Vision Pro la rivista

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VISION PRO

Strumenti e tecniche di sviluppo per i professionisti e gli studi professionali

zero 2013 TRIMESTRALE Da leggere La misurazione delle prestazioni di uno studio professionale Quando un professionista deve parlare in pubblico Il budget dello studio professionale L’importanza della rete nello studio moderno Gli adempimenti in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro


COUPON DI ABBONAMENTO - ENTRO IL 31 DICEMBRE 2013

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da inviarsi via fax al n. 045 502430 unitamente alla copia della contabile di avvenuto pagamento

CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO Art. 1 Durata dell’abbonamento Il presente contratto di abbonamento ha durata di un anno dalla data di attivazione, che varia in base alla periodicità prescelta (rolling o solare) come indicato nel modulo d’ordine. Art. 2 Attivazione dell’abbonamento Per abbonarsi è necessario compilare il presente modulo d’ordine in ogni sua parte e, previa sottoscrizione dell’abbonato, inviarlo al numero di fax 045-502430 unitamente alla disposizione di bonifico relativo all’importo dell’abbonamento. Art. 3 Rinnovo automatico Alla scadenza, il presente abbonamento si rinnoverà automaticamente di anno in anno, salvo disdetta da parte dell’abbonato da comunicarsi almeno 60 (sessanta) giorni prima della data di scadenza alla società Gruppo Euroconference S.p.a. con sede legale in Verona, via Enrico Fermi n. 11 a mezzo e-mail all’indirizzo abbonamenti@euroconference.it. Allo scadere dell’abbonamento Gruppo Euroconference S.p.a. si riserva di adeguare il prezzo in misura pari alla variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai pubblicata dall’ISTAT nel mese immediatamente precedente. Sugli abbonamenti in promozione o oggetto di offerte di periodo si applicheranno le condizioni presenti al momento del rinnovo. La stessa regola è prevista per l’applicazione delle offerte per i clienti che appartengono al mondo Privilege. Resta inteso che quanto previsto nel presente articolo non darà diritto all’abbonato di recedere ai sensi del successivo articolo 4 (Reclami). Art. 4 Reclami In qualsiasi momento, l’abbonato potrà presentare eventuali reclami mediante comunicazione trasmessa a mezzo mail all’indirizzo di posta elettronica abbonamenti@euroconference.it Art. 5 Modalità di pagamento Il pagamento dell’abbonamento deve essere eseguito mediante bonifico bancario alle seguenti coordinate bancarie IBAN IT83K0622511702100000000461. Il corrispettivo degli eventuali rinnovi sarà effettuato mediante ricevuta bancaria entro il termine di 30 (trenta) giorni dall’ultimo giorno del mese di emissione della fattura domiciliata presso la banca indicata dall’abbonato; l’utente abbonato si impegna a comunicare immediatamente alla società Gruppo Euroconference S.p.a. qualsiasi modifica dei propri dati bancari a mezzo mail all’indirizzo di posta elettronica abbonamenti@euroconference.it. Art. 6 Cessione di diritti e obblighi L’abbonato non potrà cedere il presente contratto o i diritti e obblighi nello stesso previsti, in tutto o in parte, né permettere a terzi di usufruire dell’abbonamento comunicando o mettendo a disposizione degli stessi i dati di accesso alle riviste, senza aver ottenuto il previo consenso scritto di Gruppo Euroconference S.p.a. Art. 7 (Varie) Tutti i diritti di utilizzazione, riproduzione e distribuzione delle riviste e del materiale edito da Gruppo Euroconference S.p.a. sono di esclusiva titolarità di quest’ultima. La riproduzione, la divulgazione o l’utilizzazione di tali opere e/o di quanto in esse contenuto, laddove non sia stata autorizzata espressamente da Gruppo Euroconference S.p.a., è vietata dalla legge, fatto salvo il diritto dell’abbonato di visionare, fotocopiare e/o stampare le riviste fornite e i relativi contenuti per uso personale. L’invalidità, intera o parziale, di una o più clausole del presente contratto non pregiudicherà la validità delle restanti previsioni. Nessuna rinuncia, tolleranza, ritardo o indulgenza da parte di Gruppo Euroconference S.p.a. nell’azionare qualsivoglia diritto o rimedio in relazione al presente contratto costituirà o potrà essere interpretata come deroga o rinuncia agli stessi per il futuro. Art. 8 (Legge Applicabile e Foro Competente) Il presente contratto di abbonamento è disciplinato dalla legge italiana. Salve inderogabili previsioni di legge che prevedano il foro esclusivo nel domicilio o residenza dell’abbonato, qualsiasi controversia derivante dal presente contratto sarà devoluta alla competenza esclusiva del Tribunale di Milano.

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INDICE Editoriale

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Datemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo

Intervista

TLS Associazione Professionale di Avvocati e Commercialisti

TLS Associazione professionale di Avvocati e Commercialisti, è uno studio indipendente (organizzato sotto la forma tradizionale di associazione fra professionisti), specializzato nella consulenza tributaria e legale, legato, in qualità di Italian member firm, al network internazionale PwC Tax & Legal Services (TLS), leader a livello globale nella consulenza fiscale.

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Strategia

La misurazione delle prestazioni di uno studio professionale

Uno studio professionale è una organizzazione che può raggiungere i suoi obiettivi solo se si pianifica strategicamente e ne misura il raggiungimento con un sistema di indicatori chiave di performance. In questo articolo verranno trattati due argomenti connessi: quello relativo ai processi di pianificazione strategica e quello relativo al controllo strategico per mezzo della misurazione delle prestazioni dello studio. In particolare verrà illustrata la metodologia delle Balanced Scorecard, introdotta all’inizio degli anni ’90.

di Andrea Stefani

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Sviluppo personale del professionista

Quando un professionista deve parlare in pubblico

Uno dei requisiti richiesti ai professionisti è di parlare in pubblico, abilità che fortunatamente può essere appresa e affinata abbinando strumenti di tipo psicologico e tecniche di comunicazione. Con gli strumenti di tipo psicologico è possibile affrontare la preparazione mentale dell’oratore e combattere l’ansia da palcoscenico. Con le tecniche di comunicazione è possibile dominare la preparazione e la attuazione del discorso che dobbiamo tenere. Il processo da seguire per la preparazione tecnica è formato da step che i latini hanno chiamato rispettivamente inventio, dispositio, elocutio, actio.

di Michele D’Agnolo

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Risorse umane

Il clima interno negli studi professionali e la crisi economica

In un contesto economico di indiscussa difficoltà che si protrae da molto tempo, anche le cosiddette professioni dorate, quelle che da sempre sono considerate ricche, stanno subendo una contrazione dei propri risultati, ovvia conseguenza dell’andamento “a granchio” dell’economia italiana e mondiale. A tal fine risulta importante essere preparati e, uno strumento di sicura utilità, è quello della misurazione del clima dello studio professionale che permette una diagnosi organizzativa.

di Eugenio Santioni

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Controllo di gestione

Il budget dello studio professionale

L’articolo spiega come introdurre il budget nell’ambito dello studio professionale. Dopo aver presentato le caratteristiche e le finalità del budget quale strumento di programmazione dell’attività dello studio, vengono analizzati i principali elementi attinenti al processo di costruzione del budget, dal suo inserimento coerente entro un contesto di carattere strategico agli aspetti organizzativi.

di Barbara Borgato

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Organizzazione di studio

Lo studio professionale e l’approccio per processi

Uno studio professionale senza un valido contesto organizzativo rischia di soccombere dinanzi alle richieste di un mercato profondamente mutato e radicalmente diverso da quello al quale era abituato a operare. Oggi non è più pensabile proporsi senza una gestione consapevole e strutturata delle proprie risorse e senza una razionale impostazione del lavoro. L’applicazione di un approccio per processi rappresenta da questo punto di vista un modo migliore, più rapido ed efficiente di dare risposte al cliente.

di Anna Lisa Copetto

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INDICE Tecnologie e informatica

L’importanza della rete nello studio moderno Il patrimonio di ogni studio sono le informazioni, i documenti, i programmi che permettono di erogare i servizi e di comunicare con i propri clienti. Tutto il sapere dello studio, e dei professionisti, risiede su sistemi informativi, su personal computer, su tablet, su smartphone, sulla rete aziendale. Capire gli elementi che compongono la rete aziendale è una esigenza essenziale dello studio, al fine di poter effettuare la scelta di come essa debba essere strutturata, della velocità e delle garanzie di sicurezza che deve fornire, dei sistemi di backup necessari, delle caratteristiche che devono avere i vari componenti hardware per prevenire la possibilità di blocchi e così di danni rilevanti ed impossibilità di lavorare.

di Roberto Spaggiari

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Adempimenti di studio

Gli adempimenti in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro

Viene proposta una panoramica sui principali obblighi normativi in materia di Sicurezza e salute sul lavoro propri degli studi professionali e dei CED. In particolare si ricordano anzitutto i due obblighi non delegabili del datore di lavoro (valutazione dei Rischi e nomina del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione), per poi illustrare i successivi passi necessari ad una corretta applicazione delle norme antinfortunistiche (gestione delle emergenze, sorveglianza sanitaria, formazione dei lavoratori e degli addetti alle emergenze).

di Andrea Crevatin

Recensione

Psicologia dell’imprenditore - Anatomia di una vocazione

EDITORE E PROPRIETARIO Gruppo Euroconference Spa VIa E. Fermi, 11 - 37135 Verona

di Michele D’Agnolo

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SERVIZIO CLIENTI Per informazioni su abbonamenti, argomenti trattati, numeri arretrati, cambi di indirizzo telefonare al n.045/8201828 - fax 045/502430 e-mail: circolari@euroconference.it

DIRETTORE RESPONSABILE Fabio Garrini DIREZIONE E COORDINAMENTO SCIENTIFICO Michele D’Agnolo

PERIODICITÀ E DISTRIBUZIONE Trimestrale Vendita esclusiva per abbonamento

REDAZIONE Marina Ducci

ABBONAMENTO ANNUALE 2014 Euro 90,00 Iva esclusa

Registrazione del tribunale di Verona n.1994 del 5 settembre 2013 Iscrizione ROC 11 dicembre 2003 n.8249

Eventuali numeri non pervenuti devono essere reclamati via mail al servizio clienti non appena ricevuto il numero successivo

Per i contenuti di “Vision Pro” Gruppo Euroconference Spa comunica di aver assolto agli obblighi derivanti dalla normativa sul diritto d’autore e sui diritti connessi. La violazione dei diritti dei titolari del diritto d’autore e dei diritti connessi comporta l’applicazione delle sanzioni previste dal capo III del titolo III della legge 22.04.1941 n.633 e succ. mod. Tutti i contenuti presenti sul nostro sito web e nel materiale scientifico edito da Gruppo Euroconference Spa sono soggetti a copyright. Qualsiasi riproduzione e divulgazione e/o utilizzo anche parziale, non autorizzato espressamente da Gruppo Euroconference Spa è vietato. La violazione sarà perseguita a norma di legge. Gli autori e l’editore declinano ogni responsabilità per eventuali errori e/o inesattezze relative all’elaborazione dei contenuti presenti nelle riviste e testi editi e/o nel materiale pubblicato nelle dispense. Gli autori, pur garantendo la massima affidabilità dell’opera, non rispondono di danni derivanti dall’uso dei dati e delle notizie ivi contenute. L’editore non risponde di eventuali danni causati da involontari refusi o errori di stampa.

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EDITORIALE Datemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo di Michele D’Agnolo - dottore commercialista

Vorrei iniziare questo nuovo cammino con i lettori con una citazione importante, quella di Archimede Pitagorico “Datemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo”. Il principio fisico espresso, che la celebre frase introduce con l’immediatezza dell’antonomasia è quello ben noto della leva, un arguto sistema che consente - appoggiandosi a un fulcro - di moltiplicare le proprie forze oppure di compiere lo stesso lavoro di prima ma con uno sforzo di gran lunga minore. Mi sembrava la metafora più calzante per sintetizzare le finalità e lo spirito con cui nasce “Vision Pro”, rivista dedicata allo sviluppo personale e all’organizzazione e comunicazione dello studio professionale. Ho pensato a una rivista “personal trainer” che potesse accompagnare e stimolare i professionisti e che li aiutasse ad affrontare le sfide competitive sempre più stringenti che li attendono. Vision Pro, si pone il forse presuntuoso obiettivo di offrire al professionista la possibilità di intervenire nei processi del proprio studio o nel proprio approccio professionale secondo le proprie priorità e il proprio desiderio, attingendo idee e suggerimenti. Con la possibilità di fruirne secondo i propri ritmi, di offrirlo ai collaboratori e adattarlo per i nostri clienti. Potersi confrontare con le migliori tecniche e teorie esistenti per trovare la propria via al successo. E magari, di tanto in tanto, riavvolgere il nastro e rivedere quanto scritto due anni fa per verificare lo sviluppo compiuto da noi e dalle nostre strutture. Senza doverci distrarre più di tanto dalla cura al cliente, che è e deve rimanere al centro dei nostri pensieri, con un occhio finalmente anche a noi stessi e al nostro benessere personale e professionale. Sono onorato e preoccupato insieme. Onorato per aver ricevuto il compito di dirigere questa rivista, la prima del suo genere in Italia e tra le prime nel mondo. Onorato perché ritengo più una fortuna che un merito il fatto di trovarmi qui. Confido pertanto nell’aiuto di tanti consulenti, professionisti ben più validi di me che sono certo non faranno mancare il loro apporto. Preoccupato perché dovrò ancora una volta fare del mio meglio per essere all’altezza della fortuna che mi è capitata. Il mio massimo impegno è assicurato. Sono molto grato agli amici di Euroconference per la lungimiranza e la fiducia accordatami e per il caloroso supporto, oltre che per il grande bagaglio di idee e di esperienze critiche che hanno messo a mia disposizione. La loro conoscenza più che ventennale di commercialisti, consulenti del lavoro e avvocati mi è stata e mi sarà preziosissima per condurre questo periodico e farne uno strumento di lavoro pratico e sempre a portata di mano. La rivista nasce quindi con un focus nei confronti delle professioni economico-giuridiche, ma faremo in modo di poter essere utili anche alle professioni tecniche e a quelle mediche, poichè anche gli studi di ingegneria ed architettura, gli odontoiatri, i radiologi, solo per citarne alcuni, condividono le stesse necessità gestionali. Un caloroso ringraziamento anche ai colleghi del network intuitus per l’esperienza costruita in oltre una decina di anni, prima di esperimenti e poi di interventi e per l’apporto che sicuramente daranno anche a questo nuovo progetto, e ai clienti che con la loro fiducia mi hanno permesso di imparare al loro fianco una professione del tutto nuova, quella del consulente degli studi professionali. Concluso questo breve editoriale con una provocazione o, per meglio dire, uno stimolo nei confronti dei lettori. Infatti, non vorrei che comunicare attraverso uno stampato, anche se elettronico, creasse una distanza con i lettori. Quindi, sentitevi sin d’ora in dovere di intervenire, di suggerire, proporre, criticare, d quanto scriveremo. Siamo a vostra disposizione, io per primo. Michele D’Agnolo

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INTERVISTA

TLS Associazione professionale di Avvocati e Commercialisti TLS Associazione professionale di Avvocati e Commercialisti, è uno studio indipendente (organizzato sotto la forma tradizionale di associazione fra professionisti), specializzato nella consulenza tributaria e legale, legato, in qualità di Italian member firm, al network internazionale PwC Tax & Legal Services (TLS), leader a livello globale nella consulenza fiscale (per l’anno 2012 il network PwC Tax & Legal ha comunicato ricavi per circa 7,9 miliardi di dollari - ndr). Intervista al Dott. Acerbis, managing partner di TLS. Dott. Acerbis, che dimensioni ha TLS e di quali branche del sapere professionale si occupa? Pur essendo sul piano delle competenze di base (tributarie e legali) uno studio di tipo tradizionale, la dimensione del nostro studio è abbastanza anomala per il mercato italiano. Attualmente i nostri associati sono circa 130 e i professionisti abilitati che collaborano a tempo pieno (non associati) circa 300. A questi vanno aggiunti i collaboratori praticanti e i collaboratori di supporto. In tutto, lavorano in studio circa 550 persone. Nell’ambito della consulenza tributaria e legale copriamo sostanzialmente tutte le principali branche del sapere, a eccezione del diritto penale.

Si tratta complessivamente di investimenti nell’ordine di decine di migliaia di ore/anno dedicate alla formazione e all’aggiornamento tecnico, anche con l’ausilio di casi specifici che hanno visto coinvolto lo studio, illustrati su base anonima. Il tema dell’efficienza è a mio giudizio più complesso e i principi organizzativi solo in parte attenuano le difficoltà date dalla grande dimensione. Innanzitutto, un peso rilevante lo giocano gli strumenti a disposizione: abbiamo controlli piuttosto sofisticati sull’impiego del tempo professionale (a partire dalle carte di lavoro), al fine di darne conto al cliente e potere fondare su di essi analisi di efficienza. La realtà è che per quanto si possa intervenire con strumenti di analisi e sui processi, la professione resta incardinata su logiche non industriali (è questa è una fortuna). Piuttosto, è veritiero che la dimensione organizzativa sta assumendo rilievo, sempre più decisivo, quale elemento di contrasto alla drammatica riduzione di marginalità che il mercato delle professioni registra. Mi verrebbe da dire che volendo rimanere efficaci, la sfida all’efficienza è quella su cui oggi maggiormente dobbiamo misurarci, e sulla quale vi è più da lavorare.

Come viene assicurata efficacia ed efficienza agli interventi dello studio? Quali sono i principi organizzativi e di formazione ai quali si attengono tutti i professionisti? In effetti, è tutto piuttosto complicato, e non è detto che noi si possa rappresentare un benchmark per altri studi. I principi organizzativi di base per garantire qualità al nostro interno sono direi tre: responsabilità tecnica allocata in modo chiaro sui partner, associate partner ed executive director, adozione rigida, prevista dagli standard di network, della cosiddetta “four eyes policy”, che prevede la validazione di qualsiasi documento di natura tecnica rilasciato dallo studio da parte di almeno due persone di seniority adeguata e, infine, il necessario coinvolgimento degli specialisti in aree di competenza o di settore industriale dove stimiamo più alto il rischio tecnico derivante dalla non specializzazione (ad esempio, transfer pricing o consulenza a soggetti del settore finanziario). Sul piano della formazione, altro elemento chiave per garantire qualità, esistono programmi interni che coinvolgono in modo differenziato tutti i colleghi – su tematiche tecniche e su altri aspetti professionali – che integrano la formazione continua prevista dai rispettivi Ordini di appartenenza.

Come funzionano le selezioni di nuovo personale all’interno dello studio? Abbiamo specifici programmi di recruitment e di onboarding. Per quanto riguarda i primi, sono attivi tutti i canali, incluso quelli che la generazione digitale predilige: molti CV sono postati direttamente sul sito di PwC Italia ed esaminati in prima battuta da colleghi specializzati. Solo successivamente a un primo screening (che può prevedere anche più colloqui, di gruppo e individuali, e la somministrazione di test), i candidati incontrano il team di professionisti interessato all’inserimento e che ha, come ovvio, l’ultima parola sull’ingresso in studio e sulla seniority di ingresso. Il programma onboarding riguarda invece, per coloro ormai selezionati e che hanno accettato la nostra proposta di collaborazione, una

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INTERVISTA serie di incontri specifici volti a facilitarli e a offrire le coordinate per muoversi all’interno di PwC e in particolare di PwC Tax & Legal Services. Sembra tutto molto complesso e burocratico, ma in realtà non lo è: diciamo che l’interesse nostro a validare in modo serio le candidature incontra il medesimo interesse dei candidati a capire bene il contesto di lavoro che viene loro offerto, per presa diretta e non solo per sentito dire.

le principali città italiane – ndr). Tutti i poteri che il managing partner esercita (di tipo strategico – quale la definizione della matrice servizi/segmenti di mercato che copriamo - di tipo amministrativo o organizzativo in senso lato) hanno quale fine ultimo la crescita sostenibile, e sono condivisi con gli altri soci senior. Esiste poi una funzione importante derivante dall’appartenenza a un network: il managing partner di TLS è parte della leadership di network, e siede nel leadership team internazionale di PwC Tax & Legal, potendo contribuire alla definizione delle strategie e alla condivisione dei temi tecnici che si sviluppano a livello internazionale e che potranno interessare prima o poi le società e gli operatori presenti nel nostro territorio. In punto tecnico, questo del confronto continuo a livello internazionale è un privilegio e un valore assoluto per il nostro studio. Sul piano organizzativo, vi è da dire che in uno studio di grandi dimensioni come il nostro, molte funzioni sono allocate su singoli soci quali human capital, knowledge management, firm & technology, clients & markets, brand & communication) che riportano al managing partner.

Come vengono sviluppati i percorsi carrierali dei professionisti all’interno dello studio? L’ingresso può avvenire direttamente dall’Università (sempre più spesso con contatti prima della laurea per stage curriculari) oppure dopo esperienze in altre realtà professionali. Inizialmente la collaborazione è basata su rapporto di lavoro autonomo (con iscrizione all’Albo praticanti). La qualifica interna è di consultant (primi 3 anni) e senior consultant (da 3 a 6 anni di esperienza). Successivamente, ai colleghi che hanno concluso con successo questo percorso di collaborazione, viene chiesto di proseguire con l’ingresso nell’associazione professionale in veste di associato giovane. Da qui la carriera si svolge nell’ambito dell’associazione professionale fino alla qualifica di associato fondatore (partner), che si raggiunge mediamente tra i 40 e i 45 anni di età. Direi, anche qui, abbastanza simile a quanto avviene nelle realtà più piccole di noi, con l’eccezione che l’opportunità di associazione e quindi di “matrimonio” professionale destinato a durare nel tempo è offerta a una fascia ampia e crescente di colleghi.

Il managing partner lavora a tempo pieno per gli altri o fa anche il professionista? Senza la dimensione professionale penso sia impossibile svolgere ruoli come questi. Mantenersi attivi sul fronte professionale e dei rapporti con clienti è essenziale. Le posso confermare che non è facile e che il rischio di perdere la dimensione “tecnica” esiste ed è concreto. Nel rapporto con i clienti, cerco di bilanciare con il vantaggio, oggettivo, di godere di un angolo privilegiato di osservazione sulle dinamiche di mercato e sui principali temi, di tipo fiscale e regolamentare, che interessano i vari settori per cui ho generalmente la possibilità di trasmettere valore, anche se in modo un po’ diverso rispetto al passato.

Quali funzioni principali svolge il managing partner all’interno dello studio? Posso evidentemente parlare per quanto riguarda TLS e la mia esperienza personale. La mia responsabilità principale riguarda la crescita dello studio, misurata in termini di ricavi e di dimensione, dentro un quadro di sostenibilità (cioè nel rispetto dei nostri standard di qualità verso i clienti e verso i nostri collaboratori, e con obiettivi dati di profittabilità). Sembra uno slogan ma non lo è: spesso dico ai miei soci che in fondo tutti i partner, e in primis il managing partner, devono essere creatori continui di business case, cioè di opportunità per altri, che si manifestano solo in un contesto di crescita sana. Per crescere dobbiamo avere una focalizzazione elevata su nuovi servizi, su nuove competenze utili all’interno di servizi che già rendiamo, e sulle opportunità date dalla nostra presenza territoriale (lo studio ha 15 sedi, nel-

Come concilia tutte queste incombenze? Non è facile. Le giornate sono piuttosto lunghe e “complesse”. Vi è da dire, però, che lo studio vive una dimensione organizzativa che prescinde dal managing partner. Forse uno dei principali motivi di orgoglio di quello che, con gli altri associati, stiamo costruendo in questi anni deriva dalla consapevolezza di avere creato una “macchina” che, pure con tutti i suoi limiti, prescinde dal singolo professionista. Non è una contraddizione rispetto a quanto detto prima: tutti i professionisti del TLS hanno un ruolo e una dimensione tecnica e professionale autonoma e

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INTERVISTA riconosciuta come tale sul mercato, ma nessun professionista è TLS. Quindi, rispondendo alla domanda, per conciliare ruolo interno (a valenza anche esterna) e ruolo professionale verso i clienti, bastano, alla fine, una buona resistenza fisica e una certa consapevolezza da parte di tutti i colleghi di che cosa si deve fare, e l’impegno a farlo.

dall’esterno, che risponde a me e si interfaccia con le funzioni di network, a livello italiano e internazionale. Alcuni soci TLS sono coinvolti nelle attività che al nostro interno definiamo Clients & Markets, mentre per Brand & Communication, ci coordiniamo rigidamente in ambito di network, dovendo rispettare, come tutte le member firm, l’identità del brand comune PwC Tax & Legal. Devo dire che guardo con interesse, ma anche con una certa perplessità, all’attenzione riservata dagli studi professionali alla comunicazione e al marketing. Pur essendo piuttosto giovane, appartengo alla generazione che vede fra le qualità del professionista quella della riservatezza, non solo quella doverosa verso le attività che coinvolgono i propri clienti, ma anche quella verso la propria organizzazione. Ma capisco che il mondo sta cambiando e che comunicare, in ultima analisi, può essere un modo per evitare che altri ti rappresentino – come organizzazione - in modo diverso da come sei. Riservo comunque molti dubbi sul fatto che comunicare all’esterno per uno studio professionale possa portare – secondo una relazione diretta – a un incremento di ricavi, o anche solo a un migliore posizionamento (mentre mi sembra più probabile che comunicare male possa avere ripercussioni, anche serie).

Lo studio multiprofessionale: quali complessità introduce? Sono convinto che i “pesci” di specie diverse apportino all’acquario valore e vantaggio competitivo. Posso avere una visione ottimistica o viziata dall’avere vissuto esperienze positive, con persone di diverso background ma uguale qualità, tecnica e umana ma, mentre è chiaro che con la scelta di essere multi professionali uno introduce elementi di complessità, personalmente penso sia ancora più evidente che si introducono elementi di presidio e arricchimento dell’offerta professionale per i propri clienti. Se ci limitiamo alle complessità (e non alle opportunità) direi che il perimetro di competenze del commercialista crea qualche problema di sovrapposizione con le competenze legali e che sul piano della marginalità vi è una certa rigidità ad allineare le tariffe professionali delle diverse competenze, cosa che invece il mercato ha rapidamente imparato a fare (il più delle volte verso il basso). Il primo fenomeno è presente anche all’estero, in un numero però assai limitato di paesi, il secondo è invece fenomeno generalizzato dal 2008 in avanti. Nel nostro studio vediamo con una certa cautela l’opzione di attuare segregazioni più o meno rigide, sia sul piano delle competenze che dei tassi orari, fra avvocati e commercialisti. Preferiamo che – dove non si sia in presenza delle riserve di legge – si lavori in modo realmente integrato. Ma comprendo che le opzioni possano essere diverse e molto basate, specie dove la dimensione dello studio lo consente, sul dato della relazione personale e umana intercorrente fra i soci, più che su quello della dimensione organizzativa. Da noi non è cosi e dove possibile la visione dei soci senior, sia avvocati che commercialisti é che si debba cercare sempre di lavorare in modo integrato, cercando di rendere questo approccio quanto possibile naturale.

Quale è il suo outlook sul mercato italiano? Come si evolverà a Suo avviso l’economia e come dovranno rispondere gli studi professionali? Abbiamo davanti, come paese, una finestra di grandi opportunità che rischia di chiudersi per un tempo indefinito, se all’affacciarsi della ripresa a livello internazionale non ci saremo attrezzati. Come professione, il contesto in cui lavoreremo sarà grandemente influenzato dalla risposta che la classe politica, innanzitutto, sarà in grado di dare a questo tema, che porta con sé quello delle riforme e della competitività. In un caso, penso si potrà aprire un periodo di opportunità ed effervescenza anche sul fronte dei servizi resi, nell’altro caso, la marginalizzazione del nostro paese e con esso, della propria classe professionale, subirà una accelerazione enorme e forse irreversibile. Mi riferisco ovviamente agli effetti sulla Professione generalizzando il fenomeno: in realtà vi saranno studi che risponderanno bene al nuovo contesto e alle nuove sfide e altri, la maggior parte, che soffriranno. A me sembra chiaro che come professionisti siamo legati a doppio filo alla qualità e alla salute di cui gode la nostra economia. La prosperità avvantaggiandosi delle situazioni di crisi aziendale ri-

E per la comunicazione e il marketing esiste una figura analoga alla Sua? No. Innanzitutto, abbiamo un vantaggio nel poterci avvalere di servizi condivisi con le altre entità di network. Come TLS, abbiamo ritenuto, un anno fa, di dotarci di una risorsa specialistica proveniente

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INTERVISTA guarda un numero limitato di professionisti, infinitamente più ridotto di chi ha interesse invece a vivere in un contesto industriale e di servizi in piena ripresa e voglia di fare.

bilmente un’importanza crescente e sarà un fattore critico di successo. Che cosa pensa della nostra nuova iniziativa editoriale? Nel contesto che contraddistingue l’arena competitiva italiana, fatto di studi di piccole dimensioni e con una certa rigidità a valutare fenomeni di aggregazione, la Vostra iniziativa è innanzitutto coraggiosa. Penso, anche, che questo dato di partenza contenga tuttavia enormi opportunità per Voi, di divenire un soggetto abilitatore, attivo e autorevole, di cambiamento per la professione. Non so francamente se ci riuscirete, ma so che vi inserite in un momento di attenzione rilevante verso la dimensione organizzativa del mondo degli studi professionali, e registro un grande bisogno di linee guida e stimoli, anche intellettuali.

Nel nuovo mercato ci sarà ancora spazio per gli studi tradizionali di provincia come noi li conosciamo? Penso che assisteremo a una progressiva polarizzazione, con realtà molto grandi e realtà molto piccole in grado di meglio competere rispetto a quelle con dimensione intermedia. Certo è che il quadro di competenze richiesto dai clienti ai propri professionisti sta evolvendo rapidamente e sia diventato estremamente pericoloso “bluffare” sulle proprie competenze. Non escludo si possa assistere a fenomeni di rete informale, con più studi di dimensioni piccole che si legano per determinati servizi a uno studio di dimensione maggiore, in grado di apportare competenze specialistiche. Tentativi in questo senso in passato sono il più delle volte falliti, penso però che il quadro competitivo esterno stia dando a questa formula più possibilità di affermarsi. Alla base, resterà il trust fra singoli individui, in grado di impegnare le proprie rispettive organizzazione professionali. Non penso quindi che lo studio tradizionale di “provincia” sia destinato a scomparire, ma che sia destinato a evolversi, abbandonando l’idea, ormai divenuta velleitaria, di bastare a se stesso e ai propri clienti. Non sarà un processo breve, ma la crisi ha accorciato i tempi.

Quali contenuti ci suggerisce di trattare? Posso citarne due che rivestono particolare interesse per uno studio come il nostro: la gestione dei talenti e le tematiche intorno alla valutazione dei lavori in sede di quotazione (budget tecnico e fissazione del valore di break even dell’incarico). Qualche consiglio finale ai colleghi? Non mi sento nella condizione di dare consigli, non avendone titolo. Posso solo esprimere l’auspicio, che è un augurio a tutti noi, che si creino le condizioni affinché il nostro Paese sia in grado di competere realmente con gli altri Paesi offrendo condizioni interne alle imprese, quelle italiane e quelle che qui decidono di investire, non penalizzanti come finora troppo spesso è accaduto e accade. Pure studi in forte crescita e con un network leader come il nostro, prosperano solo se prosperano gli operatori economici presenti in modo stabile sul territorio. A questi vanno offerte competenze sempre più evolute e personalizzate sulle reali esigenze. In questo, alcuni servizi si ridimensioneranno a livello di mera commodity e altri, magari con nuovi contenuti, si affermeranno come prioritari nell’agenda del cliente (un facile esempio, quelli legati al tema dell’internazionalizzazione). Sta a noi, agli studi professionali, leggere il cambiamento e adeguarsi.

Quale sarà a Suo avviso l’importanza dell’informatica nella gestione degli studi professionali? Penso giocherà un ruolo decisivo sul piano dell’efficienza. Porterà anche qualche incidente di percorso che costerà a qualche studio danni ingentissimi in termini di risarcimento danni o di reputazione (per perdite di dati, uso inavvertito di dati sensibili, eccesso di informazioni con conseguente rischio di incidenti da fretta e mancato approfondimento in punto tecnico). Penso, in altre parole, che il successo dell’impiego dell’informatica negli studi, in modo “evoluto”, passerà attraverso più una corretta gestione dei rischi che delle opportunità. Ma l’informatica avrà innega-

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STRATEGIA

La misurazione delle prestazioni di uno studio professionale di Andrea Stefani - docente di management dei servizi e della consulenza Università di Trento

Uno studio professionale è una organizzazione che può raggiungere i suoi obiettivi solo se si pianifica strategicamente e ne misura il raggiungimento con un sistema di indicatori chiave di performance. In questo articolo verranno trattati due argomenti connessi: quello relativo ai processi di pianificazione strategica e quello relativo al controllo strategico per mezzo della misurazione delle prestazioni dello studio. In particolare verrà illustrata la metodologia delle Balanced Scorecard, introdotta all’inizio degli anni ’90. Sarà così possibile dimostrare una duplice tesi: in uno studio professionale la strategia è sovrana e in uno studio professionale il controllo non è controllo nel senso ispettivo del termine. Introduzione al sistema di misurazione delle prestazioni

• negli studi professionali la strategia è sovrana; • negli studi professionali il “controllo” non è controllo. Ovviamente le due affermazioni sono tra loro collegate e portano a definire il “sistema” complessivo di strategia e controllo, laddove per sistema si intende l’interazione di processi, di strumenti e di attori; ambiente che viene illustrato dalla figura che segue (Fig. 1).

Nell’illustrare metodologie e strumenti del sistema di misurazione delle prestazioni di uno studio professionale, è opportuno dare prima una visione d’insieme e “smitizzare” alcuni luoghi comuni che, purtroppo, con il tempo si sono affermati. Il punto di partenza è la dimostrazione della veridicità di due affermazioni:

Modello di Controllo

Pianificazione Strategica

Budget

Azioni strategiche

Formulazione strategica

Analisi risultati

1 mese

Piano strategico

Budgeting

Reporting

Programmazione Operativa

Analisi scostamenti

Obiettivi strategici

1 anno Riunioni di gestione

Feed-back

1 mese

Fig. 1 Il Sistema di Strategia e Controllo Il sistema di strategia e controllo appartiene ai proquello di programmazione e controllo per l’appunto) cessi di supporto di una organizzazione, a quei proche sono di supporto a tutti gli altri (quali quelli di cessi, cioè, che hanno il compito di far funzionare Ricerca & Sviluppo, di gestione degli approvvigionaquelli che vengono definiti processi primari (usando menti, di amministrazione in senso stretto). 1 un linguaggio mutuato direttamente da Porter ), anzi Ecco allora che l’affermazione “la strategia è sovrapotremmo dire che il sistema è collocabile in due na” dovrebbe cominciare a prendere corpo: una “meta” processi (quello di pianificazione strategica e organizzazione gestita secondo i canoni scientifici manageriali (e non si vede il motivo per cui una professional firm non possa esserlo) innanzitutto stabi1

M. Porter “Il vantaggio competitivo” Edizioni Comunità, 1987.

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STRATEGIA lisce i suoi valori strategici di fondo (vision, mission e valori), poi, di conseguenza e mediante il processo di pianificazione strategica, i suoi obiettivi di lungo periodo, che traduce in obiettivi di breve periodo (mediante il processo di budget) e chiude il cerchio con il “controllo”. Tale sequenza viene illustrata nella figura che segue (Fig. 2). Ricordiamo che non si può non avere una strategia: anche un piccolo studio professionale ha di fatto una strategia, attendista e non proattiva. È molto importante, invece, in un contesto fortemente competitivo come quello attuale che le strategie dello studio professionale siano più proattive. Consideriamo infatti l’aforisma per il quale “nessuna strada è buona per chi non sa dove andare”. L’attuale fase di instabilità ci spingerà magari a una più frequente revisione degli obiettivi e delle strategie, ma non all’abbandono del sistema prevenzionale che rappresentano.

sempre la più adeguata al contesto competitivo. Il sistema delle misure, sempre se inserito nel contesto che si sta descrivendo, assume allora una valenza e una consistenza che vanno ben oltre al puro scopo “informativo”. Non a caso, usando due slogan, si suole dire che: • si governa quello che si conosce e • si ottiene quello che si misura e le due affermazioni non sono altro che le due facce della stessa medaglia: il sistema di strategia e controllo. Da un lato lo studio professionale ha il bisogno di supportare il processo decisionale con informazioni affinché le sue scelte siano (anche) economicamente razionali, dall’altro lato ogni professional firm deve supportare i suoi processi di delega con meccanismi che inducano, nel rispetto dell’autonomia attribuita, comportamenti ottimizzanti e allineati (su questa tema si tornerà a scrivere in un altro lavoro che seguirà). Delle due l’una: o tutte le decisioni vengono prese da un’unica persona (accentramento decisionale al vertice, con tutte le conseguenze negative note) o vengono delegate al fine di mettere in condizione lo studio professionale di crescere e raggiungere maggiori prestazioni. È evidente che nella scelta della seconda opzione (quella cioè auspicabile) si pone il problema del coordinamento e indirizzo delle scelte, ma è altrettanto evidente allora il contributo del sistema di strategia e controllo: non vengono più impartiti “ordini” ma vengono assegnati (e condivisi) obiettivi che orientano le decisioni e l’azione. Non si deve, altresì, compiere l’errore di pensare che il sistema in questione sia prerogativa delle grandi organizzazioni. Tolto il caso del professionista che agisce da singolo e senza alcuna organizzazione, ogni realtà professionale che coinvolga della persone necessita di processi di supporto e quindi anche di quello di strategia e controllo. Il problema semmai è quello di saper “tagliare” su misura (proprio come abiti sartoriali) processi e strumenti adeguati alle dimensioni e alla complessità dello studio (e, volendo essere realisti fino in fondo, essere consapevoli che nel nostro Paese quello del “nanismo” delle organizzazioni sta diventando un problema che deve essere superato con la loro crescita sia dimensionale che qualitativa). Sempre con riferimento agli errori da evitare è opportuno osservare che se il sistema in questione non riesce ad assolvere ai ruoli descritti in precedenza rischia di diventare una “sovrastruttura” dell’organizzazione, un insieme cioè di pratiche meramente burocratiche fini a loro stesse e senza alcuna efficacia organizzativa, anzi con un effetto di rigetto da parte

Vision Mission Valori

Strategic Plan

Budget

Forecast

Reporting

Fig. 2 Il collegamento tra processi

Controllo, però, che non deve essere inteso, come purtroppo spesso avviene, in termini di “ispezione”, “mero monitoraggio” o, peggio ancora, di “punizione”, ma che trova il suo senso massimo se inserito nel sistema più ampio illustrato in precedenza e che esplica tutta la sua potenzialità se riesce ad esprimere la sua efficacia organizzativa (di sistema cioè di “miglioramento organizzativo”). La prova che controllo non è controllo la si trova quando si va ad indagare sul ruolo che esso dovrebbe svolgere (o in altre parole sulla sua mission), scoprendo che esso deve (dovrebbe): • orientare i comportamenti; • assicurare che l’organizzazione stia raggiungendo i suoi obiettivi e • contribuire ad assicurare che la strategia sia

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STRATEGIA delle persone che vedono il sistema inutile e, se percepito anche come ispettivo, dannoso per loro stessi. Con estrema banalità si potrebbe affermare che “far numeri” tanto per fare (magari perché ci si trova in un sistema “normato” ma non voluto che ce lo impone, come a volte è il caso del “sistema gestione qualità” attuato solo per fregiarsi del “bollino” della certificazione) non solo è inutile ma anche dannoso.

Quali criteri però utilizzare per compiere la scelta sulla tipologia di misure? La risposta viene sempre da Simons, il quale né indica 4: 1. la fattibilità tecnica del controllo e della misurazione; 2. la comprensione delle cause e degli effetti; 3. i costi e 4. il livello desiderato di innovazione. Nel dettaglio, il primo criterio indica che occorre decidere se sia possibile controllare direttamente un processo o misurarne i suoi risultati. Parafrasando l’autore controllare un responsabile di una area strategica di uno studio professionale mentre svolge le sue attività (riunioni, visite a clienti, ecc) non è possibile. Lo stesso vale dal lato degli output: si può scegliere di monitorali solo se è possibile misurarne accuratamente i risultati. Con riferimento al secondo criterio ci viene indicato che se non è possibile comprendere la relazione causa/effetto tra il processo di trasformazione e i risultati che si volevano, non è possibile monitorare i processi come mezzo primario di controllo. Il terzo criterio si riferisce a uno dei fondamentali dei sistemi di misurazione e cioè al rispetto del rapporto tra costi e benefici dell’informazione; sempre Simons: “il rapporto tra il costo di ottenimento dell’informazione e la perdita di opportunità o i danni prodotti dal non generare informazioni” (si ricordi il “mantra” si governa quello che si conosce). Ultimo criterio: gli effetti della scelta delle misure sull’innovazione. Tornando a citare quasi letteralmente Simons si scopre che se si controllano attentamente i processi (fino ad arrivare a dire alle persone che cosa fare) e si standardizzano le procedure si otterrà l’effetto di limitare l’innovazione (limitando la libertà di azione delle persone). Il massimo dell’innovazione si ottiene focalizzando l’attenzione sulla misurazione dell’output e non sul processo. Definite le tipologie di misure e le modalità di loro scelta rimane però il problema del loro collegamento con la strategia, della loro capacità di allineare e coordinare e di avere un modello che sia utilizzabile non solo nella fase ex post (risultati conseguiti) ma anche nella fase ex ante arrivando fino al momento della definizione della strategia. Opportunità, queste ultime, che ci vengono offerte dall’applicazione nello studio professionale del modello, o meglio ancora una volta del “sistema”, delle Balanced Scorecard3.

La scelta dell’architettura del sistema di misurazione

Chiarito, seppure sommariamente, lo scenario complessivo in cui si colloca un sistema di misurazione delle prestazioni di uno studio professionale e cercato di dimostrare le due affermazioni iniziali si può passare a illustrarne architettura, modalità di funzionamento e strumenti (anticipando che si farà in seguito ricorso al modello di pianificazione e misurazione che parte dalla strategia forse ora più diffuso nelle organizzazioni che corrisponde al nome di Balanced Scorecard). Nell’ampio spettro di misure che possono essere utilizzate per tutti i fini in precedenza accennati, una nota letteratura2 illustra che la varietà delle informazioni deve corrispondere alle tipologie di processi organizzativi: • input, quali informazioni, risorse, servizi di supporto che sono necessari per creare un prodotto o un servizio; • di trasformazione, che impiega gli input per creare o mantenere valore; • output, sotto forma di servizi finali. Nel progettare un sistema di misurazione si può allora scegliere di produrre informazioni riguardanti gli input, il processo, gli output, con la constatazione che le misure sugli input (ad esempio il numero di ore dedicate alle progettazione di nuovi servizi professionali) sono necessarie ma raramente sufficienti per il controllo. Al fine di ottenere valore dalle attività svolte, chi progetta sistemi di misurazione delle prestazioni deve concentrarsi quindi non solo sugli input ma anche sui processi di trasformazione e sugli output ottenuti (magari mettendoli in rapporto tra di loro: tempo dedicato alla progettazione di nuovi servizi rapportato al fatturato, o meglio ancora al margine, creato dai nuovi servizi professionali). R. Simons “Sistemi di controllo e misure di performance” Egea, 2004.

Kaplan-Norton “Balanced gia in azione” Isedi, 2000.

2

3

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Scorecard.

Tradurre

la

strate-


STRATEGIA Le Balanced Scorecard

le loro strategie era dovuto al fatto che le strategie stavano cambiando ma non stavano facendo altretLe Bsc nascono all’inizio degli anni ’90, ad opera di tanto gli strumenti per misurare e allineare (si noti due autori: Robert Kaplan e David Norton (anche se come questa affermazione fatta con riferimento ai in seguito il modello viene più spesso identificato primi anni ’90, sia ora di stringente attualità anche, e con il più famoso dei due e cioè Kaplan, il quale, tra in particolar modo, per gli studi professionali). l’altro ha ideato il sistema di costing denominato AcAlcuni cambiamenti, in particolare, rendevano i sitivity Based Costing). stemi manageriali obsoleti: Gli ideatori delle Bsc partono da due critiche fon• il ruolo emergente degli “asset intangible”; damentali agli allora esistenti modelli di controllo e • l’integrazione tra funzioni e/o aree strategiche misurazione delle prestazioni delle organizzazioni (e d’affari dell’organizzazione; quindi delle persone che ne sono responsabili): • la decentralizzazione della forza lavoro e • una visione (quasi) esclusivamente economico • la strategia come un processo di apprendimento finanziaria e continuo. • l’assenza di collegamento con le strategie dell’orSulla base di revisione critica dei modelli esistenti e di ganizzazione. osservazioni sul campo nacquero allora le Bsc, le quaIn un recente articolo4 i due autori rivedendo in reli vengono fin dall’inizio raffigurate con l’immagine trospettiva il modello da loro creato ora affermano che segue (Fig. 3). che all’epoca non ne Appare evidenfurono consapevoProspettiva finanziaria te che il modelli, ma che adesso obiettivi misure lo supera i due realizzano che fu Come ci giudicano In che cosa grandi limiti un enorme pasi clienti? dobbiamo eccellere? Come appariamo agli azionisti? espressi in preso in avanti per le Prospettiva del cliente Prospettiva dei processi misure obiettivi cedenza. organizzazioni, le visione e misure obiettivi strategia Il primo riguarquali stavano lotda le prospettitando con forza per Possiamo continuare a migliorare e a creare valore? ve: oltre a quelrealizzare le loro Prospettiva dell’innovazione la economico strategie ma mane dell’apprendimento obiettivi misure finanziaria, vencavano di strumengono introdotte ti. quelle relative Vari studi dimoai clienti, ai prostravano che il Fig 3 il modello delle Bsc cessi e, infine (ma 70%-90% delle ornon ultima) quella denominata “crescita e apprendiganizzazioni falliva nel tentativo di applicare la loro mento” (in originale “learning & growth”), per ogni strategia, e che esisteva un disallineamento tra la prospettiva, di cui in seguito verrà data una breve strategia e il sistema organizzativo, tanto che: descrizione, il modello prevede che vengano definiti • Il 95% della forza lavoro non conosceva/capiva la obiettivi e misure (strategiche ovviamente). strategia dell’organizzazione; • Il 60% delle organizzazioni falliva nel legare la Prospettiva economico finanziaria strategia al budget; È la prospettiva sintesi (e somma) delle altre tre dato • Il 70% delle organizzazioni non legava gli incentiche prevede che in essa vengano definiti obiettivi (e vi alla strategia e misure) riguardanti ricavi, costi, patrimonio e ciclo • L’85% dei responsabili dedicava meno di un’ora finanziario, quali conseguenza di obiettivi e misure al mese per discutere la strategia. delle altre tre prospettive (in un altro lavoro, che Sempre i due autori5 ora affermano che quello che seguirà il presente, questo concetto di sequenza di conclusero dai risultati delle ricerche fu che il mocausa effetto verrà illustrato con la visualizzazione tivo per cui le organizzazioni fallivano nel realizzare della “strategy map” ideata sempre dai due autori come evoluzione del loro modello). Tutte le prospet4 Kaplan -Norton “The Balanced Scorecard’s 20° Annivertive del modello rispondono a una domanda fondasary”; Harvard Business Publishing (art. n.ro B12205A), 2012. 5 mentale (che si deve porre chi definisce la strategia, Kaplan, Norton 2012.

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STRATEGIA gli obiettivi e le misure per governarli, di uno studio professionale), quella economico-finanziaria deve rispondere alla domanda: “come aumentare il valore dello studio professionale per i suoi soci”. Negli studi professionali gli obiettivi e misure della prospettiva economico-finanziaria possono essere ulteriormente caratterizzati e supportati nella loro definizione facendo ricorso al modello ideato dal “guru” delle professional firm6 David Maister (1997), il quale suggerisce di valutare le prestazioni economiche mediante quella che lui chiama la “profitability formula”:

potenziali richieste; ෮෮ il costo di marketing per acquisire clienti (a questo proposito si veda il modello della “customer lifetime value”, che per motivi di spazio non può trovare qui approfondimento); ෮෮ la soddisfazione della clientela e ෮෮ la redditività della clientela; • misure dette di “creazione del valore” quali: ෮෮ caratteri qualitativi del servizio (funzionalità, prezzo, qualità); ෮෮ rapporto con il cliente (tempo di consegna del servizio, reazione del cliente all’acquisto) e ෮෮ immagine e reputazione.

profits profits fees hours people ____________ = _____________ * _________ * __________ * _______________ partner fees hours people partners

Prospettiva processi

Essa risponde alla domanda “in che cosa, nel senso di attività chiave appartenenti a processi caratterizzanti, dobbiamo eccellere al fine di creare valore per il cliente e per i soci di studio”. In essa trovano quindi collocazione tutto il set di obiettivi e misure che riguardano “il fare” e cioè le modalità di svolgimento delle attività di studio. I processi possono essere “approcciati” con diversi modelli di analisi che vanno da quello proposto da Porter, il quale nel definire la “value chain” di una organizzazione distingue tra processi primari comprendenti la logistica in entrata e uscita, le operation, il marketing e l’after sales) e processi di supporto, altrettanto importanti dei primari, composti da quelli macro gestione (tra i quali quello che in questo lavoro viene definito il “meta processo” di strategia e controllo), la ricerca e sviluppo di nuovi servizi di studio, la gestione degli approvvigionamenti (o delle attività in “outsourcing”), la gestione delle persone, a altri modelli come quello proposto da Kaplan stesso il quale suddivide l’organizzazione in processi di innovazione (identificare il mercato, creare il servizio), processi operativi (realizzare e consegnare il servizio), processi di post vendita (assistere il cliente). Alcuni esempi, con riferimento agli studi professionali, di indicatori di processo potrebbero essere: • numero di prestazioni professionali erogate; • tempo necessario per portare al mercato una nuova prestazione professionale; • numero di nuovi servizi sviluppati; • numero di pezzi lavorati al giorno (bilanci e dichiarativi); • numero di servizi rifatti/totale (tasso di errore); • tasso di successo in contenzioso; • ammontare di sanzioni e danni pagati al cliente; • tempo medio di attraversamento del processo e

La “profitability formula”, una derivazione della “formula Dupont” (storico approccio, appartenente alla “Ratio Analysis”) indica che il reddito per socio dipende fondamentalmente da tre fattori: • la capacità di massimizzare la redditività del fatturato (e quindi dai margini); • il rapporto tra fatturato e ore disponibili (e quindi la capacità di “vendere” il fattore produttivo della professional firm) • la massimizzazione del rapporto tra i collaboratori (staff) e i soci di studio (e quindi quello che viene comunemente chiamato “effetto leverage” sulla struttura). È del tutto evidente che la “profitability formula” deve essere di volta in volta adattata alle caratteristiche strategiche e di business model dello studio professionale (solo per fare un esempio, appare ovvio che non sia per nulla adeguata per uno studio del tipo “one man show”).

Prospettiva cliente

Essa risponde alla domanda “come ci giudicano i clienti” e gli ideatori del modello collocano due macro set di obiettivi e misure: • misure “primarie”, quali: ෮෮ la quota di mercato; ෮෮ la quota di copertura della aziende clienti (quanto lo studio professionale copre con i suoi servizi tutti quelli di cui il cliente potenzialmente necessita); ෮෮ la fedeltà del cliente; ෮෮ l’acquisizione di nuovi clienti; ෮෮ il rapporto tra nuovi clienti e il numero delle D. Maister “Managing the Free Press Paperbacks, 1997. 6

professional

service

firm”

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STRATEGIA • istanze rimaste inevase/totale istanze gestite.

accennati in precedenza) si tratta di elaborare (mediante il processo di pianificazione strategica) per ogni prospettiva: • fattori critici di successo (fattori che definiscono la competizione e il successo dello studio professionale, definiti magari mediante l’ausilio della Swot Analysis); • obiettivi (risultati che lo studio professionale si prefigge, che devono essere coerenti con la “vision” e la strategia aziendale e devono essere definiti per ogni area strategica d’affari); • misure (traduzione degli obiettivi in un set di misure oggettive, quantificabili e univocamente rilevabili); • target (traguardi posti in relazione agli obiettivi definiti);

Prospettiva crescita e apprendimento

Essa per rispondere alla domanda “come possiamo continuare a migliorare e creare” rappresenta al suo interno obiettivi (e misure) che riguardano: • l’organizzazione; • le persone e • le informazioni e quindi, a ben vedere, essa rappresenta la prospettiva sulla quale poggiano tutte le altre, nel senso che i processi funzionano bene e di conseguenza i clienti sono soddisfatti e lo studio produce valore se vengono create le condizioni di: • capacità del personale, intese come: ෮෮ soddisfazione delle persone; ෮෮ fedeltà delle persone e ෮෮ produttività del singolo individuo; • capacità dei sistemi informativi, da intendere come: ෮෮ tecnologie strategiche; ෮෮ banche dati strategiche e ෮෮ software dedicato (si pensi ai vari software di supporto alle attività caratteristiche dei diversi studi professionali, come ad esempio i software di tenuta della contabilità dei clienti per i commercialisti, delle paghe per i consulenti del lavoro, ecc); • clima organizzativo: ෮෮ motivazione; ෮෮ grado di delega; ෮෮ allineamento di tutte le persone agli obiettivi (in primis quelli strategici). Fin qui allora l’illustrazione del modello ci fa capire il superamento della visione esclusivamente economico-finanziaria mediante l’introduzione e la presa in considerazione delle altre tre prospettive. Rimaneva da risolvere, per Kaplan e Norton, il problema della mancanza del legame tra le misure e la strategia. Problema che viene risolto non con categorie “strumentali” ma con un diverso approccio nella definizione delle misure e quindi con categorie relative al metodo (o se vogliamo, in altre parole, relative al processo di definizione di obiettivi e misure). Nella Bsc, infatti, tutto parte dalla strategia: definiti i valori strategici di fondo (vision, mission, valori

e, per rendere fino in fondo il modello adeguato al processo di pianificazione, • action plan (tutte le azioni che è necessario intraprendere per il raggiungimento degli obiettivi definiti). La conseguenza dell’applicazione del modello e del processo delle Bsc è che lo studio professionale viene supportato nella sua gestione da un set di misure (si rimanda alla parte introduttiva) che: • sono il riflesso della strategia e della missione aziendale: contrariamente ai “vecchi modelli di definizione delle misure” che invece partono dal basso, e che quindi rischiano di essere irrilevanti dal punto di vista strategico; • guardano in avanti: le misure tradizionali descrivono la performance aziendale del periodo trascorso, senza dare indicazioni sui possibili miglioramenti; • integrano misure interne ed esterne: riducono il rischio di trade-off tra misure, e aiutano a governare il rischio che un successo in un fattore critico non avvenga a scapito di altri (favorendo quindi il coordinamento); • favoriscono la focalizzazione: spesso vengono prodotte molte più misure di quelle che vengono effettivamente utilizzate. Le Bsc impongono che venga misurato solo quello che è veramente strategico (15 o 20 misure sono generalmente sufficienti).

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SVILUPPO PERSONALE DEL PROFESSIONISTA Quando un professionista deve parlare in pubblico di Michele D’Agnolo - dottore commercialista

Uno dei requisiti richiesti ai professionisti è di parlare in pubblico, abilità che fortunatamente può essere appresa e affinata abbinando strumenti di tipo psicologico e tecniche di comunicazione. Con gli strumenti di tipo psicologico è possibile affrontare la preparazione mentale dell’oratore e combattere l’ansia da palcoscenico. Con le tecniche di comunicazione è possibile dominare la preparazione e la attuazione del discorso che dobbiamo tenere. Il processo da seguire per la preparazione tecnica è formato da step che i latini hanno chiamato rispettivamente inventio, dispositio, elocutio, actio. Nella fase di inventio si tratta di ideare le cose da dire. Nella fase di dispositio si stabilisce in che ordine esporre le proprie tesi. La fase dell’elocutio implica l’utilizzo dell’arte oratoria per abbellire e rendere accattivante la presentazione con metafore, modi di dire, esempi, battute e altri espedienti di comunicazione. Nell’ambito dell’actio, cioè della parte di esposizione del proprio discorso si distinguono in particolare le principali fasi di esordio, di svolgimento e di conclusione. Introduzione

Purtroppo in altri Paesi del mondo la capacità oratoria si sviluppa fin dalle scuole primarie con presentazioni che vengono sollecitate in tutto il ciclo scolastico e culmina con l’Università dove sono presenti veri e propri seminari di public speaking, obbligatori per le facoltà di giurisprudenza. Per noi italiani invece parlare in pubblico, come l’acquisizione di molte altre abilità trasversali, è spesso il frutto di un apprendimento destrutturato, sul campo, fatto di mille esperimenti e di qualche figuraccia. Molti professionisti sono in grave difficoltà davanti a un pubblico e non riescono a superare il loro stress e la loro autentica paura del palcoscenico. Secondo gli psicologi, il timore di parlare in pubblico è una delle ansie sociali più diffuse. Altri invece, con nostra grande invidia, si muovono come attori consumati davanti al loro pubblico. Portando la mia esperienza personale posso affermare senza tema di smentita che parlare in pubblico è una abilità che si può apprendere. Vediamo allora di addentrarci nei primi rudimenti di quest’arte che combina elementi psicologici e vere e proprie tecniche di comunicazione. La preparazione del relatore è innanzitutto mentale. Occorre conoscere le tecniche di memoria per ricordare bene i punti salienti del discorso da fare, senza bisogno di memorizzarlo tutto o di leggerlo. Queste tecniche, alcune delle quali risalgono all’antichità, saranno oggetto di un prossimo articolo. Possono essere utili anche tecniche di rilassamento da attivare prima di salire sul palco o immediatamente prima di parlare, così come sono molto utili le prove

Parlare in pubblico per un professionista è una necessità. Un buon professionista, infatti, deve essere per definizione un buon comunicatore, in quanto il suo principale ruolo è quello di divulgare la propria materia ai propri interlocutori o, in altre parole, di rendere semplici ai propri clienti cose che non lo sono. Alcune professioni, come quella legale a esempio, incorporano il requisito della capacità oratoria nelle competenze di base. È impossibile fare l’avvocato se non si dispone di un minimo di capacità comunicativa per il fatto che le proprie tesi vanno esposte avanti un giudice. Anche altre professioni, come quella notarile, commerciale e di consulente del lavoro, possono beneficiare notevolmente di una migliorata capacità comunicativa. Spesso, infatti, i clienti sono più d’uno e negli incarichi giudiziali e societari capita di dover affrontare comunque una commissione tributaria, un’aula di tribunale, un’assemblea di soci, un consiglio di amministrazione. A corollario della propria attività consulenziale e per la promozione della propria immagine sempre più professionisti svolgono inoltre la funzione di docente e verranno apprezzati per la loro capacità di apportare un messaggio, chiaro e interessante. La capacità di parlare in pubblico diventa molto importante anche nelle occasioni di incontro con i giornalisti. Non capita di rado, purtroppo, di vedere affermati professionisti in grande imbarazzo quando intervistati dai media.

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SVILUPPO PERSONALE DEL PROFESSIONISTA generali ripetute e aiuta enormemente il grado di conoscenza della materia di cui si va a discutere. L’ansia peraltro è un meccanismo che si autoalimenta per cui è necessario lavorare su sé stessi per dominarla appropriatamente.

Se il relatore decide di attraversarla perché indispensabile, che almeno lo faccia con le adeguate precauzioni. Quanto tempo dura l’intervento? Teniamo conto che la curva di attenzione dura una ventina di minuti per cui dopo quel periodo è opportuno in ogni caso cambiare argomento. Ogni ora e mezza massimo due ore occorre fare un break. Alcuni relatori esperti riducono impercettibilmente la durata delle ultime sezioni del proprio discorso per renderle meno noiose, come gli architetti greci giocavano con le dimensioni dei colonnati per ingannare l’occhio con la prospettiva.

La pianificazione dell’intervento

Il lavoro tecnico del relatore consiste nella pianificazione e predisposizione del proprio discorso. Durante la fase di preparazione del discorso, è opportuno porsi mentalmente alcune domande: Qual’è la finalità di questa presentazione? Gli obiettivi della comunicazione di un oratore possono essere:

Quali sono i mezzi di cui possiamo disporre? Abbiamo la possibilità di usare un microfono, una lavagna a fogli mobili o fissa, un videoproiettore, un proiettore di diapositive? È chiaro che la nostra capacità di comunicare sarà direttamente proporzionale agli strumenti a disposizione e alla nostra capacità di utilizzarli. Dedicheremo un prossimo intervento allo studio di questi supporti.

informare: per trasferire conoscenze. in genere è asettica, oggettiva, rapida e descrittiva; educare: per formare il pubblico su un determinato argomento a lui prima ignoto; intrattenere: per non rendere un intervento tecnico troppo “intenso”; ispirare per stimolare nel pubblico nuovi orizzonti; convincere: per condurre il pubblico sulle proprie tesi.

In che parte della giornata è stato fissato l’incontro? Se l’appuntamento è post-prandiale o è la prosecuzione di altri interventi bisogna programmare qualcosa per risvegliare e tenere attento l’uditorio.

A chi ci si rivolge? Il pubblico è interessato e viene volontariamente e, quindi, non è obbligato ad ascoltarci? Ci possiamo permettere di essere informali? Il relatore prima di avviare una presentazione deve porsi alcune domande: � da chi è composto il pubblico? � che cosa ci si aspetta da lui? � quante saranno probabilmente le persone che lo ascolteranno? � in quanto tempo si rischia di annoiarle? � qual è il contesto psicologico nel quale opererà? � desiderano che mostri rispetto e comprensione nei loro confronti o deve escogitare il modo per dare loro la carica? � bisogna creare problemi od offrire soluzioni? � come sarà il clima? teso o rilassato? � ci si può far accettare cercando di individuare dei punti di contatto con l’uditorio. Queste informazioni sono importanti per definire terreni e argomenti che possono unire o dividere, avvicinare o allontanare un oratore da un pubblico. Ogni uditorio contiene almeno una zona minata per il relatore.

Inventio – la scelta degli argomenti La preparazione del discorso parte dalla scelta dell’argomento, dal reperimento del materiale e del suo ordinamento. Si tratta in genere di una attività divergente, creativa, fatta di una fase di brainstorming e poi di selezione e ordinamento delle idee. In questa fase possono aiutare le mappe mentali, modalità di rappresentazione di idee e collegamenti più o meno complessi che poi dovranno essere accomodate in un formato lineare. Qualche volta il titolo esatto dell’intervento nasce solo dopo che si è sviscerato l’argomento stesso in tutte le sue componenti. Il professionista spesso deve abbinare una fase di ricerca documentale e bibliografica poco creativa, in ragione dell’approfondimento necessario in relazione agli argomenti tecnico-professionali trattati. Si pensi alla preparazione di un ricorso tributario da discutere in pubblica udienza. Dispositio - la scelta dell’ordine degli argomenti Una volta stabilito cosa dire, e anche cosa non bisogna assolutamente dire, occorre scegliere in che or-

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SVILUPPO PERSONALE DEL PROFESSIONISTA dine esporre gli argomenti. L’importante è scegliere un ordine logico che possa facilitare la comprensione e la memorizzazione da parte degli ascoltatori. Tra le più utilizzate modalità di ordinamento dei contenuti ricordiamo quelle: • deduttiva; • induttiva; • per problemi; • storico-sequenziale; che possono essere anche combinate tra loro.

tori e distrarli o interessarli al discorso. Luci (la stanza è buia, entra troppo sole e non si vedono le slide, ecc..); Distanze (il relatore è troppo distante o non è visibile o non può muoversi…); Disposizione delle sedie (non si vede il relatore o la proiezione); Temperatura (fa troppo freddo o troppo caldo, manca l’aria, gira l’aria…); Suoni e impianto di amplificazione (non c’è l’impianto, non funziona, fa eco…).

Elocutio – la scelta degli abbellimenti Ogni discorso dovrebbe essere costruito su due pilastri: una parte logica e una emozionale. La prima dovrebbe spiegare a fondo quali sono le procedure che devono essere intraprese e il perché. Questa fase dovrebbe includere i passaggi esatti che la persona dovrebbe fare dopo la riunione. Nella parte emozionale il relatore dovrebbe creare entalpia nelle persone emozionandosi a sua volta. Possono aiutare strumenti come figure retoriche, modi di dire, metafore, battute divertenti o piccole storielle che possano spezzare la monotonia del discorso. È chiaro che tali strumenti dovranno essere dosati cum grano salis e dipenderanno molto anche dall’argomento trattato e dalla tipologia di platea. Successivamente è bene provare il discorso davanti a qualcuno disponibile a critiche costruttive. Il discorso di prova serve a tarare i tempi e a verificare i punti di forza e di debolezza delle argomentazioni.

È in ogni caso importante che il relatore arrivi in anticipo per assicurarsi che tutto sia sotto controllo e per ambientarsi. Il relatore, se possibile, dispone la sala nel modo più adeguato all’intervento. Cercando di non mettere barriere tra se e la platea. Fa in modo di attenersi il più possibile agli orari stabiliti ma non dovrà iniziare la relazione se la maggior parte dei partecipanti ancora non sono arrivati. In tal caso avvisa la sala della breve attesa, altrimenti rischierebbe di essere interrotto nel corso della riunione.

Le parti principali del discorso

Ogni discorso si presta ad essere diviso in tre parti: apertura, corpo e conclusione, o anche inizio, svolgimento e chiusura. Apertura - Il relatore annuncia l’argomento che si andrà a trattare. Una possibile sequenza da rispettare in questa fase può essere la seguente: 1. presentazione personale e/o degli assistenti, se non si è già stati introdotti; 2. attirare l’attenzione, quella che i latini chiamavano captatio benevolentiae; 3. commentare i punti principali da trattare e gli obiettivi; 4. spiegazione delle regole espositive e della metodologia da seguire; 5. dare indicazioni logistiche quali l’ora di conclusione, i break, le indicazioni ulteriori che sono necessarie. Un buon inizio è fondamentale per qualsiasi presentazione. L’obiettivo da perseguire è che il pubblico presti attenzione: a tal fine bisogna suscitare interesse prima di stabilire un rapporto con esso. In questa fase è opportuno tener presente che il pubblico risponde a tre modalità principali a seconda del canale di comunicazione più usato dalla singola

Actio – passare all’azione Arriva finalmente il momento di parlare davanti al pubblico: la fase che i latini chiamavano actio e che, come suggerisce il nome, può beneficiare notevolmente delle nostre capacità di comunicazione paraverbale e non verbale. La voce esprime la nostra capacità paraverbale, il corpo fa il resto. Un bravo oratore usa la voce, il volume, il timbro, la velocità, la profondità, il tono e persino le pause per comunicare, interessare, e condurre la sua platea. Ancora di più, oltre l’80% del messaggio è non verbale, ma fatto dei gesti, delle espressioni del volto, della postura, della nostra posizione all’interno della sala e nel luogo da cui parliamo. Il linguaggio non verbale è importantissimo per mantenere un collegamento con le persone in sala e per verificare il loro status durante la presentazione. Se sono stanchi sarà bene stemperare con una battuta o cambiare argomento. Per il relatore è importante curare la preparazione dell’ambiente. Ogni cosa può influenzare gli ascolta-

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SVILUPPO PERSONALE DEL PROFESSIONISTA persona. Alcune persone sono uditive, altre visuali, altre infine cinestetiche. Ciascuno di questi target di pubblico è maggiormente attratto dai messaggi che si avvicinano al proprio canale di comunicazione. L’abilità del relatore sta nel combinare espressioni e vocaboli appartenenti a tutti e tre i canali di comunicazione.

tori o lavorare in un ambiente ostile. L’obiezione deve, invece, essere interpretata come un segnale di interesse, un relatore essendosi esposto al pubblico, non può permettersi di essere permaloso. Nell’affrontare le critiche è importante non contraddire direttamente la persona che ha mosso le obiezioni. In prima battuta è il relatore che non si è espresso adeguatamente e che quindi non si è spiegato bene. È bene quindi accettare ogni messaggio. Le obiezioni, anche se possono essere molto differenziate tra loro, si possono classificare in genere in due grandi categorie: emotive e quelle razionali.

Corpo della presentazione: il relatore espone le proprie tesi. Nel corso dell’esposizione è di fondamentale importanza che il pubblico comprenda esattamente ciò che si vuole comunicare, quindi il discorso deve essere facile da seguire e con un ordine chiaro e preciso. Il relatore dovrebbe esporre in modo ordinato i suoi argomenti e servirsi di dati o esempi che possano aiutare il pubblico a comprendere il senso del discorso. La metodologia induttiva, in cui dagli esempi si va alla regola generale è spesso preferibile a quella deduttiva in cui si espone un principio generale e da questo si traggono conclusioni puntuali. Durante la fase di esposizione dei contenuti conviene dividere il tempo equamente o quasi e utilizzare un orologio per evitare di soffermarsi troppo su parti meno interessanti e poi arrivare in ritardo quando il tempo a disposizione è già consumato. È bene riepilogare i concetti principali al termine delle sezioni logiche in cui si è scelto di suddividere il discorso. Un bravo oratore sa inoltre che Il suo discorso continua anche nelle pause. In questa fase si possono individuare gli entusiasti e gli ipercritici. È molto importante quando si rientra da un break riassumere alla ripresa dei lavori quanto svolto fino a quel momento e cosa vi è di interessante da svolgere. Non è in genere opportuno discutere apertamente di come gestire l’aula con i presenti per esempio proponendo di abolire il break o spostarlo più avanti. Ripetere i concetti importanti più volte appare consigliabile. Meglio se espressi in modo diverso o utilizzando canali di comunicazione alternativi.

Le obiezioni emotive non hanno come oggetto reale di opposizione gli aspetti logici o di contenuto. Sono piuttosto contrapposizioni alla figura del leader o comunque manifestazioni di resistenza al procedere del gruppo. Possono essere gestite con tre tecniche fondamentali: quella dell’eco, quella dello specchio e quella del perché. Nella tecnica dell’eco si ripete in forma interrogativa l’obiezione appena formulata affinché l’obiettore sia spinto a chiarire il suo pensiero in forma razionale: “Lei non è d’accordo su questo punto perché sostiene che ...”. Usando la tecnica dello specchio si tratta l’obiezione formulata come una domanda che si presume sia stata appena effettuata, ma non se ne è certi, sempre al fine di far razionalizzare la riflessione dell’obiettore: “immagino che la sua domanda probabilmente nasca da queste considerazioni ...”. Se si adotta la tecnica del perché non si risponde alla domanda, ma si chiede da quali considerazioni più generali nasca “perché lei afferma che ….”. Le tecniche di risposta alle obiezioni razionali che in genere nascono per dissenso o per necessità di chiarimenti in merito a ciò che si sta facendo sono ancora più numerose e varie. L’approccio migliore è spesso quello di formulare una domanda aperta (“in che senso?” o “mi faccia un esempio” o tutte e due). La domanda aperta permette di pensare e mette in difficoltà chi ha mosso l’obiezione. Non bisogna comunicare solo con la persona che ha fatto l’obiezione ma con tutta la sala e se rendere pubblica l’obiezione. È necessario mantenere il controllo della sala dirigendo e coordinando il dibattito. È consigliabile apprezzare per quanto possibile le

Conclusione - il relatore riassume ciò di cui ha parlato.

La gestione dell’aula

Un bravo relatore deve gestire la comunicazione all’interno dell’aula. Possiamo avere uditori difficili, e quindi bisogna saper gestire le obiezioni e gli imprevisti. Una delle cose più difficili per un relatore alle prime armi è gestire le obiezioni di uno o più ascolta-

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SVILUPPO PERSONALE DEL PROFESSIONISTA obiezioni o gli appunti posti, integrando eventualmente l’obiezione. (“Bene per questo punto”, “In effetti Lei ha ragione”).

arriva, il pranzo che non è ancora pronto è necessario porre la dovuta attenzione, cercando, comunque, di proseguire nella propria esposizione.

Conclusione

Lo spostamento delle responsabilità - l’obiezione è attribuita a qualcun altro, non presente alla riunione, che era stato male informato: “probabilmente qualcuno può averle detto … ma …” L’accordo a metà - si dà ragione a chi obietta segnalandogli però che ci sono ulteriori considerazioni da fare e che ora gli si esporranno: “è vero, ma ….” L’anticipazione di una possibile e prevedibile obiezione - ci si autofornisce la possibilità di ulteriori argomentazioni: “dicendo ciò lei può obiettare che …” Il rinvio della risposta - si conferma all’interlocutore che l’obiezione è stata afferrata, ma che ci sono altre cose particolarmente urgenti da sviluppare e il tempo a disposizione è molto poco: “certamente questo problema esiste ma approfondirlo ora potrebbe deviare il filo del discorso”

Il modo migliore per realizzare un buon discorso è terminare bene. Le persone tendono, infatti, a ricordare gli inizi e le conclusioni per gli effetti suscitati rispettivamente dalle prime e dalle ultime impressioni (tali principi sono vere e proprie leggi della memoria). La conclusione costituisce il compendio di ciò che si è detto e, nella maggioranza dei casi, deve includere i seguenti elementi: • un riassunto, concentrato in una o due frasi, del contenuto principale del discorso; • alcune proposte o soluzioni che si deducano dal cuore del discorso; • il chiarimento dei dubbi; • una sottolineatura degli argomenti trattati e un caloroso ringraziamento alla platea; • fornire l’indirizzo per eventuali contatti successivi; • fornire indicazioni per reperire l’eventuale materiale presentato. Aumentare leggermente ma in modo percepibile la velocità dell’eloquio e anche il volume aiuta a raggiungere un ottimo climax.

Per quanto concerne eventuali imprevisti, come il fermo delle diapositive, il cedimento del microfono, l’auto da spostare nel parcheggio, la persona che si sente poco bene in sala, il prossimo relatore che non

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RISORSE UMANE

Il clima interno negli studi professionali e la crisi economica di Eugenio Santioni - consulente in risorse umane

In un contesto economico di indiscussa difficoltà che si protrae da molto tempo, anche le cosiddette professioni dorate, quelle che da sempre sono considerate ricche, stanno subendo una contrazione dei propri risultati, ovvia conseguenza dell’andamento “a granchio” dell’economia italiana e mondiale. A tal fine risulta importante essere preparati e, uno strumento di sicura utilità, è quello della misurazione del clima dello studio professionale che permette una diagnosi organizzativa. Tuttavia, alla luce della congiuntura economica, più utile concentrare l’attenzione su come riposizionare lo studio nel mercato. Il panorama economico di riferimento

che dovrà adattarsi alle nuove condizioni che la crisi “più grave dal dopoguerra” ha lasciato in modo indelebile attorno a noi. Anche il comparto degli studi professionali, come si richiamava in avvio, ha subito pesantemente e, purtroppo, in modo inevitabile questo periodo nero: crediti crescenti nei confronti di imprese clienti in oggettiva difficoltà, turn-over della clientela con segno negativo, ricorso all’abbattimento del prezzo della prestazione professionale per arginare l’emorragia, attivazione della cassa integrazione per i dipendenti, studi che cedono attività o ricercano partner per effettuare economia di scala, licenziamenti (e contenziosi conseguenti), giovani professionisti in cerca perpetua di professione. Nessuna categoria si è salvata: tutti hanno sofferto i mancati o ritardati pagamenti, il tracollo del mercato immobiliare3 ha portato con sé le professioni tecniche e i notai, le sofferenze e cessazioni di attività e imprese4, con incremento del rischio di prestazione a fondo perduto, ha colpito le attività giuridiche-economiche, nemmeno le professioni sanitarie sono esentate dalla rinnovata attenzione delle famiglie alle spese sottoposte a tagli decisi, odontoiatri in primis5. I dati a disposizione a oggi, frammentari, parziali e ben poco organici, lasciano

L’ultima crisi economica ha colpito duramente il comparto delle imprese private, delle attività commerciali, degli scambi immobiliari e degli studi professionali con un effetto domino di cui ancora la conclusione, se di conclusione si può trattare, è demandata alla sfera di cristallo (PIL secondo trimestre 2013 -0,2%, ottavo calo consecutivo, -2% su base annua). È ancora presto per capire se questa contrazione sarà seguita da un periodo di rilancio dell’economia e del lavoro duratura per gli anni a venire nei Paesi, tra cui il nostro, con sistemi produttivi maturi e mercati saturi, e soprattutto se i nostri comportamenti d’acquisto torneranno quelli pre-crisi. Abituati dalla fine degli anni ottanta a immaginarci un benessere crescente e senza battute d’arresto, parlare per il futuro di “decrescita felice” o di “abbondanza frugale”1, ossimori degli economisti per provare a convincerci che del superfluo si può fare a meno senza eccessive rinunce, suona perlomeno stonato rispetto all’esercito dei disoccupati giovanili che le percentuali degli ultimi anni richiamano. Siamo riusciti a creare una società in cui i padri hanno avuto, a fronte di sacrifici e impegno, molte più opportunità dei figli e con i secondi per i quali il concetto di sacrificio ha più a che vedere con la rinuncia per qualche mese all’ultimo gadget tecnologico di grido, che a costruire la propria crescita professionale e reddituale2. Qualunque sarà la luce che vedremo una volta usciti dal tunnel, questa illuminerà un tessuto produttivo e una società civile

Compravendite 2012 -25% 2012 su anno precedente, il 50% tra il dato del 2006 (870.000 compravendite- e quello del 2012 - 440.000 compravendite, dati Nomisma), previsioni e sentiment poco rosee per almeno prossimo biennio. 4 Le istanze di fallimento sono state 34 al giorno di media nel 2012, ma il trend dei primi 4 mesi del 2013 è aumentato a 43 giornaliere (dati Cerved per Il Sole 24 Ore), senza tener conto delle cessazioni di attività prima di fallire. 5 Il 40% nel 2012 la richiesta di impianti ortodontici (ANDI), stessa percentuale di italiani che rinunciano a visite per motivi economici nell’anno scorso (Altroconsumo), incremento del 20% richieste prestazioni odontoiatriche SSN. 3

Concetti espressi da Nicholas Georgescu-Roegen e Serge Latouche. 2 Senza generalizzare, benché la provocazione resti: basta fare una ricerca per inserimento tirocinanti e/o laureati per periodi di stage per ritrovarsi probabilmente d’accordo con tale affermazione. 1

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RISORSE UMANE intravedere una profonda revisione di quello che saranno le professioni, ordinistiche o meno, negli anni a venire, ben prima della definizione di un quadro legislativo chiaro che dovrebbe uscire dalle discussioni perenni sulla “riforma delle professioni”. La diminuzione sensibile dei redditi dichiarati, ancora non allineati con l’anno orribile 2012, l’appeal sempre più debole di alcune professioni con calo dei tirocinanti e di richieste di abilitazione, redditi medi dei giovani professionisti (intendendo come tali quelli con età inferiore ai 40 anni) sconfortanti, il modello dei micro studi (quelli composti da massimo 5 elementi) in profonda ridiscussione per questioni di equilibrio economico sono gli effetti concreti in corso della crisi e con all’orizzonte una ripresa economica annunciata ma ancora non pervenuta (e poi: sarà per tutti?)6. Quindi si prospetta uno scenario per gli studi professionali in cui gli aspetti organizzativi saranno centrali per lo sviluppo o semplice sopravvivenza del proprio business e sono questioni che investiranno maggiormente chi ha già una struttura piuttosto che le nuove leve che si affacceranno sul mercato del lavoro e alla professione in un contesto futuro profondamente mutato. Intanto lo tsunami sta passando e in attesa di scoprire cosa effettivamente la risacca lascerà come danni certi, cerchiamo di capire quale può essere il clima organizzativo che si sta respirando tra i 3.900.000 di persone che (ancora) sono occupati nel comparto delle professioni ordinistiche.

una visione globale dell’organizzazione nel suo complesso8”. Strettamente legato alla job satisfaction e al commitment. La misurazione del clima pertanto è uno strumento che permette sia una diagnosi organizzativa, sia l’evidenza delle dimensioni su cui poter intervenire per cercare di migliorarlo, basata sulla relazione continua, pertanto mutevole, tra i soggetti e la propria organizzazione. La misurazione può essere effettuata con questionari ready-made o tailor-made9, focus group o interviste approfondite. Qualunque sia lo strumento, occorre una attenta progettazione sia nell’utilizzo del giusto strumento (somministrare un questionario già pronto con 120 domande in uno studio professionale di 5-6 persone in totale forse non è il metodo logico, così come costruire un questionario su misura abbisogna di competenze specifiche e di qualche analisi statistica sull’attendibilità dei risultati), sia nella definizione e condivisione delle procedure di raccolta informazioni, elaborazioni e comunicazione esiti e conseguenti proposte di azioni correttive. Relativamente agli studi professionali e alla complessità che esprimono nel loro essere costituiti da professionisti e addetti con destini organizzativi ben distinti (uno su tutti il rapporto contrattuale: libero professionale per gli uni, subordinati per gli altri) esistono degli accenni all’analisi del clima interno piuttosto carbonari e isolati. Chi scrive ha effettuato tali indagini in alcuni studi (con più di 20 componenti) utilizzando sia i focus group che un questionario tailor-made (56 item, dimensioni prese in esame: partecipazione, responsabilità, relazioni interpersonali, coerenza politiche e organizzazione, bisogni personali e sociali, ambiente di lavoro) affinato nel tempo con analisi statistiche. L’attenzione a tali indagini ultimamente si è rarefatta, proprio nel momento in cui potrebbe aiutare lo studio a individuare dei percorsi alternativi, ma quando all’ordine del giorno vi è la sopravvivenza della propria attività faticosamente costruita negli anni è indubbio che l’attenzione non può che concentrarsi su tale priorità assoluta.

Cenni sul clima organizzativo

Cos’è il clima organizzativo? Senza fare un compendio della storia e teorie in merito7, si daranno degli spunti generali utili a un minimo di orientamento per i “non addetti ai lavori” su questo tema . Il clima organizzativo è “un fenomeno complesso, multidimensionale, al quale partecipa una pluralità di cause da un lato e che si traduce, dall’altro, in una pluralità di effetti e la sua comprensione risulta più efficace (...) analizzando le singole componenti costitutive (del clima) che permettono e forniscono comunque Per evitare un eccesso di numeri e dati, veramente drammatici, si rimanda alle fonti principali: le casse previdenziali pubblicano i dati più attendibili su redditi e variazioni, gli ordini e collegi per i numeri e flussi di iscritti e cessazioni, ottima la pubblicazione del IRDCEC sui commercialisti ed esperti contabili, il Professional Day 2013 del C.U.P:, i comunicati stampa di ricerche specifiche o convegni dedicati, mentre sono assenti numeri ufficiali e organici su chiusure studi o richiesta di incorporazione o fenomeni di aggregazione. 7 Si rimanda alla letteratura specialistica piuttosto fornita su tale tematica, benché centrata sul mondo aziendale, a partire dagli studi e ricerche di V. Majer e collaboratori e dei saggi di G.P. Quaglino e E. Spaltro. 6

V. Majer, A D’Amato “Organizational Questionnarie (M_ DOC)” - Unipress, 2001. 9 Tailor- made includono gli strumenti sviluppati per una peculiare organizzazione e funzionale solo ad essa, mentre quelli ready-made sono validati e possono essere utilizzati in modo univoco in contesti organizzativi diversi. Alcuni di questi ultimi possono essere somministrati solo da professionisti iscritti all’albo degli psicologi. 8

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RISORSE UMANE Il clima interno negli studi e i cambiamenti prevedibili dovuti alla crisi

decisioni). È importantissimo dedicare tempo a spegnere eventuali rumors, devastanti per il clima interno, comunicando gli scenari e, perché no, i criteri definiti per la cernita pone almeno dei paletti e delle regole, che danno qualche certezza in più per quanto labile. Se fossero presenti altri professionisti non titolari, anche loro dovranno essere attentamente e oggettivamente valutati per poter prospettare loro un percorso di carriera che pre aggregazione dipendeva direttamente dal dominus, mentre nella fase successiva dipenderà da diversi soci. Anche qui evitare informazioni fuorvianti aiuta a mantenere la consapevolezza che sono loro stessi gli artefici del loro destino nella nuova organizzazione. Questo è anche il momento opportuno per i contitolari di individuare i professionisti in carriera che necessiteranno effettivamente allo sviluppo del business del nuovo studio associato, che rende pertanto l’elemento valutativo come quello qualificante del processo.

Considerato il presupposto appena enunciato sarebbe probabilmente inutile approfondire strumenti e metodologie per la misurazione del clima interno negli studi professionali visto il momento attuale. Meglio volgere lo sguardo a come affrontare con la propria organizzazione il riposizionamento dello studio nel mercato cercando di mantenere un clima almeno collaborativo in un contesto dominato dall’incertezza (ovvero mors tua, vita mea). Per affrontare al meglio l’arduo compito, al di là della dimensione dello studio, sono necessari almeno un’attenta analisi delle clientela, un controllo effettivo dei costi/ricavi, dati a supporto dei carichi di lavoro e competenze della struttura e una efficace comunicazione interna (che se trattasi di 4 componenti vuol dire semplicemente confrontarsi con franchezza, tanto se lo studio è in crisi non sarà certo un segreto). Gli studi più esposti sono quelli micro che però rappresentano la maggioranza in Italia. Le scelte a cui possono essere costretti si restringono a tre: cessazione, aggregazione con altri micro studi, incorporazione in studio associato avviato. Nel caso della cessazione: il professionista può solo comunicare il “rompete le righe” con qualche anticipo e magari cercare di raccomandare, senza alcun impegno, ai colleghi le addette. Il professionista non in quiescenza può mantenere parte della clientela gestendola da solo, offrire prestazioni ad altre strutture, cercare uno studio con cui collaborare, comunque sia dovrà considerare che del suo tempo parte dovrà essere dedicato al proprio sviluppo commerciale e all’amministrazione di se stesso. Nelle scelta aggregativa (per inciso, stanno nascendo anche cooperative) con strutture simili il quadro si complica, soprattutto per addetti e giovani professionisti, mentre tende a essere sottovalutato il principale fattore di successo: l’amalgama effettiva dei futuri contitolari. Per gli addetti il quadro è fin troppo chiaro: di 3 segretarie ne rimarrà una, di 3 amministrativi forse 2 e così via, pertanto la questione va affrontata in modo repentino ma avendo sotto mano informazioni essenziali per i contitolari quali: specializzazioni, attività gestite, carichi di lavoro, livelli retributivi e incentivi erogati, differenze di politiche di gestione applicate, ipotesi di contenziosi e loro costi, anzianità, in modo da poter ponderare la scelta su dati di fatto e su criteri oggettivi (che significa anche poterla argomentare al meglio quando si comunicheranno le

Dopo l’informativa preliminare, la fase più importante per le ricadute sul clima saranno le regole di convivenza post aggregazione. Un’aggregazione di studi con una propria storia non è la semplice sommatoria dei soggetti che la compongono, ma ognuno si porta dietro, pur nello stesso ambito professionale, la proprie abitudini sull’agire professionale, procedure operative per il disbrigo delle pratiche peculiari di ogni singolo studio, approcci e gestione del cliente differenti, retribuzioni e livelli diseguali per mansioni e livelli di responsabilità identici, compensation plan per i professionisti non allineati uno con gli altri e altre discrepanze che vanno a incidere direttamente sulla soddisfazione lavorativa e sulla dedizione/motivazione e quindi sul clima generale. Passaggio fondamentale assieme alla effettiva compatibilità dei futuri soci, va curato con un lavoro preventivo di amalgama, correzione e condivisione una volta che si hanno gli elementi per scegliere chi rimarrà nella nuova compagine e con quale ruolo. L’ultima opportunità che abbiamo preso in considerazione per i micro studi travolti dalla crisi è quella dell’incorporazione in una struttura associata già avviata. Per addetti ed eventuali altri professionisti al seguito il destino è molto simile alla cessazione: chi conduce la trattativa è lo studio associato di approdo e se a quest’ultimo non occorrono nuove risorse oltre il titolare c’è ben poco da fare. Certo, il titolare potrebbe imporre nella negoziazione l’inserimento anche dei propri addetti o altri professionisti e il clima ne gioverebbe (il nostro capo ci protegge e

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RISORSE UMANE ci dà sicurezza), ma se ha attuato una scelta così radicale da rinunciare alla propria “autonomia” incondizionata si dubita che sia l’atteggiamento predominante. In effetti, in questo tipo di scelta, le condizioni che il professionista tratta, forse più dell’aspetto del compenso, riguardano l’autonomia sui clienti che lo seguiranno, la libertà di movimento rispetto alle regole dello studio, la garanzia di poter proseguire negli ambiti professionali preferiti, avere un livello carrierale d’ingresso, ove fosse presente, adeguato alla sua esperienza piuttosto che confrontata con quella dei nuovi colleghi, il trattamento dei prospect, la cura delle proprie incombenze di segreteria e quanto altro contraddistingue il comportamento di un professionista che ha costruito una struttura attorno alle sue capacità professionali piuttosto che in un contesto associativo in cui le regole e i comportamenti collettivi sono sovraordinati all’agire individuale pur nella piena espressione e responsabilità della professione. Il clima a rischio, ovviamente, è quello dello studio incorporante ove i suoi rappresentanti devono essere molto accorti a gestire anche in termini di comunicazione l’ingresso del nuovo associato esterno10 e trovare la quadra di un suo inserimento che lo soddisfi senza ribaltare per questo le regole, scritte o meno, dello studio.

dio periodo possono aiutare a creare una maggior coesione interna tanto da proporre soluzioni mutualistiche come i contratti di solidarietà tra addetti o auto-riduzione dell’orario a part-time, dove questo non creasse scompensi nell’organizzazione del lavoro, e diminuzioni di compensi fissi a fronte di componenti variabili per i professionisti. Il clima di compattezza che si crea è molto fragile e per questo occorre presentare un piano di rilancio credibile, puntando su innovazione e tecnologia, che possa riportare alla situazione pre crisi in un lasso di tempo ragionevole. In mancanza di tale piano, prima o poi gli elementi migliori potrebbero stancarsi di veder allontanarsi il ritorno alla “normalità” e cercare nuove opportunità nel mercato appena queste si presentassero. Se il/i titolare/i dubita/(no) che si possa mai tornare ai volumi e margini di un tempo, è preferibile fare un piano di tagli interno e ridimensionare la struttura fin da subito, senza tergiversare o proporre soluzioni ponte perdenti in partenza. Con il supporto di dati, criteri e valutazione è preferibile per la direzione decidere a chi proporre di uscire e agire in tal senso, che subire l’uscita volontaria magari di soggetti valutati ottimi e funzionali al progetto futuro. L’equità, la tempestività e l’equilibrio delle decisioni dei leader sono fattori molto apprezzati nelle organizzazioni e paradossalmente aiutano anche i fuoriusciti a sopportare la ferita personale e professionale subita.

Le prospettive per gli studi medio piccoli

Per gli studi piccoli e medi (tra i 6 e i 20 componenti inclusi professionisti, in genere più d’uno con anzianità diverse, e addetti) che rappresentano assieme ai micro studi praticamente l’universo nel nostro panorama nazionale, tranne una minima percentuali di grandi studi, le scelte per quelli che hanno risentito della crisi potrebbero essere meno drastiche. Con tali dimensioni la cessazione dovrebbe essere scongiurata, tranne casi di malagestione o di trascuratezza degli strumenti di controllo per anni. Più probabile intervenire con ristrutturazione interne che possono prendere la via dei tagli oppure, inaspettatamente, della solidarietà, mentre è sempre valida l’ipotesi dell’aggregazione. Nascondere la realtà anche in questo caso sarebbe totalmente inutile, i tam tam interni in caso di sofferenza finanziaria sono certi al 100% per quanti sistemi di sicurezza si possano attuare. Anzi, l’enunciazione collettiva di uno stato di sofferenza, seguito da incontri individuali con professionisti e addetti e un piano di rilancio per uscirne nel me-

Per quanto concerne le aggregazioni valgono gli stessi concetti espressi per i micro studi con complessità ben maggiori.

Gli studi di dimensione ampia

Gli studi grandi (maggiori di 20 tra professionisti presenti in numero consistente e addetti), sparuta minoranza fino a pochi anni fa, hanno un rischio di cessazione molto basso. In parte perché hanno una storia e un prestigio consolidati e in parte perchè, chi più chi meno, si sono già posti il problema dell’organizzazione dello studio e degli strumenti per poterlo gestire, se non altro per il bombardamento informativo sul tema degli ultimi tre lustri. Va detto che è su queste dimensioni che l’analisi del clima permette dei risultati articolati e significativi sopratutto con l’utilizzo dei questionari. I grandi studi, si diceva, hanno risentito sicuramente della crisi ma dispongono di migliori armi per poterla affrontare, nonostante l’esborso mensile sia direttamente proporzionale al numero della compagine.

Prima della crisi, la maggior parte degli studi associati, tranne per l’atto fondativo, crescevano per gemmazione interna, gli innesti esterni erano sporadici e circostanziati. 10

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RISORSE UMANE Oltre i tagli ragionati o gli interventi solidali, soluzioni illustrate e valide, vi sono ancora margini per recuperare efficienza interna che oscilla tra il 10% e il 20% e oltre negli studi non al passo tecnologicamente e con un’organizzazione “ministeriale”. Il processo può non essere indolore e di sicuro mette in evidenza le sacche di non gestione e di resistenza al cambiamento, con un clima che può virare al peggio se i soci non pongono rimedio in prima persona con interventi decisi che riallineano i riottosi a fare quanto deciso per il bene comune (il recupero dell’efficienza ha un’influenza diretta sui margini e sulla sicurezza del posto di lavoro). I fenomeni aggregativi sono possibili anche tra studi grandi, benché ancora rari. Il rischio maggiore è la fase precostituente che deve essere fatta di profonde analisi e dialoghi e curata nei minimi dettagli - abbiamo di fronte l’integrazione di una moltitudine di professionisti - pena il disfacimento nel breve-medio

periodo con costi personali e professionali inimmaginabili.

Conclusioni

Per concludere con un minimo di ottimismo dopo numeri catastrofici, orizzonti cupi e soluzioni di uscita poco appetibili bisogna ricordare che ci sono studi professionali che sono riusciti anche in questi anni bui a migliorare le loro performance di acquisizione clientela e fatturato. Quando saremo fuori dal guado cercheremo di individuarne i fattori di successo e quale clima interno ha permesso loro di raggiungere risultati così rilevanti in un contesto tendente al depresso. La tempestiva e completa comunicazione anche nei momenti difficili, la creazione di un ambiente meritocratico al quale tutti desiderino appartenere, la velocità e risolutezza decisionale rispetto al riposizionamento e dimensione dello studio, la capacità di investire sono probabilmente tra questi.

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CONTROLLO DI GESTIONE

Il budget dello studio professionale di Barbara Borgato - dottore commercialista

L’articolo spiega come introdurre il budget nell’ambito dello studio professionale. Dopo aver presentato le caratteristiche e le finalità del budget quale strumento di programmazione dell’attività dello studio, vengono analizzati i principali elementi attinenti al processo di costruzione del budget, dal suo inserimento coerente entro un contesto di carattere strategico agli aspetti organizzativi. Infine, viene presentato un possibile approccio metodologico nella predisposizione del budget dello studio, fornendo alcune esemplificazioni per orientare la raccolta delle informazioni e la loro sistematizzazione entro prospetti parziali e di sintesi, attinenti alla dimensione economica, patrimoniale e finanziaria. Concetti introduttivi

quindi valutare, il livello di efficienza, ovvero il rapporto tra le risorse utilizzare e i risultati ottenuti. Per esempio, se da un esercizio all’altro lo studio rileva una riduzione del 5% del tempo mediamente impiegato per realizzare una determinata pratica come le dichiarazioni dei redditi (o, con altra espressione, un incremento del numero di pratiche omogenee gestite da una persona nell’unità di tempo – giornata, settimana, mese o altro), questa evidenza consente unicamente di rappresentare una tendenza, ma non si è in grado di esprimere un giudizio sull’adeguatezza della relazione tra risorse impiegate (tempi, costi) e risultati raggiunti (per esempio, numero di pratiche gestite), poiché tale relazione non è stata prioritariamente identificata a livello ideale o normale.

Il budget costituisce uno strumento fondamentale nell’ambito del sistema di controllo di gestione, sistema complessivamente finalizzato a indirizzare lo studio professionale verso il perseguimento dei propri obiettivi. In particolare, il budget è uno strumento di programmazione di breve periodo, all’interno del quale vengono indicati gli obiettivi gestionali che lo studio si propone di perseguire in un periodo amministrativo e accoglie la rappresentazione in termini economico-finanziari del programma delle attività da svolgere. In uno studio in cui manca la fase di programmazione (definizione di obiettivi) e le analisi gestionali sono fondate sul confronto tra dati consuntivi (per esempio, confronto tra dati dell’anno in corso e dati dell’anno precedente, complessivi o riferiti a periodi infrannuali) si perdono le potenzialità del sistema di controllo di gestione nel supportare lo svolgimento dell’attività. Un elemento di potenziale distorsione dell’analisi fondata sul confronto tra dati storici è rappresentato proprio dal ridotto grado di comparabilità delle serie, in un contesto quale è quello odierno, caratterizzato da un livello di dinamismo estremamente elevato. Analizzare serie storiche di dati (fatturato, costi, margini, ore, flussi di cassa, e così via) consente allo studio di cogliere tendenze che si sono manifestate (per esempio, un incremento del fatturato del 10% nell’area del contenzioso tributario), ma non permette di comprendere se lo studio è capace di raggiungere o meno gli obiettivi (poiché questi non sono stati definiti). Analogamente, potenzialmente fuorviante può essere l’utilizzo di soli dati storici per definire, e

Con la realizzazione del budget lo studio compie un passaggio fondamentale in termini di presidio dell’attività svolta, poiché identifica gli obiettivi da raggiungere nel periodo di riferimento, i possibili percorsi di realizzazione di tali obiettivi, le risorse che si propone di impiegare (in particolare le risorse umane) e quindi si misura rispetto a questi elementi, ferma restando naturalmente l’opportunità di mantenere confronti con dati storici.

Il processo di costruzione del budget di studio: premesse strategiche e organizzative

Prima di entrare nel merito della costruzione del budget di studio dal punto di vista dei contenuti e degli spunti per la loro definizione, si ritiene opportuno evidenziare alcuni aspetti che devono essere considerati per una maggiore efficacia sia ex ante, in

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CONTROLLO DI GESTIONE sede di formulazione del budget, sia ex post, in sede di svolgimento dell’attività e di perseguimento degli obiettivi in esso indicati. In primo luogo, l’aspetto relativo alla strategia. Se il budget si riferisce a un periodo amministrativo, la sua costruzione dovrebbe trovare input fondamentali in un processo di pianificazione strategica, con il quale lo studio identifica e formalizza la strategia – solitamente in un documento anche molto semplice definito Piano Strategico – ossia obiettivi e scelte di più ampio respiro, che si riferiscono ad un orizzonte pluriennale (per esempio triennale). In questo modo, gli obiettivi che lo studio intende raggiungere nell’anno “n” derivano e sono inquadrati in una prospettiva più ampia, rappresentando i passi da compiere nel breve periodo (l’anno) per realizzare gli obiettivi di medio-lungo termine. Per esempio, se lo studio intende puntare su una strategia di specializzazione, proponendosi di divenire uno studio di riferimento nell’area della fiscalità internazionale, tale obiettivo, ovviamente, richiede una adeguata pianificazione e programmazione del percorso di attuazione, che difficilmente sarà di breve termine, a iniziare dalla modalità di sviluppo delle relative conoscenze e competenze. Al contempo, in sede di formulazione del budget, lo studio può individuare elementi per una ridefinizione delle scelte strategiche contenute nel piano (che quindi non è un documento statico e immodificabile). Il budget, dunque, rappresenta uno strumento di implementazione e controllo delle scelte di mediolungo termine. In assenza di un piano strategico lo studio può comunque redigere un budget, anche se resta il rischio di una visione miope, allorquando la programmazione si traduca in risposte ad esigenze “del momento”, che potrebbero rivelarsi non ottimizzanti nel medio termine. È quindi opportuno che lo studio punti, nel tempo, ad un modello complessivo entro il quale sia rappresentata anche la dimensione strategica, ovvero, in termini concreti, che si doti di un piano strategico.

ovviamente, ai titolari). Il vertice dello studio deve decidere se coinvolgere anche altri soggetti, tra i collaboratori e i dipendenti. In generale, le logiche del sistema di controllo di gestione suggeriscono il coinvolgimento di tutti i soggetti “responsabili” all’interno dello studio, ovvero di tutti coloro che si avvalgono e gestiscono risorse per lo svolgimento dell’attività di propria pertinenza e rispondono delle modalità adottate; soggetti, inoltre, che dispongono di un ambito di discrezionalità più o meno elevata nella realizzazione dell’attività (quindi sono chiamati a svolgere un’attività non esclusivamente di carattere esecutivo). Per esempio, il vertice dello studio può decidere di coinvolgere nel processo di costruzione del budget il responsabile dell’area contabilità, bilanci, dichiarazioni, e così via. Se vengono coinvolti anche altri soggetti nella realizzazione del budget, è importante che il vertice condivida con questi almeno gli aspetti principali del percorso strategico, ovvero gli obiettivi che intende conseguire nell’anno di riferimento, eventualmente inquadrati in un percorso di più ampio respiro. Questo è essenziale per consentire ai soggetti coinvolti nella redazione del budget di fornire un contributo adeguato, essendo correttamente orientati e allineati agli obiettivi fissati dal vertice. Lo studio (soprattutto nel caso di grandi dimensioni) può valutare di costituire un organismo apposito, il cosiddetto “comitato di budget”, formalizzando in termini organizzativi le responsabilità assegnate in sede di svolgimento dell’attività di programmazione, che si conclude con la redazione del documento di budget. Inoltre, può essere opportuno predisporre un calendario di budget, ovvero un documento in cui vengono identificate le tempistiche (e scadenze) di realizzazione dei diversi elementi costitutivi del budget (che saranno oggetto di trattazione nel proseguo) e i soggetti responsabili. La definizione del calendario di budget, ufficializzando il timing del processo, non vuole costituire un elemento di irrigidimento della struttura, bensì consentire di ridurre il rischio di ritardi e rinvii, situazioni non infrequenti quando lo svolgimento dell’attività è lasciato alla discrezionalità dei singoli e al tempo che questi riescono a “liberare” per un’attività non agganciata a scadenze, legislative o concordate con i clienti. In questo modo, anche il sistema di controllo di gestione dello studio entra nell’operatività e le attività richieste vengono opportunamente programmate.

La costruzione del budget di studio ha inoltre importanti risvolti organizzativi, che devono essere opportunamente considerati per un suo adeguato sviluppo, ovviamente con modalità e valenze differenti a seconda delle caratteristiche dello studio e delle sue dimensioni. In primo luogo gli attori: vanno identificati i soggetti da coinvolgere nella realizzazione del budget (oltre,

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CONTROLLO DI GESTIONE Nel corso dello svolgimento del processo di budget è importante inoltre che i diversi step siano condivisi dai soggetti coinvolti. In questo modo si esalta la funzione di coordinamento ed integrazione del budget, perché tali soggetti sono chiamati a confrontarsi, scambiarsi informazioni, riducendo il rischio di approcci compartimentalizzati, limitati alla propria area di pertinenza e si assicura la coerenza e compatibilità degli obiettivi parziali, di ciascuna area, rispetto agli obiettivi generali dello studio. Soprattutto per le realtà di grandi dimensioni, non vanno trascurate le implicazioni del budget quale strumento di comunicazione interna e di motivazione delle risorse.

mazione. Un possibile approccio nelle costruzione del budget dell’anno “n” può prevedere i seguenti step: a) forecast dell’anno “n-1”; b) definizione obiettivi generali dell’anno “n”; c) budget dei ricavi; d) budget delle risorse umane; e) budget degli altri costi di studio; f) budget degli investimenti; g) conto economico, stato patrimoniale, budget finanziario e budget di tesoreria. Come si ribadirà anche in seguito, il processo di budget è iterativo, pertanto le fasi sopra esposte non vanno intese come una rigida sequenza unidirezionale, poiché in ciascuna fase possono emergere elementi tali da richiedere una revisione di quanto precedentemente stabilito.

Una volta conclusa la redazione del budget e formalizzata la sua approvazione, può essere opportuno organizzare un incontro di presentazione del budget alle risorse umane dello studio, nel quale gli obiettivi e le tappe principali del periodo successivo vengono illustrati a coloro che non hanno partecipato direttamente alla redazione del budget (ovviamente con il livello di dettaglio ritenuto opportuno dal vertice).

Se possibile, inoltre, sarebbe opportuno articolare il budget per periodi infrannuali (trimestre o anche mese), costruendo quindi la base dati sia a livello annuale, sia infrannuale. Questa soluzione, se non si traduce in una mera ripartizione aritmetica di un valore annuo, consentirebbe di pervenire ad una più corretta programmazione della relazione tra risultati da raggiungere e risorse necessarie, nell’ambito del periodo di riferimento.

La costruzione del budget è sicuramente una attività che richiede del tempo, ma tale tempo si ripaga in genere più che abbondantemente per il contributo conoscitivo che apporta alla gestione.

Forecast dell’anno “n-1” In questa fase si tratta di predisporre una pre-chiusura economica, patrimoniale e finanziaria dell’anno “n-1”, ovvero i dati relativi all’esercizio precedente a quello oggetto di budget, effettuando la consuntivazione del periodo già trascorso e integrando le risultanze con una stima a chiudere per il periodo mancante. Per esempio, se lo studio avvia il processo di budget nel mese di ottobre, dovrà consuntivare dal punto di vista economico, patrimoniale e finanziario il periodo relativo ai primi 9 mesi e definire negli stessi termini l’evoluzione prevedibile del periodo ottobre – dicembre. Questa fase consente di predisporre un supporto informativo che sarà utilizzato dai soggetti coinvolti in sede di definizione dei dati prospettici che saranno inclusi nel budget. È opportuno che questa pre-chiusura sia quindi costruita coerentemente con il format adottato per il budget (prospetti parziali e prospetti generali), con un grado di dettaglio sufficiente a supportare le fasi successive. Per esempio, se lo studio adotta un’articolazione per aree (strategiche / di supporto), dovranno essere predisposti forecast per ciascuna di queste.

Il processo di costruzione del budget di studio: elementi costitutivi

Si propone di seguito una proposta applicativa nella configurazione del budget di studio, fermo restando che ciascuna realtà deve identificare la soluzione maggiormente adeguata alle proprie caratteristiche. Lo studio può decidere di costruire il budget prevedendo, accanto a prospetti generali o di sintesi (Conto Economico, Stato Patrimoniale di apertura e chiusura, budget finanziario e budget di tesoreria) una serie di prospetti parziali che vanno ad alimentare i primi. Possono essere costruiti, per esempio, prospetti specifici per: • aree strategiche di affari (ASA), ovvero le tipologie di servizi offerti dallo Studio, per esempio: contabilità, bilanci, dichiarazioni, consulenza aziendale, collegi sindacali, procedure concorsuali; • aree di supporto, che identificano le attività non incluse nell’erogazione del servizio, per esempio: amministrazione, gestione sistemi informatici, gestione acquisti, organizzazione di studio, for-

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CONTROLLO DI GESTIONE Identificazione degli obiettivi generali dell’anno “n” Si è detto che il budget deve trarre i suoi obiettivi dal piano strategico, ovvero che gli obiettivi di breve devono derivare da una visione più ampia del percorso futuro dello studio. In assenza di un piano strategico, è opportuno che il vertice dello studio dedichi comunque tempo a un’analisi, se possibile strutturata e supportata da elementi quantitativi, riguardante l’evoluzione del contesto in cui si troverà ad agire. Questa analisi può sostanziarsi, per esempio, nella valutazione di aspetti quali: • fattori di carattere macro-economico e legislativo (per esempio cambiamenti relativi alla normativa fiscale); • fattori relativi a specifici settori in cui operano i clienti dello studio, attuali e potenziali (questi dati possono essere tratti, per esempio, dalle analisi delle CCIAA, delle associazioni di categoria); • situazioni conosciute riguardanti clienti dello studio (per esempio, evoluzione dell’attività, nuovi prodotti o nuovi mercati, cambiamenti nella struttura giuridica che impongono variazioni nella tipologia di prodotti offerti) o altri attori del contesto di riferimento (per esempio, altri studi professionali o organismi che offrono gli stessi servizi dello studio o servizi che lo studio intende offrire). Una volta realizzata questa analisi (i cui esiti e riflessioni è opportuno siano formalizzati in un documento allegato al budget), il vertice definisce, possibilmente in termini quantitativi oltre che qualitativi, gli obiettivi generali per l’anno “n”, avvalendosi anche dei dati storici disponibili (anno in corso, di cui alla fase a, o anche periodi precedenti). Si tratta di definire gli obiettivi principali che lo studio si propone di raggiungere, riguardanti lo studio nel suo complesso e/o singole aree di attività; poi coerentemente a questi si identificheranno gli obiettivi parziali. Gli obiettivi generali si possono esprimere diversamente, per esempio:

• incremento del risultato economico del 10% rispetto al periodo precedente; • fatturato obiettivo dell’area “n” pari a 100.000 €; • margine di contribuzione medio di studio pari al 60% e • riduzione dei costi delle aree di supporto del 15% rispetto al periodo precedente. Budget dei ricavi Dopo aver identificato gli obiettivi generali di budget si inizia con la costruzione dei prospetti parziali, il primo dei quali è solitamente rappresentato dal budget dei ricavi. In primo luogo, anche avvalendosi delle risultanze della fase di forecast, si analizzano le commesse dell’anno “n-1” (contabilità, dichiarazioni, bilanci, consulenze, collegi sindacali, ecc., per i diversi clienti), cercando di identificare quelle che si riproporrano nell’anno “n” di budget (perché da completare o confermate), individuando eventuali variazioni, per esempio in termini di prezzi, di caratteristiche del servizio (elemento questo che potrebbe impattare sulla tipologia di risorse da impiegare). Quindi vanno identificati i “nuovi ricavi-obiettivo”, derivanti da nuovi clienti, nuovi prodotti, ampliamento dell’offerta a clienti attuali, e così via. Può essere utile procedere strutturando analisi specifiche, incrociate per ASA, prodotti, clienti, come indicato nelle tabelle che seguono. La programmazione dei ricavi non richiede allo studio di spingersi fino al livello massimo di disaggregazione (singole commesse, ovvero singoli prodotti a singoli clienti), aspetto spesso non possibile e nemmeno particolarmente utile. Lo studio può definire obiettivi complessivi per nuovi prodotti o nuovi clienti. In questa fase vanno identificate anche le condizioni di pagamento concesse ai clienti, elementi che andranno ad alimentare la programmazione finanziaria e di tesoreria.

Tabella 1- Budget nuovi ricavi: matrice ASA / prodotti – clienti (esempio) Area Strategica di Affari: Contabilità Prodotto: contabilità ordinaria Clienti Rossi S.r.l. … Nuovi clienti Totale ricavi

Anno n-1

Budget anno n

2.000

2.200

….

10.000 ….

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CONTROLLO DI GESTIONE Tabella 2- Budget nuovi ricavi: matrice cliente – ASA / prodotti (esempio) Clienti Rossi S.r.l.

Anno n-1

Budget anno n

Anno n-1

Budget Anno n

Contabilità ordinaria

2.000

2.200

Bilancio Dichiarazioni Consulenza controllo di gestione Totale ricavi

3.000 1.000 ….

3.100 1.000 10.000 ….

Prodotti

Budget delle Risorse Umane Il budget delle risorse umane dello studio riguarda titolari, collaboratori e dipendenti. Si tratta di confrontare le risorse disponibili con le risorse necessarie (anche alla luce del budget dei ricavi). In termini di risorse disponibili devono essere individuati, per ciascun componente dello studio, le ore lavorabili nel periodo di riferimento e il costo, tenendo conto di tutti gli elementi di competenza (nel caso dei titolari, se non è stabilito esplicitamente un “compenso” questo dovrebbe essere individuato in termini “figurativi”, per un corretto apprezzamento dei costi delle aree di attività in cui saranno impegnati). Nella ricognizione delle risorse disponibili vanno considerate anche variazioni già note o programmate rispetto all’organico esistente, per esempio, pen-

sionamenti, scadenze di contratti a tempo determinato, nuove assunzioni. Riguardo alle risorse necessarie, per le ASA, se sono disponibili dei tempi obiettivo di realizzazione dell’attività, che lo studio ha identificato nel tempo razionalizzando i processi (è il caso dei servizi ripetitivi), si può esprimere l’impegno di risorse in termini di ore necessarie, in funzione di quanto indicato nel budget dei ricavi. In caso contrario, si può procedere, per esempio, con un’assegnazione in termini percentuali. Può essere utile la predisposizione di matrici che incrociano le singole risorse dello studio con le aree in cui queste saranno impiegate nell’esercizio di budget. Agganciando a tali dati il costo di ciascuna risorsa si definisce il costo del personale per le diverse aree.

Tabella 3- Budget delle risorse umane: risorse / aree di attività (esempio) Risorse Umane Mario Verdi Giorgio Bianchi … … … Nuovo assunto: Dipendente

Aree Strategiche di Affari Contabilità

50%

Dichiarazioni

30%

Aree di supporto Bilanci

Centralino

Amministrazione

Totale

20% 50% 20%

30%

50% 50% 100% 80%

60%

40%

20%

100% 100% 100% 100% 100% 100%

in questo step anche i tempi di pagamento di compensi e relativi oneri.

Se dall’analisi emerge una situazione di carenza di risorse devono essere individuate le opportune azioni, per esempio, ulteriori assunzioni e relativi costi, spostamenti di risorse da altre aree; in caso contrario vanno individuate opportunità alternative di impiego o altre soluzioni (per esempio, passaggio a part time). Se lo studio programma di avvalersi di consulenze esterne per determinate commesse, va programmato il relativo costo. Per la programmazione finanziaria, vanno identificati

Budget degli altri costi di studio Il budget degli altri costi di studio comprende i costi diversi dal costo del personale. Si può trattare di costi diretti, fissi o variabili, di ASA o aree di supporto (per esempio, ammortamento software specifici, viaggi e trasferte), oppure possono essere costi generali di studio (per esempio, affitto dell’immobile, utenze), assegnabili alle aree solo

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CONTROLLO DI GESTIONE tramite un procedimento di imputazione (fermo restando che tale imputazione è comunque convenzionale). Nella programmazione dei costi obiettivo un riferimento per le fattispecie già presenti è rappresentata dalla situazione esistente (quindi l’ammontare del costo nell’anno “n-1”), individuando eventuali variazioni (per esempio, aumento del canone di

assistenza del sistema informatico). Resta inteso che in tale budget saranno poi inseriti i costi di competenza derivanti dal budget degli investimenti. Per la programmazione finanziaria, vanno identificate in questo step le condizioni di pagamento relative alle fattispecie che prevedono un’uscita monetaria nel periodo.

Tabella 4- Budget degli altri costi di studio (esempio) Altri costi di studio

Contabilità Consulenze …

Ammortamento software Viaggi e trasferte Canoni di assistenza Utenze … Totale

100

Amministrazione Costi generali di studio Totale

50 500

25

200 250

Budget degli investimenti Il budget degli Investimenti è alimentato sia da input contenuti nel piano strategico (per esempio, investimenti relativi alla ristrutturazione dello studio, all’apertura di nuovi uffici, al cambiamento del sistema informatico di studio), sia dal recepimento di esigenze emerse nella realizzazione delle fasi precedenti

(per esempio, acquisto di strumentazione per nuovi collaboratori e dipendenti, inizialmente non individuati). Per gli investimenti si tratterà di individuare sia il costo obiettivo complessivo (che poi ovviamente comparirà nei prospetti economici per la quota di competenza), sia gli aspetti finanziari, connessi alle condizioni di pagamento.

Tabella 5- Budget degli Investimenti (esempio) Descrizione investimento

Area di pertinenza

Acquisto HW Amministrae SW zione Acquisto Mo- Centralino bili e Arredi … …

Importo complessivo

9.000 6.000

Data / Periodo di acquisto

Pagamento

Gennaio anno “n” Luglio anno “n”

1°) 5.000 al 31.01. 2°) 4.000 al 30.06. 1°) 3.000 al 31.07. 2°) 3.000 al 30.09.

Vita utile

Quota ammortamento Totale anno “n”

3 anni

3.000

5 anni

600

Totale Nota: le quote di ammortamento indicate nel prospetto sono calcolate considerando il periodo di utilizzo.

Conto Economico, Stato Patrimoniale finale, budget finanziario e budget di tesoreria. Le risultanze delle componenti parziali illustrate vanno a comporre i diversi prospetti di sintesi. Il Conto Economico di budget può essere articolato

per ASA e aree di supporto, consentendo così di evidenziare la redditività obiettivo delle diverse ASA e il contributo fornito alla copertura dei costi delle aree di supporto.

Tabella 6- Conto Economico di budget per ASA (esempio) ASA 1

Ricavi Costi diretti Costi diretti variabili Costo del personale Viaggi e trasferte Margine lordo di contribuzione (Margine di I livello)

ASA 2

1.000

350 50 600

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ASA 3

ASA 4

ASA N

TOTALE


CONTROLLO DI GESTIONE Costi diretti fissi Ammortamento software Corsi di formazione

30 10

Margine semilordo di contribuzione (Margine di II livello)

560

Costi Aree di Supporto e Costi generali di studio Amministrazione Centralino Costi generali di studio Risultato operativo Proventi / Oneri finanziari Proventi / Oneri straordinari Imposte sul reddito Risultato economico Nota: La classificazione “costi diretti – indiretti” proposta nello schema ha naturalmente valenza esemplificativa. Ogni studio, in ragione delle sue specificità, dovrà individuare le fattispecie suscettibili di essere assegnate direttamente alle aree.

Tra le diverse modalità di rappresentazione dello Stato Patrimoniale, se ne propone una utile per supportare l’analisi finanziaria.

Questa prevede l’aggregazione delle voci dell’attivo in base al grado di liquidità e delle voci del passivo in base al grado di esigibilità.

Tabella 7- Stato Patrimoniale (esempio) IMPIEGHI

01.01. anno “n”

31.12. anno “n”

IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI Software

01.01. anno “n”

Fonti

31.12. anno “n”

PATRIMONIO NETTO

IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI Mobili Macchine d’ufficio IMMOBILIZZAZIONI FINANZIARIE

DEBITI A MEDIO LUNGO TERMINE Mutuo Banca XYZ … TFR

a) TOTALE FONTI A MEDIO-LUNGO TERMINE

a) TOTALE ATTIVO IMMOBILIZZATO RIMANENZE FINALI CREDITI VERSO CLIENTI ALTRE ATTIVITA’ DISPONIBILITA’ LIQUIDE b) TOTALE ATTIVO CORRENTE a+ b) TOTALE IMPIEGHI

DEBITI VERSO BANCHE A BREVE DEBITI VERSO FORNITORI ALTRI DEBITI A BREVE b) TOTALE FONTI A BREVE TERMINE a+b) TOTALE FONTI

Il budget finanziario è volto a rappresentare la dinamica finanziaria dello studio, individuando le variazioni programmate nelle fonti e negli impieghi per

le diverse aree gestionali. Lo schema proposto per il prospetto finanziario è in termini di variazioni di liquidità.

Tabella 8- Budget finanziario (esempio) “Variazioni di liquidità impieghi” Risultato operativo + costi non monetari - ricavi non monetari Flusso finanziario gestione operativa corrente Variazione crediti verso clienti Variazione magazzino Variazione debiti verso fornitori

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“Variazioni di liquidità fonti”


CONTROLLO DI GESTIONE Variazione altre attività operative correnti Variazione altre passività operative correnti Flusso monetario gestione operativa corrente Flusso monetario investimenti / disinvestimenti Flusso monetario gestione finanziaria Flusso monetario patrimonio netto Flusso monetario gestione tributaria Variazione liquidità Quadratura Variazione disponibilità liquide Nota: la variazione di liquidità che risulta dallo schema deve corrispondere con la variazione delle disponibilità liquide (saldo iniziale – saldo finale).

Nel budget di tesoreria sono rappresentati i flussi monetari in entrata e in uscita previsti in corrispondenza dei diversi periodi. Il periodo infrannuale adottato deve essere adeguato alle dinamiche dello studio,

dovendo consentire di individuare in anticipo eventuali momenti di tensione di liquidità, per gestirli nel modo più efficace ed efficiente possibile. Solitamente non è opportuno adottare periodi superiori al mese.

Tabella 9- Budget di tesoreria (esempio) Periodo: 1/1/Anno ”n” - 15/01/ anno “n”

Periodo: 16/1/Anno ”n” - 31/01/ anno “n”

Saldo iniziale + Entrate del periodo Incassi da clienti … Totale entrate - Uscite del periodo Personale Oneri sociali Canoni di assistenza Leasing Utenze HW e SW Mobili e arredi …. Totale uscite Saldo finale del periodo

Lo svolgimento dell’attività: alcune considerazioni

necessariamente più ravvicinato. Se nel corso del periodo di riferimento si verificano variazioni tali da rendere non più realistici gli obiettivi di budget è opportuna una “revisione” dello stesso, intervenendo opportunamente sugli aspetti che si sono modificati al fine di rendere la programmazione maggiormente aderente al contesto di riferimento, senza naturalmente perdere la valenza di obiettivo. Infine, posto che il budget cattura la sola dimensione economica, patrimoniale e finanziaria, è opportuno che lo studio attivi un set di indicatori finalizzato ad esprimere e rappresentare aspetti rilevanti ma non suscettibili di essere espressi in termini monetari (per esempio, la soddisfazione della clientela).

Nel corso dell’anno lo studio dovrà monitorare, con consuntivazioni periodiche, il perseguimento degli obiettivi di budget, attivando eventuali azioni correttive. È opportuna una consuntivazione con frequenza almeno pari al periodo infrannuale individuato nel budget. Quindi, se lo studio individua il trimestre come periodo infrannuale, anche la consuntivazione dovrà essere realizzata almeno trimestralmente, ferma restando ovviamente l’opportunità di produrre consuntivi più frequenti, magari per le voci economicamente più significative (ricavi, costo del personale), oltre che per la gestione di tesoreria (entrate e uscite), il cui monitoraggio deve essere

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ORGANIZZAZIONE DI STUDIO Lo studio professionale e l’approccio per processi di Anna Lisa Copetto - consulente di direzione per gli studi professionali

Uno studio professionale senza un valido contesto organizzativo rischia di soccombere dinanzi alle richieste di un mercato profondamente mutato e radicalmente diverso da quello al quale era abituato a operare. Oggi non è più pensabile proporsi senza una gestione consapevole e strutturata delle proprie risorse e senza una razionale impostazione del lavoro. L’applicazione di un approccio per processi rappresenta da questo punto di vista un modo migliore, più rapido ed efficiente di dare risposte al cliente. L’articolo spiega come analizzare le attività svolte all’interno dello studio scomponendole in una successione di attività. Si possono così verificare le attività rischiose e quelle a basso valore aggiunto e riprogettare la produzione delle prestazioni professionali in modo più efficace ed efficiente. Premessa

Gli si chiede oggi di avere il coraggio di intervenire su se stesso, anche a costo di sconfessare alcune routine consolidate, rassicuranti (ma in fondo abbiamo sempre fatto così….) per certi versi ma spesso inadeguate sul piano dello sviluppo di un vantaggio competitivo.

Il professionista esercita la propria attività oggi all’interno di uno scenario economico, giuridico e sociale profondamente mutato: è cambiata la fisionomia del cliente (le sue necessità, le sue competenze, le sue modalità di relazione), il quadro giuridico-normativo e giurisprudenziale si è fatto via via più pressante, gli strumenti operativi e di comunicazione di cui poter disporre si sono evoluti enormemente, si è ampliato il numero e la tipologia di concorrenti. Nonostante una maggiore complessità, il mercato offre oggi nuove opportunità che, fatte le dovute eccezioni, lo studio professionale tende a non saper cogliere, soprattutto perché troppo spesso impegnato a far fronte alle consuete problematiche interne: l’eccesso d’individualismo, la pressoché totale assenza di pianificazione, l’eccessiva spinta alla specializzazione funzionale, la coesistenza di prassi di lavoro eterogenee, la contrapposizione intergenerazionale, processi decisionali improvvisati, un sistema delle responsabilità non formalizzato, un sottoutilizzo della tecnologia a disposizione solo per fare alcuni esempi.

Riorganizzare lo studio professionale: si può?

Riorganizzare lo studio professionale significa mettere in relazione in modo coerente e strutturato persone, saperi e mezzi secondo principi di efficacia e di efficienza in maniera tale da soddisfare nel modo più vantaggioso possibile le aspettative reciproche di tutti gli stakeholder dello studio: dal cliente al fornitore, dal partner di studio al dipendente, dalla pubblica amministrazione alla comunità del territorio nel quale si opera. Nell’organizzare le proprie risorse, normalmente lo studio punta alla valorizzazione dell’efficacia e dell’efficienza della singola funzione/area e allo sviluppo di competenze specifiche. In realtà, le criticità di maggior rilievo di uno studio professionale non risiedono tanto nell’operato di specifiche unità o specifici reparti o specifiche persone quanto piuttosto nelle relazioni mal governate fra di esse: nello scambio di informazioni imprecise o non tempestive, nella duplicazione di attività a causa di un’approssimativa distribuzione delle responsabilità e assegnazione delle mansioni, solo per citare alcuni esempi. Tutto questo può ingenerare un importante spreco di risorse, tempo e denaro distruggendo valore in rilavorazioni, attese e controlli, i cui costi sono difficilmente ribaltabili sul cliente.

Al professionista che non intenda subire i mutamenti dell’ambiente esterno e ritrovarsi ai margini dell’arena competitiva, s’impone oggi un’autoriflessione seria e profonda sulla necessità di introdurre elementi d’innovazione e di operare quel cambiamento organizzativo necessario ad allinearsi a ciò che il mercato delle professioni richiede prepotentemente: da un lato competenza, flessibilità e velocità di risposta per soddisfare il cliente, dall’altro uso razionale e proficuo delle risorse disponibili.

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ORGANIZZAZIONE DI STUDIO Guardare allo studio come mera sommatoria di una serie d’individualità che operano sotto lo stesso tetto non è più una strategia praticabile: è opportuno al contrario privilegiare oggi la valorizzazione del flusso delle attività e il potenziamento di tutte le sinergie possibili nell’impiego delle risorse lungo tutto il percorso di erogazione della prestazione professionale, che parte dall’identificazione del bisogno del cliente e si conclude con la sua soddisfazione.

Ma che cos’è un processo? Possiamo definirlo come la sequenza delle attività che, interagendo tra loro, consente la trasformazione di un input in un output, mediante l’utilizzo di apposite risorse (materiali, immateriali e umane), secondo modalità e principi (anche normativi) prestabiliti. Applicato al contesto degli studi professionali, il processo è quindi definibile come l’insieme delle decisioni, comportamenti e delle azioni poste in essere da professionisti e collaboratori, che trasforma una serie di dati e di informazioni in una prestazione professionale finalizzata alla soddisfazione di un bisogno del cliente. Il cliente può essere esterno, colui al quale il servizio è destinato, ma può riguardare il cosiddetto cliente interno, ovvero il collega al quale la “pratica semilavorata” è destinata.

(Cliente interno)

Cliente

Attività A

Attività F

Cliente

(Processo)

Individuazione del processo

La questione sta tutta qui: nella condivisione di un obiettivo comune. I processi possono essere classificati in: • principali: danno origine a un output che ha un diretto impatto sul cliente, sviluppano attività fatturabili; • secondari: pur non impattando direttamente sul cliente forniscono ai principali le risorse necessarie per essere realizzati e • direzionali: necessari a definire le politiche dello studio, a fissare gli obiettivi e ad assicurare la disponibilità delle necessarie risorse per raggiungerli.

Il processo va evidentemente pensato come a un complesso lavoro d’equipe: la bontà di una prestazione professionale dipende in larga parte dal modo in cui un gruppo di persone interagisce e collabora. Il successo dell’approccio per processi allora è determinato in buona misura dalla disponibilità e capacità dei singoli di fare squadra. Ciascun processo, infatti, raccoglie il contributo di ogni singola persona/funzione coinvolta e ogni persona/funzione interagisce con l’altra mediante lo scambio di informazioni, dati, documenti e sono finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo (comune) assegnato al processo.

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ORGANIZZAZIONE DI STUDIO Mappa dei processi (esempio) Secondari

Principali

Direzionali Amministrazione

Contabilità

Archiviazione

Pianificazione strategica

Contenzioso Segreteria Amministrazione del personale

Sistema informatico (…)

(…)

(…)

Introdurre l’approccio per processi

In quale modo è possibile introdurre all’interno dello studio professionale un approccio per processi?

Marketing

Le fasi dell’intervento sono sostanzialmente le seguenti:

Ricognizione (as is analysis)

Valutazione (gap analysis)

Monitoraggio

Applicazione

In una prima fase si andrà a eseguire una ricognizione dell’esistente: si tratta dunque di identificare ed elencare i processi che trovano realizzazione all’interno dello studio e quindi ad una loro mappatura ossia alla loro descrizione nei loro elementi caratterizzanti. È solo da una precisa e rigorosa mappatura

Riprogettazione (to do)

Formalizzazione/ Comunicazione

dei processi che potremo comprendere come sono effettivamente impiegate le risorse di cui si serve lo studio e quindi di individuare le eventuali criticità circa la coerenza del fluire delle attività poste in sequenza.

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ORGANIZZAZIONE DI STUDIO Check list “Mappatura dei processi” Nome del processo

Contabilità

Definizione obiettivi del processo

(…)

Elencazione e descrizione delle attività

(….) - responsabile area contabile

Identificazione di ruoli e responsabilità

- addetto alla contabilità - cliente - addetto agli invii telematici (….) (….) - reperimento della documentazione da parte della segreteria - …….

Identificazione degli stakeholders del processo Identificazione risorse impiegate Identificazione delle interazioni con altri processi Una volta identificati e mappati i processi dello studio, sarà opportuno procedere a una loro valutazione, andando a rilevare su quali componenti/attività del processo si esprimono le criticità più rilevanti ed in che cosa esse consistano. Le criticità andranno valutate in termini di scostamento rispetto ai desiderata del professionista, in termini di inefficienze, di impatto sui clienti e di potenzialità inespresse. Ogni criticità rappresenta, evidentemente, un’opportunità di miglioramento per lo studio. Le criticità possono riguardare, ad esempio, i flussi di comunicazione tra le diverse aree, i flussi operativi, le competenze delle risorse umane impiegate, l’adeguatezza degli strumenti utilizzati, ridondanze, buchi di responsabilità, colli di bottiglia e così via. Identificate le criticità e quindi le opportunità di miglioramento, è possibile dunque stabilire quali e quanti aggiustamenti apportare per ricondurre la situazione evidenziata a quella desiderata.

La riprogettazione dei processi deve comprendere la rimozione di tutte quelle attività non necessarie e che non aggiungono valore alla prestazione quali le attività di controllo su attività a basso rischio, la razionalizzazione delle attività necessarie, stabilendo adeguate sequenze logiche temporali e assicurando il fluire delle attività, l’inserimento di opportuni punti di controllo al fine di prevenire la possibilità di errori e di rifacimenti, e la collocazione delle persone ed una loro adeguata formazione. Ridisegnare un processo significa, in sostanza, stabilire nuove regole di funzionamento o semplicemente formalizzare quelle già esistenti e che non sono state comunicate e condivise in modo appropriato alla struttura. In questa fase andranno altresì identificati strumenti e metodi di rilevazione delle performance al fine di verificare la validità e l’utilità della riprogettazione dei processi.

Riprogettazione dei processi Processo contabilità

Obiettivo

Azioni

ottenere maggiore puntualità • attivare alert con dei clienti nella consegna delSMS la documentazione • fornire distinta di consegna • fornire sessioni di formazione

….

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Risorse

Responsabilità • responsabile informatico • addetto contabile • titolare dello studio


ORGANIZZAZIONE DI STUDIO In una fase successiva si dovrà procedere alla formalizzazione delle regole del gioco in appositi documenti denominati protocolli, procedure o istruzioni di lavoro, che dovranno stabilire, con un grado di dettaglio che di volta in volta andrà valutato, chi fa cosa come e quando e che andranno quindi a disciplinare attività ripetitive, standardizzate/standardizzabili o che si svolgono a scadenze prestabilite. Lo scopo è di uniformare e consolidare metodologie di lavoro dello studio, congedando una volta per tutte personali prassi di lavoro probabilmente di per sé efficaci ma non sempre in linea con gli obiettivi di studio e incongruenti con il modo di operare dei rispettivi colleghi. Documentare i processi consente inoltre di patrimonializzare il know how sviluppato all’interno dello studio (in termini di conoscenze acquisite, di esperienze maturate, di cicatrici accumulate dai singoli professionisti o dai singoli operatori, di organizzarlo e di metterlo a vantaggio di tutti. In questo senso, le procedure possono diventare un importante strumento di formazione/informazione. Nella fase di mappatura dei processi si possono inoltre valutare opportuni interventi di reingegnerizzazione degli stessi proprio per ridurre gli sprechi e razionalizzare le attività. Una volta pianificati per iscritto e attuati i processi di realizzazione delle prestazioni professionali, è indispensabile effettuare una serie di controlli volti all’accertamento della (esatta) esecuzione delle attività rispetto a quanto prestabilito. Approfondiremo l’argomento dei controlli in un prossimo contributo, ma si può già dire che l’onerosità e l’intensità dei controlli devono essere proporzionate alla criticità del processo o di una sua fase: i controlli il cui costo supera il beneficio che se ne può trarre andrebbero pertanto eliminati. Le attività

di monitoraggio devono essere tali da permetterci di identificarne per tempo i rischi e i potenziali problemi e intraprendere, quando necessarie, le correzioni necessarie a rimettere il progetto in linea con i propri obiettivi.

Conclusioni

Se lo studio professionale è la combinazione di risorse (umane, materiali e intellettuali) e la trasformazione, attraverso di esse, di un bisogno del cliente in una soluzione, allora gli aspetti sui quali è opportuno focalizzare l’attenzione sono i seguenti: 1. assegnazione razionale e puntuale di compiti e responsabilità; 2. identificazione di prassi di lavoro uniformi; 3. condivisione di un obiettivo comune e 4. patrimonializzazione del capitale intellettuale di studio, ovvero delle competenze (tecniche, giuridiche, relazionali) e delle expertise maturate dai singoli. Nessuna di queste dimensioni organizzative può autonomamente contribuire con efficacia al successo dello studio: è necessaria una loro adeguata combinazione. L’applicazione dell’approccio per processi può, da questo punto di vista, venire in aiuto, purché tarato sulle effettive peculiarità del singolo studio. In questo modo, al professionista/titolare di studio è data la possibilità di potersi permettere di assegnare parte del lavoro a quegli automatismi da lui stesso progettati e formalizzati in un apposito impianto documentale, per poter quindi concentrare le proprie energie e il proprio tempo ad attività di maggior valore strategico e alla realizzazione di quelle prestazioni o parti di esse che richiedono quella capacità, quell’intuizione e quella creatività che non sono e non possono essere standardizzate né delegate.

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TECNOLOGIE E INFORMATICA

L’importanza della rete nello studio moderno di Roberto Spaggiari - commercialista e revisore legale

Il patrimonio di ogni studio sono le informazioni, i documenti, i programmi che permettono di erogare i servizi e di comunicare con i propri clienti. Tutto il sapere dello studio, e dei professionisti, risiede su sistemi informativi, su personal computer, su tablet, su smartphone, sulla rete aziendale. Quest’ultima non sempre è stata progettata per raggiungere un obiettivo predeterminato, ma piuttosto è stata adattata al numero di utenti e del software acquistato. Capire gli elementi che compongono la rete aziendale è una esigenza essenziale dello studio, al fine di poter effettuare la scelta di come essa debba essere strutturata, della velocità e delle garanzie di sicurezza che deve fornire, dei sistemi di backup necessari, delle caratteristiche che devono avere i vari componenti hardware per prevenire la possibilità di blocchi e così di danni rilevanti ed impossibilità di lavorare. L’importanza della scelta

nostro lavoro). Dobbiamo essere consapevoli che ormai la scrivania virtuale (desktop informatico) è più importante della nostra scrivania fisica, che l’archiviazione elettronica sostitutiva, la fatturazione elettronica, l’integrazione della comunicazione sugli smartphone, il cloudcomputing sono già il nostro quotidiano, una realtà imprescindibile. Dobbiamo partire dal presupposto che, nel momento in cui si sente parlare di una nuova tecnologia, questa è già un treno in corsa, in poco tempo sarà attiva e usata da milioni di persone. È noto infatti che la velocità dell’era digitale rende obsoleto anche solo quello che è successo ieri: sta allora a noi capire prima di tutto come impatterà sul nostro lavoro e successivamente come applicarla alle nostre esigenze.

Cerchiamo di individuare e di conoscere le caratteristiche tecniche essenziali che ci consentano di fare delle scelte sulla nostra rete aziendale, consapevoli che quest’ultima ci permetterà di comunicare con il mondo esterno, di avere i dati trattati in sicurezza, e, se ci siamo attrezzati per tempo,di installare nuovi servizi. Queste scelte devono essere effettuate non solo da studi strutturati ma anche e soprattutto dai piccoli studi, ossia da quelli nei quali normalmente non ci sono persone dedicate alla gestione dei sistemi informativi e nei quali la tranquillità di avere un sistema stabile che tuteli i dati è una necessità imprescindibile. Già oggi, e sempre più nel futuro, sarà importante fare delle scelte sul nostro sistema informativo. La digitalizzazione delle informazioni è, infatti, un processo irreversibile: tutto transita e transiterà attraverso canali informatici, dalle riviste di aggiornamento tecniche, al nostro nuovo modo di comunicare attraverso le e-mail e i social (che non devono essere più considerati come strumenti dedicati ad attività ludiche, ma canali attraverso i quali transitano e vengono prese decisioni, nonché strumenti che permettono di mantenere contatti ed acquisire informazioni che completano e definisco il

Elementi essenziali di una rete

Analizziamo la struttura di una normale rete aziendale, individuandone gli elementi essenziali, e soprattutto cerchiamo di imparare alcuni termini che di permettano di fare delle scelte che rendano giustificato l’investimento della nostra rete. Caratteristiche essenziali da ricercare per avere una buona rete interna sono:

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TECNOLOGIE E INFORMATICA

Questo lo schema di una rete aziendale:

Il server

Riassumiamo di seguito gli elementi che possono motivare le scelte nella costruzione di una rete aziendale, suddividendoli per aree principali:

Di solito in una rete aziendale vi è un server (ovvero diversi server qualora siano gestiti parecchi servizi), che costituisce l’elemento principale della struttura. Il server non è un PC “normale”, in quanto se cerchiamo di avere affidabilità dobbiamo avere macchine costruite tarate per durare nel tempo, con accensione 24 ore al giorno. Ricordiamoci sempre che il server è la cassaforte delle nostre informazioni e che tutte le informazioni dello studio devono essere contenute al suo interno. I dati dello studio non devono infatti essere distribuiti o lasciati alla gestione del singolo utente perché così facendo si ha un’unica certezza, ossia che alcuni dati andranno persi. Uno degli elementi critici dei server è rappresenta-

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TECNOLOGIE E INFORMATICA to dalle rotture hardware. La tecnologia e il calo dei prezzi del materiale elettronico permettono però di avere macchine sempre più sicure,che puntano a duplicare le parti soggette a malfunzionamenti e consentono la fruizione dei servizi, sempre, anche in condizioni non ottimali. Un buon server, di conseguenza, dovrebbe avere doppie schede di rete (per evitare l’impossibilità di accedere ai dati), doppio alimentatore (per evitare la mancanza di alimentazione), utilizzare dischi ad alta affidabilità (per avere maggiore durata nel tempo), usare configurazioni di più dischi (per sopperire alla rottura di alcuni di essi). Per ovviare alla rottura dei dischi vengono di prassi installate combinazioni di dischi che permettano la rottura senza il fermo macchina di uno o anche due dischi contemporaneamente. È consigliato dunque avere una configurazioni raid 5 che permetta la rottura di un disco senza il fermo

della macchina. La configurazione ottimale è quella di affiancare anche un disco hot-spare che garantisca la piena efficienza della macchina anche con la rottura di due dischi: ciò consente, anche al verificarsi di guasti, di non interrompere l’attività lavorativa, e, al fornitore, di recuperare il disco rotto e sostituirlo per ripristinare la corretta efficienza. Il server, come la rete nel suo complesso, deve essere supportata da un gruppo di continuità, il quale deve essere tarato in base al livello di autonomia che ci si vuole assicurare in caso di assenza di corrente. Se non vogliamo garantire autonomia a tutto lo studio, è possibile dedicare un gruppo di continuità (possibilmente dotato di stabilizzatore di corrente, risentendo l’elettronica – come noto – molto degli sbalzi di tensione) solo al server. Riepiloghiamo le caratteristiche principali di un server.

Un server deve essere dotato di un sistema operativo “server” costruito per avere la maggiore stabilità possibile. Uno dei problemi sulla scelta del sistema operativo deriva normalmente dal fornitore. Quest’ultimo infatti, a seconda delle sue capacità e delle scelte tecniche effettuate sui suoi prodotti, propone un sistema o l’altro senza aver prima valutato attentamente l’insieme dei servizi che saranno

richiesti dagli studi. Per uno studio probabilmente tutti i due sistemi possono essere equivalenti in termini di stabilità. Linux ha quali punti di forza le per migliori prestazioni ottenute con un utilizzo più moderato di hardware e un costo decisamente contenuto che può arrivare anche a zero per l’acquisto del solo sistema operativo; Microsoft viene scelto da chi vuole avere:

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TECNOLOGIE E INFORMATICA • un sistema che rende i dati facilmente condivisibili con il mondo esterno; • una ampia scelta di fornitori che gli possano fornire qualsiasi tipo di servizi; • una piattaforma integrata e leader di mercato per quanto riguarda office automation e • una maggiore assistenza dal fabbricante. Per mantenere la stabilità dei server occorre non considerare questi ultimi come un ulteriore posto di lavoro. La loro funzione è infatti quella di permettere a tutti di lavorare, di trovare velocemente le informazioni e di usufruire dei servizi.

l’attività dei sistemisti è dedicata allo scaricamento e alla installazione dei programmi di aggiornamento). La virtualizzazione permette inoltre di gestire al meglio le prestazioni della macchina e di trasferire, a seconda della necessità, maggiori prestazioni o maggior disco su un servizio piuttosto che su un altro.

L’unità di backup

Collegato al server è ormai imprescindibile una unità di backup. Il salvataggio dei dati è una delle problematiche principali da affrontare: anche se si è fatto tutto il possibile per prevenire le interruzioni di servizio e le rotture hardware non ci si può permettere di perdere nessun dato/informazione. Occorre garantire la tutela del patrimonio, del sapere. Gli strumenti per effettuare i backup sono sempre stati (in parte lo sono tuttora) i nastri e le cassette. Tali supporti cominciano tuttavia a evidenziare limiti, in quando l’espansione inarrestabile della quantità di dati che si devono salvare comporta tempi sempre maggiori di salvataggio e un sempre maggior numero di supporti. Il recupero di un dato salvato su nastro non è poi semplice, non è immediatamente fruibile e per ripristinarlo è necessario di solito un programma e una procedura che spesso non è lasciata alla gestione del singolo utente.

Usare i server come PC utente e soprattutto installare sui server troppi programmi creerà solamente nel tempo instabilità e rallentamento di prestazioni. Il server deve essere dunque una macchina stabile, con prestazioni adeguate per i servizi che vogliamo gestire. Per evitare l’arresto di un server blocchi completamente tutte le attività di uno studio, o anche solo per distribuire meglio i carichi di lavoro e per migliorare le prestazioni, spesso sono installati più server, dedicati a specifici servizi. È allora normale avere, a esempio, un server per la gestione della posta elettronica, un server per la condivisione dei dati e un server per gestire le copie di sicurezza. Con la configurazione suddetta il disservizio sarà limitato al solo server non funzionante. Per evitare la gestione di più macchine server, grazie all’aumento delle capacità elaborative dei server, è attualmente possibile realizzarne la virtualizzazione. Praticamente, attraverso un software specifico, un unico server viene suddiviso in più macchine, ferma la condivisione dello stesso hardware. Se vogliamo utilizzare questa soluzione è assolutamente essenziale che la macchina abbia tutti i requisiti di sicurezza hardware visti precedenza. Tale soluzione è molto interessante soprattutto in strutture complesse e con molti utenti: essa consente di virtualizzare ogni servizio strategico (posta elettronica, contabilità, archiviazione documentale, backup, ecc.). Se un servizio smette di funzionare tutti gli altri mantengono la propria efficienza, permettendo di limitare il disservizio a una attività e a una parte del personale. I tempi di ripristino sono decisamente ridotti in quanto la creazione di un nuovo server è molto semplice essendo possibile clonare i server esistenti e bypassare tutte le configurazioni iniziali e le attese per l’aggiornamento e l’allineamento dei sistemi operativi moderni (spesso

Attualmente lo strumento più utilizzato per effettuare i salvataggi è costituito dalle unità NAS. Si tratta, in estrema sintesi, di piccoli server che permettono di avere ampi spazio di archiviazione (spesso espandibili) e che possono diventare anche dischi secondari. Se i salvataggi sono inoltre effettuati in chiaro e senza tecniche di compressione, le unità NAS permettono anche agli utenti non esperti di effettuare il ripristino dei dati persi o cancellati erroneamente. Grazie alla diffusione della banda larga (o con ADSL evolute) sono inoltre attivabili servizi di backup online in server dislocati al di fuori dello studio professionale. Questo permette di evitare che eventi particolarmente impattanti non permettano di fruire dei dati e della possibilità di lavorare. Sebbene siano considerate a volte soluzioni potenzialmente “non sicure” (ma questo è sempre e soltanto un problema tecnico), si tratta in realtà di un buon sistema per poter continuare le attività dello studio anche nel caso in cui lo stesso non sia per esempio agibile. I nostri studi sono sempre più aperti alle connessioni interne e alle connessioni esterne e queste situazioni

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TECNOLOGIE E INFORMATICA andranno sempre più ampliandosi visto l’uso diffuso di strumenti di consultazione e gestione delle informazioni. Sempre maggiore è l’esigenza del professionista di poter accedere ai dati dello studio dall’esterno.

ro. Più periferiche aziendali collegate alla rete che colloquiano con l’esterno (richiedendo banda)comportano la necessità di valutare l’ampiezza della connessione a internet e all’utilizzo di reti veloci (ADSL o fibra). La richiesta di banda è sempre in aumento e aumenterà costantemente nei prossimi anni. Ogni studio per lavorare ha necessità di avere linee di collegamento professionali e che garantiscano un minimo di banda necessaria per avere prestazioni accettabili. Non è infatti possibile avere una rete efficiente, che però non riesca a scaricare la posta o a far funzionare i telefoni a causa di una ADSL inefficiente. Il collegamento internet non è ormai solo relegato all’invio dei dichiarativi o alla consultazione di qualche informazione: le banche bati, i giornali, le email, le comunicazioni con i clienti avvengono attraverso la rete e ci impongono di valutare attentamente la velocità di trasferimento delle informazioni per avere la dovuta efficienza e per poter lavorare. Alcuni studi dispongono addirittura di collegamenti web aggiuntivi da usare come backup quando quello principale non funziona. I client utilizzati dai singoli utenti della rete sono normalmente dei PC o dei notebook che vengono connessi alla rete cablata o wireless. Uno dei problemi che si riscontrano negli studi è che i PC spesso devono essere rigenerati a causa delle numerosi installazioni di programmi (soprattutto di office automation), dell’aggiornamento degli stessi, dell’uso inesperto di alcuni utenti. La virtualizzazione può essere utilizzata anche per il collegamento degli utenti, utilizzando le stesse modalità che viste prima in tema di server. Virtualizzare i client comporta un aumento dei costi ma consente notevoli benefici. Infatti: • i dati possono essere completamente salvati ,in quanto effettuando le copie fisiche di tutti i client si possono anche salvare i dati contenuti all’interno dei singoli PC e • la predisposizione di una macchina per un nuovo utente (o la rigenerazione di un PC) sono decisamente veloci potendosene clonarne uno esistente.

È di conseguenza utile dotarsi di un “firewall”, ossia di uno strumento hardware o software che permetta il controllo degli accessi alla rete aziendale. Tanta è l’importanza di questo strumento che spesso anche i sistemi operativi ne sono integrati. Controllare gli accessi, soprattutto quelli esterni, dovrebbe essere un imperativo per tutti i professioni che trattano dati spesso sensibili e che comunque sono sempre considerati sensibili dai clienti. Come tutti i prodotti relativi alla sicurezza, e in particolar modo quando si utilizza un firewall software, è essenziale che tale programma sia costantemente aggiornato e mantenuto in piena efficienza. La presenza di un firewall debitamente aggiornato è prevista obbligatoriamente per legge (allegato B al D.Lgs. n.196/03 anche a tutela della privacy quando lo studio tratta dati sensibili in formato elettronico.

L’importanza della rete di connessione

La connessione alla rete aziendale interna, oltre ad avvenire attraverso la rete cablata, sempre di più è effettuata attraverso accessi wi-fi. Si tratta di reti create normalmente per l’utilizzo in sale riunioni, per dare un servizio ai clienti che vengono in studio, per connettere alla rete i dispositivi portatili. Possiamo ipotizzare che, grazie all’aumento della velocità di connessione wi-fi, sia anche ipotizzabile, nel prossimo futuro, avere reti aziendali che funzionano solo attraverso questo tipo di connessioni (a oggi ciò avviene solo in relazione a ristretti gruppi di lavoro). Occorre prestare la massima attenzione affinché la connessione wi-fi sia criptata in modo sicuro: a tal fine le password di accesso devono essere lunghe,complesse e regolarmente cambiate. Qualora non si adottino simili accorgimenti è, infatti, molto probabile che qualcuno utilizzerà la rete. La rete aziendale deve sostenere un numero sempre più elevati di accessi da periferiche diverse (dal collegamento della telefonia, agli scanner, ai fax). Ciò porta a fare scelte di velocità sul trasferimento dei dati sulla rete e alla scelta, a seconda del numero dei collegamenti, di router aziendali veloci ed evoluti che permettano la suddivisione dei carichi di lavo-

Se si virtualizzano i client si può scegliere inoltre di non avere un personal computer per ogni utente ma dei terminali (thin-client) che permettano semplicemente il collegamento al server. Una simile soluzione consente anche un maggior controllo degli accessi e delle porte USB a cui pos-

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TECNOLOGIE E INFORMATICA sono essere collegate periferiche esterne e da cui avviene spesso il furto dei dati e di evitare la sostituzione periodica ogni n anni di tutti i PC dello studio. La virtualizzazione dei client permette inoltre di non essere legati al proprio PC: essendo infatti il PC residente sul server, si potrà ottenere la visualizzazione del proprio desktop, con le proprie configurazioni, da qualsiasi strumento di connessione. Con la virtualizzazione, infine, i carichi di lavoro possono essere ottimizzati da una consolle e risulta più semplice e veloce attribuire per esempio più disco

ad un utente.

Le reti saranno sempre più in un futuro connesse a servizi di cloud computing, i server saranno parzialmente o totalmente esterni e non più fisicamente residenti nei nostri studi. Si pone, e si porrà ulteriormente in futuro, un dibattito in merito soprattutto

alla tutela dei dati ed alla certezza dei collegamenti. Questi servizi meritano probabilmente una trattazione ad hoc, in prossimi articoli, anche se i processi di integrazione sono spesso già presenti nei nostri studi.

La sicurezza

Oltre alle dotazioni hardware necessarie per il buon funzionamento e la sicurezza della rete aziendale, non dobbiamo dimenticarci di tutti quei programmi che sono necessari per la tutela e la sicurezza dei dati. Gli elementi minimi di sicurezza sono noti, poiché richiesti dalla normativa e inseriti negli scorsi anni anche nel documento programmatico della sicurezza.

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ADEMPIMENTI DI STUDIO

Gli adempimenti in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro di Andrea Crevatin - ingegnere

Viene proposta una panoramica sui principali obblighi normativi in materia di Sicurezza e salute sul lavoro propri degli studi professionali e dei CED. In particolare si ricordano anzitutto i due obblighi non delegabili del datore di lavoro (valutazione dei Rischi e nomina del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione), per poi illustrare i successivi passi necessari ad una corretta applicazione delle norme antinfortunistiche (gestione delle emergenze, sorveglianza sanitaria, formazione dei lavoratori e degli addetti alle emergenze). In questo primo articolo dedicato alle tematiche della salute e sicurezza negli studi professionali analizzeremo i principali adempimenti necessari al rispetto della normativa vigente in materia. In modo particolare, a ormai più di cinque anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. n.81/08, che ha superato la storica 626/94, ci soffermeremo inizialmente sulla principale novità introdotta con il D.I. 30/11/2012, che dà piena attuazione all’art.29 co.5 del D.Lgs. n.81/08. Infatti, dal I giugno 2013 non è più possibile, per gli studi professionali e i CED che occupano fino a 10 lavoratori, autocertificare l’avvenuta valutazione dei rischi, ma diventa obbligatorio valutare tutti i rischi per mezzo delle cosiddette procedure standardizzate pubblicate nel suddetto decreto Interministeriale. Questo significa che tutte le piccole imprese (ovvero con non più di 10 lavoratori) che hanno fatto ricorso in passato all’autocertificazione, devono implementare la documentazione in materia di Salute e Sicurezza con la nuova valutazione dei rischi. È però importante sottolineare che tutte le aziende che, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n.81/08, abbiano redatto un documento di valutazione dei rischi (DVR), sono da considerarsi in regola da un punto di vista normativo. Infatti il Legislatore non ha introdotto alcun nuovo adempimento: è stata semplicemente superata una deroga, quella dell’autocertificazione, introdotta all’epoca della 626; deroga che, peraltro, rischia di costare all’Italia l’apertura di una procedura di infrazione a livello di Comunità Europea. Ancora è doveroso sottolineare che il DVR non ha scadenza, ovvero non deve essere riscritto periodicamente, ma deve essere rielaborato nelle parti interessate quando sussistano le seguenti condizioni:

• modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori; • in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione; • a seguito di infortuni significativi; • quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità. Riteniamo fondamentale ricordare che la valutazione dei rischi è il primo dei due obblighi non delegabili del Datore di Lavoro (DdL), che quindi vi deve provvedere “con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione”.

Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP)

Essendo partiti dal primo dei due obblighi non delegabili del datore di lavoro, andiamo ora ad analizzare il secondo, la designazione del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP). Tale figura è comunemente conosciuta come “Responsabile della sicurezza”, termine improprio in virtù del suo ruolo, ma sicuramente più efficace da un punto di vista comunicativo. In effetti l’RSPP non esonera in alcun modo il DdL da quelle che sono le sue responsabilità in materia di sicurezza e salute dei lavoratori (art.2087 c.c. – Tutela delle condizioni di lavoro), ma è piuttosto un tecnico che supporta il DdL nell’adempimento dei suoi obblighi in materia di sicurezza sul lavoro (“l’imprenditore è tenuto ad adottare […] le misure […] necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”).

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ADEMPIMENTI DI STUDIO Fatta questa premessa, è il caso di andare a vedere chi svolge il ruolo di RSPP in azienda, con particolare riferimento agli studi professionali. In questi casi il legislatore prevede sostanzialmente tre possibilità per il DdL: ai sensi dell’art.34 del D.Lgs. n.81/08 il DdL può svolgere direttamente i compiti del SPP, previo svolgimento di uno specifico corso di formazione. Tale soluzione è pensata per piccole e medie aziende (il Legislatore pone un limite di 200 lavoratori, poi il ruolo deve essere svolto da un dipendente) e risulta efficace, ad opinione di chi scrive, nelle piccole realtà in cui il DdL sia una figura sostanzialmente sempre presente in azienda e che lavori a stretto contatto con i suoi collaboratori. Sempre nel caso di aziende fino 200 lavoratori (facendo riferimento a realtà lavorative tipo studi professionali) il DdL può scegliere di affidarsi ad un RSPP esterno all’azienda, che sia in possesso dei requisiti di cui all’art.32 del D.Lgs. n.81/08. Sempre a parere di chi scrive, tale alternativa, ovvero il professionista esterno che si occupa di consulenza in materia di sicurezza sul lavoro, può essere migliorativa rispetto alla prima nelle medie imprese, realtà in cui le capacità tecniche ed organizzative del RSPP “professionista” possono rivelarsi vincenti per l’azienda. Infine il ruolo di RSPP può essere svolto da un dipendente dell’azienda, soluzione, come accennato, obbligatoria per le grandi imprese. In questo caso il lavoratore designato viene avviato agli specifici corsi di formazione in modo da entrare in possesso dei requisiti di cui all’art.32 del D.Lgs. n.81/08. Tale soluzione, pur essendo teoricamente la più efficace nell’ottica della gestione della sicurezza nei luoghi di lavoro, può presentare alcune difficoltà per le realtà medie e piccole in relazione agli obblighi formativi del RSPP: infatti la formazione di un RSPP per un dipendente di uno studio professionale, si articola in tre corsi per una durata complessiva di 64 ore, con obbligo di 40 ore di aggiornamento ogni 5 anni.

esposizione a rumore, videoterminalisti, esposizione a vibrazioni, ecc.), ovvero nei casi in cui sia necessaria una idoneità sanitaria del lavoratore allo svolgimento della mansione (es. lavori in quota o in spazi confinati). Va da sé che l’esigenza della sorveglianza sanitaria non può che derivare dalla valutazione dei rischi, in cui sarà indicato il livello di esposizione del lavoratore al rischio specifico. Per capire meglio portiamo l’esempio più congruente con la realtà degli studi professionali, il videoterminalista: in questo caso la normativa vigente classifica il videoterminalista, quindi soggetto a sorveglianza sanitaria, come il lavoratore che utilizza un’attrezzatura munita di videoterminali, in modo sistematico o abituale, per venti ore settimanali, dedotte le interruzioni […]. Pertanto risulta che la nomina del MC è necessaria per quei lavoratori che sono classificati come videoterminalisti all’atto della valutazione dei rischi.

La gestione delle emergenze

Proseguendo nella disamina dei principali obblighi di legge in materia di tutela della integrità fisica dei lavoratori, vediamo quali sono gli adempimenti da attuare per una corretta gestione delle emergenze. Andando ad esaminare il TITOLO I – CAPO III – SEZIONE VI del D.Lgs. n.81/08, e riassumendo da un punto di vista pratico il riferimento di legge, emerge la necessità per il DdL di designare un numero sufficiente di addetti alla gestione delle emergenze. Ciò significa avviare a specifici corsi di formazione per addetti antincendio e per addetti al primo soccorso i lavoratori individuati. Per quanto riguarda il numero degli addetti, il Legislatore conferisce al DdL ed alla sua valutazione dei rischi la determinazione del numero sufficiente. Una possibile interpretazione per realtà lavorative generalmente a rischio incendio basso e ove non vi siano particolari problematiche legate all’evacuazione dei locali (es. presenza di un grande numero di persone - tipo centro commerciale - o presenza non occasionale di disabili – es. ospedali), è quella di garantire sempre la presenza, negli orari di apertura dell’attività, di almeno un addetto antincendio ed uno al primo soccorso.

Il medico competente

Il passo successivo per una corretta gestione della sicurezza nei luoghi di lavoro è la nomina del medico competente (MC). Anche su questo punto è bene investire alcune parole per capire al meglio quando è necessaria la sorveglianza sanitaria dei lavoratori. La sorveglianza sanitaria va effettuata in tutti quei casi, previsti dalla normativa vigente, in cui il lavoratore è esposto a rischi specifici che possano determinare l’insorgere di malattie professionali (es.

In aggiunta a ciò l’azienda si doterà di adeguate attrezzature di lotta antincendio (estintori) e della cassetta di primo soccorso. Fatto ciò è fondamentale pianificare la gestione delle

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ADEMPIMENTI DI STUDIO emergenze in azienda, ovvero dare un ruolo a ciascun lavoratore per garantire il corretto svolgimento delle operazioni atte a prevenire un’emergenza e a gestirla opportunamente qualora l’evento si verifichi. In pratica si tratta di mettere a punto delle procedure di intervento, che saranno relative a: a) incendio; b) evacuazione; c) chiamata dei soccorsi; d) emergenza sanitaria (infortunio o malore); e) terremoto; f) presenza di folle/rapinatore; g) …………………………………………….

• l’integrazione formativa e l’addestramento, previsti rispettivamente nel co.4 lett.b), c) e nel co.5 dell’art.37 del D.Lgs. n.81/08, non possono venir conteggiate quale aggiornamento formativo quinquennale; • la formazione pregressa svolta a cura dei datori di lavoro viene riconosciuta, fatti salvi gli obblighi di aggiornamento di cui sopra e • la formazione generale, costituisce credito formativo permanente e non deve quindi essere svolta nuovamente in caso di passaggio del lavoratore ad altra azienda. Nel caso di passaggio del lavoratore ad azienda dello stesso comparto, rimane valida anche la formazione specifica. Tale formazione deve invece essere ripetuta o integrata nel caso di passaggio ad azienda di altro comparto.

Da un punto di vista documentale il DdL produce quello che si chiama Piano di Gestione delle Emergenze, ove le procedure di intervento sono esplicitate.

In sede di prima applicazione, il datore di lavoro deve avviare i lavoratori ai corsi di formazione in modo che il percorso formativo completo (formazione generale + specifica) venga completato entro e non oltre il termine di 18 mesi dalla data di pubblicazione dell’accordo (11/01/12).

Collegandoci all’aspetto formazione, vediamo una rapida panoramica sugli obblighi formativi dei lavoratori. Con l’entrata in vigore dell’Accordo Stato-Regioni datato 21/12/11, è stata data piena applicazione agli artt. 36 e 37 del D.Lgs. n.81/08, andando a standardizzare le modalità con cui garantire ai lavoratori una formazione efficace in merito ai rischi presenti nello svolgimento delle attività lavorative. L’Accordo Stato Regioni introduce anzitutto la possibilità di effettuare la formazione con corsi d’aula, pur con rispetto delle peculiarità della formazione per attività lavorative diverse. La formazione comunque dovrà articolarsi nel seguente modo: • formazione generale (ai sensi dell’art.37 co.1 lett.a)): durata minima 4 ore, comune a tutti i lavoratori, indipendentemente dall’attività lavorativa svolta e dalla classe di rischio in cui è inquadrata l’azienda ai sensi dell’accordo stesso; • formazione specifica (ai sensi dell’art.37 co.1 lett.b)), durata minima 4 ore per lavoratori di aziende inquadrate nella classe di rischio basso (situazione propria degli studi professionali) e • aggiornamento della formazione: 6 ore per tutti i lavoratori da svolgersi nell’arco di 5 anni a far data dalla conclusione della formazione specifica. Di seguito alcune note rilevanti riguardanti la formazione dei lavoratori:

Il personale di nuova assunzione deve essere avviato ai corsi di formazione anteriormente o, se ciò non è possibile, contestualmente all’assunzione. In tale ultima ipotesi, ove non risulti possibile completare il corso di formazione prima dell’adibizione del lavoratore alle proprie attività, il relativo percorso formativo deve essere completato entro 60 gg dall’assunzione. Un ultimo punto che merita citare in questa panoramica è la formazione particolare aggiuntiva del preposto: il preposto, così come definito dall’art.2 co.1 lett.e) del D.Lgs. n.81/08, oltre alla formazione in quanto lavoratore, da svolgere interamente secondo quanto descritto nel paragrafo precedente, deve essere avviato ad una formazione particolare aggiuntiva, della durata minima di 8 ore e con aggiornamenti quinquennali di 6 ore. La formazione pregressa del preposto resta valida, fatto salvo l’obbligo dell’aggiornamento. La formazione del preposto è la stessa per i lavoratori di qualunque azienda e rimane valida anche in caso di passaggio ad altra azienda.

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ADEMPIMENTI DI STUDIO VALUTAZIONE COSTO SICUREZZA PER L’ASSUNZIONE DI UN PRATICANTE IN UNO STUDIO PROFESSIONALE MONOTITOLARE CON IMPRESA DI PULIZIE Attività Stima del costo valutazione del rischio con intervento di un esperto, 400 euro una tantum + 4 ore di sopralluogo reperimento della documentazione relativa all’immobile del titolare dello studio dello studio formazione per RSPP in proprio

corso 16 ore = 200 euro + ore dedicate

formazione addetto antincendio

corso 4 ore = 65 euro + ore dedicate

formazione addetto primo soccorso corso 12 ore = 180 euro + ore dedicate formazione rappresentante dei lavoratori per la sicurezza corso 32 ore = 340 euro + ore dedicate (se eletto) corso formazione generale lavoratori dipendenti

corso 4 ore = 50 euro + ore dedicate

corso formazione specifica lavoratori dipendenti

corso 4 ore= 50 euro + ore dedicate

visita medica videoterminali (quinquennale o biennale) 60 euro a persona nomina medico competente e sopralluogo annuale presso 400 euro il luogo di lavoro cassetta pronto soccorso a norma 50 euro (pacchetto di medicazione) 2 estintori

100 euro una tantum + verifiche semestrali

segnaletica vie di esodo, estintori, pronto soccorso

100 euro

verifiche messa a terra impianto elettrico

150 euro ogni 5 anni

DUVRI con impresa di pulizie

100 euro una tantum

IL BILANCIO DI ESERCIZIO 2014 Autori

Piero Pisoni, Donatella Busso, Fabrizio Bava e Alain Devalle

Edizione

2013

Prezzo

€ 50,00

Il manuale si propone di illustrare i principi generali, la struttura e le valutazioni del bilancio d’esercizio redatto secondo le norme civilistiche. La prima parte esamina i diversi documenti che compongono il bilancio e si sofferma sulle relazioni degli organi di controllo. La seconda parte si focalizza sul modello di relazioni tra le valutazioni civilistiche e fiscali, che oscilla tra il «principio base della dipendenza» e le eccezioni appartenenti nella sostanza all’opposto modello del «doppio binario». Tale modello ha subito negli ultimi anni una significativa evoluzione che determina l’accentuazione del principio di derivazione della base imponibile dalle risultanze del bilancio d’esercizio. Alla luce dell’indicato quadro generale vengono esaminate le principali valutazioni di bilancio, evidenziando soprattutto gli aspetti innovativi ricollegabili all’evoluzione normativa.

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RECENSIONE

Psicologia dell’imprenditore - Anatomia di una vocazione di Michele D’Agnolo - dottore commercialista

L’imprenditore rappresenta per le professioni giuridico-economiche l’archetipo del cliente che tutti vorremmo avere, il cliente per antonomasia. Avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro basano molta parte delle loro fortune sulla loro capacità di costruire, sviluppare e mantenere nel tempo un rapporto empatico con gli imprenditori. Un buon professionista è capace di diventare un vero e proprio braccio destro per l’imprenditore, un confessore, un “trusted advisor” al quale rivolgersi anche al di là ed oltre i problemi professionali per trascendere in quelli umani. Alle volte dunque i clienti diventano anche amici e questo richiede ulteriori capacità comunicative e relazionali per affrontare la sfida di un rapporto su più piani contemporanei. Chi dunque più dei professionisti può avere interesse ad approfondire una materia quale la psicologia dell’imprenditore, disciplina del tutto nuova e di fatto appresa solo grazie all’esperienza, con un meccanismo di errori e aggiustamenti maturati con fatica nei primi anni di carriera. Trovare quindi ragione e sistemazione delle esperienze fatte e meglio comprendere il nostro interlocutore privilegiato può essere un esercizio prezioso. Il professionista consumato può trovare conferme e ragioni di mille vissuti. Il giovane che si approccia alle professioni può cogliere anticipatamente le regole del gioco e risparmiarsi tante fatiche e delusioni. La fortuna è che oggi possiamo entrare in argomento senza imbatterci nel classico volume di stampo accademico riuscendo invece a trovare una prosa che non rinuncia all’approfondimento e al rigore scientifico ma rimane ricca di riferimenti e di esempi pratici. Estroversi, coscienziosi, stabili emotivamente e aperti all’esperienza: ecco i tratti di un buon imprenditore. La differenza tra imprenditori e non imprenditori

non è infatti determinata solo da fattori economici o sociali: a determinare la buona riuscita di un businessman è soprattutto il suo modo di essere, in altri termini una questione psicologica. Lo spiega in un libro edito da Armando Editore (192 pp.), l’autrice Clara Amato1, docente e ricercatrice in Psicologia del lavoro e delle Risorse umane. Perché alcuni individui e non altri decidono di diventare imprenditori? Come riescono alcune persone a trasformare le opportunità in business? Cosa li aiuta a prevedere il successo di un’azienda? A queste e tantissime altre domande, l’autrice dà una risposta in chiave psicologica, investigando intorno all’imprenditore e analizzando il suo stile di pensiero, le dimensioni valoriali, la sua personalità e la valutazione che ha di sé. Il quadro che l’autrice ci presenta è quello di un imprenditore molto più emotivo di quello descritto nei libri di economia aziendale. Un essere umano in cui la componente razionale non sempre riesce a prevalere. Tutti noi ci siamo scontrati talvolta con l’imprenditore testardo che difende la sua idea anche davanti a evidenze schiaccianti. Dalla comprensione di questi meccanismi possiamo elaborare caratteristiche e modelli di comunicazione più efficaci. Il libro si divide in cinque capitoli: il primo offre uno scorcio sul fenomeno dell’imprenditoria, per capire come sia stato affrontato nei secoli da sociologi ed economisti, sino ai nostri giorni; il secondo capitolo si sofferma invece sul tema “cognizione e imprenditoria”; il terzo analizza l’importanza dei valori in relazione all’ambito lavorativo e alle scelte professionali, soprattutto quelle imprenditoriali; il quarto delinea Clara Amato è Dottore di ricerca in Psicologia del lavoro e delle Risorse umane. È docente di Psicologia delle organizzazioni presso l’Università Europea di Roma. Autrice di numerosi articoli scientifici. Collabora con il Dipartimento di Psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione della “Sapienza” Università di Roma. 1

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RECENSIONE un profilo imprenditoriale ricco e variegato, pescando a piene mani nella letteratura scientifica che si è occupata dell’imprenditore. Infine, il quinto capitolo è interamente dedicato alla ricerca. Dai tre studi, di cui vengono offerti metodo, analisi e risultati, emergono tre tipi di imprenditori: “auto-deterministico”, “paternalistico” e “altruista”. In ogni caso, ne viene fuori un ritratto dell’imprenditore con uno spiccato senso dell’autonomia, desideroso di autodeterminarsi, perfezionista, disciplinato, creativo e anticonformista. Dopo aver letto il libro, risulta chiaro che la buona riuscita di un’impresa - nonostante le lungaggini amministrative, la pressione fiscale, i ritardi dei pagamenti delle amministrazioni pubbliche – almeno in Italia è ancora affidata alla figura dell’imprenditore.

Interessanti soprattutto le descrizioni delle euristiche cioè le scorciatoie decisionali che l’imprenditore opera in un contesto di razionalità e informazioni limitate per prendere le proprie decisioni. Notevoli anche le descrizioni dei bias, cioè dei meccanismi psicologici che agiscono nella mente dell’imprenditore delimitandone i percorsi decisionali. Possiamo quindi affermare che il volume di Clara Amato rappresenta un primo passo nella comprensione degli attori del rapporto consulenziale. Confidiamo in futuri approfondimenti innanzitutto nella direzione delle dinamiche familiari tanto importanti per il nostro tessuto imprenditoriale, ma anche nell’investigazione della figura del manager e – perché no – speriamo un giorno anche del consulente e del suo rapporto con la clientela.

BILANCIO, VIGILANZA E CONTROLLI Guida pratica alla redazione del bilancio e alla gestione di adempimenti e verifiche di sindaci e revisori È la rivista mensile con due sezioni: contabilità e bilancio, che accompagna i professionisti nella redazione del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato; vigilanza, revisione e società, che li guida nelle attività di sindaco e revisore e nella gestione dei rapporti societari. INVIO: e-mail PDF e cartaceo (opzionale)

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