Rosario Giuffrida
R ICEVO IL TESTIMONE non praevalebunt
. . . Sapeva benissimo l’avvocato che Tano era uno di quegli uomini che nella vita hanno solo predicato odio e rancore, che l’orgoglio se li mangia vivi, che incapaci di riuscire a risolvere i conflitti con se stessi, a vita mantengono un perenne stato di inimicizia, di disprezzo per i princ`Ĺpi morali. La moglie di Tano, Tina la sciancata, possedeva invece un talento di servilismo e sottomissione che giovava moltissimo al marito. . . Racconto
Design di copertina: Luisa Giuffrida
Ia edizione agosto 2002. Ia ristampa con integrazione dicembre 2015. c 2002 Rosario Giuffrida. Tutti i diritti riservati all’au tore. I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati. c 2015 Rosario Giuffrida. Tutti i diritti riservati all’au tore. I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati. ISBN 979-12-200-XXXX-Y
Rosario Giuffrida
R ICEVO IL T ESTIMONE non praevalebunt
A mio Padre e a mia Madre
I Minareti antichi Fu nello stesso anno dell’assassinio del farmacista Manna e del medico Roscio che Gabriele Pedro consegu`Ĺ la maturit`a presso il liceo classico di Palermo; la stessa scuola ove insegno` come docente d’italiano e latino, il professore Paolo Laurana. Conterranei del professore Laurana, il farmacista Manna e il medico Roscio erano due uomini semplici, legati da antica amicizia che li portava a trascorrere le ore assieme non solo al circolo ma anche nel corso di battute di caccia. Manna e Roscio furono uccisi, in un agguato, la sera del 21 agosto del 1964, nelle campagne di Cannatello. Il professore Laurana, invece, fu trovato che giaceva sotto grave mora di rosticci, in una zolfara abbandonata, a met`a strada, in 1
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linea d’aria, tra il suo paese nat´ıo e Palermo, il 17 novembre dello stesso anno. La madre del professor Laurana, donna Carmelina Laquatra fu Ignazio vedova Laurana, non credette mai alla versione della polizia, di incidente, tragico e casuale, per incauta avventura del professore in un luogo isolato e abbandonato, forse per appartarsi con qualcuno, e questo pronome indefinito, gi`a in molti nel paese, lo s’intendeva non in senso generico ma di genere maschile. Decisiva fu la testimonianza di un uomo che presentatosi alla Questura dichiaro` di aver notato, nei pressi del piazzale antistante la stazione ferroviaria di Palermo, un’automobile frenare bruscamente e che aveva attirato la sua attenzione e quindi ne ricordava benissimo la scena: vide che l’autista manovro` in retromarcia per poi fermarsi presso un uomo con la borsa in mano, vide salire il professore spontaneamente, che la macchina era una Fiat modello Seicento di colore bianca, che alla guida vi era un uomo di mezza et`a, che si salutarono e andarono insieme. L’identit`a del professore fu, senza esitazione alcuna, riconosciuta dal testimone quando sul tavolo gli inquirenti disposero le foto di alcuni individui tra i quali anche quella di Laurana. Vani furono i tentativi di riconoscere sia l’identit`a dell’autista dell’automobile sia la
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targa. Le indagini finirono con lo stabilire che il professore Laurana, verosimilmente, ebbe un appuntamento con un uomo di sua conoscenza e che con lui si allontano` verso la zolfara e l`ı, complice l’oscurit`a e il desiderio di appartarsi in un luogo intimo, piu` riservato, inavvertitamente il professore poggio` la mano su qualcosa che sorreggeva a malapena il silo che lo sovrastava. Il medico legale termino` il rapporto dichiarando nei verbali, come causa del decesso, il soffocamento immediato per costipazione delle vie respiratorie. La polizia non sospetto` mai che ci potesse essere un legame tra l’agguato teso ai due, il medico Roscio e il farmacista Manna, e la morte del professore Laurana che avvenne quasi due mesi dopo. A dire il vero, le indagini partirono s`ı col sospetto di omicidio, ma il vice questore mando` a chiamare il commissario responsabile delle indagini e dopo una lunga conversazione, assieme concordarono che gli elementi raccolti durante le indagini erano a favore della tesi di un incidente, che l’unica incriminazione, semmai, era da emettere nei confronti dell’altro uomo che aveva omesso il soccorso ma la cui identit`a pero` rimaneva ignota agli investigatori, infine, di non doversi procedere alla denuncia e al rinvio a giudizio del proprietario della
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zolfara, abbandonata che era dopo la dichiarazione di fallimento. Convintosi il commissario che in quel sottobosco di incontri sarebbe stato difficile trovare che qualcuno si potesse esporre, specialmente se questi era gi`a ammogliato o rivestiva un incarico di prestigio, e giudicato che la chiamata telefonica anonima doveva sicuramente provenire dal compagno d’avventura, scappato subito dopo l’incidente per non avere compromessa la propria reputazione, decise di chiudere le indagini e di archiviare il caso. Don Luigi Corvaja, dal suo Castello dei Chiaramonte, cap`ı invece tutto; cap`ı che vi era un legame tra gli assassinii del farmacista Manna, del medico Roscio e del professore Laurana. Dell’imprudenza commessa da Laurana, ossia quella di cercare di investigare per conto proprio sul vero movente dei delitti Manna e Roscio, don Luigi ne confido` al notaro Pecorilla, presso lo studio di questi, la sera della celebrazione della festa Maria Bambina e . . . finanche del fidanzamento ufficiale tra Luisa Rosello, - ch´e il predicato vedova Roscio oramai era desueto -, e l’avvocato Salvatore Rosello, a poco piu` di un anno dall’agguato.
II Astronomici affetti Un giorno la vedova del farmacista, signora Teresa Spano` Manna, seppe dall’amica Elisa Zerillo, le vicende che sub`ı quella giovanissima donna che per prima fu indiziata dalla polizia come probabile elemento movente dell’uccisione del farmacista e del medico. Il nome di quella donna era Carmela Trigona e fu rilasciata dalla Questura la sera stessa del suo fermo, dopo accurato interrogatorio e verifiche col medico di famiglia. Per il commissario, la ragazza era estranea a quella che poteva essere la versione del delitto passionale e della vendetta per l’onore oltraggiato, che le frequentazioni della donna nella farmacia erano da imputare alla malattia di suo fratello; ma per i parenti l’onta del sospetto doveva anco5
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ra essere lavata con la violenza fisica che a turno, prima i fratelli poi il padre, abusarono su quell’esile corpo. Tra le tante percosse che nel buio della stanza si riversarono su di lei, una in particolare, non tanto per l’intensit`a quanto per il punto vitale che ando` a colpire, provoco` una lesione cerebrale che la lascio` tramortita. Si risveglio` dal coma e il medico dell’ospedale fu tentato diverse volte dall’esporre denuncia nei confronti dei genitori, per le condizioni in cui i familiari avevano ridotto la ragazza. Un amico del medico pero` aveva consigliato di soprassedere, di evitare successivi chiarimenti, che il commissario che si era liberato del sospetto, adesso, con questa nuova denuncia, l’avrebbe interrogata per comprendere il perch´e di tale violenza, e si sa che colla giustizia non c’`e mai sufficiente pecunia per liberarsene. Il periodo di convalescenza di Carmela fu lungo e si riprese dal coma non senza conseguenze per la sua salute. Dimostrava una certa lentezza nei movimenti, uno stato di torpore. Dialogava s`ı con la gente ma le sue parole erano strane, sembrava che avesse difficolt`a nell’esprimersi, sillabava, la lingua biascicava, spesso non ricordava un termine e la frase rimaneva incompleta. Non ebbe piu` la possibilit`a di fidanzarsi e rimase a casa per molto tempo.
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La trovarono un giorno riversa per terra: aveva avuto la sua prima crisi convulsiva; epilessia dissero i medici. Ne seguirono altre di crisi e la madre di Carmela penso` di andare presso il frate francescano che aveva fama di taumaturgo e aveva dimora nelle campagne di Chiusa Sclafani. Vani pero` furono i viaggi presso il frate e le crisi divennero sempre piu` frequenti. Si aggiunsero poi dei conati di vomito quando Carmela non aveva le crisi e questi segni furono interpretati come possessione da un male arcano, del genere - si disse - che solitamente arrecavano le ubiquitarie anime dell’albero delle noci la notte d’ogni venerd`ı. Altri viaggi della speranza presso quel frate finirono col sottoporre a dura prova la fede di tutta la famiglia Trigona, mentre le crisi epilettiche continuarono ad essere una consuetudine nella vita di Carmela. Nell’estate del 1968 Gabriele Pedro incontro` casualmente la compaesana Carmela presso Chiusa Sclafani. In quel paese dell’entroterra palermitano, circondato da altrettanti paesi rurali disseminati tra i monti Madonie, Gabriele c’era da almeno un mese, che preparava la tesi di laurea assieme al suo amico Biagio Manfredini, e questi abitava non molto distante da quel frate che era conosciuto da tutti come il frate remigo, per le braccia tese che usava esi-
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bire ai figli di Dio. Un giorno Gabriele e Biagio decisero di andare in pellegrinaggio verso la cella del frate, per ricevere la benedizione alla riuscita della tesi di laurea, ch´e ormai alla fine della stesura erano giunti. Fu proprio l`ı che Gabriele incontro` Carmela che si apprestava a farsi esorcizzare dal frate. La guardo` ricordandosi di quanti anni erano trascorsi da quando, piccoli e innocenti, giocavano nelle strade che, come un album, disegnavano, coi cocci di calce bianca, fiori e aeroplani. Carmela lo guardo` con quegli occhi verdi, dalla chioma bionda e liscia, dalla pelle bianca, nivea, pura come il tabernacolo della chiesa. Sorrisero entrambi con complicit`a e quegli sguardi apparvero propizi per i giorni a venire. Si seppe - dopo alcuni anni - che la signora Teresa Spano` vedova Manna, si prodigo` per Carmela. La moglie del farmacista rimase colpita emotivamente di quale destino avesse sub`ıto Carmela Trigona, quando era ormai chiaro in paese che l’assassinio di suo marito era stato, per scelta ferale, pretesto per distogliere l’attenzione sulla vera ragione di quel duplice omi` tramite il cidio. Intervenne la Signora Spano, parroco di S. Anna, per aiutare quella giovane donna a curarsi presso l’ospedale del capoluogo, nel reparto di neurologia. Ne sostenne economicamente sia le spese per le visite me-
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diche, sia i viaggi presso gli ottimi neurologi e sia il mantenimento della famiglia Trigona. Le cure dei medici furono efficaci, cos`ı le crisi gradualmente cessarono di manifestarsi. Si sostiene che Carmela si sposo` con un vedovo, che ebbe una ricca dote da parte della signora Spano` Manna, che visse il resto dei suoi giorni con le difficolt`a che la vita terrena offre a chi e` destinata a soffrire per conto degli altri, come per essere di monito a tutti coloro che si ritengono immuni da ogni male e sventura. Carmela Trigona non si vede piu` da molti anni, non si conosce il suo destino, avr`a avuto dei figli, dei nipoti? Probabilmente s`ı, ne avr`a avuti di figli affettuosi, ormai di et`a sinodale, custode di una vicenda umana che la rese vittima dall’orgoglio dei familiari e dal pregiudizio della societ`a. La vedova Spano` Manna si sent`ı sempre ricambiata dall’affetto di Carmela Trigona, la quale non cesso` mai di andarla a visitare e di starle vicino fino all’ultimo alito. Tre giorni dopo il funerale della signora Spa` il notaro Pecorilla lesse le ultime volont`a no, testamentarie: In questi ultimi anni della mia vita, ho avuto la grazia di conoscere l’amore di Dio e di scoprire l’umilt`a. Non e` stata compiuta ancora giustizia dagli
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uomini, non e` ancora entrata nei tribunali la verit`a, non sono stati ancora puniti i mandanti e gli assassini di mio marito; offro il mio perdono sincero e assoluto a chi cagion`o la morte di Francesco, chiedo perdono a coloro cui la mia vanit`a ha ferito gli animi e invoco dalla Chiesa il perdono dei miei peccati, nel nome di nostro Signore Gesu` Cristo. Che di queste mie suppliche possa nascere la conversione alla fede, alla ragione, alla verit`a. Di tutti i beni che Francesco mi fece dono, sia durante la sua vita terrena sia per l’eredit`a dopo la sua scomparsa, nomino mia unica erede universale la Stimatissima Signora Carmela Trigona. Addio per sempre.
Testamento chirografo dato nelle Tenute Siciliane Terræ. —————– Accepit diligenti notarius Pecorillis. Familia Siculis Maiorum.
III Moresco I magistrati Mosca e Lumia, ormai in quiescenza, furono gli ultimi che videro e conversarono col professore Laurana fino a bere un marsala assieme, presso il caff`e Romeris di Palermo. Nella ricostruzione dei fatti al commissario, Lumia era convinto, fino al punto di dirlo, che il professore stava correndo a un appuntamento con una donna. Il commendatore Romeris, proprietario dell’omonimo caff`e, interrogato su questo punto, se anche lui aveva avuto il convincimento che il professore si apprestava a incontrare una donna, cos`Ĺ come Lumia chiosava, pose l’accento che Sua Eccellenza Lumia giuro` durante il ventennio fascista e continuo` a esercitare il magistero di pubblico ministero, intendendo ricordare che a Lumia si poteva an11
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che soprassedere se al giuramento si era sottoposto, compensato com’era dalla fama di ottimo inquirente. Chiss`a cos’altro intendeva dire con quest’affermazione Romeris! Fece eco alle parole di Romeris il barone d’Alcozer: “Gente come Lumia se ne trovano ovunque, in ogni luogo e tempo, sono tra “chi preferisce la carriera alla coscienza.”, - categoria eterna -. Sua eccellenza Lumia, di udito grossolano, si serbo` di continuare a pensarci a casa, fece cenno di andarsene chiedendo licenza al commissario, il quale acconsent`ı. Fu l’ultimo congedo di Lumia da quel caff`e e dai suoi amici: mor`ı la notte seguente di angina p`ectoris. Presso la Facolt`a di Matematica e Fisica, docente della cattedra di analisi matematica era il professore Euplio Ricci Curbastro, figlio del famoso professore di analisi matematica, Gregorio, esponente di quel circolo matematico palermitano che fino alla vigilia della grande guerra era rinomato fin nelle lontane Americhe, sino in India. Da qualche lezione il professore aveva introdotto lo studio delle equazioni integrali e durante una lezione egli aveva formulato il teorema di Volterra: prima l’ipotesi, poi la tesi e infine la dimostrazione della condizione necessaria e sufficiente. L’esame di analisi matematica fu sostenuto da Gabriele Pedro alla prima ses-
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sione di giugno. Superata la prova scritta con sufficiente margine di punteggio, si preparo` alla prova orale. Il professore era solito formulare tre domande: egli enunciava il nome del teorema e gli studenti tentare di dimostrare la tesi. “Lei Pedro, ha superato lo scritto di analisi con un buon punteggio, noto che . . . il suo approccio allo studio della funzione, giusto sin dall’inizio, le ha permesso di risolvere il problema applicando il teorema di Volterra, ne ha verificato le ipotesi con un breve commento . . . bene anche questo passaggio . . . la conclusione, eccola qui, e` esatta. Conosce la biografia del matematico Vito Volterra?”. Pedro, pur sapendo pochissimo della vita e delle opere di Volterra, riusc`ı a formulare una risposta: “E` un matematico italiano . . . conosciuto nell’ambito della letteratura scientifica come autore di numerosi studi che spaziano dalla biologia sino alla teoria delle equazioni integrali. Il teorema che porta il suo nome, oltre che onorarne la memoria, e` un teorema fondamentale nello studio delle equazioni integrali di prima e di seconda specie . . . ”. “Mi dimostri il teorema dell’invertibilit`a delle funzioni continue e sotto quali ipotesi e` valido il teorema . . . ” interruppe il professore, e quella fu la prima domanda d’esame avendone
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formulate dopo altre due. Il pomeriggio di quel giorno degli esami, sdraiato sul divano della camera, dopo aver riposto i testi di analisi matematica nello scaffale, come per ricordare a se stesso che non sarebbero serviti piu` - ma quante volte dovette consultarli nel corso degli studi di altre materie -, Gabriele Pedro dedusse che la domanda sugli aspetti biografici di Volterra non fu considerata un quesito d’esame.
IV Salmastri odori ` come spesso era soliGabriele Pedro si reco, to andare quando aveva qualche ora libera, alla biblioteca del seminario matematico, ove scelse e si porto` allo scriptorium il libro sulla biografia di Vito Volterra. Vi lesse che Volterra fu un matematico d’illuminata fama, anche se durante il fascismo fu annoverato tra i “Sublimati all’un per mille”, come titolo` in modo altezzoso e impettito un giornale d’obbedienza al fascio littorio. Il ministro Giovanni Gentile, infatti, sottopose nel 1931 i professori universitari al giuramento al regime: su oltre milleduecento accademici, soltanto dodici opposero un rifiuto mentre il resto degli intellettuali mostro` uno spirito di accomodamento e di pavidit`a, ognuno con la propria motiva15
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zione. Vi lesse che gli accademici piu` ideologicamente orientati a sinistra seguirono il consiglio di Togliatti, che invito` i compagni professori a prestare giuramento: mantenendo la cattedra, avrebbero potuto svolgere “un’opera estremamente utile per il partito e per la causa dell’antifascismo”. Vi lesse che Benedetto Croce, stella polare dell’antifascismo, incoraggio` i professori a rimanere all’universit`a, “per continuare il filo dell’insegnamento secondo l’idea di libert`a”. Vi lesse ancora che il papa, Pio XI, su idea di padre Agostino Gemelli, elaboro` un escamotage per i docenti cattolici: “giurate, ma con riserva interiore”. Pensava Gabriele che nessuno aveva sacrificato lo stipendio alle convinzioni cos`ı audacemente esibite in tempi di distensione. Quei dodici su milleduecento docenti rifiutarono il giuramento giacch´e contrario alla loro coscienza, agli “ideali di libert`a, dignit`a e coerenza interiore” nei quali erano cresciuti. Continuo` a leggere la biografia e Gabriele comprese a quali conseguenze incorsero coloro che non ebbero giurato: perdita della cattedra, una pensione al minimo, persecuzioni, divieti, una vigilanza stretta, opprimente e oppressiva. Gabriele scorreva le righe tra le numerose
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pagine dense di notizie. Si soffermo` su quelle righe che riportavano di alcuni professori persuasi che la battaglia antifascista andasse condotta dall’interno, come Calamandrei, che firmo` perch´e considerava l’insegnamento “il suo posto di combattimento”. Anche il matematico Tullio Levi Civita, noto` Gabriele, decise di giurare “ma con riserva”, ossia scrivendo al rettore che “in alcun modo avrebbe modificato l’indirizzo del proprio insegnamento. Terminata la lettura, Gabriele consegno` il libro al bibliotecario. La lettura lo invito` a riflettere: se costretto a giurare quale atteggiamento far prevalere? Da studente gli ideali sono ancora alti perch´e non si ha niente da perdere, nessuna rinuncia perch´e non si ha alcuna posizione di privilegio, ma col tempo, quando gli interessi e le relazioni costruite negli anni costituiscono una fonte preziosa, quando la sola idea di rinuncia e` valutata dalla cerchia di parenti e amici come incauta, quando si ha il carattere avvezzo al tornaconto personale a scapito del prossimo, ecco che l’accettazione di un giuramento che nel tempo puo` assumere forme diverse ma nella sostanza si riduce sempre ad un’accettazione di fedele sottomissione, ecco, riducendo tutto ad una scelta necessaria, la scelta del male minore, si risponde di s`ı per non sapere o volere dire di no.
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Oggi Gabriele Pedro ha le idee piu` chiare e nessun dubbio lo assalirebbe alla stessa domanda, se costretto a giurare, quale atteggiamento far prevalere.
V Aurora di luce Subito dopo aver conseguito la laurea e terminata la leva obbligatoria presso la Scuola Militare di Artiglieria di Pace, Gabriele Pedro si dedico` alla professione d’insegnante di matematica e ottenne una cattedra proprio allo stesso liceo che lo vide studente a Palermo. Espone ai suoi allievi i postulati, i teoremi e i corollari, istruendoli sui fondamenti del calcolo algebrico di Fibonacci e sulla geometria classica di Euclide, li introduce all’aritmetica di Diofanto e alla geometria di Cartesio, li educa a valutare e approfondire gli aspetti umanistici della matematica. Insegna la disciplina matematica da piu` di tre decadi e ormai rimangono solo alcuni anni scolastici prima di essere messo in quiescenza. 19
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Del suo amico di studi Biagio Manfredini oggi a ricordarlo Gabriele Pedro e` assalito da rabbia e delusione. Nel ‘68 erano giunti alla fine dei loro studi universitari, proprio nell’anno in cui iniziavano le proteste degli studenti con dimostrazioni e scioperi di piazza, che da l`ı a pochi anni avrebbero contribuito a modificare i costumi, la politica, e la cultura dell’intera societ`a italiana. Biagio era un cattolico bigotto e smaliziato; fu tra i primi seguaci di un gruppo di preghiera che prese nome di Accomunati e Liberati, fece voto di castit`a, si mise sotto la guida di un Celestino, predicava la distribuzione dei beni, asseriva che il marxismo era un cristianesimo senza Dio e che il cristianesimo era un marxismo con l’aggiunta di Dio ma su questo fu severamente punito nel corpo col cilicio, predicava la genuinit`a delle prime comunit`a cristiane che basavano il loro stile di vita sul radicalismo itinerante, sull’avvento del Regno di Dio, sulla pratica dell’esorcismo. Biagio Manfredini con gli anni si era conquistata la fiducia di un notabile del suo paese, il medico condotto Peppino Amp`ıa, che lo aveva nominato membro del consiglio di amministrazione di una congregazione di opere pie. Gabriele Pedro ricordava tra i suoi pensieri quante parole sprecate
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aveva detto Biagio Manfredini in conferenze, dibattiti, cortei e manifestazioni, infatti, appena la vita gli aveva mostrato il vero volto, egli percorse le stesse strade della corruzione di coloro che prima di lui gi`a altri avevano percorso, per ottenere quello che - secondo Biagio altrimenti altri gli avrebbero sottratto. Sceso allo stesso livello dei mafiosi, - quei coi colletti bianchi ossia i borghesi parassiti, ch´e dei mafiosi di basso rango aborriva l’idea di frequentarli - Manfredini se n’era servito, ne aveva esaltato le virtu` e le prodigiose gesta, ci aveva banchettato insieme, ci aveva creato comparanze e insieme avevano diviso il pane, togliendolo, senza destare alcuno scandalo, alla gente ignara. Ne approfitto` proficuamente dei benefici avuti e ancora oggi Gabriele lo vede l`ı ad adulare, a frequentare segreterie politiche e sacrestie per ottenere un incarico, una consulenza, un nomina prestigiosa, un avanzamento di carriera, una destinazione piu` ambiziosa e degna della sua inettitudine. In fondo, - penso` Gabriele -, quando otterr`a quel che tanto ha reclamato, a Biagio rimarr`a sicuramente un leggero rimorso, ma e` a conoscenza - e in questo sta il suo falso ideologico come a tanti mafiosi - che una confessione, sincera e convinta, il ricorso all’infinita misericordia di Dio laver`a la sua anima dai peccati.
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E il maltolto? E chiedere perdono a coloro cui ha circu`覺to del denaro, forte della sua cultura e della sua conoscenza? Gabriele pensava che la misericordia e la giustizia umana non sono pienamente conciliabili: se si dispensa misericordia a tutti allora ci sar`a qualcuno colpevole che ricever`a misericordia; se si dispensa misericordia solo a chi se lo merita allora ci sar`a qualcuno innocente che sar`a escluso dalla misericordia. Solo Dio riesce ad essere misericordioso con tutti, colpevoli ed innocenti. Di personaggi come Biagio Manfredini, come parassiti in simbiosi con gli alberi, paurosamente Gabriele Pedro ebbe coscienza di esserne circondato.
VI Amicizia breve Ragan`a di Montalmo era un uomo le cui attivit`a e interessi erano interamente dediti a delinquere, ma conservava le carte pulite per l’arguzia di aver fatto prevalere sulla legge la sua autorit`a, e da intoccabile qual era, era divenuto anche rispettabile. Ragan`a non conosceva Ilya Prigogine, ma vi era un legame tra il delinquente e lo scienziato belga: la Teoria delle strutture dispersive. L’idea centrale sulla quale Prigogine ha fondato il suo lavoro scientifico e` che le deviazioni dell’equilibrio termodinamico di un processo chimicofisico possono essere fonte di ordine. Un sistema dissipativo e` un sistema irreversibile e come tale e` fonte di disordine, ma Ilya ci spiega che anche i sistemi dissipativi possono essere 23
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fonte di ordine e quindi di qualcosa di reversibile; per tale teoria riceve il premio Nob`el per la chimica nel 1977. Anche Ragan`a e` un elemento dissipativo, nel senso che la sua presenza nella societ`a e` fonte di disordine, di processi irreversibili, - e l’assassinio cos’`e se non un processo irreversibile -. ` che partono Sotto determinate condizioni pero, da non si sa dove, a volte dall’azione volontaria dell’uomo, a volte da direzioni che il caos non ci permette di determinare, Ragan`a diventer`a fonte di ordine, di ordine secondo la legge. Nell’autunno del ‘74, con l’inizio delle piogge torrenziali, Ragan`a accusava una certa stanchezza alle braccia e poi alle mani. Imputava tutto questo all’eccezionale calura estiva che aveva permeato tutta l’isola da met`a di luglio fino a fine agosto, calura agostana che aveva smentito, almeno per quella stagione, il detto di agosto capo d’inverno. Decise di farsi visi` ma tare dal medico di famiglia che diagnostico, con riserva di successivi esami specialistici, una cervicale dovuta al repentino cambiamento del tempo meteorologico. La motilit`a delle mani andava peggiorando di nuovo e si avvertivano altri aspetti del suo stato di salute come la difficolt`a a deglutire. Mandato per degli accertamenti specialistici presso l’ospedale Cervello di Palermo, il professore che lo visito` indugio` al-
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cuni giorni prima di comunicargli la diagnosi e si consulto` con i colleghi, non sulla possibile malattia ch´e ormai era sicuro della diagnosi, ma sulla possibile reazione del Ragan`a. Il professore era stretto in una morsa, non si augurava di aver sbagliato perch´e questo gli sarebbe costata la rinuncia a vivere i giorni a venire, ma non si augurava per nulla di dover comunicare lui quella notizia, ch´e il tizio che aveva davanti avrebbe chiesto certamente l’impossibile per guarire e invece, come il filosofo Socrate di liceale memoria, si sapeva di non sapere nulla su quella malattia, nemmeno dal punto di vista eziologico. Per non correre rischi il professore prefer`ı comunicare la diagnosi assieme ai professori del reparto, cos`ı da poter trovare rifugio immediato qualora le cose non fossero andate per il verso giusto. Qualcuno aveva consigliato di perquisire il Ragan`a prima di incontrarlo, affinch´e si fosse stati certi che non possedesse alcuna pistola addosso. La proposta fu accolta e per attuarla si prefer`ı un espediente: di fargli indossare il pigiama perch´e nella stanza dove era previsto un nuovo controllo - la misura della pressione arteriosa - si doveva essere completamente in condizioni di asepsi totale! Il professore, attorniato dai suoi colleghi, consegno` il referto con la diagnosi compiuta sul
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Ragan`a. Questi non lesse, perch´e sapeva che i medici quando scrivono usano parole strane, dunque Ragan`a gli chiese: “Che cosa ho professore?”. Un attimo di silenzio e il professore rivelo` la verit`a medica: “E` stata diagnosticata una sclerosi laterale amiotrofica.”. “Che?” rispose istantaneamente Ragana, storcendo il viso fino a corrugarne il volto con mille solchi, “Che e` un tumore?”. “Non e` un tumore ma e` come se lo fosse e rende invalidi col passare del tempo.”. Interrotto il colloquio con pochi secondi di silenzio, Ragan`a continuo` a domandare: “Ci vuole un’operazione?”. “Queste malattie non si risolvono con un’operazione, ma a volte la cura con i farmaci potrebbe essere efficace. . . ” pensando, allo stesso tempo, che di cure proprio non ce n’erano, ma lasciava almeno una possibilit`a remota al paziente, nel caso che veramente fosse guarito che non si sa mai nella vita, interviene qualche santo del paradiso e manda per aria tutta la scienza medica, fortunatamente senza che ne sia intaccata la reputazione dei medici in persona e di tutta la scienza medica. “Ma siamo sicuri che non abbiate sbagliato, che la malattia che ho addosso sia quella che dite voi, che si sa in questi ospedali si scambia un
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malato con un altro e si rischia di essere tagliati qua!” accompagnando la frase col gesto della mano a modo di taglio trasversale del torace. “Forse ad altri, qualche volta, in amministrazione hanno scambiato le cartelle cliniche ma sul suo caso clinico siamo stati molto accorti, abbiamo controllato con scrupolo gli esami e condotto le visite due volte per maggior chiarezza, siamo spiacenti, ma lei e` affetto da questo tipo di malattia. I sintomi sono indicativi e gli esami diagnostici lo confermano!”, termino` il professore, ammettendo a se stesso che di scambi qualche volta in amministrazione ne avevano compiuti, ma in questo caso c’era stata la massima e scrupolosa attenzione e quell’aggettivo molto era stato pronunciato con una vocale molto allungata. “E la cura? Quali farmaci devo prendere e per quanto tempo?”. “Le ho scritto tutto qui, si presenti tra due mesi, anzi un mese e` sufficiente, cos`ı seguiamo in tempi brevi se la malattia si evolve o se i farmaci faranno il loro effetto.”. Ragan`a si alzo` e, con uno sguardo attento su tutti i presenti, ando` via senza salutare. Dopo un anno Ragan`a era peggiorato, le ` parlava ma lo cabraccia non le muoveva piu, pivano in pochi e con difficolt`a. Era seduto su
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una sedia a rotelle e doveva essere imboccato dalla moglie e dalle figlie, mentre per l’igiene personale ci pensava un’anziana signora che aveva esperienza d’infermiera. Fino a quando aveva avuto il pieno controllo di se stesso, non prese mai un solo farmaco che avevano prescritto i medici, che di altri ancora ne aveva consultato ma piu` per volont`a di sua moglie che personale. Aveva compreso che ormai erano giunte le tante maledizioni che i suoi delitti avevano provocato, dannazioni che le madri, le mogli e i figli avevano gettato sulla sua famiglia, e che adesso toccava a lui, e pensava che morire cos`ı con le spalle nel suo letto in questo modo, certo non ci voleva, e non sapeva quale migliore morte era da preferire: ucciso da un clan rivale, da una mano amica o dalla malattia. I giorni passavano cos`ı per Ragan`a: pulito la mattina, imboccato a mezzogiorno, di nuovo pulito e di nuovo imboccato, poi di nuovo pulito, imboccato e rimesso a letto. Il riposo notturno era per lui inutile perch´e dormiva poco. Molte ore nella veglia notturna trascorse a pensare delle cose che aveva fatto quando era appaltatore di delitti. Se non fosse stato per sua moglie, avrebbe continuato il resto dei suoi giorni cos`ı, ma la moglie voleva che quel cristiano scomunicato fosse guidato da una parola di conforto religioso e chiamo` il prete. L’incontro
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fu per Ragan`a una sorpresa ma in fondo sapeva che alla fine doveva affrontarlo un prete. “Figliolo, sono venuto per portarti la parola del Signore.”, e porse la mano sul quel volto scarnificato dalla malattia. “Andate fuori tutti che mi devo confessare!” ribatt´e Ragan`a in modo quasi facile a capirsi, lasciando per un momento basiti i presenti per la rapidit`a della decisione presa e la chiarezza delle parole. “Padre”, continuo` Ragan`a dopo che la camera fu sgombra di tutti i familiari, “Sono arrivato. Queste braccia si sono paralizzate. Dio me le ha fermate perch´e tanti sono i morti che gridano vendetta, e la pena mi e` arrivata, addosso a me, costretto a chiedere cibo come un bambino, a tornare a essere come un neonato, pulito dei miei escrementi ma lucido e cosciente di cosa stia accadendo.”. “Il Signore ha una misericordia infinita, pensa a quanti uomini innocenti portano addosso se stessi la croce della sofferenza senza averne colpa, eppure mantengono la dignit`a, offrono a Dio i loro tormenti, le loro afflizioni, come Giobbe, e non vedere in questa malattia la punizione di Dio ma l’occasione per il pentimento e la conversione al bene. Dio ti ha dato un’ultima possibilit`a, ti ha messo nelle condizioni di confrontare il patire le pene dell’Inferno che e` la
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VI - A MICIZIA B REVE
punizione eterna, senza fine, mentre tu invece porti questa croce della sofferenza che a paragone con l’eternit`a e` come se fosse un solo attimo di quella pena infinita. Il Signore ti sta avvisando della perdizione eterna della tua anima ancor prima di giudicarti e ogni giorno che vivi su questa terra, crogiolo di gioia e di lacrime, ogni attimo del tuo respiro e` un’occasione per chiedere a Dio di rimettere tutti i peccati che hai commesso; non hai che da chiedere perdono e misericordia a Dio e agli uomini. Che sia fatta giustizia anche in terra che nel regno dei cieli, Dio, con la sua immensa misericordia e infinito amore per il suo figliolo che e` stato creato a sua immagine e somiglianza, sapr`a infondere la pace e la gioia della vita eterna.”. Il prete sapeva di quali efferati delitti si era macchiata l’anima di Ragan`a, sapeva ma non poteva dire, vincolato dal segreto della confessione. L’invito a dichiarare la verit`a non solo a cospetto di Dio ma anche degli uomini era stato chiaro, limpido e senza ambiguit`a. Dopo la confessione e l’eucaristia, avviatosi verso l’uscita principale, il prete ebbe coscienza che le parole dette in quella stanza avevano gi`a sortito effetto sui parenti, i quali, se non era per l’abito talare che vedevano indossato da quel prete, l’avrebbero certamente fatto secco seduta stante. Solo gli occhi della moglie aveva-
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no qualcosa di compassionevole, che finalmente era riuscita ad ottenere quel che tutti i parenti accanitamente cercavano di rinviare. C’era solamente da aspettare la conversione di Ragan`a, che fosse fonte di ordine.
VII Orologio Ragan`a non si fidava di nessuno, sapeva che era custode di molti segreti sui delitti commessi nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento e in molti temevano del suo stato di salute. Arrivare alla fine dei suoi giorni cos`Ĺ, in quelle condizioni, avrebbe portato chiunque a pensare che di un segno divino si trattasse; e proprio questo segno divino faceva agitare molti, anche l’avvocato Salvatore Rosello. L’avvocato, venuto a sapere della malattia di Ragan`a, cerco` un’udienza privata, ma per due volte ricevette un secco diniego alla sua richiesta da parte dei familiari. I parenti avevano costruito una ciranda de pedra attorno a Ragan`a e nessuno poteva entrare. Ragan`a era diventato per tutti un cadavere vivente. 33
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VII - O ROLOGIO
Un giorno Ragan`a chiese alla moglie di chiamare di nuovo il prete assieme al notaio, voleva che il suo testamento comprendesse una donazione all’Opera Piissima di S. Giuda Taddeo; anche stavolta i parenti fecero un ennesimo tentativo di opposizione alle sue richieste, opposizione dettata dalla paura che qualcosa fosse detta a proposito di certi delitti e che avrebbe scatenato un duro conflitto con le altre famiglie, con i clan rivali, con i politici, imprenditori, militari. Il notaio non entro` mai in quella casa, ma solamente il prete, sicuri che il segreto confessionale avrebbe tutelato la famiglia Ragan`a, nonostante le confessioni e le dichiarazioni di quel cadavere vivente, “Che Dio ancora si ostina a non portarselo con s´e!” mormorava uno dei nipoti. ` assolse, celebro` l’eucariIl prete confesso, stia, diede un frammento di ostia consacrata che con fatica fu ingoiata da l Ragan`a. L’ultimo sguardo tra il prete e Ragan`a fu per intendersi che si poteva dare inizio alle ultime volont`a, a quelle che Ragan`a aveva scritto un anno prima, all’insaputa di tutti, dove confessava chi erano i mandanti di ogni delitto da lui commesso. Compito del prete era di consegnare il memoriale alla Questura di Palermo. Ragan`a mor`ı dopo alcuni giorni. Ab ingestis
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fu la causa.
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VIII Misoginia . . . Nell’anno del Signore 1832, nella mattinata del giorno 24 novembre, una violenta scossa di terremoto urt`o Nicolosi e Belpasso, ove scompagin`o tutte le case: i vari fabbricati furono lesionati e cinque di essi distrutti. Inoltre crollarono tutti i muri a secco delle vigne. Nel giorno 25, si sent`ı una seconda scossa che, in San Giovanni La Punta, produsse larghe fenditure nell’alto campanile, che poi, con terribile fracasso, croll`o il giorno 29 . . . Nel medioevo, al fiorire della spiritualit`a e dell’umanesimo, sorsero ordini cavallereschi con lo scopo di proteggere l’incolumit`a dei pellegrini. Essi avevano poi eretto se stessi a difensori, a mediatori tra il delitto e l’incolumit`a, e finirono col controllare le vie di comunicazioni. 37
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VIII - M ISOGINIA
` oltre ai pellegrini, tranSu quei percorsi pero, sitavano anche delle merci: cos`ı i cavalieri controllarono l’economia di vaste regioni. La svolta dei cavalieri a un ruolo vessatorio era poi insito nella struttura stessa del gruppo. Quel memoriale di Ragan`a consegnato alla Questura di Palermo era come lingua di fuoco: chi lo maneggiava si scottava. A ogni pagina aperta, a ogni rigo letto, si era davanti ad una palese quanto gigantesca connivenza di uomini e uominicchi tutti dediti, chi piu` e chi meno, a far prevalere l’autorit`a personale sulla legge. Gabriele Pedro, appresa dai giornali la notizia dell’esistenza di un memoriale di Ragan`a, penso` al difficile lavoro degli inquirenti, i quali, sulle poche prove oggettive che avevano a disposizione, dovevano condurre gli imputati davanti ai giudici con dei capi d’accusa validi, dovevano ricostruire i moventi di ciascun delitto confessato da Ragan`a. Fu per una serie di connessioni fra i suoi liberi pensieri che Gabriele Pedro decise di applicare il rigore della logica matematica nel complesso corpo giuridico delle leggi del codice civile e penale. L’idea del libero convincimento del giudice era qualcosa che Pedro non riusciva a comprendere pienamente. Il progetto di sviluppare una teoria del co-
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dice civile e penale che si basasse su un metodo scientifico, su un sistema formale a base assiomatica, pareva per Pedro una strada percorribile. Sapeva Pedro che ci si poteva imbattere in ¨ quel famoso teorema di Godel, che in un sistema vi sono asserzioni che sono indecidibili ma intuitivamente vere, che vi sono verit`a indimostrabili, che sono vere e false contemporaneamente. Impiego` molti anni di studio su quel progetto, anzi gli dedico` molta parte del suo tempo libero, facendone lo scopo della sua vita. La sera, dopo cena, dopo aver conversato con la moglie, dopo aver ascoltato e a volte insegnato ai suoi figli la lezione del giorno appresso, si dirigeva allo scrittoio e l`Ĺ cominciava prima a pensare e poi a scrivere. Credeva Gabriele Pedro al suo progetto, di dare vita al suo proposito d’inventare un’algebra giuridica.
IX Mongibello Le confessioni di Ragan`a riempirono le colonne di quasi tutti i quotidiani nazionali e a Palermo in molti non dormirono sonni tranquilli. Non si conosceva in dettaglio cosa contenesse il memoriale di Ragan`a ma gi`a in molti della cosiddetta Palermo imprenditoriale e politica, la Palermo dei borghesi, dei dirigenti e dei funzionari regionali, sospettavano di essere oggetto d’indagini da parte della magistratura: cos`Ĺ si mise in moto quella catena di connivenze e di amicizie, col tentativo di conoscere in anticipo chi era stato menzionato nel memoriale di Ragan`a. Intanto le prime contromisure da parte dei potenziali indagati furono la messa in dubbio della veridicit`a del memoriale. Con quale sta41
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IX - M ONGIBELLO
to psicologico erano state scritte le confessioni? Qual era la disposizione dell’animo di quell’uomo colpito da cos`ı grave malattia? Pazzo si diceva in giro che fosse, matto, impazzito, s`ı proprio cos`ı, pazzo, privato di quella lucidit`a mentale che e` gi`a flebile per un uomo normale, ancora piu` debole per un uomo impressionato dagli effetti di quella terribile malattia che lo privava dei movimenti essenziali. Altri, invece, cercavano di allignare il dubbio che fosse veramente un mafioso, se era stato cos`ı efferato nei delitti come poteva essere incensurato e addirittura rispettabile? E i giornalisti scrivevano sotto dettatura ora di quel politico ora di quell’altro imprenditore, mentre altri giornalisti, per equilibrare il peso delle calunnie e delle diffamazioni, scrivevano sotto dettatura di alcuni magistrati o dei politici di opposizione. Dovevano ancora concludersi le indagini ma a Palermo l’atmosfera era rovente, malgrado quell’anno la stagione invernale avesse portato, caso sporadico ed eccezionale per una citt`a di mare, alcuni fiocchi di neve. Salvatore Rosello vantava certamente amicizie di non poco conto e utilizzo` tutte le sue abilit`a persuasive affinch´e potesse riuscire a conoscere se in quel memoriale vi era un accenno sui casi Manna, Roscio e Laurana. Seppe Salvatore Rosello che il memoriale fu consegnato da un prete e quel-
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l’indizio gli basto` per far intervenire, tramite suo zio l’arciprete Rosello, il vescovo di Monreale Aloisio Pasqu`ı su quel prete di campagna che aveva consegnato il memoriale. Dalla conversazione tra il vescovo e il prete, l’avvocato Rosello ne seppe quanto ne sapeva prima, ossia nulla. Il prete non era caduto nella tentazione di aprire e leggere il memoriale, si era solamente reso “il tramite della volont`a di Dio”. “Ai magistrati il compito di valutare, secondo coscienza, secondo il riscontro dei fatti e le prove a supporto della tesi accusatoria.”, confessava il prete sotto l’obbligo dell’obbedienza. Era certo nell’animo suo, - il prete di campagna -, che il memoriale rispondeva a un disegno di giustizia, ma sapeva che in fondo rispondeva anche a un desiderio da parte del Ragan`a di non volersi assumere tutto il peso delle responsabilit`a di quei delitti, aveva voluto essere un pentito, un gesto di pentimento era quindi alla base del memoriale e non un gesto di vendetta, non uno strumento della discordia. Avrebbe destabilizzato mezza Sicilia con quelle carte, avrebbe alterato equilibri delicati, avrebbe messo a rischio la sua intera famiglia esponendoli al tiro diretto degli avversari, sarebbero stati braccati da tutte le altre famiglie, dalla famiglia dei Cortigresi e dei Brancone, dei Gre-
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cali e dei Provenzanidi. La faida avrebbe portato lutti e sangue nella famiglia di Ragan`a, ma egli voleva, e con tutta la sua volont`a, mettere fine dall’essere il boia dei potenti, l’appaltatore di delitti, ch´e il guadagno era toccato in eguale misura anche ai mandanti, ed entrambi dovevano assumersi i medesimi rischi davanti agli uomini e a Dio. Salvatore Rosello aveva, dunque, tentato invano la strada di interpellare il prete tramite il vescovo, e questo gesto gli era costato pure un grave ammonimento direttamente da Sua Eccellenza Aloisio Pasqu`ı. Il vescovo era turbato dalle confessioni che andava raccogliendo durante il suo magistero. Da molte parti, e da molte voci, prendeva corpo il sospetto che nei delitti del medico e del farmacista e del professore ci fosse, come movente, la mano di Salvatore. Il vescovo era turbato di queste mormorazioni, che l’avvocato invece definiva vox populi, la sua coscienza lo tribolava, con afflizione sospettava che quella dispensa tanto sollecitata dall’arciprete Rosello e che aveva permesso ai due cugini Luisa Rosello e Salvatore Rosello di sposarsi, era stato un gesto imprudente nel concederla ad appena un anno di lutto. Si era reso strumento del male, inconsciamente, e ne era diventato una maglia dell’intera catena diabolica. Pregava la Madonna e si
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chiedeva perch´e non fosse stato illuminato dalla prudenza, perch´e il disegno della divina provvidenza doveva essere sconvolto da un gesto cos`ı criminoso. Il tentativo, quindi, di sapere se vi era un cenno dei delitti di Manna e di Roscio sul memoriale, serviva piu` al vescovo che a Salvatore, avrebbe rimediato a dare pace alla coscienza del vescovo. Non aver chiarito a se stesso se in quel memoriale c’erano i nomi dei mandanti di quei delitti, incup`ı ancora di piu` il vescovo, il quale convoco` l’arciprete presso la Curia per affrontare questo delicato argomento e dai colloqui emerse che, anche l’arciprete era turbato per i medesimi sospetti. Di l`ı l’ammonimento a Salvatore, per chiarire a chi interessava veramente quell’informazione sui delitti del farmacista, del medico e del professore. Salvatore non chiar`ı la sua posizione di estraneit`a sui delitti, non si volle sottomettere all’autorit`a religiosa, non accetto` di confessarsi e di offrire quindi un riscontro sulla veridicit`a delle sue affermazioni. Se ne usc`ı con un pretesto e ruppe i rapporti con suo zio. Salvatore Rosello continuo` ancora nell’opera di persuasione su persone che avrebbero potuto aiutarlo nella sua ricerca. Pensava chi potessero essere i probabili depositari di quelle informazioni e poi cercava di trovare un amico,
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o un amico dell’amico che lo potesse portare ad avere quelle informazioni. Anche la moglie, Luisa, partecipava a questa ricerca, confidando in qualche amica che avesse dei legami con gli inquirenti, che le mogli, o meglio le amanti, a volte sanno piu` cose degli inquirenti stessi. E ci arrivo` per prima Luisa ad avere l’informazione che cercavano e, con sorpresa, dei delitti di Manna, di Roscio e di Laurana, nel memoriale non c’era scritta nemmeno una parola. “Non puo` essere vero!”, diceva Salvatore a Luisa, “Non puo` essere vero una cosa simile. C’´e mezza citt`a in agitazione, si e` scatenata una guerra di mafia contro i Ragan`a, certi miei amici potenti hanno paura che da un momento all’altro possano aprirsi le porte della galera, e di tutti questi, Ragan`a doveva proprio escludere me?”. Ne dubitava. Non poteva essere vero, anzi era vero il contrario, che nel memoriale c’era scritto tutto nei dettagli, e che l’informazione era stata data per accontentare Luisa per le pressanti richieste, ma che quelle informazioni erano inattendibili, prive di ogni fondamento di veridicit`a. Non poteva essere vero che non fosse stato menzionato, e Salvatore di questo si convinse a tal punto che desistette da ulteriori ricerche. Era necessario trovare adesso un alibi, una difesa efficace, bisognava prepararsi al-
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lo scontro con la giustizia, con la legge, era necessario, ancora una volta, far prevalere la sua autorit`a di uomo di potere. ` che dei delitti di Manna, RoEra vero, pero, scio e Laurana, sul memoriale non vi era alcun cenno. Quale motivazione aveva spinto Ragan`a a tralasciare questi delitti? Sulle intime motivazioni del perch´e Ragan`a avesse omesso di dichiarare i mandanti non e` dato saperlo. Ecco che l’atto criminoso, senza il reo confesso, pur vero nel fatto, rimane indimostrabile, indecidibile.
X Balaustra marmorea Nelle campagne di San Vito Lo Capo viveva Tano Foti, bracciante agricolo, che nel periodo estivo era il responsabile della fumigazione nei vasti aranceti della tenuta del barone Placido di Altacedro. Tale mansione di sorvegliare le operazioni di fumigazione degli aranceti gli derivava dal possesso di un patentino per la manipolazione del cianuro, il quale, su controllo diretto e previa autorizzazione della Questura, a ogni campagna per fumigare gli aranceti, veniva prelevato in porzioni ben definite da persone autorizzate. Tano, assieme ai suoi uomini, stendeva dei teloni sugli alberi di arancio e quando una vasta area era coperta, di sera, procedeva all’immissione di una piccola pastiglia di cianuro dentro un vaso di terracotta. Dopo 49
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alcuni minuti i vapori del cianuro permeavano nell’aria, rimanendo intrappolati sotto i teloni incerati. Tano era l’addetto alla conservazione del cianuro e di questo era a conoscenza l’avvocato Rosello, che lo ando` a trovare durante una di quelle giornate di fumigazione. Alla vista dell’avvocato, Tano si meraviglio` per quell’insolita visita, fece le dovute riverenze, attese di conoscere le intenzioni dell’avvocato, - ch´e intuiva non essere l`ı per caso -. Di sicuro l’avvocato era l`ı per qualcosa d’importante da chiedere, forse non a Tano ma a uno della sua squadra, un bracciante, uno di coloro che lavorano in agricoltura solo per avere l’alibi di non essere considerato un nullafacente dalla polizia. L’avvocato, invece, voleva parlare proprio con lui. Andarono insieme lungo la trazzera, mantenendosi lontano dai braccianti. L’avvocato rievoco` che quel patentino ottenuto dalla Questura a Tano gli aveva procurato un miglioramento delle condizioni economiche, che aveva cos`ı potuto far maritare le quattro figlie femmine, che la fedina penale era piuttosto corposa ma alla fine, e con le buone parole che ci aveva messo, si riusc`ı ad ottenere quel che non si poteva ottenere. Tano ne fu riconoscente e, per eccesso di compiacenza, rispose che
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non dimenticava gli amici e che era sempre a disposizione. “Appunto . . . ”, rispose l’avvocato, “ . . . gli amici non si dimenticano . . . ” e adesso voleva che a disposizione ci si mettesse lui, Tano Foti, dal cognome che e` comune in quelle terre ricche di giardini di zagare, come quasi tutti i paesani della valle di Raccalma. Voleva che Tano gli desse due pasticche di cianuro, ben macinate e che li conservasse dentro due piccoli cofanetti con incisi dei cammei che l’avvocato estrasse dal taschino interno della giacca. Sapeva benissimo l’avvocato che Tano era uno di quegli uomini che nella vita hanno solo predicato odio e rancore, che l’orgoglio se li mangia vivi, che incapaci di riuscire a risolvere i conflitti con se stessi, a vita mantengono un perenne stato d’inimicizia, di disprezzo per i princ`ıpi morali. La moglie di Tano, Tina la sciancata, possedeva invece un talento di servilismo e sottomissione che giovava moltissimo al marito. Spesso, di capo mattina, la moglie di Tano andava a destra e a manca a chiedere in prestito del denaro, senza offrire alcuna garanzia, a tempo indeterminato e senza pagarne gli interessi, facendo leva sulla buona fede e sull’ingenuit`a degli amici e dei parenti. Avevano cos`ı ottenuto quel che altrimenti le banche
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` ponon avrebbero mai dato, vanificando pero, co a poco, antiche amicizie e parentadi. I favori che ottenevano li facevano morire ancora di piu` dalla rabbia, perch´e all’umilt`a della riconoscenza loro ricambiavano con l’ingratitudine e l’invidia. Anche stavolta Tano, dopo che dall’avvocato aveva ricevuto il favore di una buona parola per ottenere il patentino, fece prevalere l’ingratitudine, e non perch´e fedele alla legge o perch´e voleva mettere fine al suo passato, cominciando un nuovo orientamento di stile di vita, - non c’entravano per niente le due condizioni di correttezza morale, che della legge, Tano, non se ne curava come quando s’infierisce il colpo di cozzo ai conigli -; era solo il piacere di esibire un atteggiamento d’ingratitudine che lo spingeva a dire di no, finalmente protagonista di un rifiuto consumato a quattr’occhi, ‘tu che chiedi ed io che ti rispondo di no!’, pensava. Trovo` un pretesto, che doveva chiedere il permesso al barone, che senza la parola del barone lui non si permetteva nemmeno di portare via da quella tenuta un filo di paglia per l’asino. ` L’avvocato ando` via in silenzio, si allontano, poi borbotto` le parole “Verme e miserabile!”, sputo` su una pietra, lasciando Tano solo nell’aranceto, sotto il sole di un pomeriggio di luglio, nella polvere bianca che i suoi passi sollevava-
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no. Nei giorni appresso, l’avvocato si procuro` per altre vie il cianuro.
XI Califfato di Baghdad Nel corso di meccanica razionale, Gabriele Pedro ebbe modo di approfondire un argomento che sin dai primi paragrafi gli apparve affascinante: la Teoria delle perturbazioni. In un sistema in equilibrio stazionario, se interviene una perturbazione esterna, quali sono gli effetti, sia qualitativi sia quantitativi, sull’equilibrio: si manterr`a come prima, si disporr`a in un nuovo stato di equilibrio o tender`a in modo irreversibile a degenerare verso l’attrattore? La citt`a di Palermo era diventata un sistema stazionario perturbato dal memoriale di Ragan`a e la domanda che si ponevano tutti era: quale nuovo equilibrio si sarebbe ottenuto, se di equilibrio si poteva parlare, dopo aver celebrato il processo basato sulle carte di Ragan`a? 55
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Il sistema economico e sociale della citt`a poteva anche degenerare in modo irreversibile in uno stato di anarchia, oppure, per mantenersi in equilibrio durante la fase transitoria doveva scambiare energia, imprevedibile nel moto regolato dal caos deterministico, rendendo cos`ı impossibile qualunque previsione sull’evoluzione, - se ci fosse stata -, verso un nuovo stato di equilibrio. Per Luisa e Salvatore si presento` un fatto imprevedibile, che porto` il loro sistema a degenerare verso un attrattore, fino a ridurre allo zero assoluto il loro livello energetico, ossia fino alla morte fisica. Cenavano entrambi, seduti uno di fronte all’altro: minestra e un uovo alla coque ciascuno. Salvatore non aveva appetito e Luisa, di riscontro, ne aveva ancora meno. Proruppe Salvatore in una confessione che lascio` Luisa scura nell’animo: “In questi due cofanetti, vi e` una sostanza che se ingerita, il tempo di arrivare nella bocca dello stomaco e . . . si e` nell’altro mondo. Il memoriale di quell’infame di Ragan`a, che il diavolo se lo mangi tutti i giorni, mi rende agitato, mi viene il nervoso solo a pensarci; come si spiega che io lo pago profumatamente, gli procuro l’assoluzione per quella diga costruita senza manco un crisma, senza regole e che alla prima pioggia crolla come se
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fosse pasta frolla e ne muoiono piu` di duemila sotto quel fango, che si cancella pure un paese intero dalle mappe geografiche, mentre lui che fa? Scrive! Scrive i nomi degli amici, e che gola profonda, e dice tutto, di tutti; e quel prete della malora, non aveva altra gente da confessare quel giorno, che doveva trovarsi per forza di cose l`ı, in quella casa piena di serpi, s`ı s`ı s`ı, piena di serpi e` quella casa. Si vuole mostrare integro e pulito questo infame di Montalmo, cornuto con le penne. Si vuole rendere casto, si vuole ricostruire la verginit`a, vuole diventare il moralizzatore della Sicilia e anche d’Italia. E quei politici, e quanti ce ne sono che sputano fuoco, hanno gi`a cantato vittoria, ma non sanno che cosa uscir`a sul loro conto alle prossime elezioni, sui soldi che hanno intascato dai lavoratori, un’estorsione legale, tacita, sotto banco, tutti pagano, tutti. . . , e senza fiatare, e loro ingrossano le casse per poi abbeverarsi alle elezioni, che bell’abbeverata che si fanno, ma io ci metto il veleno e li faro` morire tutti, col veleno li uccido, col cianuro, a sacchi interi gliene verso . . . ”. Luisa non osava parlare e col capo chino pensava a come trovare una via d’uscita da quella vicenda. “ . . . Ma non mi vedr`a rovinato l’infame, a costo di prendere questo cianuro . . . di farla fi-
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nita, no . . . io, a loro, il piacere di mettermi dentro l’Ucciardone, dentro le patrie galere come prigioniero non l’avranno mai. Vedranno il segno che gli lascero` addosso. Il segno di Salvato` re Rosello non se lo scorderanno mai, mai piu!”. Salvatore continuo` ancora per una buona mezz’ora le sue invettive contro tutto e tutti e ci volle l’intervento di Luisa per ridimensionargli la collera e l’ira di vendetta altrimenti avrebbe continuato con quello sfogo pieno di rancore. Prima di andare a dormire, entrambi bevvero una tisana, cos`ı si calmarono e facilitarono il sonno, ma l’effetto della valeriana arrivo` solo a notte avanzata.
XII Metafore Il vescovo Aloisio Pasqu`ı continuava nel suo magistero di pastore della diocesi. La Curia arcivescovile si sentiva anch’essa sotto l’assedio della stampa locale. Il Ragan`a aveva avuto frequenti contatti con la Curia. Egli si era interessato, anni prima, a far arrivare copiosi contributi da parte delle amministrazioni comunali per il recupero architettonico delle chiese. Molte costruzioni religiose, chiese, conventi, furono oggetto di restauri e ricostruzioni, le cui direzioni dei lavori facevano capo a un’impresa di costruzioni e il titolare di quell’impresa era un cugino di secondo grado del Ragan`a. Il vescovo, durante un’omelia, invoco` la Santa Vergine affinch´e gli aliti del sospetto e della calunnia fossero dispersi dal respiro di vita pro59
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XII - M ETAFORE
fusa dalla Beata e Santissima Immacolata Maria. Invito` tutti i fedeli a una veglia notturna di preghiera, a un lungo e congruo rosario, a una collettiva espiazione dei peccati, per cacciare il demonio, il maligno da ogni anima, da ogni luogo. La notte fu lunga per il vescovo. Giungevano notizie da ogni parrocchia sulle presunte responsabilit`a dei delitti commessi dal Ragan`a. Ogni giorno ne sapeva di due o tre di delitti imputabili direttamente o per mezzo di lui, e questo gli aumentava il peso della croce sulla coscienza. Esortava l’ubbidienza, la disciplina, il silenzio. Prudenza, ci voleva prudenza, nelle frequentazioni, nei legami con la politica e con certi personaggi. Prudenza predicava, assieme alle giaculatorie, ai parroci che andava visitando, di parrocchia in parrocchia, da convento a convento, ovunque. Non riusciva a comprendere come avesse potuto, quell’uomo, avere tutto quel carisma d’intoccabile. Chi c’era dietro di lui? Chi manovrava questo strumento del male, di morte? ‘Il diavolo si combatte con la forza della fede’ ammoniva alla propria coscienza. Quella notte, il vescovo, con fede si raccomando` l’anima a Dio. Prego` per le anime del purgatorio, come ogni notte, come sempre.
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Ma la notte fu lunga per il vescovo.
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XIII Citera Luisa era una donna che solo a guardarla gi`a si commetteva peccato col pensiero. Si pensava al suo sesso come al piu` misterioso dei piaceri umani. E ognuno ci voleva mettere il proprio, di sesso, come il filo di cotone che entra nella cruna dell’ago. Ai tempi della frequentazione del Collegio Verginelle della Quassia, Luisa si era innamorata di Salvatore e aveva con lui provato l’emozione del primo bacio, il piacere del calore carnale, la perversione di sottili godimenti inconfessabili. La sua sventura fu lo zio arciprete, che quando seppe della tresca amorosa tra i due nipoti si dedico` a convogliare i desideri di quella nipote, ormai donna, verso il neo medico Roscio. Ci riusc`Ĺ lo zio a celebrare le nozze 63
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XIII - C ITERA
e a spezzare quel legame quasi incestuoso che era durato fino alla vigilia del matrimonio. Col passare dei mesi, l’astinenza delle attenzioni di Salvatore provoco` a Luisa uno stato depressivo. Non ce la faceva piu` a resistere. Ormai anche il toccare le carni di suo marito provocava la sensazione di essere accanto a qualcosa di molliccio, il sudore le pareva di odore acre, spesso si lavava le mani appena lo sfiorava. Anche l’alito non sopportava, disgustava i suoi gesti quando mangiava, vedeva la bava quando egli parlava. Sul labbro, nella parte centrale, quando il marito parlava, gli si formava un piccolo e schiumoso schizzo bianco di saliva, e a ogni movimento delle labbra tale chiazza si stirava tra il labbro superiore e quello inferiore e provocava nell’interlocutore che lo guardava, prima una sofferenza e poi un istintivo passaggio di lingua sulle labbra, come per dire in modo inconscio di asciugarsi quella chiazza di saliva che, a ogni parola, cresce` Lo schifava continuamente, va sempre di piu. specialmente di notte. A Luisa le spuntarono, un giorno, una serie di chiazze eritematose sulla pelle, dapprima nelle braccia, poi progressivamente sul torace e sul viso. I medici diagnosticarono che Luisa era affetta da psoriasi e cercarono di lenire i pruriti che quegli eritemi provocarono. Non aveva
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pace Luisa e si contorceva sul letto per trovare un lembo di lenzuolo fresco, abento per la sua pelle. Fu tra quelle sofferenze che Luisa incomincio` a meditare una possibile via d’uscita da quello stato. Partor`Ĺ, la sua mente, una soluzione molto perniciosa, medito` i dettagli, promise a se stessa il nuovo obiettivo della vita: cambiare il corso del destino. Ricomincio` a incontrare Salvatore che si rivelo` meglio di tutti gli unguenti lenitivi che i medici avevano prescritto per lei. Regredirono gli eritemi da quella pelle e lei torno` a essere bella, corposa, viva. Alla prima occasione, Salvatore e Luisa unirono i loro sessi selvaggiamente.
XIV Sfericit`a Per anni Luisa e Salvatore continuarono quella concupiscenza di sesso che perseguivano a ogni momento propizio che si presentava. Nel culmine di ogni passione Luisa accennava, all’inizio in modo evasivo, ma in seguito ricca di dettagli, l’idea di ristabilire quello che gli altri avevano distrutto. Salvatore, inebetito dal piacere, la lasciava parlare, l’ascoltava, e cos`ı prese corpo anche su di lui l’idea di eliminare chi era di ostacolo maggiore alla loro unione definitiva: il marito di Luisa, ossia l’avvocato Roscio. Congegnarono un delitto perfetto, anche se questa perfezione ne avrebbe cagionato due di vittime coinvolgendo il farmacista Manna. In seguito il delitto manifesto` qualche falla per l’im67
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XIV - S FERICIT A`
previsto apparire del professore Laurana, attirato che fu da frammenti di frase latine . . . unicuique suum . . . non prævalebunt1 . . . , e ancor piu` da quel duplice assassinio che offriva i contorni offuscati, da non permettere mai una visione perfetta dei fatti. Cos`ı i delitti furono tre.
1 Motti del quotidiano Osservatore Romano: unicuique suum (a ciascuno il suo) e` un aforisma del diritto romano ripetuto, anche senza riferimento al diritto romano, per significare che il compito e il precetto fondamentale del diritto e` di dare a ciascuno cio` che gli spetta; non prævalebunt ( . . . non prevarranno . . . ) e` tratta dal Vangelo di Marco 16,18 “E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edifichero` la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.” (N.d.A.).
XV Armada Luisa sapeva che c’era un tempo limitato a tutto. Aveva cambiato il suo destino, aveva ottenuto cio` che voleva, era riuscita a cambiare con ostinazione il corso della sua vita, anche se predestinata dallo zio e dalla societ`a a una vita con un uomo privo di vivacit`a e che non amava. Ricomparvero di nuovo quelle chiazze eritematose sul torace di Luisa, la quale atterr`ı all’idea che Salvatore potesse allontanarsi da lei. Cercava di guarire ma le chiazze erano sempre piu` vaste e pruriginose. Un giorno, durante una di quelle invettive che Salvatore era solito fare contro tutto e tutti, ud`ı delle tremende parole che la colpirono nell’orgoglio: “ . . . e tu, stai lontana da me con questa specie di lebbra che hai 69
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addosso, che se non fosse stato per te, tutto questo l’avremmo evitato . . . ”. Percep`ı, Luisa, in quella frase, la fine di una ` andarovita maledetta. Quando tutto si calmo, no a letto e bevvero la solita tisana. Non si risvegliarono piu` da quel sonno, ch´e Luisa aveva sciolto il cianuro nelle tazze di entrambi.
XVI Maria Gabriele Pedro non giunse mai a una teoria scientifica e razionale della giustizia; ne ebbe conferma a seguito della lettura del memoriale di Ragan`a, preso come modello per validare la sua teoria. Ragan`a scrisse nel memoriale che invocava il giuramento posto a suggello della Bolla di Mamluk per i delitti Roscio, Manna e Laurana. La Bolla di Mamluk e` un giuramento che intercorre tra due persone, e` un patto davanti a Dio in cui l’appaltatore di delitti si rende schiavo a favore di un’altra persona, intuendone l’intima intenzione delittuosa ma senza che sia stato ricevuto come ordine. La Bolla di Mamluk e` l’embrione che porta l’appaltatore del delitto a dire che la questione e` cosa mia, che poi si evolver`a 71
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nel termine cosa nostra, ossia che riguarda i nostri interessi, gli interessi della cosca. Questo tipo di giuramento e` raramente stipulato tra due persone, ed e` solo possibile tra uomo e donna solamente nelle sere del venerd`ı tranne per la parasceve. Quando viene invocato il giuramento della Bolla di Mamluk, il giudice condanna o assolve solamente per libero convincimento. Luisa Rosello aveva giurato con Ragan`a a suggello della bolla, era l’unica, tra lei e il marito Salvatore, che poteva stringere il patto. L’oggetto dello scambio e` sconosciuto, ma il giuramento scritto nella Bolla di Mamluk esclude una pattuizione di natura economica, poich´e riguarda l’ambito spirituale e soprannaturale. Il libero convincimento del giudice ebbe modo di far comprendere a Gabriele Pedro che il caso giudiziario, il quale implicava la Bolla di Mamluk, era un convincimento indecidibile, non era n´e vero n´e falso, che con il codice penale su base assiomatica messo a punto da Pedro, non si riusciva a dimostrarlo. Aveva dedotto, Gabriele, che i codici civili e penali erano nati su elementi intuitivi ed empirici. I codici erano l’espressione della creativit`a dell’uomo. Il rigore, anche se considerato il principio guida di ogni legislatore, non era mai stato raggiunto. Gabriele Pedro aveva perseguito con ogni sforzo il tentativo di avere un
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metodo rigoroso e assiomatico, ma questo sforzo lo aveva portato alle estreme conseguenze di un’impasse, ove non c’era nessun accordo su cio` che il termine rigore significasse realmente. La giustizia rimaneva espressiva ed essenziale se, e solo se, su base pragmatica. Il professore Laurana non ebbe mai giustizia dai tribunali, mor`ı con la certezza giudiziaria che il decesso fosse stato causato da un incidente, e solo il libero convincimento di un giudice avrebbe potuto cambiare l’incidente in assassinio. Una sentenza verosimile ma non veritiera. Gabriele, quando giunse alla conclusione che non e` possibile punire tutti i crimini se si vuole punire soltanto i crimini effettivamente commessi, ripose, alla rinfusa, tutte le carte che ebbe scritto negli anni, in alcuni scatoloni di cartone, li stipo` nello scantinato, li guardo` come se fosse l’ultima volta e da quella sera, Gabriele Pedro, insegnante di matematica al liceo classico di Palermo, trascorre le sue ore in compagnia della moglie, finalmente insieme. E cos`ı, dopo un lungo periodo durato oltre tre decenni, Gabriele Pedro decise di ristabilire la simmetria che si spezzo` il giorno della scomparsa del professore Paolo Laurana, il 17 novembre del 1964, poich´e nella scena del delitto egli ne era stato un involontario testimone
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oculare. Lo zio di Gabriele era uno degli esecutori del delitto del professore Laurana, il guidatore della Fiat Seicento bianca che nei pressi del piazzale antistante la stazione ferroviaria di Palermo fece salire a bordo il professore. Gabriele si trovava nei pressi della vecchia zolfara perch´e alla ricerca di cristalli di zolfo per un saggio di chimica al liceo. All’arrivo dell’auto, Gabriele non fu notato, ma noto` altri uomini che uscirono dalla casa del custode. Egli riconobbe sia suo zio e sia l’auto che aveva una livrea bianca con l’antenna dell’autoradio - unica automobile del paese con l’autoradio -. L’azione duro` interminabili minuti, gli uomini formarono un semicerchio attorno al professore, il quale indietreggiando chiedeva cosa volessero tutti loro, poi intu`ı di non avere scampo e disse cio` che aveva scoperto, accusando Luisa e Salvatore, indietreggiava di pari passo di quanto avanzavano gli altri, li guardo` negli occhi, tutti, non vedeva alcun arma puntata, tentava di capire chi di loro l’avrebbe per primo attaccato quando uno di essi, appena la posizione della vittima era giusto sotto lo scarico del silo, tiro` il cavo, facendo crollare l’intera grave mora di rosticci che il silo conteneva. *****
Nota dell’autore: ogni riferimento a personaggi o a fatti realmente accaduti e` puramente casuale. La mia fantasia finisce qui, ma la realt`a spesso mi supera. Questo racconto ha il sottotitolo tratto dal romanzo di Sciascia A ciascuno il suo e non si pone come normale proseguimento del romanzo sciasciano: l’ho scritto perch´e il centinaio di pagine di cui si compone quel romanzo non mi bastarono a riempire le mie vacanze. Terminate cos`ı le mie giornate agostane, ho dato sfogo col mio patrio idioma a quel che semplicemente c’era gi`a tra i miei pensieri e adesso torno al quotidiano, se ne occorre! Dato in Taormina, add`ı 28 agosto 2002 AD, giorno di Sant’Agostino, dottore della Chiesa.
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Date di eventi, luoghi e personaggi
Date di eventi, luoghi e personaggi principali citati nel racconto in ordine di apparizione2 .
1964, maturit`a liceale classica di Gabriele Pedro presso il liceo classico *** di Palermo. 21 AGOSTO 1964, assassinio del farmacista Manna e del medico Roscio presso le campagne di Cannatello 2 I personaggi realmente esistiti e i luoghi esistenti sono evidenziati in neretto e corsivo, mentre i personaggi e i luoghi di fantasia sono evidenziati in M AIUSCOLETTO e normale.
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del paese *, in provincia di Palermo. 17 NOVEMBRE 1964, ritrovamento, presso una cava a met`a strada tra il paese * e Palermo, del corpo deceduto del Professore Paolo Laurana, docente in quiescenza di letteratura italiana a latina del liceo classico *** di Palermo. C ARMELINA L AQUATRA FU I GNAZIO VEDONA L AU madre del Professore Paolo Laurana.
RANA ,
T ESTIMONE OCULARE, uomo che vide per ultimo il Prof. Paolo Laurana. T ELEFONISTA, informatore sconosciuto, indiziato quale ultimo compagno del Prof. Paolo Laurana. V ICE Q UESTORE, presso la Questura di Palermo. C OMMISSARIO DI P OLIZIA, presso la Questura di Palermo. D ON L UIGI C ORVAJA DEI C HIARAMONTE, nobile decaduto. N OTARO P ECORILLA, notaio dell’omonimo studio notarile presso il paese *. L UISA R OSELLO, vedova del medico Roscio e cugina di Salvatore Rosello.
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S ALVATORE R OSELLO, avvocato penalista del Foro di Palermo, cugino di Luisa Rosello. 8 SETTEMBRE 1965, festivit`a dedicata a Maria Bambina e data del fidanzamento ufficiale dei due cugini Luisa Rosello e Salvatore Rosello. T ERESA S PAN O` , vedova del farmacista Manna. ` E LISA Z ERILLO, amica di fiducia di Teresa Spano. C ARMELA T RIGONA, prima persona indiziata per l’omicidio del farmacista Manna. M EDICO, dottore in neurologia che cura Carmela Trigona, presso l’ospedale ** di Palermo. Chiusa Sclafani, piccolo centro abitato dell’entroterra Palermitano. B IAGIO M ANFREDINI, compagno di studi di Gabriele Pedro. A CCOMUNATI E L IBERATI, gruppo di preghiera di stampo cattolico la cui guida spirituale ha il titolo di Celestino. F RATE FRANCESCANO DETTO R EMIGO, taumaturgo presso Chiusa Sclafani.
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PARROCO, sacerdote della parrocchia di S. Anna, del paese *. M OSCA, magistrato in quiescenza della Pretura di *. L UMIA, magistrato in quiescenza della Procura della Repubblica di Palermo. C AFF E` R OMERIS, caffetteria di Palermo e luogo di ritrovo dei notabili palermitani. C OMMENDATORE R OMERIS, proprietario dell’omonimo Caff`e Romeris. B ARONE D ’A LCOZER, nobile decaduto. E UPLIO R ICCI C URBASTRO, ipotetico figlio del Prof. Gregorio Ricci Curbastro, docente di matematica. Gregorio Ricci Curbastro, professore di matematica. Circolo matematico di Palermo, circolo operativo fino a pochi anni dopo la fine della prima guerra mondiale. Teorema di Volterra, enunciato matematico formulato da Vito Volterra, insigne matematico e antifascista. B IBLIOTECA, luogo di raccolta libri del seminario matematico.
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Giovanni Gentile, filosofo e ministro della cultura popolare durante il fascismo. Palmiro Togliatti, politico del Partito Comunista Italiano (PCI). Benedetto Croce, filosofo e antifascista. Papa Pio XI, papa cattolico di Citt`a del Vaticano e vescovo di Roma. Agostino Gemelli, frate dell’Ordine dei frati francescani minori, psicologo e rettore. Piero Calamandrei, sindacalista. Tullio Levi Civita, professore di matematica, allievo di Gregorio Ricci Curbastro. S CUOLA M ILITARE DI A RTIGLIERIA DI PACE, scuola militare di artiglieria per l’addestramento e l’indottrinamento dei militari di leva a ferma lunga sul mantenimento della pace. Ospedale Cervello, nosocomio di Palermo. Fibonacci, matematico. Geometria Euclidea, teoria classica della geometria dello spazio del greco Euclide.
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Aritmetica di Diofanto, aritmetica del greco Diofanto. Geometria analitica, teoria cartesiana sulla geometrizzazione dello spazio. 2001-2002, Ultimo anno scolastico di insegnamento di Gabriele Pedro. P EPPINO A MP`I A, medico condotto del paese *. R AGAN A` DI M ONTALMO, faccendiere e mafioso di primo rango. Ilya Prigogine, scienziato russo naturalizzato belga e premio Nob`el in chimica. O PERA P IISSIMA S. G IUDA TADDEO, opera religiosa cristiana di beneficenza a favore dei perseguitati dalla giustizia per omonimia. Socrate, filosofo greco. Giobbe, profeta del Vecchio Testamento. P RETE, confessore di Ragan`a. ¨ Teorema di Godel, enunciato matematico riferito al “Primo teorema di indecidibilit`a”, formulato dal logico Kurt G¨odel.
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A RCIPRETE R OSELLO, zio di Luisa Rosello e Salvatore Rosello. S.E. A LOISIO PASQU`I, vescovo di Monreale. C ORTIGRESI , B RANCONE , P ROVENZANIDI , G RECA LI , ipotetiche cosche mafiose palermitane. TANO F OTI, bracciante agricolo presso le campagne di S. Vito lo Capo. T ENUTA B ARONE P LACIDO A LTACEDRO azienda agricola presso la Valle di Raccalma (nome e luogo di fantasia). T INA
LA SCIANCATA ,
moglie di Tano Foti.
C OLLEGIO V ERGINELLE DELLA Q UASSIA, collegio religioso riservato alle giovani nobildonne di un tempo. Ucciardone, casa circondariale di Palermo. ** * * * **
Postilla dell’autore Il racconto da me vergato ha inizio da un principio che in giurisprudenza e` definito come libero convincimento del giudice. Esso e` quel principio che il giudice applica quando, dopo la presentazione delle prove e sentite le parti, formula il proprio giudizio basandolo non solo sulla mera logica e rigorosa valutazione degli elementi di fatto, ma avvalendosi anche del proprio intuito umano e valutazione delle prove fornite. La citazione di tale principio si trova nell’articolo 116 del codice di procedura civile, in cui si parla di “prudente apprezzamento” nella valutazione delle prove da parte del giudice e vuol stabilire che il giudice o, in generale, l’organo giudicante, si puo` permettere di valutare e decidere liberamente, contribuendo all’esito 85
86 del giudizio con una componente sentimentale ed umana che, si suppone, se dovesse mancare, potrebbe indurre a formulare un giudizio che escluderebbe tutte le componenti umane che ogni imputato o testimone in ogni caso giudiziario esprime. Naturalmente non mancano le controindicazioni di questo principio, dovuto in un’eventuale eccessiva valutazione personale delle prove e del fatto, che potrebbe inficiare sulla vera valutazione degli elementi di prova e compromettere l’imparzialit`a del giudice. Riporto per intero il suddetto articolo 116 del c.p.c. dal titolo: - Valutazione delle prove Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. Il giudice pu`o desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell’articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo.
Indice Minareti antichi
1
Astronomici affetti
5
Moresco
11
Salmastri odori
15
Aurora di luce
19
Amicizia breve
23
Orologio
33
Misoginia
37
Mongibello
41
Balaustra marmorea
49 87
88
INDICE
Califfato di Baghdad
55
Metafore
59
Citera
63
Sfericit`a
67
Armada
69
Maria
71
piscibus quantum scio
Design di copertina: Luisa Giuffrida. Ristampato in Italia per conto proprio presso Modena. Tiratura limitata pregiata su carta vergata sopraffino colore avorio, con filoni, millerighe e filigrana sparsa con logotipo Fabriano, fabbricata con cellulose ECF ed ACID FREE con riserva alcalina a garanzia di lunga conservazione. Finito di stampare nel mese di agosto 2002. Ristampa con integrazione dicembre 2015
La questione essenziale `e: come ricostruire la verit` a in modo veritiero e non in modo verosimile, per compiere giustizia? Si pu` o creare un modello scientifico di giustizia? Ricevo il testimone `e un tentativo di continuare il filone della letteratura di denuncia civile; `e il dovere morale ricevuto, appunto, da quel “bastoncino” che i nostri maestri, durante la loro corsa della vita, hanno tenacemente accudito per poi, stremati dalle forze e da una superiore volont` a ineluttabile, cederlo a noi. Del processo istruito sul memoriale di Ragan` a, il personaggio Gabriele Pedro, che dalla ricerca di una giustizia razionale n’`e coinvolto per molti anni, tra l’immanenza del quotidiano e la trascendenza di una contemplazione della jus, perverr` a ad una propria verit`a.
Rosario Giuffrida - (Catania 1965), ingegnere in meccanica indirizzo fisico-energetico e appassionato studioso della storia del pensiero matematico. Vive in Emilia Romagna e lavora a Modena, presso i laboratori di ricerca del Dipartimento di Ingegneria Enzo Ferrari dell’Universit` a di Modena e Reggio Emilia. Ha scritto: Il problema acribico di Keplero, 1994. - Ricevo il testimone non praevalebunt, 2002. - Storia del calcolo matematico del pendolo ovvero del grave che pende e vacilla, 2012. - Bara´ onde gravitazionali, 2015.
ISBN 979-12-200-XXXX-Y