Runa Bianca n°0

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ARCHEOLOGIA STORIA SCIENZA E MISTERO

ANNO I GIUGNO 2011

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CROP CIRCLE Scoperto vicino Grosseto Intervista in esclusiva!

CONTATTISMO: anja zablocki DR. FRANKENSTEIN: I SUOI EMULI LEONARDO: UN CAVALLO PER IL DUCA

in questo numero:

16 articoli 18 news 4 libri 5 video 5 siti web


INDICE

Giugno 2011 | 0 5 6 18 20 24 26

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In questo numero

Editoriale News Video Libreria Siti web Mostre e eventi L’INTERVISTA Arcani simbolismi nei campi di Braccagni? Luci nel cielo e geometrie sacre nel grossetano Intervista a Vincenzo Di Gregorio a cura di Enrico Baccarini

CURIOSITA’

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Il mistero della spedizione Doria-Vivaldi

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Il significato alchemico del Baphomet

Punteggiature storiche di Elena Serughetti

Perle di Saggezza di Lilly Antinea Astore

ARCHEOSTORIA

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Il cavallo di Leonardo da Vinci

Nascita, vita e rinascita di un monumento di Alberto Arecchi

SCIENZA Lo spauracchio dell’ Escherichia coli

Come è mai possibile che si sia trasformato in un batterio Killer? di Ennio Piccaluga

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Breve e indimenticabile conoscenza di alcuni emuli realmente esistiti di Roberto Volterri

INDICE

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SCIENZA “Dr. Victor von Frankenstein, I suppose?”

MISTERO

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I misteri dei sacri boschi di Bomarzo

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“Omero nel Baltico”

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Costantino Cattoi

Alla scoperta nel cuore della Tuscia di Marisa Uberti

Le origini nordiche dell’Odissea e dell’Iliade di Felice Vinci

Tra UFO e antiche civiltà di Enrico Baccarini

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I misteri di Saliceto

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Origine della geometria sacra

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Contattismo

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Il Libro di Oera Linda

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La Luna

Tesori nascosti, gallerie misteriose, camere segrete, simboli esoterici... di Luigi Bavagnoli e Margherita Guccione

di Marisa Grande

Sono un essere divino rinchiuso in un involucro di carne di Anja Zablocki

La storia dimenticata di un Continente scomparso di Antonio Soldani

Signora splendente della notte di Luana Monte

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INDICE

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MISTERO Gli Etruschi e le Rune: mistero o enigma? Etruschi, ma anche Reti di Mario Moiraghi

Sfingi e piramidi in Sardinia di Leonardo Melis

Comitato redazionale: Vincenzo Di Gregorio Enrico Baccarini Andrea Critelli

Hanno collaborato in questo numero: Alberto Arecchi Anja Zablocki Antonio Soldani Ennio Piccaluga Elena Serughetti Felice Vinci Leonardo Melis Lilly Antinea Astore Luana Monte Luigi Bavagnoli Margherita Guccione Mario Moiraghi Marisa Grande Marisa Uberti Roberto Volterri

Sviluppo e progetto grafico: Andrea Critelli

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Runa Bianca

Per contattare la redazione, collaborare, segnalare libri, eventi potete scrivere a redazione@runabianca.it

www.runabianca.it Tutti i diritti di riproduzione degli articoli pubblicati sono riservati. Manoscritti e originali, anche se non pubblicati, non si restituiscono. Il loro invio implica il consenso alla pubblicazione da parte dell’autore. è vietata la riproduzione anche parziale di testi, e fotografie, documenti, etc. senza il consenso scritto dell’autore e della rivista Runa Bianca. La responsabilità dei testi e delle immagini pubblicate è imputabile ai soli autori.

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e Rune derivano dall’alfabeto etrusco, ma in epoche successive, incise su elementi di vario materiale, sono state utilizzate come metodo di predizione sin dall’antichità. Attraverso questo utilizzo si sono rapidamente diffuse tra le tribù nordiche e teutoniche, celtiche, per la divinazione e per scopi rituali. La parola “RUNA” significa letteralmente “segreto da sussurrare”, dal tedesco raunen, da cui la sua derivazione nella sua accezione di Mistero, cosa Segreta. Le rune conosciute sono 24, ma esiste una 25° runa chiamata: LA RUNA BIANCA. È la runa senza scritte, ancora tutta da scrivere, l’elemento che fa convergere in sé il potere creativo di ciò che è ignoto. La runa bianca richiede un’azione di coraggio, un salto nel buio, un’azione di fede, ma nello stesso tempo, indica che nulla è predestinato e che gli ostacoli lungo il sentiero possono diventare porte di ingresso verso nuovi inizi. E’ in quest’ottica e con questi significati che abbiamo voluto chiamare LA RUNA BIANCA la nostra rivista, un e-magazine che si vuol dare un obiettivo ambizioso ma concreto, essere l’elemento di unione di tutte le forze, gli ingegni, le passioni di coloro che provano “emozione” sulle tematiche del “mistero”. Mistero, si badi bene, inteso come “cosa non nota”, ma anche in fase di studio e di acquisizione.

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È misterioso quel qualcosa che non è completamente noto, ma che lo diventerà solo dopo il nostro studio ed il nostro impegno. Mistero inteso quindi come sforzo teso a conoscere là dove la conoscenza è sempre un arricchimento interiore, un’ascesa ad un livello di consapevolezza più alto. In Italia vi sono decine e decine di ricercatori che han dedicato la loro vita, il loro tempo libero, gli interessi della propria famiglia alla ricerca spinti unicamente dal fuoco sacro della passione. La “RUNA BIANCA” vuol fare da megafono a questi ricercatori. Vuol essere il “salotto buono” dove incontrarsi, discutere, scambiarsi opinioni, e perché no, anche critiche, che quando son costruttive son molto più utili delle lodi fine a se stesse. Come la 25° runa, questa rivista online vuol essere un salto nel buio, un’azione di fede. Noi infatti crediamo che il dilagare del web ha sì portato ad un allargamento delle possibilità conoscitive, ma anche ad un appiattimento del sapere. La pratica più diffusa è quella del Copia/ incolla. Chiunque diventa uno specialista di qualsiasi materia... copiando le idee degli altri ed a volte anche senza citarne la fonte. Noi vogliamo invertire questa tendenza, realizzando (forse per la prima volta) una testata editoriale dove chi scrive è l’autore di quello che dice, dove si mette in gioco la “propria faccia” e le proprie idee. Nessuno può arrogarsi il diritto di possedere la Verità... ma ognuno di noi ne può possedere un tassello per avvicinarci a Lei. La RUNA BIANCA vuol es-

sere un mosaico di pluralità in cui questi tasselli verranno collocati con pazienza ma con determinazione. Solo chi avrà la costanza di seguirci nel nostro cammino, potrà scorgerne la visione d’insieme, che è fatta da una molteplicità di conoscenze ma tesa verso un medesimo scopo. Per questo motivo non vi sarà un solo settore in cui preferiremo specializzarci. La RUNA BIANCA tratterà argomenti tra i più disparati, dalla storia alle scienze, dal medioevo, agli UFO, ma sempre con la stessa volontà di conoscere e di approfondire. Il formato scelto (PDF scaricabile) vuol sfruttare le enormi possibilità di internet che sono i LINK. Gli articoli di poche pagine possono ampliarsi ed arricchirsi con collegamenti a video, foto e riferimenti a siti esterni, trasformando ogni pagina della “RUNA BIANCA” in un documento interattivo, capace di ampliarsi all’infinito ( se si vorrà farlo). Detto questo, vi auguro una buona lettura, la migliore lettura del primo numero della RUNA BIANCA che, scaramanticamente, abbiamo battezzato: numero ZERO.

EDITORIALE NEWS

Editoriale Numero Zero della “RUNA BIANCA”

Arch. Vincenzo Di Gregorio

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Notizie dal web

Sintesi delle news più cliccate e interessanti del mese appena trascorso e.baccarini@runabianca.it

a cura di Enrico Baccarini

Vesuvio, “la bomba a orologeria d’Europa” ARCHEOSTORIA

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na rara immagine a colori dell’ultima eruzione del Vesuvio, avvenuta nel marzo 1944. Da allora il vulcano è entrato in uno stato di quiescenza, ma gli scienziati sono unanimi nel ritenere che, prima o poi, è destinato a risvegliarsi. Come, e con che violenza? Nel suo ultimo numero, la rivista Nature torna a occuparsi di quella che già dal titolo definisce “La bomba a orologeria d’Europa”. Katherine Barnes, autrice del servizio, racconta come il recente terremoto del Giappone spinga a ripensare alla possibilità dei “cigni neri”, vale a dire eventi poco probabili ma potenzialmente devastanti. Quando si appronta un piano di emergenza, occorre tener conto anche del cosiddetto worst-case scenario? Barnes cita gli studi del team di Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano che

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assieme ad altri studiosi già nel 2006 indagò sulla cosiddetta eruzione delle Pomici di Avellino, che circa 3.800 fa devastò l’intera Campania, con effetti ancora più disastrosi della successiva eruzione di Pompei del 79 d.C. Secondo Mastrolorenzo, la prossima eruzione del Vesuvio potrebbe essere altrettanto violenta. Al suo allarme la nostra rivista dedicò un servizio nel settembre del 2007. In uno studio più recente, Mastrolorenzo e la sua collega Lucia Pap-

palardo hanno ipotizzato, sulla base di una serie di indagini sismologiche, l’esistenza di una vasta camera magmatica a circa 8-10 chilometri di profondità sotto il Vesuvio; segno, secondo gli studiosi, che il risveglio del vulcano potrebbe essere particolarmente violento. 13 maggio 2011 National Geographic vai al sito della news >>

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a oltre un anno il centro di ricerche sottomarine “Prodiving.CN” e l’ONG “Laboratorio K” stanno studiando un enigma archeologico rilevato in un lago del sud della Cina. Diversi sopralluoghi hanno evidenziato nel fondale del lago Fuxian (24°34’N,102°54’E), nella provincia dello Yunnan, un’antica città sommersa ma a causa dell’elevata altitudine (1700 m s.m.) e delle basse temperature del lago ad oggi è stato possibile effettuare solo analisi con sonde robotizzate. Una leggenda locale afferma che due fate, mentre scendevano sulla Terra, fossero passate da quì. Erano così riluttanti a lasciare il bellissimo paesaggio che si trasfor-

Una seconda sfinge a Giza? ARCHEOSTORIA

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l ritrovamento di nuove prove storiche mostra come fino all’XI secolo d.C., sul plateau di Giza, esistesse una seconda sfinge in seguito smantellata. Nel 1858, François Auguste Mariette fu incaricato dal duca di Luynes di verificare la dichiarazione di Plinio il Vecchio che la sfinge era stata costruita, e non era monolitica. Aprì una trincea nei pressi della piramide di Khufu (IV Dinastia, 2589-2566 a.C.) e in un santuario di Iside (risalente al I secolo

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marono in statue in pietra, da cui il nome del lago letteralmente ‘Lago dal profilo di fata’. In tempi recenti, il 24 ottobre 1991, un uomo di nome Zhang Yuxiang mente stava pescando videro invece un disco luminoso uscire dal lago svanendo nel cielo. Ma è grazie a Geng Wei, subacqueo specializzato, che alcuni anni fa furono scoperti materiali lapidei, tra cui lastre di pietra coperte da uno strato di muschio. Per svelare il mistero, fu coinvolto un team cinese di archeologi subacquei, che attraverso il sonar identificarono ciò che sembrava un’antica città sommersa. I risultati degli archeologi cino–russi coordinati da Leonid Gav e Yevgeny Spiridonov sono stupefacenti, “Abbiamo trovato in laghi d’acqua dolce una piramide alta oltre 40 metri ed è veramente sorprendente”. Queste piramidi sono sopravvissute quasi intatte, fuo-

ri del tempo e lontane dall’attività dell’uomo. La parte superiore di una delle tre piramidi esaminate si trova ad una profondità di circa 54 metri, e la più bassa a 97 m. Le immagini mostrano blocchi di pietra con figure visibili, simili ad orecchie umane. Secondo il sonar, sono stati ripetutamente riconosciuti in scansione tridimensionale blocchi variabili nel formato da 3 a 5 metri. Come ci aspettavamo, l’origine del lago di Fuxian è tettonica. L’età approssimativa delle costruzioni può essere al periodo 5000–12000 a.C. E’ stato studiato solo l’uno per cento della superficie del lago, che è largo 7 chilometri e lungo oltre 50.

a.C.), trovò la cosiddetta “Stele dell’Inventario” in cui si afferma che “durante il regno di Khufu, egli ordinò la costruzione di un monumento della lunghezza della sfinge”. Questo porterebbe logicamente a concludere che la sfinge fosse già lì, e che la teoria accreditata, cioè che la struttura sia contemporanea di Khefre (IV dinastia, 2520-2494 a.C.), non è corretta. Non c’è da stupirsi quindi che la maggioranza degli egittologi provi ad attirare l’attenzione lontano dalla Stele dell’Inventario, perché pone troppi quesiti. Esiste però un testo del faraone Amenhotep II (ca. 1448-1420 a.C.), in cui la sfinge è menzio-

nata come “più antica delle piramidi”. Si ritrova poi la famosa Stele dei Sogni di Tuthmosis IV (XVIII Dinastia, 1420-1411 a.C.), in cui alcuni egittologi (troppo frettolosamente) credono di aver visto il nome di Khefre. Tuttavia, ciò che è interessante è la rappresentazione di due sfingi. Nella Stele dell’Inventario, è menzionato un fulmine che colpì il tetto di una seconda sfinge,segnando l’inizio della fine di questa seconda struttura. Secondo l’archeologo Michael Poe, la seconda sfinge si trovava faccia a faccia con l’ancora esistente sfinge. Era situata sull’altra sponda del Nilo, e fu distrutta da una violenta piena

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Una Atlantide cinese ARCHEOSTORIA

19 maggio 2010 Liutprand val al sito della news >>

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del fiume Nilo all’incirca nel 1000 d.C. Questa tesi è confermata da altri testi, come quelli del grande studioso e geografo arabo Al-Idrisi (1099-1166 d.C.) nelle sue due enciclopedie geografiche. Il famoso storico Musabbihi scrive di una “sfinge minore rispetto alle altre” dall’altra parte del Nilo, fatta di mattoni e pietre.In definitiva, questi rac-

conti presentano prove concrete che, in origine, vi fossero due sfingi: una, la sfinge che esiste ancora, e una seconda sfinge sul lato opposto del Nilo, fatta di mattoni, prima danneggiata e in tempi relativamente moderni, nell’XI secolo, usata come una cava, poi completamente smantellata. Perché non si è più scritto nulla su questa seconda sfin-

ge? Cosa c’è da nasconde? Forse il motivo è più complesso: queste Sfingi nascondono un accesso a qualcosa che sta sotto l’altopiano di Giza?

I geroglifici della Piramide: probabilmente numeri legati alle proporzioni costruttive ARCHEOSTORIA

de di avere alcune risposte. “Le marcature sono segni numerici ieratici. Si leggono da destra a sinistra, e significano 100, 20, 1. I costruttori semplicemente registrarono la lunghezza totale dell’albero: 121 cubiti”. Costruito per il faraone Cheope, conosciuto anche come Khufu, la grande piramide è la più grande di una famiglia di tre piramidi sull’altopiano di Giza, alla periferia del Cairo. Anni di indagini non hanno chiarito la funzione di questi tunnel né tantomeno delle porte poste lungo il loro cammino. Zahi Hawass, oggi divenuto ministro di Stato per le Antichità egiziane, descrive queste strutture come l’ultimo grande mistero della piramide e non sono pochi coloro che considerano i blocchi con le maniglie come l’anticamera ad una nuova stanza segreta. Secondo l’egittologo Kate Spence, dell’Università di Cambridge non coinvolto direttamente nello studio, esistono forti sospetti per ritenere che le gallerie furono costruite con un significato simbolico. Hawass, direttore del progetto Djedi, afferma che

non è nota nessuna altra piramide con tunnel e porte come

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na scoperta sconcertante, pitture in vernice rossa trovate all’interno della Grande Piramide da un robot armato di macchina fotografica. Misteriosi geroglifici sono stati ritrovati in una camera segreta posta oltre la porta del tunnel situato nella camera della regina. Secondo gli archeologi si tratterebbe di numeri per identificare le pietre risalente a 4500 anni fa. “Ci sono molte domande senza risposta che generano queste immagini” afferma Rob Richardson, l’ingegnere che ha progettato il robot presso l’Università di Leeds. “Perché c’è scritto in questo spazio? Cosa dice la scrittura? “ si chiedeva Richardson. Luca Miatello, un ricercatore indipendente specializzato in matematica egiziana antica cre-

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3 maggio 2011 shan-newspaper.com vai al sito della news >>

queste e ribasdisce come dietro di essa potrebbe essere trovata una stanza nascosta. ”La Camera del Re può essere stata una sala fittizia, in quanto il fattore più importante nella mente degli antichi Egizi era quello di nascondere la camera sepolcrale“.” Abbiamo una leggenda che narra l’incontro tra il mago Djedi e Cheope, quest’ultimo alla ricerca delle sale nascoste e dei segreti del dio Thoth. Sulla base di tale leggenda, forse c’è ancora qualcosa di nascosto nella piramide!”. 8 giugno 2011 Discovery News vai al sito della news >>

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tramite programmi di immagini satellitari come Google Earth, così, strumenti alla mano, hanno deciso di sfidare il monte Cavallo e tra boschi di castagno e rovi spinosi hanno mirato al segreto cocuzzolo. Là in cima c’è la testimonianza di un’antica presenza umana: un grande cerchio di pietre Inghiottito da una fitta bianche, perfettamente regolavegetazione dalle parti re e con un diametro di circa 42 di Nuvolera, sul monte Cavallo, un cocuzzolo che fa da confine con la località di Virle, dorme di un sonno millenario il leggendario e semi dimenticato “Sercol”: un magico cerchio di pietroni allineati con una figura umana incisa con un sole che punta al tramonto. Protetto dal suo sottobosco impenetrabile, è di fatto isolato. In pochissimo possono dire di averlo visto: arrivarci è un’impresa ardua, che in inverno diventa impossibile. L’unico momento buono è l’inizio della primavera, quando la vegetazione non è ancora rigogliosa. Non esiste un sentiero percorribile: rovi metri. Esattamente al centro, a e massi aguzzi sbarrano più vol- quota 420 metri, ci sono altri te l’ascesa sul ripido pendio e grandi massi ricoperti da munon è raro sentire sibilare le vi- schi e detriti. Lì vicino c’è anche pere. È un posto fuori dal tem- una piattaforma di pietra semi po e non alla portata della sem- sepolta con quella che potrebplice curiosità dei camminatori be sembrare una figura umana domenicali. profondamente scolpita nella Queste difficoltà non hanno roccia adorante un disco solare: fermato due giovani studiosi la figura è perfettamente allinedesenzanesi, Armando Bellelli e ata verso ovest, verso il sole che Marco Bertagna, entrambi ap- muore. Il cerchio di pietre è sipassionati di storia bresciana e mile a quelli che si possono amarcheologi dilettanti. Qualche mirare in Inghilterra, Irlanda, voce era giunta alle loro orec- Scozia e molte altre parti d’Euchie, ma a incuriosirli sono state ropa, mentre in Italia sono le misteriose geometrie visibili estremamente rari. Le terre bre-

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sciane sono state abitate da Liguri, Celti e Galli Cenomani, ma per apprezzare l’importanza e la vastità del sito nostrano oggi è necessatio utilizzare fotogrammetrie dall’alto. «Non mi sento di dare una datazione o un’attribuzione ad una antica popolazione, - spiega Bellelli ritengo sia necessaria e doverosa un’attenzione particolare al sito da parte della Provincia di

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Scoperto un cerchio di pietre a nuvolera, Brescia ARCHEOSTORIA

Brescia e della Sovrintendenza. Potranno confermarlo soltanto gli archeologi professionisti, ma l’idea che in cima a quel monte si celi da decine di secoli una Stonehenge bresciana mi emoziona fortemente e mi auguro che presto diventi oggetto di studio per verificare una simile possibilità». di Enrico Grazioli 4 maggio 2011 Brescia Oggi val al sito della news >>

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archeologia subacquea: i 10 siti sommersi più interessanti del mondo ARCHEOSTORIA

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ino a quando i relitti di antiche navi sommerse ci sembravano testimonianze affascinanti e avventurose, figurarsi quando si riscopre sotto il mare un’intera città, con i suoi palazzi e le sue strade. Ecco una top ten dei dieci siti sommersi più interessanti del mondo. Alessandria, Egitto – Su Alessandria molti conoscono una leggenda pochi anni fa ritornata alla luce della storia, quella del suo famoso Pharos, i suoi resti si trovano sia in terra che sotto il mare. Pavlopetri, Grecia - Al largo della costa meridionale greca, è uno dei più importanti siti subacquei del mondo, nonché la città sommersa più antica, popolata fino a 5 mila anni fa. Un tempo la città micenea fu un nodo commerciale pulsante di vita. Ventotene, Italia - Nell piccola isola, lo scorso giugno, sono state ritrovate relitti di cinque navi romane, tutte ricolme di tesori e pregevoli manufatti antichi. Campi Flegrei, Italia - A ovest di Napoli si estende una vasta area di origine vulcanica larga ben 13 km. Probabilmente si tratta del sito sommerso più attivo e frequentato del mondo, vantando

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oltre 20 punti di immersione con un parco archeologico sommerso. Havana, Cuba – Nella piccola isola dell’America Centrale numerosi esperti stanno studiando le megalitiche rovine nel Canale dello Yucatan, e qualcuno sostiene che i risultati potranno fornire informazioni sulla più antica civiltà precolombiana della regione. Per ora è stata effettuata soltanto una mappatura a computer, ma i lavori promettono bene… Assuan, Egitto - Grazie alle moderne tecnologie, ancora oggi, interessanti tesori stanno emergendo dalle acque Assuan sotto l’occhio vigile del capo dello SCA, Zahi Hawass. Mare del Nord - Oggi il Mare del Nord è un tratto d’acqua di 600 miglia che separa la Gran Bretagna dai Paesi Bassi, la Germania e la Scandinavia, 60 mila anni fa era però un’enorme tavola ghiacciata Ecco perché qualche mese fa è stato possibile, per una squadra svedese, trovare il teschio di un neandertaliano insieme ad altri scheletri antichissimi nelle reti da pesca. Nuove indagini stanno producendo incredibili scoperte. Stretto di Solent, Gran Bretagna - Nascosta lungo una scogliera sottomarina a Bouldner, al largo dell’Isola di Wight, giace una struttura vecchia di 8 mila anni, che ha letteralmente stregato Garry Momber, direttore della Società per l’Archeologia Marina dell’Hampshire e dell’Isola di Wight.

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Capo Greco, Cipro - Al largo della costa orientale di Cipro, 1800 anni fa affondò una nave romana che trasportava ben 130 anfore della divina bevanda. Ma l’aspetto più interessante del ritrovamento sono gli oggetti contenuti nelle navi: testimonianze preziose sulla vita quotidiana che i marinai conducevano durante l’Impero Romano. Maljevik, Montenegro - Il sogno di ogni esploratore che si rispetti: il sedicenne Michael Le Quesne assaporava un’immersione nei pressi della città montenegrina di Bar, nello scorso novembre, quando notò qualcosa di strano tra le onde dell’Adriatico. Ciò che poteva essere un semplice scoglio si rivelò una porzione di antiche colonne scanalate, probabilmente appartenute a un porto Greco-Romano.

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18 maggio 2011 Il Turista vai al sito della news >>

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erplessità e sgomento sembrano manifestarsi riguardo le recenti prese di posizione ufficiali attuate contro gli scavi delle emblematiche piramidi bosniache di Visoko. Da vario tempo si cercava di bloccare il lavoro di Semir Osmanagic autore nell’Aprile del 2006 di una delle più interessanti scoperte in territorio europeo. Si parla di un complesso di 5 piramidi di cui la maggiore, la Piramide del Sole, è alta 220 metri ed in cui i suoi spigoli sono tagliati perfettamente con un inclinazione di 45° con lati inclinati di 365 metri. Oltre alle Piramidi sono state

Piramidi bosniache, le datazioni al C14 dicono: han diecimila anni !!! ARCHEOSTORIA

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quello che riferisce il Dottor Osmanagic ad una conferenza tenutasi a Slavonski Brod riguardo le piramidi in Bosnia. “ E’ stato il più grande progetto archeologico del 2010 con più di 500 volontari e 45 archeologi professionisti provenienti da

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rinvenute nel sito strutture megalitiche sferiche, una vasta rete di tunnel scavati esternamente alle piramidi ed internamente alle stesse. 15 milioni di anni fa, nella regione di Visoko, vi era un grande lago ed un immensa palude che hanno generato strati sedimentari di oltre due chilometri. Il lago scomparve 5 milioni di anni fa, lasciando però gli strati di sedimenti. Secondo la scienza ‘’ufficiale’’, le piramidi di Visoko sarebbero nate a causa di spinte tettoniche. Le lastre di quel materiale simile al calcestruzzo trovate da Semir Osmanagic non sarebbero altro che pietra sedimentaria frammentata dal rialzamento del terreno. I tunnel che si estendono per Km sotto il sito sarebbero antiche miniere di rame risalenti al neolitico (3000 a.c. circa), ma che, secondo alcuni vecchi di Visoko, furono sfruttate anche recentemente dal ex governo comunista di Tito. Le iscrizioni

trovate all’interno dei tunnel sarebbero, sempre secondo i santoni dell’archeologia, graffiti elaborati da annoiatissimi minatori comunisti. Tutto questo sepolto da oltre 2,5 metri di terreno, all’interno del quale delle conchiglie fossili rivelano che le strutture sono state costruite prima di 12000 anni fa. Il lavoro va avanti grazie all’aiuto di gruppi di professionisti volontari che a loro spese cercano di far emergere la verità tra gli angusti cunicoli sotterranei di Visoko. Questo succede per la prima volta in quasi cinque anni di scavi. Fin’ora i tunnel erano completamente coperti da terreno, probabilmente portato all’interno del reticolo da un inondazione improvvisa avvenuta 12000 anni fa.

tutti i paesi europei (Italia, Spagna, Francia, Ungheria, Croazia, Malesia..) “. L’archeologo ha sottolineato come negli scorsi sette anni abbiano totalizzato 340000 ore di lavoro e già questo anno sono arrivati 700 volontari da tutti i continenti. “ La gente vuole far parte di questo progetto, vuole scoprire la prima piramide europea e la più grande piramide del mondo “, continua il ricercatore, che ormai ha presentato molte prove e l’esistenza della piramide non può essere più negata. “ Nel corso del 2005 e del 2006 siamo

stati pesantemente attaccati, ma oggi non si sente più nessuno negare l’evidenza. “ Tutte le squadre di esperti confermano la presenza di una piramide, ma ora ha bisogno di scoprire chi l’ha costruita e quando, per fermare una volta per tutte gli attacchi al progetto. “ L’ establishment culturale, invece, mantiene ancora un certo senso di non curanza verso quello che facciamo. “ ha dichiarato Osmanagic. Nel corso dei lavori è stato raccolto del materiale organico proveniente dalle piramidi in modo da poter determinare

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Bloccati gli scavi nelle Piramidi di Visoko

28 dicembre 2010 La Gazzetta del Mistero vai al sito della news >>

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l’età delle stesse. “ In uno degli scavi effettuati nella Piramide della Luna abbiamo trovato del materiale adesivo di natura organica, e l’abbiamo inviata a Gliwicame (in Polonia) per

Raggi infrarossi scoprono piramidi nascoste ARCHEOSTORIA

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e immagini satellitari a infrarossi della Nasa hanno permesso agli archeologi di identificare diciassette piramidi egiziane sepolte nel sottosuolo, oltre a un migliaio di tombe e tremila antichi

Le onde dei telefoni cellulari sono mortali SCIENZA

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iunge ad un epilogo il dibattito sui rischi per la salute derivanti dall’uso dei telefoni cellulari. Il Prof. Girish Kumar, del dipartimento IIT di Bombay, ha recentemente presentato un rapporto dettagliato al Dipartimento delle Telecomunicazioni indiano in cui mette in guardia contro l’uso eccessivo dei cellulari in quanto espone gli utenti ad un aumento del rischio di

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effettuare il test della datazione dell’età delle prime civiltà al radiocarbonio, presso l’istituto avanzate”. di Tecnologia di Slesia. L’età è stata calcolata di circa 10, 35 7 giugno 2011 mila anni. Questo cambia la Jutarnji nostra visione dell’ Europa e vai al sito della news >>

insediamenti. Come riporta il sito della Bbc, il progetto della Nasa è attivo da circa un anno in un laboratorio di Birmingham, nello stato americano dell’Alabama e sfrutta il fatto che gli infrarossi sono in grado di penetrare nel terreno e mettere in risalto la differente densità dei materiali; dato che gli antichi egizi costruivano case e templi con mattoni di fango essiccato, molto più densi del terreno circostante, tali strutture risultano riconoscibili dalle immagini.

Secondo i ricercatori per ora sono stati identificati solo i siti più vicini alla superficie, ma ve ne sono migliaia che il Nilo avrebbe ricoperto di detriti con il passare dei secoli: i primi scavi condotti a Saqqara e Tanis hanno confermato in pieno le predizioni delle immaguini satellitari.

cancro, tumore al cervello e di molti altri problemi per la salute. Per i bambini la cosa è ancor più accentuata. L’uso dei cellulari per più di 30 minuti al giorno, per 10 anni, aumenta il rischio di cancro al cervello e neuroma acustico ma la radiazione dei cellulari provocherebbe anche danni irreversibili alla fertilità maschile. Le frequenze utilizzate dai cellulari possono causare danni al DNA e favorire la formazione di radicali liberi all’interno delle cellule. Dagli studi del Prof. Kumar si apprende anche che le frequenze dei cellulari interferiscono con il corretto funzionamento di alcuni dispositivi salvavita e possono scatenare la risposta allo

stress in cellule umane e animali. A ciò si aggiunge, con un uso prolungato, la debilitazione del sistema immunitario e stimolazione di risposte allergiche e infiammatorie. L’utilizzo prolungato può anche danneggiare il sistema visivo in molti modi e portare ad un temporaneo riscaldamento del cervello nella zona irradiata come anche causare disturbi del sonno. In questo quadro la cautela nell’utilizzo di questi dispositivi può solo aiutarci a vivere una vita migliore e con minori rischi per la nostra salute.

25 Maggio 2011 TMNews vai al sito della news >>

25 aprile 2011 Ecplanet vai al sito della news >>

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opo Plutone, un nuovo pianeta nano di nome Haumea sembra aggiungersi al nostro sistema solare dimostrandosi particolarmente affascinante per la sua composizione. Non si tratta soltanto della sua caratteristica forma a uovo ma anche del fatto che sembra sia completamente ricoperto da acqua ghiacciata. Haumea è un pianeta nano che transita oltre l’orbita di Nettuno e la sua esistenza è stata confermata solo sei anni fa. Appare bianco lucente se osservato con un telescopio sufficientemente potente, come anche le sue due lune, Hi’iaka e

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Distorsione spaziotemporale: confermate teorie di Einstein SCIENZA

e teorie di Albert Einstein sullo spazio-tempo e sulla gravità hanno finalmente trovato conferma con una precisione estrema nei risultati della missione Nasa Gravity Probe B (GP-B), pubblicati sulla Physical Review Letters: lo spazio-tempo quadridimensio-

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Namaka. I ricercatori dell’ European Southern Observatory cileno hanno infatti scoperto che il 75% delle superficie di Haumea e il 100% di Hi’iaka sono ricoperte da ghiaccio d’acqua cristallizzato. “Dato che la radiazione solare distrugge costantemente la struttura cristallina del ghiaccio sulla superficie, sono necessarie delle fonti di energia per mantenere la struttura del ghiaccio” spiega Benoit Carry, co-autore della scoperta. “Le due fonti che abbiamo preso in considerazione sono quelle in grado di generare elementi radiogenici (potassio-40, torio-232 e uranio-238), e le forze di marea tra Haumea e i suoi satelliti”. Haumea non finisce di mostrare aspetti curiosi. Dal suo piano orbitale inclinato di 28° agli strani parametri planetari di Haumea fino ad una ‘macchia’, una regione decisamente vasta del pianeta chiaz-

zata di rosso. La veloce rotazione di Haumea, elemento che gli fornisce la tipica forma a uovo, potrebbe essere il frutto di una collisione che contribuì anche alla creazione delle due lune del pianeta nano. La macchia rossa, invece, potrebbe essere stata creata dal deposito di minerali o di materia organica portati in superficie dall’emersione di acqua cristallizzata. Ad oggi, tuttavia, si sa ancora poco su questo bizzarro pianeta: non se ne conosce l’orbita precisa, e nemmeno quella dei suoi satelliti. Non si conosce l’esatta origine della sua acqua e non si può soltanto ipotizzare la gamma di fenomeni che possono manifestarsi su un pianeta nano tanto particolare.

nale risente della presenza di materia manifestando due effetti, quello geodetico legato alla curvatura delle spazio sotto l’azione delle masse, come la corda di un funambolo che si flette sotto il suo peso, e quello di trascinamento dovuto alle increspature dello spazio-tempo prodotte dalla rotazione terrestre. Francis Everitt, fisico dell’università di Stanford e a capo della ricerca, ha spiegato che possiamo “immaginare la Terra come immersa nel miele. Quando il pianeta ruota su sé stesso, o nel suo moto attorno al Sole, nel miele intorno si formano dei vortici. Quel miele è lo spaziotempo”. Gli effetti prodotti in

questo ‘miele cosmico’ sono dovuti al fatto che la gravità, secondo le teorie del celebre fisico, è il risultato del moto degli oggetti che seguono le linee curve delle increspature dello spazio-tempo, che non si deformerebbe se la Terra fosse ferma, piuttosto che in moto. Non solo la Terra induce questi effetti, tutti i corpi aventi massa, noi inclusi, sono in grado di attuare una deformazione impercettibile all’uomo, dello spazio che li circonda e di provocare le increspature del continuum spaziotemporale. La conferma delle teorie di Einstein rappresenta dunque una grande conquista per la fisica ed un successo ecla-

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Nel sistema solare c’e’ un altro pianeta, si chiama haumea SCIENZA

13 Maggio 2011 Ansa vai al sito della news >>

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tante per un progetto che dopo un anno di raccolta dati, ne ha richiesti 5 per le analisi. “I risultati di tale missione avranno un impatto a lungo termine nel campo della fisica teorica - ha

ufo nel mare di Sorrento? No, è un uovo di calamaro SCIENZA

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vvistamento eccezionale, nei fondali dell’area marina protetta di Punta Campanella. Daniele Castrucci ed Edoardo Ruspantini, due sub del “TGI Diving Sorrento”, hanno avvistato a 50 metri di profondità una sfera trasparente di circa un metro di diametro, gelatinosa e attraversata da una specie di condotto più scuro, che si allargava a forma di imbuto alle due estremità. I due sommozzatori hanno scattato foto, alcune delle quali sono in questa pagina. Il mistero è stato svelato dal professore Roberto Sandulli, biologo marino dell’Università Parthenope,

Raeliani in un cablo di Wikileaks MISTERO

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o scorso 28 aprile il sito Wikileaks ha rilasciato un nuovo documento a sfondo ufologico ma, questa

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osservato Bill Danchi, astrofisico lavoro di GP-B”. della Nasa – . In futuro la sfida per la conferma della teoria del28 dicembre 2010 la relatività generale dovrà fare i Blitzquotidiano conti con misure più precise vai al sito della news >> delle memorabili effettuate dal

che è stato interpellato dai responsabili della riserva marina. La sfera gelatinosa, ha chiarito l’esperto, non è un ufo, ma è una grossa teca ovarica di calamaro, che contiene migliaia di uova. Casi simili finora si sono visti solo in Norvegia, Nuova Ze-

landa e Croazia. Mai, sembra, in Italia. Si tratta, quindi, di un ritrovamento eccezionale che sta facendo discutere la comunità degli appassionati e dei ricercatori. “Più difficile individuare”, ha sottolineato il biologo Sandulli, “di quale specie di calamaro si

volta, il cablo è incentrato sul controverso movimento raeliano presieduto Claude Vorilhon. Oggetto del telex, ricevuto da Wikileaks il 3 gennaio del 2003 e proveniente dal consolato canadese, sono le dichiarazioni rilasciate della dottoressa Brigitte Boisselier nel corso di una conferenza stampa tenuta-

tratti, poiché in Italia sono censite 26 diverse varietà di totani e calamari”. L’emissione delle uova all’interno di masse gelatinose è tipico della famiglia degli Ommastrefidi, che nel Mediterraneo è presente con 4 specie, tutte indicate col nome comune di totano. Potrebbe essere la teca di una femmina di totano la madre delle decine di migliaia di calamaretti contenuti nella sfera di Punta Campanella. Ma non è escluso che si possa trattare anche di una specie “aliena” di calamaro, il Notodarus gouldi, sconosciuto nei nostri mari. Il che, se confermato, proverebbe che i due subacquei hanno proprio avvistato “un ufo”... di Fabrizio Geremicca 7 maggio 2011 Corriere del Mezzogiorno vai al sito della news >>

si ad Hollywood il 27 Dicembre 2002. Ne risulta un quadro abbastanza chiaro degli interessi del movimento che sembrano essere di natura prevalentemente economica. La Boisselier, chimico di origini francesi e responsabile della Clonaid, divenne infatti famosa per aver annunciato al mondo la nascita

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1973 a seguito dell’incontro con esseri extraterrestri avuto da Claude Vorilhon (in arte Rael dall’ebraico “luce di Dio”) , ex cronista sportivo, ex cantante ed appassionato di motori. «Erano esseri piccoli e verdi» raccontò «di corporatura esile (alti all’incirca 1,20m) e scendevano da una navicella atterrata nei pressi di un vulcano. Mi hanno detto che erano venuti solo per parlarmi e trasmettermi il messaggio che avrei dovuto diffondere alla gente di tutto il mondo». Un secondo incontro con i misteriosi esseri avvenne due anni dopo, il 7 ottobre 1975. Un Elohim prese e condusse Rael in un altro pianeta, dove incontrò Gesù, Maometto, Buddha e Mosè! Nel mondo i seguaci del Movimento Raeliano sono 55000

divisi in 84 paesi. «Una percentuale piuttosto bassa se si considera l’interesse dei temi trattati: sesso ed ufo» sostiene il portavoce canadese del gruppo Mike Kropveld, «la maggior parte degli utenti del sito frequenta saltuariamente gli eventi proposti. I membri attivi si attestano intorno ai 2000-3000 nel mondo e circa 700 a Montreal». «Cifre destinate a crescere», sostiene sempre Kropveld, «dal momento che l’organizzazione cerca sempre nuovi argomenti per attirare l’attenzione e la curiosità delle persone». La grande attesa del movimento è, a loro dire, il ritorno sulla Terra degli Elohim nel 2035.

Astronave aliena sotto il cratere Potomski? MISTERO

approssimativa del cratere è di circa 250 anni pur se ai piedi della struttura è stato trovato un larice di 480 anni che potrebbe radoppiarne l’età. Qualche anno fa giravano ipotesi molto esotiche sul cratere Potomski tra cui la caduta di un frammento di stella di neutroni, ma recentemente si è scoperto che a 100 metri nel sottosuolo, sotto al cratere, si troverebbe un corpo di forma cilindrica o di ellisse, lungo 600 metri in grado di provocare anomalie magnetiche nell’intera regione. Da cosa sia costituito questo “uovo” non è dato saperlo. “A giudicare dai risultati, non è composto di ferro, o da qualsiasi altro metallo noto all’umanità. Ma il fatto che c’è qualcosa è un dato di fatto! “ afferma Alexander Pospeev. Un’ altra particolarità di

questo cratere è data dalla sua bassa radiazione di fondo che diminiusce più ci si avvicina al centro. L’ anomalia sotto il Cratere Potomski forse è perfettamente spiegabile come fenomeno naturale, (eruzione vulcanica o impatto da meteorite sono le ipotesi più accreditate, valida anche la tesi dell’esplosione spontanea nel sottosuolo di una miniera di uranio o di un giacimento di metano) tuttavia fichè non verranno effetuate analisi più approfondite rimane il dubbio che la sotto, vista la forma particolare, possa celarsi un’astronave aliena precipitata.

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ella regione di Irkutsk, nei pressi della città di Bodaybo in Siberia, esiste un cratere dalla forma unica chiamato dai locali Potomski, o “Nido d’Aquila di Fuoco”. Scoperto nel 1949 da un giovane geologo di Irktusk, Vadim Kolpakov ha un’altezza di circa 70 metri e si estende sul pendio della montagna degli altopiani di Patom per circa 180 metri. Si stima che sia formato da più di un milione di tonnellate di ciotoli di calcare. Le analisi hanno inoltre stabilito che l’età

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della prima bambina ‘ottenuta’ attraverso il processo della clonazione. Eve, questo il nome che le fu dato, fu annunciata al mondo ma mai mostrata così come gli altri due bambini che sarebbero nati con lo stesso sistema. Ancora oggi sussistono forti dubbi sulla realtà di queste dichiarazioni e sulla realtà stessa delle clonazioni tanto decantate. Il cablogramma esprime le forti preoccupazioni emerse nella comunità internazionale a seguito delle dichiarazioni della Boisselier, parole che sembravano concretizzare una idea già espressa pubblicamente nel 2001 (CRONACHE – Domenica 05 Agosto 2001) di clonare il dittatore nazista Adolf Hitler… Come molti di voi sapranno il movimento raeliano nasce nel

1 Maggio 2011 ENIGMA | Enrico Baccarini vai al sito della news >>

Maggio 2011 Cratere Potomski vai al sito della news >>

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Intensa anomalia magnetica in Antartico crea vortice temporale nel passato? MISTERO

no studio condotto qualche decennio fa da un team di scienziati britannici ed americani sembra ritornare alla ribalta con interessanti evoluzioni. Il gruppo nel 1975 si sarebbe imbattuto accidentalmente in un evento alquanto misterioso e bizzarro mentre lavoravano su un progetto comune riguardante lo studio dei fenomeni metereologici. Il fisico americano Mariann McLein ed i suoi colleghi scienziati confermarono la comparsa di uno strano “vortice nebbioso” formatosi al di sopra della zona in cui stavano operando. Inizialmente il team pensò si trattasse di una casuale tempesta polare ma il vortice a spirale formatosi non si disperdeva ma rimaneva stazionario. Così gli scienziati decisero di indagare sullo strano fe-

nomeno; il gruppo dopo aver preso uno dei suoi palloni metereologici attaccandovi più strumenti l’ha rilasciato nel vortice che lo ha letteralmente risucchiato al suo interno facendolo scomparire. Dopo qualche minuto decisero di recuperare il pallone e nonostante qualche difficoltà con l’argano sono riusciti a portarlo a terra e controllare gli strumenti. McLein e compagni rimasero sbalorditi da quello che avevano osservato; il cronometro segnava la data riferita esattamente a dieci anni prima, cioè 27 gennaio 1965 anzichè 27 gennaio 1975. L’esperimento fu ripetuto più volte ma il risultato fu identico. L’episodio fu riferito in un secondo tempo ai servizi segreti militari e l’informazione fu trasferita alla Casa Bianca. Presumibilmente lo strano vortice,è in realtà un tunnel magnetico spazio-temporale, del quale i militari dell’intelligence sono a conoscenza soprannominandolo in codice “The time gate”. E’ curioso che lo strano fenomeno sia avvenuto proprio in prossimità della zona in cui fu scoperta una costruzione artificiale

top ten delle previsioni fallite sul giorno del Giudizio Universale MISTERO

ecentemente Discovery ha stilato una top ten dei giorni del giudizio non verificatisi proiettando anche le nostre paure fino ai prossimi decenni ed alle profezie scritte secoli orsono da nomi illustri. La più recente apocalisse fallita è stata la data del 21 maggio. Il pastore Harold Camping,

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nell’aprile del 2001, attraverso alcuni scavi effettuati sotto il ghiaccio ad una profondità di 2 miglia da parte dei militari americani. In seguito a questa scoperta gli stessi militari cercarono di impedire che questa notizia trapelasse ma in realtà non fu così;infatti nonostante fu intimato ai media il silenzio stampa, la notizia secondo cui

erano iniziati degli scavi in gran segreto in Antartide arrivò all’Europa, che protestò in maniera formale contro l’azione intrapresa dai militari americani e dal loro governo. 7 Maggio 2011 Evidenza Aliena vai al sito della news >>

presidente di Family Radio, aveva ‘decodificato’ brani della Bibbia, in cui si sarebbe affermato che in questa data un terremoto globale avrebbe distrutto l’umanità. Di controparte il Large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle più grande e potente ad oggi realizzato, non ha ancora provocato la fine del

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carsi sull’astronave, un gruppo di 39 membri della Heaven’s Gate si suicidiò nel marzo del 1997. Cosa succede quando un ingegnere della NASA si interessa delle profezie sul giorno del giudizio? Edgar Whisenant pubblicò 88 Reasons Why the Rapture Will Be in 1988 (“88 ragioni per cui il Rapimento avverrà nel 1988”), un bestseller. Nel libro The Jupiter Effect (“L’effetto di Giove”), bestselller del 1974, gli autori John Gribbin e Stephen Plagemann predissero che un allineamento dei pianeti il 10 marzo 1982 avrebbe gettato il clima della Terra nel caos. Dopo che Joseph Smith fondò il mormonismo negli anni ’20 del 1800, non ebbe molto tempo per avviare la sua nascente religione. Dopo tutto, anni dopo nel 1835 predisse che il mondo sarebbe finito entro 56 anni. Il 2012? È ricco

Russia, enorme ufo appare sopra villaggio e militari aprono il fuoco MISTERO

tuare sopra la loro cittadina per alcuni minuti facendo cadere nel panico molti residenti. L’oggetto è stato visto ad occhio nudo anche dagli addetti ad una base militare che si trova nelle vicinanze, ma non è stato rilevato dai radar. I militari hanno così deciso di sparare dei proiettili d’artiglieria all’UFO, nel caso in cui fosse diventato ostile ma, a quanto pare, il misterioso velivolo sarebbe ripartito verso l’alto velocemente e scomparendo alla loro vista. Nonostante il terrore dei testimoni non sono tardate a giungere le spiegazioni convenzionali sull’avvistamento da parte di scienziati ed autorità governative che hanno parlato di me-

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a suscitato grande scalpore la notizia apparsa sull’emittente televisiva russa”Gubernia TV”. Un gigantesco UFO sarebbe apparso lo scorso 11 maggio sopra il villaggio di Lesopilniy. Gli abitanti di Lesopilniy avrebbero osservato un gigantesco UFO di oltre 200 metri di diametro flut-

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di teorie, la più famosa delle quali è la previsione attribuita ai Maya che preannuncerebbe la fine del mondo il 21 dicembre 2012. E nel caso arriviate a vedere il 2060, avrete appena fatto in tempo a vivere un ultimo scenario apocalittico. Uno scarabocchio scritto a mano su una nota contiene tale previsione. L’autore?Niente meno che Sir Isaac Newton.

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mondo come molti temevano nel settembre 2009. Molti ritennero che avrebbe potuto creare un piccolo buco nero in grado di inghiottire il pianeta. Quando invece l’orologio spostò le lancette dalle 11:59 del 31 dicembre 1999 alla mezzanotte, tutti i computer del mondo erroneamente credettero che il 2000 era in realtà l’anno 1900. Il mercato azionario andò nel caos, gli aerei precipitarono a terra e le basi missilistiche lanciarono i loro missili nucleari. O almeno questo è ciò che sarebbe dovuto accadere secondo alcuni profeti di sventura. Nel 1555, Nostradamus, predisse che il mondo sarebbe finito 444 anni dopo. I membri di Heaven’s Gate erano inoltre convinti che la cometa Hale-Bopp fosse in realtà seguita da un UFO sul quale sarebbero potuti fuggire dall’imminente apocalisse. Per imbar-

20 Maggio 2011 Discovery News vai al sito della news >>

teore o altri fenomeni atmosferici non riconosciuti dai testimoni, riflessi di luci nell’acqua, gas di palude e sciami d’insetti con dorsi brillanti. I testimoni non hanno accettato le ipotesi tranquillizzanti degli apparati governativi e sono certi di quello che hanno visto. Il video del telegiornale in lingua russa risulta quantomeno esaustivo nel panico generato dall’avvistamento ma soprattutto risultano molto interessanti le ricostruzioni fatte dai testimoni dell’oggetto. 16 Maggio 2011 Noiegliextraterrestri vai al sito della news >>

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VIDEO

Video in rete I filmati scelti per voi

redazione@runabianca.it

a cura di Vincenzo Di Gregorio

Egitto 17 piramidi sepolte scoperte con immagini Nasa ARCHEOSTORIA durata 01:21 Scoperte 17 nuove piramidi a Saqqara, un sito a sud del Cairo, grazie a foto e rilevamenti a raggi infrarossi compiuti dallo spazio. L’incredibile scoperta è opera di un team di archeologi dell’università dell’Alabama, assieme alle piramidi sarebbero stati scoperti anche migliaia di tombe e numerosi antichi insediamenti. Aperta una nuova era per l’archeologia. Guarda il video >>

Fisica Quantistica - Teoria Delle Stringhe E Universi Paralleli SCIENZA durata 23:30 Documentario tratto dalla trasmissione La Macchina del Tempo sulla teoria delle stringhe (D-brane e universi paralleli), una delle teorie candidate all’unificazione delle forze. Guarda il video >>

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durata 23:30 Quali prospettive energetiche dopo la scoperta Rossi-Focardi? Ne discutono lo stesso professore Sergio Focardi, il professore di Fisica Francesco Celania, Stefano Borrino della società italiana brevetti insieme ai giornalisti e curatori del blog Petrolio Pietro Cambi e Debora Billi e al giornalista di Rainews Angelo Saso che sull’argomento ha realizzato un’inchiesta. Conduce Maurizio Torrealta. Guarda il video >>

VIDEO

Fusione Fredda SCIENZA

Bosnian Pyramid Ultra/Infra Sonic Emissions Investigation 2011 MISTERO durata 04:26 Il gruppo SBRG è andata a Visoko per svolgere un’indagine preliminare sull’emissione di Ultra/Infra Sonore dalle piramidi bosniache. GUARDA IL VIDEO >>

Flying Over The Bosnian Pyramids MISTERO durata 04:28 La Piramide bosniaca del Sole con un’altezza di 220 metri è la più alta piramide del mondo. La Piramide della Luna, con una altezza di 190 metri è superiore a quella di Cheope. L’esistenza di una civiltà sul continente europeo che precede la civiltà del Medio Oriente è statia ignorata da storici e giornalisti. GUARDA IL VIDEO >> Giugno 2011 | n.0

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LIBRERIA

La biblioteca virtuale

Recensioni, commenti, prefazioni, segnalazioni delle opere arrivate in redazione redazione@runabianca.it

a cura di Andrea Critelli

Il Laboratorio del Dr. Frankestein

Ovvero mostri naturali, artificiali e inesistenti

SCIENZA Roberto Volterri Eremon Edizioni 2011, 198 pp. € 17,00 leggi scheda completa >>

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n questo libro non incontrerete il Big-foot né il Sasquatch, lascerete ‘in panchina’ la ‘povera’ (o ‘povero’?) Nessie e anche il bistrattato ‘abominevole uomo delle nevi’, sempre più abominevole e sempre meno documentabile. Troppo… ‘facile’! No, nulla di tutto questo. Vi affaccerete dapprima nel vero ‘Laboratorio’ di qualche Dr. Frankenstein realmente esistito e poi scruterete nei meandri di una strana villa, ai confini con la Liguria, in cui operò un geniale (o folle?) medi-

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co di origine russa, alla perenne ricerca di qualcosa che potesse avvicinare l’Uomo all’eternità. Vedrete in seguito a quali esperimenti si dedicarono Luigi Galvani e Giovanni Aldini nel tentativo di correlare le attività biologiche con i nascenti studi sull’elettricità ma poi esplorerete anche i meandri della mente di ‘mostri’ assassini forse colpiti da ‘Licantropia’, osserverete con un misto di pietà e meraviglia alcuni poveri individui affetti da impensabili, mostruose patologie e farete finta di credere, per un momento, anche all’esistenza di ‘Anatre vegetali’, di ‘Agnelli che nascono sugli alberi’ e del ‘Cavallo di Dio’, l’elegante, incredibile ‘Unicorno’… Non mancherà una rapida, curiosa rassegna di ‘mostri a go-go’, a cavallo tra leggende metropolitane d’ogni tempo e Paese e reali possibilità che, da qualche parte, ‘qualcosa’ di mostruosamente vero esista… Giugno 2011 | n.0


La Toscana dei misteri MISTERO Enrico Baccarini Zona 2010, 180 pp. € 18,00

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iaggiando attraverso valli dorate e pini marittimi, distese di cipressi erti come eterni monumenti, e luoghi magici ancora inesplorati la Toscana riserva ai suoi visitatori infiniti segreti e innumerevoli leggende patrimonio di una antica sapienza e di una conoscenza minimamente risvegliate. Le sue colline levigate dal tempo ci sussurrano ancestrali enigmi dimenticati dalla storia e preservati dalla tradizione popolare. Appena Giugno 2011 | n.0

mostri che lo sono per inversione o falsa distribuzione delle parti “. Sic et simpliciter, direi! E ancor oggi attuale… Tutto qui? No di certo, poiché ai vari Capitoli seguiranno le inevitabili (per chi conosce l‘insano e disdicevole modus operandi dell’Autore…) Appendici Sperimentali in cui cercherete di avvicinarvi appena – ovviamente nei limiti del possibile – a qualcuno degli esperimenti e delle ricerche descritte nel libro. Da non perdere!

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Insomma nell’ennesimo libro del Dottor Roberto Volterri, l’Autore ha cercato di attenersi – nei limiti del possibile e, in qualche caso, anche dell’impossibile – alla definizione che dette quel grande naturalista che fu Gorge-Louis Leclerc, Conte di Buffon, in un tardo Settecento, ancor di più ‘illuministico’ riguardo alle possibili suddivisioni dei ‘mostri’ in categorie: “La prima è quella dei mostri per eccesso; la seconda quella dei mostri per difetto; la terza, quella dei

bisbigliato il nome di un luogo, la sua memoria sembra risvegliarsi e donarci il racconto di ciò che fu e ancora è. La Toscana si presenta come una delle regioni più belle del nostro paese, variegata nelle sue forme e nelle sue ‘culture’ ma ancor più adombrata da oscure presenze e ancestrali tradizioni che i suoi territori sembrano ancora nascondere. A sottolineare questa speciale alchimia tra terra e uomo in Toscana, ci rimangono le parole eterne di Curzio Malaparte, “Sarà forse che i toscani non sono come i bovi che vedono tutto in grande, ma certo che non perdono mai di vista la misura del mondo, e i rapporti palesi e segreti, fra gli uomini e la natura”. Amico viaggiatore, se ti troverai mai a passare da queste parti, rimarrai incantato dallo stupefacente paesaggio che si dipanerà davanti a te lungo il tuo camRuna Bianca

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mino; “ma di lontano pace dicono al cuor le tue collina con le nebbie sfumanti e il verde piano ridente nelle pioggie mattutine” (G. Carducci), riproduzione fedele della secolare interazione tra abilità e saggezza toscana e la natura circostante. Poche zone sembrano possedere una personalità talmente poliedrica e variegata da lasciare ancora oggi molte domande aperte. Anche attraverso il lato esoterico di questa regione, nel suo senso etimologico di nascosto e celato, sarà possibile comprenderla ovvero attraverso l’adozione e l’utilizzo di simboli, metafore, allegorie, correlazioni che ci hanno potuto trasmettere conoscenze ed informazioni criptandole all’interno di qualsivoglia forma, testo, struttura architettonica o simbolo che sia. Nell’arduo tentativo di voler delineare un qua-

Atlantide e le Colonne d’Ercole

Un dibattito sempre aperto

MISTERO

Rosario Vieni Capone Editore 2011 136 pp. € 12,00 leggi scheda completa >>

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uello di Atlantide e le Colonne d’Ercole è un agile testo che vuole dire una parola

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dro coerente ed omogeneo di enigmi storici, misteri e curiosità che connaturarono e si legarono alla storia toscana, ci muoveremo attraverso i suoi borghi e i suoi poggi ovvero attraverso i suoi personaggi e gli elementi più belli dell’arte e della cultura che la segnarono. Parlare del suo folklore popolare e dei suoi enigmi ancora irrisolti, inoltre, certo non è cosa semplice. Ogni anfratto nasconde storie e leggende che affondano all’alba dei tempi. Abbiamo cercato, attraverso questo libro, di ripescarne le più note, le più importanti, le meno conosciute e le più belle o interessanti. Sarebbe impossibile poterle elencare e analizzare tutte, ma certamente sarà importante riscoprirne l’essenza e le valenze cioè quelle sottili forme che rendono questa regione una delle più belle e affascinanti che il nostro paese possieda.

quasi definitiva sul problema del “continente scomparso”, da sempre al centro di discussioni e dibattiti tra i tanti che, negli ultimi secoli, interpretando malamente i testi di Platone, hanno collocato Atlantide nei luoghi più diversi del globo terrestre. Il volume di Rosario Vieni, micenologo “eretico” per i suoi studi sulla “lineare B”, molto noto negli ambienti culturali greci ma poco fortunato in Italia, si muove, fondamentalmente, su tre direttrici: il rapporto che Platone ebbe con i circoli conservatori della sua città d’origine e Giugno 2011 | n.0


Civilization One

Il mondo non è come pensavi che fosse

MISTERO

Christopher Knight e Alan Butler Arethusa 2010, 272 pp. € 16,90 leggi scheda completa >>

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possibile che nella preistoria sia esistita una civiltà super-avanzata? E se così non fosse, com’è possibile che un popolo, apparentemente primitivo come quello della Britannia preistorica, possedesse un sistema di misurazione completamente integrato e basato su una profonda conoscenza del sistema solare? Alexander Thom, sconvolse il mondo dell’archeologia affermando di aver scoperto che le strutture lasciateci dall’uomo dell’Età della Pietra erano Giugno 2011 | n.0

genesi della nascita del mito di Atlantide, nonché la giusta collocazione delle Colonne d’Ercole e del probabile o possibile sito di tale antichissima civiltà. Tale testo è, peraltro, il risultato dei suoi studi che risalgono intanto agli ultimi mesi del 1999, cui sono state aggiunte le tante novità già rese note nei Congressi di Milos (2005) e di Atene (2008) e quelle che saranno presentate quest’anno al Congresso di Santorini.

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con quello pitagorico magno-greco; l’osservazione accurata dei fenomeni geologici relativi all’area mesopelagica mediterranea e più esattamente di quella tra la Sicilia e la costa tunisina; l’analisi linguistica puntuale e nuova dei testi del Filosofo e di altri autori antichi. Da tutto questo, senza fumosità e senza tutte le fantasticherie cui sono avvezzi gli “atlantologi” di mestiere, ne viene fuori un’indagine assai credibile sulle cause e sulla

state costruite usando un’unità di misura standard, così precisa da avere un margine di errore inferiore alla larghezza di un capello. Il professor Thom chiamò l’unità di misura da lui scoperta “yard megalitica”, ma mori prima di aver potuto spiegare il motivo per cui un popolo così lontano nel tempo (3500 a.C. circa) sia stato spinto a istituire questa unità di misura e riprodurla con tale precisione. Christopher Knight e Alan Butler, applicando tecniche forensi all’archeologia, hanno indagato per scoprire se Thom avesse davvero trovato un’unità di misura o fosse stato ingannato dalla mole di dati che aveva accumulato nei suoi sopralluoghi dalle isole settentrionali della Scozia fino alla Bretagna. Nel tentativo gli autori hanno scoperto che misure relativamente moderne come la libbra, il litro e il grammo sono vecchie di migliaia di anni. E non solo, il mondo non è come pensavate che fosse! Runa Bianca

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SITI WEB

Siti, portali, blog

Per appronfondire la cultura nel mondo web redazione@runabianca.it

a cura di Andrea Critelli

TE.S.E.S. ARCHEOSTORIA www.teses.net L’associazione culturale Teses (TEam Sperimentale Esplorazione Sotterranei), fondata nel 1996 da Luigi Bavagnoli, ha lo scopo di ricerca, studio, esplorazione e tutela del patrimonio sotterraneo italiano. Gli studi condotti spaziano dalla speleologia all’archeologia, dall’architettura alla geologia, dalla storia al folklore, tutto documentato con video, fotografie e rilievi delle locations prima che il tempo o l’uomo le cancellino per sempre! VISITA IL SITO >>

Antikitera.net ARCHEOSTORIA www.antikitera.net Nato il natale del 2002, il portale ha raccolto nel tempo un vasto archivio di news (oltre 10.000) di paleontologia, archeologia, scienza, storia e mistero. Antikitera.net ha lo scopo di condividere quante più informazioni possibili degli argomenti trattati per poter dare visibilità anche a quelle notizie che altrimenti cadrebbero nel mare magnum del web. VISITA IL SITO >>

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www.issc-ciss.org L’esistenza di forme di vita extraterrestre ha sempre suscitato la curiosità umana. La scienza moderna ha dimostrato che la comunicazione via radio fra due stelle vicine è possibile, per quanto una stima realistica della probabilità dell’esistenza di vita extraterrestre rimanga difficile. L’avvento del SETI ha aperto una fase nuova nell’evoluzione del pensiero umano. Da questa premessa si è voluti fondare anche in Italia un’associazione per la ricerca della vita e dell’intelligenza extraterrestre. VISITA IL SITO >>

Acam

SITI WEB

Centro Italiano Studi SETI SCIENZA

MISTERO

www.acam.it Uno dei primi portali in Italia sulla Ricerca della Verità: dalle Origini e la Natura dell’Uomo al futuro che ci attende e le profezie del 2012. Miti, archeologia, scienza, fede, ragione, tantissimi articoli in cui si tenta di far luce alle tante domande insite nell’uomo. VISITA IL SITO >>

ENIGMA MISTERO www.enricobaccarini.com Sito del giornalista pubblicista e scrittore professionista Enrico Baccarini che si occupa di saggistica con un particolare interesse per ciò che è insolito e paradossale con una predilezione per gli enigmi storici. Presenti tante sezioni con articoli che approfondiscono temi come UFO, esoterismo, parapsicologia, criptozoologia, luoghi misteriosi e tanto altro ancora. VISITA IL SITO >> Giugno 2011 | n.0

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MOSTRE E EVENTI

Mostre e Eventi

Consigli per viaggiare e visitare musei, città e persone redazione@runabianca.it

a cura di Andrea Critelli

I LABORATORI DEL FESTIVAL DEL MONDO ANTICO ARCHEOSTORIA Rimini 24 – 25 giugno 2011 antico.comune.rimini.it Custodire il passato per [di] segnare il futuro. Questo è il titolo dell’edizione 2011 di Antico/ Presente, la rassegna che dal 2005 si è trasformata in Festival del Mondo Antico e che quest’anno viene declinata nella formula di “laboratori”. Venerdì 24 e sabato 25 giugno, Rimini e il suo territorio offriranno nuove e più ricche opportunità di riscoprire il passato, ma anche di trovare occasioni di incontro ed approfondimento per la comprensione del presente. Saranno dunque i primi giorni dell’estate riminese a salutare la nuova edizione pensata come un laboratorio di attività ed esperienze nei luoghi più suggestivi dell’antico, come vuole la tradizione del Festival. Principali protagonisti saranno i giovani e i giovanissimi, custodi del patrimonio culturale, che si tufferanno nell’antichità, dalla preistoria all’età romana, cimentandosi in diverse forme di arte e artigianato, sfidandosi nei giochi dei loro antenati, divertendosi alle consolle o ai tavoli con giochi ispirati al mondo classico, seguendo visite guidate animate e plurisensoriali, lasciandosi affascinare da narrazioni, suoni, danze...Ma anche i meno giovani che potranno soddisfare le loro curiosità sul mondo dei gladiatori, esplorato attraverso l’archeologia sperimentale dall’Associazione Ars dimicandi, o partecipare a incontri sui temi della conservazione del patrimonio culturale portati alla ribalta del grande pubblico da recenti eventi e

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MOSTRE E EVENTI

pubblicazioni, o subire il fascino delle grandi scoperte archeologiche anche in terre lontane. O ancora incontrare nomi prestigiosi della storia e dell’archeologia, assistere a conversazioni e dialoghi, seguire spettacoli teatrali. Al fumetto, linguaggio privilegiato per comunicare l’antico a piccoli e adulti, saranno dedicati una tavola rotonda a cura dell’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna e inoltre uno spazio particolare pensato in collaborazione con Cartoon club. Eroi e personaggi disegnati dalla matita di noti fumettisti, saranno dunque i compagni di questa avventura alla scoperta del passato di un territorio ricco di storia e di archeologia come quello di Rimini. Un distretto che comprende realtà originali quali la Domus del chirurgo, il centro villanoviano di Verucchio, oltre ai monumenti di una città che ancora ricalca l’assetto romano e tuttora si aggancia al reticolo stradale tracciato più di 2000 anni fa. Un teatro naturale dell’antico che vive però intensamente il presente con uno sguardo aperto e innovativo al futuro. Le visite guidate al Museo della Città, ricco di testimonianze dalle origini e di uno strepitoso campionario di mosaici romani, nonchè alla Rimini antica, offriranno occasioni d’incontro anche con i personaggi della Storia, da Cesare ad Augusto fino a Sigismondo Malatesta, il principe mecenate che nel XV secolo volle esaltare nel suo Tempio la tradizione architettonica romana. Nell’intento di “custodire il passato per [di]segnare il futuro” si racchiude lo spirito di questa edizione del Festival improntata al laboratorio nel significato etimologico che fa del lavoro l’esperienza del conoscere per conservare e per costruire il domani. Proprio Rimini, città del divertimento e della vacanza, si fa portavoce di questo messaggio lanciato in primo luogo ai giovani, eredi della ricchezza di un patrimonio universale. Ed è allora che il mare, quello stesso mare che fa da sfondo alla vivace scena del mosaico “delle barche” e tinge di turchese il logo del Festival, è lo scenario in cui antico e presente si incontrano per ispirare le fondamenta del futuro. L’iniziativa, organizzata dai Musei Comunali di Rimini, Biblioteca Gambalunga e Istituzione Musica Teatro Eventi del Comune di Rimini, gode del patrocinio del MIBAC, della Regione Emilia-Romagna, dell’Università di Bologna, della Commissione Nazionale per l’UNESCO. Per informazioni: Tel. 0541704308 - 0541704290 eMail: festival.antico@comune.rimini.it Giugno 2011 | n.0

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L’INTERVISTA

Arcani simbolismi nei campi di Braccagni? Luci nel cielo e geometrie sacre nel grossetano Intervista a Vincenzo Di Gregorio tempo di lettura 11 minuti

a cura di Enrico Baccarini


Arcani simbolismi nei campi di Braccagni?

a cura di Enrico Baccarini

Vincenzo Di Gregorio

Architetto ed imprenditore, da sempre appassionato di archeologia, noto come scopritore delle cosiddette “piramidi di Montevecchia” i cui studi sono stati pubblicati nel libro dal titolo Il Mistero delle Piramidi Lombarde (Fermento, 2009). Fondatore di Antikitera.net (uno dei più noti siti web di news archeologiche e di misteri) e della rivista Runa Bianca (www.runabianca.it). Per le sue ricerche si avvale di foto aeree sia nel visibile che nell’infrarosso, fondando una società finalizzata alla ricerca chiamata “ludi ricerche” che fa capo al sito web: www.aereofoto.it. Suoi studi son stati mostrati in diverse riviste di settore, e su reti televisive quali : Voyager (rai2), Mistero (italia1), Mediolanum Chanel (Sky), OdeonTV. Il Mistero delle Piramidi Lombarde Fermento, 2009 leggi scheda completa >>

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a destato molto scalpore ed interesse la scoperta ai primi di giugno di un enorme cerchio nel grano nei pressi di Braccagni, in provincia di Grosseto, un evento che ha velocemente superato i confini italiani venendo inserito nel più importante sito al mondo sul tema, Crop Circle Connector. L’enorme eco avuta da questo Crop può essere forse spiegata nelle sue considerevoli dimensioni, ben 104 metri di diametro, oppure nell’apparente semplicità del suo disegno. Comunque la si voglia pensare l’evento verificatosi a Braccagni sembra riservare ancora molte sorprese ai suoi studiosi, anomalie che sembrano possedere un livello di complessità sempre più profondo. La notizia della sua scoperta viene battuta inizialmente e in tutta la sua sensazionalità il 6 giugno scorso nella versione online del quotidiano Il Tirreno, per essere subito ripresa nei principali canali di informazione nazionale, tra cui La Nazione del 13 giugno. Subito dopo la scoperta, l’Architetto Vincenzo di Gregorio è stato avvertito della comparsa dello strano disegno nel grossetano e con il suo velivolo ultraleggero si è recato sul posto sorvolando la zona e donandoci immagini di ineguagliabile bellezza. Alcune indagini preliminari hanno inoltre stabilito anche che nei giorni precedenti la comparsa di questa formazione strane luci erano state viste sorvolare la zona, oggetti di cui non è stata possibile appurarne la natura e l’origine. Per questo primo numero de LA RUNA BIANCA abbiamo intervistato, in esclusiva, l’Architetto Vincenzo Di Gregorio tra i primi testimoni ad essersi recati sul posto e ad aver visionato la formazione. Dalle indagini condotte

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a cura di Enrico Baccarini

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Fotografia aerea del Crop Circle realizzata da Vincenzo Di Gregorio sono emersi elementi di grande interesse che potrebbero portarci a comprendere nella sua globalità sotto una nuova luce questo fenomeno e che, nel caso specifico, sembrano sottendere significati e significanti ben più profondi di

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quanto ci si sarebbe aspettato. Se molte domande rimangono ancora senza risposta, se il fenomeno non sembra aver ancora trovato una spiegazione esauriente, è indubbio il fascino che queste formazioni ritrovate nei campi di tutto il mondo sembrano emanare su stuoli di studiosi ed appassionati. Simbologie, energie sconosciute, richiaGiugno 2011 | n.0


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Enrico Baccarini: Architetto Di Gregorio, come ha saputo del Crop? Vincenzo Di Gregorio: Il cerchio era stato avvistato da un amico grossetano già sabato 4 giugno che si è subito Ricostruzione grafica del Crop Circle

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premurato di avvisarmi. Da anni sono un grande appassionato di foto aeree a mezzo di un paio di superleggeri per cui mi sono recato subito sul posto ed ho effettuato un sorvolo scattando una serie di foto per documentare il ritrovamento. Ritornato a terra, per mezzo di un GPS con un buon livello di approssimazione, ho prelevato le coordinate dei punti essenziali per poter effettuare una restituzione grafica dell’intera formazione.

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L’INTERVISTA

mi ancestrali che costituiscono solo la punta di un iceberg che ancora deve essere indagato!

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E.B.: Qual è stato l’esito di queste rilevazioni? V.D.G.: Nella sua essenza il crop circles di Grosseto risulta essere composto da diversi anelli concentrici di varie misure (disegno n°2), una figura ragguardevole. Le misure che ho riscontrato si riferiscono ai diametri espressi in metri: 104 – 88 – 52 – 36 – 10,4. Nel caso dei cerchi esterni, che sono Gli anelli concentrici di varie misure

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risultati essere 24, ho riscontrato un diametro di 5,2 m mentre per la parte interna, in cui sono visibili 6 cerchi, ho riscontrato un diametro di 2,6 m. Attorno ai 6 cerchi interni si nota una zona di “rispetto” che ha una misura inscritta sempre in un cerchio di 5,2 m di diametro. Sono rimasto incuriosito da queste proporzioni e dopo alcune analisi ho evidenziato che le misure individuate sembrano essere multipli e sottomultipli del cubito reale egizio.

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sistema metrico decimale o quello anglosassone - ndr) ma un’unità di misura che non è più utilizzata da oltre 2000 anni. Studiando le proporzioni dei vari cerchi non si può non constatare la ricerca di rapporti pari a metà o doppio.

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E.B.: Ci può spiegare meglio? V.D.G.: La misura del cubito reale era di circa mezzo metro e corrispondeva idealmente alla lunghezza dell’avambraccio, a partire dal gomito fino alla punta del dito medio. La misura precisa variava a seconda dei paesi per cui il Cubito ebraico era di 44,45 cm mentre il Cubito egizio di 44,7 cm ed infine il Cubito reale egizio (niswt) di 52,3 cm. Non e’ casuale che l’inclinazione della piramide di Keope sia di 52 gradi. Il dato interessante è che in questo Crop, non son state utilizzate le unità di misura più diffuse della nostra società (

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E.B.: Potrebbe farci qualche esempio specifico? V.D.G.: Certamente! Ad esempio il cerchio interno (nel disegno di colore rosso - ndr) ha un diametro di 52 metri mentre Ricostruzione del calendario profetico

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Da notare la presenza di un paleoalveo che scorre sulla piana e passa proprio al centro del crop

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E.B.: Oltre a lei qualcun altro ha identificato elementi simbolici così profondi nel crop rinvenuto a Braccagni? V.D.G.: Si! Un ricercatore di nome Alessandro Pancia dopo aver visto sui giornali l’immagine del Crop di Grosseto ha cominciato a elaborare una teoria che trasforma questo cerchio nel grano in una specie di calendario profetico il cui scopo è avvisare che in certe date nel prossimo futuro potranno accadere certe cose. L’idea base è quella che i 6 cerchi interni fossero altrettante punte del cosiddetto “sigillo di Salomone” cioé l’unione di due triangoli, uno con la punta verso l’alto ed uno con la punta verso il basso. Questo “sigillo” dividerebbe il lato esterno del crop in 6 spicchi con all’interGiugno 2011 | n.0

no 4 cerchi cadauno. Il principio su cui si basa tutta l’ipotesi formulata successivamente da Pancia chiama in causa il fatto che il crop è apparso il 6 Giugno, e mancando 24 giorni a fine giugno, le 24 sfere raffigurino i giorni di questo mese, mentre le punte della Stella di David, o sigillo di Salomone, indichino altrettante date in cui dovrebbe succedere qualcosa di importante. Queste date sono state identificate nei seguenti giorni: il 10 Giugno 2011, il 14 Giugno 2011, il 18 Giugno 2011, il 22 Giugno 2011, il 26 Giugno 2011 e il 30 Giugno 2011.

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quello esterno (di colore verde - ndr) ha invece un diametro di 104 metri (52m x 2). Il diametro del cerchio interno ( di colore nero - ndr) è di 10,4 metri pari al doppio del diametro di tutti i 24 cerchi esterni, che sono di 5,20 metri, a loro volta il doppio del diametro dei cerchi interni pari a 2,60 metri. Si possono leggere anche altri interessanti rapporti matematico/simbolici, come il fatto che moltiplicando il numero di cerchi interni, 6, con quelli esterni, 24, si ottiene il numero di 144 dall’alto valore simbolico e che si ritrova spesso nella Bibbia e nell’Apocalisse dei San Giovanni in particolare. Ma come il fatto che unendo i 6 cerchi interni si possono formare due triangoli equilateri tra di loro simmetrici, meglio noto come il “Sigillo di Salomone” o “Stella di David”.

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E.B.: Quale è la sua opinione a riguardo? Ritiene anche lei ci possano essere dei simbolismi nascosti? V.D.G.: Purtroppo il crop è apparso nei giornali il 6 giugno, ma è stato avvistato il giorno prima e sicuramente si è formato tra il 3 ed il 5 giugno. L’ipotesi che quindi i 24 cerchi esterni potessero indicare i giorni dei mesi di giugno viene a decadere. Ma se volessimo proseguire su questo filone di interpretazione, solo per vedere dove ci porta, potremmo ipotizzare che al posto dei giorni, i cerchi, indichino i mesi a partire da questo della sua formazione. Partendo quindi dal giugno 2011 le date che vengono da questo nuovo “calendario” cadrebbero a cavallo dei mesi : Settembre/ottobre 2011, Gennaio/Febbraio 2012, Maggio/ Giugno 2012, Settembre/Ottobre 2012, Gennaio/Febbraio 2013. La prima data da “curare” è quindi un giorno di settembre quale esempio l’anniversario del crollo delle torri gemelle l’11 settembre Runa Bianca

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L’INTERVISTA

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una strada che corre per qualche decina di metri parallela al vecchio torrente che conduce ad una serie di “anomalie” di forma circolare, retaggio di vecchie costruzioni.

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E.B.: Ci sono state altre ipotesi a riguardo? V.D.G.: Si! Sul sito CropCircle Decoder è Suggestiva panoramica del campo di grano dov’è stato realizzato Crop Circle

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apparsa una seconda teoria secondo cui il messaggio nascosto dai creatori del cerchio implicherebbe un bisogno di cambiare il sistema attuale al fine di affrontare la sfida proveniente da un imminente periodo caotico. Tra le modifiche proposte vi sarebbe la riallocazione della misurazione temporale delle 24 ore di un giorno introducendo un nuovo sistema a 6 ore e il passaggio dai 24 fusi orari a 6 fusi orari. Ma perché abbiamo bisogno di cambiare? E perché sei fusi orari? Beh, sarà necessaria la saggezza per capirlo...

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del 2011. Ma questo tipo di “profezie” hanno l’indubbio fascino di tutte le profezie, ma per contro anche l’insicurezza e l’indeterminatezza. Infatti in un arco di tempo così vasto (due mesi) nel mondo può succedere di tutto, da calamità naturali a omicidi più o meno “eccellenti”.

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E.B.: Quali altri elementi di interesse ha rilevato durante il suo sorvolo? V.D.G.: Soffermerei l’attenzione su di un fatto oggettivo e molto particolare. Il Crop di Grosseto si trova in località Braccagni in un campo di grano dall’estensione di circa 250 Ettari. In questo campo le foto aeree hanno rivelato la presenza di un paleoalveo che scorre sulla piana e passa esattamente al centro del crop. Casualità? Ma non solo osservando la foto in dettaglio si scorge la presenza di una strada che corre per qualche decina di metri parallela al vecchio torrente e che conduce ad una serie di “anomalie” di forma Altra immagine del Crop Circle c ircolare, retaggio di

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vecchie costruzioni. Abbiamo mostrato questa foto ad un archeologo specializzato nel periodo pre-storico e ci ha confermato che con molta probabilità si tratta o di un villaggio dell’età del bronzo (4000 anni) o di una necropoli etrusca. A seguito abbiamo ovviamente avvertito le autorità competenti. Siamo quindi anche in presenza di un notevole sito archeologico completamente sconosciuto e che affiora solo adesso grazie alla formazione di questo crop ed alle foto aeree ad esso correlate. Giova sottolineare per chi non studia questo fenomeno, che in moltissimi crop “storici” spettacolari formatisi nelle campagne inglesi, si è constatato la stretta correlazione tra la formazione e un sito archeologico una

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E.B.: Quale è la sua opinione sui cerchi nel grano? V.D.G.: Secondo il mio personalissimo punto di vista, soggettivo e quindi opinabile, di Crop veri non ce ne sono ... Ci sono solo quelli fatti bene… quelli fatti male... e quelli fatti malissimo. Quelli inglesi son fatti bene per la professionalità di quegli artisti organizzati in squadre che sanno esattamente cosa fare e come farlo. Rimane indubbio il fatto che sono delle opere di Land Art. Il vero mistero dei Crop è nella psiche di chi li fa e di chi Vista ravvicinata che evidenzia il paleoalveo che scorre sulla piana e attraversa il Crop Circle

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li va a visitare. Il realizzare un’opera che ha molti valori simbolici e numeri “magici”... o ritenuti tali da migliaia di persone per migliaia di anni. Evocare certe “forze” a volte funziona. Gli effetti elettromagnetici... le energie che si sentono quando si entra in un Crop “vero”... prescinde su chi lo ha fatto... ma è la potenza del simbolo evocato. Chi ha provato a fare delle sedute spiritiche col sistema delle lettere in cerchio... sa cosa vuol dire ... aprire porte che non si sanno dove portano. Per il 90% questo Crop sarà stato fatto dai soliti buontemponi ... ma casualmente il Crop ha centrato perfettamente un sito archeologico assolutamente invisibile dal basso.

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per tutte quello apparso a Silbury Hill.

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E.B.: Vero o falso che sia quindi gli autori sono stati ‘guidati’ a realizzarlo in quel campo? V.D.G.: Sara’ un caso? O vi sono delle doti ESP che vengono eccitate dai simboli realizzati in scala enorme. Quello che mi chiedo è se siamo proprio sicuri che visualizzare in dimensioni mega ...un sigillo di Salomone, dei simboli sacri, celtici, magici... anche se fatti da 4/6 ragazzi... non possa innescare realmente energie per noi poco note? Io penso di si! Quindi il problema di approccio al problema Crop è sempre stato sbagliato. Non occorre impostare il dilemma sul falso o vero! Ma che simboli evoca! La forza di un Crop è per me solo in questo. Il fatto che in questo Crop è stato usato come unita di misura il “cubito reale egizio” di 52,3 cm e suoi multipli ... può aver evocato forze sopite da millenni. 52 gradi e’ l’inclinazione della piramide di Keope. Alessandro Pancia come descritto ha intepretato questo Crop come una specie di Stonehenge, di calendario profetico... e se fosse vero ? Se il disegno prevaricasse la stessa volontà dei costruttori ed acquistasse una sua autonomia profetica ? Occorre riflettere anche su questo.

vita di tutti i giorni. Se non credi in una cosa... puoi fare anche a meno di farla. Se ci credi veramente ed intensamente...!!! Quanti simboli che abbiamo ereditato dalle culture precedenti hanno avuto e continuano a mantenere un significato ben preciso per migliaia di persone ? Non è quindi il simbolo in se... ma la “psiche” di coloro che in quel simbolo han visto certe cose/doti... che ne costituisce la sua forza. Per aggiornamenti dell’interpretazione della Teoria del Sigillo di Salomone sul Synergy Forum: La teoria del Sigillo di Salomone e le sfere di consapevolezza della CABALA Ulteriore intervista a Vincenzo Di Gregorio sul podcast di Radio Kiss Kiss da ascoltare o scaricare: Dillo alla Lillo cerchi nel grano

E.B.: I Crop Circle sarebbero quindi come degli enormi catalizzatori di energie? V.D.G.: E’ un discorso simile a quello dell’effetto placebo. Adesso si sa che se uno crede fermamente in qualcosa... quella cosa si realizza... questo nella guarigione di certe malattie, ma anche in quasi tutto quello che ci succede nella

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Il mistero delle piramidi lombarde Vincenzo Di Gregorio

IN LIBRERIA

Una delle scoperte più affascinanti d’Italia

L’individuazione negli anni ‘90 di tre colline dalla curiosa forma piramidale è stato l’inizio di uno studio che ha portato alla luce un periodo poco noto della storia dell’umanità


CURIOSITA’

Il mistero della spedizione Doria-Vivaldi Punteggiature storiche tempo di lettura 7 minuti

di Elena Serughetti


Il mistero della spedizione Doria-Vivaldi

di Elena Serughetti

Elena Serughetti

Naturalista, si occupa di educazione ambientale e da anni coltiva per passione lo studio della storia, dell’archeologia e delle “scienze di confine”. Collabora con diversi siti web che si occupano di informazione e attualità ed è responsabile del sito Crocomania.com.

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CURIOSITA’

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i sono personaggi e vicende della storia che, sebbene ben documentati, risultano quasi del tutto sconosciuti al grande pubblico. Lasciati scivolare nel baratro dell’oblio, si trovano purtroppo in buona compagnia; ed è proprio in questo baratro che vorremmo intrufolarci, per andare alla scoperta di fatti curiosi e interessanti, levando un po’ di quella polvere che si portano addosso da secoli. Una vicenda quanto mai misteriosa è quella di un’ardita spedizione avvenuta nell’anno del Signore 1291, la cui fine è avvolta dalle fitte nebbie del mistero. Nel Medioevo le grandi città marinare della penisola si contendevano il primato dei mari per conquistare vie preferenziali verso paesi ricchi di materie prime. La Repubblica di Genova aveva già dall’XI secolo stretto una serie di importanti sodalizi e trattati di amicizia con diversi paesi arabi, stabilendo per esempio in Siria una serie di possedimenti commerciali e aprendosi ai canali medio-orientali in direzione delle Indie. Si trattava però di territori instabili e i molti balzelli richiesti, uniti ai tentativi di frode, alle troppe intermediazioni di popolazioni locali e alla concorrenza con le altre repubbliche marinare, spinsero i genovesi a cercare una via per mare in sostituzione di quelle troppo insicure di terra. Gli stretti e duraturi rapporti tra i genovesi e il mondo arabo permisero alla repubblica marinara di attingere a una serie di conoscenze di potenziale importanza strategica. Si sapeva per esempio che l’Africa altro non è che una grande penisola: era possibile quindi circumnavigarla, aprendo così una via di mare verso le Indie e le loro ricchezze. I genovesi si erano perciò persuasi che si poteva ben girare attorno all’Africa: bisognava solo trovare qualche ardimentoso patriota che si cimentasse nell’impresa, ricca di incognite, di navigare là dove nessuno aveva mai navigato

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CURIOSITA’

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prima. “Ad partes Indiae per mare oceanum” (verso l’India attraverso l’oceano): era questo il proposito della repubblica genovese, ancor più dopo la caduta delle ultime piazzeforti cristiane in mediooriente. Nello stesso mese di maggio del 1291 in cui S. Giovanni d’Acri veniva espugnata dagli “infedeli”, Tedisio Doria e Ugolino Vivaldi terminavano di armare due galee e Ugolino stesso insieme al fratello Vadino prendeva il mare alla volta dell’Africa. Diversi autori dell’epoca e successivi, tra cui il Petrarca, Pietro d’Abano e Agostino Giustiniani, riportano interessanti particolari della coraggiosa spedizione, che anticipa di ben due secoli le imprese celeberrime di Vasco Da Gama. Quanto estremo e straordinario fosse il proposito dei navigatori genovesi viene palesato da Jacopo Doria, testimone all’epoca dei fatti e cronista degli Annali del Caffaro, che lo descrisse come un viaggio che nessuno prima di loro aveva mai osato tentare (“quod aliquis usque tunc facere minime attemptavit”). Sulle due galee, la Sant’Antonio e la Allegrancia, si imbarcarono certamente i due fratelli Vivaldi, mentre permangono forti dubbi che anche Tedisio Doria avesse preso parte alla spedizione, comparendo quindi solo in veste di armatore. La spedizione partì dunque da Genova e, superato lo “Stretto di Setta” (Ceuta, oggi Stretto di Gibilterra), giunse fin oltre il “Capo di Gozola” (Gazora, sulle coste africane, all’incirca all’altezza delle Isole Canarie). Dopo ciò, non si seppe più nulla dell’eroico viaggio. Runa Bianca

di Elena Serughetti

Nel suo “L’Expédition génoise des frères Vivaldi” (1859), il Cavaliere D’Avezac sostiene che una delle due galee (quella secondo lui capitanata da Tedisio Doria) si arenò poco dopo avere oltrepassato il Capo di Gozola, mentre l’altra continuò il viaggio da sola “verso il Mar di Guinea, fino a che pervenne ad una città della costa di Nigrizia chiamata Mena, poco discosta dal fiume Senegal che i dotti d’allora riguardavano come un ramo del Nilo d’Egitto ed ugualmente indicavano col nome di Gihon. I fratelli Vivaldi vennero sostenuti dagli indigeni, né più rividero la propria patria. Ciononostante la loro stirpe non si estinse sopra quella remota terra; e più di 170 anni dopo, il navigatore Antoniotto Usodimare, arrivato colà vi ritrovò un superstite degli antichi avventurieri della spedizione dei fratelli Vivaldi.” (1) Non è dello stesso parere lo storico genovese Michele Giuseppe Canale, che in diverse sue opere della metà dell’800 riporta cronache relative alla misteriosa spedizione. In una di queste obietta al D’Avezac due fondamentali incongruenze: come poteva Tedisio Doria tornare indietro a raccontare i fatti, se la sua galea si arenò tanto da non poter più “né muoversi né continuare il viaggio”? Inoltre la stessa presenza del Doria a bordo delle navi non solo non è certa ma sembra anzi da escludersi in base alle cronache del tempo redatte da Jacopo Doria. I genovesi, sostiene il Canale, avrebbero potuto essere informati del raggiungimento del Capo di Gozola da relazioni pervenute dalle terre africane o spagnole, con cui la repubblica marinaGiugno 2011 | n.0


Il mistero della spedizione Doria-Vivaldi

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ta nelle nebbie di congetture e silenzi. Le cronache di Jacopo Doria riportano un laconico “Non abbiamo più avuto notizia certa di loro” (“aliqua certa nova non habuimus de eis”); autori posteriori si lanciano in supposizioni che mancanco però di testimonianze e dati certi. Possiamo immaginare che almeno una galea possa aver costeggiato ancora per un buon tratto le coste africane, scoprendo paesaggi e popoli insoliti, profumi bizzarri, orizzonti lontani. Forse i fratelli Vivaldi e il resto dell’equipaggio fecero naufragio alla foce del fiume Senegal, forse si salvarono e continuarono le proprie vite lontano dalla patria, come sostiene D’Avezac, o forse riuscirono persino a raggiungere il Sudafrica e sperimentarono le turbolente acque del Capo di Buona Speranza. Non possiamo saperlo, ma ci piace almeno rispolverare dai meandri della storia questi brandelli di un’avventura grandiosa e rendere così omaggio ai coraggiosi navigatori della Sant’Antonio e dell’Allegrancia.

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ra aveva frequentissimi scambi. (2) Il Canale prosegue aggiungendo ulteriori particolari: una delle Isole Canarie venne chiamata Allegrancia, proprio come una delle due galee della spedizione, come si vede in una carta dell’Africa del Portolano Mediceo risalente al 1351; sembra quindi probabile che la scoperta di quelle isole da parte europea fosse avvenuta con la spedizione Doria-Vivaldi nel 1291. D’altra parte, l’impresa che sancisce l’avvio di contatti con le isole, quella di Lanzerotto Malocello del 1336 (da cui prese nome l’isola di Lanzerotta, oggi Lanzarote), potrebbe essere stata approntata proprio per cercare tracce della spedizione precedente. Anche Cristoforo Colombo riconosce il merito ai prodi navigatori genovesi, ai quali tributa l’onore di avere “scoperto o trovato di nuovo le dimenticate Canarie”, evento che molti storici successivi tendevano a datare al XV secolo. (3) Girolamo Tiraboschi ci ricorda che anche il poeta Petrarca nel 1346 dava per certa la scoperta delle Canarie da parte dei genovesi (“Eo siquidem et patrum memoria Genuensium armata classis penetravit”, De Vita Solitaria) (4), mentre Dante Alighieri ha in mente probabilmente proprio la sventurata spedizione dei fratelli Vivaldi quando descrive l’ultimo viaggio di Ulisse nel XXVI Canto dell’Inferno. Cosa sia potuto accadere alle due galee genovesi dopo il “Capo di Gozola” non è dato sapere. La fine dell’ardimentosa impresa, che anticipa di due secoli lo spirito che pose fine al Medioevo e aprì le porte alla storia moderna, è avvol-

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Note 1) “L’Expédition génoise des frères Vivaldi a la découverte de la route maritime des Indies Orientales aux XIII° siècle”, M. D’Avezac. Paris, 1859. Pagg. 18-19. 2) “Storia del commercio, dei viaggi, delle scoperte e carte nautiche degl’Italiani”, Michele Giuseppe Canale. Genova, 1866. Pagg. 305-312. 3) “Lettere autografe edite ed inedite di Cristoforo Colombo”, G. Daelli. Milano, 1823. Pagg. 24-25. 4) “Storia della letteratura italiana. Volume II”, Girolamo Tiraboschi. Niccolò Bettoni e Comp., 1823. Pagg. 49-50.

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CURIOSITĂ€

Il significato alchemico del Baphomet Perle di Saggezza tempo di lettura 2 minuti

di Lilly Antinea Astore


Il significato alchemico del Baphomet

Conduttrice e creatrice dei primi convegni di parapsicologia con relatori Massimo Inardi e Peter Kolosimo. Archeoastronoma, Cavaliere dell’ordine mistico Rosacrociano, rappresentante internazionale Synergetic Art, creatrice della trasmissione radiofonica Dimensione X, conduttrice di UFORAMA.

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Il Baphomet era in origine raffigurato come un triangolo isoscele rovesciato simbolizzante l’acqua e contenente, un secondo triangolo più piccolo, rivolto in senso inverso rispetto al primo, che riproduceva il naso di una figura umana a rappresentare il fuoco incluso nell’acqua. Sulla base del grande triangolo vi era un segno simile ad un’ H maiuscola, ma più largo e munito di un cerchio centrale, indicante lo spirito universale creatore. Nel gran triangolo a simboleggiare degli occhi,erano raffigurati la falce lunare e il cerchio solare. Alla base del piccolo triangolo era posto il globo crocifero indicante lo zolfo associato al mercurio. Dalla figura alla base del triangolo, si propagavano dei raggi che, verosimilmente miravano a simboleggiare una barba. Così, in una prospettiva ingannevole e forzata di natura demonologico-zoomorfica’; si presentava la ‘terrificante’ figura del Baphomet templare, il quale, in realtà, non è altro che un geroglifico completo dell’OPERA ermetica. Per quel che concerne l’etimologia di questa parola, essa deriva da BAPHEUS (tintore), MES (messo) e MEN (LA LUNA), e quindi “TINTORE DELLA LUNA” o, ancora, “TINTORE DELLA MATRICE (meter riferendosi al battesimo simbolico di Meteo, haphe meteos), battesimo della natura naturante, battesimo della luce o battesimo del fuoco. La parola latina BAPHEUS (tintore) e il verbo meteo (cogliere raccogliere, mietere) segnalano ugualmente questa virtù speciale posseduta dal Mercurio, o LUNA DEI SAGGI, di captare, durante l’immersione o il bagno del re, la madre che l’abbandona e la conserverà nel suo seno per il tempo richiesto. Si tratta qui del GRAAL contenente il Vino Eucaristico, liquore di fuoco spirituale (lo Spirito Santo), del colore del sangue, che Gesu’ versò per l’ Ordine Umano e per L’UNIONE nel padre creatore, come atto di estremo sacrificio: il Sangue Reale DEL RE DEI RE. Runa Bianca

CURIOSITA’

Lilly Antinea Astore

di Lilly Antinea Astore

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Il cavallo di Leonardo da Vinci Nascita, vita e rinascita di un monumento tempo di lettura 18 minuti

di Alberto Arecchi


Il cavallo di Leonardo da Vinci

di Alberto Arecchi

Alberto Arecchi

Messinese di nascita, pavese di adozione, è architetto e scrittore. Dal 1975 al 1995 ha vissuto e operato in Africa come esperto di cooperazione per lo sviluppo internazionale. Fondatore e presidente dell’Associazione culturale Liutprand, che cura in particolare pubblicazioni sul patrimonio storico e culturale del territorio pavese, con una grande apertura per le indagini “alternative”. Tra i suoi libri ricordiamo: Anonimo Ticinese e l’ultimo templare (EMI, 1988), La Maledizione di San Siro: La verità pericolosa (Liutprand, 1999), Il Tesoro dell’Antipapa nei sotterranei segreti della Certosa di Pavia (Liutprand, 2003), Racconti da due mondi (Liutprand, 2006) e...

Atlantide: un mondo scomparso un’ipotesi per ritrovarlo Liutprand, 2001 leggi scheda completa >>

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Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, pensò di celebrare la figura e le imprese del padre Francesco Sforza con una statua equestre in bronzo, in grandezza naturale, da collocare all’interno del Castello Sforzesco, o nel rivellino verso la piazza. Nel 1473 diede quindi incarico al funzionario ducale Bartolomeo da Cremona di cercare artisti capaci di realizzare l’opera. Bartolomeo contattò il figlio di Maffeo da Civate ed i fratelli Mantegazza, ma né l’uno né gli altri erano fonditori esperti e proposero il primo di realizzare la statua in rame martellato e dorato, i secondi in ottone, anch’esso dorato. Galeazzo sollecitò ulteriori informazioni, ma si finì per non farne nulla, probabilmente perché le soluzioni tecniche proposte non apparivano soddisfacenti. Il duca morì improvvisamente tre anni dopo e l’idea fu ripresa dal fratello Ludovico il Moro, nei primi anni del suo governo. Nel 1484 i protocolli medicei registrano due lettere, oggi perdute, inviate da Lorenzo il Magnifico in risposta alle richieste di artisti avanzate dal Moro. È probabile che il Magnifico cercasse di venire incontro alla richiesta del signore milanese e consultasse diversi artisti, fra i quali sicuramente Antonio del Pollaiolo. Suoi sono infatti due disegni che la critica, concorde, mette in relazione con il monumento Sforza. Il coinvolgimento di Pollaiolo nel progetto, tuttavia, finì qui, perché nello stesso 1484 egli partì per Roma per realizzare la tomba di papa Sisto IV. La commessa passò allora a Leonardo da Vinci, che si trovava a Milano già dal 1482 e aveva manifestato il proprio interesse a Runa Bianca

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ascita di un monumento

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lavorare al progetto, degli aiuti. Che vi come dimostra una sia stata un’interrulettera, di solito datata zione nell’impegno al 1483, nella quale, ofdell’artista è indubfrendo i propri servigi bio, come conferma al Moro, si dichiarava una sua annotazioin grado di “dare opene sul codice C: “A ra al cavallo di bronzo”. dì 23 d’aprile 1490 Negli anni seguenti cominciai questo lil’artista si dedicò ad bro e ricominciai il approfondire lo studio cavallo”. di cavalli dal vivo, eseLa ripresa dei laguendo meravigliosi vori coincide con un disegni. Impossibile mutamento di prodire a quale stadio del gramma iconogralavoro fosse giunto nel fico, che comporta 1489, quando l’amfra l’altro un forte inbasciatore fiorentino grandimento delle a Milano, Pietro dimensioni della Alamanni, scrisse a statua. Un cavalCopertina del libro “Un cavallo per il Duca” Lorenzo, su incarilo di bronzo alto co dello Sforza, per richiedere l’invio di otto metri, del peso di 70 tonnellate. Tali “uno maestro o dua, apti a tale opera”, dimensioni rendono difficile pensare precisando che la commessa per “uno che la sua collocazione possa essere angrandissimo cavallo di bronzo, suvi il cora il rivellino del Castello Sforzesco. Un Duca Francesco armato” era stata affidadecreto ducale del 1492, con cui il Moro ta a Leonardo, ma avanzando il sospetto progetta di aprire una vasta piazza dache il Moro nutra dubbi sulla capacità vanti al Castello, fa supporre che proprio dell’artista di portare l’opera a compiquesta dovesse diventare lo scenario mento. definitivo del monumento. Dal 1490 in Le parole dell’ambasciatore sono in poi il lavoro di Leonardo prosegue alarealtà poco chiare e autorizzano ipotecremente e tra il 1491 e il 1493, il modelsi diverse: o Leonardo, occupato anche lo è pronto e visibile nel suo laboratoda altri interessi, non aveva prodotto rio di Corte Vecchia, l’ex palazzo ducale niente di concreto o di convincente e presso il Duomo. Lì sicuramente si trova Ludovico cercava possibili sostituti; opnel 1493, quando si celebra il matrimopure l’opera era a buon punto e il Moro, nio fra Bianca Maria Sforza e Massimiliatemendo che Leonardo non riuscisse a no d’Asburgo. condurre a termine da solo il difficile laLeonardo, tuttavia, non riuscirà mai voro di fusione, pensava di procurargli ad arrivare alla fusione. Nel 1494 i franRuna Bianca

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Milano, un’avanguardia delle milizie francesi di Luigi XII entra in Milano da Porta Vercellina e si accampa nei paraggi di San Vittore al Corpo. La vigna di Leonardo è poco lontana e l’enorme modello, ben visibile a così breve distanza, deve costituire un’irresistibile tentazione per i balestrieri guasconi che se ne servono come bersaglio, danneggiandolo e forse distruggendolo. Si salva invece la forma, che giace in completo abbandono, finché nel 1501 viene fatta richiedere da Ercole d’Este, intenzionato a riutilizzarla nella fusione di un monumento equestre a Ferrara. Non pare però che la sua richiesta sia stata accolta. Da quel momento della forma non si ha più notizia. Leonardo lascia Milano nel dicembre 1499, avendo senz’altro visto lo scempio del modello, e questo ricordo forse non è estraneo alla lapidaria e celebre frase con cui commenta la fine della fortuna del Moro: “Il Duca perso lo Stato e la roba e libertà, e nessuna sua opera si finì per lui”.

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cesi di Carlo VIII scendono in Italia, ed una enorme quantità di bronzo, pari a poco meno di 160.000 libbre (circa 70 tonnellate), che sarebbe dovuto servire alla realizzazione del monumento, viene invece mandata a Ferrara al duca Ercole d’Este per fabbricare cannoni. Il bronzo non sarà più reintegrato, a causa dei problemi finanziari del Moro, che, per sostenere la spedizione del re francese e pagare l’acquisizione del titolo ducale, ha finito per coprirsi di debiti. Leonardo tuttavia non abbandona il progetto e, secondo una suggestiva ipotesi di Pedretti, fra 1495 e 1497 trasferisce modello e forma di fusione dal laboratorio di Corte Vecchia ad una vigna di sua proprietà, nei pressi di Santa Maria delle Grazie, dove pensa probabilmente di sistemare la fonderia. Le speranze di portare a termine l’opera svaniscono però del tutto nel 1499, con la caduta del Moro. Il 9 e 10 settembre, quando Ludovico è già fuggito da

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La sfida della fusione

La ricostruzione in realtà virtuale del progetto del cavallo, nel cortile del Castello Sforzesco Giugno 2011 | n.0

La questione più complessa era la tecnica di fusione, di cui Leonardo si occupò a più riprese, lasciandone testimonianza in numerosi appunti, nei fogli di Windsor e nel secondo codice di Madrid. Gli studi si concentrano negli anni 1491–1494, quando egli cambia programma e concepisce un progetto di dimensioni abnormi, che esasperano i problemi legati alla fusione in bronzo. Runa Bianca

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Di tali problemi egli è perfettamente a conoscenza, essendo stato allievo di Verrocchio, uno dei maggiori fonditori in bronzo dell’epoca, dal quale aveva appreso la tecnica della fusione a cera persa, risalente all’età classica e riportata in auge nel Quattrocento, nel quadro di una più generale tendenza all’imitazione dell’antico. Essa prevede la realizzazione di un’anima in terra refrattaria, cioè resistente alle alte temperature, sbozzata s o m m a r i a m e nte e ricoperta di uno strato di cera, poi modellato fino ad assumere l’aspetto definitivo della statua. Il modello così realizzato viene racchiuso in una cappa, anch’essa in terra refrattaria, in cui sono predisposti i canali di colata. Il tutto, detto in gergo forma, viene calato nella fossa di fusione per la cottura, che ha la doppia funzione di asciugare e solidificare l’argilla e di sciogliere la cera la quale, fuoriuscendo, lascia fra l’anima e la cappa un’intercapedine, destinata a venire occupata dal bronzo. A questo punto si può procedere alla colata vera e propria, cui seguono l’eliminazione della forma e i lavori di rifinitura. Runa Bianca

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Questa tecnica presenta tuttavia una serie d’inconvenienti, difficili da affrontare. L’irregolarità dello spessore della cera, dovuta al fatto che l’anima sottostante è sbozzata solo in modo sommario, rende a sua volta irregolare lo spessore del bronzo, con la doppia conseguenza di dover impiegare più metallo di quanto sarebbe in effetti necessario e di non poterne calcolare in anticipo la quantità occorrente, a rischio di non riuscire a concludere la colata. Studi

Leonardo su cavalli, per monudi

mento equestre

Per Leonardo, che ha bisogno di alleggerire il più possibile il peso della statua, è invece essenziale ottenere un spessore del bronzo ridotto al minimo e uniforme. La tecnica della fusione a cera persa non è quindi adeguata allo scopo e l’artista, riprendendo una variante già in uso per la realizzazione di rilievi ma non ancora adottata nella statuaria a tutto tondo, elabora un procedimento nuovo, che verrà poi teorizzato da Vasari e che nelle sue linee essenziali continua ad essere impiegato ancora oggi. Giugno 2011 | n.0


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Studio di Leonardo per la fusione del cavallo “a testa in giù”

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La forma così ottenuta può ora esser calata nella fossa, pronta per la cottura e la colata. Con questa tecnica, più sofisticata e complessa di quella tradizionale, Leonardo raggiunge gli obiettivi che si è proposto: il controllo puntuale dello spessore del bronzo, garantito grazie all’utilizzo della grossezza, e la possibilità di calcolare, mediante un preciso rapporto fra unità di peso della grossezza e unità di peso del bronzo, la quantità di metallo necessaria alla fusione. Tratto dal Cap. 5 de “Un Cavallo per il Duca”, Anthelios Editore.

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Tale procedimento prevede innanzitutto la realizzazione di un modello d’argilla identico alla scultura finita. Del modello viene effettuato un calco in gesso che, per poter essere staccato dall’originale senza rompersi, è realizzato in un gran numero di pezzi (tasselli), ciascuno contrassegnato, così da poterli poi riaccostare nel giusto ordine. Il calco viene quindi ricomposto in due metà, all’interno delle quali si stende uno strato uniforme di una sostanza malleabile – ad esempio cera – che Leonardo chiama grossezza. All’interno del calco, in modo da riprenderne esattamente la forma, viene realizzata in materiale refrattario l’anima (o maschio), rinforzata con strutture metalliche di sostegno. A questo punto, le due metà del calco vengono chiuse sul maschio dopo aver tolto la grossezza e, nello spazio lasciato vuoto da quest’ultima, si procede a colare della cera. Eliminato anche il calco, la superficie della cera viene lisciata e rifinita e infine ricoperta con la cappa di fusione.

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Il problema della colata Risolto il problema della forma, Leonardo deve affrontare quello della colata, per la quale decide di procedere con un getto solo, salvo forse la coda, la cui complessità di realizzazione sembra suggerire una fusione a parte. La fusione in getto comincia a diffondersi nel Quattrocento, contrapponendosi a quella tradizionale in parti separate e poi saldate assieme e rifinite, rispetto alla quale risulta di assai più complessa realizzazione. Del resto, proprio le difficoltà tecniche, oltre alla resa estetica, sembrano fare di essa una sorta di ideale con cui gli artisti rinascimentali sono indotti a misurarsi ed è probabilmente per questo che Leonardo si ostina a tentarla, nonostante tali difficoltà siano ingigantite oltre misura dall’enorme mole del monumento. I maggiori ostacoli derivano dalla scelta della tecnica di fusione e della neRuna Bianca

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cessità di mantenere l’enorme quantità di metallo a temperatura costante nel corso della colata. Riguardo al primo problema, Leonardo studia due possibili alternative: fondere in verticale, collocando la forma rovesciata, con la testa del cavallo in basso e gli zoccoli in alto, oppure fondere in orizzontale, collocando la forma a giacere sul fianco. Entrambe le soluzioni presentano difficoltà di cui egli è ben consapevole. Una fusione in verticale richiederebbe una fossa profondissima che finirebbe per toccare la falda freatica, con un’umidità dannosa per la fusione e difficilmente eliminabile. Inoltre Leonardo teme che le zampe, che devono essere gettate piene, possano sfondare le altre parti, realizzate cave. Una fusione in orizzontale, invece, rischierebbe di comportare un raffreddamento non uniforme del metallo, ostacolandone quindi la distribuzione. Complica ulteriormente le cose il secondo problema, ossia la necessità di garantire al bronzo una temperatura costante durante tutta la colata. Date le dimensioni della statua, esso non è risolvibile con una sola fornace; Leonardo progetta di attivarne diverse contemporaneamente, ma la loro dislocazione crea ulteriori difficoltà. Runa Bianca

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Collocarle tutte a livello del terreno sarebbe la soluzione più naturale ma, se può andare bene nel caso di fusione in orizzontale, diventa improponibile qualora si decida di fondere in verticale, poiché il bronzo, dovendo scendere da un’altezza elevata, finirebbe per raffreddarsi prima di aver raggiunto tutte le parti della fusione. Nell’esaminare quest’ultima ipotesi, Leonardo prevede perciò di distribuire i forni su più livelli sovrapposti lungo i lati della fossa. Un procedimento molto complesso, che comunque non dà garanzia di risultati ottimali. Entrambe le scelte (fusione in verticale e fusione in orizzontale) presentano quindi sia vantaggi sia inconvenienti, che Leonardo analizza accuratamente. Una nota contenuta nel secondo codice di Madrid: “A dì 20 di dicienbre 1493 conchiudo gittare il cavallo sanza coda e a diacere” lascerebbe pensare che egli sia orientato verso questa soluzione, ma in realtà il fatto che le sue ricerche proseguano anche oltre il 1493 rende difficile affermare con certezza che questa sia veramente la decisione definitiva. Leonardo appare dunque perfettamente conscio dell’enorLeonardo:

composizione

di testa di cavallo

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mità dei problemi tecnici connessi alla realizzazione del monumento Sforza, tanto da temere ad un certo punto di non riuscire a concludere l’opera. A testimonianza dei suoi dubbi resta la minuta di una lettera del 1497 per i Fabbricieri del duomo di Piacenza, in cui, parlando di sé, egli scrive: “ ...Lonar fiorentino, che fa il cavallo del duca Francesco di bronzo, che non ne bisogna fare stima, perché ha a che fare il tempo di sua vita, e dubito che, per l’essere sì grande opera, che nolla finirà mai”. Tratto dal Cap. 5 de “Un Cavallo per il Duca”, Anthelios Editore.

I due cavalli Dal settembre 1999 a S. Siro, Milano, è presente un nuovo monumento: un gigantesco cavallo di bronzo ispirato ai disegni di Leonardo, realizzato negli Stati Uniti e donato alla città dalla Fondazione “Leonardo’s Horse”. Leonardo aveva concepito la costruzione della più grande statua equestre del mondo, un’impresa che coniugava arte e sfida tecnica; durante i diciassette anni di permanenza a Milano, Leonardo riuscì però a preparare soltanto un gigantesco modello in creta che fu distrutto, durante l’occupazione francese delCharles Dent con il suo modello del Cavallo di Leonardo la città, dai soldati francesi che Armatura della testa del cavallo, da un altro disegno di Leonardo

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scelsero il modello come bersaglio per le loro balestre. Quasi cinquecento anni dopo, nel 1977, Charles Dent, un ex–pilota di linea statunitense, lesse un articolo del National Geographic sul Cavallo di Leonardo e s’innamorò dell’idea di realizzare quel cavallo che Leonardo aveva potuto soltanto sognare, per regalarlo alla città di Milano come segno di gratitudine verso il Rinascimento italiano che tanto aveva dato al mondo intero. Dent creò quindi una fondazione (www.leonardoshorse.org) per raccogliere i fondi necessari alla costosissima fusione del Cavallo; il problema era però che in realtà dell’idea originale di Leonardo non restavano che pochi schizzi, del tutto insufficienti a farsi un’idea precisa del progetto originale. Dent creò un comitato scientifico di esperti leonardeschi e fece realizzare un modello del cavallo che però neppure lui riuscirà a vedere realizzato in bronzo: morirà infatti nel 1994. Nel 1999, finalmente, sotto la guida della scultrice Nina Akamu, il cavallo viene fuso in pezzi separati poi uniti; nel settembre 1999 il Cavallo viene portato a Milano, presso l’Ippodromo di San Siro, luogo nel quale è oggi visibile in tutta la sua mole e la sua bellezza. In verità il Cavallo di San Siro non ha molti legami con il Cavallo originario pensato da Leonardo. Come scrisse nel 1999 l’allora Direttore del Museo della Scienza Domenico Lini: “siamo di fronte non al ‘cavallo di Leonardo’, ma ad un omaggio a Leonardo che appartiene all’area dell’ispirazione e dell’interpretazione, non a lui”. Runa Bianca

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A fronte di questo fatto il Museo della Scienza ha cercato di riportare l’attenzione su ciò che sappiamo del progetto originario di Leonardo, con uno studio intitolato “Un cavallo per il duca – Storia e Fortuna del Monumento Sforza” (Anthelios Editore), del quale abbiamo riportato due capitoli e la bibliografia. Simulazioni virtuali dimostrano la correttezza dei calcoli di Leonardo da Vinci per il progetto del capolavoro mai realizzato. Una nuova ricerca multidisciplinare ha rivelato che “Il Cavallo”, l’enorme statua equestre che Leonardo Da Vinci non ebbe modo di realizzare, non era afflitto da problemi tecnici, come era opinione diffusa. Al contrario, il piano di Leonardo da Vinci per la statua equestre più grande del mondo era un progetto perfettaRicostruzione

computerizzata della forma

di fusione e dei punti più delicati per il flusso del bronzo fuso

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La copia del cavallo, posta davanti all’ippodromo di San Siro a Milano Gli ingegneri hanno sempre creduto che l’audace progetto per realizzare la maggior fusione mai fatta sarebbe fallito a causa di problemi tecnici. “Come mantenere calda, a temperatura uniforme, una tale massa di bronzo liquido, e come tenere in equilibrio una struttura dall’enorme peso di parecchie tonnellate su tre gambe? L’informatica avanzata e i dati precisi conservati nei manoscritti di Leonardo hanno fornito le risposte”, ha detto a Discovery News Paolo Galluzzi, direttore dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, in Italia. Combinando le note di Leonardo e il software Computational Fluid Dynamics, il team Galluzzi ha mostrato che il cavallo di bronzo alto otto metri, del peso di 70 tonnellate, sarebbe stato Giugno 2011 | n.0

gettato con successo in un’unica colata di fusione, in soli 165 secondi. “Il progetto era del tutto fattibile nelle due diverse versioni che Leonardo aveva concepito, con il cavallo posto sia in posizione orizzontale, sia verticale. Tuttavia, dovette abbandonare la posizione a gamba levata, in quanto in una fossa profonda 20 metri la fusione non sarebbe stata sicura”, ha detto Galluzzi. Per costruire il suo cavallo al trotto, Leonardo pensò di utilizzare la cosiddetta tecnica della colata indiretta, che permette il riutilizzo degli stampi negativi preparati per la costruzione del nucleo centrale. Ben noto ai greci sin dal VII secolo a.C., il metodo non era noto agli artisti del Rinascimento, poiché nessuna descrizione era sopravvissuta dall’antichità. Una sfida scientifica e artistica per il genio di Leonardo, che nel suo progetto esaminò tutti gli aspetti critici della procedura di colata. Per raggiungere la temperatura ideale nella tempistica voluta, Da Vinci aveva anche ideato un sistema di forni temporizzato. “I forni si aprivano in base a una sequenza predeterminata. Essi erano controllati da sensori pirotecnici che esplodevano quando il bronzo fuso li raggiungeva, inviando il segnale per aprire il forno successivo”, ha detto Galluzzi. Il maestro del Rinascimento aveva anche preso in considerazione tutti i possibili punti critici della statua, nel momento delicato in cui il bronzo fuso fosse defluito dai forni nello stampo. Runa Bianca

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mente possibile che, se portato a termine, avrebbe costituito probabilmente la sua eredità più grande, più de ‘’L’Ultima Cena’’ o di qualsiasi altra opera.

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“Il modello ha ripresso il Museo velato che tutto era di Firenze, mentre stato attentamente uno spettacolare pianificato. È risulevento è previsto tato che le parti più per l’Expo di Milacritiche della fusiono 2015. ne, dove il bronzo “Ora che la nosi raffredda più vestra ricerca ha dilocemente, sono mostrato che il quelli meno imporprogetto di Leotanti per l’equilinardo era possibibrio del cavallo”, ha le, stiamo progetdetto a Discovery tando finalmente News Alessandro di realizzare il Incognito, direttore cavallo, proprio di XC Engineering, nella città in cui la società che ha effet- La riproduzione moderna del cavallo di doveva vedere la tuato la simulazione Leonardo, in studio luce”, ha detto Galdella colata. luzzi. Dai modelli in 3D è emerso che il bronzo fuso avrebbe riempito gli stamStudi di Leonardo per l’incastellatura a sostegno della statua eretta pi della colossale statua in meno di 165 secondi e che il metallo avrebbe avuto il peso 70 tonnellate, esattamente come Leonardo aveva calcolato. Secondo Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale nella città toscana di Vinci, dove l’artista nacque nel 1452, questo studio è importante, in quanto mette in evidenza gli aspetti che non è possibile indagare con i tradizionali strumenti di ricerca storica. “Presenta un modo interessante di affrontare i progetti artistici delle epoche antiche, dal momento che mette insieme la tecnologia contemporanea e i documenti storici”, ha detto Vezzosi a Discovery News. I risultati di Galluzzi e la ricerca dei colleghi saranno visualizzati in una mostra Runa Bianca

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Il cavallo di Leonardo da Vinci

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Bibliografia

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SCIENZA

Lo spauracchio dell’ Escherichia coli Come è mai possibile che si sia trasformato in un batterio Killer? tempo di lettura 3 minuti

di Ennio Piccaluga


Lo spauracchio dell’ Escherichia coli

di Ennio Piccaluga

Ennio Piccaluga

Ingegnere Elettronico ed esperto di astronautica, si dedica da sempre allo studio del Pianeta Rosso. E’ autore del libro Ossimoro Marte. Vita intelligente sul Pianeta Rosso. Le prove (Hera Books, 2006) e di vari articoli e conferenze sul tema “Vita intelligente su Marte”.

Ossimoro Marte Hera Books, 2006 leggi scheda completa >>

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SCIENZA

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rande allarme ha generato il diffondersi, in Germania, di una rara infezione da Escherichia coli, un batterio che prolifera normalmente nel colon di alcuni mammiferi, compreso l’uomo. Il microorganismo è comunissimo ed assolutamente innocuo. Come è mai possibile che si sia trasformato in un batterio Killer? Il fatto è che l’escherichia coli, proprio per la sua struttura elementare, è usato correntemente nei laboratori di biotecnologie allo scopo di trasformarlo in altre tipologie di batteri con differenti utilizzi, alcuni dei quali potrebbero risultare utili per determinate applicazioni. Non siamo però in nessun modo al riparo dalla possibilità che qualcuno di questi laboratori possa trasformare un banalissimo batterio in un killer a larga diffusione. E’ mia opinione che ogni laboratorio di biotecnologie dovrebbe essere assoggettato a rigidissime verifiche pubbliche onde tenere sotto rigido controllo delle ricerche i cui risultati, nelle mani di multinazionali senza scrupoli, potrebbero rappresentare un pericolo enorme per la collettività. Ci preoccupiamo molto, e giustamente, dei materiali nucleari e dei pericoli della radioattività, ma abbiamo finora sottovalutato ingenuamente i rischi molto più grandi, legati allo sviluppo delle biotecnologie. Con appropriate tecniche, è ormai possibile progettare in laboratorio dei batteri o dei virus in grado di operare in qualsiasi modalità e di essere inattaccabili con ogni tipo di antibiotico o arma biologica a nostra disposizione. La mia maggiore perplessità è generata dalla reazione del tutto sbagliata dei nostri media e delle nostre autorità, e non mi riferisco solo a quelle italiane. Se l’’e.c. è un microorganismo che vive nell’intestino degli animali, che c’en-

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SCIENZA

Lo spauracchio dell’ Escherichia coli

trano, di grazia, i cetrioli e i germogli di soia? Come è possibile che delle verdure o degli ortaggi trasformino in killer questo batterio? Al massimo, più che accusare questa o quella verdura, si potrebbe consigliare di lavare bene tutto ciò che si porta alla bocca. Credo invece che cercando in qualche laboratorio, potrebbe venir fuori tutta la verità, in quanto è praticamente impossibile che un qualsiasi batterio diventi “sua sponte” resistente a ben otto famiglie di antibiotici. Con una piccola, ulteriore messa a punto, questo organismo potrebbe diventare lo strumento perfetto per ridurre drasticamente la popolazione mondiale, lì

sui laboratori di ricerca. La sperimentazione potrebbe sortire effetti benefici per la collettività, ma anche (se non controllata) killer mostruosi pronti ad essere impiegati a scopi delittuosi da soggetti, nazioni e/o organizzazioni senza scrupoli. Il tutto purtroppo è enormemente facilitato dalla bovina accondiscendenza di una collettività disabituata a pensare, ormai condizionata da una pubblicità martellante che sta costruendo una generazione di individui spogliati di ogni spirito critico. Consiglio finale: riappropriatevi del sacrosanto diritto di dubitare di ogni cosa che pubblicamente viene detta o

dove si salverebbero solo alcuni “prescelti” immunizzati in modo programmato. Questa che potrebbe sembrare una fantasia folle, fa ormai parte di una realtà che sta andando ben al di là delle nostre capacità di difesa e di comprensione. Qualcuno, neanche poi tanto folle, potrebbe contaminare l’intera umanità, vendendo solo a pochi, ed a prezzi astronomici, il relativo antidoto. Quale il veicolo più adatto per l’infezione? Gli acquedotti, quelli che qualcuno ha pensato di sottrarre al controllo pubblico. Quest’ultimo dovrebbe sempre essere attuato sull’aria, sull’acqua, sulle fonti di energia, sulle comunicazioni e

fatta “per il voBatterio Escherichia Coli stro bene”. Non pensate mai che lo Stato sia lì per preoccuparsi per la vostra salute: se non lo farete voi, altri soggetti semplicemente ne approfitteranno in ogni modo per trarne profitto. Sciacquate bene con acqua e un pizzico di bicarbonato le verdure, cetrioli e germogli compresi, e consumateli in tutta tranquillità. Ma soprattutto diffidate, diffidate sempre, è l’unica possibilità che avete per evitare che soggetti senza scrupoli, traggano profitto a spese della nostra integrità fisica. Per approfondire: “Infezione da E. Coli. Oltre l’ipotesi terroristica nuovi e più allarmanti scenari” di Carmelo Scuderi

Batterio killer 683-02

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di Ennio Piccaluga

Runa Bianca

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L’alba delle piramidi Il più grande mistero della storia è stato svelato

Christopher Knight e Alan Butler

DA MAGGIO 2011 IN LIBRERIA

Chi ha davvero ideato e progettato le piramidi?

Dopo aver studiato i più antichi luoghi di culto del mondo, Knight e Butler possono affermare che il progetto per gli straordinari monumenti funerari dei faraoni precede la civiltà egizia... di oltre mille anni


SCIENZA

“Dr. Victor von Frankenstein, I suppose?� Breve e indimenticabile conoscenza di alcuni emuli realmente esistiti tempo di lettura 10 minuti

di Roberto Volterri


“Dr. Victor von Frankenstein, I suppose?”

di Roberto Volterri

Roberto Volterri

Laureato in Archeologia, con tesi sperimentale in Archeometria, ha conoscenze nel campo dell’Elettronica, della Fisica, della Biologia e si occupa da tempo di Archeometallurgia in ambito universitario. Studioso degli aspetti meno consueti della realtà e delle questioni “di confine” in ambito storico-archeologico, ha raccolto i suoi studi in articoli comparsi in riviste come Arcani, Abstracta, Hera e scritto più di una ventina di libri tra cui ricordiamo: Rennes-le-Château e il mistero dell’Abbazia di Carol (SugarCo, 2005); I mille volti del Graal (SugarCo, 2005); Archeologia dell’Introvabile (SugarCo, 2006); Archeologia dell’Invisibile (SugarCo, 2007); Gli ‘stregoni’ della Scienza (Eremon Edizioni, 2009); Archeologia dell’Impossibile (Eremon Edizioni, 2010) e infine... Il Laboratorio del Dr. Frankestein Eremon Edizioni, 2011 leggi scheda completa >>

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SCIENZA

No,

stare tranquilli (faccio per dire…) in queste pagine – quasi novelli Stanley sulle tracce dello scomparso esploratore – non incontreremo il frutto del parto letterario di Mary Shelley, ma faremo una breve e indimenticabile conoscenza con qualche suo emulo realmente esistito…

Ti ho chiesto io, Creatore… “Ti ho chiesto io, Creatore, dalla creta di farmi uomo? Ti ho sollecitato io a trarmi dall’oscurità?” Così scrive John Milton (1608 – 1674) nel suo poema ‘Paradiso perduto’ , pubblicato nel 1667, in cui il poeta narra della ‘cacciata’ dell’Uomo dal Paradiso Terrestre e delle tentazioni a cui l’Uomo stesso (e la Donna, Eva, naturalmente) cedette ad opera dell’Angelo caduto, di Satana in persona. Questi versi si attagliano bene alle vicende narrate in un celeberrimo romanzo che ha dato origine a centinaia di film e… imitazioni: “Frankenstein, o il moderno Prometeo”. Ma vediamo come esso nasce… Maggio del 1816. Lago di Ginevra. La sorellastra di Mary Shelley, Claire Clairmont, amante di Lord George Byron, invita i coniugi Shelley a seguirla a Villa Diodati, affittata per le vacanze. Il tempo piovoso li costringe a stare in casa e ad annoiarsi. Cosa c’è di meglio, in queste circostanze, che leggere davanti al camino storie di fantasmi? Però, letto tutto ciò che c’era da leggere, la noia incombe ancora… Ed ecco la geniale idea di Lord Byron, idea che ha dato origine sia al ‘Frankenstein’ della Shelley sia al ‘Il Vampiro’ di Polidori, giovane medico dello scrittore, ospiRuna Bianca

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SCIENZA

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te anch’egli della villa. Byron propone infatti che ciascuno degli ospiti scriva una storia di fantasmi. Nel frattempo, durante le lunghe serate, le conversazioni vertono sulla natura della vita, sulla morte, sul darwinismo, sull’elettricità, sul galvanismo e, non ultimo, sulla possibilità di dare origine ad una creatura artificiale ed infondere in essa la vita. Queste riflessioni scatenano l’immaginazione di Mary, le ricordano qualche cosa di cui parleremo tra breve, risvegliano in lei incubi ormai sopiti e la conducono però all’origine di uno dei ‘miti’ del romanzo gotico: uno studente in medicina, un medico che osserva la creatura che ha – diremmo in modo ‘blasfemo’ – assemblato, una creatura che, grazie alle energie del Creato, comincia a mostrare segni di vita. La Shelley descrive efficacemente sia il successo dello scienziato per essere riuscito ad infondere una parvenza di vita nella ‘sua’ la creatura sia il terrore che poi lo attanaglia pensando che il ‘mostro’, abbandonato a se stesso – “Ti ho sollecitato io a trarmi dall’oscurità?”… – possa morire. E anche creare, intorno a se, distruzione e morte. Non entro affatto negli sviluppi del romanzo poi pubblicato nel 1818 ed uscito successivamente in innumerevoli edizioni – romanzo che esorto a leggere: ne vale veramente lo ‘sforzo’! – ma sono ben certo che Mary Shelley venne a conoscenza di qualcuna delle opere di uno strano personaggio che risponde al Runa Bianca

di Roberto Volterri

Mary Shelley, autrice del romanzo ‘Frankenstein’

nome di Konrad Dippel e che, verosimilmente, visitò anche qualcuna delle località ove Dippel aveva dimorato ed eseguito i suoi ‘proibiti’ esperimenti. Non è affatto escluso che abbia visitato anche il castello situato a pochi chilometri da Darmstadt, oggi conosciuto proprio come il ‘Castello di Frankenstein’, e che tutto ciò le abbia dato lo spunto, durante la sua vacanza sul lago di Ginevra, per scrivere il suo celeberrimo romanzo. Magari anche a seguito di ciò che era accaduto a Londra ad opera di quel Giovanni Aldini i cui “orrorifici” esperimenti ho descritto nel recentissimo libro “Il laboratorio del Dr. Frankenstein”. Giugno 2011 | n.0


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Ciò che resta, a Darmstadt, chimista Konrad Dippel

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del castello dell’al-

composto organico che egli stesso battezzò ‘Olio di Dippel’, ottenuto macerando ossa di cadaveri con Acido prussico allo scopo di ridar la vita a corpi omai in via di disfacimento. Ma, anziché rappresentare una sorta di diabolico ‘elisir di lunga vita’, le venefiche sostanze contenute nell’Olio di Dippel’, assunte anche dall’alchimista, lo avrebbero condotto a sicura morte nel 1734. Venuta a conoscenza della vicenda, la Shelley l’avrebbe resa ancor più tenebrosa e ‘scientifica’ enfatizzando l’uso dell’elettricità atmosferica quale

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SCIENZA

Tutto ciò troverebbe conferma anche nelle indagini di uno studioso rumeno, Radu Florescu, docente al Boston Institute, autore del libro ‘In Search of Frankenstein’, libro che farebbe luce su questa appassionante vicenda. Florescu avrebbe trovate le prove che il ‘sulfureo’ alchimista Johann Konrad Dippel era effettivamente riuscito a creare un ‘arcanum chymicum’, lo strano

di Roberto Volterri

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di Roberto Volterri

Il libro del dottor Charles Guthrie, pubblicato nel 1912. Contiene la descrizione delle tecniche chirurgiche necessarie all’esecuzione di trapianti d’organi. Anche della testa di sventurati animali. Illustrazioni della tecnica usata dal dottor Guthrie per collegare tra loro i vasi sanguigni e esemplificazione di come le due teste degli sventurati animali siano state collegate tra loro. agente catalizzatore delle improbabili reazioni che avrebbero dovuto ridestare la mostruosa creatura. Un inno, insomma, all’eterno delirio di onnipotenza che sembra albergare perennemente nell’animo umano e che fa credere alla più ‘intelligente’ creatura del pianeta di poter fare concorrenza all’Onnipotente. Ovunque e chiunque Egli sia…

Potevano mancare dei ‘folli’ e geniali emuli? 21 maggio 1908. Il dottor Charles Guthrie (1880-1963), docente di fisiologia e farmacologia all’Università di Washington e poi a Pittsburgh effettua il trapianto della testa di un cane di piccola taglia nel corpo di un altro cane, di dimensioni maggiori, ottenendo una sorta di strana ‘chimera’ in cui i due malcapitati animali convivono con le loro due teste affiancate. Nel 1912 – quattro anni dopo il suo strano esperimento ‘alla Frankenstein’ – Guthrie pubblica un interessante libro dal titolo “Blood Vessel Surgery and Its Applications” in cui descrive minuziosamente le complesse tecniche da lui usate nei primi tentativi di trapianti di organi. Compresa la testa… In realtà Guthrie sta cercando di mettere a punto svariate tecniche chirurgiche ad hoc, evidenziando anche tutti

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quelli che potevano essere gli aspetti legati al ‘rigetto’. Guthrie – una sorta di genio della medicina – in quegli anni è ‘in odor di Nobel’, ma i suoi esperimenti, che fanno rabbrividire e indignare gli animalisti dell’epoca, almeno secondo il parere di Hugh E. Stephenson, chirurgo della University of Missouri Columbia, gli costano l’esclusione dall’ambito ricoGiugno 2011 | n.0


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nish mostra orgogliosamente due delle sue cavie

‘resuscitate’.

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noscimento scientifico. Spero vivamente che gli animalisti, gli antivisezionisti non me ne vogliano, ma ora incontreremo tre altri emuli del dottor Frankenstein i quali – al di la del Bene e del male, alla Nietsche insomma – osarono effettuare operazioni chirurgiche forse ben più ‘proibite’ di quelle del dottor Robert White che avremo occasione di conoscere in altra occasione… Iniziamo con il dottor Robert Cornish, della Università di California, il quale nel 1939 tentò di ‘resuscitare’ animali morti introducendo nel loro circolo sanguigno anticoagulanti e adrenalina senza che fossero danneggiate parti interne importanti. Utilizzò vari cani – che ovviamente chiamò tutti… Lazarus – e, dopo averli asfissiati, li sottopose all’esperimento sottoponendoli all’azione di una sua speciale ‘altalena’ su cui li faceva oscillare. Alcuni animali si ripresero ma rimasero seriamente menomati nell’organo della vista e al cervello. Più o meno in quegli anni uno scienziato russo, il medico Sergej Bryukhonenko, metteva a punto il primo dispositivo ‘cuore-polmone’ artificiale, denominato ‘Autojektor’ e con esso condusse una lunga serie di esperimenti sui cani, esperimenti in confronto ai quali quelli del Dr. Voronoff assomiglierebbero forse ad un gioco da ragazzi! Mediante l’Autojektor, lo scienziato riuscì a tenere in vita alcune teste di cane e realizzò un filmato – visibile in Internet su You-Tube, cercando ‘Russian Dog Experiment’ – in Runa Bianca

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Un ritaglio di giornale in cui il dottor Robert Cor-

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cui si vede chiaramente la testa di una povera ‘cavia’ staccata dal resto del corpo ma ancora ben sensibile a qualsiasi stimolo esterno, tattile, acustico, chimico, ecc. Successivamente, nel 1954, il chirurgo russo Vladimir Demikhov riesce ad impiantare la testa di un piccolo cane sul corpo (testa compresa) di un animale di maggiori dimensioni. Ovviamente non ci riesce al primo tentativo e molte coppie di animali sono state certamente sacrificate sull’altare di una scienza forse folle. Demikhov tenta anche con trapianti di teste di scimmie, aprendo il varco verso gli esperimenti che decenni dopo furono effettuati dal dottor Robert White che in una futura occasione andremo a visitare nel suo ‘Antro’…

Alcuni decenni più tardi…

di Roberto Volterri

to che a poter essere trapiantata sarebbe un‘intera testa umana, questa volta! Ma è proprio possibile tutto ciò? Vediamo… Sappiamo bene che in una testa di un animale, staccata dal resto del corpo, priva cioè di irrorazione sanguigna, le cellule del cervello muoiono in poco tempo per carenza di Ossigeno. Però, già dall’Ottocento, alcuni ricercatori cercano di capire se sia possibile mantenere il cervello in vita ossigenando il sangue e facendolo circolare artificialmente nella testa… mozzata. Sembra ci riescano, poiché la circolazione artificiale riesce a mantenere l’attività cerebrale, tanto che ciò che resta del povero animale è in grado di reagire alle stimolazioni sensoriali. Osando un po’ di più, da tali ricerche si potrebbe arguire che, nel caso di un trapianto di L’esperimento del dottor Bryukhonenko: la

Agosto 1999. Sul ‘Corriere della sera’ compare un interessante articolo in cui si relaziona sui recenti sviluppi avuti da un’avveniristica tecnica ideata da un neurochirurgo americano, il dottor Robert White. La tecnica messa a punto riguarda i trapianti d’organi: fin qui nulla di eccezionale diremmo, poiché all’epoca eravamo abituati a simili prodezze della medicina e della chirurgia, dopo l’ormai lontano primo trapianto di cuore ad opera del dottor Christian Barnard. E allora, cosa c’è di eccezionale in quell’articolo? L’eccezionalità consiste nel fat-

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testa della povera bestia vive in maniera del tutto autonoma…

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Il riuscito esperimento del dottor Demikhov Giugno 2011 | n.0

abbassando la temperatura dell’encefalo da 37°C a circa 10°C. Tale espediente gli consente di rendere il cervello attivo per circa un’ora. Quell’ora necessaria a ricollegare tutte le innervazioni, tutto l’apparato circolatorio che poi dovrebbe consentire alla testa trapiantata di dare le necessarie informazioni al corpo su cui è stata trapiantata. Fantascienza? Non proprio, poiché… “Raffreddando il cervello – ha spiegato White – si rallenta il metabolismo e si recupera tempo prezioso per attaccare la testa al suo nuovo corpo”. La complessa operazione chirurgica prevede dapprima una profonda incisione sulla schiena del corpo destinatario della testa ‘estranea’, in modo da mettere in luce la spina dorsale e i principali vasi sanguigni. Successivamente la testa deve essere collegata alla macchina per il raffreddamento cerebrale, macchina che inizialmente fornirebbe al cervello il sangue del corpo originale. Secondo il dottor White – il quale ha già effettuato l’operazione su alcuni cadaveri – si può staccare definitivamente la testa dal corpo che l’aveva ospitata fino a quel momento e, anche se l’encefalo dovesse rimanere senza la dovuta ossigenazione, il drastico abbassamento di temperatura ( di circa 27°C) diminuirebbe notevolmente il rischio di provocare danni irreversibili ai tessuti cerebrali. Se la ipercomplessa operazione è fino a qui riuscita, avremo a disposizione una testa da collegare ad un nuovo corpo. Facile a dirsi! Runa Bianca

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una intera testa… umana, la circolazione artificiale potrebbe servire a tenere in vita il cervello durante la più che complessa operazione. Negli anni Ottanta del secolo appena trascorso, un neurochirurgo americano, il dottor Robert White, di Cleveland (Ohio), afferma di avere risolto gran parte dei problemi legati al trapianto di testa umana,

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Lo stesso dottor White – un ‘Frankenstein’ dei nostri giorni – ammette senza remore che i rischi sono grandissimi poiché è estremamente difficile collegare tutti le innervazioni alla spina dorsale ed è elevatissimo il rischio che il paziente rimanga paralizzato dal collo in giù! White si è esercitato a lungo prima di pronunciarsi sulla possibilità di trapiantare un’intera testa umana. E’ già riuscito ad effettuare lo scambio delle teste tra due scimmie o, più esattamente, la testa di una scimmia e’ stata trapiantata sul corpo di un’altra che, attraverso il suo cuore e i suoi polmoni, ha mantenuto in vita per circa sette giorni la testa trapiantata. Capisco che infiniti sono a questo punto della ricerca gli interrogativi d’ordine bioetico che, senza dubbio, fermeranno ulteriori ricerche in questa direzione. Gli stessi problemi d’ordine morale più che di ordine medico e biologico, che posero non solo scienziati ma anche rappresentanti del mondo religioso intorno alle onnipresenti ‘tavole rotonde’ – anche televisive: ricordo qualcosa del genere anche nelle trasmissioni RAI… – dopo quel lontano 3 Dicembre 1967, giorno in cui Christiaan Barnard effettuò con successo il primo trapianto di cuore umano su Louis Washkansky. E poco importa se, a causa del ‘rigetto’, quest’ultimo muore diciotto giorni dopo il trapianto. Da quegli lontani anni la cardiochirurgia ha effettuato passi da gigante e, anche se non tutti i problemi sono stati risolti, oggi il trapianto di cuore è diventata operazione … quasi di routine. Runa Bianca

di Roberto Volterri

Il dottor Robert White, il neurochirurgo americano che sostiene di poter trapiantare un’intera testa umana. Problemi di bioetica ne hanno arrestato le ricerche… D’altra parte, la Scienza e la Conoscenza in genere procedono proprio così: con errori, con perfezionamenti, con coraggio… Se non siete rimasti eccessivamente frastornati da questo brevissimo excursus nei ‘territori proibiti’ della Conoscenza, potreste fare un altro illuminante giro nel “Laboratorio del Dr. Frankenstein” (Eremon Edizioni, 2011) che, con qualche ‘brivido’, ho appena pubblicato… Buon viaggio! Giugno 2011 | n.0



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I misteri dei sacri boschi di Bomarzo Alla scoperta nel cuore della Tuscia tempo di lettura 11 minuti

di Marisa Uberti


I misteri dei sacri boschi di Bomarzo

di Marisa Uberti

Marisa Uberti

Ricercatrice indipendente, owner del sito www.duepassinelmistero.com, fondato nel 2002, ha unito la sua formazione scientifica all’attrazione per il mistero ed il simbolismo. Instancabile viaggiatrice, ama documentare “sul campo” i soggetti dei suoi studi, conscia che ogni ricerca sia un tassello dell’immenso mosaico della conoscenza. Ha all’attivo numerosi articoli sia in formato digitale che cartaceo. Fa parte della Libera Associazione Ricercatori Templari Italiani. Ha collaborato con la rivista Hera e con numerose testate culturali nel web. Ha scritto un libro insieme a Giulio Coluzzi dal titolo I Luoghi delle Triplici Cinte in Italia. Alla ricerca di un simbolo sacro o di un gioco senza tempo? (Eremon Edizioni, 2008) I Luoghi delle Triplici Cinte in Italia Eremon Edizioni, 2008 leggi scheda completa >>

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omarzo, un paese di poco più di mille abitanti, situato a 19 chilometri a NordEst dal suo capoluogo, Viterbo. Ci troviamo nel cuore della Tuscia, un luogo dove gli dei sembrano aver lasciato il loro spirito nella pietra. Anticamente era chiamato Polimartium cioè ‘città di Marte’ (vicino c’è anche un paese chiamato Giove e la cima che corolla il vicino lago di Vico è il Monte Venere…). Fu abitato fin dalla preistoria, per divenire poi un importante centro etrusco, in seguito caduto sotto il dominio romano. Nel 741 d.C. venne conquistato dai Longobardi di re Liutprando e da questi donato alla chiesa. Successivamente, passò nelle mani di diverse famiglie, tra le quali la più famosa è senz’altro quella degli Orsini, che hanno lasciato tracce indelebili, come l’attuale Palazzo Comunale e il Parco dei Mostri. Il paese, di vocazione agricola, sorge su un’alta rupe, a 263 m, che domina la Valle del Tevere ed è circondato dai Monti Cimini, massicci vulcanici di remota formazione. La sua fortuna è da sempre stata l’abbondanza di acqua, di boschi, e di un materiale lavico da costruzione ideale: il peperino. Se la fama di Bomarzo è nota in tutto il mondo per la presenza del Giardino delle delizie, ovvero il Parco dei Mostri, voluto da Vicino Orsini nel XVI secolo, quasi nessuno conosce cosa si nasconda nell’intricata selva dei suoi boschi sacri. Si, sacri, poiché al loro interno, in epoche imprecisate (che possono risalire a quella Etrsuco-romana ma anche anteriore), giacciono strutture artificali create da una civiltà che nei boschi viveva, praticava culti, moriva e si seppelliva. Non si trovano ancora descrizioni di questi manufatti sui libri scolastici, ed è ancora lontano il momento in cui ne sentiremo parlare dif-

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fusamente. Da un lato per fortuna (in quanto stando isolati, i siti si conservano, in un certo qual modo), dall’altro sarebbe auspicabile una loro tutela, un censimento, ai fini di uno studio mirato e di un inquadramento cronologico, storico ed antropologico. Altari e abitazioni rupestri, necropoli e massi sacralizzati, Vie Cave e la straordinaria ‘piramide’, emersa nella sua stupefacente bellezza dopo l’operazione di ripulitura di Salvatore Fosci (l’uomo dei boschi che per pura passione, nel tempo libero, si dedica a questa attività), danno soltanto una parziale idea di cosa si celi nel fitto di questa boscaglia. Abbiamo visitato nell’agosto 2010 e poi nel gennaio 2011 alcuni dei siti archeologici che i selvaggi boschi bomarzesi gelosamente custodiscono e nascondono, ausiliati dalla presenza di Salvatore, socio onorario dell’ Associazione Archeotuscia, che ci Altare arcaico rupestre ha fatto da gui-

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da e al quale vanno i nostri amichevoli ringraziamenti. Addentrarsi nel folto dei boschi, infatti, se non li si conosce, è sconsigliato. Imboccando una strada il cui nome è tutto un programma, via Cupa, ci caliamo letteralmente nel passato. La prima struttura che abbiamo incontrato è un altare arcaico, intagliato interamente nella viva roccia. Questo sito lo ha individuato e ripulito il Fosci nell’inverno 2009-2010, nessuno lo aveva mai scoperto prima. Il manufatto si presenta come un lungo sedile di peperino, ma più largo di un normale sedile, assumendo l’aspetto di un altare sacrificale o rituale. Nella parte attaccata alla collina, che diremmo fa da ‘schienale’, si notano alcune nicchie, una in particolare presenta dimensioni notevoli: a cosa serviva? Un’altra nicchia, più piccolina, è stata ricavata poco distante. Una colorazione scura verticale è visibile a sinistra della nicchia, circa a metà del manufatto: probabilmente qui scendeva acqua dalla roccia che veniva convogliata, tramite appositi canalini scavati nel masso, in una sorta di bacile o vaschetta scavata nella piattaforma che abbiamo chiamato altare. Ancora oggi, dopo un periodo di pioggia prolungato, l’acqua fuoriesce nel medesimo punto, andando a riempire la piccola vasca, che poteva servire per le abluzioni, o purificazioni, o per quali altri scopi? Di certo, quest’acGiugno 2011 | n.0


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Quanti le hanno studiate, ritengono che le ‘pestarole’ risalgano all’epoca etrusco-romana, e siano state utilizzate anche nel Medioevo, forse come una sorta di ‘cantina sociale’. Difficile però avere una certezza assoluta in merito al loro effettivo impiego originale, a nostro avviso. Uno dei siti archeologici più importanti, che è stato anche mappato dalla Soprintendenza della Tuscia, è il complesso funerario di Santa Cecilia, che presenta sepolture di vario tipo, a fossa e in sarcofagi antropomorfi. I bomarzesi chiamano questo cimitero ‘camposanto di Chia’ (nome del vicino centro abitato, dominato dalla torre medievale omonima), ma l’intera necropoli è nota come ‘Santa Cecilia’. Vi sono infatti le rovine di una chiesa, con ogni probabilità intitolata a questa

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qua era considerata sacra, in quanto la sua origine era miPestarola steriosa, un dono della Natura e quindi, ‘divina’. Numerose sono le ‘pestarole’ che abbiamo incontrato lungo gli itinerari. Si tratta di grandi vasche di raccolta di forma quadrilatera, ricavate direttamente nella pietra, dove veniva messa l’uva che, un tempo, cresceva anche su alberi d’alto fusto (ci informa Salvatore). Qui veniva pigiata (donde il nome di ‘pestarole’), con l’aggiunta magari di erbe aromatiche, e poi drenata tramite canali di scolo appositi in una vasca più piccola, situata ad un livello inferiore, anch’essa quadrangolare. Da questa, un foro permetteva al liquido di fuoriuscire ed essere raccolto in vari contenitori. A volte, però, la piattaforma della vasca grande di raccolta presenta vani circolari di forme differenti e di ignota destinazione (forse vi si metteva il prodotto da far macerare?).

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Pilastri/menhir vicino alla necropoli di S.Cecilia

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Santa, risalente all’alto medioevo (VIII-X secolo). Oggi non restano che le fondamenta dei muri perimetrali ed un pilastrino che, forse, reggeva la mensa dell’altare. Sopra una necropoli arcaica, dunque, o vicino ad essa, sorse un luogo di culto cristiano. Ma frequentato da chi? Qualche blocco squadrato è ancora presente, ma tutto il resto è alla rinfusa. Il padre di Salvatore, il signor Abbondio (Cleto per gli amici), afferma che fino agli anni ‘70 del XX secolo, questa zona (seppure violata già in antico), non era ridotSarcofagi e tombe terragne nella Necropoli di SS.Cecilia ta in questo modo. Molti massi sono stati buttati nel dirupo, i sarcofagi sono stati completamente scoperchiati e spezzati. Le tombe terragne o a fossa, scavate nel macigno (che fu spianato apposta per accoglierle), si presentano di varia dimensione (per bambini e per adulti), e con la pioggia si riempiono di acqua; a quando risalgono? I sarcofagi sono monolitici e scavati in sagoma umana, ricordando parecchio quelli antropomorfi egiziani: sembra infatti che la salma possa essere stata fasciata come una mummia, per entrare lì dentro. Alcuni coperchi di sarcofago giacciono per terra; su uno di essi notiamo una grossa croce greca, scolpita in rilievo, indice che almeno queste sepolture risalgono sicuramente al periodo cristiano. Un’altro dettaglio molto importante ce lo fa notare Salvatore, il quale ripulendo il sito ha notato su un masso una bellissima crocroce su concio in pietra nella necropoli di S.Cecilia Runa Bianca

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I misteri dei sacri boschi di Bomarzo

chiesa medievale?), necropoli di S. Cecilia

ce (templare?): bagnandola, si nota che l’acqua si raccoglie in una sorta di fossetta (un caso?). Data la cospicua presenza di croci cristiane sui massi rupestri, sugli altari (ve n’è una anche sulla ‘piramide’) e molte ancora sono da scoprire, c’è da ritenere assai probabile un intento di riconsacrare questi luoghi in senso cristiano o di segnarli con intento magico-apotropaico onde allontanare gli ‘spiriti’ dei pagani antenati, il cui potere ancora si temeva (e forse si teme!). Senza tener conto che quello ‘spirito’ trascende qualsiasi forma teologica e appartiene all’Universale. Esso è sempre in ogni Essere che si senta parte della Natura e del suo Creatore. Come lo si voglia chiamare, o dove esso si trovi, o alberghi, quali siano le sue Leggi, i suoi disegni, fa parte del mistero insondabile che Giugno 2011 | n.0

dalla notte dei tempi accompagna l’Uomo, più o meno serenamente, lungo il cammino della vita su questa Terra. Accanto alla necropoli di S. Cecilia, vi è un tempio rupestre, articolato su livelli diversi. Il mistero si fa palpabile; il respiro si ferma per un lungo istante, l’attimo è estatico. Osserviamo la struttura enigmatica, che poteva essere una sorta di santuario, forse dove si eseguivano riti sacri funerari. Salvatore l’ha ripulito negli ultimi tempi e si riesce a vedere un grosso masso lavorato, preceduto da un pilastro con un incavo, superiormente. Sulla sinistra si trova un sedile ricavato direttamente nella roccia, mentre a destra si individua un percorso che sale verso la piattaforma del masso, dove probabilmente si inerpicava un sacerdote. E’ tutto estremamente interessante e senza risposta. Procedendo nel nostro cammino, incontriamo un’altra, Abitazione rupestre strabiliante abita-

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frammento di pietra lavorata (appartenuta alla

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di Marisa Uberti

zione rupestre, di notevoli dimensioni, con delle buche negli stipiti, per alloggiarvi i pali lignei come chiusura dell’ingresso. Va ricordato che questi ripari furono riutilizzati sovente negli anni passati dai contadini e dai pastori, per ricoverarvi gli armenti. Standovi dentro, osservandola e ascoltando con tutti i sensi, anche quelli più fini e sottili, nel silenzio del bosco, pare di percepire l’eco di un ricordo impreciso, labile, sfumato nel tempo. Forse qui stava rintanato uno sciamano, un asceta, cui la gente del posto si rivolgeva per la sua saggezza, o per procurarsi rimedi curativi, non sembra insomma una semplice abitazione rupestre, ma Sepoltura antropomorfa qualcosa di più. Quando Salvatore passò da questa zona, qualche anno fa, era completamente invisibile a causa dei rovi che l’avevano totalmente inglobata. Una parete tufacea all’imboccatura della scalinata, intagliata nella roccia, ci conduce alla radura e da lì al terreno di Salvatore. La parete presenta, in alto, un riquadro incassato, una nicchia molto ben squadrata, ma a che periodo risale? Si ritiene che nel Medioevo vi potesse trovare posto qualche immagine sacra, di conforto al viandante che si trovava a percorrere questa strada. Salire i gradini intagliati nella roccia è ormai agevole, e prima di congedarci dal bosco, Salvatore ci fa notare un’altra sepoltura antropomorfa, solitaria, intagliata nella viva roccia.

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La ‘Tagliata’ etrusca e le epigrafi latine L’indomani, prendendo la ormai nota Via Cupa, a poca distanza dal terreno di Salvatore, ci addentriamo nella strada comunale delle Rocchette, la quale ricalca in alcuni tratti un’antica strada romana, attraversando un rado bosco di querce fino a quando la stradina precipita nettamente in discesa. Siamo nei pressi di tre ‘tagliate’, ovvero di strade rupestri che si sviluppano in trincea, profondamente incassate, con pareti vertiginose ai lati di chi cammina. Da un ripiano roccioso che precipita su una di queste profonde tagliate, Salvatore ci mostra dall’alto il punto in cui è situata la ‘piramide’. Restiamo incantati nel vedere una costruzione Giugno 2011 | n.0


I misteri dei sacri boschi di Bomarzo

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epoca romana, rimane un’epigrafe latina sul bordo superiore della parete sinistra, che recita TER (terminus, cioè termine di confine) e, più a destra di questa e un poco più in alto, ITER PRIVATVM DVORVM DOMITIORVM (Strada Privata dei due Domizi). Chi ha studiato dette iscrizioni le ha classificate come romane, appartenenti al periodo alto imperiale (ca. 59-94 d. C.); esse dimostrano che questo passaggio era privato, di proprietà ‘dei due Domizi’, ovvero i fratelli Cn. Domitius Lucanus e Cn. Domitius Tullus, che timbrano le tegole dei tipi C. I. L. XV 989.1, 1001 e 1010, di cui parlano Plinio

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simile nel fitto dei boschi, e speriamo di arrivarvi presto; tuttavia la strada è ancora lunga...Costeggiamo il bordo del ripiano roccioso verso destra e imbocchiamo la discesa della ‘Tagliata delle Rocchette’ (lunga 72 m e larga circa 2 m). Ci sentiamo piccolissimi: l’altezza della parete tufacea si aggira sui 20 m! Questa doveva essere una strada pedonale di notevole importanza, quale raccordo con la località sottostante, detta valle del Tacchiolo. A conferma del fatto che questo Epigrafi romane dei ‘due Domizi’ luogo era usato in

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il Giovane e Marziale. Un’altra iscrizione TER si localizza una cinquantina di metri più avanti, sulla medesima parete di tufo. Mentre un’altra ancora, per ora la terza che si conosca, è stata individuata da Salvatore. “Si tratta - dice il Fosci di una mia recente scoperta, che non ha visto ancora nessuno ed è posizionata su una rupe a strapiombo che guarda in direzione della ‘piramide’. Arrivare a vedere quell’ iscrizione non è cosa facile, in quanto fu posizionata in modo che nessuno la potesse vedere, quasi a nascondere quel termine e fino ad oggi nessuno l’aveva mai vista”. Altro mistero che il prosieguo della Ricerca tenterà si svelare. Dopo aver camminato a mezza costa nel fitto della vegetazione per una decina di minuti, la nostra solerte guida ci conduce ad una struttura che egli stesso ha ripulito e che oggi possiamo vedere libera da i rovi. Ma di cosa si trattava, in origine? Un antico altare? Un rifugio? Salvatore la definisce scherzosamente ‘piramidina’ e ci dice che ‘è in assetto’ con la piramide grande, ma bisognerebbe saperne di più... Scendiamo ancora e raggiungiamo un viottolo da cui dovremo inerpicarci per raggiungere la ‘grande piramide’. La vegetazione si fa più fitta, sembra che il bosco si restringa e opprima fisicamente il respiro. Salvatore ci tiene a mostrarci un’altra epigrafe su roccia tufacea (località Macinara), piuttosto misteriosa. Essa consta, in realtà, di due scritte, una più lunga dell’altra e apparentemente composta da caratteri alfabetici distinti e forse cronologicamente differenti. La scritta superiore è più spostata a destra di quella inferioRuna Bianca

di Marisa Uberti

re. La scritta è stata analizzata dal prof. Alvaro Caponi, il quale sostiene che “[... ] i caratteri arcaici in cui è vergata sono di difficile attribuzione, potendo appartenere ad una di quelle lingue scritte non più comprensibili; una proto-lingua formata da caratteri greci, fenici ed etruschi, poi evoluta in una lingua distinta[...]. Noi riusciamo ad individuare una D, una T, una C, una Q, sembrano lettere sia maiuscole che minuscole, ma senza un senso logico, per noi profani. Sopra, lettere più piccole e forse anche dei numeri romani (I, II, L ?). Che cosa significano e chi ha inciso questa epigrafe? A che epoca risale? Scala intagliata nella roccia

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Il mistero della genesi L’incredibile scoperta delle vere origini dei faraoni

Robert Bauval con Thomas Brophy

DA MAGGIO 2011 IN LIBRERIA

Da chi ha avuto origine la civiltà egizia?

Le popolazioni nere vivevano nel Sahara migliaia di anni prima dell’ascesa dei faraoni e esse hanno costituito non solo la genesi delle antiche civiltà ma di tutta la storia umana


MISTERO

“Omero nel Baltico”

Le origini nordiche dell’Odissea e dell’Iliade

tempo di lettura 12 minuti

di Felice Vinci


“Omero nel Baltico”

di Felice Vinci

Felice Vinci

Felice Vinci è ingegnere nucleare con la passione di Omero e della mitologia greca. Ha iniziato la sua ricerca sulla reale localizzazione dell’Iliade e dell’Odissea nel 1992. Negli anni è riuscito a trovare numerose coincidenze e tracce di un passato nel nord Europa e ha racchiuso le sue scoperte nel libro “Omero nel Baltico” che è stato aggiornato più volte e tradotto di molte lingue. Un documentario è stato trasmesso da Voyager nel 2008 girato in Finlandia e in Norvegia.

Omero nel Baltico Palombi Editori, 2008 leggi scheda completa >>

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reale scenario dell’Iliade e dell’Odissea è identificabile non nel mar Mediterraneo, dove dà adito ad innumerevoli incongruenze (un clima sistematicamente freddo e perturbato, battaglie che proseguono durante la notte, eroi biondi intabarrati in pesanti mantelli di lana, fiumi che invertono il loro corso, il Peloponneso pianeggiante, isole e popoli introvabili...), ma nell’Europa settentrionale. Le saghe che hanno dato origine ai due poemi provengono dal Baltico e dalla Scandinavia, dove nel II millennio a.C. fioriva una splendida età del bronzo e dove sono tuttora identificabili molti luoghi omerici, fra cui Troia e Itaca; le portarono in Grecia, in seguito al tracollo dell’Optimum climatico, i grandi navigatori che nel XVI secolo a.C. fondarono la civiltà micenea: essi ricostruirono nel Mediterraneo il loro mondo originario, in cui si erano svolte la guerra di Troia e le altre vicende della mitologia greca, e perpetuarono di generazione in generazione, trasmettendolo poi alle epoche successive, il ricordo dei tempi eroici e delle gesta compiute dai loro antenati nella patria perduta. Già gli studiosi dell’antichità avevano notato che la geografia omerica presentava enormi incongruenze rispetto alla realtà del mondo grecomediterraneo. Ma la geografia omerica è stata motivo di perplessità anche in tempi molto più recenti, allorché la decifrazione della scrittura micenea, la cosiddetta “lineare B”, graffita sulle tavolette provenienti da Cnosso, Pilo e a Micene, ha permesso di confrontare il mondo di cui esse erano espressione con la realtà descritta nei due poemi. Ne è emersa, come rileva il prof. Moses Finley, “la completa mancanza di contatto tra la geografia micenea come ora la conosciamo dalle tavolette e dall’ar-

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cheologia, da una portavano con parte, ed i racconti loro la lingua greomerici dall’altra”. ca” (Russell). A questo fanno A sua volta il riscontro le evidenprof. Klavs Ranze archeologiche a dsborg mette in favore della possirilievo che certi bilità che la civiltà reperti dell’armicenea abbia avucheologia scanto un’origine nordinava, ed in pardica: al riguardo, ticolare le figure Particolare della figura di un cocchio su una il prof. Martin P. incise sulle lastre delle lastre presenti nel Tumulo di Kivik Nilsson enumera del tumulo di Kivari significativi indizi, quali la presenvik, nella Svezia meridionale, presenza, nelle più antiche tombe micenee, di tano rimarchevoli affinità con i modelli grandi quantità di ambra baltica (che dell’arte egea, al punto da indurre qualinvece scarseggia sia nelle sepolture più che studioso del passato a ipotizzare che recenti, sia in quelle minoiche a Creta), quel monumento fosse opera dei Fenil’impronta prettamente nordica della ci. Ed un altro significativo indizio della loro architettura (il “megaron” miceneo presenza degli Achei nel nord dell’Euro“è identico alla sala degli antichi re scanpa, attorno all’inizio del II millennio a.C., dinavi”), l’”impressionante somiglianza” è costituito da un graffito di tipo micedi alcune lastre di pietra provenienti da Tumulo di Kivik nella Svezia meridionale una tomba di Dendra “con i menhir conosciuti dall’età del bronzo dell’Europa centrale”, i crani di tipo nordico trovati nella necropoli di Kalkani e così via. D’altronde, archeologi come Geoffrey Bibby e filosofi come Bertrand Russell considerano probabile il fatto che la civiltà micenea abbia tratto origine dai “biondi invasori nordici che Runa Bianca

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i due poemi, hanno fatto emergere un quadro complesso, in cui coesistono le divergenze, non soltanto geografiche, tra il mondo miceneo e quello omerico, le corrispondenze di quest’ultimo con l’Europa barbarica dell’età del bronzo (sottolineate con forza dal Prof. Stuart Piggott, grande accademico ed archeologo inglese) ed una serie di indizi sull’origine nordica dei Micenei, a cui fanno riscontro le singolari analogie tra reperti nordici e mediterranei della stessa epoca. A questo punto, un modo per far “quadrare i conti” potrebbe essere quello di introdurre un ulteriore tassello: la verifica dell’eventuale coincidenza della geografia omerica, così problematica rispetto al contesto mediterraneo, con quel mondo nordico da cui potrebbero essere discesi i Micenei allorché si stabilirono in Grecia. Si tratta di una prospettiva che se da un lato è una conseguenza logica del quadro sopra delineato, dall’altro potrebbe consentire a tutti i pezzi sparsi del puzzle di trovare una collocazione logica in una visione d’insieme finalmente chiara e coerente. Un primo indizio in favore di tale ipotesi si riscontra nella meteorologia dei due poemi: nel mondo cantato Il mondo di Omero e della mitologia greca lungo il Baltico da Omero effettivamente si all’inizio del II millennio a.C., ricostruito attraverso le inavvertono le asprezze tipiche dicazioni geografiche fornite dall’Iliade e dall’Odissea Giugno 2011 | n.0

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neo ritrovato nel complesso megalitico di Stonehenge, nell’Inghilterra meridionale, insieme con altre tracce, riscontrate dagli archeologi sempre nella stessa area (“cultura del Wessex”), di epoca probabilmente precedente all’inizio della civiltà micenea in Grecia. Insomma, gli studi portati avanti sulla civiltà micenea e sulle sue origini, quali emergono dall’archeologia e dalla decifrazione dei testi riportati sulle tavolette, lungi dal chiarire i suoi rapporti con

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dei climi nordici. Sui combattenti nelalte latitudini nei giorni attorno al solla pianura di Troia cala spesso una “fitta stizio estivo a far sì che le truppe fresche nebbia” ed il mare di Ulisse non è quello guidate da Patroclo, entrate in battaglia splendente delle isole greche, ma appapoco prima del calare di una “notte fure spesso “livido” e “brumoso”; dovunnesta”, continuassero a combattere fino que si riscontra un clima tutt’altro che al giorno successivo, senza un attimo di mediterraneo, con nebbia, vento, fredtregua. Questa chiave di lettura consendo, pioggia, neve – quest’ultima anche tirebbe di ricostruire tutto lo svolgimenin pianura e perfino sul mare – mentre il to della battaglia in modo perfettamensole, e soprattutto il caldo, sono pressote logico e coerente, senza le perplessità ché assenti. In quello che, secondo la trae le forzature delle attuali interpretaziodizione, dovrebbe essere un torrido basni. sopiano dell’Anatolia, il tempo è quasi Ed un ulteriore indizio della possibisempre perturbato, al punto che i comle collocazione nordica della geografia battenti, ricoperti di bronzo, arrivano omerica, che costituisce anche la chiave addirittura a invocare il sereno durante per entrare nel mondo dei due poemi, la battaglia. D’altronde, a tale contesto è ce lo fornisce lo scrittore greco Plutarco, perfettamente adeguato l’abbigliamenil quale in una sua opera, il De facie quae to dei personaggi omerici, tunica e “folin orbe lunae apparet, fa un’affermazioto mantello”, che non lasciano mai, nepne sorprendente: l’isola Ogigia, dove la pure durante i banchetti: esso trova un dea Calipso trattenne a lungo Ulisse pripreciso riscontro nei resti di Il monte Hogoyggj in un’isola delle Faroer (l’isola Ogigia) abiti ritrovati nelle tombe danesi dell’età del bronzo. Inoltre, in tale prospettiva si spiega anche la macroscopica anomalia della grande battaglia che occupa i libri centrali dell’Iliade, con due mezzogiorni e una notte interposta, durante la quale i combattimenti non s’interrompono per il buio, cosa incomprensibile nel mondo mediterraneo: potrebbe invece essere stato il chiarore notturno tipico delle Runa Bianca

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Un antico tumulo vicino al villaggio Toija

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re una piccola isola danese, chiamata Lyø, la quale combacia perfettamente con l’Itaca omerica, sia per la topografia che per la posizione geografica rispetto alle isole vicine (tra le quali Langeland, l’”isola lunga”, corrisponde alla misteriosa Dulichio omerica, introvabile nel Mediterraneo). Invece l’Itaca del Mar Ionio non ha nulla a che vedere, né per la posizione geografica né per la topografia, con la patria di Ulisse, descritta da Omero in ogni dettaglio. A questo punto, in un’area ben delimitata nel sud della Finlandia si ritrovano numerosissimi toponimi che ricordano i nomi degli alleati dei troiani (Askainen, Reso, Karjaa e tanti altri) ed un villaggio, Toija, il cui territorio coincide esattamente con la descrizione omerica di Troia (mentre il sito anatolico trovato da Schliemann all’imbocco dei Dardanelli, corrispondente alla Troia greco-romana, dà adito a molte riserve, di cui era al corrente anche l’antico geografo greco Strabone). Addirittura, verso il mare si trova il sito di Aijala, corrispondente alla “spiaggia”, “aigialos” in greco, dove gli Achei sbarcarono e costruirono il loro campo fortificato, mentre verso l’interno i toponimi “Tanttala” e “Sipilä” ricordano nomi ben noti della mitologia greca. Ciò coincide col fatto che, secondo Omero, Enea dopo la guerra di Troia non partì per l’Italia (come avrebbe poi affermato Virgilio con la tendenziosa ricostruzioRuna Bianca

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ma di consentirgli il ritorno ad Itaca, era situata nell’Atlantico del nord, “a cinque giorni di navigazione dalla Britannia”. Partendo da questa indicazione e seguendo la rotta verso est, indicata nel V libro dell’Odissea, percorsa da Ulisse dopo la sua partenza dall’isola (identificabile con una delle Färöer, tra le quali si riscontra un nome curiosamente “grecheggiante”: Mykines), si riesce subito a localizzare la terra dei Feaci, la Scheria, sulla costa meridionale della Norvegia, in un’area in cui abbondano i reperti dell’età del bronzo. Non solo: da un lato Ulisse nel suo approdo è aiutato dall’inversione della corrente del fiume, evidentemente dovuta all’alta marea – fenomeno comune nei mari nordici, ma pressoché sconosciuto nel Mediterraneo – dall’altro nell’antico nordico “skerja” significava “scoglio”. Successivamente, partendo da qui, è possibile localizza-

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ne dell’Eneide, mirante a ricondurre localizzabili anche le avventure di Ulisl’origine della famiglia dell’imperatore se, le quali trovano precisi riscontri lunAugusto alla linea dinastica dell’eroe go le coste e le isole del Mar di Norvegia, troiano), ma fu il successore del vecchio attraversato da un ramo della Corrente re Priamo: insomma dopo l’incendio e il del Golfo, il “fiume Oceano” della mitosaccheggio da parte degli Achei la città logia. fu ricostruita, come d’altronde di norma Si delinea in tal modo una prospettiva accade in questi casi. E forse dal nome di del tutto nuova riguardo sia all’ambienEnea, che secondo Omero fu il capostitazione degli avvenimenti narrati nei pite di una lunga dinastia, deriva quello poemi omerici, sia all’origine della stesdi “Aeningia”, attestato da Plinio, con cui sa civiltà greca: le saghe che hanno dato i Romani conoscevano la Finlandia meorigine all’Iliade e all’Odissea provengoridionale. no dal nord dell’Europa; le portarono a Nel contempo, la scansione del “Catasud i biondi navigatori che nel XVI secolo logo delle navi” dell’Iliade trova una sea.C., in seguito al tracollo dell’”optimum rie di straordinari riscontri lungo le coste climatico”, migrarono in Grecia (predel Baltico, a partire dalla Svezia, dove sumibilmente scendendo per i grandi nel II millennio a.C., in un contesto clifiumi russi, quali il Dniepr, come avrebmatico molto più favorevole di quello atbero fatto millenni dopo i Vichinghi, la tuale, fioriva l’età del bronzo. E’ così poscui civiltà ha molti punti di contatto con sibile ricostruire integralmente il mondo quella descritta da Omero) e fondarono descritto da Omero (Tebe, Atene, Tirinto, la civiltà micenea. Essi poi ricostruirono Aulide, Lemno, Samotracia, Chio, l’Eunel Mediterraneo il loro mondo originabea, Creta, Naxos...) – cioè quello dell’età rio, in cui si erano svolte le vicende racdel bronzo nordica, che in effetti Il fiume finnico corrispettivo dell’omerico Scamandro nel secondo millennio A.C. ebbe una grande fioritura – eliminando tutte le incongruenze della tradizionale ambientazione mediterranea, quali il “Peloponneso” pianeggiante (che in realtà corrisponde alla grande isola danese di Sjaelland) o la prosecuzione notturna della più lunga battaglia dell’Iliade, spiegabile soltanto con la notte chiara delle alte latitudini attorno al solstizio estivo. Inoltre, in tale contesto settentrionale sono Runa Bianca

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contate dalla mitologia greca. poli indoeuropei a spostarsi dalle loro Quest’ultima dunque rappresenta il risedi originarie. Non a caso, le loro migracordo, trasmesso attraverso i secoli dagli zioni ebbero tutte luogo in un periodo aedi alle civiltà successive, delle vicende compreso tra il XVIII ed il XVI secolo a.C., che a suo tempo si erano svolte nella allorchè i Micenei scesero in Grecia, gli perduta patria “iperborea” (a cui in effetArii in India, gli Hittiti in Anatolia, i Cassiti i Greci classici continuavano a sentirsi ti in in Mesopotamia, gli Hyksos (che selegati, come ci attestano vari Autori). Ciò condo recenti studi sarebbero indoeualtresì consente di spiegare il fatto, notaropei) in Egitto, i Tocari in Turkestan ecc. to dagli studiosi, che il mondo omerico D’altronde, già alla fine dell’Ottocento il appare più primitivo di quello miceneo colto bramino indiano B.G. Tilak aveva (mentre sotto ipotizzato l’omolti aspetti rigine artica risulta simile a degli antichi quello vichinArii – “cugini” go, a dispetto degli Achei dell’abisso temomerici nonporale tra queché parlanti ste due civiltà): una lingua evidentemente molto affine, i contatti che i simile all’atmigratori achei, tuale lituano navigatori e – basandocommercianti, si sull’antico dopo la discesa calendario dal nord intravedico, che presero con le prevedeva raffinate civiltà un periodo di mediterranee sole continuo ne favorirono una ed uno di notte Cariddi in una mappa medievale del nord europa rapida evoluzione. perenne, interLa localizzazione baltico-scandinava vallato da “albe rotanti”: sono le “danze del primitivo mondo acheo trova conferdell’alba” della mitologia indiana, a cui ma nel tracollo dell’”optimum climatico” anche Omero accenna a proposito dell’iin tale area, avvenuto verso l’inizio del sola di Circe: qui in effetti avvengono II millennio a.C., dopo un lunghissimo anche altri fenomeni che sembrano alluperiodo di clima nettamente più mite di dere ad una collocazione estremamente quello attuale, che si era protratto all’insettentrionale, al di sopra del circolo pocirca dal 5500 al 2000 A.C.: ecco dunque lare artico. la probabile ragione che spinse i vari poCiò d’altronde si può inquadrare nel-

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la nuova situazione introdotta nella cui Omero illustra le decorazioni astrocronologia tradizionale dalla datazione nomiche fatte dal dio fabbro Efesto sulcol radiocarbonio corretta con la denlo strato in bronzo posto al centro dello drocronologia (la calibrazione con gli scudo di Achille: “Vi fece la terra, il cielo anelli annuali degli alberi). Al riguardo, e il mare,/ l’infaticabile sole e la luna pieil prof. Colin Renfrew afferma che “si na,/ e tutti quanti i segni che incoronano verifica tutta una il cielo,/ le Pleiadi, serie di rovesciale Iadi, la forza d’Omenti allarmanrione/ e l’Orsa...”. I ti nelle relazioni reperti di Nebra incronologiche. Le somma mostrano tombe megalitilo stretto rapporto, che dell’Europa per così dire “trianoccidentale digolare”, che, attraventano ora più verso l’archeologia, antiche delle pirasi può stabilire tra midi o delle tomil mondo nordico be circolari di Credella prima età del ta, ritenute loro bronzo, quello miantecedenti; (…) ceneo (le spade) e in Inghilterra, la quello omerico (lo struttura definitiscudo). va di Stonehenge, Ciò d’altronde è che si riteneva fosperfettamente in lise stata ispirata da nea con quanto afmaestranze micenee, ferma il prof. Piggott nel Elmo danese dell’età del bronzo fu completata molto suo Europa Antica: “La prima dell’inizio della civiltà micenea”. nobiltà degli esametri [di Omero] non Infine, una straordinaria, e recentissidovrebbe trarci in inganno inducendoma, conferma archeologica alla presenci a pensare che l’Iliade e l’Odissea siano te teoria ci viene dal cosiddetto “disco qualcosa di diverso dai poemi di un’Eudi Nebra” (un villaggio situato 50 km ad ropa in gran parte barbarica dell’Età del ovest di Lipsia, nella Germania orientale) Bronzo o della prima Età del Ferro. ‘Non e delle spade, di tipo miceneo, ritrovate c’è sangue minoico o asiatico nelle vene nello stesso sito. Il disco di Nebra è un delle muse greche... esse si collocano manufatto in bronzo datato al 1600 a.C., lontano dal mondo cretese-miceneo e circolare (diametro 32 cm) con riportati a contatto con gli elementi europei di sole, luna e stelle (tra cui si distinguono cultura e di lingua greche’, rilevava Rhys le sette Pleiadi). Esso è il perfetto penCarpenter; ‘alle spalle della Grecia micedant dei versi del XVIII libro dell’Iliade in nea... si stende l’Europa’”. Runa Bianca

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La Toscana dei Misteri Enrico Baccarini

IN LIBRERIA

Gli enigmi e i misteri pi첫 affascinanti della Toscana Un tuffo nel passato, una ricerca tra le pagine del tempo attraverso le millenarie leggende che la regione nasconde, alla scoperta di un territorio che deve ancora svelare molte delle sue arcane conoscenze


MISTERO

Costantino Cattoi Tra UFO e antiche civiltĂ

tempo di lettura 7 minuti

di Enrico Baccarini


Costantino Cattoi, tra UFO e antiche civiltà

di Enrico Baccarini

Enrico Baccarini

Giornalista, pubblicista e scrittore, ha compiuto studi universitari di indirizzo psicologico e antropologico. E’ stato membro fondatore del Comitato Interdisciplinare per le Ricerce Protostoriche e Tradizionali (CIRPET) e co-fondatore della rivista associata Archeomisteri, I Quaderni di Atlantide. Dal 1989 al 2009 è stato membro del Centro Ufologico Nazionale (CUN) con incarichi direttivi. Ha collaborato con Notiziaio UFO per l’Editoriale Olimpia di Firenze, con Ufo Notiziario per la Acacia Edizioni, Archeomisteri, Gli speciali dei misteri, HERA e i Misteri di HERA, SECRETA, nonché in diverse altre testate di settore.

La Toscana dei misteri Zona, 2010 leggi scheda completa >>

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misteri delle Vie Cave non sono gli unici che sembrano segnare i luoghi della Toscana. Una sottile linea ha, negli ultimi cento anni, delineato uno scenario diverso quanto enigmatico entro cui poter riscoprire questa terra e le sue radici. Tra coloro che maggiormente cercarono risposte all’intricato puzzle toscano troviamo il Colonnello Costantino Cattoi, famoso aviatore ed eroe pluridecorato dell’aviazione italiana nel secondo conflitto bellico mondiale. Nel 1930 viene assegnato al comando e all’aeroporto militare Baccarini di Grosseto, ben presto però un incontro segnerà la sua vita e il suo destino di uomo e studioso. Nel grossetano l’eroe dell’aviazione conoscerà Maria Domenica Mataloni, una giovane ragazza di cui si innamorerà e che, successivamente, gli donerà due figlie Giovanna Atlantina (!) nel 1932 e Maria Pia nel 1938. La giovane moglie non fu una donna qualunque, una grande sensibilità era il dono che fin da piccola l’aveva contraddistinta, un sesto senso che ben presto Cattoi iniziò a conoscere e ad apprezzare. Comprendendo le straordinarie facoltà della moglie il giovane asso dell’aviazione lascerà la carriera militare per fondare assieme a Maria la Società Radiogeotenica di Grosseto per le ricerche idriche, minerarie e archeologiche nel sottosuolo. Cattoi non era un semplice aviatore, nel corso delle sue trasvolate aveva avuto modo, più volte, di identificare in vari siti italiani strane costruzioni abbandonate o sepolte dalla boscaglia, questa sua qualità ed acume erano diventate tanto note che il vate e amico Gabriele d’Annunzio lo aveva ribattezzato, nel ’39, con l’appellativo “Costantin dall’ala occhiuta” mentre il mondo dell’archeologia misteriosa lo conoscerà come il “Cercatore di

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Giganti”. Oltre a diversi rilevamenti effettuati lungo le Alpi Apuane, Cattoi aveva fatto convergere buona parte delle proprie risorse, e future spedizioni, sul versante dell’Argentario e dell’Ansedonia e pose la propria base abitativa ad Orbetello. Qui, nascosto dal tempo, si trova un mundus subterraneus che grazie alle doti della moglie Maria sembrerà lentamente disvelarsi e riemergere ai suoi occhi. Continuando le proprie ricerCarta della presunta Tirrenide realizzata dall’orientaliche nel campo dell’archeologica sta tedesco Heinrich-Julius von Klaproth (1783-1835) e nello studio della storia delle origini dei popoli italici, Cattoi locosta maremmana, fotografa quella che calizza l’antica città diventerà nota come la Sfinge di Cosa, Antiche terre emerse di Cosa presso la sull’Argentario, e identificherà numero-

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se sculture rupestri nell’Ansedonia. A ulteriore conferma delle sue ipotesi Cattoi riesce a localizzare nel Mar Tirreno alcune citta’ sommerse, che sarebbero da annoverare tra le propaggini di quell’antico continente che avrebbe dato successivamente vita alla civiltà’ megalitica che il Colonnello chiamò “la civilita’ degli eredi di Atlantide”. Nella sua ipotesi si trattò di un popolo che dall’Irlanda a Stonehenge, dalla Spagna sino all’Egitto ha lasciato ai posteri innumerevoli tracce sopravvissute fino ai giorni nostri. La nostra Italia, in particolar modo Toscana, Liguria e Lazio sarebbero stati tra i luoghi ove quell’antichissima cultura si sarebbe maggiormente manifestata. Cattoi nelle sue ricerche ricevette l’indispensabile aiuto di due importanti Giugno 2011 | n.0

studiosi del periodo, il Dr. F. Martinelli, un collega di penna che lo consigliò e coadiuvò nelle sue ricerche tra il ’55 e il ’60 e il ricercatore americano George Hunt Willamson (che era in realtà il Principe Dobrenovich), trasferitosi in Perù per studiare affondo la misteriosa città di Tiuhanaco, e non solo… Il periodo che sottende il decennio tra i ‘50 e i primordi degli anni’60, rappresenta per il Cattoi l’apice delle sue aspirazioni di uomo e studioso. Oltre ai citati Martinelli e Wiliamson, quest’ultimo giunto in Italia per confermare gli studi di Cattoi e produrre interessantissime correlazioni, il Colonnello intratterrà scambi con i massimi studiosi del periodo. Come non ricordare le sue conversazioni con lo studioso Daniel Ruzo, grande esoterista, conoscitore dei misteri sud-americani, esploratore peruviano e scopritore dei misteriosi volti nella pietra di Marchahuasi. Williamson stesso paragonerà le sculture rupestri dell’Ansedonia a quelle scoperte da Daniel Ruzo in Sud America, creando un incredibile collegamento tra due civiltà tanto distanti quanto affini. Pur non essendo stato a Carrara e sulle Apuane, Williamson indicherà anche a Cattoi e Martinelli una interessante etimologia per la catena delle Apuane che viene fatta derivare dal termine Apu-an. Attraverso i testi di Wilhem Wanscher questa catena viene letta come “Il Sole alato ritorna”, ad indicare un possibile antico collegamento con divinità celesti, o extraterrestri come le definiva Cattoi, apportatrici di conoscenza e saRuna Bianca

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Il Colonnello Cattoi con Pierluigi Ighina

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pienza. Ai tempi odierni, come in quelli del Colonnello Cattoi, sono numerosi gli studiosi del settore definito ‘Archeologia misteriosa’, o proibita a sostenere una singolare ipotesi che vede nella penisola italica la sede, o un centro importante, di una civiltà che diede origine a sculture rupestri di dimensioni gigantesche nonché di una remotissima civiltà oggi totalmente scomparsa e dimenticata. Ma chi erano, da dove venivano e che cosa hanno fatto esattamente quelle antichissime popolazioni? L’ipotesi cardine su cui poggia il lavoro di Costantino Cattoi è quella che, sempre negli anni ’30, era stata propria di un altro studioso solitario e indipendente, il medico Evelino Leonardi. Tale ipotesi è riassunta nella teoria di un’ “Atlantide Tirrenica” di cui avrebbero fatto parte, tra l’altro, il monte Circeo, Gaeta, le Isole Pontine, ma che si sarebbe estesa fino alla Toscana Settentrionale ipotesi poi ripresa, per lo meno in parte, alla fine degli anni Sessanta da Pier Paolo Cavallin nel suo saggio “L’Atlantide fu la Tirrenide”. Queste terre sarebbero quindi state propaggini, emanazioni o colonie del mitico continente descritto da Platone. Tra i suoi principali sostenitori vi fu, nel primo 800, anche un serissimo studioso tedesco, Einrich Julius von Klaproth, tra i padri dell’orientalismo e dell’indoeuropeistica moderne. Lo stesso Giorgio Almirante, nella rivista “La Difesa della Razza”, nel quadro di un’ampia inchiesta su “L’Uomo Sardo” e sulla Sardegna intervistava il prof. Luigi Castaldi, antropologo che affermava “La Tirrenide, se esistette, dovette scomparire nei gorghi Runa Bianca

di Enrico Baccarini

durante il miocene o forse durò anche nel pliocene fino all’età quaternaria. L’uomo sardo, che secondo alcuni – come Arturo Issel – sarebbe comparso nell’età terziaria, deve essere in realtà apparso ancora più tardi. Il progenitore nostro più antico, l’Homo heidelberghensis, visse nel paleolitico pleistocene, cioè 550 o 600 mila anni fa. La Tirrenide, allora, era già sommersa”. Ipotesi sconcertanti ma quantomeno suggestive.

Una mappa moderna della Tirrenide

Tirrenide o Atlantide? Il tutto sembra ulteriormente collegarsi, attraverso studi oggi condotti sui Nuraghi e sul popolo degli Shardana, con il mito della nascita della Sardegna. Secondo la più antica delle leggende millenni fa, agli albori della vita sul nostro pianeta, sarebbe esistito un continente chiamato TIRRENIDE. Improvvisamente, per motivi inspiegabili, l’ira Giugno 2011 | n.0


Costantino Cattoi, tra UFO e antiche civiltà

divina si sarebbe scagliata su di essa. Il suolo cominciò ad agitarsi, scosso da terribili sussulti; il mare fu sconvolto da una furia terribile. Le onde sarebbero state talmente alte quasi da toccare il cielo. Sfortunatamente questo diluvio di inumana potenza si abbatté sulla Tirrenide in modo rovinoso, scuotendo le coste e invadendo le fertili pianure. La leggenda narra che le onde, come se questo non bastasse, si alzarono tanto da arrivare a coprire le ridenti colline, ed ancora di più fino a coprire le più alte vette. La Tirrenide stava per inabissarsi del tutto Giugno 2011 | n.0

finché la divinità, improvvisamente, placò la propria collera. “Oh terra infelice! A quale sterminio ha portato la mia collera!” avrebbe esclamato il dio pentito. Laddove una piccola parte di terra emersa sopravviveva ancora, vi pose sopra un piede e riuscì a trattenerla prima che il mare la inghiottisse completamente. Fu così che della grande Tirrenide sarebbe rimasta quell’impronta solitaria in mezzo alla grande distesa d’acqua. Dapprima prese il nome di ICHNUSA, che significa appunto “orma di piede” e in seguito SARDEGNA, da SARDUS, eroe Bérbero, venuto dall’Africa. Il mito platonico potrebbe quindi avere una possibile origine nelle nostre terre, o quantomeno, secondo le ipotesi oggi predominanti la stessa Toscana avrebbe potuto ospitare colonie di quel mitico continente descritto da Platone e successivamente distrutte come descritto nei suoi Timeo e Crizia. Comunque la si voglia vedere tanto le leggende quanto i riscontri e ritrovamenti archeologici potrebbero testimoniarci tale possibilità, non parlando delle misteriose mura megalitiche che ancora oggi sono visibili in buona parte dell’alto Lazio. Runa Bianca

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Un articolo de La Nazione dell’agosto dell’58 in cui George H. Williamson perlustra l’Argentario nei luoghi studiati dal Colonnello Cattoi

di Enrico Baccarini

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I misteri di Saliceto

Tesori nascosti, gallerie misteriose, camere segrete, simboli esoterici da decifrare... tempo di lettura 8 minuti

di Luigi Bavagnoli e Margherita Guccione


I misteri di Saliceto

di Luigi Bavagnoli e Margherita Guccione

Luigi Bavagnoli

Speleologo ed esploratore, presidente dell’associazione speleo-archeologica TE.S.E.S. (www.teses.net), da lui fondata nel 1996. E’ stato co-fondatore e consigliere della Federazione Nazionale Cavità Artificiali fino al 2008. Appassionato di storia, archeologia, geologia, folklore ed esoterismo tiene anche numerose conferenze sulle ricerche, e le scoperte effettuate.

M a r g h e r i ta Guccione

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olte sono le storie di tesori nascosti, di gallerie misteriose, di camere segrete, di simboli esoterici da decifrare. Si tratta di elementi ricorrenti in molte leggende e, per certi versi, diffusi capillarmente su tutto il territorio nazionale. Eppure esiste un paese reale in grado di amalgamare tutte queste situazioni. E’ Saliceto, in provincia di Cuneo. Sorto sul colle detto anticamente “della Margherita” e diviso in due borghi, Borgovero e Borgoforte, lasciò poi la scena al Borgonuovo edificato a fondovalle e fortificato con mura e torri già nel XV secolo. I primi due insediamenti furono probabilmente distrutti dai saraceni, e proprio da questa epoca si eredita la prima leggenda che affrontiamo. Nel XI secolo morì Abdul Amin, principe saraceno che si era insediato sulle colline fuori Saliceto creando il suo alcazar (1) ed arricchendosi grazie alle scorrerie perpetrate ai danni dai villaggi e delle abbazie limitrofe. Egli decise di far seppellire con se tutte le sue ricchezze e, per questa ragione, convocò i migliori

Grande appassionata di archeologia e materie storico-artistiche, con studi Beni Culturali. Nel 2010 entra a far parte dell’associazione T.E.S.E.S. come responsabile delle ricerche storiche e culturali e come esploratrice. Grazie all’esperienza di esplorazione promuove la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico ed archeologico italiano.

Fase dell’esplorazione del pozzo del castello Giugno 2011 | n.0

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I misteri di Saliceto

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orafi di Piemonte e Liguria. Fece realizzare, con una parte dell’oro a sua disposizione, la sua statua in oro pieno a grandezza naturale. Secondo altri, dal momento che giunse in Italia via mare, decise di far creare un vascello, in oro massiccio, in ricordo del viaggio che gli portò fortuna. In parallelo un gran numero di schiavi avrebbe scavato nel ventre di una collina una camera sotterranea, all’interno della quale furono poi portati gli scrigni contenenti il suo tesoro. La nicchia sotto il livello dell’acqua nel pozzo del castello Al fine di mantenere segreta zione possibile, in un luogo poco frel’ubicazione del suo sepolcro, fuquentato e lontano da occhi indiscreti, rono uccisi tutti gli schiavi che avevano per mantenere la segretezza sulla sua partecipato alla sua realizzazione. I loro posizione. Deviare un corso d’acqua pocorpi sarebbero poi stati gettati in una teva non passare così inosservato. fossa comune poco distante. Negli anni molti abitanti della zona I cavalieri a lui più fedeli trasportarohanno cercato qualche traccia di questa no la sua salma all’interno della sua tomtomba, ritrovando però un numero noba, fecero franare l’accesso e piantarono tevole di strane gallerie, ipotizzando che delle querce per cancellare le tracce dei potessero essere state realizzate per delavori e rendere il luogo irriconoscibile. pistare eventuali ricercatori e sperando Alcuni ricercatori ipotizzano che il seche una di queste potesse condurre al polcro non venne scavato nella collina, sepolcro nascosto. Molti tratti di queste ma sotto al letto del Bormida, fatto decavità artificiali sono ancora percorribili viare appositamente per l’occasione e e spesso rinforzate da rivestimenti mupoi ricondotto al suo percorso naturale. rari a secco realizzati con materiale lapiAllo stato attuale delle indagini, in atdeo. tesa di ritrovare fonti di prima mano con Sono ricorrenti due elementi, comuun grado di attendibilità più elevato delni nella maggior parte di queste opere le attuali, non possiamo far altro che riipogee: l’ampiezza della loro sezione, portare la leggenda, così come è giunta che consente il comodo passaggio di fino a noi. una persona adulta, e la presenza, più o Ci permettano i lettori una sola conmeno abbondante, di acqua al loro insiderazione: l’eventuale scavo doveva terno. essere realizzato con la massima discre-

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L’ipotesi più accreditata è che si tratti di opere idrauliche poiché alcune di queste gallerie intercettano sorgenti d’acqua direttamente da alcuni grottini naturali. Una di queste, in particolare, presenta recenti piscine limarie (2) a conferma del suo impiego come opera di captazione, di presa e di trasporto delle acque. Nel XII secolo la località mutò nome: il colle “della Margherita” divenne il colle “della Rosa”, lasciando supporre a molti storici una marcata influenza templare (3), considerando anche la potente ed enigmatica figura dei marchesi Del Carretto. Una delle numerose gallerie delle colline Altra lunga galleria misteriosa

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Fu il cardinale Carlo Domenico Del Carretto a volere l’edificazione della splendida chiesa rinascimentale, intitolata a San Lorenzo, che possiamo considerare, con parole dello storico Guido Araldo, “un libro di pietra ancora da leggere”. La sua facciata, ma anche il suo interno, presenta una gran quantità di simbologie esoteriche ed alchemiche, rappresentanti figure che non dovrebbero trovarsi su di una chiesa cristiana. Questi bassorilievi raffigurano anche sirene dai seni scoperti e dalle doppie code, salamandre, l’araba fenice, il pellicano che nutre i piccoli con il proprio sangue. Va ricordato che Carlo Domenico era molto amico di Papa Giulio II e del re di Francia Luigi XII, che molto probabilmente conobbe Leonardo da Vinci e

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Presunto bafometto sulla chiesa di San Lorenzo che fu fratello maggiore di Fabrizio, gran maestro dei Cavalieri di Rodi. E’ infatti sulla sua facciata, in cima alla lesena di destra, che troviamo un possibile Bafometto (4) ed un possibile percorso alchemico, dove l’acqua è rappresentata da anfore e dalla rana alata, il fuoco dalle salamandre e dalle torce accese, la terra dalle tartarughe e dai melograni e l’aria da uccelli e grifoni. Compare anche un possibile Ermete Trismegisto, un athanor (5), vari simboli contrapposti dal tipico dualismo templare, e così via. Venne fatta costruire proprio sulle fondamenta dell’antica pieve di Santa Maria, la quale, stando a recenti scavi, risulta disassata di circa 60° rispetto alla navata attuale. Le pietre di questa chiesa rappresenGiugno 2011 | n.0


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di Luigi Bavagnoli e Margherita Guccione

ad altri. Il dipinto mostra la Vergine durante l’Annunciazione, ma la curiosità è un teschio presente nella parte inferiore della tela. Questo teschio ad un primo esame sembra non essere umano, la mascella è allungata, così come i denti e la cavità nasale è più ampia della norma. Ricorda un primate, forse un australopiteco. Non solo, sulla tempia in vista pare esserci un grande foro o una concavità che può dare spazio a numerose interpretazioni. Anche il castello di Saliceto, che conserva ancora pregevoli affreschi trecenteschi e alcuni motivi decorativi medievali mescolati a volte gotiche, nasconde un segreto. Tra le sue mura, nei sotterranei, sarebbe celata una camera segreta. In questa stanza, nel XVI secolo, si sarebbero ritrovati di nascosto alcuni nobili delle Langhe per tramare contro la dominazione spagnola di Filippo II, organizzati dal conte di Millesimo, Ottaviano Del Carretto. Dai documenti rinvenuti negli archivi storici, tra cui gli atti del processo intentato a Milano contro il conte di Millesimo, si apprende della sua esistenza. Dalla ricostruzione dei dati sembrerebbe che questa camera potesse trovarsi sotto alla “grande cisterna”, ritenuta da tutti scomDettaglio del dipinto dell’annunciazione: teschio forato parsa in seguito alla ripavimenGiugno 2011 | n.0

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tano ancora oggi un enigma che va studiato e forse messo anche in correlazione con un’altra scultura: una pietra rinvenuta casualmente sull’architrave di una casa del centro storico. Vi è scolpito lo stemma dei marchesi Del Carretto sormontato da un curioso manico di forma triangolare e da due martelli ai lati. Per alcuni storici e ricercatori locali potrebbe trattarsi di una testimonianza dei Francs-Maçons. La pietra è stata rinvenuta durante alcuni restauri, in quanto inglobata nella muratura con il rilievo rivolto all’interno e quindi invisibile. Oggi è stata voltata ed è possibile ammirarla. Anche al suo interno la chiesa custodisce interessanti enigmi. Di recente è stato riconsegnato un dipinto, rimasto per anni lontano dalla chiesa per motivi di restauro. Chi scrive ha avuto la fortuna di essere tra i primi ad osservarlo ed ha potuto notare elementi sfuggiti

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tazione della stanza un tempo adibita a stalla. Nel corso della nostra indagine preliminare abbiamo osservato il pozzo del castello, notando, all’interno della canna, una curiosa nicchia situata sotto al livello dell’acqua. E’ stato quindi richiesto l’intervento della Protezione Civile per svuotarlo, tramite pompe idrovore. Durante le operazioni abbiamo avuto modo di esaminare la pavimentazione della vecchia stalla. L’allenamento a scrutare ogni dettaglio ci ha portato ad individuare un tombino di modeste dimensioni, in precedenza ignorato da tutti. Esso si è rivelato essere proprio l’accesso alla cisterna. Mentre una nuova idrovora era impegnata a svuotare questa nuova cavità, scendevamo nel pozzo, nel frattempo liberato dalle acque. La nicchia, purtroppo, non era un suggestivo passaggio segreto, che ipotizzavamo dotato di semplici ma efficaci sistemi per il deflusso ed il riempimento rapido ma, piuttosto, una semplice nicchia ricavata nell’intercapedine tra il rivestimento in muratura e la roccia viva, cavata durante la perforazione verticale del terreno e realizzata per ragioni ancora ignote. La cisterna, invece, ha mostrato molti detriti al suo interno ma nessuna ulteriore apertura. Uno studio completo e sistematico potrebbe rivelare indizi confutabili con le fonti scritte. Note 1) Parola spagnola di origine araba che indica un luogo fortificato. 2) Serie di vasche di decantazione per far preci-

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pitare le impurità dall’acqua captata. 3) Per via del dualismo della “rosa”, luogo di preghiera e di rifugio, e della “spina”, avamposto fortificato che proteggeva la rosa. 4) L’idolo pagano che si ritenne adorato dai Templari. Una figura con enormi baffi e zampe da caprone, coincidente con l’unica descrizione giunta fino a noi dal gran cancelliere del re di Francia Guglielmo da Nogaret nell’arringa di accusa contro Jacques de Molay. 5) Termine di origine araba che indica il forno. Spesso utilizzato in alchimia per intendere la digestione alchemica. La metafora è con lo spirito umano, che si purifica e si migliora come il piombo che diventa oro. Bibliografia Araldo, G., “Le colline dell’arcano”, Il mio libro, 2011 Araldo, G., “I Templari, la loro presenza in Piemonte Liguria Nizzardo… e quattro luoghi magici. Poi oltre il mito”, Il mio libro, 2011 Fenoglio, A., ”A caccia di tesori”, Piemonte in bancarella, Torino, 1978 Luppi B. (pref. De Ubaldo Formentini), I Saraceni in Provenza, in Liguria e nelle Alpi occidentali, Collana storico-archeologica della Liguria occidentale, Istituto Internazionale di Studi LiguriMuseo Bicknell, Bordighera, 1973 Pregliasco, A., “Saliceto, il nostro paese, frammenti di arte e storia”. Omega Edizioni, Torino, 1999 Settia A., I Saraceni sulle Alpi: una storia da riscrivere, in “Studi Storici”, n.1, [s.l.] 1987 Relazione presentata al convegno: “Nel millenario di S. Michele della Chiusa. Dal Piemonte all’Europa: esperienze monastiche nella società medievale”, svoltosi a Torino, 27-29 maggio 1985

Tutte le foto: (C) Teses - Stefania Piccoli Giugno 2011 | n.0



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Origine della geometria sacra tempo di lettura 5 minuti

di Marisa Grande


Origine della geometria sacra

di Marisa Grande

Marisa Grande

Dopo la sua carriera di insegnante di Disegno e Storia dell’Arte, continua nel campo artistico con un linguaggio originale, la Synergetic-Art, che trova la sua piena espressione nel “meta-realismo” della sua pittura e della sua poesia. Con il Manifesto del Movimento culturale “Synergetic-art 1990” (www.synergetic-art.com) ha avviato un’attività di studi e di ricerca pluri-disciplinare, condotta con approccio sistemico, per cogliere le interconnessioni esistenti tra le varie branche del sapere e promuovere una rinnovata visione della conoscenza. Collabora con associazioni culturali e case editrici e scrive articoli per riviste di cultura. Tra le sue pubblicazione ricordiamo: L’orizzonte culturale del megalitismo (Besa, 2008) e... Dai simboli universali alla scrittura Besa, 2010 leggi scheda completa >>

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olte sono le storie di tesori nascosti, di gallerie misteriose, di camere segrete, di simboli esoterici da decifrare. Si tratta di elementi ricorrenti in molte leggende e, per certi versi, diffusi capillarmente su tutto il territorio nazionale. L’essere umano, cogliendo l’essenza degli elementi della natura, ha cercato e cerca le strutture portanti di tutte le forme dell’universo e costruisce modelli, con implicite le leggi dell’armonia che presiedono all’ordine nel cosmo. Da millenni egli ha inteso, di conseguenza, riproporre in terra opere perfette basate su modelli composti da forme geometriche, le cui leggi matematiche derivano dalle dinamiche che regolano i cicli degli astri nel cosmo. Per questo le forme ideate dall’uomo per porre in sintonia la terra con il cielo rientrano in una conoscenza antica, estratta dall’astronomia empirica e applicata per mezzo della “geometria sacra”. La geometria sacra è ispirata alle strutture profonde e regolari delle forme naturali semplici e complesse appartenenti al piano del visibile e alle dinamiche cicliche che le generano. La conoscenza di base della “geometria naturale” ebbe origine quando l’uomo scelse un centro privilegiato per governare con lo sguardo tutte le direzioni possibili di uno spazio semisferico e luminoso, all’interno del quale si manifestavano fenomeni di natura apparentemente caotica, ma che egli intuiva essere sicuramente interdipendenti e connessi in una macro-struttura cosmica. La “geometria sacra”, quindi, scaturì molto precocemente dal rapporto dell’uomo con l’ambiente. Il suo relazionarsi con gli aspetti mutevoli della natura lo spinse a cercare un ordine all’in-

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Origine della geometria sacra

terno di elementi che pur non sembravano governati da regole comprensibili. La capacità di cogliere l’insieme delle forme naturali di un paesaggio in cui egli era fenomenologicamente immerso, facoltà propria del lobo celebrale destro, gli permetteva di relazionarsi facilmente con gli elementi che componevano il suo habitat e di usufruire delle sue risorse. Un carattere di tipo adesivo con la natura, dovuto alla sua appartenenza al mondo animale, gli permetteva di attivare le sue capacità sensoriali ed emotive per percepire le caratteristiche ambientali e reagire di conseguenza, ricorrendo in extremis al suo innato spirito di sopravvivenza. L’uomo, in quanto essere pensante, espresse ben presto anche le sue caratteristiche di razionalità, proprie dell’ordine intellettuale, coniugando alla percezione globale del lobo destro del cervello le facoltà insite nel lobo sinistro. Preposte alle capacità raziocinanti, queste gli permettono di catalogare, di associare e di valutare tutto ciò che riesce a percepire con i suoi sensi e di attribuire significati più profondi e complessi rispetto al significato intrinseco, oggettivo, di ogni elemento del cre-

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di Marisa Grande

ato. La sua “anima intellettiva”, vitalità precipua del suo essere razionale che lo fa distinguere dagli altri esseri di natura, facendo leva sull’universalità della sua “anima spirituale”, coniuga le facoltà di entrambi i lobi del cervello e gli permette di intuire, associare, catalogare, connettere, confrontare e valutare gli elementi oggetto della sua esperienza e della sua conoscenza, fino a permettergli di esprimere un giudizio critico e di “ricrearli” nelle condizioni che ritiene ottimali per meglio usufruire delle loro proprietà e funzioni. La sua posizione eretta, indubbiamente, lo favorì nello stabilire le relazioni spaziali con l’ambiente. Egli poté completare la sua visione ruotando su Estensione all’orizzonte. Foto di Ezio Sarcinella

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se stesso, per osservare una circonferenza di un limite apparente composto da un circuito di 360 gradi. Tale orizzonte-limite visivo, pur essendo percepito come una linea retta, delimitante l’estensione visibile della terra e l’estensione visibile del cielo, sviluppandosi per 360 gradi risultava essere composto da una linea chiusa, poiché non presentava alcuna Giugno 2011 | n.0

soluzione di continuità. L’uomo concepì simbolicamente tale circonferenza massima come simile ad un serpente che si morde la coda. Da qui l’immagine dell’Ouroboros, uno degli archetipi più potenti e più onnicomprensivi di significati, a volte anche contrastanti ed ambigui. Poiché quella curva lontana e irraggiungibile si sviluppava ad equidistanza da un medesimo luogo centrale di osservazione, ogni suo punto poteva essere considerato tanto il suo inizio, quanto la sua la fine. Essendo l’uomo il tramite visivo di quella curva senza ordine gerarchico tra i suoi punti, tutte le curve chiuse sottomultipli di essa avevano il medesimo centro, dal quale dipendeva la regolarità delle circonferenze concentriche che si espandevano da quel punto centrale fino all’orizzonte. Ogni area compresa in quel luogo privilegiato era ritenuta sacra, poiché simulava l’espansione del grembo di una madre feconda intorno a un ombelico centrale. Non essendoci ordine gerarchico tra ogni punto di una circonferenza, ma Runa Bianca

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Fuoco sacro. Elaborazione di Marco Sarcinella

di Marisa Grande

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Origine della geometria sacra

solo tra il centro e la circonferenza, ogni cerchio umano, stretto intorno ad un punto centrale vitale - focolare, mensa, altare, coppella sacra - fu quindi concepito come composto da elementi paritetici, partecipanti ad un’azione collettiva condivisa. Le azioni svolte in quel cerchio risultavano tanto centripete, per la concentrazione delle energie convogliate al centro e rivolte al cielo, quanto centrifughe, poiché discendenti dal cielo e irradiate sulla terra tramite il medesimo centro. L’intento di vincolare energeticamente la terra con il cielo in punti precisi sembrò, perciò, essere la condizione necessaria per rendere tangibile un incontro con il cielo, impossibile da realizzare sulla linea irraggiungibile dell’orizzonte. Poiché un innato horror vacui attanaglia l’essere umano di fronte al mistero che si coniuga con uno spazio esteso all’infinito e con un tempo dilatato fino all’eternità, concepire sulla terra una serie di cerchi sacri misurabili, riflessi dei cerchi sacri irradiati intorno a precisi astri del cielo, gli permetteva di esorcizzare la paura provata di fronte ad uno spazio e ad un un tempo incommensurabilmente estesi.

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di Marisa Grande

Tali condizioni di indeterminazione spazio-temporale sembravano essere più facilmente comprensibili da facoltà proprie di esseri divini e immortali, ossia da menti superiori, anziché da menti limitate di un essere terreno e mortale. Il luogo centrale di circonferenze espanse, composte da punti paritetici dipendenti dal centro, corrispondeva pertanto al punto tangibile di contatto dell’uomo con tali entità superiori, essendo anche quel punto, come quelli dell’orizzonte sul quale essi sembravano ciclicamente atterrare, uno degli innumerevoli punti dello spazio infinito, che, se pur percepito dall’uomo in forma di calotta semisferica, alla luce della sua ragione limitata, risultava comunque incommensurabile e illimitato. Coppella. Foto di Ezio Sarcinella

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Sono un essere divino rinchiuso in un involucro di carne tempo di lettura 8 minuti

di Anja Zablocki


Contattismo

di Anja Zablocki

Anja Zablocki

Nasce in Bosnia nel 1981, si trasferisce in Italia a nove anni per sfuggire alla guerra civile. Fin da piccola ha esperienze di contatto coi mondi sottili. Nel 1999 inizia un rapporto amichevole con entità provenienti da un’altra dimensione, con le quali condivide un percorso evolutivo. Da un paio d’anni frequenta il forum di Nexus (forum.nexusedizioni.it) di cui diviene moderatrice col nickname di Ressay. Le sue esperienze son state oggetto di discussione in alcune trasmissioni televisive tra cui “mistero” Italia1.

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ono un essere divino rinchiuso in un involucro di carne. È ciò che vedo quando mi guardo allo specchio. Per arrivare a questo semplicistico concetto ho navigato trent’anni in un oceano di incognite. I termini “contattato”, “ufologia”, “esoterismo”, erano solo concetti astratti. Oggi, ciò che condivido con un crescente pubblico di curiosi, un tempo apparteneva solamente al giardino segreto della mia anima. L’esperienza di contatto con altri mondi è iniziata precocemente, attorno ai cinque anni di età, ma solo durante l’adolescenza si è pienamente concretizzata, anche se a quei tempi non avevo realmente consapevolezza di quanto fosse importante per me ciò che stavo vivendo. Era la mia “normalità”, ma capivo che era molto diversa dalla normalità degli altri. Ne parlo ora perché credo di avere raggiunto l’età in cui si tirano le prime somme sulla vita che si conduce, e lasciare dietro di me questi sassolini d’esperienza spero sia utile a qualcun altro, sia che soddisfino una semplice curiosità, sia che riescano a far sentire meno sole le persone che fanno o che stanno per fare il mio stesso percorso. Tengo a precisare che non voglio predicare da un pulpito, né spacciare come verità assolute ciò che è una piccola tessera personale di questo infinito puzzle chiamato universo. Sono convinta che nessuno conosca la verità assoluta, ma ognuno può contribuire alla comprensione del mistero della vita. L’entità che chiamo Ra’bey mi ha contattato per la prima volta nell’estate del 1999. Prima ancora di apparire nella sua forma energetica (queste creature non hanno un corpo fisico come il nostro) ha passato alcune settimane popolando i miei sogni. Durante le visite, era accompagnato da altre tre entità che restavano sempre in disparte. Comunicavano con un insieme di im-

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con un corpo rosso e testa da falco. magini tridimensionali, fonemi apparNon sono sempre presenti nella mia tenenti ad un’arcaica lingua, e sensaziovita. Arrivano per motivi precisi e alterni. Il contatto risultava intimo e invasivo nano periodi di visite assidue a lunghi siallo stesso tempo, perché io percepivo lenzi, sia per darmi il tempo di riposare, ciò che volevano mostrarmi come se nasia perché pianificano le visite cercando scesse direttamente dalla mia mente, e di non interferire troppo con le mie decilo scambio avveniva a velocità pensiero. sioni, sia perché, per mostrarsi in questa In principio non si avvicinavano mai dimensione devono succhiare energia più di tanto, perché il loro “peso” enerda ciò che li circonda, quindi getico è molto elevaDisegno dell’entità RA’BEY dall’ambiente e ovviamente to e l’interazione tra le da me. nostre energie mi Durante le prime causava un senso visite ho rivissuto di malessere, con momenti di alcunausea e un senso ne vite precedendi pressione al petti, che sarebbe più to. Come promescorretto chiamare so, dopo un paio di vite parallele, in visite hanno risolto quanto le nostre questo problema anime fanno diveragendo energeticase esperienze conmente sul mio dna, temporaneamenma la sensazione te. In tutte seguo di essere una forun percorso mistemica di fronte a un rico e ho contatti elefante, al loro cocon loro. Sono vite spetto, non mi ha in cui occupo corpi mai abbandonato. umani ma anche Sono davvero credi strane creature ature imponenti. sicuramente apL’aspetto con cui partenenti ad altri si mostrano è irripianeti. levante, perché la Loro dicono che abbiamo la stessa loro qualità vibratoria è molto più eleorigine, ma che abbiamo scelto percorsi vata della nostra, e usano simbolismi diversi. La loro evoluzione li ha portati a archetipici per assumere una forma che un’esistenza per noi inconcepibile; vivola nostra mente possa accettare. A volte no in una dimensione diversa dalla nosono umanoidi eterei come fantasmi, di stra, e parlano della casa Orione, anche colore blu elettrico e occhi a mandorla, a se è un dato molto generico, e non so volte assumono una forma più pesante

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Uomini uccello e la loro presenza in alcune culture umane. In sequenza: Horus per gli antichi egizi, raffigurazione Atzeca di Uomo Uccello, Mitico uccello divino, cavalcatura di Vishnu,

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sto pianeta, e che siamo arrivati qui per nostra scelta, per fare un’esperienza indispensabile dentro contenitori che teoricamente non sono più adatti a contenere la qualità vibratoria delle nostre anime, come vestiti di due taglie più piccoli. Questa esperienza ci serve da rodaggio, diciamo. Ci chiamano Rispondenti, perché rispondiamo tutti alla stessa Legge. Terminato il compito in questa vita, potrò tornare a casa oppure scegliere di fare il loro stesso “mestiere” e diventare un Viaggiatore. In quegli anni hanno inserito informazioni in una zona della mia mente a cui ancora non ho accesso. Altri concetti li ho semplicemente rimossi perché per me incomprensibili, nonostante lo sforzo di capire. A molte domande invece non hanno dato risposta, perché secondo loro erano cose superflue, che volevo acquisire per un superficiale desiderio di “saperne più degli altri”, o perché non avevano attinenza con il mio percorso. Ci sono periodi in cui mi visitano per alcune notti di fila e mi mettono in uno stato a metà tra sogno e veglia, come in stand by, per Runa Bianca

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in quale forma sia evidentemente connesso alla costellazione. Dicono che ci sono molte persone come me su que-

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inserire a velocità incredibile una serie di dati, come se stessero scaricando dei files su un computer. Come ho già accennato, riguardo a ciò che credo sia il mio compito, non mi pongo nella condizione di profeta né guru, e la mia esperienza, nonostante coinvolga il mondo in cui vivo, credo sia più un viaggio verso la consapevolezza personale; quella che ognuno di noi è tenuto a fare dal momento in cui viene al mondo, anche se in modalità e con risultati molto diversi tra loro. Il ricordo più vivo delle conversazioni avvenute dodici anni fa riguarda il particolare periodo che sta attraversando tutta l’umanità e insieme a noi, tutta la galassia. Mi parlarono di un periodo di sconquasso, di perdite umane, di stravolgimenti nella natura e nella società, ma dissero anche che era un fenomeno naturale e ciclico, sempre prevedibile e assolutamente necessario, ma che non dovevo averne timore, perché il nostro compito è trarre insegnamento da questa preziosa esperienza e utilizzarla come catalizzatore per la consapevolezza. A fasi alterne, i contatti sono durati

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di Anja Zablocki

fino al 2003 quando, per sfinimento psico-fisico, ho sentito la necessità di prendermi una pausa. Il giorno dopo avere vissuto un’esperienza particolarmente forte, ho espressamente chiesto che non mi contattasse più nessuno e che mi “addormentassi” in attesa del momento in cui mi sarei sentita di nuovo abbastanza forte per continuare questo percorso. In quel momento un’abbagliante luce bianca ha illuminato come un fulmine la mia camera e da quel momento, e per i successivi quattro anni, non ho avuto più alcuna esperienza di contatto. Nel 2008 ho cominciato a sentire una familiare irrequietezza. Fenomeni strani tornavano ad accadere e dentro di me una voce insistente mi tormentava nelle occasioni più impensabili dicendo “é ora di svegliarsi”. Ho cercato di negare a me stessa questa realtà, non mi sentivo ancora pronta, ma il mio stesso corpo mi stava dando segnali di allarme. Febbri improvvise, astrali frequenti, attacchi di panico, spossatezza, incubi ogni notte; ogni cellula del mio corpo cercava di ribellarsi al fuoco del risveglio che si stava ravvivando dentro di me. Solo mesi più tardi ho trovato il coGiugno 2011 | n.0


Contattismo

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Capire che gli anni di negazione mi hanno precluso una più profonda scoperta di me stessa e del mondo mi ha portata alla decisione di condividere ora con più persone possibile la mia esperienza, per iniziare una nuova strada nella ricerca. Per questo motivo ho anche partecipato due volte alla trasmissione Mistero, dove ho rilasciato brevi interviste. Al di là della valenza o meno di quel tipo di programma, o dell’opinione denigratoria degli scettici, credo che sia servito esattamente al suo scopo: permettermi di conoscere ed entrare in contatto con altre persone come me. Mentre scrivo queste parole, sono ancora lontana dal completamento del mio percorso. Questa Via non è facile da percorrere, e durante il cammino si possono anche fare incontri spiacevoli e vivere esperienze che creano ulteriori dubbi invece di dare risposte. Ma questo è l’unico modo in cui io posso essere, è il sassolino che lascerò sul sentiero insieme a milioni di altri. Quello che abbiamo è un dono e un dovere: la paura di noi stessi e del giudizio degli altri, il timore dell’ignoto, sono il male peggiore che potevamo creare per noi stessi, e siamo noi, questo sia chiaro, a creare tutto. Io non smetterò mai cercare. Del resto, l’importante non è la meta, ma il viaggio.

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raggio di cedere a ciò che in fondo è la mia natura di Rispondente. Devo ammettere che un grande aiuto l’ho trovato nelle splendide persone che ho conosciuto grazie al Forum di Nexus Edizioni, http://forum.nexusedizioni.it/ addotti_cercasi-t3161.0.html dove Ra’bey mi aveva invitato a raccontare per la prima volta la mia storia. Queste persone sono ormai legate al mio percorso, e ognuna di loro ha illuminato un pezzetto di buio. Quando si fa esperienza di una vita come la mia, l’appoggio di amici e parenti allevia il senso di isolamento e solitudine che accompagna per sempre chi vi è immerso. Sono stata fortunata. La gente tende a denigrare e a scappare da ciò che non conosce perché l’ignoto fa paura, uccidendo così in modo graduale l’animo sensibile di chi invece potrebbe trovare forza anche solo venendo ascoltato. Questa terribile operazione di lavaggio del cervello viene fatta già da bambini, spegnendo anno dopo anno la magia delle loro menti. Se così non fosse, ci sarebbero molte più persone capaci di vedere oltre il Velo. Oggi posso dire che si è avverato ciò che mi avevano predetto; gli avvenimenti che sarebbero accaduti nella mia vita, nel mondo, le persone che avrei incontrato, i cambiamenti che avrei vissuto. So di avere fatto un errore cedendo alla paura, perdendo anni dietro a cose futili e convinzioni sbagliate ed esperienze estreme. Ma forse, anche questo errore è stato a suo modo la strada giusta, la strada che mi ha portata fino a qui.

di Anja Zablocki

Invito i lettori desiderosi di condividere la loro esperienza, o per avere risposta a domande e curiosità, a contattarmi all’indirizzo e-mail anja.zablocki@gmail.com

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Il Libro di Oera Linda

La storia dimenticata di un Continente scomparso

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di Antonio Soldani


Il Libro di Oera Linda

di Antonio Soldani

Antonio Soldani

Nato nel 1954 a Lorenzana un paesino delle colline Pisane è libero ricercatore e amante della storia delle nostre origini e delle antiche civiltà, ricerca verità alternative, insoddisfatto delle risposte ufficiali messe a disposizione dall’accademia istituzionalizzata; questo attraverso la correlazione di storia e religione con miti e leggende. È webmaster del sito www.misteromania.it

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entotrentacinque anni fa, un manoscritto antico fu tradotto in lingua moderna, in seguito conosciuto come il Libro di Oera Linda. Le storie che racconta hanno rivelato i segreti dell’Età Matriarcale nell’Europa Occidentale, infatti in esso è registrata la storia dei Figli di Frya, la dea madre della loro razza e del suo “Sacro Tex” che ha fornito loro i valori sociali e morali necessari per costruire una grande nazione, forse la più grande civilizzazione del mondo antico. Racconta delle lotte che le Madri Terra dovevano sostenere per mantenere la libertà contro le invasioni e le influenze dei principi e dei sacerdoti del nemico proveniente dall’Est. Ed è grazie a questa lotta che siamo e ci sono giunti i nostri valori Occidentali, e molti degli eroi e delle eroine della nostra mitologia classica. La storia inizia nell’Età del Toro quando le mitiche dee fecero da madri ai loro “bambini” ma quell’età terminò nei “tempi cattivi” con terre distrutte e sommerse da devastanti maremoti ed eruzioni vulcaniche, incendi di foreste ed inondazioni che cambiarono la faccia dell’ Europa annunciando la venuta dell’Età dell’Ariete. Ed è nel 2193 a.C. che l’isola continentale di Atland scomparve, svanita come l’altrettanto leggendaria Atlantide, completamente disintegrata da immense catastrofi. Molti superstiti riuscirono a trasferire la loro civiltà altrove, volgendosi verso l’Egitto e Creta compresa, infatti nel Libro di Oera Linda leggiamo che Minno (Minosse), il favoloso re di Creta, costruttore del labirinto, era un frisone e che era stata questa sua civiltà a originare in seguito quella ancora più splendente di Atene, fondata da Minerva che era una Madre. Gli abitanti di Atland veneravano un solo dio, che si celava sotto il nome di Wr-alda. Frya era la prima di tre sorelle. Le altre si chiamavano Lyda e Finda. Lyda aveva la pelle scura ed aveva dato origine alle popolazioni negroidi; Finda aveva la pelle giallastra

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ed aveva dato origine alle popolazioni orientali, Frya aveva la pelle chiara. L’età nuova iniziò con le Madri Terra, con le ancelle della cittadella ed i lunghi viaggi dei Re del mare, finendo due mila anni dopo con i patriarchi, ed i re che richiesero il riconoscimento e la fedeltà per i favori concessi, ed una “diffidenza” chiamiamola pure così nei “contributi femminili” alla società. Questa storia riguarda una società razzialmente protettiva, con un alto stato di coscienza e di libertà individuale basato su una morale ed un codice civile, dove uomini e donne erano rispettati per le loro intrinseche capacità, che migliaia di anni fa nell’Europa Occidentale tentò di mantenere, ma inevitabilmente fallendo la sua integrità, anche se le sue persone tentarono di educare alle loro usanze e costumi tanto i commercianti stranieri quanto i marinai, per poi scomparire infine nei polders dell’Olanda.

di Antonio Soldani

e le basi del nostro linguaggio che ha dato struttura alla maniera di pensare. Molto spesso siamo colpevoli di descrivere i nostri antenati come contadini primitivi o ignoranti, incapaci di capire una cultura civilizzata moderna; ma leggendolo si scopre le origini di molti nobili concetti che anche adesso, pur essendo lontani, non sono meno lodevoli. Dobbiamo a questo punto ricordare lo svol-

Alfabeto frisone A loro però dobbiamo molto della nostra attuale civilizzazione Occidentale. Da loro derivano i nostri concetti di libertà, di democrazia, il nostro senso dell’ onore

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gimento ed il modo della scoperta, che ebbe origine nell’aprile del 1820, nella piccola cittadina di Enkhuizen, di fronte Giugno 2011 | n.0


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anni, infatti suo padre era morto prima di suo nonno, cosicché fu appunto sua zia Aafjie, a prendere il libro in custodia finche egli stesso non avesse raggiunto la maggiore età. Nel 1848, Cornelius ricevette il manoscritto, manifestando la curiosità che da sempre provava nei riguardi della storia misteriosa che esso raccontava e che non poteva leggere, ma fu solo nel 1867, che trovò qualcuno in grado di tradurlo. Durante una sua visita alla Libreria Provinciale a Leeuwarden in Friesland, incontrò il bibliotecario, il Dott. Verwijs, e gli parlò del manoscritto tanto che questi incuriosito chiese di vederlo, ed immediatamente si rese conto che era scritto in antico Frisone, forse il più vecchio esempio che mai aveva incontrato. La sua prima impressione fu che il libro fosse uno scherzo, ma esaminandolo più attentamente, si convinse della sua estrema antichità e convinse anche Cornelius a concedergli di copiarlo a beneficio della Friesland Society. Il Dott. Verwijs cercò poi un supporto finanziario dalla Societá che era stata fondata per fare ricerche sulla lingua e la storia dei Frisoni, ma incontrò lo scetticismo immediato, dovuto forse alle rivelazioni di qualche frammento che aveva già tradotto. La Societá quindi pensò ad un falso sin dall’inizio, anche prima di essere in grado di consultarlo, ponendo il marchio che da allora ha perseguitato il Libro di Oera Linda. Il Dott. Verwijs ebbe, comunque, la soddisfazione di ricevere la commissione da un “alderman” deputato dello stato di Friesland di Runa Bianca

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all’isola Frisona di Texel in Olanda, con la morte di Andries Over de Linden. Tra i suoi effetti fu trovato un manoscritto molto antico che nessuno era in grado di leggere. Aveva 61 anni e sua figlia, Aafjie Meylhoff, sapeva della sacra tradizione che da sempre esisteva nella sua famiglia concernente questo libro. Per innumerevoli generazioni che nessuno ormai poteva ricordare, era stato tenuto nella famiglia degli Over de Linden, passando di mano tra padre e figlio, con le ristrette istruzioni di preservarlo e proteggerlo dalle autorità e cioè dalla Chiesa. Il successivo erede era suo nipote Cornelius Over de Linden che Caratteri in frisone aveva soltanto 10

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redigerne una copia. Il lavoro continuò per altri tre anni rivelando informazioni sorprendenti e fantastiche che confermarono inizialmente al Dott. Verwijs i primi sospetti di falso ma, continuando nella traduzione, sempre più i fatti sostenuti erano storicamente riconosciuti ed insieme ai dati mitologici conquistarono la fiducia completa del traduttore che, alla fine, fu finanziariamente aiutato dal Dott. J. G. Ottema, che entusiasticamente sostenne le spese della traduzione stampando e pubblicando la prima copia in Frisone moderno sotto il titolo di “Thet Oera Linda Bok”. Nel febbraio, 1871, fu presentata una carta alla Societá di Friesland che riassumeva queste origini e menzionava alcune delle dichiarazioni sorprendenti trovate nel suo contenuto, causando una controversia immediata. Non ci deve sorprendere se guardiamo a queste “rivelazioni”, considerando gli atteggiamenti del tempo nei confronti di scoperte che potevano sconvolgere credenze lungamente conservate. La scienza sostituiva la teologia nella storia e l’antropologia. La scoperta e la successiva traduzione della Stele di Rosetta erano avvenuti soltanto cinquanta anni prima, dando origine ai moderni concetti di storia antica basata sul calendario egiziano, giusto o sbagliato che sia. Abbiamo anche scoperto che la civilizzazione di Sumer è molto più vecchia di quella Egizia ma ancora oggi la maggior parte dei libri di testo danno quest’onore alla seconda. (Naturalmente considerando la storia accademica e non quella chiamata “eretica”). Heinrich Schlieman non aveva an-

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cora pubblicato le sue scoperte riguardanti l’attuale luogo storico di Troia, una città menzionata ed anche databile nel Libro, e le leggende furono tuttavia considerate “favole di fate” senza qualsiasi contenuto reale come d´altronde molte sono considerate ancor oggi. La versione in lingua Frisone fu immediatamente seguita da una traduzione in lingua olandese con lo stesso titolo, e fu la versione olandese ad essere tradotta in inglese nel 1876. Questa edizione mostra il testo originale Frisone stampato sulla pagina sinistra in caratteri romani con la traduzione inglese sulla destra. Quando fu pubblicato creò un certo scompiglio nei circoli accademici però fu rapidamente dimenticato; forse perché troppo controverso o perché significava un grosso strappo al retaggio delle idee tradizionali. Il manoscritto originale aveva i caratteri fonetici inscritti in un cerchio, il segno di sole, con un “ I “ verticale ed una “X” ed attraverso questi si hanno sorprendentemente una serie di caratteri nel cui contesto si ritrova la maggior parte delle lettere dell’alfabeto e la maggior parte dei numeri facilmente riconosciuti dai moderni Europei. Questo libro fu scritto da Hiddo Over de Linden nell’anno 1256 d.C. che copiò gli originali sopra la nuova carta araba, molto ricercata al tempo in Europa, che era senza filigrana e praticamente fabbricata con cotone egiziano. Hiddo la chiamò “carta straniera” e usò un inchiostro di carbone senza ferro, e ciò è stato una fortuna perché i popolari inchiostri basati sul ferro usati in seguito sono facilmente riconoscibili dal loro scoloriGiugno 2011 | n.0


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Mappa della Frislanda scoperta da Nicolò Zeno

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Grande (nato nel 356 a.C.) citato anche in altre cronache storiche dei popoli del nord, nelle quali si narra che Friso giungeva dall’ India. Nell’Oera Linda, l’eroe viene fatto discendere da una colonia di Frisoni stanziatasi nel Punjab attorno al 1550 a.C.; ed anche il geografo greco Strabone menziona queste stranissime tribù “indiane”, da lui chiamate in modo generico (Arii) Germania. Nel testo si ricorda anche Ulisse e la sua ricerca della sacra lampada, una profetessa gli aveva predetto infatti che qualora l’avesse trovata sarebbe diventato re d’Italia. Fallito il tentativo di farsi consegnare sotto lauta ricompensa (i molti tesori portati da Troia) la lampada dalla sacerdotessa, la “Madre Terra”, che la custodiva, Ulis-

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mento, e questo da una prova in più per sostenere l’autenticità del Libro. In esso Hiddo ha usato dei termini moderni del suo tempo conservando anche le varianti ortografiche e di stile degli scrittori originali, inoltre non è stata trovata nessuna prova di “contaminazioni” riconducibili a qualcosa di più moderno del tredicesimo secolo, e neppure sono stati usati, nel testo, alcuni nomi di luogo originati dall’occupazione romana al tempo di Giulio Cesare. Le contese c’erano e sono rivelate dal Libro Oera Linda, infatti si parla a lungo di un prode guerriero di nome Friso, ufficiale di Alessandro il

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se aveva fatto vela fino a raggiungere un luogo chiamato Walhallagara (nome che suona molto simile a Walhalla) dove aveva avuto una storia d’amore con la principessa Kalip (ovviamente Calipso) e con la quale era convissuto per molti anni fra «lo scandalo e la disapprovazione di tutti coloro che lo conoscevano». Questo frammento di storia greca inserito nel Libro di Oera Linda è quanto mai interessante. Data le avventure di Ulisse attorno al 1188 a.C., vale a dire una cinquantina di anni oltre la moderna datazione della caduta di Troia. Ma l’Oera Linda potrebbe essere nel giusto. Da quel che la leggenda tramanda, la ninfa Calipso era una burgtmaagd (parola che significa “vergine suprema”, una sorta di capo di un gruppo di vergini vestali), un concetto che trova riscontro nelle affermazioni fondamentali dell’Oera Linda, secondo il quale dopo la catastrofe i Frisoni avevano ripreso a navigare per tutto il mondo conosciuto, civilizzando l’area del Mediterraneo per spingersi fino in India. Ma non solo, ci sono situazioni che si adeguano alle teorie “isostasiche” di Biddel Airy, con l’interramento dello stretto (canale) di Suez preesistente, forse dovuto all’episodio Thera di Santorini. Recentemente sono state rinvenute Mummie nelle regioni cinesi con aspetto prettamente nordico, capelli biondi o rossi con occhi azzurri e di alta statura oltre i 2 metri, conosciuto anche come L’uomo di “Cherchen”, che possono essere riferibili a queste migrazioni, ed inoltre per fare un esempio, se accettiamo che l’isola di Calipso, Walhallagara, era l’isola di Walcheren nel Mare

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del Nord, allora Ulisse aveva compiuto i suoi viaggi anche al di fuori del Mediterraneo. A tutt’oggi, comunque, non esistono prove che il libro sia un falso e per questo motivo che sarebbe quanto mai utile una nuova, moderna edizione del testo, non solo per consentire agli studiosi di valutarlo appieno, ma anche per permetterne la lettura ai lettori comuni, certamente affascinati dai tanti racconti di battaglie e uccisioni, e rispondere magari alla domanda se la civilizzazione Europea venne dunque dall’Asia e dall’ Est o c’era una fonte Occidentale ? Non c’è nessuna contestazione delle origini di comunità civilizzate nel mondo ma il Libro reclama una fonte originaria Occidentale per il suo sistema di governo, della comunità e del codice morale per l’Europa, insieme alla descrizione di una comunità molto più antica attraverso l’Atlantico del nord, (OldlandAldland anche Atland) la Vecchia Terra, la loro casa antica, data in termini nostalgici come i tempi buoni prima del cattivo, (termini che ricordano l’ Età dell’oro o lo Zep-Tepi egizio) ed anche se esso non è certamente scorrevole come un romanzo, e tratti dei vari argomenti passando dall’uno all’altro talvolta in modo improvviso, come emozioni e pensieri annotati rapidamente su di un foglio, bisogna però essere consapevoli che se qualcuno riuscisse a dimostrare in modo incontrovertibile l’autenticità di questo libro, ovverosia che racconta fatti realmente accaduti, allora la storia dell’umanità Europea dell’età del bronzo dovrebbe essere completamente rivisitata e conseguentemente riscritta. Giugno 2011 | n.0



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La Luna

Signora splendente della notte

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di Luana Monte


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di Luana Monte

Luana Monte

Giornalista pubblicista, scrittrice, laureata in Lettere, ha collaborato con diversi quotidiani e riviste (Il Giornale d’Italia, TV Sorrisi e Canzoni, Il Messaggero, Radiocorriere, Annali dell’Associazione Nomentana di Storia e Archeologia...). Nel 1997, ha curato la sezione dedicata all’immagine di Iside in Astrologia e nei Tarocchi sul catalogo Iside. Il mito, il mistero, la magia. Dal 2005 partecipa a vari congressi su Atlantide proponendo la sua ipotesi a conferma della identificazione del mitico continente scomparso con l’Impero Minoico. Tra i suoi libri ricordiamo: Il Cristo simbolico (Atanor, 1983), con il padre Francesco Monte L’uomo e lo Zodiaco (Edizioni Mediterrannee, 1984) e infine... Atlantis L’isola Misteriosa ECIG, 2004 leggi scheda completa >>

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a terra, nel suo continuo girovagare per lo spazio, può contare su una compagna fedele che le orbita intorno ad una distanza media di 384.000 chilometri, la luna, il suo satellite (1). La luna, che con il suo freddo splendore illumina il cielo notturno, ha un diametro di circa 3470 chilometri; gravità pari ad un sesto di quella terrestre; temperatura superficiale che oscilla fra i +130 ed i -150 gradi centigradi; essa agisce sulla terra provocando maree marine e della crosta terrestre, e variazioni sul magnetismo. Secondo le credenze popolari, alla luna era imputabile anche una influenza su tutta una serie di stati e situazioni, dalla salute fisica e mentale degli esseri umani ai ritmi biologici, dal ciclo vegetale al clima ed alle acque, alla crescita delle piante e dei capelli, alla qualità del vino. Così nel mondo agricolo la semina si effettuava con la luna nuova, in modo che, similmente all’astro della notte, che allora inizia la sua fase crescente, il seme spuntasse dalle zolle diventando una pianta sempre più alta e rigogliosa; il raccolto o il taglio di alberi e piante invece doveva farsi, per essere in armonia con i cicli cosmici, con la luna calante, così da non eliminare qualcosa ancora ricco di vitalità. Una leggenda egizia racconta che il dio supremo Ra proibì ai suo i nipoti Geb (la terra) e Nut (il cielo) di amarsi, non consentendo loro di stare insieme nemmeno uno dei 360 giorni dell’anno. Il dio Thot, commosso dall’amore dei due, volle aiutarli e giocò a dama con la luna, vincendole una parte del suo splendore, con il quale creò 5 giorni in più all’anno, i cosiddetti giorni epagomeni (= aggiunti), nei quali finalmente Geb e Nut poterono amarsi, dando vita a quattro figli illustri, Iside ed Osiri-

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de, Set e Nefti. Nell’antichità, analogamente al Sole, la Luna era adorata come divinità con vari nomi: in Egitto Bastet , Iside (2); nel mondo greco Pasifae, e Artemide, Selene, Ecate, corrispondenti all’aspetto di luna crescente, piena, calante, o, per dirla con Robert Graves, di fanciulla, ninfa, vegliarda. A Roma la luna era Diana, la divinità dei boschi e delle selve, la dea dei parti e delle nascite, la Signora degli animali, la dea della luce notturna, come si evince dall’etimologia del suo nome, che significa luminosa, splendente; la sua festa cadeva il 13 agosto. Presso Nemi, sull’omonimo lago, esisteva un famosissimo santuario dedicato a Diana, venerata in aspetto triforme ( era detta trivia o triIl dio Shu (l’atmosfera) tiene separati la dea Nut dal dio Geb (fonte: phoenixqi.blogspot.com)

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plex o triformis), mentre il lago stesso, superficie riflettente in cui la dea amava rimirarsi, veniva designato anche come speculum Dianae. Attributi costanti di Diana erano la torcia, la capacità di far luce nel buio; le corna, assimilabili al crescente lunare e simbolo di divinità e regalità; le frecce, assimilate ai raggi del nostro satellite, capaci di provocare danni alla mente e al corpo. Infatti, anche la licantropia o malattia del Lupo mannaro (dal lat. Lupus hominarius) era, ed è popolarmente associata alla luna, e sarebbe stata causata dall’aver dormito all’aperto in una notte di luna piena: in taluni luoghi, per la sua caratteristica di comparire alla mezzanotte di una notte di plenilunio, viene detta mal di luna. Nel Satiricon (LXII) di Gaio Petronio Arbitro, Nicerote racconta di aver convinto un soldato ad accompagnarlo ; così all’alba, messisi in cammino “ con una luna così chiara che sembrava di essere di giorno” giunsero in un cimitero, dove all’improvviso il soldato si spogliò, e, trasformatosi in un lupo sparì nella vicina selva. Te r r o r i z z a t o Nicerote riuscì a raggiungere la casa di una Giugno 2011 | n.0


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amica che gli raccon(lunedì = lunae dies). L a Luna, De Sphaera, sec. XV tò come poco prima un Associata per le sue lupo avesse masfasi e le relatisacrato tutte le ve variazioni di pecore e poi fosse luminosità, alla riuscito a scappamutevolezza, re malgrado una alla ricettività ferita al collo; poi, ed alla passivirientrato a casa tà, per il fatto trovò il soldato sul di risplendere letto con un medidi luce riflesco che gli curava sa, al freddo e una ferita al collo: all’umido, alla quel soldato era notte ed alle un lupo mannaro! acque, alla feAncora nel secondità ed alla colo scorso Luigi donna (per la Pirandello scrisse corrispondenza una novella, Mal di del ciclo lunare luna, in cui il procon quello metagonista, Batà, struale - i terlasciato da bambimini mestruo no tutta una notte esposto alla luna, che e menarca sono riconducibili allo steslo aveva “incantato”, divenuto adulto, si so vocabolo greco che significa mese trasformava in un lupo mannaro ad ogni e luna), la luna fu considerata la Madre plenilunio. celeste, la Signora della notte, dei sogni, La luna ha avuto una importanza badelle fantasticherie, e del sensibile sesilare per il computo del tempo: i popoli gno zodiacale del Cancro. della Mesopotamia, grandi osservatori In Astrologia la luna personifica il sendella volta celeste, indagandone i moti, timento, l’intuito, l’emotività, la creatiscoprirono il mese, il tempo impiegato vità, la fantasia, l’anima, l’inconscio, l’irdal nostro satellite a compiere un suo razionale, la femminilità, la fecondità, la ciclo completo; poi divisero il mese in fertilità, l’istinto materno, e, in negativo, settimane, in relazione a ciascuna delle l’incostanza, la mutevolezza, la volubiliquattro fasi mensili che esso presenta tà, la capricciosità, l’illogicità, l’infantili(Luna nuova, Primo quarto, Plenilunio, smo, la vulnerabilità, l’introversione, l’inUltimo quarto); quindi dedicarono ciaganno. Un elemento particolare, la Luna scun giorno della settimana ad una delle Nera, cioè il punto dell’orbita lunare più sette divinità planetarie allora conosciudistante dalla terra (apogeo), psicologite ed adorate, una delle quali era la luna camente simboleggia l’aspetto nottur-

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no, tenebroso della donna, il mondo degli istinti e delle passioni, la sessualità mal vissuta. Alla Luna è attribuita anche una delle 22 carte (22 come le lettere dell’alfabeto ebraico), la numero 18, degli Arcani Maggiori dei Tarocchi, un antico mazzo di carte formato da 78 “lame”, 56 Arcani Minori (suddivisi in quattro semi ciascuno di 14 carte, dall’asso al dieci, più valletto, cavaliere, dama, re), 2 Jolly ed i suddetti 22 Arcani Maggiori. Datate dai più intorno al sec. XIV°, queste carte, spesso artisticamente apprezzabili, dal sec. XVIII° divennero, oltre che strumenti di gioco e passatempo, anche un mezzo di divinazione. Luminoso ornamento del cielo notturno, la luna, celeste ispiratrice di sogni, miti e fantasie, si ritrova in poesie, racconti, proverbi, film, canzoni, a tutte le latitudini e longitudini. Così la luna ora è rossa, ora pallida, verde, malinconica, infida, tacita, silenziosa, rugiadosa, graziosa, cara... Secondo la saggezza popolare: Gobba a ponente, luna crescente, gobba a levante, luna calante; Mutando luna si muta fortuna; La luna, non si cura dell’abbaiare dei cani; Ogni granchio, ha la sua luna; La luna di gennaio splende come giorno chiaro; Non ne azzecca una chi guarda la luna; La luna è bugiarda; quando fa C, diminuisce e quando fa D, cresce; Tutti i mesi fa la luna, tutti i giorni se ne impara una... Si può volere la luna, cioè desiderare cose impossibili; avere la testa nella luna, tra le nuvole; vivere nel mondo della luna, fuori dalla realtà; avere la luna di traverso (..allora è meglio stare

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alla larga...); abbaiare alla luna, come nel Tarocco, per protestare senza risultato; i chiari di luna, indicano momenti di ristrettezze; la luna nel pozzo è qualcosa di impossibile; la pietra di luna o adularia è un minerale (silicato di potassio) che presenta delle luminescenze simili ai bagliori lunari. La mezzaluna con viLa Luna nei Tarocchi di Marsiglia. XVIII

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Note (1) dal latino satelles-itis = guardia del corpo, scorta, designa corpi celesti che ruotano intorno ai pianeti. Pianeta, dal greco planetes= errante, vagante, è il nome attribuito a quei corpi celesti che, ruotando intorno ad una stella centrale, sembrano muoversi con libertà e velocità, in contrapposizione agli altri astri apparentemente fissi sulla volta celeste. Quando nel luglio 1969 l’astronauta Armstrong scese sulla superficie lunare, a tutti noi che fummo spettatori di una impresa che sembrava impos-

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sibile ( di cui però taluni dubitano), parve di fare insieme a lui “un piccolo passo per l’uomo un grande passo per l’umanità”. Secondo una credenza, la luna che vediamo adesso non sarebbe la prima del nostro pianeta: anticamente ce n’era una più grande, affermano, che con la sua forza d’attrazione maggiore consentiva la vita sulla terra di animali enormi come i dinosauri ed uomini altissimi, i giganti. (2) Plutarco asserisce: “Iside altro non è se non la luna: e perciò fra i vari tipi di immagini della dea, quelle con le corna rappresenterebbero la luna crescente, mentre quelle vestite di nero alluderebbero ai periodi in cui essa è nascosta e invisibile, quando cioè è presa d’amore per il sole e lo insegue”. Plutarco, op. cit. , p. 115.

MISTERO

cino una stella è simbolo dell’Islam e compare sulle bandiere di diversi stati . Nell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, il duca Astolfo, in groppa al cavallo alato Ippogrifo, per recuperare il senno di Orlando, impazzito, vola sulla luna, la dove finiscono tutte le cose che vengono perse sulla terra: il tempo, i sospiri di chi si ama, le lacrime, i desideri, la ragione degli uomini. L’autore dell’Ecclesiastico (43,8) la definisce “faro nelle regioni eccelse, splendente in alto nel cielo”; Giacomo Leopardi la osserva e le si rivolge sovente: “Placida notte, e verecondo raggio della cadente luna”; “Queta sovra i tetti e in mezzo agli orti posa la luna, e di lontan rivela serena ogni montagna”; “Che fai tu, luna, in ciel ? dimmi, che fai, silenziosa luna”; D’Annunzio la saluta: “O falce di luna calante che brilli su l’acque deserte, o falce d’argento, qual messe di sogni ondeggia al tuo mite chiarore qua giù”; Saffo ne coglie la bellezza: “Gli astri d’intorno alla leggiadra luna nascondono l’immagine lucente, quando piena più risplende, bianca sopra la terra”.

di Luana Monte

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A mia madre Raffaella, che, come la luna, ora mi sorride da lassù. Runa Bianca

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MISTERO

Gli Etruschi e le Rune: mistero o enigma? Etruschi, ma anche Reti tempo di lettura 6 minuti

di Mario Moiraghi


Gli Etruschi e le Rune: mistero o enigma?

di Mario Moiraghi

Mario Moiraghi

Nato a Milano, nel 1942, si dedica attualmente alla realizzazione di testi storici e scientifici, allo studio di eventi sociali di rilievo e alla progettazione di piani operativi per la gestione di situazioni di rischio ambientale e di emergenza. In campo linguistico, in aggiunta a quattro lingue moderne, al greco antico e al latino, ha compiuto studi sulle calligrafie medievali, sulle lingue del bacino mesopotamico e sull’egiziano geroglifico. Ha diretto riviste scientifiche e pubblicato numerosi articoli tecnici e storici, per riviste italiane e di lingua inglese. Gestisce il sito www.scriptorium.it. Tra i suoi libri ricordiamo: La scoperta del vero sacro Graal (Piemme, 2001), L’enigma di San Galgano. La spada nella roccia tra storia e mito (Ancora, 2005) e... Il grande libro del Graal Ancora, 2006 leggi scheda completa >>

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’alfabeto etrusco, anzitutto, può ritenersi ragionevolmente noto e decifrato. Si tratta, anche in questo caso, di un alfabeto di chiara marca mediterranea. Interessante è il raffronto con quello greco, con il quale possiede notevoli affinità, ma anche con altri alfabeti, con quello fenicio e con quello ebraico (con i quali condivide quasi una decina di lettere e l’andamento da destra a sinistra) e con quello latino, del quale fu probabilmente il seme e lo strumento di distacco dal greco. Lettura non difficile, dunque, ma il vocabolario con cui è costruita la maggioranza delle frasi si compone di poche centinaia di parole. Molte, fra queste, sono nomi di divinità, nomi di persona, verbi elementari, come donare o fare, qualche pronome, numeri, oggetti votivi, ... Mancano, o sono insufficienti, o sono incomplete, molte categorie di parole fondamentali del vivere quotidiano, i nomi di animali e di vegetali, i verbi di azione, ... quanto insomma consentirebbe di percepire un discorso corrente, un racconto, una poesia, una sistematica successione logica del pensiero. L’alfabeto etrusco è stato, nella storia, il primo sistema di caratteri organico, completo e maturo, che ha condizionato e favorito il diffondersi di tutta la cultura occidentale. Di questo sistema di scrittura esistono testimonianze diffuse, ma la prima forma organica e, più tardi modificato, adattato o perfino contrabbandato sotto il nome di rune celtiche. È assai importante sottolineare che il primo alfabeto completo, strutturato e maturo, comprensivo di vocali (che fino allora erano assenti) compare per la prima volta nel bacino mediterraneo per opera degli Etruschi. Di tale primogenitura esiste una testimonianza precisa:

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Gli Etruschi e le Rune: mistero o enigma?

una tavoletta assai nota agli etruscologi e ritrovata a Marsiliana D’Albegna, nei pressi di Grosseto, contiene il primo completo ed esauriente alfabeto di 26 lettere, già strutturato praticamente nella sequenza a noi nota e comprensiva di q u e l l ’e l e m e n t o innovatore fondamentale nelle nostre lingue, costituito dalle vocali. Le lingue mediterranee più antiche, infatti, non possedevano le vocali ma si limitavano ad utilizzare le consonanti. Solo l’esperienza e la pratica diretta consentivano di pronunciare una parola in modo concreto, aggiungendo i suoni vocalici più per cultura che per reale scrittura. Se ancor oggi questa fosse la pratica scrittoria, la terna TRN potrebbe significare treno, L’alfateto etrusco trono, Trani, turno, lingue del passato eterno, Torino, torno

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e, naturalmente terna. È facile immaginare quali difficoltà si pongono quindi ad interpretare fenicio, ebraico antico ed arabo, che sono stati tramandati nel tempo in base alla loro struttura consonantica. L’introduzione delle vocali costituisce pertanto una rivoluzione scrittoria fondamentale per la comprensione delle parole. Possiamo porre la questione in questi termini: sia la scrittura greca che quella etrusca compaiono nel secolo VIII a.C., ma la prima forma rivoluzionaria, organica e completa di caratteri, ormai stabilizzata su una sequenza alfabetica come oggi utilizzata in Occidente, è messa a fuoco confrontato con altre dagli Etruschi, nel secolo VII a.C. Giugno 2011 | n.0


Gli Etruschi e le Rune: mistero o enigma?

La connessione fra caratteri etruschi e le cosiddette rune è un problema complesso, sul quale occorre procedere per gradi. Un primo accostamento alla materia deve tener conto del cosiddetto “problema retico”. I Reti sono una popolazione presuntivamente diffusa in un area che include la Valtellina, il Veneto, l’odierno Cantone dei Grigioni e la Val Venosta, con qualche prosecuzione areale verso l’Austria e la Svizzera più settentrionale. Collegamenti di questo areale giungono in Slovenia e sulle coste dalmate, giungendo fino in Albania, dove il nome Tirana è riconosciuto come legato ad una divinità etrusca, Turan, dea della bellezza. Iscrizioni retiche o comunque strettamente legate alla grafia dei Reti, compaiono in Trentino (Sanzeno, Val Di Non, Val Di Fiemme e altre località), Veneto Settentrionale (Magrè, Padova, Verona, Treviso), Alto Adige (Bolzano, Schluderns, Malles, Bressanone-Brixen e alto), Tirolo (Inntal, Steinberg, Engadina). In realtà l’analisi diretta rivela la stretta parentela con i caratteri etruschi, come Scritta etrusca presso il museo di Fiesole

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si osserva anche nelle Iscrizioni Venetiche, facilmente assimilabili allo stesso ceppo grafico, a Este, Padova e Cadore, o alle iscrizioni Camune della Provincia Di Brescia (Berzo-Demo, Cividate Camuno, Naquane, Scale di Cimbergo, Foppe Di Nadro, Piancogno...) e alle iscrizioni Leponzie diffuse nelle Province di Verona, Bergamo, Brescia, Milano, Pavia e Varese, fino alla Provincia di Vercelli. L’alluvione di grafie imparentate con il ceppo degli Etruschi, anzi dei Rasenni o Rasna, si manifesta negli infiniti toponimi che vanno dai molti Piz Rasna della Val Venosta, al palese nome etrusco di Vipiteno, Sterzing in tedesco. Anche Wikipedia afferma che “le rune probabilmente derivano da una scrittura appartenente al gruppo delle cinque principali varietà di alfabeto italico settentrionale, derivato dall’alfabeto etrusco, e perciò detto nord-etrusco”. Si rivela però che questa assimilazione dell’alfabeto etrusco e la relativa trasformazione nelle cosiddette rune avviene qualche secolo dopo Cristo, quando ormai gli Etruschi stavano scomparendo per l’azione congiunta dei Latini e, come diremo in altra sede, della Chiesa. Il fenomeno segnala anche la profonda traccia che la cultura etrusca ha seminato nell’intero continente europeo.

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Fupark Qualcosa di più si può dire in merito al fupark. Vengono definiti rune i caratteri appartenenti ad una serie più o meno ampia di lettere certamente utilizzate in area germanica e nord europea, con scopi di breve iscrizione su pietre, oggetti votivi, prodotti di artigianato o strumenti militari. Ma attorno alle rune è stata creata un’atmosfera misteriosa, dando credito al fatto che esse siano state usate, per eccellenza, nelle pratiche di magia. Il che non è vero. In realtà le rune, intese come apparato calligrafico usato in modo sistematico nel nord europeo, appaiono nei primi secoli d.C. e la loro serie più nota è detta fupark, o sistema runico germanico antico, datato non prima dei secoli II e III d.C. Per quanto i più recenti studi ne ipotizzino ormai senza dubbio un origine classica, la scrittura runica compare per la prima volta nel II sec. della nostra era nel nord dell’Europa ed il mito vuole che la sua invenzione sia opera degli Dei. È certo che la più antica iscrizione runica risale al I° o più probabilmente II° sec. d.C. ed è un incisione che si trova sulla celebre fibula di Charnaix, ora conservata nel museo di Saint-Germaine en Laye, comune della cintura urbana di Parigi, originaria della Danimarca e facente parte di un carniere ritrovato in Borgogna.(1) In merito alle rune e al fupark vale la pena elencare sinteticamente quale sia l’opinione consolidata dei maggiori studiosi in materia.

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1. il fupark ha la sua fonte primaria negli alfabeti di derivazione etrusca dell’Italia nord orientale e, secondaria, nell’alfabeto latino.(2) 2.Il processo creativo, che ha portato alle rune, ha avuto come intermediario probabile il popolo venetico.(3) 3. il fupark non ha avuto origine né funzione rilevante nel mondo della magia. Nel complesso, si può affermare che le rune si possono a buon diritto considerare la più importante acquisizione dei Germani nel loro contatto con le popolazioni dell’Italia antica. Su queste basi è interessante osservare che, a partire da queste prime forme imitative germaniche, le rune si sono diffuse in tutta Europa, fino alla Danimarca, alla Svezia, alle isole britanniche e all’Islanda. In ogni caso le rune non si prestarono mai ad un uso letterario e pratico, non ebbero una versione corsiva, furono utilizzate soprattutto nelle epigrafi e divennero un “passatempo di dotti”.(4) Note: 1) Carlo Recalcati | Pubblicato il 30/04/2003 sul citato sito Bibrax 2) R. Gendre in Alfabeti: preistoria e storia del linguaggio scritto – Colognola ai Colli 2000 – Ed. Demetra, pag. 231 3) ibid. 4) R. Gendre ibid. Quanto la materia sia complessa lo dimostrano incredibili vicende linguistiche, come quella dell’influenza esercitata dai monaci irlandesi (!) nella formazione e nello sviluppo dei caratteri cirillici slavi. Vedere D. Poli in Alfabeti citato, pag. 218.

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Sfingi e piramidi in Sardinia tempo di lettura 9 minuti

di Leonardo Melis


Sfingi e piramidi in Sardinia

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Leonardo Melis

È noto per essere autore di alcuni saggi sui Popoli del mare, gli Shardana. Ha presenziato un centinaio di conferenze ed interventi su questo tema che considera trascurato dalla storiografia ufficiale, soprattutto in Italia. Insieme al matematico Nicola de Pasquale ha sviluppato un’interpretazione delle pintaderas (o Arrodas de tempus) come calendario della civiltà nuragica, in analogia a quelli di altri popoli dell’epoca. Tra i suoi libri ricordiamo: Shardana: I popoli del mare (PTM Editrice, 2002), Shardana: I principi di Dan (PTM Editrice, 2005), Shardana: I calcolatori del tempo (PTM Editrice, 2008), Shardana: I custodi del tempo (PTM Editrice, 2008), e infine...

Shardana: Jenesi degli Urim PTM Editrice , 2010 leggi scheda completa >>

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estate del 2010 vedeva la nascita di “Shardana Jenesi degli Urim” che, oltre alla pubblicazione di un documento in scrittura shardana, annunciò anche la scoperta di una seconda Ziqurat dopo quella di Monte d’Akkodi. La scoperta, annunciata da Leonardo Melis già nella Pasqua precedente alla Tv e alla Stampa, provocò la rabbia incontrollata di Archeologi della Sovrintendenza e Cattedratici. Le minacce di pubblicazioni di smentite si sprecarono, anche perché la nuova edizione del libro appena dopo due mesi dalla pubblicazione annunciava che la Ziqurat era costruita sopra un Nuraghe. E poiché i nostri amici “Archeobuoni” avevano tra l’altro dichiarato essere tale costruzione un semplice Protonuraghe… possiamo immaginare la figura! Mentre la Ziqurat di Pozzomaggiore finiva in Tv e Stampa, il Documento scritto finiva in Parlamento per un’interrogazione al Ministro della Cultura. Una petizione con migliaia di firme portava a Settembre la segnalazione dell’esistenza di questo documento all’opinione pubblica e alle Autorità. Ricordiamo che il reperto fu trovato in uno scavo ufficiale dalla Sovrintendenza di Sassari non lontano dalla stessa Ziqurat. Questo accadeva nel 2006, ma del Documento nessuno sapeva niente, fino al ritrovamento casuale delle immagini da parte di Leonardo Melis. Lo stesso Melis incaricava un suo amico della decifrazione e della scoperta di quanto sospettava. Nel documento vi è la parola SaRDaNa e l’Aleph Sinaitico molto presente anche in altri scritti segnalati da Melis. Un antico detto recita che “una ciliegia tira l’altra”, e così a gennaio di quest’anno ci arrivava una segnalazione di una strana costruzione più a Nord di quella di

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Pozzomaggiore già pubblicata. Anche stavolta si trattava di una costruzione a gradoni, ma di forma rotonda. A noi ricorda le Pajare pugliesi e alcune costruzioni delle Baleari, sempre a gradoni. Appena il tempo di esplorare la “Pajara”, che già un’altra segnalazione ci arrivava dalla zona della Prima Ziqurat, nel Nord Sardinia. Questa è più alta e ricorda la “Torre di Babele “ dei film. L’annuncio in Conferenza di sabato 26/02/2011 della scoperta destava l’interesse dei Media e la probabile reazione della “Scienza Ufficiale” che di sicuro dichiarerà trattarsi di qualche ricovero di pastori (a tre o quattro piani!) o al massimo di “Neviere”! Si, Vista frontale della ziggurat di Neviere.

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Questo quanto dichiarato da un addetto ai lavori alla domanda da parte di Daniele (uno degli scopritori). Le Neviere, anzi le “Domus de su Nie” (case della neve) erano costruzioni che si potevano vedere nel Gennargentu fino ai primi del secolo scorso. Si tratta di pozzetti con copertura in pietra ove i Baroni della zona conservavano la neve per la produzione dei sorbetti in estate. Vi è il sospetto che l’esperto interpellato abbia preso un granchio, visto che la “Neviera” si trova a livello del mare!

Sfingi nel Sinis? Nella conferenza del sabato 26 febbraio 2011 annunciavamo al pubblico, già meravigliato per le nuove Ziqurat, il

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Sfingi e piramidi in Sardinia

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non ci era parsa troppo interessante. Una serie di articoli di stampa e alcuni comunicati nelle TV locali ci incuriosirono ancora ai primi di gennaio di quest’anno (2011). Un medico di Oristano, appassionato di archeologia (Salvatore Zedda) ci invitò a fare un sopraluogo per indicarci un ritrovamento che poteva testimoniare l’autenticità del manufatto. Poco distante dalla figura animale si trovava un masso di circa 700 kilogrammi per metà sottoterra. La parte affiorante è compatibile con il corpo, ma la faccia è sotto. Non possiamo, senza le autorizzazioni della Sovrintendenza, toccarla per il momento, ma un altro particolare, anzi

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ritrovamento di una Sfinge nella favolosa penisola del Sinis, già consacrata al Dio Nanna/Sin e residenza di Shardana e Tursha fino al 216 a.C. nella città di Tharros. A pochi passi dal luogo del ritrovamento della Sfinge furono trovati nel 1974 le 35 Statue di Monti Prama, dimenticate per trent’anni in uno scantinato del Museo di Cagliari. Conoscevamo la strana figura animale già dal 2009, segnalata da un amico del forum dei Popoli del Mare, Stefano. La roccia però risultava in parte coperta dalla macVista frontale della sfinge chia mediterranea e

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due, ci hanno convinto dell’autenticità. Il collo presenta dei fori regolari, sistemati a coppie, mentre la “testa” ha delle protuberanze che, anche se consumate dalle intemperie e dal tempo, sembrano compatibili con i fori. La sistemazione movibile della testa non è il primo esempio in queste sculture, la Sfinge di Giza ha una testa probabilmente posticcia. La Sfinge del Sinis non è l’unica sfinge ritrovata in Sardinia. A parte le tre provenienti da Solky (S. Antioco) e conservate nei musei dell’Isola, un’altra gigantesca che già pubblicammo in “I Calcolatori del Tempo” troneggia nel Sud-Ovest sardo. Anche questa poteva sembrare un capolavoro del vento, come le varie sculture nella costa della Gallura. Questa però appare lavorata e soprattutto si presenta con una conformazione diversa dalle rocce circostanti. Appare liscia e con un “Pulpito” scavato sulla testa. Alta circa 4,5 m sovrasta una foresta con all’interno dei resti di insediamento umano e con tracce di ceramiche e altri manufatti. Nella sua parte destra del colo presenta un’abrasione, come di un’asportazione di una probabile scritta. A riprova che si tratti di un manufatto, la foto mostra il “pulpito” scavato sulla testa della stessa Sfinge. Altra prova è dovuta al fatto che da qualsiasi parte la si guardi, risulta sempre essere una testa di fattezze egizie. Di contro, le varie rocce della Gallura, l’Orso, l’Elefante ecc… cambiano se le si guarda da diversa angolazione. Qualcuno si chiederà ora il perché di tanta presenza egizia in Sardinia e nel Mediterraneo del II millennio a.C. La ri-

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sposta sta proprio nell’identificazione dei Popoli del Mare in coloro che gli Egizi chiamavano SRDN.N.PI.YAM, (I Shardana del Mare), i “Signori delle Isole poste nel Grande Cerchio d’acqua, nel grande Verde”. • Migliaia di scarabei con i cartigli dei faraoni Ramesse II, Ramesse III, Amenophe IV, Tothmose III… • Testi geroglifici con le invocazioni alla Triade di Tebe. • Statue raffiguranti la stessa Triade e diverse riproducenti Horus, Osiride, Hator, Sekmet, il Dio Nilo e altre divinità. • Sfingi e altri animali sacri agli Egizi. • Imbarcazioni di giunchi, i Fassones, identici a quelle egizie… tantissimi altri oggetti riferiti alla cultura del sacro fiume. Certo non furono gli Egizi a portarli in Sardinia. Un popolo, quello egizio, che mai si sarebbe mosso dal suo paradiso. Qualcuno però frequentava assiduamente la terra dei faraoni, per motivi di commercio e soprattutto per svolgere un compito che risulta dai testi egizi in maniera chiara. I Shardana erano un corpo scelto dell’esercito egizio. Addirittura fungevano da Guardia del Corpo dei faraoni. A Medinet Abu, Luxor, Abu Simbel, si possono ammirare questi guerrieri a fianco al faraone. Assolutamente riconoscibili dall’armatura, lo scudo tondo, l’elmo con le corna e la spada a cuneo. Un ritrovamento avvenuto in quel di Tharros, non lontano dal luogo della Sfinge e Giugno 2011 | n.0


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Geroglifici in Sardinia! Una segnalazione fatta da un amico di Oristano, che ci inviò anche le immagini, ci ha lasciati di sasso. Pur essendo abituati ormai a cose insolite fino a pochi anni fa, questa nuova acquisizione ci ha fatto fare un salto sulla sedia. Sapevamo del Gruppo Statuario che raffigurava in una lastra di pietra (steatite?) la Triade di Tebe. Si tratta di una lastra che raffigura Amon-Ra, la moglie Mut e il loro figlio Khonsu. Una scoperta fatta, crediamo, dall’archeologo Taramelli decenni orsono. La foto del nostro amico P. Z. rappresenta un’iscrizione geroglifica che, tradotta a suo tempo, parve proprio un’invocazione alla Triade in questione. Si tratta in effetti di tre invocazioni, una per ogni Dio rappresentato. Siamo Giugno 2011 | n.0

riusciti ad avere le prime due, che vi proponiamo. • Amon.Ra. suten. neteru. tu. f. anch. utja. senb. nib. Cioè: “AmonRa, re degli Dei, signore del cielo, dia vita, salute e vigore pieni”. • Mut. Urt. Nebit. Pet tu. S. senb, ossia: “Mut… la Gran Signora del cielo, dìa vigore”

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da Monti Prama, ci ha fatto incuriosire e gioire per un’ulteriore conferma della presenza di mercenari shardana nell’esercito del faraone: un occhio di Horus. Non il solito occhio di Horus, di cui si contano decine di esemplari nel museo di Cagliari, ma un Occhio di Horus a ciondolo che veniva consegnato a chi si arruolava appunto nell’esercito egizio. Questi soldati si comportavano come tutti i soldati del mondo e di ogni epoca: quando tornavano a casa in licenza o in congedo, portavano con sé i ricordi della Terra che li aveva ospitati! Piccoli souvenir, come gli scarabei, o statuette degli dei a cui si erano magari invocati durante le battaglie nel Delta o in Palestina, o in Siria (Qadesh!).

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Ora, già trovare una lastra con dei geroglifici in Sardinia è di per sè un fatto eclatante. Se poi lo scritto è collegato anche a un’immagine chiaramente egizia, la cosa assume i contorni del “giallo”. Vero è che il commento, probabilmente da attribuire al Taramelli, sa proprio di dichiarazione tipicamente archeobuonica, del tipo “Scaraboide egittizzante di stile hyksos”. Vero è… sentiamo. “Sicura e... o almeno una famigliarità con la LinLastra con geroglifici scoperta da Taramelli

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gua e la Scrittura egiziana. Per cui anche se trattasi di un’opera Fenicio/Punica... dovrebbesi pensare che l’autore (Fenicio, è naturale! N.d.A.) fosse conoscitore della Lingua e della scrittura in Egitto” Già da allora, anzi soprattutto allora, si faceva passare tutto per Fenicio/Punico. Con buona pace della lampante realtà egizia del documento. Lampante, perché abbiamo scoperto che la lastra in steatite con i geroglifici corrisponde esattamente alla lastra (in steatite) che rappresenta la Triade Tebana che vi mostriamo. Insomma sul retro della lastra vi è la scritta, sul diritto il gruppo di Tebe. La nostra domanda è: perché una cosa talmente singolare (per essere cauti), ritrovata in Sardinia, in una di quelle città da noi definite shardana e abitata proprio da quei popoli che frequentavano assiduamente l’Egitto, non è stata resa pubblica e pubblicizzata? Forse perché si deve continuare a ignorare questa presenza? Perché tutto quanto è egizio, chiaramente egizio, deve essere attribuito a un Popolo, quello fenicio, mai esistito come Popolo “altro” e ad eseguire queste opere deve necessariamente essere stato un “artista fenicio” che conosceva a menadito i geroglifici? Stesso problema con gli scarabei con tanto di cartiglio dei faraoni egizi, definiti “Scaraboidi egittizzanti di tipo hyksos” datati al VII sec. a.C. quando degli hyksos

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non vi era manco più memoria. Tutto questo per far “quadrare il cerchio” sulla presenza presunta dei Fenici? Noi non ci crediamo. E pensiamo che sempre meno persone oggi credono a queste sciocchezze. La cosa peggiore è il perché un documento così importante al solito sia stato tenuto nell’ombra per tanto tempo. Si argomenterà: “Ma il Taramelli la pubblicò”. “Si rispondiamo noi, anche Lilliu pubblicò qualcosa sulle statue di Monti Prama. Diverso è DIVULGARE, in modo che la Gente possa fruire e commentare”. Iscrizione riscoperta da melis a Pozzomaggiore

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