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Feltre
Posizione
Centro principale del territorio feltrino è la città di Feltre, situata ad occidente del fiume Piave e alle pendici delle Dolomiti e, più in particolare, delle Vette Feltrine, chiusa a sud dal Monte Tomatico che domina imponente la porzione occidentale della Valbelluna. La città è formata da un nucleo storico, posizionato al di sopra del Colle delle Capre, ai cui piedi si sviluppano i quartieri più moderni.
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Cenni storici
Feltria, dopo essere stata fondata dai Reti, con le città di Trento e Verona, venne gradualmente romanizzata e divenne municipium dal II secolo a.C. Fondamentale per il suo sviluppo fu la vicinanza alla Via Claudia Augusta, che da Altino, portava, attraverso Trento ed il Brennero, ad Augusta in Baviera. La città divenne importante in questo periodo perché sede di associazioni di fabri (artigiani), di centonari (addetti al riciclaggio di scarti di lavorazione della lana. Le centones sono identificabili con l’attuale feltro che dal nome della città ebbe origine) e di dendrophori (boscaioli, artigiani, mercanti e trasportatori di legname).
Le strade romane furono un facile mezzo di invasione per i barbari, che in seguito a diversi attacchi, portarono al declino dell’Impero Romano. Feltre fu più volte devastata dai Visigoti, dagli Unni, dagli Alani ed infine dai Longobardi di Alboino (569). Per tutto il medioevo si afferma il principato dei Vescovi-Conti con sede a Belluno. Nel X secolo domina invece il Vescovo Giovanni II. A seguito l’epopea Ezzeliniana (XIII secolo) apre la stagione delle Signorie e dei Comuni. È la volta dei trevigiani da Camino, dei veronesi Scaligeri, dei padovani Carraresi e perfino dei milanesi Visconti. Visse un periodo di notevole splendore nel 1404 quando legò le proprie sorti alla repubblica di Venezia. L’unica interruzione guerresca è avvenuta nel 1510, con la rovinosa distruzione da parte delle truppe di Massimiliano d’Asburgo, che diedero fuoco alla città. Una volta ricostruita la città, seguirono secoli di pace, prosperità e ricchezza. Gli ultimi due secoli vedono la corsa a depredare queste terre. Dopo le campagne napoleoniche, il regno Longobardo, le guerre d’Indipendenza si sfociò nel Regno D’Italia.
Il castello fu costruito dai Longobardi nel VI secolo su precedenti strutture romane e fu più volte distrutto. Venne riedificato nel XI secolo e si susseguirono varie modifiche. Oggi, dell’antico castello, rimane solo la torre “dell’Orologio” e la torre del “Campanon”.
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4. Rappresentazione topografica schematica della città di Feltre alla metà del XVI secolo, Archivio Curia Vescovile di Feltre, Registro n.33 c. 454 r.
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Carattere urbano
Dopo aver varcato Porta Imperiale, entrando dunque all’interno delle mura della Feltre storica, e procedendo lunga via Mezzaterra, la spina dorsale che attraversa il Colle delle Capre, si può avvertire come il carattere della città si unifichi. Si comincia a trovare analogie stilistiche e costruttive negli edifici, caratteristiche che accomunano gli uni agli altri. Tale unità è dovuta alla grande ricostruzione della città in seguito all’incendio che l’ha devastata nel 1510. Andrea Bona nel suo libro “Il modello e il Luogo” riporta come nel tardo Quattrocento, ovvero prima della grande devastazione della città, “la struttura edilizia di Feltre è evidentemente ancora caratterizzata da un uso promiscuo dei materiali, con porticati in muratura al piano terra e con strutture in legno, scale, poggioli, ma anche veri e propri tamponamenti di facciata, ai piani superiori.”1 La grande presenza di legno negli edifici portò probabilmente alla veloce diffusione dell’incendio. La successiva ricostruzione rispecchia dunque uno stile conforme a tale periodo storico, in particolare uno stile che garantisse un certo decoro urbano. Questo rispecchia fortemente lo stile di matrice veneziana. Si nota inoltre come la tipologia architettonica ricorrente tra i vicoli del colle è la fabbrica con botteghe al piano terra ed abitazioni ai piani superiori. La presenza di porticati ad arco a ridosso delle strette strade è frequente, spesso posizionati davanti alle botteghe. Giuseppe Mazzotti nel suo libro riporta che “Il tracciato delle strade interne è quello di prima, ma le case sono risorte ai lati con aspetti nuovi e fra di loro simili: portali ad arco, di pietra, piccole finestre ai piani terreni, alte dal suolo, per impedire sguardi indiscreti, difese spesso da inferriate come per timore di altre possibili incursioni di armati, fac- ciate con rapporti musicali fra gli spazi vuoti, le polifore e le finestre ad arco, che creano dovunque ritmi armoniosi”2 ni di ferro, trovai il profondo portico del Teatro; e aperta la porta dello scalone che ascende alla sala, dalla quale giungeva un tense sono di trombe. Un corpo bandistico vi stava provando. Ma sottovoce, quasi in sordina, per non destare la città addormentata, per non disturbare neppure quei due personaggi marmorei, in fluente parrucca, che, pettoruti ma ano nimi da quando i Francesi ne scalpellarono i nomi, stanno sul piedistallo dentro le loro micchie e, per quello che di là vedono e sentono, potrebbero anche credere che poco la vita sia mutata dal tempo in cui essi reggevano la città, e l’avvocatino Goldoni vi coglieva i primi lauri poetici.”
Aggiunge anche che per ragioni di sicurezza “i poggioli di pietra hanno sostituito gli antichi balconi di legno; e tetti di laterizi quelli di vecchie scandole”2. Per esigenze climatiche i tetti delle abitazioni sporgono fortemente verso la strada e gli sporti di gronda lignei creano una trama che caratterizza tutto il percorso urbano. Si percepisce ad ogni scorcio la diffusa consuetudine di affrescare la facciata delle abitazioni, “emergendo timidamente da qualche intonaco scrostato, o imponendosi con forza in ampi e articolati cicli decorativi”3 Si riesce inoltre a percepire il valore affidato agli accessi, ai portali, che portano quasi l’onere di trasmettere la ricchezza e il decoro di una città nuova.
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‘‘Una sera, a non tarda ora, una sera mite d’incipiente primavera, ho percorso le lunghe contrade di Mezzaterra e di Port’Oria senza incontrare anima vivente. Soltanto due gatti mi hanno attraversato la strada, rincorrendosi e sparendo dentro la finestra d’una cantina. Unica voce: quella delle fontane zampillanti nelle tre piazzette, in cui la ripida Mezzaterra si slarga, quasi per riposarsi. La luce fioca di rade lampade pendule rischiarava di sottinsa le gronde sporgenti dei palazzi, sostenute dalle robuste mensole di legno, e, radendo le facciate, delineava le belle sagome delle finestre e dei balconi.
Chiuse erano tutte le imposte, e già chiuso anche il caffeuccio di Piazza Maggiore. Illuminato da tre grandi lampio-