesco Tacconi sono attualmente in Brasile per fare ricerca sulle tracce degli oramai neo laureati Martina e Nicola. Così le interviste, il lavoro di gruppo e gli incontri multidisciplinari hanno contribuito alla creazione di un network che si sta consolidando e che continuerà, per i prossimi due anni, a lavorare per una economia sostenibile nel rispetto delle comunità locali e per la valorizzazione di uno sviluppo integrato e duraturo nel tempo.
SCHEDA Progetto AguaSociAL Nome: AGUASOCIAL Social Innovation in the Water Treatment Sector in the Amazon Topic(s): FP7-PEOPLE-2013-IRSES - Marie Curie Action “International Research Staff Exchange Scheme” Partners: Università degli Studi Roma Tre (coordinamento) Leeds Beckett University (Regno Unito), la Universitat Autònoma de Barcelona (Spagna), Universidade Federal do Pará – UFPA (Belém, Pará – Brasile), Universidade do Estado do Amazonas – UEA (Manaus, Amazonas – Brasile) Costo totale: EUR 315 000 contributo EU : EUR 315 000 Coordinatore: Prof. Salvatore Monni (salvatore.monni@uniroma3.it) Project Manager: dott.ssa Elisa Natola (elisanatola@gmail.com) Siti di riferimento: http://cordis.europa.eu/projects/rcn/111055_en.html I profili social del progetto: Facebook https://www.facebook.com/Aguasocial Twitter https://twitter.com/Aguasocial_EU Linkedin https://www.linkedin.com/in/aguasocial https://www.youtube.com/watch?v=PSuKVqB0C20 link al Video presentato a Bruxelles il 5 giugno 2014 durante l’evento “Social Innovation in the Waste and Water Smart Cities in Brazil, workshop”
La mostra dell’acqua di Trevi Le ragioni di una forma e un restauro Maurizio Gargano L’acqua: bene essenziale per garantire l’esistenza delle varie forme di vita. La definizione stessa spiega la ragione per la quale l’acqua è di proprietà pubblica. Ed è in quest’ottica che si cercherà di attirare l’attenzione tornando a rileggere le ragioni di un’impresa di natura storicoarchitettonica. Una sinMaurizio Gargano golare questione che ha intrecciato finalità di pubblica utilità con più ampie strategie di gestione delle questioni urbane e infrastrutturali: con l’acqua - per l’appunto - come protagonista centrale. Si allude, in particolare, alle vicende che hanno visto l’acquedotto dell’Acqua Vergine “impreziosire” e sovrapporre la necessaria e tipica funzione di un approvvigionamento idrico con la forma raggiunta dall’architettura della sua Mostra dell’Acqua, realizzata a Roma, nel Rione Trevi. In proposito, si intende infatti rivisitare sinteticamente la storia di quelle vicende che a partire dalla originaria fonte dell’Acqua Vergine, mediante il percorso del relativo acquedotto, hanno fornito d’acqua il cuore della città di Roma. Condotti che, con la loro erogazione finale, magnificata dalla realizzazione della quattrocentesca Mostra dell’Acqua, hanno contribuito, nel corso dei secoli, a determinare la progettazione e la realizzazione dell’attuale, imponente, Fontana di Trevi: realizzata - com’è noto - su progetto di Nicola Salvi intorno al 1730 e il cui restauro si è concluso con l’inaugurazione e la conseguente riapertura al pubblico dell’intero complesso il 3 novembre 2015. Tra i numerosi acquedotti realizzati nella Roma della cosiddetta Età Classica, quello dell’Acqua Vergine riuscì a conservare la sua efficienza anche dopo le devastazioni e distruzioni degli altri acquedotti romani nei ripetuti assedi subiti dalla città negli anni conclusivi del suo Impero. Con la relativa fonte, rintracciabile nei pressi dell’attuale località di Salone (VIII miglio della Via Collatina, corrispondente al chilometro 10,500 circa dell’attuale via), l’Acquedotto Vergine - il sesto realizzato a Roma in ordine di tempo - venne inaugurato il 9 giugno del 19 a.C. su volere di
Marco Vispasiano Agrippa, genero dell’imperatore Augusto. A causa del suo percorso in gran parte interrato e per questa ragione sfuggito alle devastazioni “barbariche” - l’acquedotto dell’Acqua Vergine forniva acqua alle Terme di Agrippa, localizzate in Campo Marzio, attraverso un itinerario lungo e tortuoso: un percorso di circa 20 chilometri necessario e articolato per mantenere costante la pendenza e che, dalla zona sorgiva a Sud-Est di Roma, entrava in città da Nord. Il nome dato all’acquedotto (Vergine) è verosimilmente derivato dalla purezza e freschezza delle acque caratterizzate, inoltre, da una peculiare “leggerezza” dovuta alla modesta presenza di calcare: una singolarità che ha contribuito alla conservazione dell’acquedotto mantenendone liberi i condotti. Ma una leggenda vuole, invece, che il nome Acqua Vergine derivi da una fanciulla che ne avrebbe indicato le sorgenti ai soldati di
Tra i numerosi acquedotti realizzati nella Roma della cosiddetta Età Classica, quello dell’Acqua Vergine riuscì a conservare la sua efficienza anche dopo le devastazioni e distruzioni degli altri acquedotti romani nei ripetuti assedi subiti dalla città negli anni conclusivi del suo Impero Agrippa, i quali cercavano invano una nuova fonte d’acqua. L’evidente funzione vitale svolta dalla presenza dall’acqua in Campo Marzio e nel Rione Trevi, mantenne la sua efficienza nel corso del tempo per le varie ragioni suddette. Nonostante ciò, e nonostante la leggerezza di quelle acque a bassa dose di calcare, i condotti si ostruirono progressivamente erogando una sempre più scarsa quantità d’acqua dalle “bocchette” dell’antica vasca/fontana conclusiva, presente nel Rione Trevi: ragione, quest’ultima, che contribuì a stimolare l’intervento necessario a spurgare quei condotti per una migliore erogazione dell’acqua. Pretesto - come si cercherà di porre in risalto - per un intervento che oltre alle ovvie necessità pratico-funzionali assumerà, parallelamente, valori di ben più ampia portata.
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Si deve, in proposito, bocchette da cui sgorga all’interessamento di pal’acqua. Un’immagine pa Niccolò V Parentucel‘turrita’, secondo gli stileli (1447-1455), sollecitami tradizionali delle forto dai suoi tecnici e intelme quattrocentesche rolettuali di fiducia, il primane, piuttosto stridente mo significativo intercon le ricerche che in vento di miglioria a quei quegli anni Leon Battista condotti, parzialmente Alberti e lo stesso Rosselostruiti, e la conseguente lino stavano conducendo, realizzazione di una Moinseguendo le forme classtra dell’Acqua Vergine sicheggianti all’antica adeguata alla nuova eroche contrassegneranno la gazione. L’invaso, con il produzione architettonica fronte originariamente della cosiddetta Età Umaorientato verso l’attuale nistico-Rinascimentale. Via del Corso, fornì al Dalle fonti e dai docupapa, che ne promosse e Alessandro Strozzi, Pianta di Roma, in 'Res priscae variaque antiqui- menti dei registri e dei finanziò l’iniziativa, l’oc- tatis monumenta undique ex omni orbe conlecta', 1474 mandati di pagamento casione di donare alla citdell’epoca non emergono, tà di Roma, e al Rione Trevi, un migliorato approvviinfatti, i nomi delle due personalità appena ricordate gionamento idrico, ovviamente destinato ad aumentare ma quelli di protagonisti assai più incisivi ai fini della la qualità della vita di ogni giorno degli abitanti del rieffettiva realizzazione della Mostra dell’Acqua in queone: incrementando, nel contempo, il valore commerstione: si tratta del Commissarius generalis Nello di ciale delle proprietà fondiarie e immobiliari di quella Bartolomeo da Bologna (sovrintendente alle opere arparte di città che avrebbe così beneficiato di una più chitettoniche e infrastrutturali promosse durante il ponagevole e maggiore fornitura d’acqua potabile. Un dotificato di Niccolò V) e del tecnico-ingegnere Pietro di no alla cittadinanza finalizzato, tra altri più celati obietGiuliano da Cholona, citati come coordinatori e artefitivi, a ingraziarsi maggiormente quelle famiglie di traci dell’impresa. Al di là, comunque, delle questioni attributive intorno dizione ‘repubblicana’, e non sempre filo-papali, che popolavano la zona (i Colonna, con le loro proprietà, ai nomi dei progettisti, ciò che balza agli occhi da queltra questi). l’unica immagine seicentesca pervenutaci, è un castello L’impresa papale, sotto la forma di un dono alla cittain forma turrita in cui, al di sopra delle tre bocchette dinanza, in realtà mascherava le reali intenzioni di paerogative dell’acqua, è inserita una insegna che ricorda pa Niccolò V: intervenire in una zona centrale di Roma l’impresa del Pontifex Maximus Niccolò V e la data: attraverso la gestione di un’iniziativa solitamente di 1453. Ancor più sorprendente è, all’interno della lapide competenza di una Magistratura comunale sostituendocelebrativa dell’impresa, l’inserimento dello stemma si, di fatto, alle decisioni/azioni generalmente ed esclusivamente demandate ai Magistri aedificiorum, viarum A causa del suo percorso in gran parte et stratarum ac decursuum aquarum. E, in misura seninterrato - e per questa ragione sibile, privare di quel potere decisionale una magistrasfuggito alle devastazioni “barbariche” tura comunale. Aggiungendo, in tal modo, una tessera significativa alla definizione di quel più ampio mosai- l’acquedotto dell’Acqua Vergine co finalizzato alla totale gestione papale delle progresforniva acqua alle Terme di Agrippa, sive trasformazioni urbane e infrastrutturali a cui i papi localizzate in Campo Marzio, aspiravano, fin dal loro ritorno in città dopo l’esilio ad Avignone, per conferire alla città di Roma - senza inattraverso un itinerario lungo e terferenze comunali - l’immagine di una degna res putortuoso: un percorso di circa 20 blica christiana, ma di esclusiva marca pontificia. chilometri necessario e articolato per Dalle pagine redatte da Giorgio Vasari intorno a Le vite de’ più eccellenti Pittori, Scultori, e Architetti (1550), mantenere costante la pendenza si evince il nome di Leon Battista Alberti, coadiuvato papale caratterizzato dalle due chiavi incrociate che da Bernardo Rossellino, come autore della facies architettonica della Mostra dell’Acqua Vergine, sotto il già troneggia tra gli scudi del Comune di Roma, contrassecitato pontificato di Niccolò V. gnati dal noto acronimo “S.P.Q.R.”. Come in una sorta Dall’unica immagine pervenuta attraverso una sorta di di vittorioso podio olimpico, il primo posto, più in alto, guida alle emergenze architettoniche della città di Roè ovviamente assegnato al papa che ha sovvenzionato ma, redatta nel corso del XVII secolo dall’editore Gil’iniziativa. Tuttavia, ciò che simbolicamente lo stemrolamo Domenico Franzini, si rileva una Mostra delma troneggiante del papa ratifica, in realtà, è l’essersi l’Acqua caratterizzata da un prospetto realizzato con appropriato - attraverso i suoi tecnici di fiducia - di una una massiccia muratura coronata da merlature, con tre mansione e di competenze tradizionalmente proprie di
una Magistratura comunale. L’ingerenza pontificia nella gestione delle questioni relative alla trasformazione e modernizzazione di Roma si affermava anche così, lentamente e progressivamente, sovrapponendo l’autorità del papa all’autonomia delle varie Magistrature Nuova Mostra dell’Acqua di Trevi, ascomunali: attraver- setto del 1453 so, quindi, abili dissimulazioni celate sotto la forma di doni alla cittadinanza da cui ricevere, di riflesso, sempre maggiori consensi. La strategia papale, tesa a esautorare progressivamente le Magistrature comunali dei loro poteri tradizionali in merito alla gestione della città, ratificherà progressivamente - anche mediante le imprese dei papi che seguiranno l’esempio di Niccolò V - questo orientamento. Il disegno papale finalizzato, anche attraverso questa forma di doni, alla totale gestione politico-amministrativa della città, con la conseguente programmata trasformazione dell’immagine comunale di Roma, non sfugge ai Romani ostili alle eccessive ingerenze pontificie. La congiura ordita ai danni del pontefice dal repubblicano Stefano Porcari ne è un emblematico esempio. E altrettanto emblematica sarà la condanna e la conseguente pena capitale per impiccagione con esposizione del corpo di Stefano Porcari dal torrione di Castel Sant’Angelo nello stesso anno - il 1453, già ricordato - in cui veniva donata ai Romani la nuova Mostra dell’Acqua di Trevi. E sia la pena, sia l’esecuzione sono state comminate dallo stesso commissario generale Nello da Bologna: il sovrintendente all’impresa della Mostra dell’Acqua di Trevi. L’acqua, dunque, da elemento essenziale e vitale assume toni e provoca effetti assai diversificati, in questa emblematica circostanza. La quattrocentesca Mostra dell’Acqua di Trevi, attraverso successivi e necessari interventi di restauro ai condotti di erogazione, subirà una variazione di orientamento: una nuova vasca riprogettata ex-novo nel corso del XVII secolo, su disegno di Gian Lorenzo Bernini, sarà infatti ruotata di 90° verso Sud ri-
Falda
spetto alla collocazione topografica originaria che presentava il fronte rivolto a occidente, verso la Via Lata (attuale Via del Corso), assumendo il posiziona-
Ciò che salta agli occhi, nell’unica immagine seicentesca pervenutaci, è l’inserimento dello stemma papale caratterizzato dalle due chiavi incrociate che troneggia tra gli scudi del Comune di Roma, contrassegnati dal noto acronimo “S.P.Q.R.”. Come in una sorta di vittorioso podio olimpico, il primo posto, più in alto, è ovviamente assegnato al papa che ha sovvenzionato l’iniziativa mento che conserva tutt’ora. Una variazione di orientamento decisa come per cedere il passo e non ostacolare il percorso che i papi faranno dopo aver deciso di spostare la residenza estiva nel complesso del Palazzo situato sul colle del Quirinale. Per l’immagine fantasmagorica definitiva della celebrata Fontana di Trevi - progettata, come già ricordato, da Nicola Salvi - si dovrà tuttavia attendere la prima metà del XVIII secolo. E in seguito a un ulteriore necessario restauro dell’intero complesso monumentale, si è dovuto attendere il novembre del 2015 per vedere la fontana finalmente riconsegnata all’ammirazione pubblica.
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Regina aquarum Gli acquedotti di Roma antica Arnaldo Marcone Al culmine della sua storia Roma era servita da undici acquedotti approvvigionati da una complessa rete idrica che si estendeva dal centro a raggiera per uno sviluppo complessivo di circa cinquecento chilometri, verso i laghi Sabatini a settentrione e i colli Albani a meridione. Già a partire Arnaldo Marcone dalla costruzione del primo acquedotto nel 312 a.C., iniziò ad affluire a Roma una notevole quantità enorme di acqua potabile, come in nessun’altra città del mondo antico e che le valse l’appellativo di regina aquarum, regina delle acque: gli acquedotti, realizzazioni sofisticate dal punto di vista tecnico oltre che da quello estetico, alimentavano 1300 fontane pubbliche, 15 fontane monumentali, 900 piscine, 11 terme pubbliche, fornivano l’acqua corrente in case e terme private, a bacini d’acqua per naumachie.
Già a partire dalla costruzione del primo acquedotto nel 312 a.C., iniziò ad affluire a Roma una notevole quantità enorme di acqua potabile, come in nessun'altra città del mondo antico e che le valse l’appellativo di "regina aquarum" Di questi undici acquedotti: quattro, l’Aqua Apia, Anio Vetus, Aqua Marcia ed Aqua Tepida erano stati costruiti in età repubblicana mentre tre – l’Aqua Iulia, l’Aqua Virgo, l’Aqua Alsietina - furono realizzati in epoca augustea; l’Aqua Claudia e l’Anio Novus furono iniziati dall’imperatore Caligola e terminati da Claudio. Nel 109 fu costruita per volere dell’imperatore Traiano l’Aqua Traiana e nel 226, per volere di Alessandro Severo l’Aqua Alexandrina con la quale si chiude il ciclo dei grandi acquedotti romani: il primo serviva ad approvvigionare le località del Gianicolo e Trastevere ed il secondo per addurre acqua alle terme Alessandrine. Appare dunque giustificato quello che scrive in proposito Plinio il Vecchio in età vespasianea: «Chi vorrà considerare con attenzione la quantità delle acque di uso pubblico per le terme, le piscine, le fontane, le case, i giardini suburbani, le ville; la distanza da cui l’acqua viene, i con-
dotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati perforati, le valli che sono state superate, dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso» (Storia Naturale 36, 123). La costruzione di un acquedotto era un’operazione complessa. Preliminare era la ricerca delle sorgenti e delle vene acquifere idonee da utilizzare, le quali, oltre alla qualità, all’abbondanza ed alla regolarità del flusso dell’acqua, dovevano rispondere anche all’essenziale requisito dell’altezza, indispensabile a fornire la giusta pendenza alla conduttura che doveva trasportare l’acqua fino a Roma. L’acqua veniva scelta in conseguenza di molti fattori: la sua purezza, il suo sapore, la sua temperatura, le sue supposte proprietà medicamentose, attribuite ai sali minerali contenuti, e la posizione delle sue sorgenti, che dovevano essere visibilmente pure e limpide, inaccessibili all’inquinamento e prive di muschio e di canne. A tal fine si esaminavano le condizioni generali delle bestie che ne consumavano. Se la fonte era nuova, i campioni dovevano essere analizzati in contenitori di bronzo di buona qualità per accertare la capacità di corrosione, l’effervescenza, la viscosità, i corpi estranei e il punto di ebollizione. L’acqua si muoveva in direzione della città grazie a nessun’altra forza se non quella di gravità, cioè l’acquedotto agiva da continuo scivolo per tutta la distanza che separava le sorgenti dal punto del suo sbocco. Per ottenere tale risultato ciascuno di essi veniva progettato in modo tale che ogni singola parte del lungo tracciato corresse leggermente più in basso di quello precedente, e leggermente più in alto di quello successivo, in modo da ottenere una pendenza media calcolata attorno al 2%. Per tale ragione l’acqua doveva essere presa da sorgenti situate in collina, più in alto rispetto alla posizione di Roma, in particolare nei dintorni ad est della città, ed ogni punto
La costruzione di un acquedotto era un’operazione complessa. Preliminare era la ricerca delle sorgenti e delle vene acquifere idonee da utilizzare, le quali, oltre alla qualità, all'abbondanza ed alla regolarità del flusso dell'acqua, dovevano rispondere anche all'essenziale requisito dell'altezza, indispensabile a fornire la giusta pendenza alla conduttura che doveva trasportare l'acqua fino a Roma
Vento di maggio al Parco degli Acquedotti. Foto Leonardo Sagnotti © www.flickr.com/photos/leosagnotti/)
del lungo percorso doveva essere attentamente pianificato, a seconda delle caratteristiche del terreno che incontrava. L’inizio dell’acquedotto, detto caput aquae, era costituito, nel caso di sorgenti di superficie o di presa diretta da un fiume, da un bacino di raccolta, creato con dighe o sbarramenti artificiali, o, nel caso di sorgenti sotterranee, da un sistema articolato di pozzi e cunicoli che convogliavano la vena acquifera in un unico canale. All’inizio come alla fine dell’acquedotto vi erano le cosiddette camere di decantazione o piscinae limariae, nelle quali l’acqua subiva un processo di purificazione grazie al deposito delle impurità più grossolane. Quindi aveva inizio il canale di conduzione vero e proprio detto specus, costruito in pietra o in muratura e foderato di cocciopesto, un impasto impermeabile di calce e laterizi (tegole o anfore); lo speco, inoltre, doveva avere il requisito essenziale di mantenere una pendenza costante, che assicurasse all’acqua uno scorrimento continuo. Per ovviare ai dislivelli causati da zone depressive o da vallate, l’unica alternativa era il sistema del sifone, o “sifone rovescio”: l’acqua aumentava la propria pressione all’interno di una “torre” posta all’estremità della valle da attraversare, dopodiché scendeva in condotta forzata per risalire all’estremità opposta della valle con una pressione tale da consentire la prosecuzione del flusso. Ma l’aumento di pressione costituiva un serio problema dal momento che le tubazioni che venivano utilizzate, di piombo o di terracotta, erano poco adatte ad una pressione elevata: ecco spiegato il motivo per cui i costruttori furono costretti a scegliere tragitti lunghi e tortuosi ma che, seguendo strettamente la morfologia del terreno, ave-
vano il merito di fornire al condotto una graduale ma costante pendenza. Il percorso dello speco era preferibilmente sotterraneo, e solo eccezionalmente a cielo aperto, e ciò avveniva quando attraversava dorsali collinari, corsi d’acqua o vallate, nel qual caso si appoggiava a muri di contenimento o di sostruzione o su arcuazioni, salvo rientrare, appena possibile, nel
Se la fonte era nuova, i campioni dovevano essere analizzati in contenitori di bronzo di buona qualità per accertare la capacità di corrosione, l’effervescenza, la viscosità, i corpi estranei e il punto di ebollizione cunicolo sotterraneo. In entrambi i casi il condotto era accompagnato, in superficie, da cippi lapidei numerati, posti alla distanza di circa 70 metri uno dall’altro, che facilitavano la localizzazione in caso di necessità e garantivano una “fascia di rispetto” al canale: 1,45 metri se sotterraneo e 4,5 metri circa se in superficie. L’accesso ai condotti per la manutenzione, frequente soprattutto per la sedimentazione del calcare che tendeva a ostruire lo speco, era garantito da tombini muniti di scalini per la discesa nel caso di canale sotterraneo o di opportuni portelli nel caso di canale sopraelevato, che consentivano inoltre di interrompere o diminuire il flusso dell’acqua che veniva scaricata all’esterno. L’acquedotto finiva con un “castello” terminale o principale, ossia una costruzione massiccia, a torre, contenente camere di decantazione ed una
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The wealth of Rome. Parco degli Acquedotti - Acquedotto Claudio (2007). Foto Leonardo Sagnotti © (www.flickr.com/photos/leosagnotti/)
vasca dalla quale, per mezzo di prese o bocche, l’acqua veniva ripartita ed immessa nelle condutture urbane; inoltre il castello aveva il compito di garantire un flusso continuo nel caso di eventuali cali di pressione o di variazioni della velocità dell’acqua. Castelli secondari, all’interno della città, venivano utilizzati per la ripartizione dell’acqua. Talvolta il “castello” terminale terminava con una “mostra d’acqua”, una fontana monumentale creata per solennizzare lo sbocco in città dell’acquedotto. Nella sola città di Roma i castella erano ben duecentoquarantasette e attraverso questi venivano distribuiti oltre 10.360 quinarie. La quinaria era un’unità di misura della portata di un acquedotto utilizzata nell’antica Roma. Una quinaria corrisponde a circa 41,5 m³ in 24 ore, cioè a circa 0,48 litri al secondo. Nella menzione della portata di un acquedotto gli antichi danno in genere due valori, la prima all’origine, la seconda all’arrivo a Roma del flusso di acqua preso in considerazione. Il divario tra le due cifre, con la seconda sempre inferiore alla prima, si giustifica con la progressiva diminuzione della portata durante il percorso a causa delle erogazioni intermedie, delle perdite e delle intercettazioni abusive.
L'acqua si muoveva in direzione della città grazie a nessun'altra forza se non quella di gravità, cioè l'acquedotto agiva da continuo scivolo per tutta la distanza che separava le sorgenti dal punto del suo sbocco Gli elementi finali del sistema acquedotto erano i tubuli e le fistulae: tubi modulari di terracotta e di piombo che componevano le tubature della rete idrica urbana. Tubi di piombo sono stati ritrovati in gran numero nel sottosuolo di Roma; gli esempi più interessanti sono però quelli di Pompei che possiamo studiare all’interno della rete idrica cosi come venivano messi in opera dai fontanieri romani. All’interno delle domus e delle terme, rubinetti e bocche per
fontane finemente cesellati rappresentavano l’elemento ultimo del lungo e complesso sistema dell’acquedotto. Uno sviluppo decisivo dell’organizzazione del sistema degli acquedotti romani si deve al più stretto collaboratore di Augusto, Agrippa. Agrippa già nell’anno della sua edilità, rivestita nel 33 a.C, aveva ampliato l’afflusso di acqua a Roma attraverso la costruzione di numerose fontane. Si tratta di un’attività compiuta su autorizzazione del senato ma portata a termine di propria iniziativa e a proprie spese. All’opera costruttiva vera e propria fece poi seguito quella, non meno impegnativa e costosa, del mantenimento. Agrippa non si limitò a regolare la distribuzione dell’acqua tra sfera pubblica e privata ma mise in campo anche una squadra di 240 suoi schiavi (aquarii) cui era demandato il compito di controllare le varie condutture. Alla statalizzazione della gestione degli acquedotti si arrivò solo nel 12 a.C. alla morte di Agrippa. Augusto creò, attraverso un apposito senatoconsulto, un collegio di tre sovraintendenti generali, i cosiddetti curatores aquarum, da lui nominati di intesa con il senato. Il rango di questi funzionari (di regola exconsoli) era tale da consentir loro un controllo efficace della gestione delle risorse idriche cittadine: manutenzione degli impianti, interventi, regolarità e distribuzione del flusso. Alle loro dipendenze avevano un organico molto ampio, composto da tecnici, architetti e ingegneri, e da personale amministrativo oltre ai 240 schiavi di Agrippa, che Augusto trasformò in “schiavi pubblici”, mantenuti dallo Stato, a cui se ne aggiunsero, all’epoca di Claudio, altri 460 mantenuti direttamente dalle finanze imperiali. La grande importanza che i Romani diedero agli acquedotti è dimostrata dal fatto che alla cura aquarum, ossia all’amministrazione e alle gestione delle acque, fu preposto un censore durante la Repubblica ed il curator aquarum durante l’Impero, un funzionario direttamente nominato dall’imperatore. I curatores avevano il compito di gestire un “ufficio” che provvedesse a mantenere in efficienza, nonché puliti, gli im-
Acquedotto Claudio. Foto Leonardo Sagnotti © (www.flickr.com/photos/leosagnotti/)
pianti ed a sorvegliare la regolarità delle erogazioni e la corretta ripartizione delle acque. Questo “ufficio”, denominato Statio Aquarum, aveva sede nella Porticus Minucia Vetus, corrispondente all’odierna Area
Nella sola città di Roma i castella erano ben duecentoquarantasette e attraverso questi venivano distribuiti oltre 10.360 quinarie. La quinaria era un’unità di misura della portata di un acquedotto utilizzata nell’antica Roma. Una quinaria corrisponde a circa 41,5 m³ in 24 ore, cioè a circa 0,48 litri al secondo Sacra di largo di Torre Argentina. Questa carica ci è nota in particolare grazie all’operetta sugli acquedotti romani, in due libri, di Giulio s Frontino che la ricoprì dal 97, quando fu nominato da Nerva, al 103. Sin
dal momento della sua nomina raccolse note ed appunti sulla base degli archivi dell’amministrazione – già riorganizzati da Agrippa - ed abbozzò una prima redazione di quelle notizie di cui egli stesso necessitava per svolgere efficacemente il suo compito. Era “primo e principale obbligo conoscere ciò che aveva tra le manì” - così afferma nel primo libro - conscio della delicatezza del suo prestigioso incarico perché riguardava non solo l’approvvigionamento idrico ma anche la sanità e la sicurezza dell’Urbe. Con l’acquedotto promosso da Alessandro Severo all’inizio del III secolo la storia degli acquedotti romani giunge a conclusione: nei secoli successivi, almeno sino a quando la situazione politica lo consentì, l’impegno del governo riguardò essenzialmente la loro manutenzione e la loro messa in sicurezza. Gli acquedotti romani furono costruzioni molto sofisticate, il cui livello qualitativo e tecnologico non ebbe uguali nel millennio successivo alla caduta dell’Impero Romano. La loro riscoperta in età rinascimentale segna l’inizio della storia di Roma in età moderna.
Il Parco degli Acquedotti è una grande area verde aperta al pubblico, inclusa nel parco regionale dell’Appia antica e compresa tra la Via Appia Nuova e la Via Tuscolana, alla periferia sud di Roma. Quest’area preserva i resti di ben sei acquedotti di epoca romana, realizzati tra il 272 a.C. al 52 d.C. e rimasti attivi fino all’invasione dei Goti nel 537 d.C., cui si aggiunge l’acquedotto Felice realizzato sotto il papato di Papa Sisto V sul finire del XVI secolo. Il Parco degli acquedotti è oggi mantenuto come area ricreativa per i cittadini. Il libro fotografico di Leonardo Sagnotti ne propone una galleria di immagini scattate tra il 2007 ed il 2012. È possibile sfogliarlo interamente e gratuitamente online al seguente link sul sito Blurb: http://www.blurb.com/b/3277594-il-parco-degli-acquedotti-park-of-aqueducts o acquistarlo in formato ebook: http://www.blurb.com/ebooks/325101-il-parco-degli-acquedotti-park-of-aqueducts
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La rinnovabilità dell’acqua La grande risorsa idrica dell’Appennino centrale Lucia Mastrorillo e Roberto Mazza Per sua natura il bene geologico è qualcosa da preservare e proteggere in quanto eredità di processi naturali avvenuti in epoche geologiche remote, dove con “remoto”, si intende un periodo di tempo (decine/centinaia di milioni di anni) non misurabile con la scala temporale umana. Nel tempo geoLucia Mastrorillo logico si sono succeduti processi evolutivi che hanno portato all’attuale conformazione fisica del territorio, dove l’origine della civiltà umana (che nella scala temporale geologica rappresenta l’attuale), la sua sopravvivenza e il suo progresso sono sempre stati indissolubilmente legati alla disponibilità delle risorse del nostro pianeta. Tra tali risorse, quelle “geologiche” sono sicuramente le più “preziose” in quanto non rinnovabili alla scala temporale umana e quindi limitate nel tempo. L’unica eccezione è costituita dall’acqua sotterranea, di cui un volume considerevole della disponibilità totale è costantemente rinnovato dal ciclo idrologico naturale e costituisce la risorsa idrica sotterranea, adatta soprattutto ad un uso idropotabile. La rinnovabilità di tale risorsa è garantita dalla ciclicità delle piogge, ma soprattutto dalla particolare struttura geologica di alcune regioni. Solo un idoneo assetto geologico strutturale del territorio consente ad una porzione significativa delle acque di pioggia di infiltrarsi nel sottosuolo e di raggiunge i serbatoi idrici sotterranei naturali (acquiferi) dove
L’altopiano carsico di Monte Catino, area di ricarica preferenziale dei Monti Ernici (Guarcino Frosinone) (Foto di Lucia Mastrorillo)
le risorse idriche vengono immagazzinate e successivamente restituite dalle sorgenti o prelevate artificialmente con pozzi. L’evoluzione geodinamica dell’Appennino dell’Italia centrale ha costruito, nel tempo geologico, uno dei sistemi più funzionali di immagazzinamento e Roberto Mazza restituzione della risorsa idrica. La scarsa consapevolezza dell’imponenza di questo patrimonio idrogeologico e delle sue dinamiche di rinnovamento non ha ancora consentito la giusta valorizzazione di tale ricchezza.
Nel tempo geologico si sono succeduti processi evolutivi che hanno portato all’attuale conformazione fisica del territorio, dove l’origine della civiltà umana (che nella scala temporale geologica rappresenta l’attuale), la sua sopravvivenza e il suo progresso sono sempre stati indissolubilmente legati alla disponibilità delle risorse del nostro pianeta L’Appennino centrale come serbatoio di risorse idriche sotterranee Sui rilievi carbonatici dell’Appennino centrale cadono, ogni anno, da un minimo di 700 mm ad un massimo di 2000 mm di precipitazioni meteoriche. Una percentuale variabile tra il 30 % ed il 50 % di questa risorsa è utilizzata dagli organismi vegetali e torna in atmosfera allo stato di vapore. Solo una modesta percentuale, compresa tra l’1 % ed il 20 %, scorre rapidamente in superficie e dopo pochi giorni si versa nel mare. Un’elevata percentuale, compresa tra il 70 % ed il 25 %, degli afflussi meteorici penetra profondamente nel sottosuolo, si accumula negli immensi serbatoi costituiti dalle dorsali carbonatiche e, dopo aver compiuto percorsi sotterranei che possono durare mesi, anni o decenni, riemerge in superficie in corrispondenza di numerose sorgenti. (Boni, 2007). La portata delle principali sorgenti dell’Appennino centrale mantiene un’eccezionale
La piana intramontana di Castelluccio nei Monti Sibillini (Norcia Perugia) (Foto di Lucia Mastrorillo)
stabilità di erogazione sia in termini stagionali che nell’arco degli anni, tanto da garantire una risorsa idrica pressoché illimitata. Complessivamente la portata media erogata da tutte le sorgenti dell’Appennino calcareo dell’Italia centrale arriva a circa 300 m3/s (Boni, 2007). In questo imponente processo di ricarica, immagazzinamento e restituzione della risorsa idrica sotterranea, svolge un ruolo determinante la modalità di sviluppo delle fratture e delle cavità carsiche all’interno delle dorsali carbonatiche. Le aree di ricarica, costituite dagli affioramenti carbonatici delle dorsali montuose e caratterizzate da elevata permeabilità per fratturazione e carsismo, consentono l’infiltrazione di quasi la totalità delle acque di precipitazioni che rapidamente raggiungono la zona satura (falda) degli acquiferi. Il deflusso della falda, caratterizzato da velocità elevate nei reticoli carsici e via via più lente passando dalla rete di fratture e al reticolo di microfratture, si dirige verso le sorgenti delle strutture carbonatiche, poste generalmente in corrispondenza dei limiti di permeabilità dove, a quote morfologicamente più depresse, si verifica il contatto con litologie terrigene meno permeabili. Acquiferi fratturati e acquiferi carsici Per comprendere l’idrogeologia degli acquiferi dell’Appennino è importante chiarire cosa si intenda
per acquifero e quali siano le dinamiche generali che lo caratterizzano. L’acquifero è una struttura geologica, con ruolo di serbatoio idrico, in grado di immagazzinare e successivamente restituire l’acqua di origine meteorica che si è infiltrata al suo interno. Lo schema della struttura di un acquifero prevede: - un’”area di ricarica”, corrispondente all’estensione della superficie in cui avviene il fenomeno dell’infiltrazione dell’acqua di pioggia; - una “zona di filtrazione” (o “zona insatura”) dove le acque di origine meteorica, infiltratesi nell’area di ricarica, raggiungono la zona satura attraverso spostamenti prevalente verticali; - una “zona satura” (o “falda”) dove l’acqua si muove prevalentemente in senso orizzontale, verso i punti di recapito (livelli di base) costituiti dalle sorgenti. Il moto dell’acqua all’interno della struttura geologica, sia nella zona di filtrazione che nella zona satura, dipende dall’esistenza di vuoti interconnessi le cui dimensioni devono essere superiori a 3 micron per consentire all’acqua gravifica (soggetta a movimenti di flusso) di trovare spazio accanto all’acqua di ritensione (non mobilitata dalla gravità e quindi immobile). La capacità di una struttura geologica di lasciarsi attraversare dall’acqua deriva dalla natura dei vuoti che la caratterizzano ed è espressa dalla permeabilità idraulica delle litologie che la compongo-
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Rappresentazione schematica di una zona carsificata in superficie e non più in profondità (Mangin, 1975 ridisegnato). La linea tratteggiata indica la superfice di saturazione della falda
L’evoluzione geodinamica dell’Appennino dell’Italia centrale ha costruito, nel tempo geologico, uno dei sistemi più funzionali di immagazzinamento e restituzione della risorsa idrica. La scarsa consapevolezza dell’imponenza di questo patrimonio idrogeologico e delle sue dinamiche di rinnovamento non ha ancora consentito la giusta valorizzazione di tale ricchezza no. La permeabilità idraulica ha le dimensioni di una velocità (m/s) e in natura presenta valori variabili fra 10-8 a 10- 2 m/s: esistono, quindi, litologie 1 milione di volte più (o meno) permeabili di altre. La permeabilità legata all’interconnessione di vuoti formati al momento della genesi della litologia (permeabilità primaria) è tipica dei materiali granulari e porosi (sabbie, ghiaie, arenarie). Le litologie litoidi (calcari e dolomie), essendo costituite da matrici granulometriche molto fini compatte e consolidate, hanno una permeabilità primaria nulla, ma sono notoriamente molto permeabili perché dotate di una elevata permeabilità secondaria o per fratturazione. Le rocce litoidi, infatti, proprio per la loro natura, rispondono alle sollecitazioni geodinamiche (spinte o distensioni tettoniche), fratturandosi, ampliando così i valori della loro permeabilità (secondaria) in funzione del grado di fratturazione. Gli acquiferi ospitati dalle rocce calcaree permeabili per fratturazione si definiscono “acquiferi fratturati” e la circolazione idrica è veicolata proprio dai sistemi di fratture presenti. Il passaggio dell’acqua all’interno delle fratture provoca la dissoluzione del carbonato di calcio che passa in soluzione come bicarbonato di calcio sottraendo volume alla roccia (fenomeno del carsismo). Le fratture, quindi, a seguito
Esubero della captazione della sorgente del Peschiera (9 m3/s) (Cittaducale Rieti). La sorgenti hanno una portata media naturale di 18 m3/s di cui 9 m3/s sono captati da ACEA per l’approvvigionamento idropotabile di Roma. La sorgente è compresa nel gruppo sorgivo del Peschiera - Velino che ha una portata complessiva di circa 30 m3/s. (Foto di Lucia Mastrorillo)
del flusso idrico sotterraneo, tendono ad allargarsi fino a divenire veri e propri condotti, inducendo un aumento della permeabilità di ordini di grandezza variabili fino a104 - 106 rispetto alla permeabilità originaria. L’evoluzione di un acquifero fratturato in “acquifero carsico” modifica l’idrodinamica del sistema. L’acqua si infiltra in grande quantità nell’area di alimentazione caratterizzata da un’aspra morfologia contraddistinta da pianori, ampie depressioni, doline e inghiottitoi (fig.1). Il flusso idrico scorre nel sottosuolo attraverso un susseguirsi di reti di microfratture, macrofratture e condotti, che diventano veri e propri fiumi sotterranei all’interno della zona satura e torna a giorno rapidamente attraverso le sorgenti carsiche. Le sorgenti, pur presentando portate molto elevate per la grande capacità di infiltra-
La portata delle principali sorgenti dell’Appennino centrale mantiene un’eccezionale stabilità di erogazione sia in termini stagionali che nell’arco degli anni, tanto da garantire una risorsa idrica pressoché illimitata. Complessivamente la portata media erogata da tutte le sorgenti dell’Appennino calcareo dell’Italia centrale arriva a circa 300 m3/s zione delle aree di ricarica, sono caratterizzate da regimi di portata effimeri, correlabili direttamente agli eventi meteorici a causa della rapidità di deflusso indotta dall’ampliamento dei vuoti. Gli acquiferi dell’Appennino centrale Il modello teorico di acquifero carsico descritto si adatta solo parzialmente alle caratteristiche idro-
Le sorgenti delle Terme Varroniane (circa 10 m3/s) del gruppo sorgivo del Gari (portata totale 21 m3/s) (Cassino – Frosinone). (Foto di Lucia Mastrorillo)
strutturali degli acquiferi calcarei dell’Appennino centrale. L’evoluzione geologia ha determinato, con forti spinte compressive, la messa in posto dei rilievi montuosi (orogenesi appenninica) costituiti quasi esclusivamente da rocce calcaree; successivamente l’attivazione di una tettonica distensiva ha creato le condizioni idonee alla formazione di grandi bacini lacustri di cui oggi restano le morfologie di conche intramontane (Colfiorito, Piana di Norcia, Piana di Castelluccio, Piana di Leonessa, Fucino, ecc.) (fig.2) in cui si sono depositate rapidamente sequenze sedimentarie continentali di elevato spessore (fino centinaia di metri) (Cavinato & De Celles,1999) caratterizzate da bassa permeabilità (sabbie, limi e argille lacustri). Questa specifica evoluzione geologica ha di fatto ostacolato lo sviluppo di un reticolo carsico evoluto nella zona satura in prossimità dei punti di emergenza della falda regionale, impedendo il necessario approfondimento del livello di base della circolazione idrica sotterranea (Petitta, 2009). La tettonica distensiva ha inoltre agevolato la risalita di fluidi profondi la cui miscelazione con le acque di falda ha potenziato l’aggressività delle acque stesse. In questo modo l’aumento indotto della capacità di dissoluzione del carbonato di calcio ha portato rapidamente allo stato di sovrasaturazione delle acque circolanti nella falda, interrompendo di fatto il processo stesso della dissoluzione e quindi impedendo l’evoluzione del carsismo
nella zona satura. Gli acquiferi calcarei dell’Appennino centrale, quindi, presentano il massimo sviluppo del carsismo nelle aree di ricarica (carsismo epigeo) e nella “zona di filtrazione” (carsismo ipogeo), mentre presentano un limitato sviluppo carsico nella zona satura (fig.3).
Gli acquiferi calcarei dell’Appennino centrale possono essere definiti “carsici” per le modalità di ricarica e “fratturati” per le modalità di immagazzinamento e restituzione delle acque sotterranee. Questa duplice natura rende esclusive le aree sorgive dell’Appennino Le condizioni descritte garantiscono l’eccezionale stabilità nel tempo delle ingenti portate delle sorgenti. Le elevate portate sono assicurate dalla straordinaria capacità di infiltrazione e trasferimento verso il basso delle acque di origine meteorica nell’orizzonte non saturo degli acquiferi; la stabilità di regime è garantita dall’effetto di regolazione e laminazione dei volumi idrici esercitato dalla continuità della rete di microfratture della zona satura dell’ac-
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Derivazione idroelettrica dal Fiume Velino (Centrale di Cotilia Rieti). In questo punto il Velino ha una portata di circa 30 m3/s alimentata dal gruppo sorgivo del Peschiera; sulla sinistra è visibile la griglia della derivazione e sullo sfondo, a valle della diga, l’alveo del Velino quasi asciutto (portata di circa 0,2 m3/s). (Foto di Lucia Mastrorillo)
quifero, non interessata dal carsismo. Gli acquiferi calcarei dell’Appennino centrale possono essere definiti “carsici” per le modalità di ricarica e “fratturati” per le modalità di immagazzinamento e restituzione delle acque sotterranee. Questa duplice natura rende esclusive le aree sorgive dell’Appennino. In particolare il gruppo sorgivo del Peschiera - Velino (31 m3/s) (fig.4) e le sorgenti del Fiume Gari (21 m3/s) (fig.5) costituiscono i punti di recapito di imponenti circolazioni idriche profonde, le cui modalità di emergenza sono riconosciute come uniche al mondo. L’estensione delle aree di ricarica rispettivamente di 900 km2 (Boni, 2007) e 850 km2 (Capelli et al., 2012) e l’evoluto sistema carsico della zona non satura, determinano le elevate portate in uscita. La diffusione di una rete continua di fratture, non alterata dal carsismo, nella parte satura di questi grandi acquiferi assicura la stabilità di regime di tali sorgenti, che assumono una rilevanza strategica nazionale come fonti pressoché inesauribili per l’approvvigionamento idropotabile (Acquedotto del Peschiera e Acquedotto della Campania Occidentale). Negli acquiferi dell’Appennino centrale è disponibile una risorsa idrica sotterranea rinnovabile di circa 300 m3/s di cui 60 m3/s non sono utilizzabili per il consumo umano a causa dell’eccessiva mineralizzazione; dei rimanenti 240 m 3/s, potenzialmente idonei al consumo umano, 65 m3/s sono utilizzati
per l’approvvigionamento idropotabile. I restanti 175 m3/s di acque di ottima qualità in gran parte disponibili a quote relativamente elevate e quindi facilmente distribuibili, sono lasciate libere di emergere, scorrere in superficie e raggiungere i corsi d’acqua dove vengono derivate per la produzione di energia elettrica (Boni, 2007) (fig.6). I numerosi impianti idroelettrici, distribuiti nelle valli della dorsale Appenninica, nei periodi di magra utilizzano esclusivamente le acque di origine sotterranea. Durante la stagione estiva in assenza di precipitazioni, la portata dei corsi d’acqua è sostenute esclusivamente dalla portate erogata dalle sorgenti che, in virtù della grande capacità di ricarica degli acquiferi calcarei dell’Appennino e di regolazione e laminazione dei volumi idrici immagazzinati, garantisce l’ininterrotta presenza e disponibilità di acqua nell’Italia centrale favorendo la persistenza del pregio naturalistico di molte valli dell’Appennino. È auspicabile che una maggiore diffusione delle conoscenze riguardanti le dinamiche idrogeologiche descritte possa accrescere la consapevolezza dell’eccezionalità del fenomeno idrostrutturale dell’Appennino centrale e contribuire ad indirizzare le future scelte di gestione della risorsa idrica sotterranea verso politiche non solo di tutela ma anche di valorizzazione.
Vista fiume L’acqua, il Tevere e Roma Giulia Caneva Il rapporto fra Roma e il Tevere è sempre stato di gran rilievo durante la plurimillenaria storia della città. È noto infatti come Roma sia nata a partire da insediamenti presenti in un’area di transizione bioclimatica - che ne incrementava le risorse grazie alla più ricca biodiversità - localizzati in area collinaGiulia Caneva re a ridosso del Tevere, per l’evidente beneficio della risorsa idrica, e vicino ad un’isola (l’isola Tiberina) che ne permettesse un facile guado. Così, anche se il legame etimologico (Roma da Rumon nome antico del Tevere) non è del tutto certo, la relazione esistente fra il fiume, Roma e gli altri antichi insediamenti italici è ben attestata. In questo contesto, appare utile evidenziare alcune delle ultime iniziative che si stanno portando avanti nell’ambito del Centro di Ateneo di studi su Roma (CROMA) e del Dipartimento di Scienze, al fine di contribuire alla conoscenza e allo sviluppo di una nuova progettualità per la città. Roma, Tevere, litorale: 3.000 anni di storia, le sfide del futuro Numerose sono state, infatti, le iniziative di dibattito e ricerca messe in atto dal CROMA sul tema Il Tevere e la città. Fra le più recenti, va citato il Congresso Internazionale, articolato sui temi Roma, Tevere, litorale: 3000 anni di storia, le sfide del futuro, organizzato nel maggio 2013 in stretta collaborazione con l’ École Française de Rome, la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, la British School at Rome, ed in collaborazione con CITERA - Sapienza Università di Roma KNIR - Royal Netherlands Institute at Rome. Facendo seguito a questa iniziativa, nell’anno successivo si è anche avviato- come seminario permanenteun programma d’incontri per l’approfondimento e dibattito sulle diverse tematiche, che si è articolato nelle diverse sedi istituzionali delle strutture promotrici, nella convinzione che lo studio del territorio, tanto più se di lunga durata, consente di trarre lezioni dal passato, in quanto permette di capire meglio le problematiche e le soluzioni adottate, affrontandone gli effetti delle attività antropiche sull’evoluzione del paesaggio e dell’ambiente naturale. In particolare i vari contributi hanno evidenziato sia le peculiarità ambientali sia le problematiche insedia-
tive ed economiche del Tevere, ponendo l’accento su quello che è stato fin dall’antichità l’importante rapporto della città con il fiume, nei commerci, fra cui quello del sale, nelle industrie, attività artigianali e agricole. Ciò sempre nel controverso rapporto del fiume come risorsa, ma anche come minaccia, soprattutto per le ricorrenti esondazioni e alluvioni. In tale contesto è stata anche evidenziata la risorsa patrimoniale e ambientale di questo bacino idrico, che seppure oggi sia sempre più isolato e distaccato dalla vita urbana, mostra però i ricchi segni della storia. Fra questi basti citare, per quanto riguarda l’ultimo tratto, il porto fluviale di Roma antica a Testaccio, in uso fino alla prima metà del Novecento, e le infrastrutture e residenze di epoca classica e medievale, fino ad arrivare poi, nell’area della foce, agli importantissimi insediamenti di Ostia antica e di Portus.
È noto infatti come Roma sia nata a partire da insediamenti presenti in un’area di transizione bioclimatica - che ne incrementava le risorse grazie alla più ricca biodiversità - localizzati in area collinare a ridosso del Tevere, per l’evidente beneficio della risorsa idrica, e vicino a un’isola (l’isola Tiberina) che ne permettesse un facile guado È un dato di fatto che gran parte di questo patrimonio risulti però assai poco conosciuto, sia per l’assenza di politiche di valorizzazione, che per le difficoltà di accesso e trasporto in alcune di queste aree. A ciò si aggiunga la complicazione posta da realtà di sviluppo estremamente attuale ed incidenti, quali l’urbanizzazione crescente in tutta l’area costiera, e l’espansione prevista dell’aeroporto Leonardo da Vinci, che rappresentano vere e proprie sfide che dovranno essere affrontate quanto prima dagli urbanisti e dagli amministratori. In quest’ambito non va trascurata la potenziale risorsa di un fiume, dove la navigazione è stata una realtà consolidata nei secoli, considerandone sia gli aspetti tecnici, che storico-ambientali. Essendo queste problematiche di circolazione e sviluppo comuni a diverse realtà urbane che si collocano in aree vicino alle foci di fiumi, il gruppo di lavoro sopracitato ha organizzato un dibattito internazionale su Il ruolo delle vie d’acqua per la circolazione delle merci e degli uomini nelle regioni dei delta e delle foci urbanizzate: Guadalquivir, Nilo, Rodano, Tevere, che si è svolto presso l’École Française de
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Rome nel magne naturalistica gio di questo del Tevere, olanno. tre che degli “Idea Tevere”approdi e delle verso un condiffuse emertratto territogenze archeoriale dei fiumi logiche. Un di Roma dossier che racL’idea di un colga le diverse contratto di fiuprogettualità me nasce per messe in camuna progetta- Immagine del Fiume Tevere nell’area del Gazometro, scelta come icona del Congresso Interna- po sarà raccolzione parteci- zionale Roma, Tevere, litorale to a breve, con pata delle realuna supervisiotà fluviali, che presentano sempre problematiche e ne scientifico-culturale delle già citate istituzioni scieninteressi complessi. tifiche e accademiche attive in questo dibattito. Ipotesi di progetto di Ateneo dell’Orto botanico di Su questa base, dopo una serie di dibattiti articolati Roma Tre sul territorio, nel gennaio di quest’anno, presso la Sala della Protomoteca in Campidoglio, è stato organizÈ infine importante ricordare che già nel primo Aczato dal Presidente della Commissione Ambiente di cordo di programma per la realizzazione dell’Ateneo Roma Capitale, Athos De Luca, un convegno dove si era prevista la realizzazione di un nuovo Orto Botanico nell’area di Valco San Paolo, il cui avvio è rimasto in sospeso sia per la mancanza di una definiL’idea di un contratto di fiume nasce zione effettiva di aree a questo scopo destinate negli per una progettazione partecipata delle accordi con il Comune di Roma, sia per aspetti collerealtà fluviali, che presentano sempre gati alla diversa priorità degli investimenti e delle riproblematiche e interessi complessi sorse dell’Ateneo. A distanza di 10 anni dal primo studio di fattibilità di è annunciata l’istituzione dell’Osservatorio del Teveun Orto Botanico, sulla base delle sensibilità ed re e del Contratto di Fiume, come nuovo strumento esperienze progettuali condivise con il collega Franper il coordinamento di iniziative di Roma Capitale cesco Ghio, è stata riaggiornata l’ipotesi iniziale proper il risanamento e valorizzazione del Tevere. Tale spettando, oltre al nucleo centrale di un Orto Botaniistituzione si delinea come una “cabina di regia” opeco tematico e congruo con le peculiarità dell’area, la rativa, che affronti da un lato le problematiche crurealizzazione di un sistema di spazi aperti e piccoli ciali dell’inquinamento e della gestione idraulica del giardini che potessero configurarsi come un Orto Bofiume, dall’altro le possibilità di renderlo uno strutanico diffuso. Il nucleo centrale ed il tema dell’acqua mento di raccolta, valutazione e dibattito di progetti volti ad un rilancio turistico, culturale e sociale, con Come tema del nucleo centrale di questo sistema si lo sviluppo di percorsi naturalistici, sportivi, turistiera già da tempo selezionato quello dell’Acqua, utile co-culturali e commerciali. sia ad un differenziazione rispetto agli altri due Orti L’iniziativa ha visto la partecipazioBotanici realizzati negli altri ne dell’amministrazione regionale, Atenei Romani, che alle valenze la segreteria tecnica del Ministro peculiari di un’area ripariale a ridell’Ambiente, l’Autorità di Bacino, dosso del fiume del luogo, e ad diverse associazioni ambientalistialtre valenze generali di interesche, quali Legambiente e WWF Lase scientifico-didattico. zio, oltre al Presidente del ConsorSulla base di queste premesse il zio Tiberina e il Direttore dei Servizi tema dell’acqua è apparso il più idrici di ACEA. idoneo, in quanto molecola di Con il contributo delle istituzioni importanza biologica per eccelche hanno promosso il dibattito perlenza, e per le peculiarità chimimanente sul Tevere, in particolare co-fisiche che hanno permesso dell’École Française de Rome- gralo sviluppo della vita nelle forzie alla costante attenzione della sua me a noi note. Gli ecosistemi acDirettrice Catherine Virlouvet- nel quatici e quelli delle aree umide giugno di quest’anno si è ulteriorpresentano inoltre specie ad ammente sviluppato il dibattito su pia distribuzione geografica o specie minacciate a rischio di IDEA TEVERE – Verso un Contratestinzione per la rarefazione deto Territoriale dei Fiumi di Roma, presentando alcuni progetti più ma- Frontespizio delle linee guida dello studio sull’Or- gli habitat, per cui l’intervento turi legati al tema della valorizzazio- to botanico di Roma Tre legato al tema dell’acqua potrebbe avere un’importante
funzione conservazionistica. L’acqua come elemento in sé presenta ulteriori valenze nella cultura dei giardini, che fin dalle più remote origini erano considerati tali solo se vedevano lo sviluppo di elementi, quali fontane, laghetti e fiumi, in cui l’acqua avesse la sua massima espressione (vedi etimologia della parola “paradiso” dai giardini persiani dove essa era un elemento centrale). L’acqua presenta inoltre valenze diverse su fronti molteplici, partendo dalla biologia, fino alla filosofia, alla meccanica, all’idrogeologia, all’ingegneria idraulica, alla climatologia, alle problematiche di salute e risanamento ambientale, tutti elementi che potrebbero essere spunti successivi per la costruzione di un tema scientifico-culturale assai più complesso. Il sistema diffuso e il tema del rapporto piante-uomo, ovvero l’etnobotanica Gli obiettivi di progetto delle aree verdi dell’Ateneo, sparse in un’area assai più vasta (Fig. 3) e a contatto con il cittadino, sono stati orientati in parallelo selezionato il tema del rapporto Piante & Uomo, ovvero dell’Etnobotanica, puntando a evidenziare la ricchezza dei rapporti che nel Mediterraneo hanno rappresentato lo sviluppo della nostra civiltà. Tale selezione avrebbe un’evidente funzione di educazione ambientale, mirata sia alla formazione degli studenti che dei cittadini, raccogliendo l’obiettivo tanto proclamato della “terza missione”. Il progetto, la cui realizzazione necessiterà di una stretta cooperazione gestionale con le strutture comu-
nali, in particolare con l’Assessorato all’Ambiente e il Servizio Giardini, si caratterizzerà anche attraverso realizzazioni didattiche, sia tradizionali (cartellinatu-
Nel gennaio di quest’anno, presso la Sala della Protomoteca in Campidoglio, è stato organizzato dal Presidente della Commissione Ambiente di Roma Capitale, Athos De Luca, un convegno dove si è annunciata l’istituzione dell’Osservatorio del Tevere e del Contratto di Fiume, come nuovo strumento per il coordinamento di iniziative di Roma Capitale per il risanamento e valorizzazione del Tevere re, pannelli didattici), che moderne (app e sistemi informatici), in modo da comunicare compiutamente il significato scientifico e culturale dell’intervento, che si articolerà attraverso un sistema di poli tematici specifici raccordati fra di loro e con il nucleo centrale attraverso alberate stradali e nuclei diffusi. Nella prima ipotesi di organizzazione dei poli tematici, si è pensato di evidenziare le specificità dei Dipartimenti e le tematiche che essi rappresentano, ipotizzandone i seguenti temi: Piante nella storia dell’architettura e dei giardini; Piante economiche; Giardini filosofici; Piante del diritto e della giustizia; Piante negli usi marittimi e di uso industriale; Le piante del nuovo mondo; Le piante nella cultura pitagorica; Le piante della Naturalis historia; Alberi sacri delle diverse culture; Le piante come simbolo di identità dei popoli; Piante come laboratorio di idee nel mondo contemporaneo; Le piante nell’arte e nella letteratura. Ognuno di questi temi potrà essere sviluppato all’interno di progetti specifici connessi agli interventi edilizi dell’Ateneo e in stretta collaborazione con le amministrazioni comunali, rappresentando essi nel loro insieme un progetto per la città. In particolare si era prospettato di dare il via a diverse iniziative, che si auspica possano presto essere avviate, quali: - attivazione di un gruppo di lavoro (con un referente per Dipartimento) per azioni di monitoraggio/e proposta con particolare attenzione alle aree pubbliche maggiormente degradate; istituzione di un tavolo permanente con il Comune e i Municipi referenti. - coinvolgimento di giovani ricercatori e laureati di Roma Tre con possibili contratti e/o Assegni di Ricerca per la partecipazione al Gruppo di lavoro. - attivazione di un programma partecipato con Comune di Roma e associazioni di cittadini per l’individuazione delle aree principali da riqualificare. - possibile coinvolgimento di giovani laureati di Roma Tre anche con un programma di piccoli concorsi per progetti mirati a specifiche aree o giardini tematici individuati con il Piano di Assetto.
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Tra tutela e accesso Il ruolo della regolazione giuridica nella salvaguardia delle risorse idriche Andrea Farì La scarsità in natura e il difficile accesso impongono un uso sostenibile della risorsa idrica, che dovrebbe essere improntato alla solidarietà e alla tutela delle generazioni future. Meno dell’1% di tutta l’acqua esistente sulla Terra si trova, infatti, come acqua dolce nei laghi, nei fiumi, e nel sottosuolo ed è pertanto utile alla vita dell’uomo. La distribuzione dell’acqua sul nostro pianeta, inoltre, non è omogenea in quanto alcune regioni del mondo possono beneficiare della risorsa in maniera sufficiente a soddisfare le esigenze della popolazione, mentre in altre regioni (in particolare, in Africa, Medio Oriente, Asia orientale ed alcuni paesi dell’Europa dell’Est) la risorsa è talmente scarsa da non consentire neanche la soddisfazione dei bisogni primari della popolazione (alimentazione). Le disponibilità della risorsa idrica è, infine, minacciata dai pericoli generati dall’inquinamento e dai cambiamenti climatici. Questo quadro pone tutte le discipline scientifiche dinnanzi ad una sfida. Qual è il ruolo del diritto nelle dinamiche inerenti la risorsa idrica? Quale contributo può derivare dalla regolazione giuridica alla sfida per la salvaguardia e la tutela dell’acqua? Le regole giuridiche relative agli usi dell’acqua sono risalenti almeno all’epoca romana. Tuttavia ciò che di nuovo ha reso necessario un salto di qualità nell’approccio e nel peso del giurista rispetto all’acqua sorge con la più recente consapevolezza di essere davanti ad un bene scarso. L’acqua non è infinita come pensavano gli antichi, ma soffre specifiche e gravi condizioni di scarsità. Pertanto la regola giuridica serve a garantire la tutela della risorsa e le condizioni di accesso ad essa. In questa chiave il Codice dell’ambiente italiano evidenzia le maggiori peculiarità della disciplina poiché definisce le acque «una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà» chiarendo che «qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale» (art. 144, comma 2, D.Lgs. n. 152/2006). Per garantire la tutela della risorsa sono stati approntati diversi strumenti giuridici sia a livello europeo che, a cascata, a livello nazionale. I principali risiedono negli strumenti di programmazione e negli standard di qualità, strettamente connessi tra loro. A livello comunitario già con la Carta europea dell’acqua (1968) era stato posto l’accento su una gestione razionale secondo un piano che concili i bisogni a breve ed a lungo termine. Peraltro con la direttiva 2000/60/CE è stato istituito un Quadro per l’azione comunitaria in materia di acque che persegue l’obiettivo
del raggiungimento, entro il 2015, di un “buono stato ambientale” per tutti i corpi idrici. Lo strumento del Piano di gestione è previsto per attuare una politica coerente e sostenibile della tutela delle acque comunitarie, attraverso un approccio integrato dei diversi aspetti gestionali ed ecologici alla scala del distretto idrografico. L’Unione europea, preso atto che rimangono problemi come la qualità, l’inquinamento e la scarsità della risorsa, nell’ambito delle misure tese ad assicurare un attento utilizzo delle risorse naturali, ha recentemente adottato la Strategia 2020 (2010), il Programma per l’uso efficiente delle risorse (2011) e il Piano per la salvaguardia delle risorse idriche dell’UE (2012). La consapevolezza della necessità di un uso accorto e solidaristico dell’acqua è stata avvertita sia a livello sovranazionale che nazionale giungendo a tutelare la “risorsa” idrica (così definita per la prima volta nella leg-
Le regole giuridiche relative agli usi dell’acqua sono risalenti almeno all’epoca romana. Tuttavia ciò che di nuovo ha reso necessario un salto di qualità nell’approccio e nel peso del giurista rispetto all’acqua sorge con la più recente consapevolezza di essere davanti ad un bene scarso. L’acqua non è infinita come pensavano gli antichi, ma soffre specifiche e gravi condizioni di scarsità ge n. 36/1994, c.d. Legge Galli) nell’interesse delle generazioni future. Tale mutamento di prospettiva è stato avviato in Italia negli anni Novanta, unitamente al superamento della distinzione tra acque pubbliche e private, con riconduzione di tutto il patrimonio idrico nella sfera pubblica. La strada da percorrere per il perseguimento degli obiettivi di tutela è però ancora lunga, poiché proprio nel nostro Paese si è assistito ad un grave ritardo nell’attuazione della disciplina normativa, sia per quanto riguarda i soggetti che per gli strumenti. Si pensi che ad oggi ancora non sono pienamente operative le Autorità di bacino previste dalla Direttiva Quadro 2000/60/CE. Inoltre, per quanto riguarda il profilo dell’accesso alla risorsa, a livello sovranazionale molto è stato sancito per sottolineare la stretta relazione tra l’acqua e i diritti inviolabili dell’uomo.
Chiare e fresche acque greche. Foto Giovanni Scarano
Infatti, la sensibilità per un uso solidaristico della risorsa ha portato all’emanazione di una serie di atti dell’ONU attraverso i quali si è affermato che l’accesso all’acqua potabile è un diritto umano universale, da rendere accessibile a tutti i cittadini del pianeta Terra. Attraverso la Risoluzione 64/292 del 28 luglio 2010, in particolare, l’Assemblea Generale ha riconosciuto il right to safe and clean drinking water and sanitation come un diritto umano, essenziale per il pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani, con invito agli Stati e alle organizzazioni internazionali ad aumentare gli sforzi per assicurare acqua potabile sicura, pulita, accessibile e a prezzi praticabili.
Il Codice dell’ambiente italiano evidenzia le maggiori peculiarità della disciplina poiché definisce le acque «una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà» chiarendo che «qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale» Il riconoscimento del diritto individuale all’accesso tocca peraltro il diritto alla salute e il tema del livello delle prestazioni essenziali. Consentire l’accesso alla risorsa, tuttavia, comporta in primo luogo un assetto organizzativo idoneo a garantire, almeno per gli usi civili, un adeguato servizio pubblico. A tal fine sono ben note le vicende che in Italia hanno condotto (in parte fuorviando l’opinione pubblica dalle priorità del settore) la discussione sulla natura pubblica o privata dei soggetti gestori. Tuttavia, se si potesse dettare l’agenda delle priorità, al primo posto vi sarebbe senz’altro l’urgenza dell’ammodernamento delle infrastrutture. Infatti, un problema diffuso nel nostro Paese è quello
legato agli investimenti nelle infrastrutture della rete idrica ed alla necessità di adeguare gli strumenti regolatori al fine di allineare il sistema infrastrutturale nazionale agli standard definiti in ambito europeo, assicurando sull’intero territorio i necessari livelli di tutela della risorsa idrica e dell’ambiente in cui essa si trova (V. AEEGSI, Documento per la consultazione 339/2013/R/IDR). Buona parte delle infrastrutture per l’approvvigionamento idrico appare inadeguata e fatiscente, con notevoli perdite in termini di efficienza del servizio ma anche di spreco della risorsa (causate da perdite idriche nelle reti, scarsità della qualità dell’acqua destinata al consumo umano, obsolescenza degli impianti di trattamento dei reflui, spesso inadeguati agli standard comunitari). Si consideri che gli investimenti nel settore (prelievo, manutenzione, distribuzione, fognatura, depurazione, costo del lavoro) si sono gradualmente ridotti, pur crescendo i bisogni connessi al servizio. Gli interventi nella rete idrica italiana, pertanto, pur richiedendo investimenti di notevole entità, appaiono indispensabili per l’ammodernamento delle infrastrutture esistenti, allo scopo di mantenerle in stato di efficienza ed adeguarle alle rinnovate e crescenti esigenze dei centri urbani. Senza infrastrutture e organizzazione del servizio, infatti, non vi è alcuna possibilità di assicurare diritti. Se quindi negli ultimi decenni la presa di coscienza della scarsità dell’acqua ha condotto ad un cambiamento di prospettiva nella sua gestione, ponendo l’accento sulla necessità di tutelare la risorsa e garantirne un uso sostenibile, anche a garanzia delle generazioni future, un ruolo non secondario spetta alla regolazione giuridica. La spinta verso un diverso uso della risorsa è stata data sicuramente dalla normativa, per poter raggiungere l’obiettivo della gestione accorta e sostenibile deve necessariamente essere accompagnata dallo sviluppo di una cultura civica dell’efficienza degli usi della risorsa idrica. La sensibilità manifestata dai cittadini italiani in occasione del referendum del 2011 sul tema acqua lascia ben sperare che non sia così lontano il consolidamento di una simile cultura.
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Inondazione delle città d’arte Il caso di Roma Guido Calenda, Corrado Paolo Mancini, Maria Margarita Segarra Lagunes, Eleonora Proietti L’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966 mise drammaticamente in evidenza un grave aspetto della vulnerabilità delle città d’arte al pericolo di inondazioni, ossia il danno che può subire il patrimonio artistico, storico e documentario. Firenze aveva subito alluvioni anche in passato e la più rovinosa fu forse quella del 4 novembre 1333 che, se non raggiunse i livelli di quella del 1966, fu però estesissima per la mancanza di opere di protezione. Nonostante una precedente alluvione avesse avuto luogo in epoca non remota, il 3 novembre 1844, l’evento del 1966 colse la città completamente di sorpresa e i danni furono enormi. Ci si sarebbe potuti attendere che il segnale di allarme fosse stato recepito e che dopo di allora fossero stati presi efficaci provvedimenti per difendere le città d’arte del territorio nazionale esposte al rischio di inondazione. Non è stato così, anche perché il rischio è dovuto a eventi talmente rari che si tende a perderne la memoria. Indubbiamente le città sono oggi più protette di una volta, ma non sono sempre al sicuro. Roma, ad esempio, che fino alla fine dell’Ottocento è stata allagata mediamente tre volte al secolo, non ha più subito inondazioni, se non in aree molto localizzate, a partire dalla costruzione dei muraglioni (praticamente ter-
Simulazione della piena del 1598: tiranti idrici (particolare)
minati nel 1900). Questo fatto, però, ha contribuito a far smarrire la percezione del problema. Oggi Roma si sente sicura, e sebbene l’Autorità di Bacino del Fiume Tevere abbia indicato come allagabile, in caso di eventi estremi, gran parte della città bassa, compreso il centro storico, questa eventualità non raggiunge la coscienza dei cittadini e tanto meno quella degli amministratori. Il pericolo però esiste, anche se la probabilità è relativamente bassa, dell’ordine del 0,5% all’anno; ma che significa questo dato in un orizzonte temporale
Oggi Roma si sente sicura, e sebbene l’Autorità di Bacino del Fiume Tevere abbia indicato come allagabile, in caso di eventi estremi, gran parte della città bassa, compreso il centro storico, questa eventualità non raggiunge la coscienza dei cittadini e tanto meno quella degli amministratori più lungo? Significa che in un secolo la probabilità di un’inondazione è quasi del 40% e in due secoli supera il 60%. La domanda è: possiamo considerare
Simulazione dell’inondazione di Roma con tempo di ritorno di 200 anni
trascurabile un simile rischio? Di fatto la nostra legislazione prende in considerazione il rischio connesso a eventi estremi, e li risolve affidandone la mitigazione agli interventi di protezione civile. In caso di preannuncio di piena questi dovrebbero prevedere, ad esempio, l’invito agli abitanti a non recarsi negli scantinati, a non farsi cogliere dalla corrente nelle strade e a tenersi pronti a salire qualche piano di scale per mettersi al sicuro. Ciò richiede la diramazione di adeguate istruzioni alla popolazione, e quindi una preparazione e un addestramento. Noi non siamo né preparati né addestrati ma, anche se lo fossimo, ciò non sarebbe sufficiente a proteggere i beni artistici e documentari potenzialmente soggetti alla furia delle acque. Eppure se un evento estremo accadesse a Roma, il danno che subirebbe la città non sarebbe inferiore a quello subito da Firenze. Per proteggere le città d’arte dalle inondazioni non basta prevedere l’allertamento della popolazione, ma sono necessari interventi di natura diversa: un quadro, un prezioso codice, una scultura lignea non possono mettersi in salvo; occorre predisporre per tempo provvedimenti di messa in sicurezza, o spostando definitivamente i beni a rischio, portandoli a quote sicure, oppure, nei casi in cui ciò non sia possibile, predisponendo un’organizzazione in grado di attivarsi in caso di allarme, con il compito di spostare provvisoriamente i beni o di intercettare le eventuali vie di accesso delle acque. A questo scopo, tutto deve essere previsto in anticipo e le operazioni devono svolgersi in modo coordinato, secondo schemi già predisposti e messi alla prova: non è possibile fare affidamento sull’improvvisazione. Per redigere un piano del genere è innanzitutto necessario individuare gli elementi a rischio, e a questo scopo è indispensabile conoscere i livelli che l’acqua può raggiungere e le modalità di propagazione dell’inondazione. Il patrimonio artistico della città di Roma è talmente vasto che l’accuratezza della previsio-
ne è d’importanza fondamentale. Sopravvalutare i livelli idrici e l’ampiezza dell’area allagata può complicare enormemente gli interventi, aumentandone a dismisura i costi; d’altra parte, sono anche evidenti i rischi di una sottovalutazione. Per affrontare questa tematica un gruppo composto da ricercatori dai Dipartimenti di Ingegneria e di Architettura dell’Università di Roma Tre ha in corso una ricerca articolata in tre fasi: a) il sottogruppo di Ingegneria ha il compito di determinare gli scenari di allagamento; b) il sottogruppo di Architettura ha quello di individuare nell’area inondata tutti gli elementi d’importanza artistica, storica e documentaria soggetti al rischio di danneggiamento nei diversi scenari; c) i due gruppi insieme contribuiranno a identificare le possibili strategie d’intervento sia preventive, sia in tempo reale, per mettere in sicurezza gli elementi a rischio. L’area del centro storico potenzialmente interessata include: - in sinistra Tevere, Piazza del Popolo, Via del Babbuino fino a Piazza di Spagna, Piazza S. Silvestro, Via del Corso fin quasi a Piazza Venezia, per giungere poi, scorrendo a tergo dei Lungotevere, fino a San Paolo; - in destra Tevere, dopo aver allagato l’area dei Prati, lambendo Piazza San Pietro, interessa Castel S. Angelo e Trastevere, proseguendo fino a tutto Viale Marconi. Quest’area è talmente vasta che le fasi b) e c) potranno essere svolte soltanto su aree campione, al fine di mettere a punto una metodologia da illustrare con alcuni esempi. Queste due fasi presuppongono il completamento della fase a) ed è questa fase – peraltro ancora in corso anche se già ad uno stadio avanzato – che sarà brevemente descritta nel seguito. La fase si articola a sua volta in due distinte attività: i) determinazione della distribuzione della probabili-
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tà delle piene del Tevere a Roma, in termini sia di portata al colmo, sia di volume; ii) valutazione dei volumi esondati per diversi tempi di ritorno, descrizione dell’evoluzione degli allagamenti prodotti e mappatura della massima altezza d’acqua raggiunta durante l’evento. La valutazione della distribuzione di probabilità delle piene è sempre affetta da grande incertezza, soprattutto perché le osservazioni pluviometriche e idrometriche usualmente disponibili si riferiscono ad archi di tempo relativamente brevi (di solito soltanto alcune decine di anni), mentre l’orizzonte temporale di riferimento è di diverse centinaia di anni. Nel caso del Tevere a Roma la situazione è particolarmente favorevole, perché oltre alla serie sistematica moderna delle osservazioni idrometriche continue iniziate nel 1921 e accompagnate dalle misure di portata usate per determinare le scale di deflusso, sono disponibili anche una serie sistematica antica di osservazioni idrometriche giornaliere iniziata nel 1782, e una serie non sistematica antica costituita dalle massime altezze idrometriche raggiunte durante tutte le inondazioni della città a partire da quella del 1422. Tali altezze sono note tramite lapidi disposte sulle pareti di edifici che indicano il massimo livello raggiunto dalla piena, lapidi che da tempo sono state accuratamente rilevate. Le portate in alveo delle serie antiche sono state ricostruite per mezzo di un modello in moto permanente che per l’alveo antico del Tevere utilizza il rilievo eseguito subito dopo la piena del 1870. Un altro rilievo, eseguito con grande cura dagli architetti Chiesa e Gambarini nel 1744, durante il pontificato di Benedetto XIV, pur avendo un numero di sezioni molto inferiore di quello della piena del 1870, ha permesso di verificare la stabilità dell’antico alveo fluviale nell’arco di circa 130 anni. Per le aree inondate si è utilizzato il rilievo della città antica eseguito dall’Istituto Geografico Militare, le cui quote e curve di livello sono riportate a mano sulla carta topografica della Direzione Generale del Censo del 1866, originariamente non quotata. Nella figura 1 sono rappresentati, per la zona del centro, i tiranti idrici della grande inondazione del 1598 simulati dal modello. Lo studio delle piene antiche ha permesso di attribuire una portata dell’ordine di 3500 m3/s al tempo di ritorno di 200 anni (probabilità annua di superamento del 0,5%), una di 3900 m3/s a quello di 500 anni (probabilità annua di superamento del 0,2%) e una di 42001 m3/s a quello di 1000 anni (probabilità annua di superamento del 0,1%). Con queste portate sono state simulate le inondazioni della città moderna. L’area inondata con un tempo di ritorno di 200 anni è rappresentata nella figura 2. Si può osservare che l’acqua tracima gli argini prevalentemente a monte in sinistra idraulica, in corrispondenza del quartiere Flaminio, e si propaga quindi lungo la via Flaminia entrando nel centro urbano attraverso Porta del Popolo, proprio come riferito nelle descrizioni storiche delle antiche inondazioni. Le portate delle piene storiche determinate con il
modello bidimensionale in condizioni stazionarie potrebbero essere però in difetto, perché la stazionarietà non permette di tenere conto delle riduzioni della portata a Ripetta prodotte dalle esondazioni nel centro urbano, che tracimano a monte del Porto di Ripetta, dove erano misurate le altezze idrometriche. La prima fase di questo studio prevede dunque un aggiornamento della distribuzione di probabilità delle portate al colmo delle piene del Tevere a Ripetta, simulando le inondazioni nella città antica per mezzo di un modello bidimensionale di moto vario per valutarne gli effetti di laminazione delle portate. L’efficacia della laminazione, però, dipende essenzialmente dal volume della piena che esonda. Si procederà quindi a determinare la distribuzione di probabilità congiunta delle portate al colmo e dei volumi sopra soglia, utilizzando le osservazioni accoppiate di portata al colmo e volume elaborate con il metodo della copula.
Il pericolo però esiste, anche se la probabilità è relativamente bassa, dell’ordine del 0,5% all’anno; ma che significa questo dato in un orizzonte temporale più lungo? Significa che in un secolo la probabilità di un’inondazione è quasi del 40% e in due secoli supera il 60% Determinata la distribuzione congiunta di portata e volume sopra soglia si determineranno i nuovi idrogrammi di piena per diversi scenari, caratterizzati da tempi di ritorno almeno fino a 1000 anni, e si aggiorneranno le simulazioni delle inondazioni nella città moderna, in modo da determinare la distribuzione delle altezze idriche e delle velocità di deflusso in tutta l’area inondata. I risultati fin qui ottenuti, anche se non definitivi permettono già di avere un’idea dei tiranti idrici che si potrebbero verificare nel centro urbano: con una portata di 3500 m3/s (tempo di ritorno di 200 anni) nel centro urbano le acque raggiungerebbero una quota di circa 17,5 ms.m. con tiranti che nelle zone più basse potrebbero raggiungere 2,5 m, mentre con una portata di 3900 m3/s il livello arriverebbe oltre 19 ms.m. e i tiranti idrici potrebbero superare i 4 m. Questo quadro, sebbene non definitivo, mostra che il problema non può essere ignorato, pur tenendo conto della probabilità relativamente bassa di simili eventi. Senza misure preventive o un’adeguata predisposizione di procedure d’intervento in caso di allarme, il rischio connesso alla perdita di vite umane, alla distruzione e danneggiamento di beni artistici e documentari, e ai danni che subirebbero le attività commerciali sarebbe certamente elevatissimo. 1
Si noti che la massima portata misurata a partire dal 1921 è stata quella di circa 2800 m3/s del colmo del piena del dicembre 1937, che aveva fatto temere lo straripamento del fiume.
Bioindicatori Le piante acquatiche e la qualità delle acque: applicazioni ai fiumi Tevere e Aniene Simona Ceschin Per una corretta valutazione della qualità delle acque fluviali si ritiene oggi fondamentale utilizzare un approccio di tipo integrato, non solo tra metodologie chimicofisiche e biologiche, ma anche nello stesso ambito biologico, tra metodiche diverse che utilizzano informazioSimona Ceschin ni relative a comunità di diversi livelli trofici (Bielli et al. 1999; Minciardi and Rossi 2001). È in questa direzione che si è mossa la Direttiva Quadro Europea sulle Acque (Water Frame Directive 2000/60/CE) che ha imposto un innovativo aggiornamento dei metodi analitici, esaltando il ruolo dei bioindicatori nel valutare lo stato qualitativo delle acque, ampliando il numero e la tipologia di bioindicatori da utilizzare. Vengono infatti considerati a tal fine non solo i macroinvertebrati bentonici, a cui fanno riferimento gran parte delle metodologie di indicizzazione attualmente meglio standardizzate (Ghetti 1997), ma anche l’ittiofauna, le dia-
Distribuzione delle comunità macrofitiche in base al gradiente trofico delle acque. F: Fontinalis antipyretica, R: Ranunculus trichophyllus, C: Callitriche stagnalis, El: Elodea candensis, Z: Zannichellia palustris, M: Myriophyllum spicatum, M vert: Myriophyllum verticillatus, A: Azolla filiculoides, P: Potamogeton nodosus, P pect: Potamogeton pectinatus, E: Entheromorpha flexuosa, Alghe: Alghe filamentose
tomee (alghe unicellulari) e le macrofite. Per quanto riguarda specificatamente le macrofite, con questo termine si fa riferimento ad un gruppo di specie vegetali acquatiche, rappresentate prevalentemente da piante superiori erbacee e secondariamente da macroalghe, briofite (muschi ed epatiche) e pteridofite (felci). Le proprietà bioindicatrici delle comunità macrofitiche sono state comprovate da numerosi studi a livello europeo che hanno evidenziato come la loro struttura e composizione specifica siano influenzate, oltre che da fattori idrogeologici e idromorfologici, anche dalle caratteristiche chimico-fisiche delle acque e da fenomeni antropogenici come l’inquinamento di tipo principalmente organico (Caffrey 1987; Botineau and Ghestem 1995; Robach et al. 1996; Minciardi et al. 2003). Nell’ambito di questi aspetti, si è valutata la qualità delle acque del Fiume Tevere ed Aniene tramite l’utilizzo della comunità macrofitica. Si è voluto, inoltre, applicare nei diversi tratti fluviali indagati l’indice IBMR (AFNOR 2003; Haury et al. 2006), uno degli indici macrofitici formulati in Europa maggiormente applicabili in Italia e per questo recepito a livello nazionale
La Direttiva Quadro Europea sulle Acque (Water Frame Directive 2000/60/CE) che ha imposto un innovativo aggiornamento dei metodi analitici, esaltando il ruolo dei bioindicatori nel valutare lo stato qualitativo delle acque, ampliando il numero e la tipologia di bioindicatori da utilizzare nelle metodiche standardizzate di valutazione dello stato qualitativo delle acque correnti (Minciardi et al. 2014). Le diverse comunità macrofitiche rinvenute nelle stazioni di campionamento si distribuiscono lungo le aste fluviali del Tevere e dell’Aniene secondo un modello spaziale che risulta correlato con gradienti di inquinamento delle acque evidenziati da indagini chimico-fisiche effettuate nei medesimi tratti fluviali (Fig. 1). Si evidenzia quindi la presenza di settori medio-alti del Fiume Aniene, caratterizzati da acque poco o mediamente inquinate in cui si rinvengono comunità macrofitiche generalmente considerate abbastanza sensibili all’inquinamento organico e quindi
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Fontinalis antipiretica
maggiormente legate ad acque mesotrofiche, qualitativamente buone. Tra queste comunità menzioniamo quelle a dominanza del muschio Fontinalis antipyretica (Fontinaletum antipyreticae) (Fig. 2), Berula erecta e Ranunculus trichophyllus (Ranuncolo-Sietumerecto-submersi) (Fig. 3), Nasturtium officinale (Nasturtieum officinalis) o Potamogeton crispi ed Elodea candensis (Elodeo-Potametum crispi). Tali comunità, ad eccezione del Nasturtietum e di alcuni aspetti muscinali ritrovati presso le acque sorgive, non sono state rinvenute nei settori dell’alto e medio corso del Fiume Tevere, evidenziando già forme di inquinamento organico nei tratti a monte del fiume, in accordo con i dati chimico-fisici e ma-
Ranunculus trichophyllus
crobentonici disponibili (ARPA Lazio 20052006; ARPA Umbria 2005-2006). Nei settori fluviali maggiormente interessati da attività agricole, come il tratto medio del Tevere, o da processi di antropizzazione, come le aree urbane e suburbane presso Roma e Terni, risultano diffuse comunità a Potamogeton nodosus (Potametum nodosi) (Fig. 4), Myriophyllum spicatum (Myriophylletum spicati), Ceratophyllum demersum (Ceratophylletum demersi), Lemna minor e Azolla filiculoides (Lemno-Azolletum filiculoidis) e Potamogeton pectinatus (Potametum pectinati) (Fig. 5). Tali fitocenosi sono caratterizzate da specie che tollerano bene alte concentrazioni di nutrienti e per questo sono in genere
Potamogeton nodosus
Potamogeton pectinatus
rinvenibili in acque eutrofiche e di qualità scadente. Nei tratti fluviali terminali, come presso
delle acque. La distribuzione di tali cenosi, cosi come l’indicizzazione dell’informazione vegetazionale, possono essere quindi utilizzate come bioindicatori per valutare il grado d’inquinamento delle acque fluviali e del loro stato qualitativo.
Vengono infatti considerati a tal fine non solo i macroinvertebrati bentonici, a cui fanno riferimento gran parte delle metodologie di indicizzazione attualmente meglio standardizzate (Ghetti 1997), ma anche l’ittiofauna, le diatomee (alghe unicellulari) e le macrofite la foce del Fiume Tevere o la confluenza dell’Aniene con il Tevere, si evidenzia invece la presenza quasi esclusiva del Potametum pectinati (Fig. 5) e di aspetti macroalgali filamentosi ad Entheromorpha flexuosa, cenosi che maggiormente tollerano acque ipertrofiche, ad alta conducibilità, qualitativamente pessime. I dati chimico-fisici e macrobentonici confermano che questi tratti sono quelli maggiormente inquinati e ad alto grado di eutrofizzazione. Il dato vegetazionale indicizzato utilizzando l’indice macrofitico IBMR descrive piuttosto fedelmente i gradienti d’inquinamento trofico dei tratti fluviali indagati (Fig. 6). Considerando che l’indice può assumere valori che decrescono in funzione del grado di eutrofizzazione delle acque (da 20 a 1), emerge che la maggior parte delle acque fluviali indagate presentano valori medio-bassi, confermando una condizione mesotrofica e più in generale eutrofica delle acque. Tali risultati, espressi in termini di giudizio di qualità, indicano una condizione delle acque fluviali analizzate non oltre la sufficienza (Haury et al. 1996; AFNOR 2003; Azzolini et al. 2003; Ceschin et al. 2010). In conclusione, i risultati emersi nell’ambito della presente indagine mostrano che alcune comunità macrofitiche risultano legate a differenti situazioni di inquinamento trofico e che il loro rinvenimento differenziale concorda in generale con i valori dei fattori parametri chimico-fisici
Per quanto riguarda specificatamente le macrofite, con questo termine si fa riferimento ad un gruppo di specie vegetali acquatiche, rappresentate prevalentemente da piante superiori erbacee e secondariamente da macroalghe, briofite (muschi ed epatiche) e pteridofite (felci)
Carta della qualità delle acque del Fiume Tevere ed Aniene sulla base dell’indice macrofitico IBMR
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Il Contratto di fiume La governance dell'area romana Anna Laura Palazzo Nell’attuale fase di avvio della Città Metropolitana di Roma, l’affermazione del Tevere e dell’Aniene come serbatoi di naturalità, come corridoi ecologici e come infrastrutture verdi di supporto per il loisir metropolitano, interpella i valori della natura e della storia e fa perno sulle tracce di una lunga Anna Laura Palazzo consuetudine di scambi tra la Capitale e il suo hinterland. A partire dagli anni Novanta, l’agenda europea della sostenibilità ha indicato nella “Rete ecologica” e nella “Green Infrastructure” gli strumenti essenziali per politiche ambientali in grado di affrontare varie e correlate questioni in una visione di insieme: biodiversità, salvaguardia dei valori naturali e paesaggistici, difesa del suolo e messa in sicurezza del territorio, rigenerazione e valorizzazione delle risorse, miglioramento delle prestazioni ambientali, e, da ultimo, promozione di politiche agro-alimentari sostenibili, una più estesa fruizione sociale e maggior benessere e salute psico-fisica dei cittadini (EU Commission, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European economic and social Committee and the Committee of the Regions, Green Infrastructure. Enhancing Europe’s Natural Capital, May 2013). Cruciale in questa rilettura dei paradigmi ambientali, variamente recepita negli ordinamenti nazionali e negli strumenti di pianificazione di area vasta, è stato il passaggio dal concetto di conservazione di specifiche aree a quello di conservazione dell’intera struttura degli ecosistemi presenti. Le Green Infrastructure rappresentate dalle aste fluviali richiedono il superamento di logiche settoriali in quanto incarnano con la massima evidenza il tema della continuità ecologica, anche nei tratti più compromessi di “frangia urbana” che trattengono nelle pause dell’edificato e nei lembi residui di paesaggio agricolo e naturale valori e utilità assai promettenti per la rigenerazione dei territori. Ciò si manifesta con particolare evidenza nelle aree innervate dal sistema fluviale del Tevere e dell’Aniene che viene ad essere centrale nel dibattito sul futuro della Città metropolitana. Qui, la continuità ecologica, sostenuta dal piano territoriale provinciale, dal piano di bacino e da alcuni redigendi piani di assetto di parchi e riserve naturali, può essere concretamente sperimenta-
ta e implementata attraverso l’istituto del Contratto di Fiume, dispositivo di programmazione partecipata che agisce mediante accordi volontari tra pubbliche amministrazioni, stakeholders e cittadinanza attiva integrando le tematiche più propriamente ambientali con questioni legate alla valorizzazione dei sistemi di permanenze storiche e dei paesaggi per una fruizione allargata.
Nelle aree innervate dal sistema fluviale del Tevere e dell’Aniene la continuità ecologica può essere concretamente sperimentata e implementata attraverso l’istituto del Contratto di Fiume, dispositivo di programmazione partecipata che agisce mediante accordi volontari tra pubbliche amministrazioni, stakeholders e cittadinanza attiva integrando le tematiche ambientali con questioni legate alla valorizzazione dei sistemi di permanenze storiche e dei paesaggi La Regione Lazio ha aderito alla Carta Nazionale dei Contratti di Fiume, che reca indirizzi per il contenimento del degrado e la riqualificazione lungo le aste fluviali, e l’amministrazione capitolina ha istituito un Osservatorio per il Contratto territoriale dei Fiumi di Roma Capitale, animato dall’Agenzia di sviluppo per la valorizzazione integrale e coordinata del Bacino del Tevere “Consorzio Tiberina”. Luoghi e temi dell’agenda programmatica si collocano lungo una ideale ordinata – un “transetto”, secondo le definizioni dell’Ecologia vegetale e del Landscape Urbanism – che intercetta ambiti a diverso gradiente di naturalità: da quelli a vocazione prevalentemente agricola, marginali nelle logiche dello sviluppo, a quelli più fortemente antropizzati, disponibili tuttavia a un recupero o a forme condivise di “reinvenzione” del paesaggio secondo il dettato della Convenzione europea (2000). Sono ambiti, questi, che rinviano a interferenze e conflitti tra questioni di “forma” (come aspetto del paesaggio visibile e sensibile), questioni di “struttura” (come struttura dell’economia agraria, che regola gli assetti produttivi e determina le convenienze degli operatori), e questioni di “funzionalità” (in chiave ecologica e di sostenibilità ambientale, ma anche della fruizione pubblica). Qui il Contratto di Fiume è chiamato a predisporre
Il trasporto di legna, fascine, carbone, vino, olio, grano e biada, calce, legname da costruzione, qualifica il tratto navigato e navigabile del Tevere a Nord di Roma come una sorta di corridoio a servizio esclusivo della Capitale, alimentato da un “contado lineare”, suo immediato entroterra, e da due vie commerciali di lunga percorrenza, la Flaminia e la Salaria. Tratto da: O. Aristone, A.L. Palazzo, Roma e il suo contado lineare. L’approvvigionamento urbano attraverso il Tevere nel primo trentennio dell’Ottocento, in G. Alfani, M. Di Tullio, L. Mocarelli (a cura di), Storia economia e ambiente italiano, Milano, Franco Angeli, 2012, pp. 346-362
una vision che sia di spunto per elaborazioni e rappresentazioni di scenari più compiutamente organizzate e condivise. Il quadro delle coerenze d’insieme potrebbe essere rafforzato da un progetto di allestimento museale su scala territoriale offerto al vasto pubblico – un “Museo diffuso” lungo i fiumi – con postazioni specifiche in luoghi strategici per collocazione e qualità dell’offerta che consentano un’esplorazione delle varie loro utilità nello spazio e nel tempo: come teatri e vettori fondamentali di culture, economie ed ecologie differenziate. Una prima tematizzazione riguarda la navigabilità del Tevere a monte di Roma, che nel passato risultava in stretta correlazione con un vasto entroterra agrario, e che oggi è allo studio per un suo tratto significativo. Orte era sino all’Unità d’Italia l’avamposto di una navigazione faticosa e intermittente effettuata con il traino animale dei “legni” che facevano la spola con il porto di Ripetta. Dall’efficienza di una trentina tra scali e approdi di questo “contado lineare” dipendeva largamente la sussistenza di Roma per generi di prima necessità e di largo consumo – legna da ardere, grano, olio, vino e altre derrate – provenienti dai territori della Sabina e della Tuscia, ma anche dall’Umbria e dalle lontane Marche. Le ampie
Il corso dell’Aniene prima e dopo la piena del 16 novembre 1826 (Bibl. Casanatense, Raccolta delle Piante originali sui grandi lavori eseguiti all’Aniene)
coltivazioni ad oliveto che caratterizzano i paesaggi della valle del Tevere vennero avviate grazie a una serie di incentivi sia sotto il governo pontificio che nella breve parentesi napoleonica. Nella fase attuale, nonostante l’elevata qualità attestata dal marchio DOP dell’olio della Sabina e della Tuscia, la penetrazione sui mercati nazionali ed esteri rimane difficoltosa e scarsamente praticabile, in relazione ad alcune criticità strutturali, prima tra tutte la concorrenza di
Una prima tematizzazione riguarda la navigabilità del Tevere a monte di Roma, che nel passato risultava in stretta correlazione con un vasto entroterra agrario, e che oggi è allo studio per un suo tratto significativo. Orte era sino all’Unità d’Italia l’avamposto di una navigazione faticosa e intermittente effettuata con il traino animale dei “legni” che facevano la spola con il porto di Ripetta produttori stranieri. Su un piano eminentemente territoriale, questa marginalità, enfatizzata dalla scarsa elasticità di risposta sul mercato tipica delle coltivazioni legnose, costituisce un orizzonte problematico e rimarca la questione di una costanza di presidio umano come essenziale fattore di tenuta dei paesaggi.
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Il progetto di inicon il suo ibrido ziativa comunitastatuto –, intercetria PIC Leader + tano in chiave Sabina, ha inteso conflittuale i vaaffrontare il prolori attivi della blema di innalzanatura e della store al contempo ria: i tratti di paequalità e redditisaggio fluviale vità, a fronte di meno comprouna forte frammessi, le caratterimentazione prostiche trame dei prietaria, di un poderi e dei canali generale invecdella bonifica nochiamento dei vecentesca, i seconduttori, di un gni più cospicui e certo dilettantile tracce minori di smo nella pratica insediamenti antidi coltivazione. Il chi. nuovo PSR af- Paesaggi del Delta del Tevere. Isola Sacra: sponde, argini, campagna. La mappa è una Il Contratto di fronta questa se- copia dell’affresco della Galleria delle Carte geografiche in Vaticano rappresentante il Fiume risponde a Patrimonium S. Petri rie di criticità un’esigenza di raquestioni di accorpamento fondiario, di ricambio gezionalizzare usi in competizione tra di loro, in assonerazionale, di forme cooperative di conduzione, di ciazione alla strategia di rilancio della navigabilità accesso al credito, di sbocchi sul mercato, di multidel Tevere a valle di Roma sino alla foce: nell’area funzionalità – in una logica di filiera in grado di acdel delta si propone la strutturazione di alcune percompagnare possibili percorsi di sviluppo. Compito correnze ciclo-pedonali parallele alla linea di costa del Contratto di Fiume sarebbe di affiancare questo tra le principali emergenze archeologiche di Portus strumento di settore rafforzando la vocazione alla e Ostia Antica, in sintonia con il necessario recupericettività turistica in associazione con un’offerta di ro alla fruizione delle sponde fluviali e delle residue servizi rurali più estesa e qualificata di grande intearee golenali. Posto che lo scenario della campagna resse per un bacino di utenza come quello dell’area nel senso proprio del termine costituisce fondamenromana. tale segno dell’identità del luogo, l’orizzonte rurale Il secondo caso riguarda il basso corso dell’Aniene, verrà esplorato con riferimento a differenti filiere: da Tivoli sino alla sua confluenza nel Tevere, su cui, la diversificazione potrà riguardare la concessione limitatamente al comune di Roma, ricade il perimedei terreni per attività floro-vivaistiche, già parzialtro della omonima Riserva che delinea regimi diffemente presenti, per strutture ricreative (maneggi, renziati di tutela. Nell’ambito di un Contratto di Fiufattorie sociali, agriturismo), per sperimentazioni di me sarebbe praticabile l’esplorazione di ulteriori eleinterventi di riqualificazione paesaggistica volti a menti di interesse e di solidarietà tra città e campapreservare e valorizzare le numerose aree ricadenti gna, anche in relazione alla storica interdipendenza nel vincolo archeologico. tra Roma e Tivoli favorita dalla via Tiburtina e dai La nuova dimensione della Città metropolitana imdiversi impieghi del fiume e lungo il fiume: captaziopone una governance di processo che abbia in agenne per i fabbisogni idrici ed energetici della Capitale, da, oltre alle tematiche ambientali, quelle relative attività proto-industriali legate alla presenza di caralla rete della mobilità metropolitana e allo sviluptiere e ferriere, estrazione di travertino e altri matepo economico e di attività produttive e turistiche. riali di costruzione, importazione dell’olio tiburtino. Le modalità di organizzazione della partecipazione Oggi, molti impianti, anche ai margini dell’edificato in itinere risultano coerenti con le storie istituzionastorico di Tivoli, sono in abbandono. li sottostanti ma sono ugualmente intese a ribadire Il Contratto di Fiume potrebbe qui sviluppare itineil ruolo delle aste fluviali come componenti primarari narrativi lungo l’Aniene connessi alle molteplirie della rete ecologica e della vita urbana. Si tratta ci vocazioni produttive del fiume, alla vicenda della nei fatti di una sollecitazione all’agire comune, che sua difficile regimazione e all’orizzonte progettuale in altre realtà è diventata buona prassi, a partire dal cui ha dato luogo nel corso dei secoli. riconoscimento che i livelli di complessità, interfeIl terzo caso riguarda l’area della foce del Tevere, renza e conflittualità risultano praticamente ingestiche partecipa dei processi di trasformazione che bili con la tradizionale formula della filiera autorizhanno eletto il quadrante occidentale della Capitale zativa. Nella stagione che si sta aprendo, la consena settore più dinamico e vitale, confermandone il sualità dovrà essere raggiunta sotto forma di accorruolo di porta di accesso per i flussi di lunga perdi a carattere volontario sugli impegni assunti o uticorrenza. Questi aspetti di disordinata modernità inlizzando lo strumento contrattuale assistito da tracentrati su problematiche forme di abitare e su varie sferimenti di risorse tra diversi livelli amministratiformulazioni del produrre – la “campagna urbana” vi; e i Contratti di Fiume ne sono un utile banco di
Le acque del Tevere Il millenario rapporto della Città Eterna con il suo fiume María Margarita Segarra Lagunes Lo stretto e millenario rapporto della Città Eterna con l’acqua è un legame che riguarda soprattutto il Tevere, che è stato, da sempre, la fonte precipua che ha dissetato i Romani, che ha agito quale motore di attività produttive, veicolo che trasportava le navi cariche di tutti i prodotti necessari per apMaría Margarita Segarra Lagunes provvigionarla, mezzo per smaltire le immondizie e luogo di ricreazione e svago. Insieme a tutto ciò, e a fronte di tanti benefici, il fiume era altresì, a cadenze regolari, causa di distruzione e di morte. Drammatiche narrazioni descrivono, infatti, sin dall’epoca medievale, le terribili alluvioni. Tra le più antiche, quella di Paolo Diacono che nell’VIII secolo ri-
Le attività di smercio si svolgevano, già in epoca repubblicana, nel Portus Tiberinus, il più antico scalo di Roma, ospitato nell’area esistente tra i colli Capitolino, Aventino e Palatino, a fianco ai più antichi mercati di Roma: il foro Boario e il foto Olitorio, protetti dagli Dei Portunus, Ercole Vincitore, Giano, Speranza e Giunone Sospita ferisce nella Storia dei Longobardi: «il livello del fiume Tevere a Roma crebbe al punto che le sue acque superarono le mura, si riversarono dentro la città e invasero zone estesissime [...] lungo l’alveo del fiume, insieme a una moltitudine di serpenti, attraversò la città anche un drago di dimensioni mostruose che scese poi fino al mare». Otto secoli più tardi, nei giorni di Natale del 1598, nuovamente le acque del Tevere invadono Roma, lasciando impronte incancellabili. Nella lettera di Tarquinio Pinaoro allo zio Alessandro Bartolucci, priore in S.to Agostino ad Ancona, si descrive l’accaduto. Da qualche giorno, una pioggia intensa si riversava su Roma, esordisce il Pinaoro: il 19 dicembre il papa Clemente VIII arrivava da Ferrara per la cerimonia del Possesso del Popolo Romano. «In questo giorno, poi dalla mattina in sin a sera fu continua pioggia […] come anco in tutti gli altri giorni» successivi. La notte del 23 «il Tevere cominciò a spandersi anco dentro Roma [...] percioché la notte seguente, essendomi svegliato circa alle nove hore verso la detta Vigilia, sentì un insolito rumore [...] che
mi insuspettì di allagamento di strade, come in verità era: percioché affacciatomi dalla finestra viddi l’acque passar avanti la porta di nostra casa, che ritrovandomi senza provisione di pane, mandai subito a pigliarne al forno, ove perché vi si era condotta molta gente non se ne poté haver più di un meschin giulio». La mattina di Natale, «dopo l’esser cresciute qui in piazza Madama un’altra picca», le acque «cominciarono a calare con grandissimo contento et grido di tutti [...]. Ma il giorno di Santo Stefano «visitando scoperto in sin a moso le porte sì delle case come delle bottighe delle arti, si cominciò a vedere il detrimento generale che a’ poveri artigiani fatto havevano poiché ad alcuni non solo gli hanno levato da cancani le porte ma portatigli via tutti quei supellettili che vi havevano». Superato il momento più drammatico, il bilancio dei danni apparve veramente terribile: la gente gridava «che manco mal saria stato a Roma, l’haver fatto un gran sacco, poiché almeno non vi saria morta tanta gente, con tanta ruina de case, che pur tuttavia ne vano cadendo et crepando». A piazza Madama le acque avevano raggiunto 20 palmi, alla Rotonda 25, a piazza Colonna 10; a via della Scrofa 19. Numerose case erano in rovina con moltissimi morti annegati, il ponte Santa Maria era «caduto nel fiume, essendo restata in piedi l’altra [parte] nuovamente fatta da Papa Gregorio XIII, dove si vedono molte grossissime pietre, come anco in quello di S.to Angelo che gli ha levato i parapetti alle sponde, quali erano di grossi travertini». Le piene continuarono a colpire fino alla costruzione
Erano presenti sulle rive del fiume rilevanti attività produttive che animavano il paesaggio fluviale, sfruttando i benefici della corrente: prima di tutto, i mulini di grano, per il cui insediamento concorrevano non soltanto le autorità dell’Annona, i mugnai, i panettieri o i rivenditori di farina, ma anche le famiglie aristocratiche romane o le congregazioni religiose dei muraglioni del Tevere, avviata in seguito all’Unità d’Italia, quando Roma diventa la capitale e si adegua a questa nuova funzione attivando grandi lavori di ammodernamento della città, ancora caratterizzata in buona parte da una struttura medievale. Oggi, questo flagello è stato quasi completamente dimenticato e solo quando il livello delle acque minaccia di esondare nelle campagne vicine alla capitale, gli abitanti si
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ricordano del fiume e si affacciano dalle sponde e dai ponti per guardare con apprensione quello che una volta faceva parte delle dinamiche quotidiane della città. Tuttavia, come si è detto in apertura, per molti secoli, il Tevere è stato soprattutto la via attraverso cui ogni sorta di Il Tevere in una giornata autunnale derrata e mercanzia giungeva all’Urbe: alimenti, legna, materiali da costruzione, prodotti importati da Paesi e regioni, vicini e lontani. Il commercio nel fiume costituiva infatti una risorsa economica fondamentale per il funzionamento della città ed era per questo prioritario nelle politiche dell’Impero e, più tardi, della Camera Apostolica, l’organo deputato all’amministrazione dei beni pontifici. Le attività di smercio si svolgevano, già in epoca repubblicana, nel Portus Tiberinus, il più antico scalo di Roma, ospitato nell’area esistente tra i colli Capitolino, Aventino e Palatino, a fianco ai più antichi mercati di Roma: il foro Boario e il foto Olitorio, protetti dagli Dei Portunus, Ercole Vincitore, Giano, Speranza e Giunone Sospita. Più tardi, con l’ampliarsi della potenza di Roma e dei suoi rapporti commerciali con le province dell’Impero, dalla Spagna fino all’Asia Minore, passando per la Grecia e l’Africa,
Accanto ai mulini di grano, confluivano ad animare il paesaggio fluviale, nel tratto urbano, altri mulini, per la macinazione dei colori, del sale, del tabacco e persino della cipria, insieme a variegate postazioni di pesca, dotate di vasche, reti e bilance di ogni sorta e ancorate ai resti dei vecchi ponti in rovina o alle sporgenze che si formavano per il deposito dei materiali argillosi ai margini del fiume lo scalo fu ingrandito coprendo, con immense strutture adibite a magazzini, la piana di Testaccio, nonché con la realizzazione di un porto, di cui, ancora oggi, è possibile apprezzare le banchine, dotate di grandi anelli in travertino, destinati a ormeggiare le barche. A nord, nei pressi di Porta del Popolo, fu sistemata, già all’inizio del XVII secolo, per interessamento di Paolo V, l’area di sbarco delle mercanzie che giungevano a Roma dall’alto Lazio, dall’Umbria e dalla Toscana; ma è a partire dal 1703, con la realizzazione della scalinata di Ripetta progettata da Alessandro
Specchi, che l’area assume un’importanza determinante nella caratterizzazione dell’intero quartiere, oltre che come opera monumentale e di decoro urbano. Marinai, facchini, impiegati della Camera, dazieri, ispettori, pilorciatori, bufalari, erano alcune delle figure incaricate di affrontare le problematiche legate al commercio e allo smercio dei prodotti nei mercati della città, una volta versate le tasse negli uffici della Dogana. Ma erano anche gli attori che movimentavano lo scalo con la loro frenetica attività, documentata dall’iconografia dell’epoca: basti qui citare le incisioni di Giovan Battista Piranesi, i dipinti di Gaspar van Wittel e le fotografie e gli acquerelli di Ettore Roesler Franz. Sin da tempi remoti, erano altresì presenti sulle rive del fiume rilevanti attività produttive che animavano il paesaggio fluviale, sfruttando i benefici della corrente: prima di tutto, i mulini di grano, per il cui insediamento concorrevano non soltanto le autorità dell’Annona, i mugnai, i panettieri o i rivenditori di farina, ma anche le famiglie aristocratiche romane o le congregazioni religiose, detentrici delle concessioni loro accordate dalla Camera Apostolica, dietro il versamento di un canone annuale, tassato in libbre di cera bianca lavorata, da corrispondere alla Camera dei Tributi, nella vigilia della festa dei Santi protettori di Roma, San Pietro e San Paolo. I proventi di tale attività non dovevano essere troppo scarsi se la Compagnia di San Giovanni Decollato, concessionaria di una mola ancorata a ponte Rotto, ricavava una somma sufficiente a maritare due zitelle povere ogni anno. La presenza di queste strutture galleggianti è documentata dall’iconografia per lo meno dalla seconda metà del Quattrocento, nei disegni del Codex Escurialensis e negli schizzi di Giuliano da Sangallo. Ma, accanto ai mulini di grano, confluivano ad animare il paesaggio fluviale, nel tratto urbano, altri mulini, per la macinazione dei colori, del sale, del tabacco e persino della cipria, insieme a variegate postazioni di pesca, dotate di vasche, reti e bilance di ogni sorta e ancorate ai resti dei vecchi ponti in rovina o alle sporgenze che si formavano per il deposito dei materiali argillosi ai margini del fiume. Infine, a completare questo universo pittoresco e suggestivo, saponiere, lavatoi, officine e laboratori per segare e lucidare i marmi o per tagliare il legno utilizzavano come motore la forza delle acque. Dalla metà del Settecento, le ripe di Ripetta si animano con le cabine balneari, stabilite con grande disappunto del Collegio Clementino che riteneva quell’at-
Giuseppe Vasi, Il Tevere all’Isola Tiberina
tività contraria alla morale e, in quanto tale, diseducativa per i suoi allievi. A testimoniare l’importanza che il fiume rivestiva per l’economia è la copiosa presenza di atti, bandi e progetti promossi da alti prelati ecclesiastici, quali cardinali, vescovi e persino dagli stessi pontefici. La redazione di tali documenti, così come la definizione delle proposte di intervento per risolvere problemi tecnici e di manutenzione, nonché di gestione della navigazione, venne affidata, dalla metà del Cinquecento, a illustri architetti, come Domenico e Giovanni Fontana, Carlo Maderno, Domenico Castelli, Carlo Rainaldi, Giuseppe Pannini, Giuseppe Valadier, per citare solo i
più noti. Obiettivo prevalente della loro attività era quello di impedire, attraverso una manutenzione periodica, che il transito delle barche nel fiume venisse ostacolato, rallentando o addirittura arrestando lo svolgimento delle operazioni commerciali. Ma le loro mansioni risentono anche dei progressi che in materia scientifica si andavano acquisendo, con l’introduzione di tecniche costruttive mirate a rendere più efficiente e più durevole il risarcimento delle ripe corrose del fiume, con vantaggi economici che portassero risparmi alle casse della Camera Apostolica. Così, la tecnica esecutiva delle passonate, ideata da Carlo Maderno per la riparazione degli argini alla foce di Fiumicino, sarà superata sette decadi dopo dall’introduzione di tecniche olandesi da parte dell’ingegnere Cornelius Meyer, che diffonde a Roma, con le sue pubblicazioni, innovative soluzioni per il superamento degli ostacoli orografici, per la pulitura dell’alveo, per la riparazione delle ripe. Questo universo, complesso e articolato, inizia a scomparire quando viene deciso di avviare la costruzione degli argini del Tevere: la distruzione di tutti i fronti delle case e dei palazzi affacciati verso il fiume, la regolarizzazione del suo corso, infliggendo ferite profonde nel tessuto urbano, ma soprattutto l’eliminazione di tutte le attività produttive che si svolgevano nell’alveo fluviale sfruttando la corrente, decretò la definitiva e radicale separazione che oggi caratterizza il Tevere nel suo tratto urbano. Ma basta scendere al livello dell’acqua per rendersi conto che, nonostante tutto, il Tevere seguita a essere una formidabile risorsa idrica ambientale. Il recupero di questo paesaggio è diventato urgente: molte capitali europee hanno avviato lavori di valorizzazione delle sponde dei loro corsi d’acqua: Parigi, Porto, Lisbona, Londra. È infatti urgente che anche Roma trovi il modo di reinventare il rapporto con questo ambito naturale, che è stato, in realtà, la più autentica e storica ragione della sua esistenza.
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Il ciclo antropico dell’acqua Disponibilità, fruibilità e qualità Carlo Ottavi Tentare di dipanare un sistema aggrovigliato e complesso come quello dell’uso e della gestione delle risorse idriche richiede uno sforzo di schematizzazione che, per sua natura stessa, può comportare forzature e semplificazioni. Non si può considerare un solo “ciclo dell’acqua”, ma due, ancorché Carlo Ottavi intimamente interconnessi: quello naturale o idrologico, che attiene alla componente ambientale, e quello antropico che riguarda la materia prima e la sua gestione. Il secondo costituisce l’oggetto del presente articolo.
Non si può considerare un solo “ciclo dell’acqua”, ma due, ancorché intimamente interconnessi: quello naturale o idrologico, che attiene alla componente ambientale, e quello antropico che riguarda la materia prima e la sua gestione Apporto idrico L’acqua è una risorsa rinnovabile: il motore che consente la rinnovabilità è il sole che, fornendo energia termica, fa evaporare l’acqua presente in forma liquida in massima parte dagli oceani ma anche dai continenti. Essa successivamente condensa, viene trasportata dal vento sotto forma di nubi, quindi precipita (pioggia, neve, grandine) e torna direttamente agli oceani da dove proviene; una quantità rimanente raggiunge i continenti diventando l’“apporto idrico”. Una grossa quantità di quest’ultima penetra nel suolo per infiltrazione rimanendovi come umidità, salvo poi evaporare di nuovo o venire assorbita dalle radici delle piante ed essere liberata dalle foglie nell’atmosfera mediante la traspirazione. A questi due processi insieme si attribuisce il nome di evapotraspirazione. Un’altra aliquota percola e va ad alimentare le falde freatiche (deflusso profondo), per poi riaffiorare nei fiumi o nelle sorgenti. Infine, una “piccola” parte rimane sulla superficie terrestre dando origine a laghi e fiumi, attraverso i quali torna direttamente ai mari ed agli oceani (deflusso superficiale): questa è l’acqua che, insieme a quella prelevata dalle falde, viene considerata dispo-
nibile per l’uso umano con tutte le limitazioni che questo comporta. L’Italia può essere assimilata ad una isola perché la sua conformazione geografica peninsulare (Alpi al nord e mare altrove) fa sì che non siano significative le correnti superficiali in entrata. Nel nostro paese gli afflussi meteorici si possono stimare in circa 1000 mmH 2 O/anno (pari a circa 296x109 m3/anno) a fronte della media europea di 650 e mondiale di 750; essi sono ripartiti per il 41% nell’Italia settentrionale, per il 26% nell’Italia centrale, per il 20% nell’Italia meridionale e per il 13% nell’Italia insulare. La maggior parte dei corsi d’acqua e dei 242 bacini che li caratterizzano sono prevalentemente concentrati nel nord della penisola. Disponibilità e fruibilità Il concetto di disponibilità è di tipo essenzialmente quantitativo: di quanti m3 per unità di tempo si dispone in una determinata area. Nel nostro paese, dei 290 miliardi di m3/anno, 132 tornano all’ambiente per evapotraspirazione, i rimanenti 164 rappresentano le risorse naturali totali (deflussi) che sono suddivise per il 59% al nord, per il 18% al centro, per il 18.5% al sud, e per il 4.5% nelle isole maggiori. Anche le risorse idriche sotterranee sono distribuite in maniera disomogenea sul territorio nazionale: il 66% nel settentrione, l’11% al centro, il 14% nel meridione, il 7% in Sicilia ed il 2% in Sardegna.
Nel nostro paese, dei 290 miliardi di m3/anno, 132 tornano all’ambiente per evapotraspirazione, i rimanenti 164 rappresentano le risorse naturali totali (deflussi) che sono suddivise per il 59% al nord, per il 18% al centro, per il 18.5% al sud, e per il 4.5% nelle isole maggiori. Anche le risorse idriche sotterranee sono distribuite in maniera disomogenea sul territorio nazionale: il 66% nel settentrione, l'11% al centro, il 14% nel meridione, il 7% in Sicilia ed il 2% in Sardegna Questi dati definiscono numericamente quanto ci dice l’esperienza quotidiana. Ma quanta di questa risorsa è effettivamente fruibile? Le variazioni stagionali delle precipitazioni, la necessità di lasciare sempre una portata minima nei
corsi d’acqua perficiali (SQA), (deflusso minimo la qualità delle vitale), l’impossiacque correnti bilità di utilizzare per quanto risempre, comunguarda le comque e dovunque ponenti chimico l’acqua presente fisiche (LIMe(si pensi alle co), lo stato troinondazioni, nufico delle acque bifragi, periodi lacustri (LTLesiccitosi gravi co), la qualità etc.), la mancandella struttura e za di caratteristidel funzionache di qualità mento degli ecoadeguate agli usi, sistemi acquatici fa sì che la quan(Stato Ecologitità utilizzata amco) ed infine lo Acque di torrente appenninico. Foto Giovanni Scarano monti a circa 40 stato chimico 10 9 m 3 /anno di delle acque sot9 3 acque superficiali e 12 10 m /anno di quelle sotterterranee (SCAS). ranee (in massima parte per l’uso potabile), per un Questi indicatori ci dicono che: totale di 52 109 m3/anno (≈ 860 m3/ab/anno), circa il - SQA: sono in uno stato chimico “buono” 1806 30% dei deflussi totali, dato apparentemente tran(86%) fiumi (dati riferiti a 17 regioni e due quillizzante ma in realtà allarmante perché, tenendo province autonome), e 26.998 (84%) km di conto dei predetti vincoli, la risorsa ancora teoricaaste fluviali, su un totale di 2088 fiumi e mente fruibile è meno del 20% della rinnovabile. 32.182 km di aste. Per quanto riguarda i 133 La distinzione tra risorsa disponibile e risorsa fruibilaghi, compresi in 10 regioni e le due province le è pertanto decisiva. autonome, lo stato chimico risulta “buono” per Da ribadire che la disponibilità, e quindi anche la 108 di essi (81%). fruibilità, di risorsa è un dato variabile sia nel tempo - LIMeco: su 2714 fiumi appartenenti a 16 regioni (stagioni, eventi meteorologici più o meno intensi e/o e alle due province autonome, per quanto riravvicinati) che nello spazio (macro regioni, regioni, guarda le componenti chimico fisiche, 1.479 province). Una scala spazio-temporale non appro(54%) sono in uno stato “elevato” e 478 (18%) priata al tipo di situazioni che si vogliono studiare o in uno stato “buono”, mentre in riferimento ai gestire rischia di far commettere errori grossolani. km di asta fluviale, su 33.496 km totali, Occorre che la risorsa venga gestita per fare sì che il 14.105 (42%) sono in uno stato “elevato”, e rapporto F/D, che una variabile spazio-temporale, si 7050.7 (21%) in uno stato “buono”. avvicini il più possibile all’unità nell’intero arco del- LTLeco: su 155 laghi appartenenti a 10 regioni e l’anno e su tutto il territorio nazionale. alle due province autonome, 10 (6%) sono in uno stato trofico elevato, 52 (34%) in uno staQualità1 to trofico “buono”. Disponibilità D e Fruibilità F sono parametri quanti- SE: i dati relativi allo stato ecologico dei fiumi tativi. Uno dei motivi per cui è praticamente sempre (2.439) e dei laghi (139), sono riportati nella F<D risiede nel fatto che la risorsa può essere inquitabella seguente nata da agenti patogeni, metalli, molecole organiche Infine lo SCAS mostra che nel 2013, 2784 (69,2%) ed inorganiche etc. che la rendono inutilizzabile. delle 4.023 stazioni di monitoraggio (appartenenti a Purtroppo è scontato che, in termini di macroscala, 14 regioni e 2 PA) evidenziano un “buono” stato, non sarà più possibile tornare ad avere F=D: un inmentre il restante 30,8% in classe “scarso”. quinamento residuo è destinato a rimanere. Il panorama precedentemente descritto non è molto In Italia la qualità delle acque interne viene rappreconfortante né per la situazione dei fiumi, né tantosentata da “indicatori” definiti sulla base dei dettami meno per quella dei laghi. L’indice dello stato ecolodelle normative europee. gico, il più significativo, mostra una situazione al liAlcuni di essi sono: lo stato chimico delle acque sumite del preoccupante per i fiumi e decisamente preg Stato Ecologico FIUMI 16 reg.+2PA LAGHI 10 reg.+2PA 1
Elevato
Buono
Sufficiente
Scarso
Pessimo
Elevato
Buono
Sufficiente
Scarso
Pessimo
282 (12%) 4 (3%)
864 (35%) 44 (32%)
n 736 (30%) 81 (58%)
430 (18%) 8 (6%)
127 (5%) 2 (1%)
2578 (7%)
11457 (33%)
km 11652 (33%)
7286 (21%)
2161 (6%)
N.D.
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I dati del presente paragrafo sono stati desunti dall’”Annuario dei Dati Ambientali 2015” dell’ISPRA
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caria per i laghi. conflitti sociali ed economiSe a ciò si aggiunge ci che esulano dalla presenche il panorama non è te trattazione). completo e le diverse Gli scenari sono oggi draregioni mancanti non sticamente mutati a causa di sempre sono le più due fattori concomitanti e virtuose… lo scenario sinergici: l’esplosione denon è certo entusiamografica (siamo 7,37 smante. MLD di persone) e l’auVa da sé che tutto l’inmentata necessità pro capiquinamento, alto o te di acqua. Il fabbisogno basso che sia, è di oritotale si è amplificato a disgine antropica e che Cascate nel parco Naturale dei laghi di Plitvice, Croazia. Foto Giomisura, a fronte di una stespraticamente mai le vanni Scarano sa disponibilità. acque superficiali, anAd aggravare il quadro è che quelle appartenenti alle classi di qualità più eleche l’accresciuto fabbisogno ha aumentato la presvata, possono essere utilizzate senza trattamenti. sione sull’ambiente in termini di inquinamento (usare = inquinare) per cui la forbice tra disponibilità e Valore o prezzo fruibilità si è fortemente divaricata: in molte zone si Il quesito, lungi dall’essere puramente semantico, è è giunti alla “scarsità” di risorsa (fruibilità minore di fondo perché discende dal fatto se considerare del fabbisogno). l’acqua una risorsa indispensabile alla sopravvivenza � quindi diventata una materia prima strategica, indell’uomo o una merce al pari di tante altre. dispensabile per poter sostenere il modello di vita e Nel primo caso si parlerebbe di “valore” (inestimabidi sviluppo su cui ci si è attestati o verso cui si tende; le), nel secondo di prezzo (da fissare in base a paraha raggiunto un valore economico e va pertanto gemetri socioeconomici). stita tenendo anche conto delle regole dell’economia, Se la scelta potesse essere fatta in assenza di vincoli, ma riconoscendo comunque che essa costituisce un la soluzione sarebbe immediata: l’acqua non ha prezbene indispensabile alla sopravvivenza. zo e deve essere disponibile e fruibile liberamente da In Italia, ancora oggi, l’acqua come tale è gratuita: tutti a costo zero. perché allora paghiamo la bolletta? In realtà non si paga l’acqua, ma i servizi necessari a I vari “cicli” di utilizzazione delle renderla fruibile: le opere di captazione, invasamento, distribuzione (acquedotti e reti idriche), raccolta acque sono tra loro concorrenziali sia (fognature e collettori), trattamenti vari tra i quali la per quanto riguarda l’aspetto potabilizzazione, la depurazione, la restituzione alquantitativo che qualitativo. Ad l’ambiente (scarichi): ognuno di questi passi è costoesempio, in estate il settore agricolo ha so e tecnologicamente impegnativo.
grande bisogno di acqua e tenta di sottrarla a quello energetico: occorre una regia che contemperi le esigenze dei vari utilizzatori
Non è certo un caso che grandi civiltà (egiziana, cinese, mesopotamica, romana, maya) abbiano avuto inizio in zone ricche di acqua, né che i villaggi divenuti poi metropoli giacciano sulla sponda di corsi d’acqua dolce: Il Cairo, Roma, Londra, Lima, New York, Mosca etc. Ed infatti, fino a circa due secoli fa, quando l’umanità non arrivava al miliardo di persone (978 ML), con fabbisogni limitati agli usi domestici (bere, cucinare, igiene personale etc.), all’irrigazione e all’allevamento, la situazione era più o meno la seguente: chi aveva bisogno di acqua la prelevava liberamente o dal fiume, o dal lago o dal sottosuolo: la disponibilità praticamente coincideva con la fruibilità (al netto di
Analisi del problema I vari “cicli” di utilizzazione delle acque sono tra loro concorrenziali sia per quanto riguarda l’aspetto quantitativo che qualitativo. Ad esempio, in estate il settore agricolo ha grande bisogno di acqua e tenta di sottrarla a quello energetico: occorre una regia che contemperi le esigenze dei vari utilizzatori. L’importanza dell’acqua nella salvaguardia della qualità ambientale e degli ecosistemi naturali è cosa ovvia. C’è però un’inevitabile conflittualità tra l’approvvigionamento e l’uso dell’acqua e la necessità di mantenere la qualità e la quantità dei flussi e dei cicli di cui abbisognano gli ecosistemi naturali. Nonostante il settore civile (tab. 3) sia quello che ha il minor consumo di acqua, concentra su di sé la maggior parte delle energie, risorse ed attenzioni dell’opinione pubblica e degli interessi politici e finanziari. Ma questa è un’altra storia…
Consumi suddivisi persuddivisi settori per settori Tabellaidrici 3: Consumi idrici
109 m3/anno % sul totale
Civile 9,9 19
Agrozootecnico 25,5 49
Industria 10.9 21
Energetico 5.7 11
Tot 52 100
Musica e acqua Tra scienza, leggenda e magia Luca Aversano I rapporti tra la musica e l’acqua sono antichissimi, per molti aspetti leggendari. Sul piano storico e scientifico un legame organologico è attestato dall’invenzione di uno strumento dotato di un meccanismo idraulico. Nel III secolo a.C., in Alessandria d’Egitto, lo scienziato e ingegnere Ctesibio proLuca Aversano gettò infatti l’organo ad acqua, che ebbe molto successo nella Roma imperiale, a Bisanzio e poi nel mondo islamico. Questo tipo di organo, il primo strumento musicale a tastiera, predecessore del moderno organo a canne, emetteva i suoni per mezzo dell’aria prodotta da un salto d’acqua che azionava un mantice. Tra il 1567 e il 1569 a Villa d’Este due fontanieri francesi, Luc le Clerc e suo nipote Claude Venard, progettarono e costruirono un originale e rivoluzionario organo idraulico automatico, che stupì le corti d’Italia e d’Europa. Il macchinario produceva il suono grazie a un complesso ed efficace sistema idraulico non più basato sulla pressione dell’acqua in un recipiente pieno d’aria. Un flusso d’acqua raggiungeva il terrazzo della fontana e veniva introdotto in un bottino rettangolare, in cui si verificavano forti vortici. Questi catturavano aria in continuazione, miscelandola all’acqua: un’emulsione che discendeva in un tubo verticale e raggiungeva un vano stagno. In questo ambiente, detto camera del vento, l’acqua frangeva su una lastra in pietra, liberando l’aria che saliva nella parte alta del
Nel III secolo a.C., in Alessandria d’Egitto, lo scienziato e ingegnere Ctesibio progettò l’organo ad acqua, che ebbe molto successo nella Roma imperiale, a Bisanzio e poi nel mondo islamico. Questo tipo di organo, il primo strumento musicale a tastiera, predecessore del moderno organo a canne, emetteva i suoni per mezzo dell’aria prodotta da un salto d’acqua che azionava un mantice vano e, tramite una tubazione, era convogliata verso lo strumento. Una ruota idraulica imprimeva il movi-
mento a un rullo fornito di denti che, come nei carillons, consentiva l’apertura e la chiusura delle valvole delle canne dell’organo. Il macchinario, praticamente immerso nell’acqua, si deteriorò rapidamente. Nel Seicento fu costruito un altro organo che riceveva l’aria dalla stessa camera eolia, ma era collocato all’esterno, quindi in migliori condizioni ambientali. Sia la prima versione dell’organo che la seconda furono rapidamente copiate e costruite in altri parchi: a Firenze, a Ferrara e, più tardi, al Quirinale a Villa Aldobrandini e a Villa Pamphili. Purtroppo, gli organi installati nelle ville italiane sono stati distrutti dal tempo e dall’incuria. È sopravvissuto solo quello del Quirinale, più volte restaurato e rimaneggiato, fino al recente ripristino di tutto il meccanismo operato negli anni Novanta del secolo scorso. La natura dell’organo idraulico, pur basata su solidi princìpi scientifici, esemplifica per molti versi il sostrato mitico, quasi magico, che regola il rapporto tra musica e acqua. Le funzioni dello strumento, anticamente, non erano tanto quelle di eseguire brani musicali, quanto di rievocare suoni particolari, come il canto degli uccelli, o comunque fonemi provenienti da una dimensione altra rispetto alla realtà umana (aspetto fondante, d’altra parte, dell’essenza stessa di tutta la musica). Sul duplice binario del segreto costruttivo e della rivelazione del mistico, l’organo idraulico viaggia attraverso i secoli fino al tardo Rinascimento e al primo Barocco, epoca in cui torna in grande auge proprio per la sua affinità con il senso del meraviglioso, evidentemente potenziato in nuove, straordinarie e più efficaci architetture. Incanto, mistero, magia, rivelazione: sono elementi che sostanziano anche i miti della musica in relazione con le acque, in particolare le leggende fiorite intorno alle ninfe acquatiche, profondamente legate alla dimensione musicale, il cui archetipo risale al mito antichissimo delle sirene, misteriose creature dal volto umano e dal corpo d’uccello. Il primo a farne menzione fu Omero intorno all’VIII–VII secolo a.C., nel XII libro dell’Odissea: Alle Sirene prima verrai, che gli uomini stregano tutti, chi le avvicina. Chi ignaro approda e ascolta la voce delle Sirene, mai più la sposa e i piccoli figli, tornato a casa, festosi l’attorniano, ma le Sirene col canto armonioso lo stregano, sedute sul prato: pullula in giro la riva di scheletri umani marcenti; sull’ossa le carni si disfano. (vv. 39–46, trad. R. Calzecchi Onesti, Torino, Einaudi Tascabili, 1989)
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Růžena Maturová la "prima" Rusalka
Omero offre scarse notizie su questi esseri: vivono su un’isola e ammaliano pericolosamente gli uomini con il loro canto, che ha il potere di far dimenticare ogni cosa e di provocare la morte. Nel III secolo a.C. le Argonautiche di Apollonio Rodio forniscono invece una descrizione fisica delle sirene e un’indicazione sulla loro nascita. Nel IV libro Giasone, rubato il vello d’oro, fugge con gli Argonauti, che nel loro lungo viaggio di ritorno in Tessaglia si trovano a dover affrontare il temibile canto delle sirene, creature per metà uccelli e per metà giovani donne. Figlie di Acheloo (la maggiore divinità fluviale greca, figlio di Oceano e di Teti) e della musa Tersicore, le sirene erano ancelle di Demetra, ma furono poi mutate in esseri mostruosi. Il testo lascia dunque intendere che, un tempo, esse non fossero dotate di ali: erano ninfe che assunsero in un secondo momento l’aspetto mostruoso di donne-uccello, simile a quello delle arpìe. Sul perché di questa trasformazione esistono numerose versioni, così come esistono numerose versioni del mito, su cui non c’è modo qui di soffermarsi. Basti dire che, nella tradizione figurativa classica, le sirene non erano associate a un’ideale di magica bellezza: non incantavano i marinai con il loro aspetto (al contrario spesso deforme), ma esclusivamente attraverso il canto, un canto che porta al naufragio e alla morte. L’idea di sirena come viene intesa oggi, una donna bellissima il cui corpo termina con una coda di pesce, si afferma soltanto nel Medioevo. La prima attestazione letteraria della Sirena come donna-pesce di affascinante aspetto è nel Liber monstrorum de diversis generibus, un trattato che la critica colloca intorno all’VIII-IX secolo d.C., proveniente dall’Inghilterra anglosassone. Le ragioni del mutamento iconografico ancora oggi non sono chiare. Fatto sta che, dopo un periodo di convivenza, avrà il soprav-
vento in tutta Europa l’immagine della sirena come donna-pesce, dando origine a nuovi miti e leggende. Una di queste creature marine è Melusina, donnaserpente, creatrice di regni e castelli, comparsa dalle onde per ammaliare i mortali e nominata per la prima volta da Jean d’Arras nel suo Roman de Mélusine. Nelle diverse opere dedicate alla mitica creatura, colpisce il forte legame che s’istaura tra l’acqua e le protagoniste, quasi a sottolineare la natura marina di queste creature. Generalmente l’incontro tra l’uomo e la fata avviene vicino a un fiume, al mare, a un lago. Spesso, a conclusione della leggenda, la fata sparisce gettandosi nell’acqua. Il divieto, poi, è quasi sempre quello di non guardare la sposa mentre fa il bagno. Ed è in bagno, grazie al contatto con l’acqua, che avviene la trasformazione fisica della donna in serpente volante o acquatico. La fortuna di Melusina, proseguì fino ai primi dell’Ottocento, soprattutto in Germania (si vedano, tra gli altri, Die schöne Melusine di Tieck, 1800; Die neue Melusine di Goethe, 1807). D’altro canto, una figura così misteriosa e tragica ben s’attagliava al sentire romantico, sia pure con una significativa variante: caduta definitivamente la coda di serpente, la ninfa diviene a tutti gli effetti una creatura delle acque, apparentata con le antiche sirene. Anche i fratelli Grimm, nel primo volume della famosa raccolta di fiabe della tradizione popolare germanica (Kinder und Hausmaerchen, 1812), riprendono la figura della ninfa acquatica in due racconti (L’ondina e L’ondina della pescaia), in cui l’ondina appare come una don-
Le funzioni dell’organo idraulico, anticamente, non erano tanto quelle di eseguire brani musicali, quanto di rievocare suoni particolari, come il canto degli uccelli, o comunque fonemi provenienti da una dimensione altra rispetto alla realtà umana na vendicativa e crudele, che attira a sé e rapisce chiunque si avvicini all’acqua dove dimora. Parallelamente, ancora in Germania, Friedrich de la Motte Fouqué pubblica un romanzo di grande successo intitolato Undine (1811), che istituisce il nuovo, definitivo modello di ondina: la creatura misteriosa simile alle sirene greche non sarà più la crudele figura descritta dai Grimm, ma una ninfa generosa e ingenua. In un paesaggio fantastico, popolato di creature sovrannaturali, tra il reale e l’onirico, il magico e il meraviglioso, l’ondina di Fouqué, d’incantevole e dolcissimo aspetto, desidera l’amore, disperatamente in cerca di una vita umana e di un’anima, altrimenti precluse dalla sua condizione di ninfa. Tematiche affini sono riprese pochi anni dopo in una fiaba altrettanto celebre, La sirenetta di Hans Christian Andersen (1837), che racconta l’amore infelice di una quindicenne sirena per un giovane principe. La cultura romantica è d’altronde affollata di sirene, non solo
in ambito tedesco (cfr. anche la Loreley di Heine), e non solo in ambito letterario. Come è lecito aspettarsi, la storia della musica dell’Ottocento offre numerosi modelli di Loreley, ondine, sirene e Rusalke. “Rusalka” è la corrispondente denominazione slava dell’ondina: spirito di acque, laghi e fiumi oggetto di attenzione da parte di grandi maestri della letteratura e della musica. Se Puškin, in Russia, le dedicò prima una poesia (1819), quindi un poema rimasto incompiuto (1832) e pubblicato postumo (1837), in campo musicale la Rusalka più riuscita nuota senz’altro in acque boeme. Nel 1901, al Teatro Nazionale di Praga, si rappresentò per la prima volta l’opera in tre atti Rusalka, composta da Antonín Dvor �ák su libretto di Jaroslav Kvapil. La storia, basata in parte sulla Undine di de la Motte Fouqué e sulla Sirenetta di Andersen, racconta di una ninfa dei laghi e dei fiumi, figlia
Nel 1811 in Germania Friedrich de la Motte Fouqué pubblica un romanzo di grande successo intitolato Undine che istituisce il nuovo, definitivo modello di ondina: la creatura misteriosa simile alle sirene greche non sarà più la crudele figura descritta dai Grimm, ma una ninfa generosa e ingenua dello Spirito delle acque, che confessa il suo amore per un essere umano, un principe, e la sua volontà di assumere le sembianze di donna per sposare l’amato. Il padre, dopo aver tentato invano di dissuaderla, svela a Rusalka che per raggiungere il principe deve rivolgersi alla strega Jezibaba. Giunta alla capanna della strega, Rusalka ne ottiene l’aiuto in cambio del suo vestito trasparente di ondina. Tuttavia il patto prevede che, una volta assunte le sembianze umane, Rusalka perderà la voce e che, in caso di tradimento da parte del principe, sarà condannata a vagare in solitudine negli abissi per l’eternità. Compiuto l’incantesimo, la muta Rusalka riesce ad ammaliare il principe con la sua bellezza. Tuttavia, la precedente fidanzata del principe, una duchessa di natura molto passionale (dunque opposta alla bellezza eterea della ninfa), ingelosita, decide di riconquistarlo, approfittando della temporanea assenza di Rusalka, impegnata nei preparativi per le nozze. Durante la festa a palazzo, lo Spirito delle acque, avvertito l’imminente pericolo per la figlia, emerge da una fontana per avvisarla. Alla notizia del tradimento del principe Rusalka riacquista la sua voce e maledice la specie umana e se stessa per non aver ascoltato i consigli del padre. Dopo il duetto d’amore tra il principe e la duchessa, nel disperato tentativo di riprendersi l’amato la ninfa si getta tra le braccia del giovane, che la respinge: Rusalka viene trascinata negli abissi, mentre il principe chiede aiuto alla duchessa, che invece lo abbandona. Condannata a errare in solitudine per l’eternità, Rusalka chiede alla strega di conceder-
le un’altra possibilità. L’unico modo per liberarsi dalla maledizione è quello di uccidere il principe con un coltello, ma Rusalka rifiuta l’offerta e scompare tra le onde. Il principe, affetto da una misteriosa malattia e ormai distrutto dalle pene d’amore, giunge sulle sponde del lago per chiedere perdono alla giovane ninfa. Qui appare Rusalka, che lo perdona, ma al tentativo da parte del principe di baciarla, lo avverte che il suo bacio sarà mortale. Il principe, pur di
Nel 1901, al Teatro Nazionale di Praga, si rappresentò per la prima volta l’opera in tre atti Rusalka, composta da Antonín Dvor �ák su libretto di Jaroslav Kvapil. La storia, basata in parte sulla Undine di de la Motte Fouqué e sulla Sirenetta di Andersen, racconta di una ninfa dei laghi e dei fiumi, figlia dello Spirito delle acque, che confessa il suo amore per un essere umano, un principe baciare l’amata, accetta il suo destino per morire in pace tra le sue braccia. Curiosamente, quasi a chiudere il cerchio di questo breve excursus, scienza, leggenda e magia si fondono nel mito musicale e acquatico dell’ondina. La fonte principale del racconto di de la Motte Fouqué (alla base non solo della Rusalka di Dvor �ák, ma di tante altre realizzazioni musicali) è infatti, per dichiarazione dello stesso Fouqué, il Liber de nymphis, sylphis, pygmaeis et salamandris et de ceteris spiritibus di Paracelso. Paracelso, nell’esaminare gli esseri che vivono nei quattro elementi (acqua, aria, terra, fuoco), cita tra quelli dell’acqua anche Melusina, definendola una ninfa posseduta da uno spirito maligno, che conosce la stregoneria e stringe un patto con il diavolo per avere l’uomo che ama. Aggiunge poi che le ondine, quali creature che vivono nell’acqua, nei torrenti o nei fiumi, sono prive di anima; ma quando si sposano a un uomo ne ricevono una in dono e possono godere della vita eterna. Esse possono dunque arrivare ad avere un’anima grazie all’unione con un mortale. Ciò le conduce però a soffrire tutte le pene che questo comporta: Dev’essere qualcosa di dolce, ma anche qualcosa di terribile, un’anima. (…) Deve pesare molto, un’anima, - riprese non avendo ricevuto risposta, - molto! Perché soltanto a sentirla avvicinarsi mi invade un’ansia, una confusa tristezza. Ed io, ah!, ero sempre così leggera, prima, così leggera e allegra!... (F. de la Motte Fouqué, Undine, Torino, Einaudi, 1975, trad. Lelio Cremonte, pp. 44-45). Il potere del canto e della musica, in tal senso, acquista la luce della consolazione.
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Natura e sentimento L’acqua è l’impronta del tempo, un sogno della trasformazione Raffaele Milani «L’immaginazione materiale unisce l’acqua alla terra; unisce l’acqua al suo contrario, il fuoco; talvolta scorge fra vapore e bruma l’unione fra aria e acqua». Gaston Bachelard Psicanalsi delle acque
Raffaele Milani
Seduti in riva al mare, o in piedi in cima a una montagna, ammiriamo la varia bellezza del luogo in cui ci troviamo. Ci sentiamo come in un quadro di Friedrich o di Turner. Ci stringe la commozione, un particolare sentire in un atto di partecipazione a ciò che vediamo: assistiamo al moto delle onde e delle nuvole, allo spettacolo delle forme, all’agitarsi dei colori e delle luci che la natura organizza attorno a noi grazie alla nostra mirata attenzione. Il cielo e il mare si fondono, insieme alla terra, con il nostro stato d’animo e con l’universo dei sensi. Ci accorgiamo che tutti gli elementi si uniscono in una grandiosa danza cosmica. Superiamo così la soglia dell’osservare per inoltrarci in un guardare che apre a una scoperta, improvvisa o graduale. Tutti gli elementi, la pietra, l’acqua, la sabbia sembrano scomporsi e dissolversi in una pioggia d’energia, in una polvere di tonalità cromatiche. Ci sentiamo trascinati in un moto di viva appartenenza al mondo stesso nella sua totalità, come in anticipo rispetto ai processi creativi della rappresentazione pittorica, letteraria, fotografica. La prima rappresentazione è mentale. Siamo presi dalla percezione e dall’incanto, in una sorta di rivelazione della bellezza che ci attornia: l’albero, il fiore, la valle, la montagna, i campi, il cielo, tutto ciò che compone il paesaggio alla nostra vista, diventa vicino, afferrabile, vissuto nella grazia di una condizione estatica. Tutto ciò che è percepibile diventa una presenza che si rende via via impercettibile, silenziosa. Uno sguardo, pervaso da magico smarrimento, accomuna tutta l’umanità. Il vedere, in questa condizione, si sovrappone all’immaginare, al sognare ciò che avevamo pensato di trovare. Una volta che procediamo oltre l’osservare, oltre i dettagli di una descrizione minuziosa, ci raccogliamo in una meditazione solitaria, tutta personale e intoccabile, in un guardare che supera il guardare stesso. Traduciamo l’atto della visione in un rito del tempo e dello spazio, in un raccoglimento tutto pri-
vato dei sensi e della mente, per concentrarci sull’immagine che vogliamo custodire, che giudichiamo assolutamente nostra. Tutto ciò implica un trascendere dalle forme, un uscire da sé, un contemplare appunto. Contemplare la distesa dei campi, l’ordine delle siepi e degli alberi, l’orlo dei boschi, il folto delle foreste, la superficie delle acque chiare significa assegnare alla bellezza della natura, quella spontanea o prodotta dal lavoro dell’uomo, un valore estetico. Sentiamo che lo sguardo vive nello specchio d’un lago e “respira” dell’aura delle montagne (nella loro vastità) come della vista di un piccolo ramo che ci ripara dal sole e che, mosso dal vento, sembra graffiare il cielo.
Seduti in riva al mare, o in piedi in cima a una montagna, ammiriamo la varia bellezza del luogo in cui ci troviamo. Ci sentiamo come in un quadro di Friedrich o di Turner. Il cielo e il mare si fondono, insieme alla terra, con il nostro stato d’animo e con l’universo dei sensi. Ci accorgiamo che tutti gli elementi si uniscono in una grandiosa danza cosmica. Superiamo così la soglia dell’osservare per inoltrarci in un guardare che apre a una scoperta Tutto fluttua in un continuo gioco di impressioni, sensazioni, commozioni, favorendo un felice scambio tra elementi fisici e trascendenti, tra la materialità dei paesaggi dinanzi a noi e l’evanescenza insondabile delle loro forme. Nei confronti della violenza di un universo fabbricatore d’infiniti oggetti tutti uguali il paesaggio può diventare un rifugio per ristabilire un antico rapporto tra uomo e natura. Un’occasione per riafferrare un vincolo originario, carico di miti e di simboli, nel solco di un percorso poietico, inseguendo una relazione di congruità tra l’architettura e la natura, tra l’edificare e il rispettare la terra. Ma gli elementi, l’acqua, la terra, l’aria, il fuoco, sono sempre pronti a generare terrore per cui tutte le forze appaiono in un equilibrio precario e instabile. Il senso dell’avventura affronta questo campo della vita e formula ideali, dalla meraviglia al suo contrario. Lo stupore ama trasformarsi, in alcuni casi, in terrore. Il cosmo, l’ordine del mondo nella sua totalità, ha valenze simboliche, immagini mitiche, religiose e artistiche. L’acqua, presso tante credenze antiche e orientali, viene associata per la sua trasparenza al-
Samuel Palmer, Classical River Scene (1878)
l’inverno e al colore bianco: ecco, dinanzi a noi, la visione del mare, del lago, del fiume, del ruscello, dello stagno, della pozza, della fonte. L’acqua dilaga (ovunque) con impeto o con lentezza, con vibrazioni, allargamenti, effervescenze. Una musica di onde, getti, schizzi, spruzzi, gorghi, zampilli, mulinelli, spume, fontane, cascate, che genera iridescenze cromatiche. È l’impronta del tempo, un sogno della trasformazione. Rispetto all’acqua, fonte di vita, l’aria e il cielo ci appaiono qualcosa di assolutamente leggero, impalpabile. Il cielo, composto da umidità e calore, si sposa alla terra e per le sue nozze fertili l’aria viene associata alla primavera. Tutto, in questa visione, sboccia; è un felice fiorire. Guardare l’azzurro del cielo nella sua purezza, diceva Ruskin, (J. Ruskin, Pittori moderni, a cura di G. Leoni e A. Guazzi, Torino, Einaudi, 1998, Vol I, 92-95.), fa scoprire varietà e pienezza. Non c’è mai un colore piatto, ma una trasparenza che vibra di intensità profonde; poiché l’aria è composta da sottili sipari che attraversiamo in un universo diafano, fantasmi tra fantasmi. All’aria ci abbandoniamo volentieri senza resistere, protetti sotto la volta del cielo. La terra invece appare, in molte tradizioni, un tempio, sede dell’abitare e materia della creazione stessa dell’uomo, per l’impressione di saldezza e stabilità che emana, tanto da far pensare a un’immensa archi-
L’acqua, presso tante credenze antiche e orientali, viene associata per la sua trasparenza all’inverno e al colore bianco: ecco, dinanzi a noi, la visione del mare, del lago, del fiume, del ruscello, dello stagno, della pozza, della fonte. L’acqua dilaga (ovunque) con impeto o con lentezza, con vibrazioni, allargamenti, effervescenze. Una musica di onde. È l’impronta del tempo, un sogno della trasformazione tettura o scultura. È sacra per la sua fertilità e per lo splendore delle cose. Abitiamo e coltiviamo la terra da sempre.
Abbiamo parlato della meraviglia che ci sorprende quando, assorti nel guardare, scivoliamo in un’assenza di pensiero piena di bellezza, in un silenzio nel quale noi stessi ci sentiamo d’essere la luce del sole, il respiro dell’aria, il moto del mare, il vibrare delle stelle. In quei momenti potremmo dire anche noi, seguendo un’eco antica, che “tutto è santo”, che un’aura accompagna l’alternarsi del giorno e della notte, delle stagioni, delle ore favorendo la natura e tutte le sue creature. Wordsworth ha spiegato la condizione estatica dello sguardo: «Spesso in quei momenti una calma così santa / pervadeva la mia anima che dimenticavo/ di avere occhi corporei e quel che vedevo / sembrava qualcosa dentro me, un sogno/ un paesaggio della mente” (William Wordsworth, Il Preludio, a cura di M. Bacigalupo, Mondadori, Milano 1990, 91). In questa condizione, realtà e immaginazione si fondono, siamo colpiti felicemente dalla luce di un occhio interiore. Chi ama il paesaggio, desidera il silenzio, perché, in quel particolare momento dello sguardo sospeso nel
Wordsworth ha spiegato la condizione estatica dello sguardo: «Spesso in quei momenti una calma così santa / pervadeva la mia anima che dimenticavo/ di avere occhi corporei e quel che vedevo / sembrava qualcosa dentro me, un sogno/ un paesaggio della mente” In questa condizione, realtà e immaginazione si fondono, siamo colpiti felicemente dalla luce di un occhio interiore mondo, solo la natura gli parla, con le sue forme, in un emergere graduale o improvviso di gridi e fruscii. Il silenzio si ammira, infatti, proprio tra le lacerazioni piccole o grandi del vuoto sonoro, come i colori e i segni su di un foglio bianco. È nella contemplazione, vale a dire in un’attesa “estatica”, che possiamo notare il diletto e il brivido di una percezione totalizzante dei sensi. Per capire questo stato della mente cerchiamo di incrociare alcune riflessioni sul luogo, sugli elementi, sulla visione. Abbiamo luoghi della vista, della memoria, degli affetti. Quando vogliamo descrivere un paesaggio, raccontiamo soprattutto come esso è, favorendo la nascita di un narrazione interiore. Solamente in tal modo comprendiamo anche cosa esso sia, ne offriamo cioè un’idea, perché il paesaggio è, alla luce di un principio unificatore, tutti i paesaggi. Troviamo, nella nostra coscienza, dopo l’enumerazione dei particolari che lo compongono e la lista di tanti paesaggi possibili, quel qualcosa che, in sostanza, lo configura come totalità, che lo identifica, lo rappresenta, lo avvolge secondo un flusso ininterrotto di dati e di emozioni. Più della somma delle parti, dei singoli frammenti dispersi nel nostro sguardo, il paesaggio è lungo il tempo di una percezione che via via si accresce,
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anima di un’infinita e magica concatenazione delle forme. Il paesaggio in tal modo si fa natura. La sua idea si sviluppa nella storia, nella cultura, ma anche nel singolo individuo, attraverso effetti di tempo e di spazio uniti nel ritmo delle linee e delle superfici che l’uomo sa comporre come per istinto. Contemplare i luoghi è proprio l’atto del vedere e del sentire, dell’ideare e del percepire la natura che si mostra a noi in vari dettagli per ricomporsi poi in un unico mosaico di sparse identità. Come l’acqua, la natura possiede il carattere di un’inarrestabile rêverie mutevole e fluida, a seconda del punto d’osservazione. Mentre il paesaggio, potremmo dire con George Simmel (Filo- J. More, Cascate di Tivoli sofia del paesaggio, in Studi sul paesaggio, a cura di M. Sassatelli, Armando, Roma 2006, pp.5369), ha bisogno di una certa percezione dei confini, è rilievo individuale e caratteristico, la natura appare concetto complesso che fonde il trascendente, oltre i limiti di ogni conoscenza sensibile, e l’immanente, ciò che inerisce alla sostanza. La natura è unità di una totalità. La natura può però trasferirsi in un ideale che assorbe i dati dell’infinità e della compiutezza. Ciò è chiaro quando appunto essa si fa paesaggio a chi contempla, quando le cose appaiono all’uomo senza uno scopo pratico, quando tutto ciò che è piccolo o sovrumano, che riusciamo a distinguere o che rimane sullo sfondo, viene percepito solamente per la bellezza compositiva delle forme. Come coglie l’uomo il rapporto tra natura e paesaggio? Con stupore, ci dice Heidegger a metà degli anni Trenta (M. Heidegger, trad.it. Ugo Maria Ugazio, Domande fondamentali della filosofia. Selezione di “problemi” della “logica”, Milano, Mursia 1990). È con questo atteggiamento che l’uomo contempla il mondo quando si pone fuori dell’ordinario e dell’abituale, in silenzio per quel senso di raccoglimento che la meraviglia favorisce. Soltanto così il paesaggio, cioè la natura calata nei particolari, infine si dischiude. La nostra commozione si spinge oltre l’osservare e il guardare, nel trarre fuori l’immagine che quel luogo custodisce.
Improvvisamente una sagoma, una forma emerge dai fantasmi dei dati oggettivi. L’articolazione di forme che ne scaturisce è una continua narrazione da cogliere e comunicare. Per questo motivo, restiamo incantati a guardare la natura, perché seguiamo un racconto senza fine come quando, bambini, ascoltavamo delle storie e le volevamo lunghissime stremando i nostri genitori che ce le narravano. Ora siamo noi ad essere, al contempo, narratori e uditori. Il tempo della realtà incontra il tempo del sogno. Lo sguardo è la nostra guida. Chi passeggia solitario nel piacere della contemplazione si ritrova protagonista di una visione assoluta, come ci insegna Rousseau. Nella Settima passeggiata [J.J.Rousseau, Le passeggiate del sognatore solitario, a cura di B. Sebaste, Feltrinelli, Milano
Abbiamo luoghi della vista, della memoria, degli affetti. Quando vogliamo descrivere un paesaggio, raccontiamo soprattutto come esso è, favorendo la nascita di un narrazione interiore. Solamente in tal modo comprendiamo anche cosa esso sia, ne offriamo cioè un’idea, perché il paesaggio è, alla luce di un principio unificatore, tutti i paesaggi 1996, 97-98] si legge: «Un contemplatore ha l’anima tanto più sensibile quanto più si abbandona all’estasi che quell’armonia eccita in lui. Una fantasticheria dolce e profonda si impadronisce allora dei sensi, ed egli si smarrisce con una deliziosa ebbrezza nell’immensità di questo bel sistema con il quale si sente immedesimato. Allora gli oggetti particolari gli sfuggono; non vede e non sente che il tutto».
«Utile e umile e preziosa e casta» Il rapporto fra acqua e religioni Roberto Cipriani Il rapporto tra acqua e religione è antico e si svolge lungo percorsi che appaiono caratteristici per ogni espressione religiosa. Si potrebbe giungere a dire che acqua e religione siano quasi sinonimi: entrambe provengono dal cielo e l’una e l’altra hanno a che vedere con il tempo (misurato anticamente Roberto Cipriani con la clessidra, κλεψύδρα ovvero κλέπτω, chiudo, e ‘ύδωρ, acqua, che scendeva lentamente attraverso una piccola apertura, segnando il tempo di parola concesso a un oratore; analogamente anche la religione contempla di fatto un limite di tempo, quello per la durata della vita). Inoltre la richiesta di acqua rivolta a qualcuno è, secondo lo storico greco Erodoto, un segno manifesto di sottomissione al destinatario della domanda, parimente la religione comporta un rapporto di soggezione alla divinità. Francesco d’Assisi scriveva «Laudato si, mi Signore, per sor Aqua, la quale è molto utile e umile e preziosa e casta», sottolineando il forte legame fra l’acqua e il Creatore del mondo. Infine come l’acqua va verso il mare così l’anima religiosa anela al suo Dio (Salmi 42, 2-3) e come l’acqua è necessaria per la sopravvivenza così la religione assicura un’esistenza al di là del ciclo terreno. Non è un caso che l’enciclica di papa Francesco dal titolo Laudato si’ parta proprio dall’acqua come bene universale e diritto irrinunciabile, di cui si parla dal punto n. 27 al punto n. 31, sostenendo che «l’acqua potabile e pulita rappresenta una questione di primaria importanza, perché è indispensabile per la vita umana e per sostenere gli ecosistemi terrestri ed acquatici… La povertà di acqua pubblica si ha specialmente in Africa, dove grandi settori della popolazione non accedono all’acqua potabile sicura, o subiscono siccità che rende difficile la produzione di cibo… Un problema particolarmente serio è quello della qualità dell’acqua disponibile per i poveri, che provoca molte morti ogni giorno… Le falde acquifere in molti luoghi sono minacciate dall’inquinamento che producono alcune attività estrattive, agricole e industriali, soprattutto in Paesi dove mancano una regolamentazione e dei controlli sufficienti… Mentre la qualità dell’acqua disponibile peggiora costantemente, in alcuni luoghi avanza la tendenza a privatizzare questa risorsa scarsa, trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato. … il problema
dell’acqua è in parte una questione educativa e culturale, perché non vi è consapevolezza della gravità di tali comportamenti in un contesto di grande iniquità. …è prevedibile che il controllo dell’acqua da parte di grandi imprese mondiali si trasformi in una delle principali fonti di conflitto di questo secolo». Ve n’è abbastanza per riflessioni a largo raggio sulla centralità dell’acqua nella società attuale ma ancora di più in quella prossima futura. Del resto la vendita dell’acqua non è del tutto una novità. Già ai tempi di Orazio si parlava di un’area della Puglia, citata perché l’acqua veniva pagata:«vaenit vilissima rerum hic aqua» (Satire, libro I, 5, vv.88-89). L’uso religioso dell’acqua Non mancano gli usi strettamente religiosi dell’acqua in quanto componente essenziale di alcune cerimonie quali benedizioni, consacrazioni ed esorcismi. Si comincia con l’acqua battesimale che, benedetta nella notte della veglia pasquale, si conserva nel fonte detto appunto battesimale, per essere poi versata sul capo del neonato (ma vi è anche un rito per immersione - che ricorda la discesa di Cristo nella tomba -, con un vero e proprio bagno in un corso d’acqua o nello stesso fiume Giordano in cui Giovanni il Battista battezzò Gesù Cristo). Inoltre l’acqua benedetta (preparata con l’aggiunta di sale, che aiuterebbe a scacciare i demoni) serve ai fedeli cristiani per farsi il segno della croce, attingendola dall’acquasantiera, oppure viene aspersa sul feretro di un defunto o anche su oggetti, case, mezzi di locomozione, animali e persone. Infine l’acqua santa o benedetta viene anche bevuta con intenti terapeutici e taumaturgici. L’uso dell’acquasantiera, invero, si è largamente diffuso in ogni parte del mondo cattolico. Ve ne sono esempi artistici illustri di Giovanni Pisano (in San Giovanni Fuorcivitas a Pistoia) e di Gian Lorenzo Bernini (nella basilica di San Pietro a Roma), ma in alcune zone se ne trovano vicino alle tombe o anche in casa. L’acqua come purificazione L’acqua lava, pulisce ciò che è impuro, in particolare il peccato. In tal modo essa acquista ed esercita una sua sacralità, un suo potere purificatore. L’acqua produce pure effetti di fertilizzazione, chiaramente evidenti nell’azione del fiume “sacro” per gli egiziani, il Nilo. In pratica l’acqua dà la vita e contribuisce a mantenerla. Se però essa viene a mancare, come nel caso di lunghi periodi di siccità, si provvede a organizzare cerimonie religiose (o para-religiose) per ottenere la pioggia. C’è tuttavia un carattere ben peculiare dell’acqua: essa può dare la vita di grazia, non solo liberando uomini e donne - mediante il battesimo - dagli effetti del peccato
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originale ma anche garantendo il raggiungimento della vita eterna (anche per questo si aspergono i defunti). Si ritiene d’altra parte che l’acqua sorgiva sia a contatto con la divinità e mantenga perciò qualche carattere divino. A partire da questa considerazione si comprende meglio il significato di alcuni eventi che connettono direttamente acqua e religione. Forse quello di Lourdes è il caso più emblematico. La cittadina francese è ricca di sorgenti minerali ed è attraversata da un fiume sulla cui riva sorge, non lontana, la grotta di Massabielle, dove si narra sia avvenuta l’apparizione della Madonna alla quattordicenne Bernadette Soubirous. Alla fanciulla la Vergine avrebbe detto di scavare davanti alla grotta per trovare una fonte. Fu così che si venne a scoprire una sorgente, assolutamente sconosciuta prima di allora e da cui sgorgano decine di migliaia di litri ogni giorno. Poi si è cominciato a parlare di guarigioni “miracolose” che sarebbero avvenute grazie all’uso di tale fonte. Come non ricordare che anche a Gerusalemme c’era una piscina purificatrice, detta probatica perché destinata alle pecore (προβατικός significa riguardante le pecore, πρόβατα) che venivano lavate prima di essere portate al sacrificio. Si riteneva anche che quell’acqua fosse in grado di risanare le persone inferme, secondo quanto narra il Vangelo. A Vicarello, una località a nord del lago di Bracciano, c’è una sorgente di acque dette Apollinari perché sacre ad Apollo, come documenta peraltro la presenza di oggetti votivi ritrovati nel 1852 in un deposito; nella medesima zona si sono ritrovate anche varie iscrizioni dedicate alla medesima divinità. Fino al 1970 sono state pure in attività le Terme Apollinari. L’acqua serve pure per attività divinatorie. Ad esempio nell’ordalía, nel cosiddetto giudizio di Dio, c’era non solo la prova del fuoco ma altresì quella dell’acqua. Com’è noto, si ricorre all’ordalía in caso di incertezza da parte dei giudici nell’emettere una sentenza. L’ordalía dell’acqua consiste, per esempio in India, nel porre immagini sacre in acqua per vedere che cosa succede di esse. In altri casi la prova è effettuata con il ricorso all’acqua bollente oppure a quella fredda. Un’ordalía dell’acqua era usata nell’antica Babilonia, ma una tradizione più cospicua era presso i popoli germanici medievali e particolarmente presso i Longobardi, che la introdussero in Italia. Il festival dell’acqua: il kumbh mela C’è una festa nel mondo induista che certamente rappresenta al massimo grado il legame tra l’acqua e la religione. Si tratta del festival detto della brocca, ovvero kumbh (brocca) e mela (festa). Esso ha luogo nel Sangam, cioè alla confluenza fra il fiume Gange ed il fiume Yamuna. Il rito è duodecennale. Secondo la narrazione mitologica contenuta nei Purana, antichi testi induisti, ai primordi del mondo gli dei ed i demoni fecero ribollire le acque oceaniche per ottenere il nettare di vita eterna. Dalle acque emerse una brocca con il prezioso liquido. I demoni presero la brocca ma lo spirito Jayanta riuscì a impossessarsene a sua volta e la portò in cielo: durante il trasporto quattro gocce del nettare cad-
dero sulla terra, dando origine a quattro città: Hardwar, Allahabad (l’antica Prayaga, ovvero confluenza), Nasik e Ujjain. Il viaggio verso il cielo durò dodici giorni e perciò ogni dodici anni, a turno triennale in ognuna delle quattro città, si svolge il festival. La giornata più importante di tutta la celebrazione è quella della luna nuova, allorquando si celebra il grande bagno rituale dei milioni di pellegrini recatisi al Sangam per liberarsi del ciclo di vita e morte. I coniugi fanno il bagno insieme. Ma i primi ad entrare in acqua sono gli asceti Nâga. Di rilevante interesse è un’antica relazione, Datang xiyu ji di Xuanzang, un pellegrino cinese che visitò l’India nel VII secolo dopo Cristo, all’epoca dei grandi T’ang:«Alla confluenza dei due fiumi, ogni giorno ci sono molte centinaia di persone che si bagnano e muoiono. La gente di questo paese ritiene che chiunque desideri rinascere in cielo debba digiunare fino ad un chicco di riso e poi annegare nelle acque. Bagnandosi in queste acque la contaminazione del peccato è lavata via e distrutta; pertanto molti arrivano da varie contrade e da regioni lontane e qui si fermano. Per sette giorni si astengono dal cibo e dopo finiscono la loro vita». Sullo sfondo rimane tuttavia soprattutto il massimo problema di tipo integrativo, quello che vede ancora un forte divario fra chi dispone di risorse idriche sufficienti e chi invece deve cercare soluzioni alternative, con sforzi enormi e scarsi risultati. Quasi tre miliardi di persone nel mondo non dispongono di adeguati servizi igienici per scarsità di acqua. Con un taglio scientifico la rivista Worldviews. Global Religions, Culture, and Ecology (volume 17, n. 2, 2013) ha dedicato al tema un suo numero speciale dal titolo Living Water: articoli di diversa impostazione e specifico contenuto affrontano il significato e il ruolo dell’acqua nella vita sociale a partire da una prospettiva buddista (Butcher: 103-114), dalla situazione di straordinaria abbondanza di acqua nel Kirghizistan costellato di mazars cioè di luoghi che sono insieme sacri e terapeutici (Bunn: 125-137), dal ruolo dei guaritoriindovini Nguni del Sudafrica impegnati nella ritualità dell’acqua perenne ovvero living water (Bernard: 138149), dai tre indicatori usati a Boston per testare la qualità delle acque cioè aringhe, batteri e gigli d’acqua (Scaramelli: 150-160). Emblematicamente i curatori (Krause e Strang) sostengono che «per molte persone l’acqua compendia le connessioni e l’integrazione di processi vitali: come l’elemento fonte di vita che permette la produzione e la riproduzione, e come un’essenza della comunità e dell’appartenenza» (Krause, Strang: 96). Ed in conclusione «l’acqua può essere sia fonte di vita che minaccia per la vita, e molto dipende dal momento, dalla quantità, dalla composizione, dalla distribuzione spaziale e dal controllo socio-economico dei flussi d’acqua. Concentrarsi sui problemi dell’acqua serve anche ad esprimere le più ampie vulnerabilità ed ansietà delle persone, fornendo una nuova prospettiva sulle relazioni socio-politiche» (Kraus, Strang: 96-97).
C’era una volta l’acqua su Marte L'uomo alla ricerca di tracce di vita nello spazio Elena Pettinelli Ad osservarlo adesso, arido, rosso, freddo e polveroso, nessuno scommetterebbe un centesimo sulla presenza di acqua liquida sulla superficie o nel sottosuolo di Marte. Eppure questo piccolo e desolato pianeta è stato straordinariamente capace di sollecitare l’immaginario collettivo e di creare il mito Elena Pettinelli di ingegnosi marziani capaci di incanalare la poca acqua esistente sul pianeta, attraverso la costruzione di poderose opere idrauliche visibili dalla Terra. La scoperta che l’acqua sia presente oggi o che lo sia stata nel corso della storia evolutiva di un pianeta è condizione indispensabile affinchè si possa supporre che su di esso si sia sviluppata la vita, almeno nel modo in cui la conosciamo qui sulla Terra. La ricerca dell’acqua su Marte nasce proprio dalla necessità di capire se la vita sia mai comparsa su questo pianeta e per quale motivo si sia estinta. Ritorniamo quindi a parlare di marziani. L’ipotesi dell’esistenza di civiltà marziane capaci di sfruttare le proprie risorse idriche nasce da lontano, dalle prime osservazioni al telescopio delle macchie scure sulla superficie di Marte da parte del fisico olandese Christiaan Huygens, ma si consolida due secoli dopo, a seguito delle osservazioni dell’astronomo italiano Giovanni
Virginio Schiaparelli. Nel 1877 Schiaparelli comincia a studiare in modo sistematico la superficie di Marte con il telescopio e si rende conto che gli strumenti del suo tempo permettevano di osservare dettagli topografici non identificabili in precedenza. Il risultato di questo lavoro è la prima mappa della superficie di Marte, dove
La scoperta che l’acqua sia presente oggi o che lo sia stata nel corso della storia evolutiva di un pianeta è condizione indispensabile affinché si possa supporre che su di esso si sia sviluppata la vita, almeno nel modo in cui la conosciamo qui sulla Terra. La ricerca dell’acqua su Marte nasce proprio dalla necessità di capire se la vita sia mai comparsa su questo pianeta e per quale motivo si sia estinta compaiono le ben note zone scure chiamate ‘mari’ e le zone più chiare chiamate ‘continenti’, ma anche una rete di linee scure che l’astronomo chiamò genericamente ‘canali’ ma che considerava essere creati dall’acqua che scorre in superficie. Il lavoro cartografico di Schiaparelli scatenerà la fantasia e l’ambizione di diversi appassionati di osservazioni celesti, ma soprattutto dell’astronomo americano Percival Lowell, che sulla natura artificiale dei canali costruirà la propria fortuna scientifica. Lowell era fermamente convinto che i canali fossero
Mappa dei “canali” e della altre strutture morfologiche individuate da Schiaparelli sulla superficie di Marte. Molte di queste strutture, individuabili sulle moderne mappe di Marte, hanno conservato il loro nome originale
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Immagine elettromagnetica della struttura interna del Polo Nord marziano effettuata con il radar sottosuperficiale SHARAD a bordo della sonda Mars Reconnaissance Orbiter (MRO). L’immagine mostra come il ghiaccio polare marziano sia stratificato, a causa della deposizione alternata di polveri e ghiaccio
una gigantesca opera idraulica che i marziani avevano costruito per convogliare le scarse risorse idriche di cui disponevano e che derivavano dallo scioglimento stagionale dei ghiacci polari. L’impatto sull’opinione pubblica di una scoperta di tale portata non tardò ad arrivare: nel 1898 H.G. Wells pubblicò il libro “La guerra dei mondi” (The war of the World), la storia dell’invasione della Terra da parte dei marziani. I lineamenti strutturali osservati sulla superficie di Marte con il telescopio sin dalla metà del ‘600 avevano tuttavia una caratteristica peculiare, questi sembravano cambiare struttura a seconda dei periodi dell’anno e delle condizioni di osservazione. Oltre alle calotte polari che si allargavano e si restringevano, coerentemente con le stagioni dell’anno marziano, anche i lineamenti che definivano le strutture morfologiche della superficie non sembravano essere stazionarie. Questo fatto indusse l’astronomo italiano Vincenzo Cerulli (in un lavoro
L’ipotesi dell’esistenza di civiltà marziane capaci di sfruttare le proprie risorse idriche nasce da lontano, dalle prime osservazioni al telescopio delle macchie scure sulla superficie di Marte da parte del fisico olandese Christiaan Huygens, ma si consolida due secoli dopo, a seguito delle osservazioni dell’astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli del 1900) a dubitare della reale esistenza dei canali ed ipotizzare che le strutture morfologiche fossero solo un effetto dell’osservazione al telescopio. Ipotesi definitivamente confermata nel 1909 dall’astronomo greco naturalizzato francese Eugenios Antoniadi. I canali non erano altro che il frutto delle limitate caratteristiche ottiche dei telescopi sino ad allora utilizzati, che non permettevano una elevata risoluzione delle immagini; così l’occhio umano finiva per “unire” ed “interpretare” in lineamenti ed artefatti geometrici le numerose macchie e i dettagli minori presenti sulla superficie del pianeta. Ma la storia dell’acqua che scorre sulla superficie di Marte non finisce qui! Ironia della sorte la moderna strumentazione ottica montata a bordo delle diverse
sonde spaziali che hanno orbitato negli ultimi vent’anni intorno a Marte ha effettivamente permesso di fotografare lineamenti e strutture morfologiche allungate associabili ai fenomeni di scorrimento superficiale di un fluido. Tali strutture sono visibili in diverse aree della superficie marziana, anche se nessuna di queste corrisponde ai canali descritti da Schiaparelli. Ma allora l’acqua liquida c’era veramente una volta... oppure no? E se c’era, dov’è finita? Andiamo per ordine. Esistono molte prove indirette che molto tempo fa l’acqua liquida fosse presente sul pianeta rosso. Le recenti missioni compiute da NASA ed ESA con sonde orbitanti hanno infatti dimostrato la presenza di strutture morfologiche certamente ascrivibili a fenomeni di scorrimento dell’acqua (o comunque di un fluido) ed altre chiaramente correlabili con la presenza di bacini chiusi. Ma i rover Spirit, Opportunity e Curiosity hanno potuto fare di più, hanno individuato la presenza nel terreno di minerali idrati e sali che si sono certamente formati in ambiente acquoso, presumibilmente sul fondo di laghi o mari poco profondi e salati. Esiste attualmente una teoria abbastanza consolidata, sebbene non condivisa da tutti i planetologi, che sostiene che alcuni miliardi di anni fa Marte aveva una atmosfera molto più densa di quella attuale ed un grande oceano nell’emisfero settentrionale che occupava circa il 20% di tutta la superficie del pianeta. Questa atmosfera si sarebbe però progressivamente assottigliata a causa del vento solare e della bassa gravità del pianeta e l’acqua sarebbe quasi tutta evaporata nello spazio. Solo il 13% della massa totale di questo grande oceano sarebbe rimasta sul pianeta, principalmente intrappolata sottoforma di ghiaccio nelle calotte polari. Questa teoria ci aiuta a rispondere anche alla seconda domanda, quella relativa all’attuale presenza di acqua liquida in superficie. Le condizioni termodinamiche esistenti oggi sulla superficie di Marte (pressione atmosferica pari a 1/100 di quella terrestre e temperature quasi ovunque ben al di sotto di 0°C) non permettono all’acqua di mantenersi allo stato liquido, impedendone così l’osservazione diretta. Tuttavia, una recente scoperta di Curiosity ha dimostrato che l’acqua liquida in piccolissime quantità potrebbe realmente formarsi in prossimità della superficie, ma solo in presenza di specifici tipi di sali. Curiosity ha infatti identificato nel suolo che ricopre il cratere Gale, dove è atterrato nel 2012, la presenza di particolari sali, i perclorati di calcio, che sono
Ricostruzione della distribuzione geografica dell’oceano marziano che occupava gran parte dell’emisfero settentrionale. La macchia bianca rappresenta l’estensione dell’attuale Polo Nord (fonte: NASA/GSFC)
in grado di abbassare la temperatura di congelamento dell’acqua fino a -70°C ed hanno anche la capacità di assorbire il vapor acqueo dall’atmosfera. Questi sali potrebbero favorire un ciclo di scioglimento e ricongelamento dell’acqua durante la giornata marziana nelle zone equatoriali, ipotesi che sembra essere confermata da recenti osservazioni di specifiche forme morfologiche associabili a piccoli rigagnoli effimeri (stagionali) prodotti dallo scorrimento di acqua sulla superficie di Marte. Tuttavia la quantità d’acqua prodotta attraverso questo meccanismo non è assolutamente sufficiente per supportare lo sviluppo della vita. Se l’acqua liquida non può esistere in superficie in quantità significative, è tuttavia possibile che sia stata in parte confinata all’interno dei pori delle rocce e dei sedimenti della crosta marziana, così come avviene sul nostro pianeta. Sulla Terra, infatti, circa lo 0.6% dell’acqua totale è presente sotto forma di acqua di falda. In particolare, nelle zone periartiche, ove le temperature esterne rimangono ben al di sotto di 0°C per la maggior parte dell’anno, l’acqua liquida può trovarsi a diverse centinaia di metri di profondità, ricoperta da una spessa coltre di suolo permanentemente ghiacciato detto permafrost. Inoltre, sulla Terra l’acqua liquida è presente anche sotto la calotta polare antartica, raccolta in bacini (laghi) subglaciali, il più famoso e grande dei quali è il lago Vostok che si trova alla profondità di quasi 4000 metri dalla superficie del ghiaccio antartico. Tali bacini rappresentano ambienti estremi, oscuri ed isolati, dove però lo sviluppo della vita è possibile. La ricerca di una ipotetica riserva d’acqua sotterranea su Marte è iniziata una decina di anni fa con il lancio della missione Mars Express dell’ESA, il cui satellite ospita a bordo MARSIS (Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding) uno strumento capace di “scandagliare” l’interno della crosta marziana per alcuni chilometri di profondità. Nel corso degli anni, MARSIS ha raccolto centinaia di dati ed immagini del sottosuolo marziano permettendo, tra l’altro, di ricostruire la struttura e lo spessore delle calotte polari mar-
ziane, di verificarne la composizione chimica, prevalentemente dominata dal ghiaccio d’acqua, e di stimare anche la quantità totale d’acqua presente ai poli sotto forma di ghiaccio. Tuttavia, le misure sino ad oggi effettuate riguardo la presenza di acqua liquida sotto superficiale non sono state conclusive, non permettendo né di escluderne né di confermarne la presenza. Un limite fisico alla presenza d’acqua alla base delle calotte polari o al di sotto di una spessa coltre di permafrost è dato dal calore interno residuo di Marte, ovvero dal flusso di calore che, in base ai calcoli effettuati, non sembra essere sufficiente ad innalzare la temperatura del ghiaccio presente nella parte superiore della crosta marziana fino al punto di fusione. Tuttavia, la scoperta dei perclorati di calcio fatta da Curiosity potrebbe radicalmente modificare questo limite poiché se questi sali fossero una componente comune dell’acqua marziana, il ghiaccio (salato) potrebbe fondere a temperature notevolmente più basse (-70°C) e creare così acquiferi profondi e laghi subglaciali salmastri. A questo punto è lecito obiettare che le prove raccolte sino ad oggi siano tutte indirette e che l’acqua non l’ab-
Esistono molte prove indirette che molto tempo fa l’acqua liquida fosse presente sul pianeta rosso. Le recenti missioni compiute da NASA ed ESA con sonde orbitanti hanno infatti dimostrato la presenza di strutture morfologiche certamente ascrivibili a fenomeni di scorrimento dell’acqua (o comunque di un fluido) ed altre chiaramente correlabili con la presenza di bacini chiusi bia mai vista nessuno. Ed è proprio così! Nella ricerca le prove dirette sono spesso difficili, a volte perfino impossibili da produrre. Per questo motivo le missioni spaziali e gli strumenti vengono selezionati in modo da massimizzare le informazioni ottenute e poter integrare i risultati in un quadro organico che permetta di verificare o confutare determinate ipotesi. Su Marte molti strumenti diversi hanno trovato tracce d’acqua. E’ stato visto il ghiaccio, molto ghiaccio; sono stati visti gli alvei dei fiumi ormai asciutti, le morfologie delle coste, i minerali idrati, i sali che si formano in presenza di acqua, ma non una sola goccia di acqua liquida semplicemente perché l’acqua non è stabile in superficie. Marte oggi è un pianeta arido ed inospitale, nessuna forma di vita microbica conosciuta potrebbe resistere a lungo alla radiazione cosmica e solare ed alle estreme condizioni ambientali presenti sulla sua superficie. Tuttavia i dati raccolti nel corso delle diverse missioni spaziali ci confermano che nel passato questo piccolo pianeta era molto diverso e, forse, più simile al nostro di quanto avessimo mai pensato fino ad ora, ma mai abbastanza simile da supportare l’esistenza di ingegnosi costruttori di canali.
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Elliot for Water Il motore di ricerca che utilizza il 70% dei profitti per realizzare progetti legati all'acqua Andrea Demichelis e Costanza Rivarossa Si tende spesso a dare per scontato l’uso dell’acqua e raramente ci si rende conto dell’effettiva importanza e dell’impatto che questo elemento ha non solo sulla salute della popolazione, ma anche sullo sviluppo e sulla sostenibilità di una società. La mancanza o la scarsità di acqua, infatti, comAndrea Demichelis portano delle conseguenze dirette sulla salute, sull’agricoltura, sull’igiene, sulle attività domestiche, sull’educazione dei bambini, così come su moltissimi altri aspetti della nostra società. Oltre cinquanta conflitti tra paesi in tutto il mondo scaturiscono a causa del possesso di fonti e della cattiva distribuzione dell’acqua o del suo uso improprio. Si stima che l’inevitabile diminuzione delle risorse idriche comporterà un ulteriore peggioramento di questa condizione. Nonostante queste problematiche siano confinate essenzialmente ai paesi del terzo mondo, la crisi dell’acqua sta colpendo politiche ed economie a livello globale ed è quindi nell’interesse di tutti trovare una soluzione. Elliot for Water (E4W) è un portale che diffonde la consapevolezza del problema acqua e, cosa fondamentale, propone una soluzione accessibile, effettiva, reale e sostenibile. Si tratta di un motore di ricerca che sta permettendo ad un numero sempre in crescita di persone di finanziare e sostenere, senza devolvere denaro, progetti creati per depurare l’acqua, irrigare orti ed essiccare cibi, dando una possibilità di sopravvivenza a chi non ce l’ha: tutto questo mentre compiamo una semplice azione che fa ormai parte della nostra quotidianità: navigare su internet. Anche se lanciato sul web da poco, Elliot for Water è un motore di ricerca affidabile e aggiornato: i suoi risultati, infatti, sono completamente forniti da Yahoo, suo partner principale. Esattamente come qualsiasi altro motore di ricerca, il profitto viene realizzato attraverso i “clic” degli utenti sui link sponsorizzati, che su Elliot for Water si chiamano Water Link. Questi link, conosciuti anche come annunci Pay Per Click (PPC) sono posizionati nella parte superiore della pagina dei risultati e l’editore (il motore di ricerca) applica un addebito all’inserzionista ogni volta che il link viene cliccato. Nel caso di Elliot for Water, gli addebitamenti applicati per i clic ottenuti
sui suddetti annunci diventano una donazione. Infatti, il 70% del profitto derivante da questi annunci Pay Per Click viene impiegato per la realizzazione di progetti legati all’acqua potabile. Il grande punto di forza di Elliot for Water si trova proprio in ciò che distingue questo modello di business dalle altre Costanza Rivarossa imprese tradizionali. Le donazioni umanitarie di queste ultime, infatti, derivano dall’utilizzo di parte del loro profitto, ottenuto però grazie alla vendita di un prodotto o di un servizio ai propri clienti. Elliot for Water, al contrario, dona il 70% del profitto ottenuto senza chiedere nulla ai propri utenti, se non di navigare sul web con E4W, in quanto il profitto stesso della società deriva dall’uso completamente gratuito del motore di ricerca.
Elliot for Water è un motore di ricerca che permette di finanziare e sostenere, senza devolvere denaro, progetti creati per depurare l'acqua, irrigare orti ed essiccare cibi, dando una possibilità di sopravvivenza a chi non ce l'ha: tutto questo mentre compiamo una semplice azione che fa ormai parte della nostra quotidianità: navigare su internet
Proprio per questa ragione, questo modello di business richiede una base utenti estesa, che navighi regolarmente con elliotforwater.com: le ricerche ricorrenti, infatti, garantiscono frequenti clic sui Water Link ed essi, a loro volta, contribuiscono all’aumento del profitto e, di conseguenza, all’incremento della donazione utilizzata da E4W per la realizzazione di molteplici progetti umanitari. Essendo una impresa sociale, e non una fondazione o società non-profit, Elliot for Water trattiene il 30 % del profitto per espandersi e reinvestire, assicurando però sempre la massima trasparenza e chiarezza nelle proprie azioni, in modo da rafforzare la fiducia e la lealtà che i propri utenti hanno riposto nello scopo umanita-
rio di questa società. Proprio per questo ogni mese Elliot For pubblica i propri risultati finanziari, i bilanci, le testimonianze e descrizioni dei progetti intrapresi e l’impatto che essi hanno avuto nei luoghi dove sono stati realizzati. Secondo Cohen nel 2014 la responsabilità sociale è entrata sempre più a far parte della vita di ogni giorno e la crescente presenza di questo tema nell’istruzione dei bambini garantisce un interesse costante a riguardo, interesse che aumenterà in futuro (Cohen, 2014). Questo cambiamento socio-culturale unito al tasso di crescita della popolazione mondiale che usa internet, pari al 753,0% (Internet World Stat., 2015), rendono ancor di più Elliot for Water un motore all’avanguardia, capace di cogliere l’opportunità che l’era in cui viviamo ci offre per creare qualcosa di veramente positivo.
Gli interventi di Elliot For Water sono mirati a cercare di risolvere i problemi legati all'acqua potabile, e conducono poi allo sviluppo dei villaggi e alla promozione di una loro sussistenza autonoma. A questo scopo vengono impiegate, tre macchine solari principali: la SolWa Solar Still, che produce acqua potabile sicura; l’IrriWaSolar System, per incentivare l’attività agricola; e il FoodWa Solar System, che semplifica la conservazione degli alimenti I progetti umanitari: villaggi indipendenti a tempo indeterminato L’acqua è chiaramente essenziale per lo sviluppo di una società; tuttavia, l’utilizzo di acqua non adatta né al consumo né ad altri utilizzi, crea problemi che vanno oltre la salute della popolazione, come la diminuzione della produzione agricola e i danni all’atmosfera, al terreno e alle falde acquifere (Thameur, 2003). Non c’è, quindi, semplicemente bisogno di acqua: è necessario che essa sia acqua pulita. Per questo motivo, l’approccio umanitario di Elliot For Water si focalizza sulla purificazione dell’acqua, e non solo sul suo rifornimento. Gli interventi di Elliot For Water sono
mirati primariamente a cercare di risolvere i problemi legati all’acqua potabile, e conducono poi a progetti correlati, per lo sviluppo dei villaggi e la promozione di una loro sussistenza autonoma. A questo scopo saranno impiegate, tre macchine solari principali: la SolWa Solar Still, che produce acqua potabile sicura; l’IrriWaSolar System, per incentivare l’attività agricola; e il FoodWa Solar System, che semplifica la conservazione degli alimenti. La combinazione di questi tre sistemi, grazie alla semplicità dei materiali utilizzati e alla loro eco-sostenibilità (a rifiuti zero), è un potenziale decisivo per lo sviluppo di interi villaggi. SolWa Solar Still è un sistema innovativo per la produzione di acqua potabile da qualsiasi tipo di acqua inquinata, salata o non potabile, con l’impiego di energia solare quale unica fonte di alimentazione. I suoi punti di forza sono rappresentati dalla semplicità del processo di depurazione dell’acqua, dall’alto tasso di efficienza e dai semplicissimi requisiti tecnici necessari per l’installazione e la manutenzione. Il processo di purificazione dell’acqua SolWa si basa sulla conversione dei raggi solari in calore. All’interno di una struttura isolata definita modulo, i raggi solari irradiano un vasca di acqua salata o inquinata, riscaldando la soluzione e facendola evaporare. Il vapore prodotto dall’evaporazione dell’acqua e condensato sulla superficie interna della serra viene raccolto, diventando acqua purificata da qualsiasi tipo di batterio o salsedine, mentre la soluzione inquinata e ricca di sale viene eliminata. Questo è il principio di base dei distillatori solari. In termini di efficienza, è stato sperimentato che nelle zone climatiche tropicali e desertiche, la produzione di acqua con il sistema Solwa per metro quadrato è stata di 10l/m2/giorno, con un rendimento pari al 56%, rispetto al 50% della maggior parte delle altre macchine simili. Dove non c’è fonte di acqua vicino ai villaggi, all’installazione di Solwa verrà associata la trivellazione di pozzi. Benché i pozzi forniscano diretto accesso all’acqua, questa necessita comunque di essere trattata per poter essere utilizzata dall’uomo senza rischio di malattie. Irriwa System è invece un sistema di impianti solari di desalinizzazione integrati a serre, che permette appunto di coltivare in zone inospitali. Irriwa depura l’acqua inquinata o salata e la rende adatta all’irrigazione e alla coltivazione anche in zone costiere, nonché in zone
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Solwa in Burkina Faso
Irriwa installata su una spiaggia del litorale laziale
aride o desertiche. Questo sistema, inoltre, riduce lo spreco di acqua: la base di IrriWa si fonda sul concetto di portare l’acqua direttamente alle radici delle piante, al fine di limitarne lo spreco dovuto sia all’evaporazione sia alla dispersione nel terreno. Il sistema IrriWa cattura il vapore generato dal processo di evaporazione-traspirazione e lo riconduce nuovamente alle piante sotto forma di acqua. Proprio grazie a questo procedimento, Irriwa riesce a ridurre sino al 90% il consumo di acqua necessaria all’irrigazione, rispetto ad una coltivazione a campo aperto. Infine il progetto umanitario E4W riguarda la sfera dell’economia dei villaggi e si propone di minimizzare lo spreco di cibo, dovuto all’impossibilità di mantenimento dello stesso, e conseguentemente di commercializzarlo. Come? Affiancando a quelle già descritte sopra la tecnologia Foodwa. Anch’essa ideata da Solwa, consiste in un sistema ecologico ad energia solare che accelera il processo di essiccazione dei cibi che, una volta disidratati, possono essere consumati e conservati per lunghi periodi. Utilizzando esclusivamente energia solare, le tecnologie Solwa non hanno perdite né emissioni di CO2 e hanno costi di manutenzione quasi inesistenti, in quanto non necessitano la presenza di personale qualificato né per l’installazione né per il mantenimento. Il sistema per disidratare il cibo Foodwa si basa sem-
plicemente sulla circolazione dell’aria, seguendo i principi naturali del flusso d’aria che entra dal fondo ed esce dall’alto. Con questo sistema, un solo modulo Foodwa può produrre più di 3 Kg di cibo disidratato al giorno (più di 100 kg al mese), in zone climatiche desertiche o tropicali.
FoodWa presentata a Expo Milano 2015
Come è nato Elliot for Water Tutto comincia con Andrea Demichelis, il fondatore di Elliot for Water. Andrea ha studiato Finanza, imprenditoria e sviluppo sostenibile a Parigi. Nel maggio 2014 porta a termine i corsi per il BBA e MBA e nell’ottobre dello stesso anno inizia a lavorare al proprio progetto, con la volontà di dimostrare che l’imprenditoria e il fare del bene possono essere coniugati con successo. Ad affiancarlo, Vincenza Cornelli e Yannis Kolovos. Si occupa di dargli consigli sulla parte stilistica e sui contenuti e lo sostiene nelle decisioni da prendere per creare le basi di questo progetto. Yannis è invece l’ingegnere informatico che realizza il motore di ricerca sotto il profilo tecnico. Insieme ad Andrea, lavora per mesi e mesi sfruttando ogni connessione Wi-Fi in Italia e a Parigi, e trasformando all’occasione i “café” e i bar in uffici di passaggio. Poco prima del lancio di E4W sul web, a far parte del team si aggiunge Costanza Rivarossa, che diventa la Business developer del progetto impegnandosi al fianco di Andrea. Essenziale, inoltre, la collaborazione di Giulia Bernardi, traduttrice e interprete, che aiuta Elliot for Water ogni volta che c’è bisogno di lei.
L’acqua pubblica a Roma Sulle tracce di una storia secolare Francesca Simeoni
Lungo le strade della capitale, ogni giorno, milioni di persone intrecciano le loro storie. Turisti, gente di passaggio, romani da generazioni o romani per un’esigenza particolare. Al crocevia dei loro incontri Francesca Simeoni c’è un elemento architettonico a volte inosservato: la fontanella pubblica. Eppure, solo nel I Municipio sono oltre 200 i “nasoni” censiti dall’Acea. “Nasone” è il nomignolo che le fontanelle pubbliche romane hanno conquistato per via del loro profilo. Complessivamente nella Capitale si contano ben 2.500 esemplari di fontane pubbliche, realizzate per la maggior parte in ghisa, mentre solo una piccola percentuale è in travertino. La loro acqua è la stessa che sgorga dai rubinetti delle case dei romani che tanto vi sono affezionati e che spesso devono difenderle dalle minacce di rimozione. Simbolo di povertà nel cinema - nelle sequenze iniziali di Ladri di biciclette (1948) una donna va al nasone per lavare i panni - e tanto amate dal pittore Ettore Roesler Franz (Roma, 1845 - 1907) nei suoi acquerelli di “Roma Sparita”, oggi le fontane romane rappresentano un’unicità della città eterna. «Il turista è stupito quando vede i nasoni» ci racconta Valentina Pica – giovane archeologa egittologa e guida turistica autorizzata di Roma e Provincia – «è vero che anche in altre città ci sono le fontane pubbliche, ma non esiste al mondo una città più ricca di acque e fontane di Roma e soprattutto con una tale storicità dell’acqua pubblica». «Già in età romana l’acqua era un bene pubblico, ed era regolamentata» continua Massimo Brando – archeologo classico, da anni collaboratore della Soprintendenza archeologica di Roma che con Valentina ha fondato Archeoguide – «L’imperatore concedeva l’acqua ai privati con un atto e grazie ai ritrovamenti di fistole plumbee riportanti il nome della famiglia, possiamo dimostrare l’esistenza di un allaccio semi-privato che portava l’acqua nella domus». Le famiglie più ricche e la loro servitù, quindi, potevano attingere all’acqua che arrivava direttamente nella loro abitazione. Possiamo considerare che già nella Roma imperiale, fra il primo e il secondo secolo, ben 2.500 famiglie avevano accesso all’acqua su un milione di abitanti. «L’acqua ha sempre caratterizzato la civiltà romana, anche e soprattutto tra il XVI e XVII secolo, quando i papi la dispensavano al pubblico e nel frattempo puntavano ad abbellire la città con le mostre». Massimo Brando e Valentina Pica, tra gli altri percorsi tematici di ArcheoGuide, curano «L’Acqua a Roma: fontane e fontanelle» (www.archeoguide.wordpress.com), da
esperti della storia romana ci hanno raccontato il significato sempre vivo dell’acqua come propaganda. Se volessimo ricercare l’antenato del nasone romano, potremmo incontrarlo nella Fontana delle Api, situata all’angolo di piazza Barberini con via Veneto. Era infatti consuetudine pontificia, quella di collocare accanto alle fontane monumentali (le mostre), delle fontanelle. Nella fattispecie Gian Lorenzo Bernini realizzò la fontana delle Api a complemento della fontana del Tritone. Da un lato dunque le mostre celebravano la magnificenza pontificia, e dall’altro le fontane più piccole venivano concepite per la pubblica utilità, come far abbeverare gli animali. Il nasone in ghisa che troviamo in città oggi, trova la sua prima introduzione su iniziativa del Comune di Roma all’inizio del Novecento. Un esemplare “originale” e di rilevanza storica è sicuramente la fontana a tre cannelle a forma di drago, di Via della Cordonata. Le fontane pubbliche oggi, nascondono molti messaggi e significati: il lavoro artigiano della fonderia che le realizza, un momento dell’infanzia, un luogo di incontro, una pausa ristoratrice e anche il folklore e il divertimento. Perché il rituale prevede che bisogna tappare la cannella e bere l’acqua che sgorga dal foro superiore e non direttamente l’acqua che sgorga dal nasone. Per scoprire come i turisti in città si divertano a condividere la loro esperienza di bere dal nasone, come tradizione comanda, abbiamo fato un giro sui social scoprendo che le #romefountains su Instagram divertono e catturano i turisti e che sono di ispirazione per raccontare come, nella loro ordinarietà, i nasoni, offrano sempre un sorso di acqua fresca. Per festeggiare i primi cento anni di vita delle fontane pubbliche in ghisa, nel 2009 l’Acea – società multitutility nei settori idrico, elettrico e ambientale – ha realizzato una mappa per consentire ai turisti di trovare i “nasoni” presenti nel centro storico di Roma. «L’acqua è un tesoro. E Acea ti regala la mappa», contiene notizie utili sulle fontanelle, alcuni brevi cenni storici e si può scaricare gratuitamente dal sito di Acea (www.acea.it) insieme alla carta di identità dell’acqua distribuita a Roma, dove sono riportate le sue caratteristiche. Resta aperto il dibattito sul riutilizzo dell’acqua che sgorga dai nasoni e il suo possibile impiego per l’irrigazione dei giardini pubblici. Quello che è certo è il significato che ha il nasone per i romani: sempre presente nelle pause di infanzia tra una corsa e un’altra o testimone delle partite di calcetto di quartiere. Ognuno ha il suo preferito e passando accanto a una piazza impacchettata dai lavori di ristrutturazione, vedi teste che si girano di scatto a ricercare la fontanina: se sei fortunato è stata semplicemente spostata qualche metro più in là, allora puoi continuare a camminare più sereno facendo un tuffo nel passato.
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Il ruolo dell'acqua nei sistemi viventi L'oblio dell'acqua: intervista al fisico Giuseppe Vitiello Alessandra Ciarletti
incontri
Giuseppe Vitiello è professore ordinario di Fisica teorica presso l’Università di Salerno, Dipartimento di Fisica “E.R. Caianello” e associato all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Svolge attività di ricerca nella fisica delle particelle elementari e nella fisica dei sistemi biologici e del cervello. È autore di circa 170 pubblicazioni su riviste scientifiche specialistiche, di 28 capitoli in volumi monografici e 80 rendiconti di conferenze internazionali, coautore dei testi Quantum Field Theory and its macroscopic manifestations, Imperial College Press, Londra 2011, e Quantum Mechanics, Bibliopolis, Napoli 1985 (tradotto anche in giapponese nel 2005), e autore del volume My Double unveiled, John Benjamins Publ. Co., Amsterdam, 2001, sul modello dissipativo quantistico del cervello. Ha curato con Gordon G. Globus e Karl H. Pribram la pubblicazione del volume Brain and Being. At the boundary between science, philosophy, language and arts, John Benjamins Publ. Co., Amsterdam, 2004. Collabora dal 2009 con Luc Montagnier, Premio Nobel 2008, UNESCO, Parigi, in ricerche sulle proprietà elettromagnetiche del DNA di virus e batteri e dal 2003 con Walter J. Freeman, Berkeley, California, in ricerche di neuroscienze.
La memoria dell’acqua è un tema molto dibattuto, quale è il contributo della Fisica alla sua comprensione? Questa locuzione “memoria dell’acqua” che venne fuori ai tempi di Jacques Benveniste in effetti nel tempo ha assunto una valenza negativa, tanto che, un po’ scherzando dico che bisognerebbe parlare di oblio dell’acqua, perché l’aspetto più importante è che l’acqua dimentica, il che presuppone ovviamente che ha avuto un momento per ricordare. A mio avviso è proprio questa la cosa importante: la capacità dell’acqua di perde-
A mio avviso è proprio questa la cosa importante: la capacità dell’acqua di perdere informazioni, precedentemente acquisite, in favore di nuove. Tutto questo è possibile perché i sistemi biologici, sistemi in cui ovviamente è fondamentale il contributo dell’acqua, sono sistemi dissipativi, ovvero sistemi aperti nei quali c’è un continuo scambio di energia e di materia con l’ambiente circostante re informazioni, precedentemente acquisite, in favore di nuove. Tutto questo è possibile perché i sistemi biologici, sistemi in cui ovviamente è fondamentale il contributo dell’acqua, sono sistemi dissipativi, ovvero sistemi aperti nei quali
c’è un continuo scambio di energia e di materia con l’ambiente circostante. Se l’acqua avesse una memoria comunemente intesa, allora il sistema biologico sarebbe più vicino a un cristallo che non a un sistema plastico, quale lo conosciamo... per questo eviterei di parlare di memoria dell’acqua. E allora come definire questa capacità dell’acqua di immagazzinare e trasformare tutta una serie di informazioni che, se capisco bene, sono mutevoli per loro stessa natura? Ebbene, se piego un angolo di un pezzo di carta di un block notes, quella piega la posso chiamare memoria, ma è sia improprio sia eccessivo, e continuare a considerare quella piega una memoria induce a una quantità di incomprensioni; per maggiore chiarezza quindi e far si che la gente capisca e possibilmente si emancipi, eviterei di parlare di memoria dell’acqua e parlerei piuttosto di reazioni dell’acqua a stimoli esterni, fatto che esclude ipotesi improbabili o credenze a supporto di cose che non esistono. Ovviamente ciascuno può credere quello che vuole: sto parlando da fisico con tutta l’apertura possibile che caratterizza non solo la mia attività ma la fisica stessa, ben consapevole che se non fossimo aperti non potremmo imparare. E sempre da fisico pertanto direi che bisognerebbe parlare non di memoria dell’acqua ma di capacità dell’acqua di reagire a stimoli esterni di tipo elettromagnetico, di tipo elastico e non soltanto. Ci sono tante possibilità di reazione con l’acqua e tutte queste possibilità sono coinvolte nella fisica della materia vivente.
Da sinistra a destra, Luc Montagnier, Giuseppe Vitiello, Emilio Del Giudice, Alberto Tedeschi, Parigi, UNESCO Fondazione Lotta AIDS
Sappiamo che l’acqua presente nella materia vivente è molto diversa da quella che normalmente beviamo, ci può spiegare le differenze da un punto di vista fisico? Se l’acqua è a contatto con superfici, qualunque sia la loro composizione, reagisce alla natura della superficie e vengono prodotti degli stati fisici dell’acqua più o meno permanenti, anche se di vita media breve; l’acqua della materia vivente è a contatto costante con tante superfici, dalle membrane cellulari agli organelli, fino alle superfici di sistemi più complessi quali sono gli organi. Quindi è un’acqua che è suscettibile di assumere caratteristiche che non sono quelle dell’acqua che comunemente beviamo. Tuttavia, anche l’acqua dei fiumi, soprattutto le acque sorgive, sono acque che sono state a contatto con superfici di ogni tipo e quindi questo contatto può avere indotto nell’acqua delle caratteristiche particolari per cui per anni la medicina stessa ha parlato e parla di proprietà terapeutiche dell’acqua minerale. Una differenza sostanziale è proprio questa: nell’acqua a contatto con le superfici possono essere indotti fenomeni di polarizzazione più o meno permanenti. Molti definiscono quest’acqua biologica, ma in realtà la storia è molto complessa e a mio avviso dovremmo evitare definizioni, ma analizzare caso per caso. Sia-
mo alla ricerca di definizioni perché vogliamo una sicurezza, ma nulla è sicuro perché tutto è in movimento. Noi stessi siamo sistemi aperti: dal punto di vista della vita relazionale la cosa di cui siamo maggiormente accusati è di cambiare idea, di non essere coerenti. Ma proprio questa mancanza di coerenza è il grande privilegio del cervello che, una volta elaborato le informazioni che prima non aveva, decide in maniera diversa, cambia idea. E cambiare idea è un privilegio umano. Molto tempo fa con Emilio Del Giudice abbiamo pubblicato un lavoro su una rivista scientifica, un lavoro tecnico non divulgativo, nel quale parlavamo di sistemi che incorrono in una successione di trasformazioni e che passano continuamente da una fase all’altra, dove per fase si intende un regime dinamico. Giusto per fare un esempio: l’acqua vive nella fase liquida, nella fase cristallina, nella fase gassosa e queste sono tre fasi, ma ci sono tante fasi intermedie, tante gradazioni perché il sistema biologico è in continuo processo vitale e quando questo non accade subentra la morte. Ecco, paradossalmente si potrebbe dire che è a questo punto che subentra lo stato di memoria, quella definitivamente permanente, la morte infatti. In studi molto recenti sul cervello che stiamo conducendo con il neuroscienziato Walter Freeman, ci stiamo
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convincendo che la memoria non è mai memoria di informazioni, ma memoria di significati, cosa che stupisce non poco coloro che si occupano di neuroscienze, ma anche i non addetti ai lavori, come si usa dire, perché essendo memoria di significati, essa ha a che fare anche con le emozioni: il significato non è qualcosa di dato ma è qualcosa che muta, perché ha a che fare con qualcosa di relazionale, non appartiene all’oggetto della nostra osservazione né appartiene a noi, ma alla relazione tra noi e quell’oggetto in un momento storico spe-
Da fisico pertanto direi che bisognerebbe parlare non di memoria dell’acqua ma di capacità dell’acqua di reagire a stimoli esterni di tipo elettromagnetico, di tipo elastico e non soltanto. Ci sono tante possibilità di reazione con l’acqua e tutte queste possibilità sono coinvolte nella fisica della materia vivente cifico, per cui la stessa cosa può significare cose diverse in momenti diversi a persone diverse o anche alla stessa persona. Le parole non sempre sono adeguate al significato: il patrimonio esperienziale percettivo che noi comunemente chiamiamo memoria non è che semplicemente aumenta a ogni nuova esperienza, come accadrebbe a un dizionario che via via acquisisce nuove voci. Quel che accade nel cervello è che ogni nuova esperienza comporta una modificazione complessiva di tutta l’informazione precedentemente acquisita, ovvero, questa viene riorganizzata anche in funzione della nuova: è per questa ragione che noi possiamo dire “adesso ho capito”. Questa espressione indica che quello che avevo registrato fino a quel momento alla luce di una nuova esperienza viene modificato. Siamo costantemente nuovi e frutto di una elaborazione non solo razionale, ma anche creativa. La novità è qualcosa che non ha radici, altrimenti non è una novità, non è una conseguenza logica o necessaria di un fatto precedente. La tesi in un teorema non ha in sé stessa nessuna novità, essa è solo la necessaria conseguenza dell’ipotesi, la novità è l’ipotesi, che è del tutto gratuita. Fatta l’ipotesi la tesi è dovuta, è necessaria. L’ipotesi è gratuita. Lei ha ultimamente introdotto il concetto di frattale per comprendere le dinamiche dell’acqua presente nella materia vivente, lo può illustrare in breve? Innanzitutto diciamo qualcosa sul frattale: strutture frattali, tecnicamente definite figure geometriche in tutti i testi scientifici, sono note da molto tempo ai matematici, che hanno individuato tra le proprietà squisitamente matematiche di un frattale la proprietà di auto-similarità e cioè quello che in architettura si chiama modularità, un modulo che se ripetuto può portare a tante forme diverse, ma a
guardare bene, si tratta sempre di un mattone fondamentale, di un modulo. Un sistema è auto-similare quando risulta composto da moduli, pochi, possibilmente uno, che si ripete all’infinito. Nella realtà non esiste un infinito, esiste un numero grande che può essere grande a piacere, ma che è comunque finito, in ogni caso la realtà imita abbastanza bene la definizione matematica di infinito. Ora accade che la natura ami particolarmente il frattale, se ne vedono ovunque: anche il contorno di una nuvola può essere analizzato in termini di frattale. Nell’acqua accade che le molecole sono dotate di dipolo elettrico. In genere, siamo abituati a parlare di poli magnetici, ad esempio nel caso di una calamita. Ma possiamo parlare anche di poli elettrici, nel senso che ci possono essere delle distribuzioni di carica elettrica in misura maggiore o minore in un’estremità anziché nell’altra di un determinato oggetto e l’oggetto in questione può essere infatti anche una molecola di acqua H2O. Gli elettroni dei due atomi di idrogeno amano spendere il loro tempo più in prossimità dell’ossigeno che non dell’idrogeno, e per questa ragione in prossimità dell’ossigeno si ha un addensamento di cariche elettriche negative, mentre dall’altro lato la mancanza di cariche elettriche negative corrisponde a una carica elettrica positiva e quindi si ha un ago elettrico, che possiamo immaginare come una freccetta che da un lato ha carica negativa
Siamo alla ricerca di definizioni perché vogliamo una sicurezza, ma nulla è sicuro perché tutto è in movimento. Noi stessi siamo sistemi aperti: dal punto di vista della vita relazionale la cosa di cui siamo maggiormente accusati è di cambiare idea, di non essere coerenti. Ma proprio questa mancanza di coerenza è il grande privilegio del cervello che, una volta elaborato le informazioni che prima non aveva, decide in maniera diversa, cambia idea. E cambiare idea è un privilegio umano e dall’altro positiva. Questo ago elettrico, questa freccetta viene chiamato dipolo elettrico. Ora questi dipoli se oscillano emettono radiazione elettromagnetica e – qui torniamo al discorso dell’oblio dell’acqua – accade che queste oscillazioni possano essere in fase. Riprendo, per meglio spiegare, un esperimento molto semplice e raccontato più volte, l’esperimento del metronomo: se si mettono tre metronomi sopra un tavolo all’inizio dell’esperimento si osserverà che ciascuno di essi oscillerà secondo un proprio ritmo e quindi sarà fuori fase rispetto agli altri due, ma dopo un certo tempo, poiché ciascun metronomo dissipa energia, ovvero
cede e riceve energia, dopo un po’ di tempo i metronomi entrano in fase, oscillano con la stessa fase, tutti insieme da destra verso sinistra o da sinistra verso destra. Accade così che i tre metronomi siano in fase. Quindi se all’inizio si poteva avvertire anche acusticamente più di un ticchettio, ad un certo punto dell’esperimento il ticchettio diventa uno solo. Tutto questo avviene perché l’energia rilasciata da uno di questi metronomi viene rilasciata con una certa periodicità e il moto è un moto armonico e così avviene negli altri metronomi, ciascuno con la propria periodicità. Infine accade che periodicità diverse si combinino tra loro e ne risulti un periodo ancora diverso, un’alternanza tra bassi e alti, e poi ancora diverso fino a generare un periodo comune. Come un’orchestra: gli strumenti degli orchestrali emettono ciascuno un proprio suono, ma quando l’orchestra inizia a suonare, l’orchestrale non lo si individua più. Lo stesso avviene per l’acqua. Tutto questo per dire che l’ordinamento può essere un ordinamento nel tempo, come accade con la musica, oppure nello spazio. Questo poter essere in fase accade anche con l’acqua. Qui il numero delle molecole è un numero enorme, un’orchestra con un numero enorme di orchestrali. Quando i componenti elementari del sistema acquistano la stesa fase, il sistema entra in uno “stato di coerenza”, che è un regime dinamico, cioè qualcosa che non è fissato per sempre, è qualcosa in un continuo divenire. Ora la matematica che descrive gli stati coerenti è la stessa matematica che descrive un frattale, questa è la novità. Se accade che per due sistemi l’aspetto formale, le equazioni che ne descrivono le evoluzioni nel tempo e nello spazio hanno la stessa “forma” matematica, il matematico e il fisico dicono che c’è un isomorfismo. Nel caso in considerazione, la struttura frattale è isomorfa a quella degli stati coerenti. Capita di osservare strutture frattali a livello sia macroscopico, che microscopico. Se ci piace pensare al mondo come a un sistema costruito partendo da livelli microscopici fino ad arrivare a livelli macroscopici, allora possiamo dire che i frattali sono la manifestazione macroscopica (o anche microscopica, a secondo dei casi) di una dinamica coerente di componenti elementari; quindi non sono degli oggetti (solo) geometrici, sono piuttosto degli oggetti dinamici, sono il risultato di un processo, un processo di dinamica coerente ed è questa la novità introdotta. Per cui nel momento in cui si osserva un frattale, a qualsiasi livello macroscopico o microscopico, quello è un segnale che da qualche parte, al livello dei componenti elementari, è in corso un processo dinamico coerente: giusto per riprendere la metafora, da qualche parte ci sono dei metronomi che sono entrati in fase. Anche il DNA ha una struttura frattale che è stata riconosciuta già in tempi passati e se pensiamo a questa novità del collegamento con lo stato coerente, entra in gioco la dinamica microscopica coerente del DNA, campo molto studiato dal prof.
Luc Montagnier. Ci può raccontare gli esperimenti con il premio Nobel, prof. Luc Montagnier? Montagnier è stato così bravo da registrare il segnale elettromagnetico emesso da una soluzione acquosa di frammenti di DNA di virus o di batteri, la cosa strana è che per soluzioni acquose di agenti non patogeni questo segnale elettromagnetico è molto più difficile da registrare. Sta di fatto che se si sottomette all’azione di questo segnale una provetta di acqua che non contenga frammenti di DNA per un certo tempo e con una certa tecnica e poi si utilizza quest’acqua così “segnalizzata”, sottoponendola a un processo chiamato PCR, che è un processo che rende possibile la duplicazione del DNA, si ottiene un DNA omologo a quello che aveva emesso il segnale nella soluzione acquosa. La conclusione è che il DNA è riprodotto sulla base della sua immagine elettromagnetica, sulla base
Strutture frattali, tecnicamente definite figure geometriche in tutti i testi scientifici, sono note da molto tempo ai matematici, che hanno individuato tra le proprietà squisitamente matematiche di un frattale la proprietà di auto-similarità e cioè quello che in architettura si chiama modularità, un modulo che se ripetuto può portare a tante forme diverse, ma a guardare bene, si tratta sempre di un mattone fondamentale, di un modulo del suo segnale, il che è assolutamente non banale perché è un qualcosa di bassissima probabilità riuscire a mettere nell’ordine giusto la successione di una o più centinaia di nucleotidi. Dal punto di vista della fisica la cosa non è poi così clamorosa: anche se si guarda in replay una partita di calcio che in realtà si è già svolta, lo spettatore parteciperà emotivamente all’evento, come se stesse direttamente allo stadio, poco importa che la partita sia in differita. Quello che vede non è l’agente primo – chiamiamolo così –ma è la sua immagine elettromagnetica. A proposito di aspetti funzionali del cervello, chiudo dicendo che sempre con Freeman, studiando il linguaggio e certi aspetti del cervello ci siamo quasi convinti che il razionale ha davvero molto poco a che fare con il pensare, il pensare ha a che fare soprattutto con l’errare, sia l’errare dell’errabondo, sia l’errare nel senso di fare errori; questa è una visione che va molto controcorrente, perché la storia e l’attività del pensiero, “il pensare” è comunemente inteso come attività squisitamente razionale, dove emozione e sentire sono quasi assenti o poco rilevanti.
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Acqua biologica: intervista al fisico Alberto Tedeschi Di cosa parliamo quando Ci può raccontare i recenti sviluppi sperimentali condotti con il parliamo di acqua biologica? prof. Luc Montagnier e il metodo Quando parliamo di acqua biologica parliamo di un’acqua White? diversa rispetto a quella che Innanzitutto bisogna dire che ricomunemente beviamo, che è usciamo a imprintare un elemento un’acqua liquida che ha già matriciale perché è una soluzione subito un livello di organizzaacquosa e questo promuove un’orzione perché dal vapore l’acganizzazione spontanea di un framqua si è condensata, cedendo mento di DNA in una provetta che la sua energia all’ambiente. Innon ha mai conosciuto quel DNA e fatti, in natura quando qualcoanche nel metodo WHITE Holograsa cede la sua energia si ottiephic Bioresonance il fatto che abne sempre un’organizzazione: biamo un’ acqua di origine biologicome quando da un mucchietto ca derivata dalla fotosintesi, ci ha di mattoni si ottiene una casa. permesso di evidenziare proprietà Perché la natura lavora per miantifiammatorie, rigenerative e la rinimazione di energia, non per programmazione di cellule staminamassimazione come facciamo li. Un recente studio sulla psoriasi, noi nel mondo della tecnica. E pubblicato su una rivista medica, ci già qui siamo di fronte a due Alberto Tedeschi, ricercatore indipendente aiuta a capire che lo studio dei prinmondi, con gli strumenti della WHITE Holographic Bioresonance - Milano cipi attivi e della loro diffusione cofisica e della matematica per me segnali in un contesto biologico affrontare il mondo della biologia, perché nella di un essere vivente è fortemente mediato dall’orgavita quotidiana il mondo della fisica ha seguito nizzazione dell’acqua. È questo il ponte che ci interesquello della tecnica. Ha vinto la tecnica non la sa promuovere, il ponte fra materia e organizzazione, biologia. In questa prima condensazione abbiamo fra materia e principio attivo, che funziona perché megià un livello di organizzazione. Invece, l’acqua diato da una rete di informazioni altamente organizzate contenuta nella materia vivente è un’acqua che che è appunto quella dell’acqua biologica. In quest’otha un livello di organizzazione infinitamente più tica possiamo rivedere tutti i principi attivi che utilizelevato perché risente dell’effetto di superficie, ziamo nella farmacologica ordinaria – e che utilizzano ovvero l’acqua che è presente in un essere vivenil concetto ponderale di massa - in una chiave di acqua te è un’ acqua che si organizza perché è un acqua biologica, il che significa che si potrebbe utilizzare una di velo sulle superfici biologiche che entrano poi parte infinitesimale di quel principio attivo ottimizzato in connessione con le membrane, gli organelli, il perché condotto attraverso il sistema vivente dall’acDNA etc. Si forma pertanto uno strato sottile alqua biologica o anche del suo segnale. La cosa molto tamente organizzato che garantisce una straordiinteressante è che lo studio del frattale di Giuseppe Vinaria funzionalità, un campo organizzativo deltiello ci aiuta a capire che se sono presenti stadi frattali l’intero complesso dell’individuo. Noi esseri c’è coerenza. Ma se rilevo un segnale preso da un’acumani siamo composti come acqua in massa indiqua tipo acqua WHITE o un’acqua informata da Moncativamente del 70% , ma se si tiene conto del tagnier con un DNA che è frattale, vuol dire che avrò numero di molecole presenti nelle catene orgaun oggetto con un’ alta funzionalità biologica. Cosa nizzate, siamo quasi al 99% , praticamente siamo vuol dire? Che in un futuro potremmo avere uno prevalentemente composti di acqua, ma non dismartphone in grado di inviare segnali biologici e curaventiamo una pozzanghera proprio grazie a quetivi, perché manda esattamente segnali di principi attivi sta interazione con le superfici biologiche, da cui dei farmaci e così posso avere un ospedale in tasca, cosi ottiene un’autorganizzazione spontanea. Probame fosse una sorta di iTunes farmacologico. È questa bilmente anche gli ambienti molto umidi rapprela prospettiva di cui mi sto occupando ed è una prosentano delle forme di autorganizzazione. E d’alspettiva anche diagnostica perché la marcatura di alcutro canto se pensiamo anche alla tradizione terne malattie croniche, come HIV ma anche altre, si può male italiana – già attiva ai tempi dei Romani – analizzare andando a vedere alcuni segnali particolari ci rendiamo conto che l’uomo ha sempre conodell’acqua biologica e se questi marcano con determisciuto e riconosciuto le proprietà terapeutiche nati schemi è possibile che ci sia come un residuo indelle acque. È un campo che a mio avviso merita formato della malattia anche se sul piano delle analisi di essere ulteriormente indagato e che ha evidenti classiche non risulta più perché le analisi classiche connessioni anche con gli studi che stiamo facenvanno a vedere i gruppi ponderali quindi le catene modo con il prof. Montagnier. lecolari, ma se non si agisce anche sull’acqua biologi-
ca, allora non si può essere sicuri al 100% di aver debellato la malattia. Al tempo stesso con le informazioni contenute nell’acqua biologica posso anticipare eventi formativi, ovvero andare a verificare gli ambienti interni che possono determinare stadi di salute o di malattia. Quindi anche il concetto stesso di malattia va rivisto in questa chiave perché esistono degli ambienti e delle dinamiche di interazione con quelli esterni che favoriscono o meno lo stabilimento di una regolazione sana. Il sistema immunitario è pesantemente coinvolto dalle terapie antitumorali e molta ricerca medica punta a ridurre questo coinvolgimento, ma ciò che ancora non è tenuto ben in conto è quanto il sistema immunitario sia condizionato dall’attività psichica, quindi senza fare spiritualismi che non mi piacciono, il mio è un invito ad allargare la visione fisica oggettiva materiale di ciò di cui siamo fatti: non siamo fatti solo di mattoncini che interagiscono con altri mattoncini ma anche di livelli organizzativi mediati dall’acqua biologica che poiché interagiscono anche con l’ambiente in cui viviamo, hanno a che fare anche con il nostro vissuto. Tutto questo fa parte di una visione materiale e fisica di ciò di cui siamo fatti e le emozioni sono dei campi elettromagnetici interni che interagiscono con il sistema immunitario: questo non lo dico io, sono ricerche in pieno sviluppo nel mondo ordinario. Che significa mettere in comunicazione corpo e mente con un ambiente pulito? Sempre continuando a parlare del sistema immunitario significa un sistema pronto a rispondere a situazioni di stress e di attacchi senza essere troppo in allerta, una situazione attiva ma non eccessivamente carica. L’acqua WHITE corrisponde ad un acqua di tipo biologico altamente coerente ( supercoerenza), risultando pertanto altamente compatibile con il suo stesso organismo e rispettoso della sua omeostasi. Il rapporto ottimale tra la persona e l’ambiente si verifica infatti quando c’è tra loro un continuo flusso di informazioni e un adattamento reciproco. Perché ciò avvenga, il soggetto deve avere libero accesso alle informazioni ambientali e libera possibilità di risposta. Queste informazioni, perciò, non dovrebbero essere filtrate o deviate da condizionamenti, idee preconcette, reazioni stereotipate e inconsce, altrimenti si creeranno blocchi difensivi e conflitti spesso inutili, che verranno poi reciprocamente ribaditi e mantenuti e che potranno essere alla base di disagi emotivi e disturbi somatici. Le ricerche condotte dal prof. Montagnier evidenziano che i segnali emessi dalle soluzioni acquose possono rilevare degli stati di presenza di malattia o di salute. Nel caso del metodo WHITE Holographic Bioresonance, l’acqua super
coerente è stata usata in forma di gel per trattare la psoriasi, una malattia cronica, e si è visto che dando alla parte lesa un ordinamento più elevato si sono verificate reazioni anti-fiammatorie altamente rigenerative e quindi si è ottenuto un risultato paragonabile a quello che si ottiene con i farmaci ordinari, ma senza gli effetti collaterali che questi ultimi talvolta procurano. Con l’acqua biologica si può abbassare il dosaggio dei farmaci salva vita per esempio, migliorando la qualità della vita della persona in cura e aumentando così anche la sostenibilità dell’impegno farmaceutico. Questa importante ricerca è stata condotta in collaborazione con la prof. Tufano della II Università di Napoli e con il dott. Nicola Del Giudice della la Fondazione Omeopatica Italiana. Faccio un esempio ancora più chiaro: la medusa racchiude bene il concetto di acqua biologica perché è più diluita una medusa dell’acqua di mare in cui nuota: se mettiamo un litro di acqua di mare di medusa e un litro di acqua di mare in cui nuota, l’acqua della medusa è molto più diluita, quindi più pulita del mare in cui vive. Qual è il rapporto tra acqua e omeopatia? Nell’omeopatia si perde il numero di Avogadro per cui non c’è più la traccia fisica della sostanza disciolta ma ci sono parti infinite che hanno un valore terapeutico. Quindi c’è una relazione tra questi studi e l’omeopatia, perché omeopatia è un caso particolare che dimostra come il suo metodo curativo possa essere favorito dagli studi condotti sull’acqua biologica. Nell’omeopatia la sostanza curativa subisce una serie di succussioni e quindi questi studi possono favorire anche un inquadramento dell’approccio curativo omeopatico in chiave fisica. È auspicabile un’unione tra queste diverse discipline che hanno a cuore la visione sistemica dell’essere vivente. Nella Low-Dose Medicine si diluiscono le sostanze tenendo basso il dosaggio e si producono così delle molecole riconosciute dalla medicina e quindi rimette in chiave biologica vecchi rimedi. La Low-Dose Medicine è la nuova frontiera attiva e ci sono aziende omeopatiche che si stanno muovendo in tal senso. Tutti noi ci auguriamo e lavoriamo per una riduzione complessiva dell’inquinamento del vivente. Anziché continuare a percepire e registrare attriti o negatività provenienti da circostanze, persone, oggetti esterni, sarà cioè possibile integrare le informazioni ambientali come facenti parte o agenti anche dall’interno del proprio sistema. L’organismo andrà così naturalmente modificando, nei tempi e nei modi che gli sono propri, il suo assetto e la sua capacità di risposta, ottimizzandola.
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Un momento chiave per le risorse idriche Intervista a Stefan Uhlenbrook, coordinatore dell’UN WWAP a cura di Simona Gallese
Stefan Uhlenbrook ha recentemente assunto l’incarico di coordinatore del Programma delle Nazioni Unite per la Valutazione delle Risorse Idriche mondiali (UN WWAP), un segretariato delle Nazioni Unite ospitato e guidato dall’UNESCO, con sede a Perugia. La sua area di competenza professionale riguarda i processi idrologici e la modellazione idrologica dei bacini idrografici. Si è dottorato nel 1999 presso l’Università di Friburgo, in Germania ed è stato professore presso l’Università di Tecnologia di Delft, presso l’Istituto di Water Education dell’UNESCO (UNESCOIHE) e presso l’Università Vrije di Amsterdam. All’UNESCO da undici anni: è stato docente di Idrologia e Presidente del gruppo sulle risorse idriche e idrologia dell’Istituto di Water Education dell’UNESCO (UNESCO-IHE) dal 2005 al 2010, direttore degli Affari Accademici dell’Istituto dal 2010 al 2012, vice Rettore dal 2013 e Rettore ad interim dal novembre 2014. L’obiettivo del Programma delle Nazioni Unite per la Valutazione delle Risorse Idriche Mondiali (UN WWAP) dell’UNESCO è informare e influenzare i leader e i decisori politici dei governi, la società civile e il settore privato sull’utilizzo sostenibile dell’acqua. Migliorando la gestione della risorsa più preziosa per l’umanità l’Un WWAP promuove uno sviluppo sociale ed economico sostenibile per tutti. Stefan, lei ha di recente assunto l’incarico di coordinatore dell’UN WWAP. Qual è lo stato dell’arte sul lavoro che porta avanti questo segretariato? Ho iniziato a lavorare con UN WWAP in un momento chiave nella storia dell’UNESCO. Il processo di negoziazione per la definizione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) ha appena raggiunto le sue battute finali. Gli obiettivi e gli indicatori concordati daranno forma all’agenda di sviluppo della comunità internazionale per i prossimi quindici anni. Questo è un momento chiave anche per UN WWAP che giocherà un ruolo importante nel monitoraggio dell’obiettivo di sviluppo sull’acqua (SDG # 6). Inoltre, in occasione della Conferenza generale dell’UNESCO a Parigi, UN WWAP ha lanciato una pubblicazione innovativa riguardante gli indicatori sull’acqua disaggregati per sesso e siamo sempre più riconosciuti per l’originalità del nostro lavoro nel campo delle risorse idriche e le questioni di genere. Siamo l’agenzia ONU responsabile di coordinare il lavoro delle agenzie di UN-Water (di cui fanno parte 31 organizzazioni internazionali) nella produzione del Rapporto delle Nazioni Unite sullo Sviluppo delle risorse idriche mondiali. Il Rapporto è annuale e tematico e ogni anno analizza i nessi tra la risorsa idrica e un’altra dimensione, evidenziandone
interconnessioni, conflitti o sinergie. L’edizione del 2015 ha trattato il tema Acqua e sviluppo sostenibile, mentre quello del 2016 verterà su Acqua e lavoro.
L’obiettivo del Programma delle Nazioni Unite per la Valutazione delle Risorse Idriche Mondiali (UN WWAP) dell’UNESCO è informare e influenzare i leader e i decisori politici dei governi, la società civile e il settore privato sull’utilizzo sostenibile dell’acqua. Migliorando la gestione della risorsa più preziosa per l'umanità l’Un WWAP promuove uno sviluppo sociale ed economico sostenibile per tutti Quali sono i dati più rilevanti dell’ultimo Rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche mondiali? Da qui al 2030 il pianeta dovrà far fronte a un deficit di approvvigionamento idrico del 40%, salvo che non venga fortemente migliorata la gestione di questa preziosa risorsa, è stata l’inequivocabile conclusione dell’edizione 2015 del Rapporto, sottolineando l’urgente necessità di modificare il modo in cui questa vitale risorsa viene gestita e utilizzata. Le risorse idriche e la molteplicità di servizi che queste rendono possibili sono il fondamento della riduzione della povertà, della crescita economica e della sostenibilità ambientale. Dalla sicurezza alimentare ed energetica alla salute dell’uomo e
ECONOMY
WATTER for a
ENVIRONMENT
Expanding
SUSTAINAB A LE WORLD
Glaciaarrs Glaciar
Aquatic ecosystems are central to sustaining a biodiversity and an and nd all alll forms al orm or rms ms of of de developm op o pm p meen ment ent ntt. n
economic opportunities
ater th through hr roug gh h wat
Soolar lar Radiation Raadiaation
Plaants Plants
Precipitations Pre cipitattionns
Water is an essential resource
Animals
in the production of goods and services, including food, electricity and most manufactured products.
SOCIETY
Surface Water
the WATER and SOCIETY
In Pakistan a
RELATTIONSHIP TIONS
Groundwater
Nutrients
There is a need to shift towards environmental a ly susta ainable economic policies that also consider the interconnection of ecological systems to address human impacts and maintain a productive ecosystems.
impacts of
3 years of repeatted
Water supply (quantity and quality)
(2010-2012)
must be reliable and predictab a le to support financially sustai a nable economic activities. Infrastructure that reduces risks from water scarcity and water-related t disasters such as floods and droughts increases the resilience of economies.
3,072 lives lost US$16 billions in damages cut the expected annual growth rate t in half (2.9% instead of the projected 6.5%)
Impacts of Neglectful Water Management oor or peop ve very dir
BENEEFITS BENEFITS IMPROVED
WATTER
SERVICES
poverty
IMPROVED
SANITAATTION
water
SERVICES
100%
The
suuch as agro-proc grro-prrocesso sors, orss, tex t xtile dyeing ddyeein ngg Smallalll-scale in ind dustri trries, such a reelease toxic oxic ox c pol olluta ta ants ntts innto local al wat aterss. s andd ta and an ann nneri ries, can
is a TWO-WAY street
P P
Untreat U Untr atted teed eff e fluent ef ueentt fro ffrom om ur rban a settlements em men nts an a and d ind industry pos oses a major ajo aj or healltth th tthr th hr rea att to peop eople, e the tth hee eec economy coon no omy y and and an d tthe hee environme vir ronm meen ent.
Defor De oresta tat ation ioon n
resu s lt lttss in i deg deegradat ation ion n and a d desertificat ation n of wat of atersheds rssheeds r edss and a an nd catchment chm meentt areas, as, s a d re an and e uc ed educ ces the thhe amoun moun mo ntt n of safe affe wat ater av av va a lab ai ble down wnstr t ea am. m.
Overall DEMAND for WATE T R DEMAND through 2050
75% wat ater demand
is s not nott col no c llected ec ctedd or o tr treat ate ted. ted.
Access to adequatte and safe water supplies is essential for poverty reduction, yet poverty itself can be a driver of pollution and unsustai a nable use of water resources.
<$
The challenge is to manage water resources to maintain a a BENEFICIAL MIX between built and nat tural infrastructure and provision of their respective services.
Over 80 80% of o wastewa atter wo worl orrldwide iddee
the RELATTION between WATTER and POVERTY
from
Current food production practices are responsible for nitrogen, phosphorous and pesticide loading and fisheries depletion.
3 and and USS$20.2 an $20..2 tril $2 trillio on n per year IItt is estimated te ted that at betw tween weeen US US$4.3 worth of ecosystem services were lost between 1997 and 2011 due to land use change.
BRICS countries OECD countries
50%
Basic provision of water and sanita ation services is required to unlock the potential of economic growth, particularly to break the vicious cycle of low productivity linked to poor healtth and lack of educational opportunities that mainta ains poverty and economic stagnation.
DEVELOPING COUNTRIES 25%
MANIFACTURING INDUSTRY (7-22%)
0% 2020 2025 2030 2035 2040 2045
2050
CLIMATE CHANGE has
Enhancing Water Resources Management
Improved access to safe water, basic sanita ation and improved hygiene is one of the most effective way ys to improve healtth
There is a need to change the way in which water and the environment more generally are valued, managed and used, and to refocus investments accordingly.
Water provides livelihood and entrepreneurial opportunities, generating high returns for local economies
REDUCED VULNERABILITY Reducing the risks and impacts of hazards relatted to volatile politics and economics as well as unsustai a nable environmenta al ttrends and shocks from water relatted nattural disasters
Education (in percentage)
hygiene improves healtth and reduces poverty
ECONOMIC GROWTH
po pollution n pollutio polluti utioon po on pollutio pollution pollut utioon ollutionn pollution polluti utionn pollution pol ollutionn pollution pollutio tion pollution poll ollution poll p lution lutio ion pollution pollu llution pollution po on pollution pollut lutionn pollution po on pollution pollut ution lution lut ution pollutio pol ollutioonn pollutio pollution tion pollution poll ollution ution u pollu po pollutio pollution tion pollutio pollu llutioon pollution ppollutioon pollution pollu lution pollution po on poollution ollut ution pollution po n pollution polluti ution pollutio pol ollutioonn pollution pollutio tion pollution poll ollution pollution ppollutio ion pollluti llu on pollution po on lution on pollution pollut ution llutionn pollution polluti ution pollution pol ollutionn pollution pollutio tion pollution poll ollution pollu p ution utio ion pollution pollu llution pollution p on ollution olluti ution poollution oll n pollution ppollutio tion pollution pollu llution pollutio p on pollution pollu lution pollution po on pollution pollut ution olluti ollution lutio tion pollution pol pollu llution onn ppollutio pollution utioon pollution pollu polllutionn pollution ppo pollutio ution on pol poll olllution lut lu utionn pollution ppo tionn lution tionn pollution pollut lluti ution ppoollution ionn pollution ppollut llutio tion plution plu plut utionn lution lu luti ution oll olllution pollution ppollutio ution on pollution poll ollu lutionn pollutio polluti ppo utio pollut pollution lution pollutio po on pollution pollut ution pollution pol ollutionn pollution pollutition poollutionn pollution ppollutio tion pollution pollu llution pollutio p on pollution pollu lution pollution po on pollution pollut ution pol pollution llutionn pollution polluti ution pollution pol ollutionn pollutt llutio llution tion pollution pollu llution pollution p pollutio on pollution pollu lution pollution po on polluution pollution po n pollution polluti ution 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ENHANCED LIVEHOODS SECURITY A range of production activities require reliable water supplies
a significant impact on ecosystems, threatening t biodiversity, while increased frequency and strength of storms and tidal surges will increase DAMAGE and VARI A ATION of sediment transfer in river flows.
12%
In Ghana, a 15-minute reduction in water collection time increased girls’ school attendance by 8% to 12%.
0%
A US$15 to US$30 billion investment in improved water resources management in developing countries can have direct annual income returns in the range of US$60 billion.
15 minutes less
60’
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Distance to water source (in minutes)
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US$1
Every invested in watershed protection can save anywhere . to nearly US$200 in costs from US$7.5 for a new water treatment tmen t and filtration facility.
Sustaining a the gains of economic progress requires investing in the protection of ecosystems for maintaining a the various water-relatted environmental a services they provide, and upon which the economy depends.
The creation of ‘GREEN CORRIDORS’ along rivers, floodplains and streams can link ECOSYSTEMS, thus absorbing nutrients and reducing water pollution.
As populations increase and ecosystem services decline, the risk of resource conflicts rises especially where tensions already exist. Policies should seek to increase participa ation of all stakeholders (local, regional and national) including rural women in developing countries, who already act as grassroots ecosystem managers.
Ecosystem valuation is based on what users would be willing to pay directly for services, or what it would cost to replace the same services with built infrastructure.
vector: r: freepik.com free k.com
2015
Marco Tonsini per WWAP
dell’ambiente, l’acqua contribuisce al miglioramento del benessere sociale e a una crescita inclusiva, con effetti sul sostentamento di miliardi di persone. La domanda globale di acqua è in larga misura influenzata dalla crescita della popolazione, dall’urbanizzazione, dalle politiche in materia di sicurezza alimentare ed energetica, come pure da processi macroeconomici quali la globalizzazione del commercio, il cambiamento delle abitudini alimentari e la crescita dei consumi. Secondo le stime, entro il 2050 la domanda globale di acqua aumenterà del 55%, principalmente in ragione della crescita della domanda del settore manifatturiero e dei quantitativi necessari alla generazione di energia da centrali termoelettriche e per usi domestici. Investire nel miglioramento dei servizi e della gestione idrica può tradursi quindi in riduzione della povertà e sostegno alla crescita economica. Politiche in materia idrica incentrate sul tema della povertà possono cambiare, infatti, la vita di miliardi di poveri, che potrebbero ottenere vantaggi diretti dal miglioramento dei servizi idrici e igienici, con conseguente miglioramento della salute, riduzione dei costi sanitari, aumento della produttività e risparmio di tempo. L’acqua costituisce una risorsa essenziale per la produzione delle più svariate tipologie di beni e servizi. Investimenti adeguati in infrastrutture finanziate e gestite adeguatamente e soggette a una corretta manutenzione agevolano i cambiamenti
strutturali necessari per la sviluppo del progresso in numerosi settori produttivi dell’economia. Attualmente, la maggior parte dei modelli economici non assegna il giusto valore ai servizi essenziali garantiti dagli ecosistemi di acqua dolce, ciò che spesso conduce ad un impiego insostenibile delle risorse idriche e a un degrado dell’ecosistema. Urbanizzazione incontrollata, pratiche agricole inadeguate, deforestazione e inquinamento sono solo alcuni dei fattori che danneggiano gli ecosistemi e che indeboliscono la capacità dell’ambiente di garantire servizi ecosistemici. L’adozione di una “gestione basata sull’ecosistema” costituisce un elemento chiave per garantire la sostenibilità delle risorse idriche nel lungo periodo. Quali sono le sfide decisive per lo sviluppo in tema politiche idriche? Le concatenazioni tra acqua e sviluppo sostenibile vanno ben oltre le dimensioni sociale, economica e ambientale. La salute dell’uomo, la sicurezza alimentare ed energetica, l’urbanizzazione e la crescita industriale, come pure i cambiamenti climatici, costituiscono sfide decisive in cui le politiche e gli interventi per la promozione dello sviluppo sostenibile possono risultare rafforzati (o indeboliti) a seconda del ruolo assegnato all’acqua. La carenza di approvvigionamenti idrici e di servizi igienico-sanitari pesa enormemente sulla salute e sul benessere, oltre a comportare costi finanziari enormi, tra l’altro a causa della perdita
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considerevole di attività economica. Per poter conseguire un accesso universale alle risorse idriche è necessario accelerare il progresso tra i gruppi svantaggiati e garantire l’assenza di discriminazione nella fornitura di approvvigionamenti idrici e di servizi igienico-sanitari. Gli investimenti in questi ultimi campi comportano un guadagno economico sostanziale; secondo le stime, nei territori in via di sviluppo il rendimento degli investimenti si colloca tra i 5 e i 28 dollari americani per ciascun dollaro investito. L’incremento del numero di persone senza accesso ad acqua potabile e servizi igienici nelle aree urbane è direttamente correlato con la rapida crescita della popolazione che nei paesi in via di sviluppo vive nelle baraccopoli, oltreché con l’incapacità (o la mancanza di volontà) dei governi locali e nazionali nel promuovere la fornitura di acqua potabile e di strutture igienico-sanitarie in queste comunità. In tutto il mondo, la popolazione che vive in questi quartieri degradati, che secondo le stime raggiungerà i 900 milioni entro il 2020, risulta anche più vulnerabile agli impatti degli eventi meteorologici estremi.
Il Rapporto è annuale e tematico e ogni anno analizza i nessi tra la risorsa idrica e un’altra dimensione, evidenziandone interconnessioni, conflitti o sinergie. L’edizione del 2015 ha trattato il tema Acqua e sviluppo sostenibile, mentre quello del 2016 verterà su Acqua e lavoro Da qui al 2050, l’agricoltura dovrà produrre in tutto il mondo una quantità di alimenti del 60% superiore rispetto ai livelli attuali. Poiché Il settore agricolo rappresenta circa il 70% di tutti i prelievi di acqua dolce a livello globale, il settore dovrà rafforzare la sua efficienza nell’utilizzo dell’acqua riducendo gli sprechi, incrementare la produttività delle colture in rapporto all’acqua utilizzata e ridurre l’inquinamento dell’acqua correlato. Oltre 1,3 miliardi di persone non hanno accesso all’elettricità, ed esiste la necessità di soddisfare una domanda in costante aumento. La produzione di energia è generalmente ad alta intensità idrica. La necessità di soddisfare una domanda costantemente crescente di energia comporterà una sollecitazione aggiuntiva a carico delle risorse d’acqua dolce, con ripercussioni su altri settori, quali l’agricoltura e l’industria. Poiché anche questi ultimi necessitano di energia, uno sviluppo congiunto di questi settori potrebbe permettere la creazione di sinergie. Secondo le previsioni, la domanda mondiale di acqua da parte dell’industria manifatturiera crescerà
del 400% tra il 2000 e il 2050, la percentuale più alta di tutti i settori; buona parte di questo incremento si registrerà nelle economie emergenti e nei paesi in via di sviluppo. Appare probabile che le conseguenze negative del cambiamento climatico sugli ecosistemi delle acque dolci saranno superiori rispetto ai potenziali vantaggi. Secondo le proiezioni attuali, i cambiamenti nella distribuzione temporale e spaziale delle risorse idriche e la frequenza e intensità dei disastri provocati dalle acque cresceranno significativamente di importanza di pari passo con l’aumento delle emissioni di gas serra. Quali ritiene siano gli obiettivi più rilevanti per il progresso verso una governance dell’acqua? Per quanto riguarda l’acqua, gli Obiettivi del millennio hanno permesso la promozione di maggiori sforzi verso il miglioramento dell’accesso all’acqua potabile e agli impianti igienico-sanitari. Tuttavia l’esperienza degli Obiettivi del millennio evidenzia come nell’agenda per lo sviluppo post 2015 sia necessario un quadro tematico più ampio, maggiormente dettagliato e con un contesto più specificamente riferito all’acqua, al di là dei temi dell’accesso all’acqua e agli impianti igienicosanitari. ll progresso verso una governance dell’acqua richiede la partecipazione di numerose parti attive socialmente, attraverso strutture inclusive di gestione che siano ben consapevoli della dispersione dei processi decisionali tra diversi livelli ed entità. A titolo di esempio, risulta assolutamente essenziale riconoscere il contributo delle donne alla gestione dell’acqua a livello locale, nonché il loro ruolo nei processi decisionali relativi all’acqua. Negli ultimi anni numerosi paesi hanno riorientato le proprie politiche in materia di risorse idriche verso un approccio integrato alla gestione delle stesse; tale approccio costituisce una solida base affinché i paesi adottino processi decisionali più integrati in grado di fornire maggiori incentivi per lo sviluppo sostenibile con l’acqua in grado di costituire un catalizzatore del progresso. Il monitoraggio della disponibilità di acqua, del suo utilizzo e delle relative conseguenze costituisce una sfida enorme e costante. Informazioni affidabili e oggettive sono spesso scarse, insufficienti in taluni casi del tutto inesistenti. Sussiste quindi la necessità urgente di abbinare dati e informazioni sulle risorse idriche e sul loro utilizzo a indicatori di crescita di diversi settori economici, con l’obiettivo di valutare il ruolo e il contributo dell’acqua allo sviluppo economico. Sarei molto lieto di poter discutere le possibili sinergie tra le ricerche condotte nel campo delle risorse idriche all’Università di Roma Tre e il nostro lavoro. Per qualunque informazione potete contattare il nostro Segretariato, scrivendo a wwap@unesco.org o chiamando il +39 075 591101.
AquaBoll Acqua, materia della vita. Intervista a Paolo Scoppola e Christina Sassayannis Federica Martellini Paolo Scoppola realizza video installazioni, in cui le immagini e i suoni dipendono dai movimenti degli spettatori. La sua creatività è avvenuta in diversi ambiti, dalla composizione musicale, alla fotografia del paesaggio e all’informatica, che ha studiato all’Università di Roma. Nel 2008 ha presentato il suo primo lavoro: Reflection, al Festival di Spoleto. Nel 2011 è stata la volta di Air Drops al Teatro Miela, un lavoro di pittura interattiva che termina due anni dopo al FuoriSalone 2013. Nel 2012 ha collaborato con l’Istituto Nazionale Di Fisica Nucleare per la realizzazione de Il Dono della massa, esposta in diversi contesti internazionali tra cui l’Art Science Musuem di Singapore. Nel 2013 ha partecipato con l’opera Sonora all’inaugurazione del MUSE, Museo delle Scienze di Trento. Nel 2014 ha realizzato In cammino nel tempo per il fotografo Fabiano Ventura e il suo progetto Sulle tracce dei ghiacciai. Nel 2015 ha partecipato con AquaBoll all’esposizione Visualizing Water Worlds, all’Arsenale di Venezia. www.paoloscoppola.com
Christina Sassayannis è antropologa, project manager e curatrice. Il suo interesse è principalmente rivolto alla relazione tra uomo e ambiente. Nel 2012 realizza Through Waters, un progetto che attraverso l’acqua e l’arte, coinvolgendo artisti, studenti ed esperti, tocca città di tutto il mondo: Pechino, Tianjin, Chongqing e Qingdao, in Cina; Sarajevo, in Bosnia-Herzegovina; Phnom Pehn e Siem Rep, in Cambogia, approdando in Europa, a Salina nel 2013 e a Venezia nel 2015, per proseguire a Barcellona nel 2016. Curatrice degli eventi Through Waters, ha creato una collezione di opere fotografiche, installazioni, video e documentari, coinvolgendo artisti di tutto il mondo. Le esposizioni e gli incontri interdisciplinari, da lei organizzati nei diversi paesi, si sviluppano parallelamente al lavoro con le scuole e con gli studenti. www.throughwaters.org «C’è una strana atmosfera quando si smonta un’installazione interattiva. Quel piccolo spazio davanti allo schermo, che per mesi ha visto persone muoversi in totale spontaneità, di colpo torna ad essere un pavimento. È questo il momento in cui nascono le riflessioni. Ho visto persone danzare, altri saltare, contorcersi, altri ancora muoversi in modo quasi impercettibile. Ognuno si è espresso definendo un proprio linguaggio, a volte sorprendentemente originale. Come se l’opera non fosse solo sullo schermo ma soprattutto nella creatività degli spettatori. Ed è forse questo uno degli aspetti più interessanti del concetto di “interazione”». Con queste riflessioni Paolo Scoppola ha chiuso l’esposizione veneziana della sua videoinstallazione interattiva AquaBoll. L’installazione è stata ideata ad hoc per la mostra Visualizing Water Worlds, patrocinata da UNESCO e realizzata da Civiltà dell’Acqua a Venezia, all’interno dell’Arsenale della Tesa 105, dal 30 giugno fino alla fine di ottobre. Through Waters, partner in occasione di EXPO to Venice di Visualizing Water World, è un’associazione con progetti artistici e educativi ideati e curati da Christina Sassayannis, che promuovono il tema della consapevolezza sull’acqua, nella sua dimensione culturale, sociale e antropologica attraverso percorsi artistici e workshop didattici. Qualche giorno dopo la chiusura della mostra ho in-
contrato Paolo e Christina a Roma, per scoprire qualcosa di più su questo loro viaggio intorno, o forse meglio dire dentro, l’acqua. Paolo, ci vuoi raccontare qual è stata la genesi di AquaBoll? Da cosa nasce il progetto e come ha preso forma? AquaBoll è un’installazione sul tema dell’acqua, nata come esperimento intorno ad un mio precedente lavoro, Boll, e poi sviluppata per il progetto Through Waters. Mentre ti muovi di fronte allo schermo, il tuo corpo disegna forme di colore blu con i bordi che sembrano spuma. Le tue braccia si muovono e producono il suono delle onde. Ma dov’è il mare? È fuori? È dentro? Facciamo prima un passo indietro: che cos’è Boll? Boll è una installazione che ho realizzato da solo, mettendo a frutto idee ed esperienze maturate nel corso di anni. È concepita per essere molto polivalente, non quindi come un’opera fissa, che parli di qualcosa, ma più come uno strumento di narrazione. E l’elemento centrale di questa installazione è il rapporto fra l’esteriore e l’interiore. Il titolo infatti è Boll: io e loro. Sono varie scene interattive in cui c’è sempre una sorta di velo virtuale che tu decidi di attraversare o di non attraversare. Se lo attraversi, qualcosa succede sullo schermo e in un certo senso capisci di essere in contatto con la realtà, il tuo corpo interagisce con l’esterno;
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AquaBoll, ©Paolo Scoppola
se resti invece al di qua di questo velo, tu osservi e basta. Ed è un po’ una metafora di tante situazioni in cui decidiamo di interagire o meno con l’esterno: parlo con te o non parlo con te, esco di casa o non esco di casa, sto in camera oppure parlo con altre persone. Insomma è un modo di analizzare e raccontare questo passaggio che facciamo sempre fra stare con noi stessi e stare con gli altri e il punto di focalizzazione è il passaggio. Quell’attimo in cui decidi: mi connetto. Essendo un lavoro aperto da cui sono nati anche lavori commerciali, quando Christina mi ha proposto di fare qualcosa insieme sul tema dell’acqua mi è venuto
Mentre ti muovi di fronte allo schermo, il tuo corpo disegna forme di colore blu con i bordi che sembrano spuma. Le tue braccia si muovono e producono il suono delle onde. Ma dov’è il mare? È fuori? È dentro? spontaneo pensare: quella membrana è la pellicola dell’acqua. L’acqua in effetti sembra un mezzo molto interessante in questa prospettiva, della connessione fra dentro e fuori… Sì, poi fra l’altro, ci sono anche delle componenti dell’aspetto creativo che mi hanno stimolato, nel senso che in realtà in Boll tu interagisci con una serie di piccoli punti, si chiamano particelle, che in realtà sarebbero molecole d’acqua quindi alla base c’era già questo concetto... Così AquaBoll è nato come un esperimento con l’idea che in futuro, trovando i fondi, si farà poi un lavoro pensato da zero sull’acqua, con Through Waters. Questo è stato un primo congiungimento di intenti e di idee. Il risultato è un’installazione in cui hai varie scene di cui quella principale è una
sorta di schermo bianco dove tu entri, compare la tua sagoma e la tua sagoma diventa acqua, acqua che cambia colore, nelle varie sfumature del mare, e lascia una scia. E queste sfumature che lasci ricordano fortemente le onde del mare, anche la spuma è stata ridisegnata e quindi in un certo senso vivi l’esperienza di percepire l’acqua e il mare in un modo completamente diverso da quello abituale. Questo è alla base del mio lavoro: farti pensare a qualche cosa sconvolgendo un po’ i tuoi sensi. Christina, quella di Venezia quindi è stata un’esperienza che ha portato all’esordio AquaBoll. ma Through Waters è un progetto artistico itinerante più ampio, se ho ben capito… Sì, Venezia è stata la seconda tappa in Italia del nostro progetto che è nato nel 2012 a Pechino. Esponendo lavori di artisti internazionali, oltre al lavoro con le scuole, Visualizing Water Worlds a Venezia è stato una nuova occasione per evidenziare il potenziale che ha l’arte nella sensibilizzazione su un tema così importante come l’acqua. È un percorso che ha già una nuova tappa, a Barcellona, all’Istituto di Cultura Italiano, perché AquaBoll fa parte insieme ad altre opere del patrimonio artistico che Through Waters porta in giro, con i suoi eventi. A Venezia fra l’altro lo spazio espositivo era a 50 metri dall’acqua e si sentiva un legame molto forte. Come diceva prima Paolo il nostro incontro è stato attraverso questo progetto sull’acqua perché in effetti questa relazione che si instaura fra l’io e il movimento, la pulsione verso l’esterno, verso l’espressione, che è il cuore del lavoro di Paolo, è anche uno dei focus sui quali Through Waters lavora, per sottolineare l’importanza dell’interazione con l’altro, attraverso l’arte. Così quando ho visto Boll è stato emozionate vedere come sia possibile attraverso questa installazione diventare attore di un qualche cosa che normalmente noi
AquaBoll, ©Paolo Scoppola
siamo abituati ad osservare con l’occhio di qualcun altro o attraverso il sentire di qualcun altro. Con il lavoro realizzato da Paolo invece si arriva effettivamente a interagire con se stessi. Abbiamo visto come anche i visitatori si approccino lentamente: inizialmente sono molto timidi, non sanno di cosa si tratta; i bambini sono quelli che per primi vanno davanti al proiettore, giocano con i loro movimenti, incuriosendo gli adulti a entrare in contatto con lo schermo. In AquaBoll più sei presente in quel momento davanti allo schermo più il colore diventa profondo e intenso e l’acqua prende forma. Paolo: Quando entrano nello specchio dello schermo, di fatto entrano nell’acqua. Sembra la scena di chi si trovi per la prima volta di fronte al mare: i bambini si buttano per primi. Si tuffano in AquaBoll, ma si tuffano nell’acqua. È la stessa cosa. Christina: l’idea di Through Waters è proprio quella di una via, attraverso l’arte, per entrare maggiormente nel profondo delle relazioni, del dialogo, del cambiamento, di trasformazione della consapevolezza di un elemento che è prezioso, ma che non viene purtroppo più sentito come tale. L’acqua è un elemento della nostra vita e possiamo imparare a conoscerla e attraverso essa a conoscerci in un altro modo, a ritrovarne il valore. E quali sono, Paolo, le reazioni nel pubblico che hai potuto osservare? Questo in effetti è quasi la metà del mio lavoro, perché ogni installazione è frutto dell’esperienza sul campo. Anche Christina se ne è resa conto. Un’installazione interattiva è fatta di tante cose: fondamentalmente è software, codice. Poi ci sono le mie musiche, che
compongo ad hoc, e a volte delle immagini. Poi c’è lo spazio, l’allestimento. E infine c’è l’evento. Dove la senti veramente concreta, però, è nell’esperienza delle persone. Nell’installazione interattiva la relazione è centrale. La differenza rispetto a qualunque altra forma d’arte è che quello che compare sullo schermo dipende, fisicamente, dal corpo di chi è spettatore, cosa che non accade con la letteratura o con il teatro o con la pittura, dove l’opera ha la sua forma a prescindere da chi la guarda. La sua forma fisica, non concettuale. Qui invece la forma fisica dipende esclusivamente da chi ci sta di fronte ed è questo l’elemento dirompente e in questo senso, a livello più profondo, quello che cambia sono i processi cognitivi, perché per la prima volta ci troviamo di fronte a delle immagini e dei suoni che non vivono di vita propria ma che sono il frutto di quello che noi facciamo. Una cosa è vedere un pallino giallo fermo, altra cosa è vedere un pallino giallo che segue il tuo naso. È un altro processo cognitivo. E questo è quello che studio, per capire come reagisce il pubblico: la velocità con cui accedono alle cose, i colori, i suoni. I suoni sono fondamentali. Spesso nei workshop provo a vedere delle installazioni in cui spengo l’audio e impressionantemente si perde tutto, come in un film da cui togli il sonoro. Quindi lo studio di quello che fa il pubblico è la partenza, perché è da lì che parti ed è lì che ritorni. Alla fine il discorso deve ritornare lì: a vedere che cosa fa il pubblico e in questa mostra, per la prima volta, abbiamo registrato gli snapshot dello schermo, mese per mese, per vedere i vari disegni che facevano le persone. Ed è stato interessante scoprire delle forme di pittura che io non avevo mai visto.
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Vale a dire? Ogni persona, sulla base dei propri gesti, lascia una scia diversa. E questa volta, dal momento che le abbiamo registrate, abbiamo potuto rivedere tutte le performance. Prima d’ora non avevo mai visto tutti i secondi in cui Boll era stata proiettata. Quello che abbiamo scoperto è quanto sia sorprendente l’originalità con cui alcune persone si comportano di fronte allo schermo. Quando la abbiamo smontata – ed è questo il motivo della riflessione che ho scritto – mi veniva da pensare che quel pavimento non era un pavimento: era stato un luogo di vita, c’era scritta una storia. Come quando scrivi il libro dei ricordi di una mostra: qui il libro è stato scritto con i movimenti del corpo. Christina: Anche per questo Through Waters è una mostra itinerante. Il nostro obiettivo è proprio quello di arrivare a toccare città e luoghi diversi e cambiare anche, a seconda dei luoghi, lasciando qualcosa, ma anche acquistando qualcosa, sia dal punto di vista professionale sia dal punto di vista relazionale. Questo lo si vede anche nel lavoro che facciamo nelle scuole, con i workshop didattici. Ad esempio osservare, attraverso i disegni, che tipo di percezione i bambini hanno dell’elemento acqua a seconda del luogo in cui vivono, a Roma, in Cina o su un’isola, è molto interessante: la differenza è forte. Ed è forte mettere insieme tutte queste differenze di percezioni. Da questi disegni nasce Drawing Cloud, una nuvola di disegni che scende giù dal soffitto e crea un percorso tra colori, parole e segni di studenti di tutti i luoghi in cui approdiamo con la mostra artistica. A Venezia non abbiamo potuto installare questi lavori, ma abbiamo inserito alcuni dei disegni realizzati in Cina e a Roma in una delle scene di AquaBoll. Paolo: AquaBoll è fatta di più scene: quella delle maree è la prima che abbiamo presentato, ma in realtà ce n’è anche una seconda che è la visualizzazione dei disegni di Drawing Cloud sullo schermo: vengono messi come una sorta di particelle che navigano e quando tu compari rimbalzano sulla tua sagoma, quindi è come se tu nuotassi in mezzo ai disegni. C’è un disegno che a me piace molto: un bambino ha disegnato una figura umana, con tutto il sistema venoso fatto a forma di tubi d’acqua. Viene dalla Cina. Ecco la nostra idea è che man mano che verranno fatti altri workshop, questi disegni, provenienti da varie parti del mondo, entrino dentro AquaBoll e la alimentino. Christina, vuoi parlarci un po’ più diffusamente dei workshop che fate con i bambini e in generale delle attività di Through Waters, di come hai iniziato a lavorare sul tema dell’acqua? Alla base di Through Watres c’è l’idea di valorizzare l’elemento acqua e di stimolare una maggiore consapevolezza del nostro rapporto con esso. Sono partita da gesti semplici della quotidianità, di educazione domestica, con i miei figli. Poi ho capito che bisognava attivare qualcosa di diverso. Anni fa in Sardegna ho trovato un libro sulle fonti, che mi è stato di grande ispirazione, La donna delle sette fonti (di Antonio Manca, Condaghes, 2007). Il libro è la storia, contemporanea, di una ragazza malata di depressione che a
un certo punto viene portata dalla madre in montagna, da delle zie, le quali la mettono nella loro trattoria a lavare i piatti e da lì inizia un percorso… Entrare in relazione con l’acqua, toccarla, ascoltarla sentirla crea un contatto tra dentro e fuori. Anche i bambini, ad esempio, quando sono molto nervosi, entrando in contatto con l’acqua, si calmano. Così ho iniziato a studiare come trasmettere questo sapere ai bambini, in modo tale che anche loro siano consapevoli che giocare con l’acqua non è solo giocare, ma anche entrare in contatto. Il primo esperimento di workshop lo abbiamo fatto in Cina. Abbiamo lavorato con scuole internazionali e cinesi con il nostro partner locale Thirst4Water. Il lavoro è stato molto bello. È durato due settimane, a ridosso della mostra a Pechino, che è stata inaugurata a settembre 2012. In seguito, anche attraverso gli spunti nati dai disegni e sulla base della disponibilità degli insegnanti, sono stati pensati dei moduli didattici in diversi ambiti: ambientale, artistico e culturale. Con me lavorano diverse persone. Siamo tutti volontari e dislocati in diverse parti del mondo. A Roma ora sto lavorando nelle scuole con Christelle Durizot che è una esperta ambientalista di Guadalupe, che porta con sé tutta la sua esperienza e anche un altro universo: siamo già al secondo anno di lavoro con dei bambini che abbiamo visto in
Boll è una installazione che ho realizzato da solo, mettendo a frutto idee ed esperienze maturate nel corso di anni. È concepita per essere molto polivalente, non quindi come un’opera fissa, che parli di qualcosa, ma più come uno strumento di narrazione. E l’elemento centrale di questa installazione è il rapporto fra l’esteriore e l’interiore. Il titolo infatti è Boll: io e loro terza elementare e che ora rivedremo in quinta. Col passare del tempo vediamo che l’interazione con loro cambia e si avvia verso una consapevolezza bella, vitale che sicuramente potrà portare alla realizzazione di altri progetti. L’arte è, secondo me, il più neutrale, pacifico e spontaneo mezzo di comunicazione e di espressione e quindi con i bambini realizziamo disegni, temi che si sviluppano in modo creativamente significativo. Poi, quando avremo più fondi, abbiamo l’idea di produrre, attraverso i disegni e i temi scritti in classe e scritti di autori che hanno donato al progetto i loro lavori, dei cartoni animati. A questo si affiancano escursioni per la conoscenza del territorio. Questo a Roma lo stiamo già facendo e devo dire che questa città è un’occasione continua di incontro con l’acqua. L’importante è imparare a guardare, educarci ad osservare cosa vive intorno a noi, acqua e gente che meritano un mondo di dialogo e pace.
Audiocronache Il mondo visto da Roma Tre Radio
Le radio universianche di registratarie sono da alcure la testata giorni anni una delle nalistica, iscrivernovità più interessi al Registro desanti nell’ambito gli Operatori della della comunicazioComunicazione, ne accademica itadi ottenere le liliana. Nate dal bascenze SIAE e so o per volontà SCF per poter avdell’ateneo hanno viare la redazione dato vita a modalie la programmatà originali sia nelzione musicale l’organizzazione della radio. Oltre del lavoro, fondata al Rettore e al Di8 luglio 2015, il Rettore Mario Panizza intervistato dal Prof. Enrico Menduni, Diretsu un volontariato rettore amminiorganizzato, sia tore Responsabile di Roma Tre Radio, dalla capo redattrice Marta Perrotta e dallo strativo, il progetnella produzione e studente Vincenzo Gentile (foto: Oriella Esposito) to è stato curato diffusione di contedal Prof. Enrico nuti. È un fenomeno relativamente recente per il noMenduni, docente del dipartimento Filosofia, Comustro paese; la vera esplosione è avvenuta infatti negli nicazione e Spettacolo e dal Prof. Alessandro Neri, ultimi cinque anni. Da poco meno di un anno anche del dipartimento di Ingegneria e da me che mi occuRoma Tre ha la sua voce: Roma Tre Radio. Ne parpo, all’interno del dipartimento di Filosofia, Comuliamo con Marta Perrotta, capo redattore della radio nicazione e Spettacolo, di linguaggio radiofonico e ricercatrice del dipartimento Filosofia, comunicaParlando di difficoltà, a quasi un anno dal debutto, zione e spettacolo che insieme a Enrico Menduni e posso riconoscere che sono state molto poche. L’ateAlessandro Neri, ne ha curato il progetto. neo è stato sempre estremamente disponibile e la risposta iniziale è stata molto incoraggiante. Ci è stato Può raccontarci com’è nata Roma Tre Radio? concesso uno spazio presso al settimo piano di Via Quali sono state le fasi e le eventuali difficoltà inOstiense 131/L e c’è la volontà, dovessimo aver necontrate nel corso della realizzazione del progetto cessità di ampliarci, di trovarne altri più ampi per che hanno portato la radio al debutto in occasioospitare la radio. La piena disponibilità e fiducia da ne dell’inaugurazione dell’anno accademico parte dell’Ateneo rende il bilancio per questo primo 2014/2015? anno davvero positivo. Le anime che hanno messo in campo il progetto soPur essendo stata creata istituzionalmente, Roma no state diverse: innanzitutto c’è stata l’intenzione e Tre Radio vive grazie alla partecipazione volonla voglia, già prima della sua elezione, da parte del taria. Qual è stata la risposta della comunità uniRettore Mario Panizza. Durante la campagna elettorale, infatti, tra i vari progetti c’era proprio la volonversitaria? tà di creare una radio d’ateneo. Le web radio sono La risposta è stata molto interessante e positiva e ci una realtà radicata all’interno delle università, come auguriamo che l’interesse per Roma Tre Radio autestimonia l’associazione degli operatori radiofonici menti sempre più. Inizialmente sono stati utilizzati i universitari Raduni, alla quale Roma Tre Radio è ascanali istituzionali per diffondere la notizia, invitansociata fin dalla sua nascita. La radio, all’interno do studenti, docenti, ricercatori e personale Tab a dell’università, offre molteplici opportunità: crea collaborare al progetto. Gli studenti sono stati i priuna forte connessione all’interno dell’ateneo, essenmi a rispondere. Una prima spinta ad avvicinarsi a do un’occasione di formazione tra pari e di mediaRoma Tre Radio si è creata grazie all’avvio del “Lazione culturale e, ovviamente, prepara al lavoro boratorio di operatore radiofonico”, nell’ambito delgiornalistico e al lavoro della comunicazione in senl’offerta didattica del Dams, che ha suscitato interesso più lato. Ma prima di tutto questo, la creazione di se anche in molti studenti provenienti da altre facoluna radio ha preliminarmente comportato una serie tà. Quasi quotidianamente ci sono richieste di infordi passaggi istituzionali importanti che hanno permazioni per poter collaborare. Certo è che, per ora, messo non solo di creare l’infrastruttura tecnica ma gli studenti provengono dalle facoltà più strettamen-
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Giulia Pietralunga Cosentino
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te collegate alla comunicazione ma speriamo che possano avvicinarsi anche studenti di altre aree. Le attività in radio sono molteplici e molte sono le possibilità per collaborare, non soltanto andando in onda come speaker. Parliamo proprio delle attività: come si svolge una “giornata tipo” a Roma Tre Radio? E com’è strutturato il palinsesto? C’è davvero un grande movimento di persone! La radio è in onda, in diretta, dal lunedì al venerdì. Ogni giorno c’è un punto fisso nel palinsesto che è il nostro morning show, “La fretta biscottata”, un mix tra le principali notizie della giornata e una vivace selezione musicale. Ogni mattina si alternano due speaker diversi e una redazione diversa, agevolando gli studenti a partecipare senza dover trascurare gli studi. Il pomeriggio invece è tutto tematico, con un programmazione molto varia. C’è l’appuntamento bisettimanale con l’approfondimento sportivo di “Triplice Fischio” che tra l’altro è tra i finalisti come miglior programma radiofonico del circuito delle radio universitarie Raduni, ci sono programmi di attualità e politica come “Trend Topic” e “Radar” e altri nuovissimi come “Bonobo”, spazio di approfondimento dedicato alla sessualità e “Giano”, che tratta di divulgazione storica e culturale. Poi c’è “Serial Killer” programma sulle serie Tv, “Sedici:Noni” programma di approfondimento cinematografico, “Do Re Mu”, programma di musica che spesso ospita le band dal vivo, “Dickens”, programma di libri e letteratura, “Dietro le quinte”, programma di teatro. Ma ci sono ancora tanti progetti in preparazione e proprio per questo speriamo di avere sempre più collaboratori per portare avanti tutte queste novità. Inoltre ci occupiamo di appuntamenti e eventi speciali: il mercoledì, dalle 18 alle 19, fino alla fine dell’anno, va in onda “Europhonica”, programma che dà voce alle radio universitarie dal Parlamento Europeo; due delle nostre speaker e redattrici sono state selezionate e nel corso dei prossimi mesi andranno a Strasburgo per delle puntate speciali. Roma Tre Radio ha ovviamente una vocazione doppia: è espressione di tutte le anime dei nostri studenti ma allo stesso tempo dà voce anche all’ateneo e “Dica Roma Tre” è lo spazio dedicato alla comunicazione istituzionale, che permette di conoscere tutte le opportunità che gravitano intorno all’università. Pur utilizzando il web come strumento di diffusione dei loro palinsesti, le radio universitarie hanno la possibilità di avvalersi dei meccanismi “virali” dei social network per farsi conoscere e apprezzare non solo dalla comunità accademica. Anche Roma Tre Radio ha una pagina Facebook e/o un profilo Twitter? Certamente. Roma Tre Radio è presente sia su Facebook che su Twitter, strumenti sicuramente utili ma diversi rispetto alla radio. Spesso gli viene data la precedenza perché aumentano la possibilità di con-
Marcella Montella e Stefano Riccio, due degli studenti che compongono l’Ufficio Musica di Roma Tre Radio (foto: Oriella Esposito)
tatti e di farsi conoscere ma a me sta molto a cuore la riuscita della radio. Negli ultimi anni si riscontra un progressivo allontanamento dei giovani dal linguaggio della radio e un forte cambiamento nelle abitudini di ascolto, per cui questo progetto nasce con l’obiettivo di colmare anche questa lacuna. La radio insegna ad ascoltare ed aiuta a elaborare le informazioni in modo più concreto e più sensato. Imparare a filtrare e a dare il giusto peso a ciò che si ascolta è indispensabile per chi lavora in radio e mi fa piacere sottolineare il fatto che le persone che collaborano con noi stiano crescendo e migliorando soprattutto sotto questo aspetto. Possiamo quindi affermare che la mission delle radio universitarie sia proprio quella di formare intrattenendo. Quali sono le caratteristiche della formazione in radio, oltre a quanto abbiamo già detto? Si impara ad organizzare il lavoro redazionale, rispondendo alla necessità di coordinare il lavoro radiofonico tra più collaboratori. Esiste una suddivisione dei compiti che porta in ogni caso a costituire figure professionali capaci di gestire ogni tipologia di mansione che va dall’ideazione del format, passando per la redazione dei contenuti, alla produzione in diretta fino alla promozione dei contenuti sui vari social network. In radio, soprattutto, ci si allena alla continuità che è una delle difficoltà che stiamo maggiormente incontrando. Lo studente è infatti soggetto ad una stagionalità che dipende non solo dal fatto che è legato ad un ciclo di studi ma anche perché ha una serie di impegni – lezioni, esami – che spesso impediscono una presenza fissa. Noi stimoliamo a rispettare però gli impegni presi proprio perché prendersi un impegno di questo tipo ha una contropartita di grande valore: si impara non solo un mestiere ma si impara a lavorare in gruppo, caratteristica di tutti i lavori creativi. Collaborare ad un progetto di ampio respiro e così versatile come la radio offre una grande possibilità di crescita formativa e di attività volontaria per gli studenti, provenienti da tutte le facoltà.
Palladium Presentazione della stagione 2015/2016 Giuditta Pascucci Il Teatro Palladium ha ormai aperto la stagione teatrale ottobre 2015febbraio 2016. Come nelle precedenti edizioni, il programma si articola in sezioni diverse: Teatro d’autore, Voci dal mondo, Cinem@, Musica universitaria e Focus Festival, cui s’aggiunge la sezione Giuditta Pascucci Laboratori in scena, spazio aperto alle iniziative degli studenti. In Teatro d’autore si rinnova la presenza della drammaturgia contemporanea, che percorre l’intera programmazione a cominciare dalla pièce di Sarah Kane Psicosi delle 4:48, per la regia di Walter Pagliaro, con l’attrice Michaela Esdra. Dello stesso regista sarà rappresentata, dal 16 al 23 dicembre 2015, la seconda sinfonia per voce Alla meta. Grande attesa per lo spettacolo di Giorgio Barberio Corsetti, che presenterà Gospodin, firmato da Philipp Lohle, con la partecipazione di Claudio Santamaria. “Bifasico” sarà invece il progetto La terra sonora. Il teatro di Peter Handke, che coinvolge università, professionisti del teatro ed esperti linguisti, andando ben oltre un semplice recupero dei testi dell’artista, a riprova della funzione didattica che il Teatro Palladium ha per gli studenti di Roma Tre come luogo non solo di cultura, bensì anche di confronto diretto con i linguaggi artistici. Due sono gli appuntamenti dedicati alla sua scrittura d’avanguardia, nata nel segno dell’opposizione ad ogni forma di cultura vigente: lo spettacolo dal titolo WarumeineKüche, sorto da una rete di workshop e studi sullo scrittore, e Selbzbezichtigung / Autodiffamazione, in scena dal 31 gennaio, secondo punto cardine della manifestazione. L’apertura della sezione Voci dal mondo è stata affidata alla Scuola di Musica Popolare di Testaccio, che ha avviato già negli anni passati una fertile collaborazione con il Palladium e gli studenti dell’università, per esempio nel festival sulle compositrici più celebri della storia della musica. Importanti sono i concerti in programma dedicati alla musica per il cinema reinterpretata in chiavi diverse: da un lato la lettura moderna di Gilberto Crispino, Fabrizio Russotto e Pierluigi Petroniro (La vita è musica ovvero
Nuovo Cinema Concerto), dall’altro la rivisitazione in chiave barocca dell’Orchestra da camera Archi di Roma (BarockSoundtrack). Non mancano gli appuntamenti con la Roma Tre Orchestra, con proposte che vanno da Mozart a Wagner, e con il Coro polifonico dell’Ateneo, che eseguirà tra l’altro una versione ridotta del Messiah di Haendel. Proseguirà inoltre la formula già ben collaudata della “Roma Tre Jazz Band incontra…”: dopo lo splendido incontro fra i giovani musicisti e Fabrizio Bosso, uno dei trombettisti più talentuosi d’Italia, questa sarà la volta, a febbraio, di Mario Corvini, rinomato trombonista che dal 2012 guida la New Talent Jazz Orchestra. Il Teatro ospiterà inoltrei laboratori in cui studenti e professionisti dialogano con le strutture universitarie. Vedremo l’esito di collaborazioni interessanti quali La forma della musica, lezione in forma di concerto del Coro da Camera Italiano diretto da Vincenzo di Betta, con l’architetto Federico Bellini e il musicologo Luca Della Libera. Significativa sarà la biografia scenica di Dante Alighieri in occasione del 750° anniversario della sua nascita, in un incontro di più linguaggi artistici con la partecipazione di docenti e studenti dei dipartimenti di Studi umanistici e di Filosofia, comunicazione e spettacolo. Autori rispettivamente del testo e delle musiche, Dario Pisano e Giulio Pantalei. Spazi di rilievo sono dedicati alle rassegne di Cortometraggi, sia realizzati nell’ambito degli insegnamenti artistici dell’università sia appartenenti ad altre realtà, di cui il Palladium si fa contenitore e sostenitore, tra le quali possiamo citare Arcipelago - Festival Internazionale di Cortometraggi e Nuove Immagini, festival in continua trasformazione nato nel 1992, aperto ai nuovi format audiovisivi, tra i quali il web. Ulteriore appuntamento con la sezione Focus Festival sarà Sguardi sulla Palestina, a cura di Monica Maurer e dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, in cartellone dal 5 al 7 dicembre. Nel complesso la stagione in corso rinnova l’impegno dell’università sul fronte delle contaminazioni e del coinvolgimento di studenti, docenti e personale TAB nella progettazione di eventi artistici: un segno di vitalità che proviene anche dall’interazione dei ragazzi con il teatro e con i suoi processi produttivi, e che fa ben sperare per il futuro del teatro stesso.
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Post Lauream Il master del Dipartimento di Studi umanistici in Esperto in comunicazione storica Manfredi Merluzzi Negli ultimi decenni la società occidentale si è profondamente trasformata anche come effetto di una rivoluzione tecnologica che ha reso la comunicazione ancora più centrale nella nostra quotidianità, tutti noi ne sperimentiamo continuamente gli effetti. L’impatto di queste trasforManfredi Merluzzi mazioni ha toccato anche discipline come la storia che apparentemente non avrebbero un immediato contatto con tutte queste trasformazioni tecnologiche e comunicative. Tuttavia si tratta di una percezione sbagliata. Il rapporto con il passato, anche se non più di esclusiva competenza delle discipline storiche, continua ad essere un elemento fondante per la definizione dell’identità di ogni società, ma anche per la comprensione dei fenomeni in corso. Inoltre, da sempre, la storia attira l’attenzione di molti perché si propone come fonte di intrattenimento colto e non solo come strumento di conoscenza. La società in cui viviamo, se da un lato sembra schiacciata in una prospettiva relegata ad un eterno presente, dall’altro presenta una grande “domanda” di storia e paradossalmente esiste anche un consistente “consumo” di storia in ambienti extra accademici. Ci sono moltissimi prodotti culturali che rispondono a questo desiderio di conoscenza del passato, anche se spesso lo fanno seguendo logiche che non coincidono con quelle della produzione accademica di conoscenza storica. Trasmissioni televisive, film di ambientazione storica, romanzi storici, biografie, videogames, giochi da tavolo, giochi di carte e di ruolo. La storia viene trasmessa attraverso mille canali non accademici e raggiunge un pubblico di fruitori molto più vasto di quello che raggiungeva tradizionalmente avvalendosi dello strumento più classico, la monografia o il manuale di storia. Questa circolazione di “narrazioni storiche” extra accademiche produce “visioni storiche” nelle menti e nelle fantasie dei suoi fruitori, fenomeno che ha condotto gli studiosi a definire la categoria di “agente di storia”, cioè di “costruttore di visioni storiche” o di immagini di storia, anche frammentarie. La gran parte di questa produzione e circolazione di prodotti di ambientazione storica o di divulgazione storica non viene prodotta avvalendosi delle conoscenze di studiosi di storia, ma da professionisti di altre branche della conoscenza o della tecnica. Proprio a partire da queste constatazioni nasce l’idea di attivare il master in “Esperto in comunicazione storica: televisione e multimedialità”. Obiettivo del Master è formare una figura professionale in grado di comprendere e utilizzare i linguaggi audiovisivi e multimediali per rispondere alle sempre maggiori richieste di conoscenza storica nel mondo del lavoro, mantenendone i crismi scientifici. Una figura, quindi, non solo di
consulenza storiografica, ma che sia in grado di svolgere attività “coautoriali” nel mondo televisivo, radiofonico, cinematografico e multimediale. Il nostro è un master di II livello che si rivolge a laureati magistrali in Scienze storiche, Lettere, Filosofia, Storia dell’arte, DAMS, Scienze della comunicazione, Scienze politiche, Sociologia, Scienze della formazione e che intende formare dei professionisti che abbiano le basi scientifiche per poter produrre dei contenuti di carattere storico utilizzando i media oggi presenti sul mercato, dalla radio, alla televisione, al web. I requisiti richiesti, per presentare domanda di ammissione, sono la laurea magistrale in una delle classi elencate e la conoscenza di una lingua dell’Unione Europea, diversa dall’italiano. L’esperto in comunicazione storica è una figura professionale versatile, capace di muoversi su più livelli, dalla creazione di contenuti scientificamente validi al controllo della correttezza scientifica dei prodotti di intrattenimento. Il comunicatore storico può lavorare come consulente storico per progetti divulgativi, dalla televisione al cinema, ma anche videogiochi e mostre. La consulenza storica è un ambito molto vasto che riguarda prodotti televisivi o cinematografici, ma anche le aziende private, gli enti pubblici, le istituzioni museali e bibliotecarie e le imprese di spettacolo. Il percorso formativo offre le basi teoriche e pratiche utili a comprendere le logiche produttive specifiche per la realizzazione di opere audiovisive, quali documentari, docufiction, fiction, film, programmi radiofonici, opere multimediali. Il corso è articolato in due momenti, uno di formazione in aula con docenti universitari e professionisti esperti del settore e uno di tirocinio formativo con aziende, enti pubblici e privati e imprese in regime di convenzione con l’Ateneo. Il corso ha durata annuale e le lezioni cominceranno il 12 febbraio 2016. Le lezioni si svolgeranno il venerdì pomeriggio dalle 15.00 alle 19.00 e il sabato mattina dalle 9.00 alle 13.00, con la possibilità di alcune variazioni (ad esempio l’aggiunta del giovedì pomeriggio o venerdì mattina) in base alle esigenze dei corsisti e dei docenti. La domanda di ammissione deve essere presentata entro il 30 novembre 2015. Insieme alla domanda di ammissione può essere presentata anche la richiesta di riduzione parziale (fino al 30%) della tassa di iscrizione, che quest’anno è pari a 4.000 euro. La domanda di ammissione può essere consegnata a mano, via Posta Elettronica Certificata (PEC) all’indirizzo emailcomunicarelastoria@lms.uniroma3.it oppure per mezzo raccomandata a: Segreteria didattica Master Esperto in Comunicazione Storica Televisione e Multimedialità Dipartimento di Studi Umanistici Università degli Studi Roma Tre Via Ostiense 236 00144 Roma
Non tutti sanno che H2O Circle Time Sabrina Carletti Segni in Musica fa parte dei Laboratori “GiocArteBambini” da me curati nell’ambito dell’attività didattica, che svolgo da anni per Associazioni e scuole, contemporaneamente a quella di incisora e pittrice. Linea, ritmo, suono, colore, l’ascolto musicale, sono gli elementi in gioco in questo laboratorio di gruppo, pensato per i bambini e ragazzi, come nel caso dei laboratori svolti per Art Camp 2015 presso il Centro estivo organizzato dall’Università Roma Tre, dove è stata possibile l’integrazione positiva di tutti i partecipanti, che hanno avuto modo di sperimentare con la mia guida, materiali e strumenti diversi, in modo giocoso. “H2O - Circle Time”, è il titolo dato dai ragazzi al termine del lavoro, alla tela di grande formato messa a loro disposizione e posizionata a terra; uno spazio in cui sono stati invitati a muoversi e agire liberamente,
girando intorno o entrando fisicamente all’interno, tracciando segni anche con le mani, sollecitati dall’ascolto di diversi brani musicali, classici e contemporanei, scelti alternando ritmi e generi diversi, seguiti a suoni naturali, come l’acqua. L’intento del laboratorio è stato quello di sollecitare l’espressione creativa e nello stesso tempo, far conoscere, alcune tematiche relative all’arte del Novecento attraverso l’approccio ludico e la sperimentazione diretta di alcuni elementi base del linguaggio figurativo. È infatti noto come a partire dal XX secolo, con l’avvento delle avanguardie artistiche, la musica ha avuto un notevole influsso sull’attività immaginativa degli artisti; essa stessa diviene non solo oggetto di rappresentazione, ma acquisisce un’importanza determinante per la nascita dell’arte astratta.
La tela collettiva H2O Circle time. A destra, in esposizione presso il foyer dell’Aula Magna della Scuola di Lettere Filosofia Lingue. Foto: Francesca Vaino
Sabrina Carletti, incisore e pittrice romana. Ha al suo attivo diverse esposizioni a carattere nazionale e internazionale; sue opere oggi fanno parte di collezioni pubbliche e private ed è presente nel VI Repertorio degli Incisori Italiani del Gabinetto delle Stampe Antiche e Moderne di Bagnacavallo(RA). Alterna l’attività artistica a quella di educatore dei laboratori didattici per adulti e bambini, presso Laborars, Associazione Culturale da lei fondata nel 2004. Al primo approccio materico, istintivo alla pittura, segue un intenso percorso legato alla ricerca sul segno, grazie all’appassionata sperimentazione intrapresa con le tecniche calcografiche. Tra le mostre si ricordano le personali più recenti: Sguardi dal Basso; E. Co Lab a Roma, via del Velodromo 77; Centro Culturale Gabriella Ferri, Roma, 2014. Organico Inorganico, segni 2010-2012; Galleria Massenzio Arte, via del Commercio 12 - Roma 2012. Tra le collettive, la più recente, Premio Acqui. XII Biennale Internazionale per l’Incisione, Acqui Terme, (AL), Luglio 2015. Il suo studio è a Roma in via Cupra 34. info: www.sabrinacarletti.com www.artmajeur.com/laborars e www.laborars.blogspot.it
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L’ultimo giorno Racconto di una scuola oltre il confine
Recensioni
Francesca Gisotti Solitaria e selvaggia, Alicudi è la più occidentale fra le isole Eolie. Un luogo incontaminato in mezzo al Mediterraneo, i cui abitanti, circa una cinquantina di persone, vivono in una condizione sia di isolamento che di ricerca di Francesca Gisotti una “normalità” costantemente da inventare. L’acqua protegge dal resto del mondo e dallo scorrere di un tempo che qui sembra essersi fermato, o meglio è scandito da altri ritmi, quelli della natura, che ancora riesce a imporsi con tutta la sua irregolare bellezza. Qui, ciò che nel “continente” appare scontato, è una conquista quotidiana, faticosa tanto quanto le centinaia di scalini che gli abitanti sono costretti a scendere e salire per muoversi all’interno dell’isola. Qui, a garantire la sopravvivenza di un possibile confronto generazionale, sono rimasti pochissimi bambini, ultimi testimoni di un mondo che sembra quasi sul punto di svanire ma che tenacemente rivendica il suo diritto di esistere. Un luogo altro a cui il regista Alberto Bougleux ha voluto dar voce, raccontando la realtà di quella che è la scuola più piccola d’Italia. Bougleux, aveva conosciuto l’istituto nel 2008, quando vi aveva portato i laboratori di “Lapa TV”, un progetto di formazione ai mestieri del cinema. Come “maestro della settima ar-
te” aveva permesso ai ragazzi di Alicudi di intraprendere un viaggio di scoperta e di conoscenza molto particolare. L’ultimo giorno, documentario girato fra il 2011 e il 2014, è una piccola perla, che con delicatezza e senza retorica, racconta le difficoltà ma anche i momenti di gioia e di condivisione vissuti dagli insegnanti e dagli studenti di questo istituto di frontiera. Le inquadrature fisse, i movimenti di macchina lenti e cadenzati ci introducono in un contesto che appare pervaso da un calore avvolgente e delicato, come la voce narrante della maestra Teresa, pronta a battersi con tutte le forze affinché la scuola non chiuda, anche se frequentata da soli tre bambini. All’interno di questo microcosmo, Teresa e gli altri insegnanti cercano quotidianamente di aprire ai ragazzi nuove strade, nuove opportunità, per permettergli almeno di ipotizzare un futuro dinamico, aperto alle sperimentazioni. Gli studenti, dal canto loro, sono estremamente irrequieti, ribelli, sembrano quasi incarnare con i propri atteggiamenti e con gli scontri spesso fisici, la forza ingovernabile del mare; un mare in cui possono tuffarsi a fine lezione, che ricercano come rifugio prima ancora che come fuga. La luce del tramonto regala alle inquadrature una poetica liricità. Ma l’arrivo di un aliscafo sembra rappresentare quasi una “minaccia”. Ciò che viene da fuori reca necessariamente in sé i segni della diversità e dell’ignoto. Eppure il valore di questi insegnanti e di questa scuola sta proprio nell’educare i ragazzi all’accoglienza, per guardare oltre il proprio orizzonte e, quindi, crescere.
Il Ponte sulla Drina La storia è una questione di ritorni Michela Monferrini La Drina è un fiume della penisola balcanica, cui spetta un compito che spesso viene affidato ai fiumi: segnare un confine. Oggi, è il confine tra Bosnia ed Erzegovina e Serbia, ma dal primo secolo dopo Cristo ha rappresentato quella liMichela Monferrini nea di demarcazione che sembrava spaccare l’intero pianeta in due metà, passandoci attraverso: l’Impero Romano d’Oriente e l’Impero Romano d’Occidente. Il più antico dei ponti costruiti sulla Drina (XVI secolo) è ancora in piedi, e non solo: da qualche anno l’Unesco lo ha dichiarato Patrimonio mondiale dell’umanità; si chiama Ponte Mehmed Paša Sokolović, dal nome del Gran Visir che ne ordinò la costruzione, ma è più noto come “ponte sulla Drina”, essendo uno dei pochi ponti ad aver avuto un biografo, e un’opera interamente dedicata alla sua storia, intitolata proprio così: Il ponte sulla Drina. Alla fine della seconda guerra mondiale, Ivo Andrić non è ancora uno scrittore riconosciuto. Ha avuto un’infanzia difficile, segnata da malattie, lutti e povertà. Ha studiato, poi ha intrapreso la strada diplomatica con successo; il lavoro lo ha portato a vivere in diverse capitali e città europee, mentre ha cominciato a scrivere e pubblicare su rivista cronache dei viaggi e racconti brevi. Il regime nazista mette fine alla sua carriera bruscamente: Andrić si schiera dalla parte degli oppressi, soprattutto al fianco degli intellettuali perseguitati; lascia Berlino - dove si era sistemato - per tornare in una Belgrado occupata, e lo fa proprio il giorno dopo i bombardamenti nazisti sulla città. È in questo momento, non a caso, che Andrić comincia a lavorare all’opera che sedici anni dopo, nel 1961, gli varrà il Premio Nobel. Volendo narrare la storia della sua Bosnia attraverso i secoli, dall’antichità all’epoca contemporanea (si fermerà al periodo della Prima guerra mondiale), volendo dunque dipingere un grande affresco storico che dia conto della complessità innanzitutto culturale della sua terra, sceglie per la narrazione l’unico elemento che gli pare immutabile e immutato nel paesaggio che dopo anni di viaggi e peregrinazioni in un’Europa complicata si trova di fronte: un ponte, il più antico dei ponti, che in parte è stato distrutto, in parte ricostruito, ma che in fondo ha re-
sistito all’urto. Fermo, sull’acqua e nell’acqua che scorre trascinando con sé i riflessi di chi vi si è specchiato negli anni; trascinando detriti, oggetti, corpi, e così tanto sangue come accade soprattutto ai fiumi che fanno da confine, e soprattutto a questo, la Drina, che è confine di terre diverse, di culture e di religioni diverse. «Voi ve ne state qui seduti e vi date alla bella vita, ma non sapete che cosa succede oltre lo Staniševac. Ecco, noi siamo fuggiti in terra turca, ma dove fuggirete voi, insieme con noi, quando sarà la volta di questa regione? Nessuno lo sa, e nessuno di voi ci pensa» dice a un tratto un esule in fuga, arrivato dal ponte sulla Drina. Ebrei, cristiani, musulmani e un ponte: leggere questa saga “architettonica”, fatta di storie e di leggende, a sessant’anni dalla sua pubblicazione, mentre l’Europa e il vicino Medio Oriente vivono un periodo di rinnovate, grandi tensioni, significa sentirsi collocati improvvisamente su una mappa, e proprio nel luogo giusto per partire e andare alla ricerca di senso. «I figli dei cristiani nati sulla riva sinistra della Drina attraversano il ponte fin dai lo-
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ro primi giorni di vita, dato che già la prima domenica vengono portati in chiesa per il battesimo. Ma anche tutti gli altri bambini, anche quelli che nascono sulla sponda destra e i musulmani, che non vengono affatto battezzati, trascorrono la maggior parte della fanciullezza in prossimità del ponte, come hanno fatto, un tempo, i loro padri e i loro nonni». Come si riesce a scrivere la storia di un ponte volendo raccontare il genere umano, e cosa, in fondo, meglio di un ponte - cioè del contrario di un muro - per rappresentare l’incrocio e l’incontro di persone tenute separate certamente dalla geografia, ma anche da credo e convenzioni, e poi inevitabilmente scopertesi identiche nel momento della convivenza, forzata o spontanea? Lo ha fatto anche, in tempi recenti, la scrittrice francese Maylis De Kerangal, con il suo Nascita di un ponte (Feltrinelli, 2013), e come nel suo romanzo anche nell’opera di Andrić non ci sono personaggi umani che riescano a rubare la scena sugli altri; la scena che invece è chiara, ferma, dapprima sugli anni della costruzione del ponte; poi su tutto ciò che nei secoli vi accade, ed è tutto: sul ponte e sotto di esso si uccide, si giustiziano uomini; sul ponte si fanno affari e si combatte; dal ponte si parte per non tornare; vi arriva il pericolo e vi arriva la sal-
vezza; il ponte è attraversato da colonne di profughi, profughi diversi in tempi diversi. Sotto, il fiume che raccoglie le pietre che cedono, le teste che cadono: ma se il fiume porta via tutto, il ponte è ancora là, architettonicamente influenzato e però anche influente sulla popolazione perché «non esistono costruzioni casuali, staccate dall’ambiente umano dal quale sono sorte, e dalle esigenze, dai desideri e dagli intendimenti degli uomini». Il ponte resta, mentre generazioni si susseguono, cambiano. «Invecchiò naturalmente anch’esso, ma secondo una scala cronologica assai più ampia non solo della vita umana, ma anche della durata di intere serie di generazioni, tanto ampia che, a occhio nudo, non si poté notare quell’invecchiamento. La sua vita, benché mortale di per sé stessa, rassomigliò all’eternità, perché la sua fine rimase oltre la portata della vista». Forse l’altro o il vero protagonista è il tempo, che lascia le opere architettoniche al loro posto e considerato in piccoli periodi dà la sensazione che “progresso” e “futuro” siano sulla stessa linea retta, mentre così come non ci sono confini che resistano al tempo, questo romanzo e il nostro presente ci insegnano che la storia del genere umano e dei popoli è soprattutto una questione di ritorni e chi ha attraversato il ponte una volta, lo si vedrà tornare sui propri passi.
One Water L’elemento del sudore e delle lacrime Giulia Pietralunga Cosentino L’acqua è vita. «H2O è l’unica formula chimica che tutti conoscono. Ed è giusto che sia così: l’acqua non è solo la sostanza più diffusa sulla terra, ma è la condizione necessaria, la fonte, la matrice della vita» (Philip Ball, H2O, a biografy of water, Giulia Pietralunga Cosentino 2000). Non sempre ci fermiamo a pensare alla fondamentale importanza che riveste l’acqua nella nostra vita. E quasi mai riflettiamo sul fatto che essa sia un bene primario non rinnovabile, che potrebbe esaurirsi e sul quale, quindi, occorre essere educati non solo al risparmio e al riciclo ma ad una gestione più efficiente e consapevole. Purtroppo, la crescita della popolazione mondiale e l’eccessivo sfruttamento delle fonti idriche, l’inquinamento e i cambiamenti climatici, stanno mettendo a rischio questa risorsa preziosa, tanto da provocare una vera e propria emergenza. Quasi un miliardo di persone, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, vive senza acqua potabile; d’altra parte, nei paesi industrializzati, l’acqua viene sprecata, inquinata o non gestita correttamente. L’importanza e la rilevanza che ricopre il cinema come efficace strumento di comunicazione ed educazione, unita alla necessità e ad una domanda di informazione e approfondimento sempre più urgente legata ai temi ambientali, ha prodotto una serie di film e documentari che trattano il tema acqua declinandolo secondo diversi punti di vista. Uno dei più interessanti negli ultimi anni è One Water, di Sanjeev Chatterjee e Ali Habashi, documentario del 2008 che, per un totale di cinque anni di lavorazione, porta sullo schermo la magia del rapporto tra l’uomo e l’acqua, fonte di vita e di purificazione spirituale nelle più diverse religioni, a volte motivo di contagio e di morte, troppo spesso nelle mani di pochi. Dall’India all’Ungheria, dagli Stati Uniti al Kenya, i registi raccontano tante storie diverse con l’acqua come protagonista, sollevando un inquietante interrogativo: cosa stiamo facendo perché questo bene arrivi anche alle generazioni future? Sul sito dedicato al film leggiamo: «l’acqua è essenziale alla nostra esistenza. Il
nostro corpo la richiede, così come la nostra anima. È l’elemento della vita e della morte, del sudore e delle lacrime, del bisogno e del desiderio (…) non solo, così preziosa come la conosciamo, l’abbiamo trattata come se fosse una risorsa infinita ed economica, portandola a una crisi internazionale di proporzioni epiche». Questo il filo conduttore che lega tutti gli interventi e le testimonianze del documentario; esperti e personalità come il Dalai Lama, Vandana Shiva e Robert F. Kennedy sono chiamati a esprimersi e a confrontarsi su una questione così scottante e delicata, accompagnati da una toccante colonna sonora - eseguita dalla Russian National Orchestra. Il regista Ali Habashi ha dichiarato: «la forza del film risiede nelle sue immagini. (…). Sono momenti di emozione suscitati dall’acqua in tutto il mondo. One Water è nato da un senso di profonda urgenza – il mondo affronta una crisi idrica di proporzioni sbalorditive. Oggi una persona su cinque su questo pianeta non ha accesso costante ad acqua pulita per le necessità quotidiane come bere, lavarsi, pescare e cucinare e questo numero sta continuamente aumentando». Attraverso un susseguirsi di immagini evocative accompagnate da suoni e musica, One Water rappresenta un ottimo punto di partenza per cercare di portare l’attenzione sui diversi immaginari legati alla risorsa acqua e soprattutto sul tipo di relazioni che popoli e culture diverse instaurano con essa. Usi, costumi, rituali e gesti quotidiani appaiono così nel loro ruotare e convivere attorno ad un bene così prezioso e necessario. Quanta acqua è disponibile nelle varie parti del mondo e come cambia la vita in funzione di questo elemento? Dalla capacità di usare pochissime gocce per soddisfare tutti i bisogni di vita a un uso improprio, superficiale e inconsapevole che tende a portare verso una idea di acqua potabile come un bene scontato. Il documentario si muove sul piano delle emozioni e delle sensazioni raccontando molteplici realtà. Nonostante l’interesse primario per le immagini, evocative e d’effetto, il contenuto scientifico non rimane trascurato ma reso attraverso forme di comunicazione meno esplicite. Le sequenze finali del film culminano con una serie di domande volutamente provocatorie che racchiudono la profonda riflessione che permea tutto il documentario: l’acqua è un diritto, un bene scontato o sta diventando soltanto una mera merce di scambio?
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