N°8 dell'e-magazine RUNABIANCA

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ARCHEOLOGIA STORIA SCIENZA E MISTERO

ANNO II MARZO 2012

PER I SOCI

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PA G

IN

E

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IL CRONOVISORE la macchina del tempo esiste

PIRAMIDI: TEOTIHUACAN COME GIZA SIMBOLOGIA: IL METODO CARPEORO MISTERO: I MOSTRI DEL LAGO DI GARDA E LECCO

IN QUESTO NUMERO:

3 RUBRICHE 17 ARTICOLI


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editoriale

3’ a cura di Vincenzo Di Gregorio

Avanti tutta... L’associazione Runa Bianca va avanti. Piano piano si rinforzano le file degli iscritti e di coloro che credono nel nostro progetto e ci stanno sostenendo associandosi. Questo mese vede la luce anche un sogno da tempo agognato: la traduzione in lingua inglese dell’intera rivista. E’ noto a tutti come la globalizzazione abbia eliminato le distanze. Oltre 2 miliardi di persone usano internet e una notizia, nel giro di pochi minuti, può fare più volte il giro del mondo. Esso è pieno di opportunità, tuttavia ci si scontra su di un fatto, magari banale ma fondamentale: che solo gli italiani parlano l’italiano. Tutto il resto del pianeta, se non parla, quantomeno “capisce” la lingua inglese. Questo ha fatto si, da sempre, che le idee e le ricerche di noi italiani rimanessero confinate tra le quattro mura del nostro paese, anche se bellissime mura. Il poter comunicare le nostre idee in lingua inglese significa far conoscere a tutti la nostra creatività ed il nostro ingegno. Certo è che ciò comporta un raddoppio del lavoro e del tempo che stiamo dedicando a questo progetto, ma la passione che ci stiamo mettendo (tutti) sarà ricompensata dai risultati che sicuramente verranno. Non ci risulta infatti che altre testate che trattano questi argomenti si siano imbarcate in un progetto di questa ampiezza, e questo, se da una parte ci inorgoglisce, dall’altra un pò ci spaventa. A nostro sostegno, ci sovviene la frase di chi diceva che bisogna camminare con i piedi per terra ma con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte... ed il nostro orizzonte è cercare di sviluppare tutte le potenzialità che ci da la comunicazione tramite la rete, perché non ci si può fermare nello stagno (con l’acqua bassa) dei propri confini nazionali. La traduzione in lingua inglese della Runa non comporterà automaticamente la traduzione letterale del nome della testata. Abbiamo quindi optato per un suo rinnovamento, al fine di adeguarlo all’immaginario di un pubblico anglofono. La scelta è caduta su di un termine che meglio può esprimere lo spirito che ci anima nel diffondere il sapere e quelle conoscenze che troppo spesso non riescono ad

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essere portate all’attenzione dei “media” e rimangono relegate solo agli addetti ai lavori. Una sola parola, ma che vuole essere anche un programma di vita: Risveglio, ovvero Awakening. Si parla molto di risveglio delle coscienze, dello spirito, dell’intera umanità. E’ quindi giunto il tempo in cui ognuno di noi possa acquisire le potenzialità per discernere, nel proprio cammino, quale sia il bene ed il male senza i condizionamenti mentali della società o di chi è molto “interessato” a dirci cosa sia il bene ed il male. Ognuno di noi deve cercare la propria verità. Questo semplice assioma è anche lo spirito che ha animato da sempre la pubblicazione degli articoli sulla Runa Bianca. Ognuno degli autori ritiene di aver raggiunto una “sua” verità nei vari argomenti trattati. Non è nostro compito “giudicare” se sia una verità oggettiva e quindi pubblicare solo quelle ritenute da noi tali. Quello che è importante è che per lui sia la “sua” verità e che faccia parte di un percorso di ricerca positivo e costruttivo per le nuove coscenze che lo hanno portato a “quelle” conclusioni. Nostro compito è invece quello di far conoscere le sue idee al più vasto numero di persone possibile. In questo modo ognuno di noi potrà avere a disposizione un’informazione ampia e differenziata in cui riconoscersi ed intraprendere il proprio cammino di accrescimento culturale e spirituale. Le novità che si sono susseguite dopo la scelta di lasciare la versione full della Runa Bianca alla visione solo degli abbonati ha comportato che si debba visionare una versione lite del materiale da noi prodotto. Al fine di migliorare la visione di queste informazioni e consentire anche di aver un sito bilingue (italiano-inglese), vi saranno a breve dei grandi e radicali cambiamenti sul nostro sito web, www.runabianca.it Ed ora... ...finalmente buona lettura! Arch. Vincenzo Di Gregorio

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sommario

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Editoriale

a cura di Vincenzo Di Gregorio

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RUBRICHE

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PERLE DI SAGGEZZA

Le bioterapie. Guarigione come comprensione del mutuo dialogo tra soma e psiche a cura di Lilly Antinea Astore

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PUNTEGGIATURE CULTURALI

Ma quanto sono brave le formiche? Le comunità di insetti sociali sono così perfette… Perché non imitarle? a cura di Elena Serughetti

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LA BIBBIA SVELATA

Dalle traduzioni letterali della Bibbia ricaviamo che non ci hanno raccontato tutto e nemmeno il vero (VIII) a cura di Mauro Biglino

ARTICOLI

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Ettore Majorana, padre Ernetti e il Cronovisore di Massimo Colangelo

Archeostoria/Filosofia

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Simbologia/Mistero

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La teoria dei cinque movimenti. Le basi scientifiche dell’antica filosofia cinese

di Alberto Lomuscio

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34

Lo Yoga

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Similitudine alchemica tra essere di natura umana ed essere di natura vegetale

di Brando Impallomeni

di Rosanna Toraldo

42

Quid est homo (II)

Il biscione di Milano. Tra miti e leggende di Vincenzo Di Gregorio

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Sperimentazione animale. Non soltanto una questione etica di Manuela Cassotta

Garda, lago di misteri e leggende. Tra città sommerse, mostri e mitiche bellezze di Simona Cremonini

Scienza/Corpo

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Tutti i diritti di riproduzione degli articoli pubdi Una nuova specie blicati sono riservati. Manoscritti e originali, anche se non pubblicaPiramidi e boomerang ti, non si restituiscono. di Fabio Garuti e Vincenzo Di Gregorio Il loro invio implica il consenso gratuito alla L’enigma della fortezza pubblicazione da parte megalitica di Ixiamas dell’autore. È vietata la di Yuri Leveratto riproduzione anche parPsicoanalisi e contatto cosmico ziale di testi, e fotografie, di Candida Mammoliti documenti, etc. senza il consenso scritto dell’auIl tempo tore e della rivista Runa di Paolo Rinaldini Bianca. La responsabilità dei testi e delle immagini Reportage a Bougarach e pubblicate è imputabile Rennes le Château ai soli autori. di Benedetto Sette

Una nuova specie

La vera Atlantide di Marco Bulloni

Il metodo Carpeoro. Delle leggi e delle funzioni dei simboli

di Giovanni Francesco Carpeoro

NARRATIVA

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L’immortale

di Mike Tempo

Comitato redazionale: Vincenzo Di Gregorio Lilly Antinea Astore Francesca De Salvia Andrea Critelli Sviluppo e progetto grafico: Andrea Critelli Contatti redazionali: redazione@runabianca.it Sito web: www.runabianca.it

di Ludovico Polastri

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Perle di saggezza

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a cura di Lilly Antinea Astore

Le bioterapie

Guarigione come comprensione del mutuo dialogo tra soma e psiche

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er certi versi l’uomo ha formato la terra a sua immagine, specchio delle stesse sue strutture mentali. Il risultato di ciò: contraddizioni, violenze, incomprensioni, gelosie, guerre. Ogni organo di questo grande corpo terrestre conduce ad una lotta senza esclusione di colpi con il suo vicino, al fine di soppiantarlo e di espandere il proprio potere. Per fortuna, l’uomo non ha creato l’uomo! Saremmo deformi, gobbi, idioti... Tra le molteplici opere ha dato vita alla medicina occidentale, una scienza che non cura l’uomo, ma lo assimila ad una tavola anatomica, paragona il suo funzionamento alla meccanica di una macchina. Non cura l’essere umano dello spirito, totale, ma solo l’uomo della materia, frammentato. Ecco perchè tale medicina si è divisa in tante specializzazioni. Cosicché adesso l’uomo è convinto che esistano degli organi separati,

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delle funzioni separate. La sua totalità è completamente assente dalle preoccupazioni mediche dei nostri tempi, ed è appunto quest’uomo totale che la bioterapia tenta di afferrare e di curare. Lo spazio dell’essere umano si trova sia dentro che fuori di esso. Queste due dimensioni interagiscono tra loro. L’uomo è il punto d’incontro di queste interazioni. Si può considerare l’essere come fanno i taoisti cinesi (la cui filosofia è alla base dell’agopuntura): situato tra il cielo e la terra, l’ uomo diventa allora il punto d’incontro tra l’energia del cielo con quella della terrestre. O meglio ancora: il punto in cui le energie del cielo fecondano quelle della terra, creando la Manifestazione. L’uomo diviene così il “principe della manifestazione”. La scienza moderna ha una spiccata tendenza all’antropocentrismo: essa vede l’universo solo attraverso l’uomo, considerandolo un osservatore. Nella bioterapia, invece, egli diviene

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Le bioterapie un’osservatore/osservato, microcosmo e macrocosmo sono indissociabili ed il famoso approccio “sperimentale” o la visione “oggettiva” non esiste, perché lo sperimentatore è costantemente modificato dalla sua stessa esperienza. Al livello medico, studiare l’uomo nella sua totalità-spazio è prendere coscienza dei ritmi dell’universo e della loro azione sullo stesso universo. Studiare l’uomo nella sua totalità-spazio significa anche presupporre che le leggi che reggono lo spazio reggano anche l’uomo. L’animato diventa un’aspetto particolare dell’inanimato, il vivente del non-vivente, come la materia diventa un’aspetto particolare dell’energia. Le leggi della fisica si applicano dunque all’uomo: ma di quale fisica si tratta? Della fisica dell’universo, di cui conosciamo solo una piccola parte. Gli scienziati in gran parte assumono in biologia una fisica meccanicistica, newtoniana. Questa fisica non è che una parte della fisica che governa l’uomo. L’esempio della totalità spaziale è capitale, poiché permette di comprendere che la maggior parte delle bioterapie usano “elementi” (per esempio la nozione di energia in agopuntura o la dose infinitesimale in omeopatia ) la cui esistenza o attività sono spesso ritenute non valide da gran parte degli scienziati ortodossi. Quando guardiamo le stelle più lontane delle più antiche galassie, non sappiamo se quando ci raggiunge la loro luce quelle stelle esistano ancora... L’apparenza del presente in questo caso è evidente. Lo stesso vale per l’uomo. Non possiamo conoscere l’uomo malato nella sua totalità psicologica se non teniamo conto del continuum tempo. La medicina “ufficiale” contempla questo continuum indagando nel passato nella persona malata, i suoi precedenti personali o familiari (anamnesi), cioè le principali malattie che lui o i suoi parenti han contratto... Ma questo non basta. La malattia non è qualcosa che caratterizza in se un malato, perché per paradossale che possa sembrare si può essere di sana costituzione e contrarre una moltitudine di malattie acute, di malattie benigne, senza complicazione e senza induzione di processi cronici. La conoscenza delle malattie contratte non ha dunque in se che un’importanza secondaria: ciò che conta molto di più è la conoscenza del tipo di reazione del malato alla malattia. La reazione stessa non si rapporta con qualcosa di esterno all’individuo,

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Lilly Antinea Astore “la malattia”, ma a qualcosa di interno. Un’organizzazione genetica o predisposizione i cui caratteri possono essere considerati come la risultante dell’insieme delle “affezioni e delle risposte date a queste aggressioni“ non soltanto contro il malato-individuo ma contro l’insieme dei suoi parenti prossimi e lontani. La malattia non è dunque che un incidente nel corso di un lungo cammino attraverso il tempo, e il percorso di questo lungo cammino attraverso le generazioni e non gli “incidenti” permette di definire nel continuum un individuo. La forma di questo percorso, le sue caratteristiche definiscono il “terreno” una “ diatesi”, cioè un modo specifico di reazione all’ambiente in generale e all’aggressione in particolare. Solo la conoscenza del terreno, cioè del malato nella sua totalità-tempo conta in una prospettiva di medicina totale. Pasteur, verso la fine della sua vita, ricordava ai suoi allievi “Il microbo non è niente, il terreno è tutto”. Da sempre si è considerata nell’uomo la relazione corpo-spirito, corpo-anima o corpo-psiche. I termini di questa relazione o la sua qualità variano secondo le civiltà e le mode. La stessa medicina ufficiale, criticando il suo periodo materialista e meccanicista, ha creato il termine “medicina psicosomatica”. L’idea in se non era cattiva, essa è tuttavia criticabile a tre livelli. Il primo livello è una conseguenza dell’assenza di studio dell’uomo nella sua totalità-spazio. Non ritornerò su ciò che ho detto, aggiungo semplicemente che la manifestazione dello spirito in generale, e della sua relazione con la materia (di cui le manifestazioni dello spirito dell’uomo non sono che un aspetto particolare) sono universali e non strettamente biologiche; in altri termini, il pensiero non esiste solo nell’uomo: il pensiero dell’uomo non è che un momento particolare del pensiero dell’universo. Un gruppo di scienziati delle più grandi università americane, ribattezzati in Francia “gnostici di Princeton”, hanno formulato una critica della scienza in questi termini: “Noi non descriviamo che il rovescio dell’arazzo, ma esiste anche un diritto”. Nel campo dell’energia come in quello del pensiero, il diritto ed il rovescio sono indissociabili. Il secondo livello di critica punta sul fatto che in generale la relazione corpo-spirito è vissuta e compresa a senso unico: è lo spirito che agisce sul

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Lilly Antinea Astore fisico e mai l’inverso. E’ d’altra parte significativo che si sia utilizzata l’espressione “medicina psicosomatica” e non “medicina somatopsichica”. In realtà nessuno di questi termini è congruente, e solo la pratica di una medicina dell’uomo totale permette di comprendere che la corrente, a seconda degli individui o di momenti diversi di uno stesso individuo, fruisce tanto in un senso che nell’altro. Chiunque più o meno impregnato di dogmi ufficiali (che non sono per lo più che il riflesso dei lavori di una sola scuola, quella di Sigmund Freud) comprende che una turba psichica può influenzare il funzionamento di uno o più organi del corpo umano. Chi non ha “tremato di paura” o non ha avuto “la gola serrata dal terrore”? L’ulcera allo stomaco, la colite intestinale, l’infarto ed anche il cancro sono malattie in cui i medici “più ufficiali” riconoscono l’influenza predominante di un disordine psichico (noi diremmo piuttosto psichico-spirituale) male affrontato dall’individuo. Ma la medicina bioterapica insegna anche che, inversamente, un cattivo funzionamento epatico, intestinale, polmonare, renale o cardiaco può essere la causa predominante di

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Le bioterapie una turba psichica o spirituale. Sembra infatti che ogni organo, ogni funzione abbia il suo riflesso nello psichismo. Un disturbo di una funzione o di un organo induce dunque un disturbo psichico di una certa forma, che d’altronde è caratteristica dell’organo in carica. In generale turbe psichiche e turbe oganiche si succedono nel tempo in uno stesso malato: quando la colite è “guarita”, la depressione migliora e inversamente. Tutta la difficoltà, quando si sia ammessa questa circolazione a doppio senso della relazione corpo-spirito, consiste nel comprendere che, ad esempio davanti ad una donna che è alternatamente depressa e colitica, è essenziale per il terapeuta sapere se questa concatenazione patologica è cominciata con una turba strettamente organica, un’infezione intestinale, o se la sua colite proviene da un’incapacità psicologica a risolvere le aggressioni ambientali (professionali o familiari per esempio): la terapia non sarà evidentemente la stessa nell’uno o nell’altro caso. Il terzo livello di critica nasce dal fatto che la relazione corpo-spirito è in genere sottovalutata nel contesto della medicina “ufficiale”, si cerca

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Le bioterapie

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abitualmente sul piano terapeutico di correggere le deformazioni dello psichismo e non di sviluppare lo psichismo. Si utilizza la psicoanalisi o la psicoterapia e non si usano invece l’ipnosi, le suggestioni, il rilassamento o gli esercizi di ginnastica mentale, e se lo si fa, purtroppo, poco e male. Perché in generale non si pensa che, allo stesso modo in cui si sviluppa e si armonizza il corpo con esercizi fisici, si può anche sviluppare ed armonizzare lo psichismo... Qui abbiamo ancora una sottovalutazione della relazione corpopsichismo. In più, constatando che la medicina tradizionale o ortodossa, scindendo lo studio dell’uomo in molteplici specializzazioni, separa la medicina del corpo dalla medicina dello spirito, medici del corpo e medici dell’anima dovrebbero essere indissociabili. La bioterapia non si scinde in “specialità“, poiché l’uomo totale richiama una medicina totale. Comprendere “l’unità” è elevare la medicina allo stadio della conoscenza, comprendere l’unità è ESSERE nell’unità! I principi etici della bioterapia sono: 1. il principio ecologico, ossia condurre il paziente verso una sana metodologia di vita, di nutrizione, e d’igiene. 2. Il secondo principio è racchiuso nella “fiducia”. Il malato non deve sentirsi un “nume-

Lilly Antinea Astore È una studiosa eclettica con interessi in svariati campi che spaziano dalle scienze di confine, all’esoterismo, dall’archeoastronomia, all’arte ed all’ufologia. È cavaliere dell’ Ordine Mistico Rosacrociano. A soli 15 anni intraprende il suo percorso di ricerca partecipando con un’innovativa relazione sul tema del “ Rinnovamento “, alle conferenze presso le Università di Bologna e di Camerino, organizzate da Massimo Inardi, Peter Kolosimo, Roul Bocci ed il Conte Pelliccione di Poli. Il campo esoterico collabora con il “Centro Studi” di Lecce di Franco Maria Rosa dalla quale apprende ed approfondisce le Medicine Olistiche. In campo culturale è Rappresentante internazionale della “Synergetic-Art”, movimento artistico-culturale

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ro”, un paziente passivo. La fiducia diviene essa stessa terapia. 3. Il terzo principio o “principio generale della bioterapia”, o principio teorico delle bioterapie è quello della rigenerazione costante dell’individuo nella sua totalità. L’applicazione terapeutica di questo principio teorico riveste due aspetti: uno strategico ed uno tattico. La strategia considera la totalità del piano terapeutico volto a ristabilire la salute in modo non farmacologicamente invasivo. La tattica considera le modalità particolari di terapia secondo lo stato del momento patologico. La teoria bioterapica consente quindi al medico di introdurre e di integrare nelle terapie un certo numero di sostanze biologiche naturali (vale a dire sintetizzate nella e per la natura), non inquinanti e non iatrogene, di limitare l’uso di sostanze antibiologiche (cioè sintetizzate dall’uomo) inquinanti e iatrogene. La bioterapia segna dunque una tappa di progresso perchè permette in generale, grazie alla sua teoria strategica e tattica, di evitare il ricorso a sostanze spesso nocive, ed è per questo che risulta un autentico compimento dell’arte di guarire.

fondato da Marisa Grande, che si prefigge come obbiettivo finale la ricomposizione globale, una conoscenza collettiva, coniugando tra loro nuovi ed antichi saperi ed annullando i rigidi settorialismi accademici. Nell’ambito ufologico ha partecipato per anni a numerosi simposi e convegni del settore e collaborato con l’associazione noprofit : Rete-Ufo, dedita allo studio dell’ extraterrestrialismo. Dal 1990 è creatrice e conduttrice del programma radiofonico “DIMENSIONEX: Indagini nel Mistero” . Un programma radiofonico che affronta in maniera sinergica numerose e controverse tematiche per lo più ignorate dalla scienza ufficiale e dall’informazione generalista e che la consacra tra le principali divulgatrici in Italia delle tematiche legate al mistero, all’esoterismo, all’ufologia e all’archeo astronomia. Attualmente fa parte della redazione della Runa Bianca.

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Punteggiature culturali

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a cura di Elena Serughetti

Ma quanto sono brave le formiche?

Le comunità di insetti sociali sono così perfette… Perché non imitarle?

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arà senz’altro capitato anche a voi di leggere o ascoltare discorsi sull’opportunità, per noi umani, di prendere a modello le società di insetti come formiche e api. Le comunità formate da queste creature sociali funzionano in effetti molto bene: perché non dovremmo ispirarci ad esse per organizzare le nostre comunità? Nella società delle api tutto scorre perfettamente e ognuno ha il suo preciso compito all’interno della colonia. Ci sono per esempio le api che si occupano di accudire le larve, quelle che tengono pulite le cellette, quelle che vanno in esplorazione in cerca di cibo e quelle che difendono la comunità, per non parlare della regina, che emettendo segnali chimici garantisce che tutto fili per il verso giusto, e i fuchi che sono i maschi e servono per far riprodurre la regina. Ora, non so voi, ma ogni volta che sento lodare le società di insetti come preambolo per sdo-

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ganare l’idea di modellare le società umane su quello schema, il mio essere naturalista si ribella e mi provoca una potente orticaria. Per spiegarne il motivo, inizio da una constatazione che ritengo lapalissiana e che chiunque potrà verificare facilmente. Se siamo così propensi a fondare le nostre comunità sul modello di quelle degli insetti sociali, avremo senza dubbio molte cose in comune con loro. O no? Diamo uno sguardo a questi insetti, dunque. Gli insetti sono artropodi (parenti quindi di ragni, scorpioni, crostacei, millepiedi…), ne esistono oltre 1 milione di specie diverse e i primi esemplari a noi noti risalgono all’inizio del Devoniano (400 milioni di anni fa). Gli insetti sociali sono principalmente termiti, api e formiche: un gruppo eterogeneo di invertebrati che conta migliaia di specie. L’uomo è un vertebrato mammifero, parente

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Ma quanto sono brave le formiche?

quindi di orsi, leoni, delfini, gatti, ratti, bradipi... Ne esiste una sola specie vivente1, la cui comparsa sulla Terra viene comunemente fatta risalire al Medio Pleistocene (200.000 anni fa)2. Gli insetti possiedono un esoscheletro: il loro corpo è sostenuto da una corazza esterna che protegge gli organi interni ed è fatta principalmente di chitina, un polisaccaride costituito da carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto. Gli umani, come tutti i vertebrati, possiedono un endoscheletro: la struttura portante del corpo è cioè interna ed è composta principalmente da idrossiapatite, un fosfato di calcio. Gli insetti, data la rigidità dell’esoscheletro, per crescere devono passare attraverso diverse mute. L’uomo non passa attraverso stadi larvali prima di divenire adulto. Gli insetti hanno sei zampe e camminano generalmente su tutte e sei. Gli umani hanno quattro zampe e camminano sulle due inferiori: la nostra specie è caratterizzata da una bipedìa specializzata, tanto che troviamo parecchie dif1) La ricerca criptozoologica sembra però avere ottimi indizi per supporre l’esistenza di micropopolazioni residue di antiche forme di Homo in alcune remote aree del pianeta. 2) In realtà le teorie correnti sull’origine ed evoluzione dell’uomo moderno non sono condivise da tutti i ricercatori. Esistono inoltre controversie riguardanti la datazione stessa di reperti fossili.

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ficoltà quando cerchiamo di imitare l’andatura quadrupede. La maggior parte degli insetti possiede due grandi occhi composti, formati ciascuno da moltissime unità elementari dette ommatidi, oltre eventualmente a due o tre ocelli (occhi di tipo primitivo essenziali per gli insetti volatori). L’uomo ha due occhi semplici. Gli insetti respirano attraverso minuscoli buchi nell’esoscheletro detti stigmi, che portano a un complesso sistema di trachee che trasportano l’ossigeno. Gli umani respirano attraverso i polmoni e trasportano l’ossigeno tramite l’apparato circolatorio. Per non continuare nell’elenco, potreste dire stando a questi primi punti quanto abbiamo in comune con gli insetti? Certo, siamo entrambe forme di vita basate sul carbonio e contenenti DNA. Ma, a questo punto, potremmo dire di essere molto simili anche alle amebe. Perché dunque non strutturare la nostra vita sul modello di quella delle amebe? In fondo abbiamo diverse cose in comune con quelle simpatiche creature. La tendenza a prendere a modello le società di insetti per strutturare quelle umane viene spesso presentata come la naturale prosecuzione di un discorso sulla vita sociale di api e formiche. Ma perché non prendere come esempio le comunità di coccodrilli del Nilo? In fondo abbiamo più cose in comune con questi ancestrali animali piuttosto che con le api, per quanto affascinante

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Elena Serughetti e istruttivo sia lo studio del loro mondo alato. Le cure amorevoli di una mamma coccodrillo non hanno nulla da invidiare (e anzi spesso hanno molto da insegnare) ai genitori umani. Le nursery messe in piedi dalle mamme coccodrillo sono efficienti almeno quanto le scuole dell’infanzia umane. Per non parlare della divisione dei compiti all’interno dei branchi di mammiferi: perché non strutturare le società umane sulla base di quelle dei leoni, in cui i maschi dominanti fannulleggiano per la maggior parte del tempo3, lasciando la cura dei piccoli e il procacciamento del cibo alle femmine? Diamo però uno sguardo a queste società di insetti e cerchiamo di capire se e quanto le nostre comunità abbiano in comune con esse. “Insetti sociali” sono le termiti, molte specie di formiche e alcune specie di api e di vespe, a cui si aggiunge qualche centinaio di specie di ragni (che sono però aracnidi e non insetti). L’organizzazione sociale si fonda sulla suddivisione rigida in caste degli individui della colonia. La riproduzione (con deposizione di uova) è affidata alla regina; gli altri membri della comunità sono femmine sterili con compiti diversificati (cura delle larve e della regina, costruzione e riparazione del nido, ricerca e raccolta del cibo, difesa della colonia ecc.); i maschi sono invece in numero minore e per lo più presenti solo in determinati periodi dell’anno. La regina emette segnali chimici, in base a cui si coordinano le femmine sterili nei loro diversi lavori. Il destino di un individuo, cioè la sua futura appartenenza a una determinata casta, dipende dal tipo di nutrimento che riceve allo stadio larvale. Le api sono creature straordinarie che hanno escogitato un linguaggio complesso per comunicare, per esempio, posizione e distanza di una fonte di cibo rispetto all’alveare. Le termiti e alcune specie di formiche si danno all’agricoltura coltivando funghi all’interno dei nidi, mentre altre specie di formiche allevano “mandrie” di afidi 3) Uscendo dall’ronia, benché possano riposare per 20 ore su 24, anche i leoni maschi hanno ruoli importanti per il gruppo: perlustrano il territorio difendendolo da altri leoni, proteggono i cuccioli, custodiscono le prede catturate dall’azione di altri predatori o di necrofagi.

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Ma quanto sono brave le formiche? che poi “mungono” per suggerne una sostanza zuccherina. Le termiti realizzano termitai isolati dal mondo esterno con ingegnose soluzioni architettoniche per l’aerazione dell’intera colonia. Senza dubbio stiamo parlando di creature estremamente affascinanti e complesse. Questo ci autorizza però a prenderle a modello per le nostre società? Non sono forse altrettanto meravigliosi i pinguini, i suricati, i delfini? Non sono animali sociali anch’essi, che strutturano le proprie comunità e gruppi? I delfini costituiscono comunità anche di migliaia di esemplari, organizzati spesso in sottogruppi, che comunicano tramite un complesso sistema di richiami sonori. Alcuni gruppi possono essere formati da specie diverse di delfini e l’appartenenza a un gruppo non è rigida; non c’è una regina o un capo e l’organizzazione è più “orizzontale” rispetto a quella delle colonie di insetti. Molte specie di mammiferi sociali, tra cui in particolare i delfini, mostrano di accudire gli individui feriti o malati, talvolta anche di altre specie animali. Perché, quindi, viene propugnata l’idea di prendere come modello le società di insetti e non quelle dei delfini? La domanda è provocatoria, poiché da naturalista ritengo che ogni specie sia unica e abbia peculiarità proprie: risulta perciò improduttivo se non apertamente dannoso voler assumere il comportamento sociale di altre specie. Nei suricati e nei delfini, per esempio, accade di assistere a infanticidi scientemente perpetrati. Siamo sempre convinti di prendere le loro società a modello della nostra? Semplicemente, ogni specie ha comportamenti biologici e sociali caratteristici, diversi dalle altre specie. Nulla più, nulla meno: sembra un’inutile banalità, ma ho provato a far caso a quante volte viene suggerito nei media, più o meno consapevolmente, il parallelo tra società umane e di altri animali e la sua frequenza mi ha stupito. Ma torniamo alle nostre amiche api, che peraltro stanno scomparendo in massa, probabilmente a causa delle emissioni elettromagnetiche (oltre all’inquinamento di aria e suolo) da parte dell’uomo. La struttura delle loro colonie è strettamente verticale e rigida, non c’è modo per un’ape operaia di uscire dal suo ruolo poiché esso è regolato

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Ma quanto sono brave le formiche? e determinato dai feromoni (sostanze chimiche volatili) rilasciati dalla regina, che coordina tutta la vita dell’alveare. Solo se la regina diventa vecchia o malata, e quindi l’emissione di feromoni diviene più debole, le operaie possono passare a strategie diverse per allevare una nuova regina che la sostituisca. Non so voi, ma a me non piacerebbe vivere in un mondo del genere. Spesso chi propugna l’idea di ispirarci alle società di insetti evita di portare in luce questi aspetti, ponendo l’attenzione su un carattere di fondo che viene spesso confuso con l’altruismo: nella colonia il benessere del gruppo coincide con quello dell’individuo, e il singolo si sacrifica per l’intero gruppo. Il benessere individuale come emanazione di quello dell’intera società è un pensiero caro a diverse ideologie: se il gruppo sta bene, il benessere che ne deriva ricade sui singoli. Ma qualcuno ha mai chiesto a un’ape spazzina o a una formica soldato se siano felici? Probabilmente questo è un concetto a loro ignoto, essendo la loro vita regolata da impulsi biologici4; ci risulta piuttosto difficile pensare alle colonie di api o formiche in termini di “soddisfacimento individuale”. Cosa che è invece essenziale per il benessere umano. Un equivoco, spesso suscitato di proposito da certi soloni dell’ingegneria sociale, riguarda proprio la relazione tra benessere del gruppo e benessere del singolo: sembrerebbe che da un lato sia intoccabile il concetto per cui il benessere del gruppo determina quello dell’individuo, dall’altro pare quasi un’eresia sostenere che il benessere dell’insieme possa naturalmente scaturire dal benessere dei singoli membri del gruppo. Eppure, se ognuno di noi si sente soddisfatto e in 4) Certo per non avere dubbi bisognerebbe chiedere direttamente all’ape, ma i nostri strumenti di comunicazione interspecifica sono, ahimè, alquanto arretrati.

Elena Serughetti Naturalista, si occupa di educazione ambientale e divulgazione scientifica; da anni coltiva per passione lo studio della sto-

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Elena Serughetti

pace con sé e con gli altri, sarà più propenso ad espandere questo stato di benessere e a fare in modo che anche i suoi compagni stiano bene. Le interrelazioni tra individuo e gruppo sono complesse e a vari livelli: ciascuno viene influenzato dagli altri e dalle dinamiche del gruppo, e a sua volta le influenza. Allo stesso modo, l’idea che la comunità sia più importante del singolo, e che quindi l’individuo sia sacrificabile all’interno di una visione più ampia, ha prodotto nel tempo forme di pensiero che ritengo aberranti, prima fra tutte la giustificazione della guerra. Questo concetto sta anche alla base del sistema statale e se ne trovano diversi richiami negli scritti dei membri di movimenti esoterici che hanno avuto in passato, e hanno ancora, una grande influenza nel plasmare il nostro sistema sociale (nonostante in apparenza essi pongano al vertice l’individuo). Credo che una società fondata sull’attenzione alle singole persone possa portare a un benessere diffuso, molto più e molto meglio di qualunque sistema calato dall’alto che subordina il benessere delle persone a un non meglio precisato “benessere comune”. ria, dell’archeologia e delle “scienze di confine”. Collabora con diversi siti web che si occupano di informazione e attualità ed è responsabile del sito Crocomania.com (http://www.crocomania. com) e del blog Natura e Cultura (http://naturacultura.blogspot.com).

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La Bibbia svelata

6’ a cura di Mauro Biglino

Dalle traduzioni letterali della Bibbia ricaviamo che non ci hanno raccontato tutto e nemmeno il vero (VIII)

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ell’articolo precedente abbiamo esaminato alcune questioni relative al famoso tetragramma, cioè a quel vocabolo formato dalle quattro lettere – consonanti iod he waw he - che definiscono il nome impronunciabile del presunto dio biblico. Con il termine elohìm, e numerosi altri, siamo di fronte ad una delle tante questioni filologiche sulle quali si disputa da tempo, e con ogni probabilità si continuerà a disputare in futuro senza giungere a conclusioni definitive, convergenti e condivise. Nel libro “Il dio alieno della Bibbia” ho evidenziato le difficoltà relative al termine elohìm, dando conto di come il suo significato sia più facilmente deducibile dal contesto piuttosto che dalla pura analisi filologica. Un contesto che ci rivela come il monoteismo non fosse parte costituente del pensiero giudaico delle origini, che conosceva bene la pluralità degli individui cui quel termine si riferiva: un

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FOTO: LA SACRA BIBBIA

gruppo di “potenti”, di cui Yhawèh non era che uno dei rappresentanti. Uno di quelli verso cui ci si poteva rivolgere di volta in volta, mettendosi al suo servizio in cambio di protezione e aiuto. Ne segue qui un altro termine che negli ultimi anni è divenuto patrimonio diffuso nell’ambito di coloro che si interessano di Sumeri, ANUNNAKI e vicende bibliche: nephilìm, un vocabolo sempre usato nella sua forma plurale. Oggetto di chiavi di lettura varie e spesso neppure attinenti al testo biblico (come la tesi errata che siano il prodotto degli incroci tra i maschi elohìm e le femmine adàm), su di esso da anni diversi docenti stanno disputando senza giungere ad una conclusione soddisfacente. Secondo il conosciutissimo autore Z. Sitchin il termine deriva dal verbo ebraico nafàl che significa “coloro che sono caduti o scesi”, ma sappiamo che esiste una notevole differenza semantica tra “cadere” e “scendere, venire giù”: il verbo “scendere” porta

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Dalle traduzioni letterali della Bibbia... (VII) chiaramente in sé il carattere dell’intenzionalità, che non risulta invece presente nell’atto del “cadere”, un’azione che normalmente si subisce. Proprio su questo aspetto pone l’accento Michael Heiser, della Wisconsin University. Egli sostiene che nephilìm non deriva da nafàl perché la sua vocalizzazione differisce dalle usuali derivazioni di tale radice e, di conseguenza, non gli può essere attribuita l’intenzionalità insita nello “scendere”. Nella questione interviene il docente universitario Ronald S. Hendel – Università di Berkley – che documenta come l’uso del verbo nafàl con il significato di “cadere” sia presente in altri punti nella Bibbia, e afferma che nephilìm rappresenta la forma “qatil” del verbo, che può essere vista quindi come il passivo aggettivale della radice nafàl, con il significato di “cadere”: in sintesi si tratterebbe di una sorta di aggettivo coniugato. Per contro, lo studioso cita un passo del capitolo 32 di Ezechiele in cui il verbo nafàl indica con chiarezza una discesa volontaria operata da guerrieri. Non pare dunque una forzatura estendere il significato di nephilìm e attribuirgli, come per yaràd, sia il valore di un “cadere involontario” sia quello di uno “scendere in modo intenzionale”. Come si vede, la filologia comporta questioni non da poco. In questo specifico caso, nel mio libro ho proposto una soluzione alternativa derivante dal significato aramaico del termine: al sin-

Mauro Biglino golare indica in modo univoco la costellazione di Orione. Quando si sono trovati di fronte a questo vocabolo, i Greci che hanno curato la cosiddetta versione LXX nel III° sec. a.C. non si sono curati delle possibili varianti di significato, non si sono cioè impegnati a stabilire se si sia trattato di una caduta o di una discesa volontaria, essi hanno direttamente tradotto il termine nephilìm con γιγαντες, “giganti”. In LXX, Gen 6,4, scrivono: οι δε γιγαντες ησαν επι της γης εν ταις ημεραις εκειναις και μετ‘εκεινο (i giganti erano sulla terra in quei giorni e dopo quello) Li definirono semplicemente “giganti”, un’affermazione perentoria, priva di sfumature interpretative, che a noi pone però un interrogativo: perché nephilìm per loro significa “γιγαντες”? Come detto, nella lingua aramaica esiste il termine nephilà, che identifica la costellazione di Orione, e sono numerosissimi gli studi che tendono a correlare proprio quella costellazione con la nascita della civiltà umana. In una molteplicità di ipotesi formulate da autori quali Von Daniken, Hancock, Bauval, Faiia, ecc., essa viene identificata come possibile luogo di origine degli alieni che sono intervenuti sul nostro pianeta. Secondo tali teorie il ricordo di questa provenienza sarebbe registrato in numerose realizzazioni architettoniche distribuite in

FOTO: ANUNNAKI

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Mauro Biglino siti considerati sacri da varie popolazioni in diversi continenti. Il più conosciuto si trova ovviamente nella piana di Giza, dove la disposizione spaziale delle tre grandi piramidi rispetto al Nilo rispecchierebbe l’orientamento delle tre stelle della cintura di Orione rispetto alla Via Lattea. Vi sono poi le piramidi maya nel Viale dei morti a Teotihuacan in Messico, e ancora le costruzioni sulla mesa degli indiani hopi in Arizona, che paiono essere state posizionate con il preciso intento di riprodurre sul territorio quell’immagine celeste. Non vi sono ovviamente certezze e noi ci stiamo occupando della Bibbia, dunque non entriamo nell’ambito dell’attendibilità o meno di queste tesi. Ma non possiamo non rilevare che tra elementi apparentemente separati si registra una coincidenza che per il momento ci limitiamo a definire come una semplice curiosità. Per proseguire nell’argomentazione che stiamo conducendo, dobbiamo ricordare che nella mitologia greca Orione era un “gigante” originario della Beozia, nonché figlio di Poseidone; era un grande cacciatore e usciva sempre accompagnato dal suo cane Sirio, che si fa corrispondere ad α Canis Majoris, la stella che ne accompagna il viaggio nella sfera celeste: è molto luminosa e ben visibile sotto la stella Saiph (κ Orionis). Innamorato delle Pleiadi – figlie di Atlante – cominciò a molestarle e la dea Artemide, che si era a sua volta invaghita di lui, lo fece uccidere da uno scorpione; Zeus scoprì quanto era successo, si adirò e fulminò lo scorpione, poi

Mauro Biglino Realizza prodotti multimediali di carattere storico, culturale e didattico per importanti case editrici italiane, collabora con varie riviste, studioso di storia delle religioni, è traduttore di ebraico antico per conto delle Edizioni San Paolo: dalla Bibbia stuttgartensia (Codice di Leningrado) ha tradotto 23 libri dell’Antico Testamento di cui 17 già pubblicati. Da 30 anni si occupa dei testi sacri nella convinzione che solo la conoscenza e l’analisi diretta di ciò che hanno scritto gli antichi redattori possa aiutare a comprendere veramente il pensiero reli-

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Dalle traduzioni letterali della Bibbia... (VII) decise di collocare nel cielo questo eroe e da allora la sua costellazione splende nella notte nel suo continuo tentativo di raggiungere le Pleiadi – gruppo di stelle inserite nella costellazione del Toro – che lo precedono nel percorso celeste. Ebraico, aramaico, mitologia greca si incrociano qui fornendo una possibilità di interpretazione che integra vari significati e un’ipotetica chiave di lettura per un termine di cui la filologia non ha ancora assegnato un significato certo. Chiudiamo con una curiosità. Abbiamo detto prima che dall’incrocio dei figli degli elohìm con le figlie degli adàm, narrato nel capitolo 6 della Genesi, non sono nati i nephilìm ma i ghibborìm, cioè “uomini forti, potenti, famosi”. Il singolare di quel termine è ghevèr e il termine non è un nome proprio ma un vocabolo che indica una funzione, quella propria di chi esercita il potere. Colui che esercitava il potere per conto di un El , singolare di elohìm, era detto in ebraico ghevrìel cioè “Gabriele”. Il “Grabriele” (con l’articolo perché non si tratta di nome proprio ma di una indicazione funzionale) era dunque un emissario, un esecutore, un portaordini che agiva in nome e per conto di un El: cioè di uno degli appartenenti al gruppo di coloro che detenevano il potere. Un “Gabriele” si presenta a Maria e lei rimane incinta… curioso vero!? Ma qui è bene fermarsi perché si esce dalla sfera diretta di competenza di chi si occupa di Antico Testamento. gioso formulato dall’umanità nella sua storia. Tra i suoi libri ricordiamo: Resurrezione reincarnazione. Favole consolatorie o realtà? Una ricerca per liberi pensatori (Uno Editori, 2009), Chiesa romana cattolica e massoneria. Realmente così diverse? Una ricerca per liberi pensatori (Uno Editori, 2009), Il libro che cambierà per sempre le nostre idee sulla Bibbia (Uno Editori, 2010) e...

Il Dio Alieno della Bibbia Uno Editori, 2011 Marzo 2012 | n.8


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MASSIMO COLANGELO

Ettore Majorana, padre Ernetti e il Cronovisore

FOTO: SEGNALETICA STRADALE DI UNA VIA DEDICATA A ETTORE MAJORANA

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ttore Majorana nacque a Catania il 5 agosto del 1906, ma si ignora la sua data di morte. Nel 1938, infatti, effettuò un viaggio di riposo a Palermo. Qui trascorse all’albergo “Sole” solo mezza giornata: poi si imbarcò per Napoli. Ma l’ultima volta che fu visto fu la sera, all’altezza di Capri, sul ponte del piroscafo. A Napoli non è mai “ufficialmente” arrivato, scomparendo misteriosamente e definitivamente. Molte teorie complottiste vennero sin da subito avanzate; si era infatti alle soglie della seconda guerra mondiale, e le superpotenze erano in cerca di menti di eminenti scienziati. Ma chi era veramente Majorana? A questa domanda si può rispondere facilmente in base a quello che è riuscito a far vedere di sé nei suoi primi 32 anni di vita. Allievo di Enrico Fermi, gli studi di Majorana dettero un contributo fondamentale allo sviluppo della fisica moderna e af-

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frontarono in modo originale molte questioni: nella sua prima fase pubblicò ricerche riguardanti problemi di spettroscopia atomica, la teoria del legame chimico (dove dimostrò la sua conoscenza approfondita del meccanismo di scambio degli elettroni di valenza), il calcolo della probabilità di ribaltamento dello spin (spin-flip) degli atomi di un raggio di vapore polarizzato, quando questo si muove in un campo magnetico rapidamente variabile. Il maggior contributo scientifico di Ettore Majorana però è rappresentato dalla seconda fase della sua produzione, che comprende tre lavori: il lavoro sulle forze nucleari oggi dette alla Majorana, il lavoro sulle particelle di momento intrinseco arbitrario e quello sulla teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone; famosa è anche l’equazione di Majorana. Ettore è ricordato, dalla comunità scientifica internazionale, per avere dedotto l’equazione ad infinite componenti che

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formano la base teorica dei Sistemi Quantistici Aperti (Computazione Quantistica, Crittografia e Teletrasporto). Molti pensano che, viste le sue capacità matematiche, sia stato contattato da agenti segreti americani e gli fosse stato offerto di collaborare con Enrico Fermi a quegli studi che portarono alla realizzazione prima e al lancio dopo della prima bomba nucleare... e che Majorana, intuitolo, per impedire che il suo nome fosse legato alla FOTO: QUELLO CHE RESTA DELL’ABITAZIONE CHE OSPITAVA MAJORANA bomba atomica, abbia fatto sparire le sue traccia volontariamente. to, i calcoli e le teorie nel cestino”. Ma dove? Ma la notizia più interessante fu quella riporLa descrizione fisica al momento della scomtata da una ragazza su un forum, ripresa da chi parsa dello scienziato è la seguente: anni 31, alto scrive e dall’amico Ing. Sabato Scala: “Una legmetri 1,70, snello, con capelli neri, occhi scuri, una genda popolare che parla di uno strano monaco lunga cicatrice sul dorso della mano destra. che si era ritirato in un piccolo paese nelle mie viAlla sua educazione sopraintese (sino a circa cinanze (Visciano) e che pare scrivesse cose strane nove anni) il padre. Successivamente, quando la su tutto fuorché su carta, in particolare su muri e su famiglia si trasferì a Roma, dal 1921, Ettore frepacchetti di sigarette. I monaci della vecchia abaquentò il collegio “Massimiliano Massimo” dei zia dei Camaldoli di Visciano gli avevano affidato Gesuiti in Roma. Del carattere di Majorana, così un’abitazione isolata nel loro territorio. Ora già da riferisce la moglie di Enrico Fermi: “Ettore Majoratempo i monaci hanno abbandonato l’abazia, che na aveva uno carattere strano: era eccessivamenattualmente è comunque aperta al pubblico. La te timido e chiuso in sé. La mattina, nell’andare in casa dell’ospite solitario del monastero é un rudere, tram all’Istituto, si metteva a pensare con la fronte ed é divenuta una discarica abusiva... Lo sfollato, accigliata. Gli veniva in mente un’idea nuova o la che diceva in giro di essersi ritirato lì per evitare di soluzione di un problema difficile o la spiegazione lavorare alla creazione della bomba atomica, venidi certi risultati sperimentali che erano sembrati va chiamato dagli abitanti locali con il soprannoincomprensibili: si frugava le tasche, ne estraeva me: ‘il professore’”. una matita e un pacchetto di sigarette su cui scaSubito cerco altri riferimenti e mi imbatto nel rabocchiava formule complicate. Sceso dal tram se libro del Prof. Fioravante Meo, “L’ultimo rifugio di ne andava tutto assorto, col capo chino e i capelli Majorana” che benchè pubblicato, di fatto era scarruffati spioventi sugli occhi. Arrivato all’Istituto introvabile ed è solo grazie a una telefonata con cercava di Fermi o di Rasetti e, pacchetto di sigaretl’autore e per il tramite del mio editore che riesco te alla mano, spiegava la sua idea. Ma appena gli ad averne una copia. altri l’approvavano, se ne entusiasmavano, lo esorIn esso è pubblicato un identikit che è di una tavano a pubblicare, Majorana si rinchiudeva, farverosimiglianza impressionante ai ritratti che fugliava che era roba da bambini e che non valeva possediamo di Majorana. L’identikit è stato reala pena di discorrerne: e appena fumata l’ultima silizzato sulla base di almeno una decina di testigaretta (e non ci voleva molto) buttava il pacchetmonianze di gente ancora vivente, che fu intervi-

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Ettore Majorana, padre Ernetti e il Cronovisore

stata peraltro da una giornalista di Stampa sera. Il “professore” che aiutava i ragazzi del paese a fare i compiti di matematica e dava ripetizioni di tale materia vi si era stabilito come altri sfollati dal 1943 al 1945, e aveva le seguenti caratteristiche identificative: 1. una cicatrice sulla mano destra; 2. un forte accento siciliano; 3. il padre del Convento Camandolese di Visciano lo chiamava Ettore; 4. aveva l’abitudine di scrivere formule matematiche su pacchetti di sigarette, di cerini e sui muri. 5. il professore si appoggiava su un bastone su cui figurava la sua data di nascita, 1906 (quella di Majorana). Troppe coincidenze per non verificare la notizia, specie perché esiste ancora la casupola ove aveva vissuto il nostro uomo, che forse ancora riporta tracce di quello che scriveva sui muri; quindi, con una semplice perizia calligrafica, si potrebbe verificarne la presenza con una buona base di attendibilità. Nella testimonianza l’uomo sarebbe morto ufficialmente nel 1952 e messo in una fossa comune, di cui però manca ogni dato identificativo. Ma, se non morì, che fine fece poi? Ritengo che oggi nessuna pista sia da scartare e neppure da accogliere ma, al riguardo, una mia fonte parla della possibile presenza di Majorana nel monastero di Subiaco, vicino Roma (situato a circa 15 km da Rocca Santo Stefano, paese natale di Padre Ernetti). Poichè in quel luogo vi sono due Monasteri benedettini, quello di Santa Maria scolastica (che contiene migliaia di volumi antichi, le quali nascondono preziose informazioni alchemiche) e l’Eremo, ritengo sia più probabile che Majorana si sia stabilito in quest’ultimo, meno accessibile al pubblico, ove avrebbe vissuto fino agli inizi del nuovo millennio. Questa informazione è

facilmente verificabile, perchè di monaci ultranovantenni vissuti in quell’eremo non ce ne saranno stati tanti, quindi... buone ricerche. Ma cosa lega Majorana con Padre Pellegrino Ernetti? E sopratutto, per cosa è noto Padre Ernetti? Questo monaco benedettino balza improvvisamente agli albori della cronaca grazie a due interviste rilasciate a dei quotidiani di tiratura nazionale. La prima, sul numero 18 di “La Domenica del Corriere” del 2 Maggio 1972 e l’altra sul numero 17 del “Giornale dei misteri” sempre nel 1972. In tali interviste Padre Pellegrino Ernetti, conosciutissimo esorcista, musicologo di fama internazionale e scienziato, vissuto nel monastero dell’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, annuncia al mondo di avere realizzato una macchina che era capace di guardare indietro nel tempo, e che fu battezzata successivamente col nome di “CRONOVISORE”. A suo dire è stata da lui progettata agli inizi degli anni cinquanta, unitamente a 12 scienziati, tra cui cita Enrico Fermi ed un suo noto discepolo (di cui non dice volutamente il nome), lo scienziato tedesco Wernher Von Braun (già inventore delle V2 e direttore della NASA), un Premio Nobel giapponese e uno scienziato portoghese di nome De Matos. Per quanto incredibili fossero le affermazioni di Padre Ernetti, questi non era una persona qualunque, bensì uno dei più stretti collaboratori di Padre Gemelli, il fondatore dell’Università Cattolica del “Sacro Cuore” di Milano. Comunque una persona modesta, che non aveva alcun interesse a portare l’attenzione su se stessa. Inoltre, come spiegherò più avanti, il monaco portò delle prove concrete a sostegno delle sue affermazioni. Nell’intervista a “La Domenica del Corriere“ Ernetti affermò ad esempio: «L’intera elaborazione si basa su un principio di fisica accettato da tutti, secondo il quale le onde sonore e visive, una volta emesse, non si distruggono ma si trasformano e restano eterne e onnipotenti, quindi possono essere ricostruite come ogni energia, in quanto esse stesse energia».

FOTO: IL PROFESSORE DEI CAMALDOLI 1944-45

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Il principio fisico che sovrintenderebbe al funzionamento di questa macchina si può riassumere nella teoria secondo cui ogni essere vivente lascerebbe dietro di sé, nel tempo, una traccia costituita da una non ben identificata forma di energia. Tali tracce, in forma di energia visiva e sonora, non subirebbero col tempo una cancellazione definitiva, bensì una semplice attenuazione, rimanendo “impresse” nell’ambiente nel quale si manifestarono, confinate in una non specificata “sfera astrale”, dalla quale sarebbe possibile in ogni tempo recuperarle. Attorno alla Terra esisterebbe, quindi, una specie di fascia di energia in cui si accumulano tutte le informazioni emesse dal pianeta Terra ed i suoi abitanti. Informazioni accessibili per chi riesce a “sintonizzarsi” sulla stessa lunghezza d’onda. Una teoria che richiama fortemente FOTO: L’ANNUNCIO CHE LA FAMIGLIA MAJORANA DEL 17 LUGLIO 1938 CHE APPARVE SULLA DOMENICA DEL CORRIERE e stranamente le ricerche di Jung sulla “mente universale”, a cui tutti noi possiamo attingere durante il sonno. compreso quello che diceva, era il discorso con il Il Cronovisore, secondo la descrizione dell’auquale annunciava l’abolizione della Serenissima tore, consisteva di tre distinti componenti: Repubblica di Venezia per proclamare una Repub1. una serie di trasduttori ed antenne, in una blica Italiana.» lega di tre misteriosi metalli (non specifica«Successivamente andammo nell’antichità roti), che garantiva la rivelazione di tutte le mana. Una scena del mercato ortofrutticolo di Tralunghezze d’onda del suono e della radiaiano, un discorso di Cicerone, uno dei più celebri, la zione elettromagnetica; prima Catilinaria. Abbiamo visto e ascoltato il fa2. un modulo in grado di auto-orientarsi sotmoso: “Quousque tandem Catilina”». Assistere alla to la guida delle onde sonore ed elettrofoga declamatoria di Cicerone di fronte al Senato magnetiche captate; romano, nel 63 a.C., deve essere stata un’espe3. una serie assai complessa di dispositivi derienza davvero emozionante. Ecco infatti come putati alla registrazione delle immagini e padre Ernetti la commentava: «I suoi gesti, la sua dei suoni, del loro filtraggio e chiarificaziointonazione... com’erano potenti. E che fantastica ne, al fine di selezionare solo quello dell’eoratoria! » lemento ricercato. Ernetti sosteneva inoltre di aver assistito, attraverso il cronovisore, nel 169 a.C., ad una rapPadre Ernetti rivelò inoltre alcuni viaggi tempresentazione del Tieste, una tragedia del poeta porali che avrebbe compiuto con il dispositivo. latino Ennio, che si riteneva definitivamente perRaccontò di aver voluto «[...] per prima cosa veduta ma da lui prontamente trascritta proprio in rificare che quello che vedevamo fosse autentico. quell’occasione. Così iniziammo con una scena abbastanza recenMa come è nata a padre Ernetti l’idea di creare te, della quale avevamo buoni documenti visivi e una macchina di questo tipo? E’ lo stesso Ernetti sonori. Regolammo l’apparecchio su Mussolini che che ce lo spiega. pronunciava uno dei suoi discorsi.» Ernetti era il principale collaboratore di Padre Presa dimestichezza con il dispositivo: «[...] risaAgostino Gemelli (fondatore, come già accennalimmo nel tempo, captando Napoleone. Se ho ben to, dell’Università Cattolica del Sacro cuore). I due

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Massimo Colangelo condividevano gli studi di prepolifonia sui canti Gregoriani. Nel 1951 narra che, mentre erano impegnati alla registrazione di un canto gregoriano nello studio del laboratorio di fisica dell’università Cattolica, si spezzò un filo al magnetofono che stavano utilizzando. Quest’incidente rischiò di compromettere definitivamente tutto il lavoro sinora fatto dai due scienziati. Per evitare la perdita dei dati, Padre Gemelli riannodò in qualche modo il filo rotto, sperando di riuscire nell’impresa ed esclamando al momento della riaccensione della macchina: “Ah! Papà, aiutami tu”. Con vivo stupore degli astanti, a quella richiesta d’aiuto, rispose la voce del defunto papà di Gemelli, proveniente dall’altoparlante, che esclama: “Ma certo che ti aiuto. Io sono sempre con te”. Padre Gemelli ferma subito lo strumento, ma Pellegrino Ernetti insiste per ascoltare ancora. La voce ricomincia utilizzando proprio termini famigliari a Padre Gemelli: “Ma sì, zuccone non vedi che sono proprio io?” . Da quel momento nasce di fatto la Metafonia, ovvero la possibilità di comunicare con i defunti a mezzo di microfoni e registratori, e anche quello fu anche lo spunto da cui partì Padre Ernetti per ideare il cronovisore. Dopo l’idea occorrevano anche delle “menti” in grado di risolvere alcuni aspetti “pratici” e “matematici”. Ecco che la pista ci conduce al famoso e misterioso “discepolo di Enrico Fermi”: Ettore Majorana. Il collegamento tra Ernetti e Majorana è forse esile, ma esiste. Tra i fratelli di Ettore vi era anche Maria, diplomata a pieni voti in pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia dove insegnava Padre Ernetti. Ernetti nella sua intervista dice che ha collaborato al progetto un “allie-

Massimo Colangelo Michelangelo Magnus (alias Massimo Colangelo) autore del romanzo: “La macchina del tempo e la ricerca della Menorah” (Giordano Editore, 2006). Autore del libro “Il Tesoro più nascosto: alla riscoperta del femminino sacro” (Giordano Editore, 2007) nonché del saggio: “Sulle tracce di Ettore Majorana e del cronovisore di Padre Ernetti”; libri che ipotizza-

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Ettore Majorana, padre Ernetti e il Cronovisore vo di Fermi” (di cui non fa il nome, forse per sua esplicita richiesta). Majorana, oltre ad essere il miglior allievo di Fermi, era anche colui che aveva preferito l’anonimato ad una vita fatta di fama ed onori pubblici... e tra l’altro esperto matematico nel campo specifico della nuova edificanda macchina, quello delle “onde”. Majorana negli anni ‘50 (gli anni proprio della “nascita del cronovisore”) scompare definitivamente, o meglio scompare “u professore” che scriveva formule matematiche sui pacchetti di sigarette... e appare dal nulla un misterioso monaco Benedettino che si rifugia nell’eremo di Subiaco a 15 km da Rocca Santo Stefano, paese natale di Padre Ernetti. Qualcuno della famiglia di Majorana doveva però conoscere la verità. Infatti nessuno ha mai portato il “lutto” per la sua presunta morte. Ma che fine avrebbe fatto il CRONOVISORE? In questi ultimi anni si è diffusa la leggenda metropolitana che l’unico esemplare del cronovisore realizzato da padre Ernetti sia stato smantellato ed accuratamente nascosto in qualche meandro nei sotterranei dei musei vaticani. Sicuramente, se questa macchina esistesse, il possessore potrebbe controllare gli eventi del mondo e conoscerebbe TUTTI i dati del passato (anche quelli più “nascosti”). Invenzioni di questo tipo sono alla base di film di “fantascienza”, tipo “Déjà Vu” o fonte di ispirazione di libri come il racconto di Arthur C.Clarke (The Light of Other Days, 2000) “La Luce del Passato,” ove vengono descritte macchine assai simili al cronovisore, ma di cui ignoriamo le vere fonti. Resta il fatto che a volte il confine tra la finzione e realtà può essere molto sottile.

no che, se l’ideatore del Cronovisore fu Padre Pellegrino Alfredo Maria Ernetti, tuttavia il vero teorico che ne rese possibile la realizzazione fu lo scienziato Ettore Majorana.

Il Tesoro più nascosto Giordano Editore, 2007 Runa Bianca

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ALBERTO LOMUSCIO

La teoria dei cinque movimenti Le basi scientifiche dell’antica filosofia cinese

FIGURA 1: LO SCHEMA DEI 5 ELEMENTI - MOVIMENTI

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a teoria dei Cinque Elementi (o Movimenti) rappresenta la base indiscussa del pensiero scientifico cinese, e consente di comprendere le trasformazioni dinamiche dell’universo e della vita. I 5 Elementi sono chiamati WU XING, dove WU significa 5, e XING agire, camminare: viene pertanto espressa l’idea dell’azione e del movimento, per cui, anche se nell’uso corrente prevale la traduzione di WU XING con 5 Elementi, sarebbe meglio ricorrere a termini come 5 Agenti o 5 Movimenti, per sgombrare il campo dall’idea che i WU XING siano sostanze materiali prive di ogni dinamismo. I 5 Elementi vanno intesi come categorie generali sotto cui si raggruppano le manifestazioni della realtà in un preciso ordine spaziale e temporale, non rigido e fisso ma in continua opposizione e trasformazione, al fine di costruire un modello della struttura dell’universo.

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Ecco come si esprime l’HONG FAN: “Innanzitutto i 5 Elementi: il primo l’Acqua, il secondo il Fuoco, il terzo Legno, il quarto il Metallo, il quinto è la Terra. Le proprietà dell’acqua sono di infiltrarsi e di scendere, quelle del fuoco di bruciare e di tendere verso l’alto, quelle del legno di piegarsi e di raddrizzarsi, quelle del metallo di essere duttile e di lasciarsi forgiare, quelle della terra di ricevere le sementi e di dare i raccolti” (Figura 1).

Dal cosmo alla materia vivente Ma come si giunge alla costruzione del cerchio dei 5 Elementi? A questo proposito, è bene ricordare che la concezione occidentale dell’essere vivente è fondamentalmente quella di un agglomerato di materia dotata di una serie di funzioni organiche, ossia di varie forme di energia (l’energia elettrica

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La teoria dei cinque movimenti del tessuto nervoso, l’energia chimica di svariati sistemi cellulari, l’energia meccanica dei muscoli, etc). Per la medicina orientale, invece, materia ed energia non si presentano divise, ma sono un’unica realtà dinamica soggetta a continue variazioni. L’energia pura, al suo più alto grado di espressione, come ci insegna anche la fisica, è movimento, fluttuazione, dinamismo, e in ultima analisi si configura come calore, che rende possibile la vita solo se si fonde col suo opposto, che non è l’assenza di energia, bensì l’assenza di dinamismo, di movimento, in quanto rappresenta il massimo di potenzialità in completa assenza di manifestazione: è quella che noi occidentali chiamiamo riduttivamente materia, e che i cinesi indicano più compiutamente come energia YIN (al suo massimo grado), che si contrappone dialetticamente all’energia YANG, espressione invece della manifestazione dinamica. La vita è possibile solo nel settore intermedio della natura, quello in cui lo yang del cielo (calore del sole) si fonde con lo yin della terra (materia fredda di sostegno e base dell’alimentazione). Il calore del cielo, del sole, rappresenta il massimo yang, e da solo non consente la vita (sarebbe possibile vivere sulla superficie di una stella?); così come nella terra, nel massimo yin, la vita non sarebbe possibile (ci può essere vita sulla superficie di un pianeta lontanissimo dalla sua stella?). Ebbene: solo dove lo yin e lo yang si fondono in equilibrio dinamico, come avviene sulla superficie del nostro pianeta, la vita è possibile. Il calore, ossia il massimo yang, è l’energia primordiale che comprende tutte le altre energie: è espansione, è vibrazione (e nella nostra fisica ciò significa anche luce). E’ il sole, e nella sua massima espressione (alle ore 12 del giorno del solstizio d’estate) il sole è esattamente sopra le nostre teste, in alto nel cielo, e pertanto il massimo yang, ossia il calore, il sud, è in alto, nel cerchio dei 5 Movimenti, mentre il suo contrario, ossia il freddo della materia che ci sostiene, lo yin massimo, è sotto i nostri piedi, e quindi viene iscritto nella parte più bassa del cerchio. L’energia non è però statica, fissa, ma è animata da un movimento continuo, movimento che è sempre la manifestazione di una potenzialità che la precede, così come un albero è la manifestazione di una potenzialità ultraconcentrata

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Alberto Lomuscio (il seme), che per manifestarsi deve però passare attraverso uno stadio intermedio, in cui lo yin si trasforma in yang progressivamente (l’arbusto giovane che cresce), e dopo essersi manifestata perde progressivamente energia yang (l’albero che invecchia e si secca) per tornare infine allo stato di materia inerte, ossia allo yin (l’albero che muore), non senza però avere donato alla terra il seme di un nuovo albero che nascerà, creando così un ciclo vitale dinamico che si autoperpetua. Esempi analoghi possono essere fatti per la vita dell’uomo, per le stagioni, per le varie parti della giornata, etc: la potenzialità e la manifestazione sono sempre espressione dello yin e dello yang che si susseguono, perché “lo yang segue lo yin e lo yin segue lo yang”. E la presenza di yin e di yang, di potenza e manifestazione, è scomponibile all’infinito. Non esiste lo yang assoluto, così come non esiste lo yin assoluto. Questo concetto è ben rappresentato dal ben noto simbolo del Tao, costituito dai due embrioni embricati, nel quale si vede che anche nel momento del massimo yang e del massimo yin esiste sempre un seme (rappresentato dall’occhio dell’embrione) del segno opposto (Figura 2).

FIGURA 2: IL TAI JI

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Alberto Lomuscio Se ora noi uniamo il massimo yang e il massimo yin (linea sud-nord), otteniamo il cosiddetto “asse degli stati”, ossia l’asse dell’equilibrio tra massimo e minimo; tracciando un asse perpendicolare al primo, o “asse dei mutamenti” (o “delle variazioni”), otteniamo l’asse est-ovest dell’equilibrio, dove yin e yang sono armonizzati, nel senso che l’uno sta penetrando nell’altro, e le due forze si equivalgono. Dal punto di vista cosmologico, l’asse degli stati corrisponde ai solstizi, mentre l’asse delle variazioni corrisponde agli equinozi. Questa configurazione, che è ben radicata nell’esperienza di tutti come la figura rappresentativa dei punti cardinali, è valida anche a livello astronomico, dove la linea sud-nord è il perno attorno al quale girano tutte le stelle fisse, che fanno perno intorno alla Stella Polare, e rappresentano i corpi celesti immutabili, ossia sempre presenti per l’osservatore terrestre; le altre costellazioni, invece, ossia quelle che a seconda delle stagioni si portano sopra o sotto l’orizzonte, sono mutevoli, e con la loro variabilità rendono conto di una ciclicità anche a livello cosmico. La terra, e con essa l’uomo, è immersa in questa realtà, e risente delle sue variazioni cicliche, perché l’energia che le anima è sempre la stessa, ossia l’energia dell’alternanza tra lo yin e lo yang che si fondono e si inseguono a tutti i livelli. E questo sistema dinamico unitario organizza e struttura anche gli organismi viventi, sia dal punto di vista topografico che funzionale. L’esempio più calzante della perfetta fusione dello yin e dello yang da cui nasce e diviene possibile la vita è insito nell’unità vivente elementare, ossia la cellula: qui troviamo uno yang massimo, ossia un fuoco, che brucia dentro a uno yin massimo, ossia un’acqua. Abbiamo, alla base della vita, una “combustione sommersa”: la vita, in altre parole, è possibile perché esiste, nel mitocondrio, la combinazione tra i substrati e l’ossigeno che sta alla base della fosforilazione ossidativa, capace di creare energia per la vita della cellula (e cosa è una combinazione con l’ossigeno se non una combustione, ossia un fuoco?); il tutto è immerso in una soluzione semiliquida rappresentata dal citoplasma : ecco quindi la mirabile fusione del fuoco con l’acqua che rende possibile la base stessa della vita, nell’esempio in questione rappresentata dalla produzione di energia sotto for-

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La teoria dei cinque movimenti ma di fosfati grazie alla respirazione cellulare.

Il ruolo della Terra Ora che l’organismo vivente è stato assimilato a una realtà dotata di una struttura fissa e immutabile (l’asse degli stati, paragonabile al patrimonio genetico individuale) e di una struttura variabile (l’asse delle mutazioni, paragonabile al fenotipo che interagisce con l’ambiente) resta da risolvere il problema del rifornimento energetico, perché i processi di inseguimento reciproco tra lo yin e lo yang portano a un consumo continuo e inesorabile dell’energia. Inoltre, così come è stato prospettato, il nostro sistema vivente sembra destinato ad assorbire l’energia necessaria per vivere soltanto mediante la respirazione, come nell’esempio della cellula. Se però consideriamo i due assi, ossia l’asse degli stati e quello delle variazioni, notiamo che al centro, dove i due assi si intersecano, esiste il perfetto equilibrio tra lo yin e lo yang: questa è la terra, il centro di tutto, la neutralità. Essa è indispensabile per creare il movimento dell’uomo, per far muovere le altre energie, ossia per renderle utilizzabili. L’uomo, in altre parole, non può vivere cibandosi direttamente del calore del sole, ma deve utilizzarlo in via indiretta, dopo che la terra ha assorbito, metabolizzato, individualizzato e poi restituito il calore stesso. La terra-centro è pertanto uno specchio che riverbera, rilancia l’energia del cielo, il calore del sole, assumendo il ruolo di trasformatore dell’energia: il sole è quindi energia pura, ma per consentire la vita occorre che la terra riceva questa energia, la trasformi (per esempio dando origine a una pianta), e la renda disponibile al consumo dell’uomo, che si ciba di questa pianta che in origine era energia del cosmo che è stata modificata e riverberata dall’azione mediatrice della terra-centro. Ecco che allora, a causa del calore di rilancio (Figura 3), nel settore del Fuoco si assiste a uno sdoppiamento in fuoco originario (o “imperiale”) e in fuoco di riverbero (o “ministro”), che rappresenta quel calore-ministeriale, quel messo dell’imperatore che trasporta l’energia dal centro in tutte le provincie dell’impero. L’asse del riverbero rappresenta pertanto l’asse del movimento, che è alla base dell’evo-

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FIGURA 3: IL RUOLO DELLA TERRA

luzione e dello sviluppo, e che ha dato origine, nella visione orientale dell’organismo vivente, al concetto di “calore ministeriale” o SAN JIAO. I due assi precedenti strutturavano l’uomo solo come organizzazione topografica statica, priva di movimento e di vitalità, mentre l’asse del riverbero consente il passaggio dell’energia cosmica (calore del sole) nel microcosmo individuale (cibo utilizzabile), dando così origine alla vita realizzata, non più potenziale. Questo spiega perché la loggia della terra, nel cerchio dei 5 Movimenti, esprime la trasformazione, la metabolizzazione e la ridistribuzione delle energie (anche mentali). Ma essa esprime anche quella parte di movimento, di dinamismo, che è insito in ciascuno degli altri movimenti: è la stagione di passaggio, la quinta stagione, il volano d’inerzia che fa passare da una stagione all’altra. Si tratta di quella lieve ma indispensabile “sfasatura” che rende possibile la fluttuazione del nostro microclima interno, così come la sfasatura dell’eclittica celeste e terrestre rende possibile l’alternarsi delle stagioni (se non esistesse l’inclinazione della terra sul suo asse, infatti, la semplice rotazione planetaria intorno al sole non basterebbe a garantire l’alternarsi delle

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stagioni (Figura 4). Per tale motivo la loggia della terra è stata spostata a sud-ovest, ossia all’estremo dell’asse che segna il punto di mezzo (centro) del ciclo circadiano di scorrimento dell’energia (che ha origine alle 3 di notte, quindi sta a metà tra la mezzanotte-nord, e l’alba-est): ovviamente, non è stata posta a nord-est in quanto si è già detto che la terra è anche un “riverbero” del fuoco, e per tale motivo deve seguirlo, non precederlo. Ma la terra col suo asse “centrale” sta anche al centro del ciclo circannuale dell’energia, che ha sempre origine nel punto di mezzo tra nord ed est in quanto nel calendario cinese l’anno ha origine a metà tra il solstizio d’inverno (nord) e l’equinozio di primavera (est); a ulteriore chiarimento, si precisa che il “centro” di un ciclo cronologico si trova ovviamente nel punto diametralmente opposto al suo inizio (Figura 5). In tal modo, introducendo la terra-centro tra i 4 Movimenti-base della circonferenza, è stata ottenuta l’integrazione tra struttura vivente materiale, che aveva un aspetto tridimensionale, con la sua ciclicità temporale, che la porta ad esprimere perfettamente la natura quadri-dimensionale della materia vivente:

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FIGURA 4: ECLITTICA TERRESTRE

in altre parole, noi non viviamo solo perché abbiamo un corpo e delle funzioni organiche, ma anche - e soprattutto - perché ci spostiamo nel tempo. A questo punto sono opportune alcune considerazioni: considerando il cerchio dei 5 Movimenti, va detto che ognuno di essi rappresenta una realtà globale, non solo un organo o una funzione: così, a titolo di esempio, la primavera e il legno non rappresentano soltanto il fegato e

la cistifellea, ma tutta la realtà dello yang crescente e uscente dallo yin, ossia l’Est, l’impulso vitale che sorge dalla potenzialità, ma anche l’occhio, la collera, la vitalità, le allergie, etc. Ogni movimento, cioè, rappresenta tutta intera la realtà di un determinato settore morfofunzionale, psichico, fisiologico e patologico, ma anche climatico, cosmico, relazionale, biologico, e via dicendo. Un’altra considerazione merita l’osservazione di come fossero solide le basi scientifiche di questa teoria anche dal punto di vista della fisica, in particolare la fisica delle radiazioni elettromagnetiche: il fuoco è di colore rosso perché è il colore più caldo nello spettro delle lunghezze d’onda dei colori; il verde è un colore equilibrato, perché è uno yin (blu) che “si scalda” (giallo-rossiccio), ossia esprime l’entrata dello yang nello yin; il bianco dell’autunnoOvest rappresenta l’introiezione, la raccolta, e dal punto di vista spettroscopico è proprio il bianco che contiene tutti i colori, che li raccoglie (si pensi alla ruota con gli spicchi colorati che viene fatta girare velocemente); il giallo indica invece la terra-centro, e nello spettro rappresenta il centro esatto dei colori visibili; infine il nero-violetto, il massimo dello yin, è il colore che si lascia penetrare passivamente e completamente dalla luce, ed è all’estremo opposto rispetto al rosso.

FIGURA 5: INTEGRAZIONE DEL “QUINTO MOVIMENTO”, LA TERRA

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La teoria dei cinque movimenti In Cina l’imperatore, il cui comportamento doveva rispondere in tutto e per tutto alle leggi cosmiche, si vestiva di verde per andare a visitare le sue provincie dell’est in primavera, metteva il paramento rosso per visitare il meridione d’estate, rivestiva il giallo imperiale per ritornare alla fine dell’estate nella capitale (il centro dell’impero), ripartiva in autunno per visitare le regioni dell’ovest vestito di bianco, e terminava il giro in inverno, nelle provincie del nord, vestito di nero.

Legno Il legno deve essere inteso come il vegetale vivo, non come legno secco da ardere. A livello del legno si ha un equilibrio yin-yang, ma si tratta di un equilibrio dinamicamente attivo, perché lo yang è nascente e crescente, proprio come nel regno vegetale: una pianta è apparentemente immobile, ad esprimere l’equilibrio tra materia ed energia, eppure profondamente e continuamente attiva sul piano metabolico, biochimico, etc. Il legno, in quanto rappresentativo dell’est, della nascita, di tutto ciò che inizia, rappresenta anche il risveglio, l’uscita, la proiezione verso l’esterno. Psicologicamente è collegato al pre-conscio, ossia a quella struttura psicologica che spinge continuamente i ricordi a varcare la soglia della

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Alberto Lomuscio coscienza; come pure è l’energia del sentimento di tipo yang, l’impulso, il coraggio, il mettersi in moto per realizzare qualcosa, mentre se degenera è un impulso yang immaturo, nascente, proiettato verso l’esterno, quindi la collera, l’aggressività. L’organo è il fegato, (e il viscere la vescica biliare) in quanto, come il vegetale, è lo yang in azione profonda e apparentemente immobile, ma ricco di energia chimica, tanto che la zona del fegato è la più calda del corpo. Il tessuto sarà quello che sviluppa e rende possibile il dinamismo, l’inizio del movimento, cioè il tendine e il muscolo (inteso più come placca neuromotrice che come ventre muscolare, che appartiene invece alla loggia della terra). L’organo sensoriale sarà l’occhio, perché è l’occhio che percepisce il passaggio dal buio (yin) alla luce (yang), ed è il simbolo del risveglio; inoltre l’occhio è l’organo sensoriale che più di tutti ci proietta fuori, mettendoci in contatto con oggetti anche lontanissimi, come le stelle. E’ quindi conseguenza immediata che la secrezione del legno sarà dunque la lacrima. L’energia collegata al legno sarà il vento, perché è l’energia più dinamica, più attiva, e ancora una volta si ripropone il concetto dell’equilibrio yin-yang: il vento è apparentemente immobile, perché non si vede in quanto tale (è aria trasparente), ma è altamente yang, perché tutto muove, tutto sposta.

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Alberto Lomuscio Il sapore è l’agro-acido, l’asprigno, ossia il sapore di ciò che non è ancora giunto a piena maturazione, come la frutta acerba. Il colore sarà ovviamente il verde, quello della vegetazione viva.

Fuoco Il fuoco porta luce e calore, quindi anche nell’uomo sarà segno di luce (intelletto) e di calore (trasporto del calore nell’organismo, mediante le ramificazioni vascolari). Anche dal punto di vista biologico, pertanto, vediamo che ancora una volta i fuochi sono in realtà due: un fuoco imperiale, rappresentato dal calore-luce, e un fuoco ministeriale, rappresentato dal calore-tepore, più orientato verso la realtà biologica. A livello di coscienza è allora lo stato di veglia attiva, la luce della piena coscienza, ed è il sentimento maturo, pieno, radiante, ossia la gioia, che può degenerare nell’ilarità eccessiva, come pure nell’attivismo frenetico, nell’ansia e nell’insonnia. L’organo è il cuore, che tutte le medicine e le filosofie considerano il centro pensante dell’uomo, e che ha la funzione di assicurare la circolazione continua del calore legato al sangue. In realtà, tutto il tessuto nervoso, e quindi anche il cervello, appartiene alla loggia dell’acqua; il cuore rappresenta però il punto di contatto con gli eventi psichici (e fisici) che interagiscono col

La teoria dei cinque movimenti sistema vivente, sia a livello di piena coscienza (si pensi a una tachicardia da stress), sia a livello organico (si pensi a una tachicardia da sforzo): il cuore rappresenta quindi il punto di impatto tra la nostra mente e l’esterno. Il tessuto appartenente alla loggia del fuoco sarà dunque, per analogia, l’endotelio vascolare. Il viscere sarà quello più dinamico dal punto di vista peristaltico, quindi l’intestino tenue, nel quale vi è il transito e l’assorbimento degli alimenti esterni. Il senso sarà quello che ci consente di metterci in relazione con l’esterno, ossia il tatto. Dal punto di vista più yang, invece, non si deve dimenticare la funzione della lingua (intesa però come movimento della stessa, ossia l’espressione verbale, vero e proprio “tatto psichico” che ci pone in relazione con gli altri); la lingua intesa come senso del gusto appartiene invece alla loggia della terra. La secrezione è quella più radiante, quella cioè collegata all’emanazione del calore, ossia il sudore, ed è interessante notare che le sedi dove il sudore si manifesta maggiormente sono proprio quelle dove la MTC riconosce le localizzazioni più rappresentative del cuore: le ascelle (dove il meridiano principale del cuore inizia il suo percorso esterno), lo sterno (sede dei punti di allarme del cuore), il palmo delle mani (sede del XIN BAO), la zona lombare (sede del fuoco originario, o MING MEN), e la testa in generale, ma più specificamente la fronte, che è una zona molto yang. Il sapore sarà quello del bruciato, ossia l’amaro, e il colore quello del fuoco, ossia il rosso.

Terra Per elemento terra si intende il suolo, presente dappertutto, che fa da impalcatura a tutto ciò che esiste in natura, è il vero tessuto connettivo del mondo esterno. E’ un elemento centrale a cui possono fare riferimento tutti gli altri elementi: è humus fecondo per il legno, è l’elemento che riceve luce e calore dal sole-fuoco, è il depositario del metallo, è il recipiente dell’acqua: è, in una parola,

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La teoria dei cinque movimenti il centro di riferimento ubiquitario, il quinto elemento. A livello mentale, il centro può essere definito come il serbatoio mentale che permette ogni funzione psichica conscia e inconscia: è la “strutturazione mentale”, la metabolizzazione delle idee, l’impalcatura logica del pensiero, la sintassi della mente. Questa centralità si configura come tendenza alla riflessione, alla concentrazione, e trova la sua degenerazione nell’eccessiva metabolizzazione, o rimuginamento, delle idee (ossessioni, chiodi fissi, fino a spunti paranoidi). Dal punto di vista anatomo-fisiologico, è più che spiegata la relazione col tessuto connettivo, che è il tessuto di sostegno, il centro di sostegno dell’organismo, che pertanto comprende anche i muscoli, ma questa volta intesi come “carne muscolare”, non come movimento (come avveniva per la loggia del legno). Il connettivo è il centro perché è ubiquitario, così come è ubiquitario è il tessuto linfatico, tanto è vero che la milza ha anche importanti funzioni nei confronti dei meccanismi di difesa basati sull’azione di tutto il sistema reticolo-endoteliale e della coagulazione del sangue. L’organo è la milza-pancreas, che ha funzioni “centrali” di ripartizione dei principi alimentari, non soltanto dal punto di vista meramente digestivo, ma anche assimilativo, distributivo, secre-

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Alberto Lomuscio tivo, e di collegamento. Il viscere è lo stomaco, in cui effettivamente il pancreas sbocca (ricordiamo che i cinesi non distinguono tra stomaco e duodeno). A parte questo aspetto anatomico, lo stomaco ha un ruolo fondamentale in quanto è il centro della produzione dei diversi tipi di energia, di cui è espressione il Triplice Riscaldatore (SAN JIAO), che ha sede appunto nello stomaco. L’organo di senso è quello collegato al primo impatto col cibo, quindi la lingua, e più in generale tutta la cavità orale e le labbra, quindi il senso sarà quello del gusto. La secrezione, per analogia, è la saliva, che consente l’inizio delle attività di digestione e quindi di “interiorizzazione” del cibo. Il sapore è quello degli elementi base della nutrizione, ossia il dolce-insipido dei cerali, così come il colore sarà quello della terra e dei cereali (il giallo-ocra). L’energia è quella della terra, ossia l’umidità che consente tutti i processi chimici dell’organismo vivente.

Metallo Questo elemento è fortemente connesso con l’equilibrio, ossia con l’omeostasi, con l’equivalenza di yin e di yang, ma in senso statico e de-

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Alberto Lomuscio crescente, non più in senso dinamico e crescente come avveniva nel legno. Non è propriamente un elemento “vivente” come il legno, ma è pieno di forza yang decrescente che va materializzandosi verso lo yin, che ne fa la base di ogni azione forte e decisa (cioè intrinsecamente yang) verso l’ambito materiale e fisico (intrinsecamente yin), come l’utensile metallico che recide il legno, come l’emoglobina che col suo ione metallico (il ferro) fa passare uno yang (l’ossigeno) in uno yin (sangue); ciò vale, come detto in precedenza, anche per la potente funzione di connessione interno-esterno nei processi di mantenimento dell’omeostasi (azione termoregolatrice del polmone e della pelle, azione sull’equilibrio acidobase, etc). Anche fisicamente il metallo è il conduttore ideale di qualsiasi tipo di energia (e infatti il polmone è chiamato “maestro” dell’energia); globalmente esso rappresenta il “piccolo yang”, lo yang che si nasconde, ossia lo yin crescente. Mentalmente è il periodo in cui le forze della coscienza vogliono il riposo, o (il che è lo stesso) quando le forze yin del sonno prendono il sopravvento. E’ il momento in cui lo yang del sole si tuffa nell’orizzonte, ossia il crepuscolo, il momento della meditazione pensosa. E’, sostanzialmente, l’interiorizzazione, che corrisponde in campo emozionale a quel sentimento “crepuscolare”, dalle tinte impressionistiche, che è stato definito come tristezza, ma da intendere come tale solo se degenera; in condizioni normali si tratta di una

La teoria dei cinque movimenti specie di languore melanconico profondamente armonizzante, una sorta di equilibrio melodico dell’anima, che consente di apprezzare appieno le manifestazioni più “artistiche” della natura. L’organo è il polmone, per la sua funzione ritmica e costante che permette uno scambio continuo interno-esterno tramite la ricezione dello yang celeste e l’eliminazione delle scorie interne (anidride carbonica). Il viscere sarà quello più implicato nel rapporto interno-esterno, dotato di movimenti ritmici, di carattere yang ma più attenuato rispetto all’intestino tenue, cioè il colon, che ha la funzione sia di eliminare lo yin ormai materializzato (le feci), sia di assorbire lo yin inteso come acqua. La funzione espulsiva è una funzione materializzatrice, che procede dallo yang (dinamismo post-cecale) verso lo yin (stasi semisolida rettale), quindi a carattere yang discendente-decrescente. Il tessuto è la pelle, come tessuto di frontiera esterno-interno, dotato di funzioni omeostatiche sulla temperatura cutanea e sul mantenimento di diverse caratteristiche, tra cui il giusto grado di secchezza o umidità dei tessuti che sono a contatto con l’ambiente esterno. Per analogia, l’organo di senso è il naso, il senso l’olfatto, e la secrezione il muco nasale e bronchiale (se degenera patologicamente, l’espettorato). Il colore sarà il bianco, che come già detto è quello che ingloba, “raccoglie” tutti gli altri colori, mentre il sapore è, in opposizione all’agro-acido del fegato-legno, l’alcalino, il frizzante, il piccante. Infine, l’energia è la secchezza, necessaria affinché il polmone e il colon svolgano correttamente le loro funzioni.

Acqua E’ il grande yin, il massimo della passività, della ricettività, dell’informalità passiva, come il liquido che assume la forma del recipiente che lo contiene. E’ l’assenza dello yang, quindi è l’energia fredda e, nello stesso tempo, è il polo d’inizio della vita, perché al suo massimo lo yin si trasforma in yang, e quindi dal massimo della “inattività” sorge la vi-

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La teoria dei cinque movimenti talità. Il suo motto è: ”Ne varietur”, quindi il mantenimento delle caratteristiche individuali è qui espresso al massimo, tanto che l’acqua rappresenta tra l’altro anche il DNA, il nucleo cellulare, la trasmissione dei caratteri genetici. E’ l’inverno, il buio, il Nord, dove nulla si vede e tutto è possibile: è la quintessenza della potenzialità, è la scacchiera all’inizio del gioco, è l’universo prima del big-bang. Sul piano psichico è l’assenza di contenuti coscienti, l’oblio pieno, il sonno profondo senza sogni, e sul piano psicanalitico corrisponde all’inconscio. Sul piano emozionale è il sentimento più individualizzante, più solidificante, più tenace, cioè la volontà, e se degenera patologicamente diventa la sensazione opposta, la più yin, più paralizzante, più cupamente irrazionale, ossia la paura, il terrore, la fobia. L’organo che presiede alle funzioni sui liquidi organici e sugli elettroliti è il rene, inteso come rene-yin; il rene-yang rappresenta invece la radice termoproduttrice dell’organismo. Dalla loro unione (combustione sommersa) nasce la vita. Al rene è connessa anche la funzione di trasmissione dell’energia ereditaria tramite la funzione sessuale: il rene è infatti legato all’apparato genitale a livello endocrino (basti pensare che corteccia surrenale e gonadi secernono gli stessi ormoni). Non va però dimenticato che il massimo yin indica anche la piena concentrazione della materia (acqua intesa come ghiaccio), per cui il tessuto correlato alla loggia dell’acqua sarà quello più passivo, più condensato e più ricco di sali mi-

Alberto Lomuscio Nato il 07/07/1955 a Venezia. Laureato in Medicina all’Università di Milano nel 1978, ha conseguito la Specialità in Cardiologia (1980) e in Medicina Interna (1986). Diplomato presso la Scuola della Società Italiana Agopuntura in Medicina Tradizionale Cinese nel 1986, è docente di Medicina Cinese (riconosciuto dall’OMS) presso la Scuola di Medicina Naturale “SOWEN”, e la Scuola di TUINA della IOME (Istituto Orientale di Medicina Energetica). Membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Agopuntura dal 1991 a oggi, dal

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Alberto Lomuscio nerali inerti, cioè l’osso, la cui struttura dipende dall’equilibrio ionico regolato dal rene (si pensi alle conseguenze sul metabolismo dell’osso a seguito delle alterazioni elettrolitiche durante l’insufficienza renale). Un altro importantissimo tessuto collegato al rene è il tessuto nervoso, in quanto gli antichi cinesi consideravano l’osso e il suo contenuto come un tutt’uno: pertanto, sia il tessuto nervoso che gli altri “midolli” afferiscono al rene, sia che si tratti di midollo emopoietico (che comunque produce una matrice “individuale” e “invariabile”, ossia il gruppo sanguigno), sia di midollo grasso, sia di midollo spinale. Sul piano anatomo-fisiologico, il collegamento tra rene e tessuto nervoso centrale potrebbe essere anche spiegato con i rapporti tra talamo-ipotalamo-ipofisi e assi endocrini. Il viscere è ovviamente quello in rapporto con la gestione dell’acqua, ossia la vescica. Il senso sarà quello dell’udito, perché il suono è apprezzabile soltanto in presenza di materia (come le molecole d’aria che vibrano), e l’organo sarà quindi l’orecchio, anche perché esso rappresenta una proiezione somatotopica del rene e, più in generale, dell’intero organismo. Il colore sarà quello che tutto assorbe passivamente, cioè il nero, e il sapore sarà quello della nostra acqua ancestrale, ossia il salato. In conclusione: una realtà biologica non va guardata per quello che è, ma per quel che diventa; o ancora meglio: una realtà biologica è la sua stessa trasformazione.

2006 è Direttore Responsabile della Rivista Italiana di Agopuntura. Ha pubblicato numerosi articoli sia di Cardiologia che di Medicina Energetica su riviste italiane e straniere e ha partecipato, in qualità di Relatore e di Organizzatore, a numerosi Convegni e Congressi. Ha pubblicato due libri di Cardiologia e Dispense di Medicina Cinese. Ha recentemente pubblicato il libro:

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Sperimentazione animale Non soltanto una questione etica

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i fareste curare da un veterinario? Secondo Voi sarebbe ragionevole sperimentare la cura per la leucemia felina su un essere umano? Se il cane non sta bene lo portate dal vostro medico curante? Se vedete un gatto rosicchiare un topo morto ed osservate che sta bene, ne deducete di poter fare la stessa cosa? Se le fognature sono l’habitat ideale per un ratto, potete pensare che lo siano anche per Voi? Ovviamente no. Eppure è ciò che accade ogni giorno in migliaia di laboratori, attraverso quella che chiamano ricerca medica basata su modelli animali o sperimentazione animale, conosciuta anche come “vivisezione”. Si cerca di estrapolare dagli animali, generalmente roditori, ma anche conigli, cani, gatti, scimmie ed altri, informazioni utili per la specie umana. Animali a cui vengono indotte artificialmente malattie che assomigliano a quelle degli umani,

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ratti obesi, topi con geni difettosi che sviluppano tumori o diabete, cani a cui vengono indotti degli infarti, cavie immuno-deficienti, ecc. Roditori, conigli e cani uccisi da dosi tossiche di farmaci ed additivi chimici, per provarne l’innocuità per la specie umana. Negli ultimi anni si è incrementato l’uso di animali transgenici, portatori di geni umani: in realtà questa pratica può essere molto pericolosa sia perché esistono delle divergenze evolutive e lo stesso gene può avere funzioni diverse nelle specie in esame, sia perché potrebbero attivarsi dei meccanismi compensatori della modificazione indotta, ai fini di mantenere le condizioni di equilibrio o omeostasi (Vincent et al, 2009). Pratiche crudeli, indegne di esseri evoluti quali si definiscono gli umani. Ma ciò che rende ancora più immorale la pratica della sperimentazione animale è che non serve al progresso della scienza bio medica, anzi, si configura spesso come un ostacolo al suo avanzamento.

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Sperimentazione animale Sempre più ricercatori e diverse famose riviste scientifiche quali ad esempio BMJ, Scientific American, Plos Medicine, ecc. mettono in discussione la scientificità e l’affidabilità del modello animale nella ricerca medica (Barnard et al. 1997, Pound et al. 2004, Usha 2005, Hackam & Redelmeier 2006, Perel et al. 2007, van der Worp 2010). In un articolo apparso sul numero di Novembre 2005 della rivista scientifica Nature, la sperimentazione animale viene definita “cattiva scienza” (Abbott 2005). Il cambiamento epocale, che porta all’abbandono dei test su animali, è stato lanciato e illustrato negli Stati Uniti già nel 2007 dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) con il documento “Toxicity testing in the XXI century: a vision and a strategy”. Alla luce delle nuove conoscenze scaturite dal progetto genoma umano, dall’epigenetica, genomica, biologia evolutiva, biologia molecolare e da nuove discipline quali la farmaco genomica, il modello animale non può – dato il livello di complessità a cui oggi la ricerca deve operare - soddisfare le esigenze della scienza bio-medica moderna. In particolare il modello animale non è predittivo per l’uomo per quanto riguarda le reazioni a farmaci e sostanze e la risposta a processi patologici (Shanks & Greek, 2009). L’esperienza passata può insegnarci qualcosa. L’effetto del talidomide sullo sviluppo degli arti degli embrioni umani (mancato sviluppo – neonati focomelici) fu disastroso e successivamente non si riuscì a riprodurre tale effetto sugli animali. Si riuscì in seguito a riprodurre la focomelia in alcuni animali utilizzando dosi di farmaco molto maggiori ed alterando la fisiologia degli animali da esperimento (Schardein 1976, Schardein 1985, Dipaolo 1964, Hague 1967). Il modello murino di distrofia muscolare umana si è rivelato un fallimento (Bohn et al 2009), come pure gli studi di carcinogenesi sui roditori (Knight et al. 2006). Le scimmie furono usate come modello per lo studio della poliomielite umana, fatto che causò notevole ritardo nella comprensione dei meccanismi patogenetici della polio nell’uomo (Shanks, 2009). Gli scimpanzé sono stati impiegati fin dai primi anni ‘80 come modello di studio per l’infezione da HIV (virus responsabile dell’immunodeficienza umana - AIDS) e nessuno di questi studi ha avuto una significativa rilevanza per la specie umana (Knight 2008; Bailey 2005; Bai-

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Manuela Cassotta ley 2008; Shanks & Greek, 2009a). Si tenga conto che lo scimpanzé, con cui condividiamo il 98,5% dei geni, è la specie filogeneticamente più vicina all’uomo. Le risposte ai farmaci ed alle sostanze tossiche variano significativamente da specie a specie ma anche nell’ambito della stessa specie, in dipendenza da sesso, stato di salute, condizioni fisiologiche, stress (sempre presente negli animali da laboratorio) (Balcombe et al., 2004). Si evince che estrapolare i risultati da un individuo ad un altro è un’impresa ardua , lo dimostra il fatto che un farmaco benefico per una persona può risultare tossico per un’altra e viceversa. Immaginate quanto possa essere arduo, se non impossibile, estrapolare dei risultati da una specie ad un’altra, ad esempio dal topo all’uomo. Perché allora la sperimentazione animale persiste? La macchina della ricerca animale è alimentata dalle stesse forze della natura umana che si sono rivelate pericolose fin dalla notte dei tempi: ignoranza, avidità, ego, istinto di sopravvivenza e paura. Aggiungendoci l’inerzia e la cieca obbedienza al sistema si ottiene la formula perfetta per mantenere fiorente questa industria multimilionaria, che ha ben poco a che vedere con la scienza e con la salute collettiva. La medicina del futuro è la medicina personalizzata, che tiene conto delle differenze genetiche individuali ed è in netto contrasto con la ricerca basata su modelli animali (Greek et al. 2012), che nonostante rappresenti soltanto una parte della ricerca bio-medica, assorbe la maggior parte dei fondi destinati alla ricerca (Rice, 2011). La società non ha tanto bisogno di sviluppare nuovi metodi di ricerca, quanto piuttosto necessita di sostenere economicamente quelli già disponibili. Abbiamo bisogno delle conoscenze che scaturiscono da aree di ricerca che non ricevono fondi ed attenzioni adeguate quali la genetica, l’epidemiologia, la ricerca clinica (Begley 2003, Schechter 2002) la ricerca in vitro con tessuti ed organi umani (compresi gli embrioni non vitali derivanti da aborti), le autopsie, lo sviluppo di banche di tessuti umani, tossico- genomica, farmaco- genomica, bio informatica, medicina personalizzata. Abbiamo anche bisogno di un approccio interdisciplinare ed integrato. La prevenzione in UK riceve meno del 3% dei fondi destinati alla ricerca medica (Rice, 2010) quando invece dovrebbe essere il principale strumento

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Manuela Cassotta per promuovere la salute. Cosa possiamo fare come cittadini? In primo luogo informiamoci correttamente. Internet è una giungla ed i media spesso trasmettono informazioni distorte, sia ad opera di animalisti che si improvvisano scienziati che di ricercatori compiacenti con la vivisezione. Esistono un sito ed una pagina su Facebook, “Critica scientifica alla sperimentazione animale”, i cui indirizzi sono riportati sotto il presente articolo. Un gruppo di esponenti del settore bio-medico, principalmente studenti in biologia e medicina, curano sia la pagina che il blog, che invito a visitare e diffondere. In secondo luogo facciamo attenzione quando doniamo il nostro denaro ed informiamoci bene prima di farlo: la maggior parte delle associazioni “per la ricerca” sprecano infatti i fondi per gli studi basati su modelli animali. Maggiori informazioni • http://sperimentazioneanimale.wordpress. com • https//www.facebook.com/sperimentazione. animale.vivisezione Per domande e chiarimenti • sperimentazioneanimale@yahoo.it

Runa Bianca

Sperimentazione animale Bibliografia • Abbott A. Animal testing: more than a cosmetic change. Nature 2005 Nov 10;438(7065):144146 • Bailey J. Non-human primates in medical research and drug development: a critical review. Biogenic Amines 2005; 19(4-6): 235–255. • Bailey J., “An Assessment of the Role of Chimpanzees in AIDS Vaccine Research,”Alternatives to Laboratory Animals 36 (2008): 381-428. • Balcombe J, Barnard N, Sandusky C. Laboratory routines cause animal stress. Contemp Top Lab Anim Sci 2004; 43(6): 42-51. • Barnard, Neal D., Kaufman, Stephen R., Animal research is wasteful and misleading . Scientific American, 00368733, Feb97, Vol. 276, Issue 2. • Begley S: Financial Obstacles Help Keep Doctors From Patient Research. Wall Street Journal New York; 2003. • Böhm S., Panayiotis Constantinou, Sipin Tan, Hong Jin, Roland G Roberts, Profound human/mouse differences in alpha-dystrobrevin isoforms: a novel syntrophin-binding site and promoter missing in mouse and rat BMC Biology 2009, 7:85 (4 December 2009) • Dipaolo A.J., Helmut Gatzek, Pickren Malformations induced in the mouse by thalidomide Article first published online: 3 FEB 2005,

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Sperimentazione animale

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Manuela Cassotta E’ laureata in scienze biologiche con una tesi in etologia dei cetacei intitolata “Ecolocalizzazione negli Odontoceti: aspetti cognitivi” presso l’Università degli studi di Trieste. Libera professionista, svolge attività di ricerca indipendente. Da anni si oppone

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Manuela Cassotta

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trials: systematic review BMJ. 2007 January 27; 334(7586): 197. Published online 2006 December 15. doi: 10.1136/bmj.39048.407928.BE Pound P., Shah Ebrahim, Peter Sandercock, Michael B Bracken, Ian Roberts Where is the evidence that animal research benefits humans? BMJ. 2004 February 28; 328(7438): 514–517. Rice JM, 2010 The institutional review board is an impediment to human research: the result is more animal-based research. Philosophy, Ethics, and Humanities in Medicine 2011 6:12. Schardein J: Drugs as Teratogens CRC Press; 1976. Schardein J: Chemically Induced Birth Defects. Marcel Dekker 1985. Shanks, Ray Greek, Jean Greek, Are animal models predictive for humans? Philos Ethics Humanit Med. 2009; 4: 2. Published online 2009 January 15. doi: 10.1186/1747-5341-4-2 Shanks and C. Ray Greek. Animal models in light of evolution. Boca Raton, Fla. : BrownWalker Press, 2009b. Rice JM, The institutional review board is an impediment to human research: the result is more animal-based research. Philosophy, Ethics, and Humanities in Medicine 2011 6:12. Schechter AN, Retting RA. Funding priorities for medical research. JAMA 2002;288: 832. Usha Sankar. The Delicate Toxicity Balance in Drug Discovery. The Scientist 2005, 19(15):32 van der Worp HB, Howells DW, Sena ES, Porritt MJ, Rewell S, O’Collins V et al.: Can animal models of disease reliably inform human studies? PLoS Med 2010, 7: e1000245 Vincent J. Lynch Yale J, Use with caution: Developmental systems divergence and potential pitfalls of animal models Biol Med. 2009 June; 82(2): 53–66. Published online 2009 June.���� PMCID: PMC2701150

alla sperimentazione animale su basi scientifiche, grazie all’esperienza maturata nel corso della carriera universitaria ed alle particolari esperienze di vita. Un progetto per l’immediato futuro è il dottorato di ricerca in campo bio-medico con la speranza di poter intraprendere una strada innovativa, che supporti una ricerca a beneficio della salute umana e rispettosa per gli animali.

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Lo Yoga

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timologicamente la parola “Yoga” deriva dalla radice Yuj (“aggiogare, unire, concentrare”), ed ecco che questo “legare”, questo “mettere sotto il giogo” indica il lavoro dell’adepto il quale, dopo aver attuato un consapevole distacco dal mondo terreno, svolge con dedizione l’autodisciplina come aggiogamento dei sensi, per la cessazione delle cause della sofferenza ed il conseguimento della liberazione assoluta. Da notare che nel pensiero indiano lo scopo del saggio non è il possesso della verità, ma la conoscenza della verità, che qui assume una funzione soteriologica, in contrapposizione al significato di “filosofia” in occidente. Per questo, sempre in relazione al pensiero indiano, forse si può parlare, più correttamente, di sistema filosoficoreligioso. Con il termine Yoga intendiamo un vasto insieme di tecniche, variamente codificate, con lo

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scopo comune di indurre una trasformazione in chi le pratica. Come è noto ad un occhio attento, questa evidente pluralità nelle forme nello Yoga rappresenta non soltanto il fervente fenomeno dell’attuale diffusione, il quale trova sfogo nel degenero delle mode culturali, dettato dalla modernità e dalla globalizzazione dei sistemi culturali, ma è una caratteristica riscontrabile anche nel pensiero “classico”. Riguardo alla pluralità di quelle che possono essere considerate le manifestazioni periferiche dello Yoga, mi permetto di citare un passo dell’”Introduzione allo yoga classico” di Paolo Magnone: “Esiste, accanto allo yoga “ortodosso” brahmanico, uno yoga buddista o jaina, yoga speculativofilosofico, yoga popolare, magico, devozionale, mistico, esoterico, ecc.”. Lo Yoga di Patanjali, il più conosciuto in occidente, ci offre una prospettiva sistematica ed

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Lo Yoga unitaria, e rappresenta quello che viene definito convenzionalmente come “Yoga classico”, anche se, come ci ricorda Mircea Eliade: “Lo yoga classico è una delle tante forme di yoga e niente affatto la prima e la più diffusa”.Da precisare che Patanjali non è l’inventore di quel sistema filosofico esposto nel trattato “Yoga Sutra” (sec. II-III, o IV-VI d.C); come Patanjali stesso afferma, il suo personale apporto fu minimo, in quanto si limitò a pubblicare e correggere quelle che erano le tradizionali dottrine e tecniche antecedenti. Gli studi tradizionali indiani identificavano Patanjali con l’omonimo grammatico vissuto nel III sec. a.C., ma studi filologici moderni hanno postdatato la redazione dell’opera ad un’epoca presumibilmente altomedievale. Lo Yoga è uno dei sei differenti sistemi o “darcana” (vista, visione, comprensione, punto di vista, dottrina, ecc. dalla radice drc= vedere, contemplare, comprendere, ecc.) indiani ortodossi (ovvero tollerati dal bramanesimo, diversamente dalle dottrine eterodosse come il buddismo e il jainismo), il che non coincide propriamente con il concetto di “sistema filosofico”, nel senso occidentale del termine. Patanjali indica allo yogin gli 8 stadi (o arti) dello Yoga: “l’ottuplice disciplina” rappresenta una scala di “tappe”, che oserei definire graduale-ascensionale, che conduce all’unione con il Paramatma (energia universale); questi stadi sono: Yama (precetti negativi), Nyama (precetti positivi), Asana (posture), Pranayama (controllo del respiro), Pratyahara (raccoglimento), Dharana (concentrazione), Dhyana (meditazione), Samadhi o “en-stasi” (il contrario di “ek-stasi”, unione del meditante con l’oggetto della meditazione). E’ interessante notare il carattere “magico” dello yoga, in quanto lo scrupoloso yogin che pratica l’autodisciplina, realizzando i cosiddetti “freni” (es. “non uccidere”, “non mentire”, non “rubare”, “astinenza sessuale”, “non essere avaro”), acqui-

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Brando Impallomeni sisce una forza di carattere magico (Siddhi), ed è esortato ad ignorare anch’essa, poiché potrebbe accrescere l’ego, l’orgoglio, la vanità, tutte qualità che ostacolano il cammino dell’Adepto verso la realizzazione del Sé. La purificazione fisica, in particolare la pratica del “Samyama” (le ultime fasi dello Yoga: dharana, dyana, samadhi), ad esempio, conduce lo yogin ad oltrepassare i limiti dei cinque sensi, appropriandosi così di poteri “occulti”, come la chiaroveggenza, la divinazione, il potenziamento dell’udito, il ricordo delle vite anteriori, il rendersi invisibile agli altri perché “non esistendo più contatto diretto con la luce degli occhi, il corpo scompare” (Y.-S., III, 20), ecc. Lo yogin che persegue la strada della conoscenza di sé e della liberazione assoluta non deve lasciarsi tentare da questi “poteri miracolosi”, da questa condizione di perfezione condizionata dal divino. John Woodroffe, meglio noto con lo pseudonimo Arthur Avalon, in un passo del suo trattato sulla dottrina dei chakra sembra spiegare bene questo rapporto micro-macrocosmico, intercorrente nella scala ascensionale: “L’indù dice che tutti i poteri (Siddhi) sono attributi (Aishvarya) del Signore Ishvara, o Coscienza Creativa, e che secondo il grado di coscienza realizzato dal Jiva egli ha la sua parte dei poteri inerenti al grado di coscienza raggiunto.” (Il potere del Serpente- Arthur Avalon – febbraio 2002, Ed. Mediterranee – p.23). Tornando al trattato di Patanjali, possiamo scorgere un doppio sistema magico-mistico: magico poiché si basa sulle forze e l’autodisciplina dello yogin nel percorrere il cammino ascensionale, mistico perché devozionale, in quanto prevede la concentrazione nel Dio Icvara, il quale ricambia l’Icvarapranidhana (devozione verso Icvara), provocando il Samadhi o Enstasi. Con il terzo stadio o “membro”, Asana (postura), viene a delinearsi sempre più quella che è la tecnica dello Yoga. Patanjali afferma che “Asana

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Brando Impallomeni è ciò che è saldo e piacevole”. E’ evidente che questa posizione “immobile” imita una condizione archetipica - non umana, che rifiuta gli opposti, l’esterno, come lasciarsi domare dagli stati di coscienza, ecc. Una volta realizzato l’Asana giungiamo conseguentemente (gerarchicamente) al Pranayama, l’arresto dell’inspirazione e dell’espirazione, controllo mediante il quale lo yogin riuscirà a penetrare i diversi stati di coscienza, raggiungendo quello che può definirsi un “sogno lucido”. Lo Yoga, così come il “Samkhya” e il “Vedanta”, hanno attinto influenze dai più antichi testi esoterico-religiosi, i cosiddetti Veda, lasciatici dalla popolazione nomade di guerrieri/allevatori/pastori, gli Arya. Il termine sanscrito “Veda”, indica il “sapere”, la “conoscenza”, “saggezza”. I Veda sono quattro raccolte di inni in sanscrito: il più antico è il RigVeda (1500-1000 a.C.), le altre tre coprono i 500 secoli successivi e sono: Yajur-veda, Samaveda e Atharva-veda. Il samkhya (“discriminazione”) è la forma più antica di “darcana” secondo la tradizione indiana, e consiste nel dissociare lo spirito (purusa) dalla materia (prakrti). Lo Yoga e il samkhya mostrano in parte tratti comuni, nel senso che sono entrambi realistici, ammettendo l’esistenza reale del mondo, a differenza del Vedanta, che mostra una concezione idealistica e mistica, con l’introduzione del

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Lo Yoga concetto di “Maya” (illusione). Una chiara comparazione si trova nel testo: “Lo Yoga, Immortalità e Libertà” di M. Eliade (p.24): “Per il Samkhia e lo Yoga, il mondo è reale, (non illusorio come, ad esempio, per il Vedanta). Tuttavia, se il mondo esiste e dura, lo deve all’”ignoranza” dello spirito; le innumerevoli forme del Cosmo, come i loro processi di manifestazione e di sviluppo, esistono solo nella misura in cui lo spirito, il Sé (purusa) si ignora e, per questa ignoranza di ordine metafisico, soffre ed è reso schiavo.” E’ qui evidente il conseguente distacco del saggio indiano dal mondo profano (mondo dei fenomeni, vita, cosmo, famiglia, società, ecc.) considerato come illusorio, doloroso, effimero. Risulta palese il concetto secondo cui l’ignoranza, portando a confondere l’Adepto tra ciò che rientra nel campo psicomentale con ciò che invece riguarda lo spirito (purusa), sia il fattore primo di infelicità; come si evince dal trattato Yogasutra II, 5: “L’ignoranza consiste nel considerare ciò che è effimero, impuro, doloroso, e non spirito, come se fosse eterno, puro, beatitudine e spirito.” Si cercano così risposte riguardo al nesso purusa-prakrti. Secondo lo Yoga e il Samkhia il problema rimane, a meno che l’adepto non si sia spogliato dalle catene che lo ancorano alla condizione umana, poiché l’uomo, limitato dalla sua conoscenza mentale, “intelletto” (buddhi), non può

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afferrare realtà “altre”, come le speculazioni circa la causa e l’origine del nesso tra purusa e prakrti, tra spirito ed esperienza, ecc. Sono cose che, secondo la tradizione, molto probabilmente si può giungere ad “intuire” attraverso una “rivelazione” o conoscenza del Sé. E ancora citando una parte dell’”Introduzione allo yoga classico” di Paolo Magnone: “Solo il saggio è salvo, perché ha reciso la radice dell’ignoranza e dissolto il miraggio, attingendo la suprema discriminazione tra Spirito e Natura”. Nel periodo tardovedico, caratterizzato da mutamenti sociali, economici, politici, compreso tra il VII e il VI sec. a.C., forse per un’insoddisfazione filosofico-religiosa, assistiamo alla nascita di nuove correnti di pensiero, più articolate e complesse dei Veda. Indipendenti dalla tradizione vedica abbiamo così le religioni “eterodosse”, protratte fino ai giorni d’oggi, come il Buddismo e il Jainismo. Sempre nello stesso periodo, tra le nuove correnti di pensiero “ortodosse”, saranno prese in considerazioni le Upanishad o Vedanta (“fine dei Veda”), trattati in prosa che si presentano come commento ai Veda. Ed è nelle Upanishad che troveremo quei concetti fondamentali della filosofia indù (l’anima universale o Brahman, l’anima individuale o Atman). Tra le più importanti Upanisad Yoga abbiamo la Yogatattva, la Dhyana-bindu e la Nadabindu. In queste Upanisad viene messo in risalto il carattere sperimentale (non solo contemplativo) dello Yoga, ai fini dell’unione micro-macrocosmica, AtmanBrahman, in quanto per giungere alla liberazione lo yogin deve adottare una tecnica fisiologicomistica o “sottile”. E’ evidente che non si può parlare di Yoga in senso assoluto. In netto contrasto con lo “Yoga per tutti”, proprio delle palestre o della letteratura “New-

Brando Impallomeni Ha attualmente 26 anni e frequenta il corso di Storia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia. Fin da giovane età incline alla meditazione, sviluppa un interesse per le tematiche esoteriche. Frequenta il

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age”, influente nella modernità, lo yoga “classico”, come abbiamo visto, rappresenta una tecnica ascetica ed “elitaria”, se non “esoterica”, per liberarsi dalla schiavitù terrena, disciplina che peraltro preclude insegnamenti rigidi. Il saggio o l’asceta che ha avuto la rivelazione del dolore come legge esistenziale, potrà raggiungere la liberazione assoluta mediante requisiti indispensabili, non facili, come ad esempio: l’isolamento, lo scioglimento, l’estinzione. Nell’attualità lo Yoga classico ha evidentemente subito la “de-metafisicizzazione”; il “Samadhi”, non rientrando nei traguardi dello “yoga facile” o “fai da te”, viene completamente ignorato, se non considerato come un qualcosa di facoltativo, mentre viene messo in risalto l’aspetto empirico dello Yoga, le posture Asana e la respirazione. Ai fini di comprendere queste trasformazioni dello Yoga, da ieri ad oggi, è importante sapere come avvengono le “traduzioni delle tradizioni”. Lo Yoga dell’attuale letteratura divulgativa filtra attraverso l’ambiente esoterico-occultista europeo di fine ‘800. Ecco che questo poliformismo dello Yoga (bhaktiyoga, karmayoga, kriyayoga, rajajoga, hatayoga, layayoga, mantrayoga, jnanayoga, ecc.), non si può ridurre ad un sistema unitario, ma rappresenta più propriamente una storia dei discorsi sullo Yoga, nati in precisi contesti e per diversi motivi. Bibliografia: • Storia dell’India – Michelguglielmo Torri • Gli aforismi sullo Yoga (Yogasutra) – Patanjali • Yoga – Fra Storia, salute e mercato – Federico Squarcini, Luca Mori • Lo Yoga, Immortalità e libertà - Mircea Eliade • Il potere del serpente – Arthur Avalon

centro studi Ascensione 93 guidato dalla figura del “Facilitatore” Carlo Dorofatti, un importante momento di condivisione, di “Laboratorio esperienziale”, che rafforza questa passione “per pochi”. Ha frequentato corsi di Yoga presso Himalayan Institute e Yoga Integrale presso l’associazione Atman.

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ROSANNA TORALDO

Similitudine alchemica

tra essere di natura umana ed essere di natura vegetale

FOTO: LE VARIE FORME DELLA DEA HATHOR

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er comprendere me stessa, ho dovuto prima iniziare a comprendere la vita sul Pianeta dove vivevo e con chi vivevo. Spesso mi sentivo fuori posto, o meglio non trovavo il giusto posto dove collegarmi; da qui sono iniziati i viaggi ed i percorsi spirituali per poi comprendere che tutto è molto, molto più semplice. Sono tornata a casa ed ho scoperto, inseguito, osservato ed accolto come insegnamento l’Innamoramento tra due piante di specie diverse. Avevo sulla mia veranda un tipo di Edera che in primavera mi riempiva il balcone di margheritine gialle. Adoro quella pianta perché ti fa sentire la “Fedeltà attraverso ogni cosa che respira”… Un giorno di ritorno dal market vicino casa trovo all’angolo di una strada, buttata senza ritegno, una pianta del nostro comune Nastrino. Per me ogni pezzo di vegetale trovato “riverso” a terra crea dolore, e dentro sento l’abbandono di qualcuno che ci aiuta a respirare. L’ho raccolta o me-

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glio accolta in casa come si fa con un randagio, nutrendola d’amore e d’acqua, ma non sapendo dove metterla l’ho poggiata sulla pianta di Edera, poi… sono partita per un seminario a Padova . Al mio ritorno, come sempre faccio dopo il saluto ai miei cari, passo al saluto di chi vive con me , animali e piante e... con meraviglia noto che il Nastrino non solo si era ripreso ma dopo una settimana presentava i primi getti riproduttivi. Felice ho trovato un posto dove potesse star più comoda a “figliare” e sorridendole le raccontavo delle mie ultime avventure nella campagna padovana, così diversa dalla nostra salentina. Ancora una volta, per me il Pollice Verde aveva vinto. Devo dire che non mi aspettavo invece la risposta della nuova arrivata, che dopo due giorni si presentava con i getti appassiti e come se stesse lì dolorante in attesa di qualcosa... Ho imparato da tanto a mettermi in ascolto di questi compagni vegetali di vita e così di getto, senza mettere mente, ho “sentito” di riportare il Nastrino tra le

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Similitudine alchemica braccia dell’Edera. Quale non è stata la mia gioia dopo due giorni nel vedere la piccola riprendere vita ed Edera donarle tra i nuovi germogli una leggera e profumata margherita gialla. Vivono ancora così, in amore ed armonia, ed è da quel giorno che ho compreso di essere sulla strada di un amore più grande che va oltre la fisicità, ma che diventa prioritario nel sentire vibrazioni armoniche di suoni e canti sottili. Ecco, è questo per me il filo conduttore di ciò che vi parlerò in questa stringa di spazio - tempo, ossia della mia visione personale di come l’Essere Umano Alchemico sia al centro dell’Universo; ciò ci riconduce a molti altri studiosi, non solo contemporanei ma anche antichi. Mosè nel Libro della Genesi dice: “Dio creò l’Uomo a sua immagine e somiglianza” Nel Libro Egizio dei Morti troviamo scritto: “Poiché, quando Ra guarda il corpo e le membra, lo spettacolo che si presenta ai suoi occhi è questo: egli vede il corpo come un immenso intreccio di Gerarchie Divine.” … La mia colonna vertebrale è quella di Seth Il mio membro virile è il membro virile di Osiride Il mio fegato è il fegato del signore di Kher-Aha Il mio petto è quello del Signore dei Terrori Il mio ventre ed il mio dorso sono quelli della Dea Sekmet Le forze dell’Occhio di Horo circolano nel fondo del mio dorso Le mie gambe sono le gambe di Nut I miei piedi sono i piedi di Path Le mie dita sono le dita del doppio Falco Divino che vive eternamente In verità non esiste un sol membro del mio corpo In cui non risiede una Divinità.” Da questi scritti gli Egizi, popolo evoluto, ci insegnano a spostare la visione non al di fuori di noi ma dentro, attraverso l’osservazione di un corpo che altro non è che una Foto dell’intero Universo Vibrante, Unisonante e Co-creatore. Possiamo inoltre definirci come Athanor, ossia come il forno alchemico dove l’opera di trasmutazione da vile piombo in oro non è altro che una visione forse meccanicistica e chimica, ma che va oltre ogni percettibilità, perché ognuno di noi, “Presente”su questo Pianeta messosi a no-

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Rosanna Toraldo stra disposizione, non è altro che l’intera raffigurazione di Galassie, Pianeti, Minerali e Vegetali, che opera in continuo disvelamento per ritrovarsi nell’Unità centrale o meglio Sorgente Divina Unica di Vita. Forse siamo sì Esseri tridimensionali, dove i Regni Vegetale, Animale e Minerale sono presenti e viventi nel nostro fisico. Lo riconosciamo in quanto del Regno Animale abbiamo la ha stessa organizzazione cellulare e fisica. Al Regno Vegetale siamo simili in biochimica per le proteine, glucidi, lipidi, ecc. Del Regno Minerale riconosciamo le nostre catene cellulari in cui è presente il carbonio e per il cui metabolismo si ha bisogno di minerali. Ma siamo ancora contenitori dei 5 elementi, ossia Aria, Acqua, Terra, Fuoco ed Etere, dunque l’Essere Umano è al disopra dei 3 Regni e dei 5 Elementi in quanto li contiene tutti. Alchemicamente è Trino, perché in esso il Maschile si sposa con il Femminile, Yin con Yang, in un alternanza dentro /fuori, Positivo / Negativo che dall’unione porterà la Neutralità. Per Conoscerci dobbiamo necessariamente osservarci nella Unità Ternaria, come la definisce A. Gentili, nel suo libro di Erboristeria Alchemica, altrimenti non possiamo entrare nella vera conoscenza del Sé. Per gli antichi Egizi la composizione ternaria degli Esseri Viventi è:

ZOLFO

MERCURIO

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Questi elementi, o meglio principi, di cui vi parlerò nel prossimo articolo, nascono dai quattro Elementi importanti in Natura e punto centrale dell’Universo, ossia Acqua, Aria, Fuoco e Terra. Ad ogni Elemento corrispondono dei Pianeti / Archetipi, i quali governano le Piante. Ogni pianta avrà caratteristiche simili a quelle del governatore che corrisponderà alle Sette Funzionalità Viventi od Organi Emuntori del nostro Corpo. “Prega Dio che ti illumini perché tu possa trovare nella tua anima le cause che ti hanno portato alla disfunzione. Quando le avrai trovate, potrò aiutarti a ritrovare

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Rosanna Toraldo l’equilibrio della Funzionalità Vivente, che tu hai ottenebrato , prelevandola pura ed incontaminata dal mondo esterno”. Queste, per A.Gentili (Il Volo dei Sette Ibis- Ediz. Kemi), le parole dell’Alchimista verso chi si rivolge a lui per un aiuto. Ed egli aiuta attraverso il simile vegetale da cui preleva le funzioni archetipali, ossia estraendo i doni divini o archeos, portando beneficio e conoscenza (Fides = Conoscenza) a colui che ha perso di vista la sua strada o l’intento ed obiettivo per cui “Cammina sulla Terra”. E tra antichi camminamenti, sassi e Sacri Dolmen e Menhir, rivolgiamo l’attenzione ad altre due Piante Officinali Salentine: IPERICO e EDERA IPERICO: Nome Botanico Hypericum Perforatum, fa parte della Famiglia Hipericacee.

Vive su terreni secchi e luoghi sassosi, campi, muri. Le parti da utilizzare sono le sommità fiorite. Fiorisce in Primavera ed Estate. Segnatura è Giove e si raccoglie di Giovedì, nell’ora propria planetaria. In altre tradizioni ha doppia segnatura, ossia la reputano secondariamente Solare. A questo si rifà la storia del Grande e Piccolo Sole: S. Giovanni Battista, non essendo il Messia (il Cristo, il Sole) era considerato piuttosto Giove, il Piccolo Sole, che si sacrifica al Grande Sole. Del resto è la festa del Solstizio d’Estate, ovvero dell’ingresso del Sole a 0° del Cancro, dov’è padrona la Luna e Giove si esalta. Nell’antichità veniva spesso utilizzata come erba miracolosa in tutte le sue preparazioni, alchemiche e non. Chiamata Erba di San Giovanni o Scacciadiavoli, perché usata anche come aspersorio nell’ac-

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Similitudine alchemica qua benedetta. L’Oleolita, fatto secondo i dettami della Chiara Tradizione Alchemic,a è di colore rosso rubino, anche se i fiori sono gialli. Quando l’oleolita rimane di colore giallo, avviene perché la pianta è stata messa in infusione in tempi in cui la sua parte energetica non era forte come appena raccolta. Come pianta gioviana viene utilizzata per stimolare la funzionalità del fegato, e quindi di riflesso agisce come depuratore del sangue. Inoltre, agendo sul segno opposto dei Gemelli (Mercurio), gode di ottima fama contro tutte le affezioni bronchiali e le malattie respiratorie. Per uso interno l’Iperico è stimolante, balsamico, febbrifugo. Per uso esterno è vulnerario, cioè guarisce le piaghe e ferite, antiprurito e decongestionante. Era prescritto dal Dott. Kneipp come miglior drenante. Utile per l’intestino, contro le diarree atoniche, o meglio nelle diarree dove il pancreas si dimostra pigro (tratto dal libro “Il Volo dei sette Ibis” di A. Gentili ediz. Kemi). Ma questa pianta ha tantissime altre qualità, come quella di essere anche un buon antidepressivo (Angelo Angelini, “Il Serto di Iside”). AFFINITA’ ARCHETIPALI Infrange i muri delle nostre resistenze, delle nostre rigidità, dei nostri convincimenti, del nostro essere sordi ai richiami della nostra Anima. EDERA: Nome Botanico Hedera Helix, Famiglia Araliaceae.

Pianta lianiforme rampicante sempreverde, odorosa e velenosa, di altezza variabile da 50 cm a 15 m, comune nei giardini e nei nostri boschi dal mare al monte; ha fusti lignificati ramosi, aderisce facilmente al substrato grazie alle radici avventizie aggrappanti, raccolte in tipici fascetti; le foglie sono lungamente picciolate, coriacee,

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Similitudine alchemica intere di colore verde scuro. Sui rami fioriferi, che portano in settembre o inizio ottobre piccoli fiori verdastri, produce piccole bacche nerastre o giallognole contenenti due o tre noccioli. Segnatura è Giove, dunque si raccoglie di giovedì nell’ora planetaria. Per Plutarco il prete di Giove doveva cingersi di Edera, stare lontano dalla vigna per non ubriacarsi, affinchè potesse ottenere furore profetico. Le foglie di Edera hanno le stesse caratteristiche di quelle della vite, neutralizzano il vino. Così come cingeva il capo di Bacco, dio delle vigne e nume profetico, ed il Tirso che impugnava. Questa pianta in greco si chiama Kissos ed era un simbolo primitivo di Dionisio; da questi accostamenti si può comprendere come abbia carattere palingenetico, ed in esaltazione profetica molto vicino all’amore. Infatti la stessa è simbolo sia dell’Amicizia che dell’Amore, Funzione Gioviniana. Questa Funzione, oltre alla potenzialità Acquariana, fa della pianta una protettrice del sistema venoso, con qualità decongestionante e antinevralgica. Utile per applicazioni sia esterne che interne, edemi circolatori, stasi venosa, circolazione linfatica. Ottima per le celluliti ed evita la suppurazione delle piaghe. Si impiega anche nel decorso delle flebiti, sia come decotto che come oleolita alchemico. Appartenendo al segno della Bilancia, che come organo di riferimento ha il Rene e tubuli renali, è adatta per lenire dolori reumatici acuti e cronici. Per le funzioni genitali si può usare in caso di leucorree o mestruazioni irregolari, soprattutto se esse dipendono da di-

Rosanna Toraldo È Naturopata, diplomata presso la Scuola di Federico II, di Trani e Master Teacher Reiki Usui. Ha frequentato per 2 anni la Scuola di Biotransenergetica – Psicologia Traspersonale di Lecce, del Dott. Lattuada, dove ha fatto un percorso di Consapevolezza e di completamento per i suoi studi di ricerca sugli Archetipi delle Piante e dei fiori. Altri corsi di formazione sono stati in Anatomia e Fisiologia Sottile che insegna nelle Scuole e Corsi di Reiki. Ha lavorato nel campo dell’Aromaterapia Alchemica presso un’azienda dove, nelle Cinque Terre della me-

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Rosanna Toraldo sfunzioni endocrine. Ed essendo Giove il re dei re, cioè colui che le comanda, avrà possibilità di rimettere tutto al giusto posto (A. Angelini “Il Serto di Iside”). La pianta è specifica anche per i capelli scuri: con un giusto massaggio o frizione sul cuoio capelluto, dopo il lavaggio, renderà la chioma più scura e lucida. AFFINITA’ ARCHETIPALI Fedeltà in Amore. Coscienza di un Amore Superiore (A. A.). Si acquisisce capacità di comprensione osservando che la pianta non è un parassita che vive a spese di un altro essere, bensì si mette a sua disposizione, sostenendo e scambiando armonicamente, in quel circuito “Alto – sonante” che solo i vegetali o chi li ascolta sottilmente possono comprendere. Per l’Alchimista questo meraviglioso Essere di Natura sostiene la pianta che cinge, crescendo insieme ad essa, spingendosi verso l’alto accresce e approfondisce l’Amore che Cura. “La tua Fede ti ha guarito” affermò Gesù, dunque la Fede come conoscenza di sé porta a più alti ri-conoscimenti. E ritornando all’amore senza tempo, senza età, che non guarda né struttura, né colore, né ombre, osservando da dietro la finestra l’abbraccio tra l’Edera e Nastrino, mi accorgo di surridere al Cielo ringraziando del dono che ho in casa. Così silenziosamente, mestamente mentre il sole tramonta tra rossi di fuoco, rosa, viola e giallo, lascio scivolare la tenda e saluto aspettandovi al prossimo incontro tra me viandante e voi, su questa Strada Alchemica Maestra. ravigliosa Liguria l’hanno portata a contatto con uno dei discepoli del Dott. Angelo Angelini (chi ha traslitterato il Papiro di Erbebes). Ha Frequentato corsi monotematici: di Floriterapia Spagirica, Alchimia, Radiobiologia e Radionica, facendone una base di ricerca nel campo sia degli Oleoliti Alchemici che delle Essenze Floreali Mediterranee Spagiriche, che porta come materie di studio, oltre che all’Alchimia Cellulare, nei vari Istituti di Medicina Naturale in cui ha insegnato. È Operatrice Olistica Trainer, socia SIAF (Società Italiana Armonizzatori Familiari). Inoltre ha partecipato con gli stessi temi in Conferenze e Tavole Rotonde in Liguria, Piemonte, Triveneto e in Puglia anche a fianco di eminenti Docenti.

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LUDOVICO POLASTRI

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“Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?” (Sal. 8)

Soggettivismo ed oggettivismo C’è da chiedersi se sia più reale quello che viene osservato come dato sensibile, il mondo esterno che è chiamato oggettivo o invece sia più reale ciò che viene colto come dato interiore di coscienza illuminata dello spirito che emerge, detto soggettivo. Entrambe le realtà hanno la stessa validità senza prevalenze in più o in meno. Certo è che il dato dei sensi offre un denominatore che, essendo percepito come comune dalla stragrande maggioranza degli osservatori, riscuote un coro imponente di consensi, cosicché è sentito come indiscutibile realtà, per quanto sotto il profilo prettamente scientifico e reale tale esperienza sia del tutto errata. Mentre il

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dato soggettivo non suscita un coro unanime di consensi, anzi determina discussioni inconciliabili, infinite, tuttavia non toglie niente alla realtà del dato soggettivo, non essendo la quantità dei consensi a determinare la verità di tale evidenza. E’ evidente che là ove maggiore è il consenso, più grande appare l’oggettività e l’attendibilità; ma ciò avviene perché è proprio la maggior parte degli osservatori che, aggrappati al sensibile e continuamente protesi in esso, hanno una esperienza più evidente dello stesso, cosicché tutti lo affermano. E’ infatti questa l’esperienza più facile, più generale, e più scendiamo nella scala della coscienza, dagli uomini, ad esempio, agli animali, più troviamo che tale esperienza sensibile obiettiva diviene evidente e corposa. E’ tipico nell’uomo della preistoria l’assenza di sviluppo del senso dell’io, della mancanza della coscienza del sé, come appunto appare dalla mancanza di bisogno di rappresentare, ed una coscienza in-

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Quid est homo (II) vece del mondo fenomenico. Se gli animali sono privi dell’affiorare cosciente dello spirito, evidentemente l’unica realtà obiettiva è quella sensibile e non si potrà parlare di una contrapposizione soggettiva con la stessa intensità con cui si pone nell’uomo.

Energia sottile: rappresentazione simbolica L’esperienza dello spirito è più sottile, più difficile a raggiungersi, faticosissima anche a chi per anni si incammina per la «via stretta» senza frutti, se la realtà più sottile non si manifesta. E’ una realtà sperimentabile da pochi, priva quindi di un consenso generale che possa tranquillizzare i più in modo plebiscitario. Sono solo pochi che hanno il coraggio di affermare lo stesso valore reale sia per l’esperienza interiore che per quella sensibile, e quei pochi non sono neppure d’accordo, in quanto si differenziano per la maggiore o minore acutezza di coscienza che coglie interiormente una realtà più o meno chiara. E’ di fatto un’esperienza reale quindi quella interiore, valida né più né meno di quella fisica, solo che la prima non ha un consenso generale in quanto lo spirito non ha ancora, nonostante i faticosi millenni, preso coscienza in tutte le masse.

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Ludovico Polastri L’esperienza sensibile oggettiva appare più solida appunto perché, mancando la coscienza interiore che richiama a valori diversi e più sottili, quella esteriore viene solo affermata. Ma se qualcuno è proteso non già verso l’esterno, ma verso una realtà interiore, oppure è proteso equilibratamente verso l’una e l’altra, perché entrambe preziose, allora potrà cogliere esperienze concrete, validissime e certe: del rapporto graduale dell’esterno con l’interno, del denso con il sottile, dell’unità, della vita unitaria, dell’essere, del suo equilibrio, della luce, delle sue leggi, e comincerà invece a dubitare lui dell’obiettività del dato sensibile come esso si presenta, dubbio del resto che la scienza ha affermato come giustificato e valido. Le cose non sono come ci appaiono: solide, colorate, scorrenti nel tempo, ma sono energia, vibrazioni. Le sensazioni di colore, calore ecc. sono infatti l’effetto di energia irradiante. Tutto, anche i colori e i suoni sono vibrazioni, oltre alle mille altre cose che al di sopra ed al di sotto dei sette colori percepiti e della scala sonora sfuggono ai nostri sensi, pur essendo realtà più sottili di un mondo del quale noi percepiamo solo un sottilissimo raggio per la densità che ci ingloba. L’uomo foggia dei termini per esprimersi in relazione alle cose fisiche nelle quali nuota, o meglio diremo che nello stato fisico lo spirito generalmente si esprime con un grado di coscienza e di “luminosità” incompleto e parziale che rende necessaria l’espressione dei termini relativi. Ma nell’ambito dell’assoluto, nell’ambito della realtà vera delle cose, quando cioè lo spirito si esprime illuminando con splendore la densità, allora appaiono fari di luce, uomini-profeti che la storia ci indica: esplosioni rarissime di luce dello spirito. In questi casi ogni termine relativo perde di significato, perché perde di ogni contorno, sfuma perché bruciato: “ego sum qui sum”. E’ il sublime vivere del cosmo e delle cose per il cosmo. In questo attimo, particolarissimo, l’uomo percepisce di far parte di un infinito oceano di materia e che tutte le forme sono in costante mutazione. Soggettivismo ed oggettivismo si fondono, diventano un tutt’uno.

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Illuminazione Swami Vivekananda, mistico indiano, dopo aver raggiunto l’illuminazione spiegò: “Non c’è reale differenza tra un qualunque oggetto e me; un oggetto è un punto nella massa della materia, ed io invece ne sono un altro. Ogni forma rappresenta, per così dire, un vortice nell’oceano infinito della materia, e tutte le forme sono in costante mutazione. Come nel flusso di un torrente impetuoso possono esserci milioni di vortici, in ognuno dei quali l’acqua si rinnova continuamente, roteando per pochi secondi e procedendo oltre, sostituita da altra massa di nuova acqua, così l’intero universo è una massa di materia in continuo mutamento, in cui tutte le forme dell’esistenza possono essere paragonate ad altrettanti vortici. Una massa di materia entra in un vortice, che può essere per esempio un corpo umano, vi permane per un certo periodo di tempo, si modifica e trapassa in un altro vortice, che potrà essere un corpo minerale. Tutto è in continuo mutamento. Non esiste nessun corpo che sia permanente. Ciò che chiamiamo “il mio corpo” o “il tuo corpo” non ha alcun senso, altro che come espressione verbale. Dell’intera immensa ed unica massa materiale dell’universo, un punto noi lo chiamiamo luna, un altro sole, un altro uomo, un altro terra, un altro pianta, un altro minerale. Nessuno d’essi è costante, tutto cambia; la materia si forma e si disintegra esternamente”. Se volessimo trovare una relazione scientifica a queste parole dovremmo rifarci alla “formula che racchiude l’universo”, pure questa offerta solo all’intuizione perché sfugge alla nostra razionalità, espressa da Heinsenberg, premio Nobel per la fisica:

Questa formula include: la materia come massa legata al tempo e allo spazio, le forze e i loro reciproci influssi ed effetti, la casualità, il tutto in uno sviluppo unitario che comprende le particelle elementari. J.James, celebre astronomo inglese, ricordava che “L’universo in cui viviamo è una ragnatela: il modello, lo schema ed il disegno esistono chiaramente, ma la materia solida è rara”, anzi essa appare come un velo che nasconde una realtà più sottile, quasi impercettibile, latente, della quale noi stessi siamo una propaggine

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Quid est homo (II) corposa. L’energia sensibile imprigionata nella materia è la stessa vita; è la nostra incomprensione mentale che, non riuscendo a percepire il tutto nel quale siamo immersi, per praticità e forse per assicurare la nostra stessa sopravvivenza in questa dimensione ristretta, separa l’energia che è nella materia dalla vita. La realtà che esiste è quello che è, non è né materia, né spirito, è una realtà unica inconoscibile, e solo convenzionalmente noi la potremo chiamare luce, pensiero, spirito, materia perché i termini non dicono nulla sotto il profilo assoluto, pur dicendo molto nel momento in cui debbo esprimere un concetto relativo. Campanella ci ricorda che, quando leggiamo il termine “materia”, esso non ci deve ingannare: “Nell’infinito in cui viviamo, e che vive in noi, non è materia perché l’infinito non è figurato né figurabile, non è terminato né terminabile, non è forma perché non informa… è talmente materia che non è materia, è talmente spirito che non è spirito: perché è il tutto, uno, infinito, vivente, assoluto”.

Materia che emerge dal nulla Pochi uomini, uomini-profeti, sono riusciti a percepire la realtà delle cose, distruggendo ogni densità, bruciando ogni tenebra, trasfigurando il proprio corpo. Lo spirito dell’illuminato raggiunge quello dell’universo. L’universo infatti vive, si

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Quid est homo (II) muove, respira secondo un ritmo oscillatorio ciclico: inizia, raggiunge l’acme, discende e finisce. E così è per tutto: per i soli, i mondi, gli uomini, le cose tutte, compresi gli stati di coscienza personali; è un unica legge che si esprime in modo rotatorio a spirale coinvolgendo popoli e civiltà. L’illuminato parla di “canone rivelato”, senso intimo e fondamentale di un destino terrestre e cosmico che lentamente e profondamente si sprigiona nella vita e nel pensiero. Cogliere i principi immutabili dell’universo nella fissità attenta della mente che non oscilla, è fissare un punto fermo al di fuori del tempo e del moto; è toccare la stabilità profonda oltre la materia sperimentando una realtà a-temporale alla quale si arriva senza sbalzi, fratture, senza l’esperienza della morte perché simile a questa estrema esperienza che è l’abbandono della mutevolezza. Ed è a questo punto che si apre all’esperienza una realtà più vasta, o meglio è lo spirito che prende coscienza della sua reale natura aprendo orizzonti illimitati. Tutto lo spirito risponde ad un’armonia totale della quale l’illuminato è testimone sia nel denso che nel sottile. Arrivati a questo punto c’è da chiedersi se sia più reale quello che viene osservato come dato sensibile, il mondo esterno che viene chiamato oggettivo o invece sia più reale ciò che viene colto come dato interiore di coscienza illuminata dello spirito che emerge. Ebbene, le realtà hanno la stessa validità senza prevalenze in più o in meno. Certo è che il dato dei sensi offre un denominatore che, essendo percepito come comune dalla stragrande maggioranza degli osservatori, riscuote un coro imponente di consensi in quanto ritenuto obiettivo, cosicché è sentito come indiscutibile anche sotto il profilo reale e scientifico per quanto sotto il profilo prettamente scientifico tali esperienze non siano mai vere in senso certo ed assoluto. E’ una realtà sperimentabile da pochi, priva di un consenso generale che possa tranquillizzare i pavidi. Sono pochi ad aver raggiunto lo stesso valore reale sia con l’esperienza interiore che con quella sensibile, e quei pochi talvolta non sono neppure d’accordo perché l’accordo è impossibile, perché queste persone straordinarie si differenziano per la maggiore o minore acutezza di coscienza e percezione interiore che ha fatto loro apparire una “realtà” più o meno chiara, ma

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Ludovico Polastri sempre reale. E’ un’esperienza dunque valida né più né meno di quella fisica; solo che non è condivisa dai molti in quanto lo spirito non ha ancora, nonostante i faticosi millenni trascorsi, preso coscienza in tutte le masse. Le cose dunque, ritornando ad un sillogismo quantistico, non sono come ci appaiono: solide, colorate, scorrenti nel tempo, ma sono energia e vibrazione. Le sensazioni di colore, calore sono l’effetto di energia irradiante. Tutto, anche i colori ed i suoni sono vibrazioni; la materia stessa è vibrazione che si densifica alla nostra apparenza, un’onda vibrazionale che si rende percepibile ai nostri sensi. Mille altre cose che al di sotto ed al di sopra dei nostri sette colori percepiti e della scala sonora sfuggono ai nostri sensi, realtà sottili di un mondo del quale noi percepiamo solo un sottilissimo raggio per la densità che ci caratterizza.

L’uomo, l’universo e la sua evoluzione Ogni realtà esistente, compresa quella fisica, come ogni scienza o disciplina, è un prolungamento sia in senso orizzontale sia in senso verticale di un’altra nella quale sfuma, cosicché sia le une che le altre possono ridursi ad una grande totale unità. L’uomo è un prodotto, un risultato di uno sviluppo iniziato all’origine dell’universo ed è un anello che si connette con lo sviluppo futuro. Il sentire la storia di tutta la nostra animalità ed umanità che scorre in questa isola vagante negli spazi dell’universo, in questo scoglio lanciato negli abissi siderali, è sentire lo svolgersi della vita, amare la terra e l’universo al di là del fenomeno, per la sua grande vita ed essenza divina che conduce, è sentire Dio che cerca la sua meta, come si esprime C.G. Jung. Pur non conoscendo le sconfinate vicende degli innumerevoli universi che precedettero il nostro mondo, sappiamo di vaste nubi , a poco a poco condensatesi in gruppi di stelle con procedimenti che ora ben conosciamo, sappiamo che dopo la solidificazione della crosta terreste, tre o quattro miliardi di anni fa, rimase la sola materia inorganica, la cui natura possiamo affermare essere una concentrazione di energia. A Menfi, capitale dell’antico regno egizio, si diceva che Path creava il mondo con “il suo cuore e la sua lingua”, con l’energia

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Ludovico Polastri cioè del suo pensiero amoroso e la vibrazione della parola che diventavano sostanza viva delle cose. Dalla materia emerse una differenziazione più sottile, vitale che la paleontologia pone nel periodo pre-cambriano: schizofiti, e nel cambiano si individuano i “phyla” , dei fasci evolutivi. Nel paleozoico si evolvono i trilobiti ed i pesciformi. Nel mesozoico dal mare gli anfibi ed i teromorfi raggiungono la terra che si riempie di rettili, e nel neozoico già evolvono gli uccelli ed i mammiferi. Il tutto in un processo genetico privo di differenziazioni essenziali, in un rapporto di coerenza intima e profonda anche con l’uomo, come dimostra il bisogno di assorbire minerali, elementi chimici propri del cosiddetto mondo inferiore. Scientificamente non vi è nessuna ragione per affermare che la sostanza vivente segua leggi diverse dalla sostanza cosiddetta non vivente. Sembra che il bisogno di sale nell’uomo risalga ad un’ancestrale esigenza che si riallaccia a quando popolavamo i mari. S. De Madariaga ci ricorda che: ”l’uomo è un albero che ha ficcato la sua terra in un sacco e si è messo in marcia” ed ancora “a ben guardare l’uomo è una sintesi tra l’albero e la mucca: lo spirito dell’albero nel corpo della mucca”. Lo stesso spirito che affiora negli animali appare più sviluppato che negli animali: “le cose invisibili di Lui… si vedono chiaramente acciocché siano inescusabili…”. Recenti scoperte scientifiche hanno dimostrato, al contrario di quanto si riteneva in passato, che la divisione del lavoro nei due emisferi cerebrali, che si pensava esclusiva dell’uomo e che controlla tra l’altro l’uso della parola, risale ad almeno mezzo miliardo di anni fa, quando hanno avuto origine i primi vertebrati. Il cervello umano asimmetrico non è una sola prerogativa dell’uomo bensì di rane, rettili, pecore ed altre specie animali. Quello che oggi viviamo e vediamo è un prodotto che ha tracce di ciò che lo precedette, così come l’oggi è il presupposto naturale del domani. Il passaggio dall’inorganico all’organico av-

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Quid est homo (II) viene perché lo stesso spirito lotta per realizzarsi e determina questo passaggio, come un’idea costruttiva interiore che si acquieta solo a lavoro ultimato e che poi demolisce e ricostruisce in un lavoro incessante. A questo punto come poter controllare, dunque, ripetendo in laboratorio, quelle condizioni che si avverarono milioni di anni fa? Come poter riprodurre i mari, i temporali, i fulmini, i venti dalle molte varietà gassose che caratterizzavano la superficie terrestre? Alcuni astri lontani presentano un’evidente atmosfera a base di ammoniaca, così pure nel reticolo dei silicati costituenti l’antichissimo nostro granito è contenuta ammoniaca allo stato libero; nel 1953 S. Miller tentò un esperimento volto a riprodurre i primi istanti di creazione della vita sul nostro pianeta: in un ambiente chimicamente sterilizzato introdusse acqua, metano ed ammoniaca, e dopo aver installato un generatore di piccole scariche, scaldò l’acqua ed attese. Le sostanze residue, alla fine dell’esperimento conterranno diciannove sostanze organiche diverse, delle quali sei aminoacidi che sono la base delle proteine. Inoltre furono individuati una serie di acidi organici noti come prodotti del metabolismo. L’esperimento, noto in tutto il mondo scientifico, fu perfezionato con l’intervento di raggi ultravioletti carichi di energia, e con sostanze radioattive, e dette sempre esito positivo. La vita, e dunque l’uomo, apparvero come successivo e necessario sviluppo dell’evoluzione.

La vita è venuta dallo spazio

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Quid est homo (II) Boschke si è chiesto dove potessero trovarsi i prodotti secondari inutilizzati dopo la sintesi della materia primordiale. Dove sono le migliaia di tonnellate di materia che certamente non possono essersi dissolte dopo questo riuscito esperimento chimico? Il petrolio e il metano contengono evidenti residui dell’atmosfera e del mare primordiale. Sono forse queste le famose sostanze che si formano come prodotti secondari e che rimasero inutilizzate? Recenti esperimenti scientifici hanno concluso che la «vita idrocarburica» è di fatto uno stato intermedio alla vita proteica. Gli scienziati dell’Università della Florida, sotto la guida di S.W. Fox, dagli amminoacidi ottennero finalmente un preparato del tipo delle proteine adatto alla vita, e come ognuno sa, le proteine esplicano specifiche funzioni relative alla vita, dipendenti dalle particolari circostanze accessorie: temperatura, mezzo di reazione, ecc. Certo è che la vita scaturisce dalla materia in un «processo di maturazione»: la materia stessa è vita, anche se poco maturata, ed i vari tipi di materia si distinguono tra loro per una maggiore o minore evoluzione. L’animale è vivo, conosce e sa, non vi è dubbio, pur non conoscendo e sapendo alla stessa maniera dell’animale, essendo diversa la psiche tra loro, e diverso addirittura negli stessi animali per una graduazione che va dall’ape al cavallo, dal minerale all’uomo. In definitiva vi è un’interiorità che diviene sempre meno percepibile man mano che si percorre a ritroso la via evolutiva, fino a smarrirsi nell’inconscio profondo della materia. In questo

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Ludovico Polastri percorso una legge progressivamente liberatrice pervade le cose mirando alla sua manifestazione, pur essendo a tutt’ora non ancora totale: vediamo i molluschi gasteropodi in 500 milioni di anni venire dimezzati dei loro organi; gli elefanti ed i cavalli privati delle dita laterali, ai sirenidi sciogliersi lo scheletro in un generale ed individuale superamento ortogenetico, per una maggiore incredibile complessità di apparati, una localizzazione delle funzioni soprattutto nervose che man mano si affrancano dall’ambiente esterno. La migliorata temperatura del corpo libera maggiormente i pesci e gli anfibi dalle rigidità esterne, liberazione che sarà decisiva nei mammiferi con la costruzione separata della circolazione arteriosa e venosa, che l’uomo trionfalmente otterrà svincolandosi in vari modi anche con la scoperta del fuoco e degli utensili. Fu una liberazione progressiva dal denso che sfociò un miliardo di anni fa in una organizzazione molecolare di materia vivente che i chimici chiamano «proteine», complicatasi via via in costruzioni anatomiche invertebrate prima e vertebrate poi, fino all’uomo. Scientificamente, ancora proseguendo, diremo che l’inizio dell’umanità si addentra oggi in un grande passato preistorico molto al di là delle comuni interpretazioni dei miti, delle leggende o della Bibbia. Non i miti, le leggende o le bibbie sono errate, ma le loro interpretazioni. La maggiore emersione di una più chiara dimensione spirituale avviene faticosamente e lentissimamente per centinaia di secoli e non secondo lo sviluppo di una

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Ludovico Polastri linea retta, ma dalla linea chiaramente diversa ed a spirale. L’entologia storico-culturale ha tracciato ormai le linee attraverso le quali la cultura e lo spirito, nel cammino della civiltà umana, si sono sviluppate: dalla forma originaria puramente aggressiva della caccia durata millenni, a tutto l’arco più evoluto dei cacciatori superiori, dei pastori e dei coltivatori, a quello più completo e superiore. Fu una lentissima emersione della coscienza della «biosfera» che ci appare dal periodo pre-glaciale di circa 600 millenni fa, ove l’uomo del paleolitico inferiore, pare non sapesse ancora scheggiare la pietra adattandola agli usi, pur sapendola però scegliere a seconda delle proprie necessità. L’uomo di 500 mila anni fa, con il suo aspetto somatico in parte estraneo all’uomo odierno, senza fronte e senza mento, con una struttura facciale animalesca, come ci provano i reperti trovati presso la valle di Neander, ed anche quelli ritrovati presso il sito di ChuKu-Tien, vicino a Pechino, fanno pensare che la privazione del mento incidesse sulla mancanza del linguaggio articolato, che apparirà solo dopo una serie di passaggi evolutivi. L’evoluzione dell’uomo inizia a distinguersi dalle scimmie antropomorfe nell’oligocene. In quel periodo infatti dallo stesso gruppo delle scimmie antropomorfe si separarono gli ominidi, dai quali nel miocene apparirà l’oreopiteco, la cui linea evolutiva tuttavia evolverà in un vicolo cieco. Dal restante gruppo delle scimmie antropomorfe invece si evolverà il gibbone, l’orango, lo scimpanzè ed il gorilla nel pliocene. L’uomo appare per evoluzione degli ominidi all’inizio del pleistocene. L’uomo in definitiva ha un’evoluzione che, indagata a ritroso, conduce «alla paurosa profondità… sempre più lontano nell’abisso», come ci ricorda T. Mann. La realtà evolutiva appare dunque scaglionata nell’arco graduato e

Ludovico Polastri È laureato in ingegneria meccanica all’Università di Brescia. Ha conseguito la specializzazione post lauream presso il Politecnico di Milano e effettuato corsi di specializzazione in ambito: Produttivo, Certificazione dei Sistemi Qualità e Ambientali Azienda-

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Quid est homo (II) dinamico del suo sviluppo: prima come spirito dalla coscienza non emersa, che chiamiamo materia, poi come coscienza poco emersa che chiamiamo vita, indi come spirito cosciente, ove noi ora siamo, il tutto similarmente a sfere concentriche che non esauriscono tutto l’attuale sviluppo della realtà. Sfere concentriche delle quali l’evoluzione del mondo fenomenico non è che la storia della sola circonferenza più esterna. Certo è che in questa evoluzione, in questa «reazione a catena di trasformazioni organicamente concatenate», la forza dello spirito che preme per esprimersi è di significato titanico e coinvolge ogni stato di esistenza come un’unica realtà in moto, diretta ad una meta finale: l’”Unico”, che è ora qui tra noi densificato e vivo nell’aspetto dell’incarnazione. E noi siamo in questo gioco: nella terra, nelle scienze, nello spirito e nell’estasi; figli di Adamo e di Dio, adoratori di Apollo e di Cristo, sciamani e mistici, perché sorretti dalle stesse forze profonde che sono uniche: per il geologo che col piccone anatomizza Dio, e per il santo che lo respira. E’ un racconto di esperienze mai chiuso per le continue nuove prospettive volte al superamento sempre relativo di quelle già passate, che tuttavia ne costituiscono un prezioso arricchimento. E’ un cammino, una redenzione, cominciata con la densificazione dell’inizio, prima di ogni cosa visibile, e non ancora terminata nonostante la venuta di Gesù. In quest’unità sostanziale, dei miti in tutte le epoche, delle religioni vive ed in quelle dimenticate, delle scienze superate o valide tutt’ora, in quest’unità dello spirito emersa nel corso dei millenni, in questa unità di evoluzione ma anche di salvazione, è la contemporaneità di tutti gli uomini e di tutte le cose che vivono il meccanismo evolutivo.

li, Organizzazione e Gestione Aziendale. Ricopre da molti anni ruoli di responsabilità in ambito tecnico, produttivo e impiantistico per conto di importanti realtà aziendali. Si occupa inoltre di aspetti normativi e legali inerenti la sicurezza e la prevenzione sui luoghi di lavoro. Ricercatore indipendente e giornalista free lance, collabora per diverse testate giornalistiche.

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CARLO DOROFATTI

Una nuova specie

Dall’irreale conducimi al Reale Dalla tenebra conducimi alla Luce. Dalla morte conducimi all’Immortalità. (Tattirya Upanishad)

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n Occidente, e più in generale nelle interpretazioni e divulgazioni essoteriche (ovvero pubbliche ed elaborate per essere trasmesse alle masse), gli insegnamenti spirituali, che da sempre e in ogni dove hanno indicato la via per l’evoluzione come una via di illuminazione, si sono voluti intendere nella loro forma metaforica: la luce della conoscenza che prevale sulle tenebre dell’ignoranza, la luce divina che illumina le menti, l’energia dirompente della verità che fa luce sulle menzogne e sugli inganni dei sensi e dei falsi propositi, e così via. Questa interpretazione è senz’altro corretta, tuttavia limita sostanzialmente la portata del messaggio: la Grande Opera, la metamorfosi, la

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transustanziazione, la vita eterna, così come il risveglio della luce e nella luce divina non sono solo metafore. C’è di più. Oggi più che mai la rivoluzione spirituale riafferma la sua natura esistenziale, fisica, individuale, libertaria e anarchica, senza compromessi, intrallazzi o ingenuità. L’individuo in quanto “monade” è il protagonista del processo globale: contesti e gruppi – che non siano settari, politicizzati o in alcun modo ingombranti l’espressione, la scelta e la creatività del singolo - possono essere utili laboratori di idee e di confronto, ma ognuno è il solo centro di gravità di questo processo, libero dal passato e dai suoi schemi ormai asfissianti e irrecuperabili, dai quali deve scrollarsi definitivamente. Si sta parlando di una illuminazione, di una trasmutazione nella luce proprio in senso fisico, come del risveglio e della dirompenza dell’energia divina che dal centro di ognuno di noi (il “sole

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Una nuova specie centrale”) irradia totalmente il nostro essere, ogni atomo, ogni cellula del nostro corpo, per avviare un processo di purificazione, emancipazione e trasfigurazione verso nuovi stati di evoluzione e manifestazione della Coscienza, come processo prima di tutto individuale e potenzialmente collettivo (ma mai come effetto di trascinamento). Oggi più che mai la spiritualità riafferma la sua connotazione esistenziale e concreta, squisitamente fisica: non mentale, non teorica, non filosofica, non astratta, ma assolutamente pratica, concreta e corporea. In questo momento di cambiamento radicale necessario, il processo evolutivo consiste nella potenziale manifestazione di una nuova specie capace di definire e di esplorare nuove possibili realtà, definitivamente lontane dall’umanità e dalla realtà che conosciamo, ormai giunte al loro capolinea, come doveva essere in ogni caso nella natura delle cose. Solo l’energia dirompente dal centro dell’individuo, dal centro della sua coscienza risvegliata, può dapprima distruggere tutto l’inquinamento psico-fisico, i programmi mentali, le intossicazioni, gli implants e i dispositivi nano-tecnologici di controllo bio-psichico - normalmente assunti at-

Carlo Dorofatti traverso l’aria, l’acqua e il cibo -, le interferenze elettromagnetiche o di qualunque natura, tutti i blocchi, le paure e le restrizioni culturali ed esistenziali accumulate, per successivamente trasformare dal di dentro ogni sua cellula e orientarla verso nuove e più sottili vibrazioni di esistenza, su piani evolutivi radicalmente rinnovati dove sarà proprio la luce lo stato psico-fisico, l’alimento, la fonte di energia, l’espressione e l’habitat naturale nel quale vivere. Il corpo umano, percorso da un certo livello di coscienza, è il più potente generatore, trasformatore e accumulatore di energia pulita che possa esistere: non mi riferisco ora all’energia vitalesessuale che caratterizza il nostro potere esistenziale, nè alle facoltà psichiche di manifestazione, ma proprio di energia in senso fisico, oltre che metafisico. Il Sole, il nostro Sole – tutt’altro che una semplice palla di fuoco nel cielo – è in fermento e, per analogia frattale, esprime bene il fermento individuale che scalpita dentro ognuno di noi. Fermento di distruzione e di rinnovamento. Di disidentificazione e di nuova nascita. Che passi attraverso la ritualità, una disciplina personale, o la meditazione o mediante tecniche

FOTO: METAMORFOSI DI ESCHER

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Carlo Dorofatti e studi di ogni genere, o ancor più significativamente attraverso scelte di vita sagge, sane e rivoluzionarie, questa presa di coscienza concreta e indispensabile implica totalità. Essere totali significa comprendere la portata dell’opportunità di rinnovamento radicale che l’esistenza sta producendo e quindi lasciarsi andare e, senza paura, lasciar andare ogni pregiudizio, attaccamento o considerazione; lasciarsi dietro le spalle tutti quegli assunti che non possono avere a che fare con le linee di realtà e la portata di quanto stiamo prospettando. I concetti che abbiamo di vita, lavoro, sopravvivenza, realizzazione, educazione, le abitudini, le convinzioni scientifiche, la malattia, l’invecchiamento, la morte, perfino i valori nei quali crediamo più fortemente, tutto va messo in discussione, perché è tutto frutto di abitudini e processi che ormai vanno abbandonati, alla luce di un salto evolutivo di cui ognuno può essere il centro propulsore. G.I. Gurdjieff, ma anche Sri Aurobindo, J. Krishnamurti e Osho (che, tra i riferimenti moderni, ritengo i più significativi per comprendere i potenziali scenari evolutivi dei prossimi secoli), parlavano della necessità di uno shock addizionale per riuscire ad innescare quel processo di motivazioni, energia e forza intima necessario ad un salto evolutivo non lineare rispetto ai processi naturali. Quello shock lo si poteva ricevere – sempre che si fosse stati sufficientemente “aperti” – attraverso le vibrazioni emanate dalla presenza di un Maestro vivente, quando non per presa di coscienza diretta del Reale, cosa che si

Carlo Dorofatti Nato a Milano nel 1970. Esplora da oltre vent’anni le tradizioni spirituali d’Oriente e Occidente, le facoltà sottili dell’essere umano e le cosiddette discipline di frontiera. Tiene conferenze e seminari presso Centri e Istituti in Italia e all’estero. Fondatore del Centro Studi Ascensione 93 (www.ascensione93.org), dal 2008 è membro dell’International Conference on Ancient Studies, insieme a numerosi esponenti internazionali della ricerca libera e indipendente. Pubblica articoli su diverse riviste specializ-

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Una nuova specie tende, se non ad escludere, a ritenere piuttosto improbabile dal momento in cui ci troviamo rinchiusi all’interno di un circuito sensoriale e mentale illusorio. Oggi i tempi possono forse essere maturi, date le circostanze epocali, perché ognuno possa riverberare con le dinamiche cosmiche e cogliere da dentro di sé quella motivazione profonda, autentica e potente in grado di scuotere dalle fondamenta i sistemi di credenza limitanti e rendersi dunque canale di intuizioni che la sua coscienza e la vita stessa renderanno sempre più evidenti. Tutto questo nulla ha a che fare con le fantasticherie mentali, egocentriche e rassicuranti della moderna new-age, ma piuttosto ha molto a che fare con le avanguardie della moderna scienza. Tutto ciò non è una “via d’uscita”. Non è questo il punto. Quello della “via d’uscita” è un concetto di per sé viziato; un pensiero mal riposto. Non vi è nulla da cui “uscire”: men che meno dal niente che questo nostro sogno collettivo è ormai diventato. Le dimensioni, tutte avviluppate l’una nell’altra, sono pronte per essere trasfigurate attraverso nuovi sensi e nuove prospettive, di cui ognuno di noi - liberato da una realtà finalmente risolta nel suo compimento e, come la fenice, ritto sulle macerie e indifferente - può rendersi veicolo evolutivo su nuovi straordinari piani dell’essere: dello spazio, del tempo e della coscienza. E oltre. Di questo si tratta: né più, né meno. Estratto dal nuovo libro di Carlo Dorofatti: METAMORFOSI (Anima Edizioni, 2012) zate e su portali online. È fondatore e presidente dell’Accademia per l’Applicazione Consapevole dei Saperi (www.accademiaacos.it). Il suo sito personale è www.carlodorofatti.com. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Nient’Altro che Sé Stessi (Nexus, 2010), Anima e Realtà (Nexus, 2011) e...

Metamorfosi Anima Edizioni, 2012

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FABIO GARUTI E VINCENZO DI GREGORIO

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Piramidi e boomerang

FOTO: BOOMERANG EGIZIO

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ulle piramidi si è detto e scritto di tutto e di più. E’ quasi impossibile dire qualcosa di originale su questo argomento, che negli ultimi decenni è stato uno dei più gettonati sia dagli scrittori che dai programmi televisivi. In vena di originalità, proveremo a vedere dove ci può portare l’abbinamento dell’invenzione del boomerang a quella delle piramidi. La forma stessa della piramide richiama riti e culture di altri tempi. Il primo popolo che ci viene in mente pensando ad una piramide è il popolo egizio. E’ solo da poco tempo che ci si è accorti che il mondo è pieno di piramidi. Ci si è chiesti allora come potevano, popoli sviluppatisi in zone opposte del mondo come quelli cinesi o quelli centro-americani, avere avuto la stessa volontà di erigere dei templi ai loro Dei con forme così simili. A questo quesito, la cosiddetta archeologia “classica” ha risposto adducendo il lapallissiano

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detto che “utilizzi simili creano forme simili”. A questo riguardo si fa il riferimento canonico della sedia. L’atto di sedersi è tipico della razza umana a qualsiasi latitudine, e quindi la necessità da parte di vari popoli di uno oggetto su cui “sedersi” ha fatto sì che si rinvenissero oggetti simili in varie e diversissime parti del mondo. Questi oggetti, pur essendo simili, non necessariamente sono la dimostrazione che quei popoli avessero avuto contatti culturali o fisici. La teoria degli “utilizzi simili = forme simili”, nel caso della forma piramidale, sostiene che è la forma più “semplice” e la migliore dal lato costruttivo, oltre ad essere quella più duratura nel tempo. Ma anche questa affermazione può essere contestata. La forma più “semplice” in assoluto è il cono. A questa conclusione si arriva sin da bambini, ogni qual volta si giochi con i secchielli e la sabbia. La montagnetta di sabbia di sua iniziativa

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Piramidi e boomerang

Fabio Garuti e Vincenzo Di Gregorio

FOTO DA SINISTRA: GUERRIERO ITTITA MUNITO DI BOOMERANG, BOOMERANG POLACCO RISALENTE AL 23.000 A.C, VATI BOOMERANG PRESENTI AL MUSEO EGIZIO DI TORINO

si dispone a forma di cono, e l’inclinazione delle pendenze è determinata dal materiale con cui è fatto il cono. La forma piramidale non è così semplice. Dal lato costruttivo occorre risolvere diversi problemi, non ultimo quello delle pendenze che devono essere perfettamente uguali, al fine di poter creare 4 spigoli che si incontrino nello stesso punto a oltre 150 metri di altezza (come nel caso della piramide di Cheope), ed a questo non si arriva senza un grande dispendio di energia ed una volontà specifica, indirizzata solo a questo scopo. Quindi chi sostiene la “casualità” della scoperta della forma della piramide come la migliore risposta all’obiettivo di costruire una “collina artificiale”, non può non constatare quante piramidi egizie non siano arrivate ai nostri giorni senza grossi problemi statici (due esempi per tutti: quella di Senusret II e quella di Meidum di Snefru, il padre di Keope, di cui rimangono solo i nuclei centrali, che nulla hanno più della forma piramidale). Ma lo stesso discorso lo abbiamo sentito quando si è scoperto che il “boomerang” non è un’invenzione tipica australiana, ma che si trova-

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no boomerang in tutte le parti del mondo, anche nelle tombe egiziane. Nel museo egizio di Torino vi è un’intero reparto dove sono stati raccolti tutti i boomerang ritrovati nelle tombe egizie. Vi è anche un bassorilievo assiro dove un babilonese è raffigurato mentre lancia un boomerang. Il boomerang più antico in assoluto però è stato ritrovato in Polonia, ricavato da una zanna di Mammut, e risale al 23.000 a.C. Come al solito, all’inizio non è stato riconosciuto come tale, ma è rimasto esposto in un museo per decenni sotto la dicitura “copricapo ornamentale di un capo tribù”. Un giorno passa una persona che per hobby costruiva boomerang e ne ha immediatamente riconosciuto la forma. Chiesto ed ottenuto il permesso di copiarne le misure ne ha realizzato uno in alluminio, che lanciato ritornò perfettamente al lanciatore. Il segreto delle proprietà aereodinamiche del boomerang è infatti la sagomatura delle facce, simile a quella delle ali di un aereo. Il moto vorticoso impresso dal lanciatore crea quella portanza che sostiene il boomerang nel suo volo, e un accorto sbilanciamento del punto di gravità consente traiettorie “curve” che lo portano a ritorna-

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Fabio Garuti e Vincenzo Di Gregorio re nel punto di partenza (anche se con qualche eccezione voluta nei modelli da “guerra”). Quindi è da oltre 20.000 anni che si sono scoperte le proprietà aereodinamiche delle ali degli aereoplani e le si sono sfruttate per realizzare degli strumenti da caccia. Se a questo aggiungiamo la complessità realizzativa di un boomerang australiano da parte di un aborigeno (oltre 3 settimane di lavoro) possiamo forse timidamente supporre che questo tipo di invenzione non può essere etichettata come “utilizzi simili = forme simili “. Sono dunque da prendere in seria considerazione due altre ipotesi che possono spiegare come si possano trovare medesime costruzioni (boomerang o piramidi ) in parti opposte nel mondo: 1. Vi è stata una civiltà preesistente alla nostra in cui si sono sviluppate certe conoscenze scientifiche / astronomiche / matematiche, ecc. Questa civiltà, a causa di un evento ignoto (cataclisma?) si è diffusa in tutto il resto del mondo, lasciando con questi “manufatti” il segno della sua esistenza. A questo tipo di ipotesi si devono ascrivere le leggende di Atlantide o di un periodo d’oro precedente la nostra civiltà, noto nella mitologia greca col nome di epoca d’oro (aurea aetas), a cui sono succedute altre epoche (dell’argento, del bronzo, degli eroi e del ferro). Troviamo questa distinzione in quasi tutte le culture. Dal paradiso terrestre di biblica memoria, alle 5 epoche descrit-

Piramidi e boomerang te dai calendari Maya. Quasi tutti i popoli sostengono che ”...una volta” l’uomo aveva vissuto una condizione di vita migliore della nostra attuale. 2. La seconda ipotesi che può spiegare la diffusione in tutto il mondo di manufatti simili è quella di una capacità di comunicazione (evidentemente via mare) tale da ipotizzare traffici intensi e duraturi dall’Australia all’America, dalla Cina all’Europa. Entrambe le teorie sono osteggiate da quella che si definisce la “scienza ortodossa”. Noi non ci possiamo definire “uomini di scienza”, ma semplicemente “ricercatori”. Una delle doti di un bravo ricercatore è quella di “fiutare una pista”. Capire da piccoli indizi che c’è qualcosa che stona in quello che ci viene raccontato sui banchi di scuola. Che alcune cose “stridono” come le unghie su una lavagna. Nel 1998, un certo Bauval ipotizza che le tre famose piramidi della piana di Giza non siano posizionate per caso, ma che fossero la raffigurazione in terra delle tre stelle della Cintura di Orione. Sappiamo tutti che questa ipotesi non ha convinto molti e che da allora Bauval non ha libero accesso alla piana di Giza (non avendo più avuto da Zahi Hawass le autorizzazioni necessarie). Eppure la teoria non sembrerebbe così “peregrina”, in quanto per gli egiziani Orione era la loro principale divinità e voler rappresentare la costellazione del loro Dio in terra non era altro che realizzare la famosa frase “come in cielo, cosi

FOTO: ALLINEAMENTI DELLE PIRAMIDI SPARSE PER IL GLOBO

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Piramidi e boomerang

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FOTO: LA VIA DELLA SETA

in terra“. Se infatti confrontiamo le tre stelle della Cintura di Orione con quelle della piana di Giza, non possiamo che convenire sull’identità di posizionamento. Ma questo fatto può anche essere frutto di causalità. Poi andiamo a studiare le altre piramidi che ci sono nel mondo e, perplessi, ci accorgiamo che: 1. Le tre piramidi italiane situate nel Parco di Montevecchia e del Curone sono orientate e disposte come quelle della Cintura di Orione (o meglio, in maniera speculare). 2. Anche a Teotihuacan vi son le tre maggiori piramidi disposte nello stesso modo (unendo le prime due, la terza si trova leggermente spostata). 3. Andiamo in Cina nella città di Xian, ed anche lì troviamo la stessa disposizione. Non sono prove, ma continueremo a chiamarle “indizi. Indizi che andrebbero approfonditi da

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altri ricercatori o da altri “scienziati”, che non si possono sempre ignorare. Solo per divertimento, abbiamo voluto disporre 4 dei più noti siti archeologici di piramidi esistenti nel mondo su un planisfero (la rappresentazione grafica in piano della superficie terrestre). Ebbene, si è osservato come le piramidi del Centro America e quelle cinesi siano disposte su di una linea che interseca quelle di Giza e quelle delle Canarie. Tra due punti si può sempre tirare una linea retta... e l’abbiamo fatta tra quelle americane e quelle cinesi (agli estremi del planisfero). Ma il fatto che quella linea intersechi perfettamente quelle egizie e quelle delle canarie... non è un dato così scontato. Vi sono 4 siti archeologici di importanza mondiale che si trovano allineati, anche se distanti tra loro svariate migliaia di chilometri. Un’altro “indizio”, che porterà in futuro (forse) ad importanti ulteriori conclusioni.

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Ma non possiamo passare sotto silenzio che quella linea che unisce le Canarie col Centro America sia proprio (casualmente?), la famosissima rotta di Colombo. Cioè, la rotta che Colombo ha seguito per arrivare dall’Europa all’America. Giova ricordare che quella rotta era l’unica che poteva essere percorsa sia in quel periodo storico, sia ai giorni nostri a causa della Corrente del Golfo, ma anche dall’orientamento dei venti che facilitano la navigazione alle imbarcazioni che si recano in America... in tutti i tempi. Che questa ipotesi non sia proprio campata in aria lo possiamo intuire entrando nel museo del parco archeologico creato attorno alle piramidi a Tenerife. Nella sala del centro c’è un film che spiega le possibili migrazioni umane in tempi antichi e le somiglianze tra le culture su entrambi i lati dell’Atlantico. Il museo, situato nela casa signorile di Casa de Chacona, completa l’offerta con le riproduzioni di sculture, ceramiche, fotografie,

Fabio Garuti Nato a Napoli il 4 Agosto 1961 e di origini Modenesi, ha studiato Germanistica a Monaco di Baviera e Giurisprudenza a Napoli. Sposato, con due figli, ho lavorato per molti anni nell’ambito della consulenza fieristica ed import/export con i Paesi Mitteleuropei, parlando correttamente sia il tedesco che l’inglese. Appassionato di archeologia ha scritto il libro Le piramidi, un sistema planetario (ilmiolibro, 2011).

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Piramidi e boomerang

modelli e altri elementi di prova significativi per suggerire un parallelo tra le antiche civiltà atlantiche. Si può quindi ipotizzare che in epoche PREColombiane quella linea o rotta fosse molto conosciuta e sfruttata per scambiare oltre che merci e materiali anche conoscenze e informazioni. A fine di questa breve trattazione riteniamo che non si possano più chiudere gli occhi davanti a tanti “indizi” che portano a retrodatare molte scoperte e molte cosiddette invenzioni ad epoche che sfuggono alle datazioni “tradizionali”. L’esistenza di una civiltà in epoche molto antiche, “preglaciali”, sta diventando di giorno in giorno sempre meno “ipotetica”. Probabilmente non si troverà mai una prova definitiva che potrà convincere anche i più scettici. Ma il grande mosaico della vita su questo pianeta è costituito dall’unione di tanti tasselli, e noi speriamo oggi di averne aggiunto uno piccolo ma significativo.

Vincenzo Di Gregorio Architetto ed imprenditore, da sempre appassionato di archeologia, noto come scopritore delle cosiddette “piramidi di Montevecchia” i cui studi sono stati pubblicati nel libro dal titolo Il Mistero delle Piramidi Lombarde (Fermento, 2009). Fondatore di Antikitera.net e della rivista Runa Bianca (www. runabianca.it). Suoi studi son stati mostrati in diverse riviste di settore, e su reti televisive quali: Voyager (rai2), Mistero (italia1), Mediolanum Chanel (Sky), OdeonTV.

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YURI LEVERATTO

L’enigma della fortezza megalitica di Ixiamas

FOTO: NELLA FORESTA PLUVIALE LA PRESENZA DI UNA FORTEZZA MEGALITICA

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li obiettivi della spedizione al Rio Alto Madidi sono stati molteplici. Innanzitutto l’individuazione, la documentazione fotografica e lo studio della fortezza di Ixiamas, un’imponente struttura megalitica preincaica situata nella selva alta del dipartimento di La Paz. In un secondo tempo l’esplorazione vera e propria, con fini naturalistici, del Rio Alto Madidi, fiume situato in pieno Parco Nazionale Madidi, nella foresta pluviale tropicale dell’Amazzonia boliviana. Volevo rendermi conto di persona delle condizioni del Parco e degli animali che vi vivono. Il terzo obiettivo della spedizione al Rio Alto Madidi è stato antropologico: volevo appurare l’esistenza dei mitici Toromonas, una etnia amazzonica che si dice viva nella parte più interna del Parco, completamente isolata dal resto della popolazione boliviana.

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Appena giunto a Rurrenabaque, simpatica cittadina situata sulle rive del Rio Beni, sono venuto in contatto con le mie guide esperte, Jose Tirina e Felix Quajera. Nei giorni seguenti abbiamo organizzato la spedizione, pianificando di dover raggiungere zone di selva primaria estremamente isolate dove nessun occidentale ha mai messo piede. Siamo partiti dal paese di San Buenaventura, situato sull’altra sponda del Rio Beni, già nel dipartimento di La Paz. In un van strapieno di viandanti abbiamo raggiunto, dopo quattro ore di difficile strada sterrata, il Rio Tequeje (un affluente del Beni). Era ormai sera e così abbiamo approntato il campo 1 proprio al di sotto del ponte che attraversa il Rio Tequeje. Il secondo giorno abbiamo iniziato a camminare in direzione della fortezza di Ixiamas. Avevamo notizie frammentarie sulla sua ubicazione, in quanto alcuni conoscenti di Rurrenabaque ci avevano assicurato che si trovava sulla

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L’enigma della fortezza megalitica di Ixiamas cima della montagna al lato del Rio Tequeje, in posizione dominante, ma in realtà né io né le mie guide sapevamo esattamente dove si trovasse. Abbiamo iniziato la salita lungo un bosco umido e intricato, ma già dopo circa mezz’ora ci siamo resi conto che non vi era sentiero e la vegetazione rappresentava un grande ostacolo al nostro avanzare. Abbiamo comunque continuato a salire lungo il costone per circa tre ore avanzando molto lentamente e utilizzando il machete ad ogni nostro passo. Continuavamo a salire su per la montagna, ma camminare appesantiti da pesanti zaini (circa 15 kg. ciascuno, in quanto avevamo provviste per circa 15 giorni), era sommamente difficile. Non solo per il peso intrinseco ma soprattutto per il fatto che i nostri zaini si incastravano in rami e liane di alberi, contrastando notevolmente il nostro cammino. Ad un certo punto, siccome erano già le 2 del pomeriggio ed eravamo provati dal sole cocente e dalla fatica, abbiamo deciso di lasciare gli zaini in un luogo sicuro e continuare l’esplorazione alleggeriti. Eravamo già ad un’altezza di circa 600 mt. s.l.d.m. e davanti a noi vi erano due cime. La fortezza doveva per forza trovarsi in una delle due “vette”, ma non sapevamo quale. Abbiamo così proceduto ad esplorare la prima, ma la totale mancanza di sentiero ci faceva dubitare sull’effettiva possibilità di ubicarvi la fortezza. Ave-

Yuri Leveratto vamo sete. Eravamo partiti solo con qualche bottiglia d’acqua e non avevamo trovato alcun ruscello nel nostro camino. Ormai erano le 4 del pomeriggio e così, a malincuore, ho deciso che dovevamo per forza rientrare verso gli zaini, per cercare un ruscello dove accampare. E così abbiamo fatto. Dal punto dove avevamo lasciato gli zaini c’era una ripidissima discesa, alla fine della quale forse vi era un ruscello. Tendendo le orecchie, si ascoltava un lontanissimo sciabordio, forse acqua corrente. E così, nuovamente appesantiti dagli zaini, abbiamo iniziato la difficile discesa e in circa 30 minuti siamo giunti ad un ruscello, dove scorreva acqua limpida e fresca. Abbiamo approntato il campo 2 proprio vicino a quel piccolo corso d’acqua, in un luogo incantato, ripromettendoci di tornare sulla cima della montagna l’indomani mattina. Dopo esserci rifocillati, ormai avvolti nel buio della notte, eravamo immersi in un’incredibile sinfonía di animali d’ogni tipo. Innanzitutto il fischio dell’uccello detto alguacil e il cinguettare di tantissimi altri volatili. Quindi il gracchiare di rane e le grida lontane di scimmie urlatrici. Ma soprattutto erano gli insetti i protagonisti incontrastati della nostra notte. Tantissimi moscerini, mosche, api, zanzare, lucciole, cavallette, forbici e libellule. Prima di accostarmi, mi sono avvicinato al ruscello per bere. Proprio dove stavo bevendo, la lanterna che avevo sulla fronte ha illuminato

FOTO: PARTE DEL MURO DELLA FORTEZZA

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Yuri Leveratto

L’enigma della fortezza megalitica di Ixiamas

una grosso ragno nero e peloso, il cui corpo era grande come il pugno di una mano. Ero pietrificato, ma ho mantenuto la calma e, muovendomi lentamente, sono rientrato verso la tenda situata a circa 5 metri dal torrente, in posizione rialzata. Un forte cicaleccio ci ha accompagnati mentre ci addormentavamo nel ventre della foresta. L’indomani mattina, già alle 7, abbiamo incominciato a camminare senza il pesante gravame degli zaini, e abbiamo risalito la montagna puntando direttamente alla cima che non avevamo esplorato il giorno prima (http://www.youtube. com/watch?v=queZdTBWax8). In circa 2 ore di caminata abbiamo raggiunto l’entrata della fortezza, e subito mi sono reso conto delle caratteristiche megalitiche di questa imponente costruzione. Si tratta di un area di circa 2 ettari circondata da una gran muraglia, lunga in totale circa 200 metri ed alta a volte fino a 3 metri. Al suo interno vi sono altri muri, più bassi, che probabilmente avevano la funzione di terrapieni. Ubicazione della fortezza di Ixiamas: Lat. 13 gradi 53’.621 Sud Long. 68 gradi 09’.51 Ovest Altezza: 903 metri s.l.d.m. (http://www.youtube.com/watch?v=GGoKMtBfny8) La costruzione è situata esattamente nella cima del monte, in una posizione dominante sulla sterminata selva bassa amazzonica. Dal luogo chiamato mirador si può scorgere in lontanaza il

Yuri Leveratto Nato a Genova nel 1968, ha conseguito la laurea in Economia nel 1995, e ha iniziato a lavorare presso un’agenzia marittima di Genova. In quel periodo ha dimostrato interesse per la letteratura e ha scritto il suo primo romanzo, “L’inverno dell’anima”. Successivamente ha vissuto a New York, dove ha lavorato come guida turistica, e poi, a partire dal 1999, si è imbarcato sulle navi da crociera della compagnia “Princess”, con funzioni amministrative. La sua passione per la fantascienza lo ha portato a scrivere “La guerra alle multinazionali”, e il suo proseguimento, “L’era degli autoreplicatori”. Nel 2004 ha lavorato come guida turistica in Italia.

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paese di Ixiamas, nella prateria a sinistra del Rio Tequeje. Da chi fu costruita? E soprattutto perché? A mio parere, la fortezza di Ixiamas fu costruita da un popolo sconosciuto pre-incaico che dominava la zona di selva alta inmediatamente adiacente alla selva bassa amazzonica. Il fatto che il muro difensivo sia così spesso e alto fa pensare che questo popolo sconosciuto fosse in guerra con i popoli della selva bassa amazzonica. Sull’ipotesi che la fortezza sia stata utilizzata dagli Incas ��������������������������������������� in epoche sucessive, vi sono pareri discordanti. La mia opinione è che gli Incas forse la utilizzarono, ma non a fini militari, in quanto è risaputo che mantenevano buoni rapporti con i Moxos, forse i veri sovrani del leggendario regno del Paititi. Forse fu utilizzata dagli Incas come magazzino per derrate agricole e luogo di scambio con i popoli della selva. Ma come la raggiungevano? E’ evidente che ci deve essere da qualche parte un sentiero che fungeva da accesso alla fortezza, ma molti anni d’abbandono lo hanno occultato quasi completamente. Dopo aver cucinato un piatto di riso e fagioli, proprio nel luogo chiamato mirador, siamo rientrati al campo 2, da dove abbiamo proseguito lungo il ruscello, nell’intento di raggiungere le rive del Rio Tequeje, per poter continuare così la nostra spedizione al Rio Alto Madidi.

Dal 2005 vive in Colombia, continuando a viaggiare venendo a contatto con culture autoctone, studiandone la cultura e il loro modo di vita. Appassionato di storia cerca di trovare nel passato degli spunti che gli facciano comprendere il presente e le relazioni tra gli esseri umani. Il suo sito web è www.yurileveratto.com. Tra i suoi libri ricordiamo: La ricerca dell’El Dorado (Infinito Edizioni, 2008) e…

1542. I primi navigatori dei Rio delle Amazzoni Lulu, 2009

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CANDIDA MAMMOLITI

Psicoanalisi e contatto cosmico

“Non so quanto ognuno di voi sappia sulla psicoanalisi dalle letture o per sentito dire. Sono comunque obbligato a rendere noto, che essa rappresenta un cammino irto di difficoltà e di affermazioni sgradevoli che urtano contro pregiudizi intellettuali ed estetico-morali”

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nizia così una delle numerose relazioni di Sigmund Freud, colui che è considerato a tutt’oggi il padre della psicoanalisi, presentata ad un pubblico accademico nell’Università di Vienna all’inizio di questo secolo. “La prima di queste sgradevoli affermazioni della psicoanalisi”, continua Freud, “è che i processi psichici sono di per sé inconsci e che di tutta la vita psichica sono consce soltanto alcune parti e alcune azioni singole. Tenete presente che, al contrario, noi siamo abituati ad identificare lo psichico con il cosciente. La coscienza è da noi ritenuta addirittura la caratteristica che definisce lo psichico, la psicologia

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la dottrina dei contenuti della coscienza. Questa equiparazione ci sembra talmente ovvia, che crediamo di avvertire come palese controsenso ogni sua contestazione. Tuttavia la psicoanalisi non può fare a meno che sollevare questa contestazione, né può accettare l’identità di cosciente con psichico, bensì deve sostenere che esiste un pensiero inconscio e un volere di cui si è inconsapevoli.” Sigmund Freud, nato il 6 maggio 1856 a Freiberg, in Moravia, uno dei più insigni studiosi dell’animo umano, era abituato a giocarsi la simpatia di tutti gli amici della sobrietà scientifica del suo tempo. I suoi studi e le sue teorie innovative pubblicate in numerosi saggi hanno voluto scuotere le fondamenta di una civiltà sostanzialmente moralista e pervasa da condizionamenti etico-religiosi. Freud suddivide l’interiorità individuale in una parte psichica, fondamentalmente inconscia, che definisce “il cieco ES”, nell’ “‘IO”, ovvero parte razionale e cosciente, espressione

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Psicoanalisi e contatto cosmico dello stato evolutivo dell’individuo e nel “SUPERIO”, che significa letteralmente “ciò che è al di sopra dell’Io”, inteso come rigida strutturazione sociale, le norme e le leggi che regolano la vita degli uomini. L’Io si troverebbe dunque teso tra gli impulsi psichici inconsapevoli e le regole di adattamento alla società in cui vive. Carl Gustav Jung, nato il 26 luglio 1875 a Kesswil, nel cantone svizzero di Turgovia, medico e psicologo dalle conoscenze enciclopediche, si spinse oltre le teorie freudiane, sostenendo l’esistenza dell’inconscio collettivo, una “zona transpersonale” situata nelle profondità del nostro essere, scenario inesplorato, luogo di manifestazione dei fenomeni “dell’anima dei popoli”, una sorta di “piazza” dove ci siamo noi con la nostra individualità e dove evidentemente ci sono anche “altri”, o quantomeno i loro influssi. Oltre all’inconscio collettivo, Jung studiò molti altri aspetti dell’indole umana con tutte le sua caratteristiche, osservandone attentamente le sue interrelazioni con l’ambiente circostante, inteso come vicino, immediato, etnico-sociale, universale. Di particolare importanza ritengo siano state le sue ricerche riferite all’energetica psichica, su cui intendo soffermarmi. Jung sostiene che sia stato dibattuto a lungo il problema se l’evento psichico possa o no essere sottoposto anch’esso a una concezione energetica. Non esiste a priori nessun motivo per cui ciò non dovrebbe essere possibile, poichè non vi sono ragioni di distinguere l’evento psichico dai dati obiettivi dell’esperienza, dal momento che anche ciò che è psichico può essere a sua volta oggetto d’esperienza. Il concetto di energia psichica è da un punto di vista scientifico altrettanto legittimo quanto quello di energia fisica, e l’energia psichica ha le stesse misure quantitative e le stesse diverse forme dell’energia fisica. Inoltre egli dichiara di essere persuaso che l’energia psichica sia intimamente connessa con il processo fisico, benché al momento attuale non siamo a perfetta conoscenza di come ciò avvenga. La relazione psicofisica è, a suo parere, un problema che un giorno sarà risolto. Intanto, però, la psicologia non deve lasciarsi arrestare da questa difficoltà, ma può considerare la psiche come un sistema relativamente chiuso che merita essere trattato come un fenomeno in sé e non come epifenomeno della chimica organica

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Candida Mammoliti del nostro corpo. Possiamo quindi affermare quanto segue: 1. Le energie psichiche sono quantità e grandezze analoghe alle energie fisiche. 2. Esse sono reciprocamente trasformabili l’una nell’altra, in quanto forme diverse del lavoro psichico e della potenzialità psichica. 3. Possono ugualmente essere trasformate in energie fisiche e viceversa grazie all’intervento dei processi fisiologici. Le energie psichiche non sono quindi da ritenere un epifenomeno biologico, bensì un sistema relativamente chiuso. Ma dove potremmo ubicarlo? Molte culture antiche ammettevano l’esistenza di un altro corpo oltre a quello fisico. Possiamo definirlo un doppio energetico avente le stessi forme di quello materiale. In Egitto era noto come ka, i Greci lo conoscevano come eidolon, i Romani come larva, mentre nel Tibet ancor oggi è chiamato il corpo bardo. In Germania era ed è denominato energetischer Doppelgänger, oppure Astralkörper, in Norvegia è il fylia, gli antichi britannici gli davano vari nomi: fetch, waft, task e fye. Per i cinesi è il thankie, per gli indù il pranamayakosha. Il doppio energetico, o semplicemente il corpo astrale, è a sua volta formato da diversi corpi sottili e composto da diverse “sostanze”. I fenomeni astrali sono da anni oggetto di intenso studio presso la Society of Psichical Research a Londra. Uno dei maggiori studiosi in questo campo è l’inglese Robert Crookall, biologo e geologo, che ha aggiunto una gran mole di dati alle già esistenti conoscenze in questo indubbiamente difficile settore. In base alle sue ricerche egli evidenzia una componente semifisica del corpo astrale, costituita da ectoplasma, o da ciò che egli chiama “la parte ultra-gassosa ed elettromagnetica dell’intero corpo fisico”. Vi è anche la prova che il doppio energetico sia fondamentalmente di natura elettrica, la cui funzione è interconnessa con quella degli elettroni; ma non solo, tutti i campi elettrodinamici che tengono insieme il nostro organismo sono in interrelazione con il veicolo astrale. Veicolo astrale, si perchè di un “veicolo” in realtà si tratta, il quale, in particolari circostanze, può essere proiettato dall’individuo fuori dal

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Candida Mammoliti corpo fisico. Rimanendo pur sempre collegato tramite il cosiddetto “cordone argenteo” al corpo materiale, esso può viaggiare oltre la dimensione fisica e sensoriale in maniera appunto extra-corporea, extra-sensoriale e riportare a livello conscio, inconscio oppure onirico dell’individuo tutte le esperienze raccolte durante la proiezione fuori dal corpo. Il veicolo astrale è chiaroveggente ed emotivamente ricettivo oltre la soglia del proprio essere, in un modo che posso solamente definire collettivo. Esso sarebbe inoltre in grado, per sua affinità naturale, di assorbire energia cosmica, una forza presente ovunque. Osservando le tradizioni di antichi popoli e tribù, che troppo spesso nelle nostre latitudini sono spregevolmente definiti “primitivi”, scopriamo quanto profonda sia la loro saggezza. I Dakota, per esempio, concepiscono così questa forza: il sole è wakanda, non il wakanda o un wakanda, ma semplicemente wakanda. La luna è wakanda, e così pure il tuono, il fulmine, le stelle, il vento. Sono wakanda anche gli animali, gli uomini, specialmente gli sciamani, e così pure i demoni degli elementi e gli spiriti. L’espressione wakanda può forse essere resa, a preferenza di ogni altro termine, con “segreto”, ma anche questo concetto è troppo ristretto, perciò wakanda può significare anche sacro, vecchio, grandezza, animato, immortale. Analogamente al wakanda dei Dakota, l’oki degli Irochesi, il manitù degli apache, sono

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Psicoanalisi e contatto cosmico usati da questi popoli nel significato astratto di “energia produttiva”. Wakanda è la concezione di un’energia vitale o di una forza universale diffusa ovunque, invisibile, ma che può essere maneggiata e trasferita. Molto simile è il concetto di wong presso i popoli della Costa d’Avorio. Wong può essere un fiume, un albero, un amuleto e così pure laghi, sorgenti, termitai, alberi, coccodrilli, serpenti, uccelli. Wong sta a dimostrare un rapporto dinamico tra l’uomo e la creazione. Le ricerche dell’etnologo C. Lumbholtz, pubblicate nel suo libro “Unknown Mexico”, hanno dimostrato che anche i Huichol messicani possiedono una concezione fondamentale di una forza che circola tra gli uomini, gli animali, le piante e che è presente in tutto il creato. E che dire degli antichi celti, che con i loro riti druidici e le loro conoscenze sulle leggi che governano la natura erano in grado di porsi al di sopra della realtà materiale e visibile per mettersi “in contatto con una realtà superiore”, una dimensione che andava ben oltre la percezione sensoriale. Narra Tuan Mac Carell, un capo irlandese della contea di Donegal, nel suo libro scritto attorno al 1100 d.C., racconta che in tempi remoti e imprecisabili scese dal “cielo” un popolo di divinità denominato “Tuatha de Danann”, definizione questa significante “le genti del dio la cui madre è Danu”. Talvolta Danu porta anche il nome di Brigit, una dea tenuta in grande onore nell’Irlanda

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Psicoanalisi e contatto cosmico pagana. Danu era figlia del dio Dagda, “il buono” e madre di Ecne che significa “sapienza e poesia”. La tribù a cui diede il suo nome rappresenta la personificazione più chiara delle potenze della luce e della sapienza che si trova nei miti irlandesi. Bisogna ricordare che tra tutte le tribù mitiche, Tuan Mac Carell attribuì la qualifica di “dei” soltanto al popolo di Danu, definito da lui stesso (Mac Carell) anche “popolo dei megaliti” e divinità tutelari delle scienze e della poesia, conoscitori delle energie universali. Ritornando ai nostri giorni, da quanto fin qui esposto possiamo dedurre che siamo sostanzialmente energia e che ogni forma fisica è un’espressione dell’energia stessa che la contiene. Abbiamo evidenziato che il nostro raziocinio, legato com’è ai nostri sensi, non può inabissarsi fino in fondo al nostro mondo interiore. Rimane quindi in noi una “zona inesplorata”, l’inconscio personale o collettivo che sia, dal quale emergono in continuo impulsi e sensazioni che il nostro stato cosciente cerca di elaborare. In ufologia abbiamo potuto ripetutamente constatare nell’ambito dello studio degli incontri ravvicinati del terzo e del quarto tipo, che sono esattamente le nostre energie, oltre alla nostra biologia, a destare particolarmente l’interesse di coloro che ci contattano e evidentemente ci studiano; l’utilizzo delle loro energie mentali, spirituali o altamente tecnologiche, le terminologie si confondono, nell’avvicinarci e nel comunicarci sin dai tempi remoti messaggi universali. Evidentemente ciò non sarebbe possibile se tra noi e loro non esistessero delle similitudini ed affinità. Una volta in più ci si rende conto che occuparsi di ufologia e di fenomeni extraterrestri significa al medesimo tempo cercare di capire meglio chi siamo, da dove proveniamo e dove siamo diret-

Candida Mammoliti Presidente del Centro Ufologico della Svizzera Italiana. Frequenta le Scuole Magistrali italiane a Como ed ottiene il certificato FSEA 1 (Certificato Federale CH) come formatrice di adulti a Lugano. Sin da adolescente si dedica alla ricerca interiore, alla filosofia (specialmente quella orientale), alla manifestazio-

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Candida Mammoliti ti. Banditi i fanatismi e gli aspetti patologici del contattismo ci troviamo di fronte ad una palese realtà che ci mostra che per nostra integra e naturale costituzione siamo da sempre compartecipi ad un universo multidimensionale, di cui noi stessi rappresentiamo con tutte le nostre caratteristiche uno specchio. Siamo un microcosmo nel macrocosmo, popolato da creature diversificate tra di loro, così come d’altronde lo siamo anche noi. Sono persuasa che nella nostra interiorità vi siano tutte le soluzioni e le risposte ai nostri grandi enigmi ed interrogativi esistenziali, ma che queste giacciano nascoste in quella parte di noi che i padri della psicoanalisi Freud e Jung appunto hanno denominato “l’inconscio”, personale o collettivo. Se lo desideriamo veramente, nulla ci potrà distogliere dal riconoscerle, a tempo debito, inseguendo il nostro cammino evolutivo su questo pianeta, che irrefrenabilmente, nonostante le macchinazioni e le menzogne legate a sinistre forme di abuso di potere, ci condurrà ad una consapevolezza maggiore di noi stessi e, a mio avviso, ad un inevitabile contatto cosmico tutto da scoprire, al quale siamo storicamente destinati. Fonti bibliografiche: - Introduzione alla psicoanalisi, Sigmund Freud, ed. Boringhieri - Energetica psichica, Carl Gustav Jung, ed. Boringhieri - L’inconscio, Carl Gustav Jung, ed. Oscar Mondadori - Il corpo astrale, Herbert B. Greenhouse, ed. Armenia - I miti celtici, T.W. Rolleston, ed. TEA

ne dei valori cristiani, ai problemi della comunità, soprattutto di quella italiana, all’estero. Nutre una particolare dedizione per l‘apprendimento delle lingue, per la comunicazione, la recita e per lo studio del periodo storico arturiano-medievale. Dal profondo interesse verso il senso dell‘esistenza umana, la nostra evoluzione e l‘universalità, promuove nella Svizzera Italiana un innovativo campo di studio scientifico, quello della ricerca di vita intelligente nello spazio.

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Il tempo

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ell’arcaica terra di Persia, intorno al 558 a.C., comparve lo zoroastrismo. Il culto era legato alla figura del profeta che lo professava, un tale Zoroastro, conosciuto in seguito con l’appellativo di Zarathustra. Dalla comparsa di tale profeta nulla fu più come prima. Egli, al pari del nakhash biblico, ossia il serpente che sedusse Eva, educò l’umanità sul concetto di bene e male, individuando, provocatoriamente, che essi erano separati dalla nascita. Il profeta avestico sosteneva che esisteva un solenne dio di nome Zurvan (conosciuto anche con l’appellativo di Zervan), che incarnava l’essenza del Tempo. Alla stregua del Kronos ellenico, anche Zurvan possedeva dei figli, per l’esattezza due: Ahura Mazda e Ahrìman. Essi detenevano anche i titoli di Ormudz e Angra Mainyu, e da loro essenza provenivano tutti gli dei, tutte le presenze divine insite nello spazio. I possenti figli di Zurvan rappresentavano: Ahura Mazda

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la Luce, per cui il bene, Ahrìman, che in antico avestico indica la menzogna, le tenebre, per cui il male. I loro figli, o seguaci, a loro volta, incarnavano tali realtà, e tutto si svolgeva nella perenne lotta tra le fazioni opposte legate ai due gemelli. Zurvan è un nume alquanto particolare, dalle fattezze leonine, avvolto tra le spire di un serpente. La morsa spiraliforme del rettile fascia l’onnipotente divinità per ben sette volte. Sette, come i giorni che impiegò Elohim per fabbricare lo spazio attorno a noi, il tutto. Mosè dichiara, nel Libro della Genesi, che dio disse: “E sia Luce”, “E Luce fu”! (Ge 1,3) Egli però comprese che la Luce era cosa buona, a differenza delle tenebre, per cui le divise, le separò alla nascita. In questo caso compare un chiaro riferimento allo zoroastrismo, poiché, simile a Zurvan, anche Elohim separa le sue creature, additandone le peculiarità. La religione semitica ha molto in comune con il culto professato da Zoroastro, e

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Il tempo queste poche righe ne donano e ne evidenziano un esplicito riferimento. In seguito il culto legato alla figura del Cristo, il cristianesimo, rincorse tale ragionamento. A dire il vero fu la Chiesa edificata da Pietro a tessere le lodi di tale concetto, indubbiamente ripreso dal culto di Mitra. In epoca Aureliana, nell’Impero Romano, vennero fatte le prove per la religione di stato. Sotto l’Imperatore Aureliano, Roma conobbe il monoteismo, avvolto nella figura del Sol Invictus. Il culto, che influenzò menti del calibro di Costantino e di suo nipote Giuliano, detto l’Apostata (il Rinnegato), ultimo imperatore pagano, escludendo l’usurpatore Eugenio, si basava sul credo del sole in quanto divinità imperitura, a cui si deve la vita nell’intero universo allora concepibile. In seguito, dal concilio di Nicea, fino all’ultimo baluardo di resistenza pagana, demolito dall’Imperatore Teodosio, le varie sette cristiane, in particolar modo l’arianesimo e il manicheismo, anche se condannate in quanto ritenute profane, e il mitraismo, si fusero, generando l’attuale Sacra Romana Chiesa, il cattolicesimo. Mitra, senza dubbio alcuno, è l’ombra di Zoroastro. Quanto la Chiesa fosse commessa con lo zoroastrismo, viene reso evidente nei mosaici della stupenda Ravenna, ex capitale imperiale sotto Teodorico. Le figure dei profeti, e i particolar modo quelle legate a Daniele e ai magi, vennero ritratte con il cappello frigio, tipico delle culture orientali, per la precisione persiane. Mitra viene rappresentato nell’atto di sacrificare il toro, con indosso un berretto frigio, a indicare la sua provenienza. Questo sottolinea che Zurvan raggiunse ogni angolo dell’Impero, soprattutto a ovest, per cui il suo culto non ebbe confini. Zurvan, come esposto, non rimase relegato nelle sue terre d’origine, anzi, viaggiò molto, e quando raggiunse le sponde elleniche divenne Kronos. Tuttavia è da precisare che Zurvan deteneva due facce, come Janus, il Giano latino, una detta akarana, e l’altra, dareghochvadbata, ossia il tempo imperituro e quello perituro. Akarana richiama a se il concetto di tempo infinito, quello che

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Paolo Rinaldini spesso rappresentiamo con l’anima, che non trova mai fine, un continuum in movimento, senza mai cessare. Dareghochvadbata, a sua volta, incarna il tempo menzogna, vale a dire la vita, che possiede un inizio e una fine, la morte, che muta, ma con scadenza! Di tutto ciò ne erano consci anche i sofisti greci, che suddividevano Kronos, il Tempo, in Chronos, il tempo lineare e quantitativo, e Kairos, il tempo preciso, qualitativo. I due termini sono di certa provenienza orientale, probabilmente possiedono un’intima relazione con l’origine orfica dei testi greci. Gli orfici, e Aristofane ben ce lo evidenzia nella sua opera Uccelli, asserivano che Eurinome, la dea degli ampi spazi, giunta dal nulla, tramutatasi in colomba, si unisce con Borea, il vento, la ruakh biblica, sotto le sembianze di un serpente. Dall’unione due si viene a generare il tutto, essi sono i cosmocrator, i signori del cosmo, i demiurghi. In seguito Zurvan divenne Krons Aion, ossia il tempo nelle sue forme conosciute, ma contraddistinte da un unico elemento, come era in origine. Poiché con Kronos viene indicato il tempo infinito, e con Aion un periodo preciso, spesso indicato con un’era, un’epoca, contraddistinto alle volte da un ciclo di mille anni; un intervallo preciso. Purtroppo l’influenza della cristianità, eredità del Sol Invictus, per meglio dire di Ahura Mazda - e già, perché di esso stiamo parlando – manifestò che il tempo era legato al maligno, a Satana, per cui Aion divenne sinonimo di morte e non più di vita, e al tempo venne affibbiato il marchio del male. La figura di Ahrìman non scomparve, ma venne sempre più allontanata da quella del gemello, ritenendo che esse quasi non avessero più nulla a che vedere l’una con l’altra, come se una potesse fare a meno dell’altra. In pratica il tempo venne rapportato al male, per cui alla materia, alla terra, allo spazio, come se essi fossero qualcosa di cui l’umanità potesse farne a meno. Viceversa al Sol Incictus, Ahura Mazda, venne dato il titolo di bene, Luce, ciò che non ha nè principio e nè termi-

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Paolo Rinaldini ne, non racchiudibile in alcun pensiero o concetto umano. Questa visione non soltanto prese campo nella Chiesa, ma i suoi germogli attecchirono anche tra le sette cristiane eretiche rimaste in vita. I manichei, fedeli alle parole del profeta Mani, tra i quali il più illustre fu senz’altro Sant’Agostino, poi convertitosi, si tramutarono in Catari e Albigesi, e divennero sostenitori delle crociate, in seguito vennero considerati eretici e condannati. Tuttavia il culto di Zoroastro permase a lungo in Persia, sia durante i sovrani Achemenidi, ove ebbe il suo maggior lustro, sia tra i Sassanidi, ove grazie a Mani riprese nuova forza. Infine parve crollare sotto la sciabola islamica, ma ricomparve tra i Sufi. Ma tutto ciò, cos’ha a che vedere con il tempo, vi domanderete! Tutto! La battaglia, che ogni giorno supponiamo sussista, tra il bene e il male è legata alla figura del Tempo, di Zurvan, come asseriva lo stesso Zoroastro. Nietzsche era un fautore e ammiratore di Zoroastro, oltre che di Shiva e Dioniso, e nei suoi poemi ribadiva il concetto di Tempo in quanto dio! La nostra società ha mitizzato il tempo fino ad innalzare altari in suo onore. “Il Tempo è tiranno”, sosteniamo dire, ma tiranno di cosa o di chi? Delle nostre vite, di noi. Tutto è legato al tempo, e gli orologi che ci avvolgono il polso, simili a perfidi serpenti, ne sono il suo simbolo. Un serpente che si morde la coda, essi sono, ouroboros malefici che dettano le leggi di Zurvan, come fece Yhwh con Mosè. Ma allora questo Tempo è da considerarsi bene o male? Né l’uno, né l’altro!

Paolo Rinaldini Scrittore, giornalista freelance, Esegeta, esperto in Filosofia e Teosofia, studioso di Simboli e Archetipi, Ricercatore, Alchimista, Esoterista, Operatore Tuinà, Radioestesista. Tiene seminari e corsi, nonché sedute individuali. Scrive per differenti mensili e riviste, con cui collabora e tiene conferenze. Il suo sito

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Il tempo Egli è ciò che è, per cui per esso vale l’equazione: Tempo : Spazio = Male : Bene È proprio l’incontro tra il bene e il male, tra lo spazio e il tempo, incarnate nella figura di Zurvan, che si compie la vita e la morte, l’eterno mutarsi. Non a caso ho scelto questo verbo, mutare, perché è ciò che fa il serpente al sopraggiungere della sua evoluzione: muta la sua pelle, ma la sostanza rimane pur sempre la stessa. Il serpente, che convinse e sedusse Eva nell’Eden, è da considerasi maligno o benigno? Poiché il problema resta sito in questi due termini, come si deduce nell’advaita vedanta indù la conoscenza del non duale. Nulla è tale, se non in raffronto a qualcosa! Il concetto orientale taosista di Yin e Yang ci viene, in questo particolare caso, incontro, poiché tutto è Yin e Yang allo stesso tempo. La nostra testa è Yang in confronto ai nostri piedi, ma Yin in raffronto al cielo, come esso diviene Yin per il resto del cosmo, tutto è in relazione a chi sta esaminando. La morte cruenta di una zebra, a causa di un attacco da parte di un leone, è un evento cruento per il suo branco, tuttavia sorgente di vita per quello del felino. Il terrorista è tale per l’occupante, un eroe per l’occupato! Per Zoroastro il tempo non era un’emanazione di dio, ma dio! E come valuta il profeta Giona (che ben illustro nella mia opera Giona, come una Colomba nella pancia di una Balena), il tempo è dio, alla maniera in cui lo siamo noi, per cui va amato, ma non venerato! Il Tempo è qualcosa da considerare decisamente importante, al pari del nostro corpo, della materia, dello spazio, di cui non possiamo fare a meno se collocati in un mondo dimensionale, ma ciò non deve permettere a nessuno di essi di erigersi a sovrano del tutto, della nostra vita.

web è www.paolorinaldini. com. Delle sue pubblicazioni ricordiamo:

Giona, come una colomba nella pancia di una balena Anima Edizioni, 2011

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BENEDETTO SETTE

Reportage a Bougarach e Rennes le Château

FOTO: IL PICCO DI BUGARACH VISTO DA RENNES LE CHATEAU

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agosto 2011, route departementale 14. Ci stiamo nuovamente dirigendo la nostra visita a Rennes le Château, che ci ha letteralmente soggiogati. Appena usciti dall’ennesima curva, ecco apparire davanti a noi l’impressionante picco di bugarach... qualche secondo di silenzio scende nell’auto, quasi a voler sottolineare il momento tanto atteso. Il mio compagno di viaggio ed io ci guardiamo con un sorriso malizioso, che la dice lunga sul nostro interesse per questa montagna. Ma facciamo un passo indietro e vediamo cos’è in verità il picco di bugarach. Questa montagna ha ispirato moltissime “leggende”, tra le quali la più conosciuta è quella dell’eremita che ci abitò in un tempo remoto. Con un aspetto cataclismico, ma allo stesso tempo estremamente affascinante, essa è interessata tra l’altro da uno strano fenomeno metereologico di foschia, che ricopre quasi perenne-

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mente la cima e che, per effetto di penetrazione della luce solare, gli da un aspetto terrificante. Bisogna inoltre sapere che il sorvolo di questa vallata è vietato a qualsiasi tipo di aereo, civile o militare che sia, perché passando al di sopra della montagna gli strumenti elettronici impazziscono, ed è estremamente sorveglita da un reggimento di paracadutisti e dalla gendarmeria, anche se noi non ne abbiamo vista neanche l’ombra... Si nota comunque un interesse particolare, nei confronti di questa montagna, da parte di diversi governi; sembra che la Germania ed Israele, sotto la copertura di ricerche petrolifere e minerarie, vi stiano cercando la Menorha, il candeliere a sette braccia del tempio di Salomone, che sarebbe stato nascosto in paese Cataro dai romani o dai Cavalieri templari. Istituti di ricerca con dei budget incredibili e dei mezzi che lo sono altrettanto, una volta interrogati rispondono che le

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Reportage a Bougarach e Rennes le Château loro ricerche mirano a trovare un reperto storico, probabilmente un manoscritto, quello della Regina Bianca di Castiglia, che spiegherebbe l’origine dell’uomo e la sua discendenza. Dunque, lo stato francese, israele, lo stato tedesco e i privati... Tutto questo interesse sembra un pò sospetto anche perché, quando le grandi banche offrono cifre di questo genere per finanziare delle ricerche “storiche,” la cosa comincia a puzzare di bruciato. Che cosa c’è realmente sotto questa montagna? Esiste (e a tal proposito si hanno fonti sicure) un dossier top-secret presso il ministero della difesa francese che si chiama Mérovingiens e che contiene una somma straordinaria di informazioni storiche, dal 1600 ad oggi, su tuttti i personaggi legati a questi luoghi. Che ci fà un dossier storico nei cassetti del ministero della difesa? Strano, stranissimo... In effetti, la verità sembra un’altra... stanno cercando di mettere le mani su un portale temporale, o nodo temporale, altro che manoscritti! Oppure, probabilmente, stanno cercando di proteggerlo. Ci si puo riferire alla leggenda della Guerta, la porta del mondo sotterraneo, dove vivono gli Dei immortali, che decidono dell’avvenire dell’umanità! Oppure ad un lago sotterraneo contenuto nella montagna, con un canale che raggiungerebbe il Mediterraneo che è a circa 95km di distanza, ed una enorme grotta, che ospiterebbe una base aliena con differenti veivoli volanti non convenzionali. Il ricercatore indipendente Jimmy Guieu, che fu uno dei maggiori esperti in europa dei fenomeni ufo, morto tra l’altro in circostanze pocco chiare, fece all’epoca un’intervista a Jean Rignies, altro ricercatore indipendente, abitante nei pressi di bugarach, che ritrovò vicino alla montagna delle grotte costruite da “mani”(ma non si sa da quali), che hanno intrigato la comunità scentifica a causa del loro utilizzo; per alcuni esperti erano

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Benedetto Sette

FOTO: TORRE MAGDALA

tombe, per altri invece dei forni: dunque è chiaro che gli esperti brancolavano nel buio. Ma lui non si fermò li, fece analizzare dai laboratori militari i piccoli pezzi di vetro ritovati all’interno di una di esse, e risultarono avere più di 4000 anni. Un libro, conservato negli archivi di Tolosa e accreditato ad un gesuita nel 1920, racconta che in questi forni esistevano reperti di ceramica risalenti al 6500 prima di cristo. Mi sembra chiaro che nel frattempo siano state fatte le “pulizie” di rito. Ma la cosa più affascinante è che Jean Rignies sia riuscito ha registrare dei rumori provenienti da queste “aperture” nella fiancata della montagna, ed a definirli come rumori di rotatrici da imprimeria, dei rumori meccanici di motore o simili. Dunque, intrigato, si procurò un magnetometro a protoni per infiltrarsi in profondità, attraverso una scanzione del suolo. I risultati furono incredibili. Ad una profondità di 25 metri risultò esserci, secondo la lettura radar, l’equivalente di una cupola metallica di 35 metri di lunghezza e 25 di larghezza, spessa un metro; secondo le sue ricerche, questa è la base aliena di bugarach che

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Benedetto Sette si estende su molti chilometri, e i suoi occupanti non sarebbero altro che gli extraterrestri della Bibbia, gli Eloim... gli Dei, gli angeli, i messaggeri. E cosa dire di Jules Vernes che fà regolarmente riferimento (con degli enigmi) a bugarach, nelle sue diverse avventure scritte a quel tempo? E poi il legame inconfutabile con Rennes le Château, e con l’Abate Sauniere, che verso la fine dell’ottocento ereditò questa modesta chiesa e fece delle scoperte senza alcun dubbio eccezionali, probabilmente legate all’immenso tesoro dei Templari, che questi ultimi avevano molto probabilmente nascosto in paese Cataro dalle genti che erano chiamate gli uomini buoni, data la loro grande onestà e il loro rispetto per i testi antichi e gnostici. La stessa fedeltà che costò un vero e propio massacro, organizzato dalla chiesa cattolica e dai regnanti di quell’epoca, solo e soltanto per arricchirsi di questo tesoro. Ma non solo, egli scoprì probabilmente dei manoscritti che indicavano che le origini umane non erano quelle descritte nei testi classici cattolici. Si parla anche della tomba del Re Clovis, che racchiudeva forse le indicazioni del luogo dove era nascosto il tesoro, e molto probabilmente dei testi che provavano il legame di sangue di alcuni nobili di quel tempo con il Re Davide, o con il Cristo stesso. La partcolarità è che in linea retta con questi luoghi, in direzione del mare, si trova il paesino di Santa Maria del Mare, dove molte leggende antiche lasciano pensare che Maria sbarcò in fuga dalla palestina in Francia, con Maddalena e la “santa” progenitura. L’Abate Sauniere accolse in differenti occasioni il Gran Maesto dell’Ordine del Priorato di Sion; nella chiesa sono raffigurate per ben 70 volte le lettere MS (Mont de Sion), e sappiamo tutti che questo ordine è il detentore abusivo di tutte le verità dell’umanità e la “colonna” pricipale del NWO (Nuovo Ordine Mondiale), che racchiude cattolici, ebrei, gesuiti e musulmani per un solo ed unico scopo che è noto a tutti noi! L’Abate Saunieres scoprì il legame ancestrale tra la razza umana e quella degli Elohim, che descriveva come discendenti con la loro gloria. Anticamente si indicava per gloria la possente luce divina, dunque probabilmente qualche veivolo discendente da cielo. Questo fu provato dal fatto che, in punto mor-

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Reportage a Bougarach e Rennes le Château te, egli convocò il parroco del paesino adiacente per l’estrema unzione e, confessando i suoi peccati, aggiunse il resoconto di ciò che aveva scoperto sull’origine della vita. Il parroco in questione, dopo aver udito ciò, rifiutò categoricamente di dargli l’estrema unzione, e se ne andò scandalizato. Gli fu concessa post mortem, due giorni dopo. Molti ricercatori, scrittori e storici affermano che le richezze accumulate dall’Abate Sauniere erano dovute ad un traffico di messe che lo stesso aveva organizzato con l’ausilio di altri tre preti dei paesini vicini a Rennes le Château, ma personalmente dubito molto su questa soluzione perché, a conti fatti, avrebbero dovuto dare 25 messe al giorno... secondo me questi sono documenti falsificati dall’arcivescovo di Tolosa, che intervenne dopo la morte del primo arcivescovo, che era tra l’altro amico di Saunier, per cercare di impadronirsi del tesoro. Oppure i documenti che Sauniere avrebbe ritrovato nella tomba di Clovis preocupavano qualche monarca europeo, timoroso di ritrovarsi illeggittimo davanti a una falsa affiliazione sanguigna. Il silenzio di Sauniere fu ricompensato in maniera sostanziale. Non bisogna dimenticare che si era nobili, dunque proprietari e Re, attraverso il sangue di discendenza divina. Visto tutto ciò ci si chiede: ”cosa succede a Bugarach?” Le apparizzioni di oggetti non identificati è fatto ricorrente da queste parti, non c’è un abitante a bugarach che non abbia visto un ufo almeno una volta sorvolare il picco, e poi sparire nel nulla in un lampo di luce accecante. Già! sorrido alla battuta del mio compagno di viaggio, che mi dice: ”Qui è probabilmentte il casello autostradale dimensionale degli extraterrestri”! Ci fermiamo proprio davanti al cartello stradale “BUGARACH”per fare una foto, ed un’auto si ferma al nostro fianco; l’uomo alla guida ci dice sorridendo: ”Buongiorno, per favore non rubatemi il cartello, perché è l’ultimo che mi è rimasto”... in effetti questo signore non è altro che il sindaco del paesino, che ci racconta che, da qualche tempo, i turisti di passaggio rubano i segnali con la scritta bugarach. Ne chiedo la ragione al sindaco e le spiegazioni sono molte, ma una sembra la più accreditata: sembrerebbe che, da determina-

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Reportage a Bougarach e Rennes le Château ti testi di origini a me sconosciute, si dica che il picco di bugarach sia uno de pochi posti in Europa a sopravvivere alla castrofe fin troppo anunciata del 21 12 2012. E cosi migliaia di persone stanno prenotando tutto ciò che è prenotabile nei dintorni del picco, tanto che che già da oggi non esite più alcuna possibilità di trovare una benché minima stanza nel raggio di 50 km per la settimana del 21 12 2012. Addirittura ci racconta che, da fonti sicure del ministero dei transporti, che lo avvisò qualche mese fà, vi è un numero considerevole di riservazioni di biglietti aerei di sola andata provenienti dagli USA, dall’Australia, ecc. in direzione di Tolosa e bugarch. Ci dice inoltre che, al di là del lato folcloristico di certi individui, visti aggirarsi in paese in abiti da “guerre stellari”, o di pseudo extraterrestri, o della comunità di persone “new age” che si è stabilita con tende sul fianco della montagna, la cosa che lo preoccupa di più è che bugarach sia un piccolissimo paesino che non dispone di strutture adatte per ricevere una tale affluenza di persone, soprattutto nel periodo invernale, quando la temperatura vi scende al di sotto dello zero spesso e volentieri. Quindi, egli teme incidenti dovuti al freddo. Per tutti coloro che avrebbero deciso di recarsi costi quel che costi a bugarach il 21 12 2012, consiglio vivamente di disporre di materiale ed attrezzatura invernale di altissima qualità. La montagna è a 1200metri, ed è caretterizzata in inverno da un vento freddissimo... siate cauti. Ci arrampichiamo sul fianco sud della montagna, ma dopo qualche centinaio di metri siamo costretti ad fare marcia indietro, poiché la foschia di questo tardo pomeriggio ci impedisce di continuare, ed udiamo le voci degli ultimi “esploratori” che riscendono a valle tra le brume...

Benedetto Sette Il tempo ci manca e siamo costretti, nostro malgrado, ad abbandonare questo posto che in poche ore ci ha disorientato un pò, come la nostra macchina fotografica, che soltanto dopo 10 minuti di utilizzo ci lascia, senza energia... qui si scarica tutto. Entriamo in macchina e, sorpresa, quest’ultima non parte. Una macchina affittata 2 giorni prima, e con revisione recente. Sono assai sconcertato ed estremamente stressato. Spingiamo la macchina (eravamo in discesa, fortunatamente!), ed arrivati al primo garage della zona mi fermo per verificare il problema. Il meccanico dopo 5 minuti mi dice: “Caro signore, il suo alternatore è bruciato!” “Come bruciato? – rispondo io - la macchina è praticamente nuova!”(17000km). “In effetti - aggiunge lui - ”l’alternatore è praticamente nuovo, ma è bruciato”. Incredibile, siamo rimasti sulla montagna soltanto 2 ore! Siamo sempre più sconcertati, e ne faccio parte il meccanico mentre ci offre un caffè; lui telefona alla Mondial Assistance per mandarci una macchina di sostituzione. “Ah, siete stati sul picco? Beh, allora è normale! il magnetismo li è impressionante... Poi gli spiego che stiamo facendo un reportage su bugarach, e gli espongo i punti più misteriosi della storia. Lui mi dice senza battere ciglio: ”Al posto vostro, prenderei le poche immagini e informazioni che avete e andrei via da qui”. Al quel punto mi faccio insistente e domando il perché, e lui mi risponde: “Da queste parti i curiosi che rimangono troppo in paese, alla fine, hanno tutti qualche “problema” con ‘gli altri’”. Gli domando chi siano “gli altri”, e mi risponde:

FOTO: IL PICCO DI BUGARACH VISTO DA PIÙ VICINO

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Benedetto Sette ”Gli altri! E fidati, sono coloro che ti guardano, e che tu non vedrai mai... sappi che qui noi non lasciamo giocare i nostri figli da quelle parti... e questo da tempi immemorabili”. E non aggiunse altro. Ci portò gentilmente in un piccolo ristorante non lontano, dove cenammo in attesa dell’arrivo della macchina di sostituzione. Tra me ed il mio compagno di avventure si fece spazio un velo di inquietudine, e ci domandammo fino a che punto fosse vero quello che ci aveva raccontato il meccanico. Voleva farci soltanto un pò paura? Forse. Ma non mi è sembrato un discorso ironico il suo, aveva un aspetto estremamente serio. E qui ripenso alla discussione che ebbi qualche tempo prima con l’amico e GM Leo Zagami, al quale comunicai la mia intenzione di fare un reportage a Rennes le Chateau e a Bugarach; egli mi consigliò differenti metodi di “avvicinamento”, specialmente a Rennes le Château, per evitare di essere “disturbato” da quella che lui definisce la combutta Sionista del triangolo Cataro. A dire il vero le sue informazioni sono state preziosissime, e i particolari quasi invisibili ma estrememente importanti, notati qua e la a Rennes le Chateâu, mi hanno confermato qualche idea in rapporto al legame di questo paesino con i differenti “ordini” legati tutti più o meno a Sion, ai massoni e a tutte le derivazioni a volte pericolossissime e settarie che sono nate qui dopo gli eventi sopra citati. ”Fatti discreto - mi disse concludendo, e aggiunse - perchè Rennes le Château è un nido di spie, parola di 007!” E`chiaro che, conoscendo la storia dell’amico Zagami e il suo passato massonico ad alti livelli (33°), i rapporti che ha avuto in passato con determinate “forze” ed organizzazioni filo massoniche e neo templariste (vedi loggia di Monte Carlo), e le informazioni incredibili che detiene, questo consiglio fu

Benedetto Sette Ricercatore giornalista amatoriale, nato in provincia di Roma, che si avvale di circa 20 anni di esperienza radio televisiva amatoriale. Dopo qualche anno passato in Italia a contatto con radio e televisioni private, decide di continuare il proprio cammino a

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Reportage a Bougarach e Rennes le Château più che giustificato dato che, nonostante il suo aspetto folcloristico-turistico, Rennes le Château possiede un’atmosfera molto pesante, quasi intimidatoria, opprimente, cupa. ll culmine fu quando nella parte alta della collina, sul lato destro della torre Magdala, dopo aver scattato qualche foto in una postura “particolare”, abbiamo udito un: ”Aurevoir chevaliers” (arrivederci cavalieri). Veniva da una delle due signore di una certa età, che erano sedute su una panchina dietro di noi. Rimasi sorpreso per un breve istante, come il mio compagno di viaggio. E già, come diceva il GM Zagami, qui non ci si viene per caso, neanche i pensionati! Non è certo l’abito che fa il monaco! Al contrario, a Bugarach le “energie” sembrano differenti, piuttosto legate a campi magnetici importanti, che sembrano influenzare pesantemente il corpo umano e gli apparecchi elettronici. Sarà propio questa energia a salvare bugarach? Il campo magnetico? Mi sembra una soluzione un pò semplicistica. Concludendo dopo aver analizzato le storie che si raccontano, le ricerche di determinati “esperti” in materia, ed i racconti degli abitanti di bugarach, le somme astronomiche messe a disposizione da certe organizzazioni, l’abate Sauniere e le sue certezze, e le informazioni dell’amico Zagami, una cosa è certa: questa non è una qualsiasi montagna! Qui c’è sicuramente materia per approfondire la questione, ma per quanto riguarda tutti coloro che si sono avvicinati troppo della verità, più della metà non sono più qui per raccontarlo, e gli altri sono muti, oppure azzittiti chi sa da chi o cosa. La macchina è arrivata, ed è ora di tornare, ma non senza fermarci un ultima volta per “ammirare” il picco, che svanisce nella foschia lugubre di una luna incerta. Parigi, in Francia, dove risiede. A contatto fin dalla più giovane età con differenti personaggi legati all’esoterismo e alla spritualità, ha fatto delle opere di Carlos Castaneda il suo cavallo di battaglia, seguendone per lungo tempo i suoi metodi e insegnamenti. Da li, un certo risveglio e una consapevolezza molto più acuta insieme anche con Christophe Cado. Su Youtube sono presenti video dei suoi reportage ricercando l’username bebboseven.

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Garda, lago di misteri e leggende Tra città sommerse, mostri e mitiche bellezze

FOTO: RITAGLIO DI GIORNALE DELLA NOTIZIA DELL’AVVISTAMENTO DEL SERPENTONE

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bacini e i corsi d’acqua, da sempre, solleticano le paure e le emozioni umane, e luogo di grande suggestione non poteva non essere il più vasto lago italiano, il lago di Garda. Esteso nel nord Italia per una superficie di 370 km quadrati, di origine glaciale, il lago, chiamato anche Benaco, oggi sotto il profilo amministrativo è diviso fra le province di Trento a nord, di Verona a est e di Brescia a ovest. Tre diverse province, e tre relative differenti regioni di appartenenza (Trentino Alto Adige, Veneto e Lombardia), non hanno nel tempo intaccato un patrimonio comune di scambi, esperienze, credenze, spesso intrecciate tra loro anche in località fisicamente lontane. Un tempo gli spostamenti di merci e persone tra le sponde avvenivano via acqua e non via terra, fino alla costruzione della Gardesana Occidentale e della Gardesana Orientale negli anni Venti che rivoluzionarono i movimenti nella

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regione, e perciò paesi e borghi oggi apparentemente molto distanti erano in realtà collegati in modo diretto grazie a frequenti scambi via barca. Questo forte rapporto interregionale è forse anche uno dei motivi per cui, spesso, passando di località in località, molte storie, fiabe e leggende locali pur personalizzate e modificate dal racconto orale mantengono una radice comune. Di certo è curioso come in diversi punti del lago, da nord a sud, emergano inquietanti leggende di città sommerse che, oltre a riuscire a rappresentare le proiezioni della paura dei gardesani per l’intensa attività sismica nell’area del lago e di Verona (si ricordino i terremoti di Salò del 1901 e del 2004, nonché nel 1810 a Malcesine e Verona, quando crollò l’area esterna dell’Arena), contribuiscono a scrivere la storia comune tra le sponde. Spesso nei racconti di questi luoghi si parla del misterioso e antico borgo di Benacus, che oggi si

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Garda, lago di misteri e leggende troverebbe sotto le acque, situato talvolta sulla sponda bresciana vicino a Toscolano e talvolta ai piedi dell’attuale Garda, sulla parte veronese del lago, ma non solo. “Trovai sul Benaco la stessa tradizione di una città visibile sempre nei tempi tranquilli sotto le acque. Io non so se sia autorizzata da alcun documento, ma tale leggenda viene narrata e si dice che la città fosse inghiottita da un terremoto”: così scrive Byron, in una delle sue lettere dall’Italia all’amico Moore nel 1816. Si tratta di un riferimento sia alle leggende relative all’antica città di Benacus, nei pressi di Toscolano, ma anche alla vecchia Garda che sorgeva ai piedi della Rocca e si protendeva sul lago su un istmo, forse fino a unirsi con Sirmione: un terribile terremoto la investì, distruggendola e facendola precipitare nel profondo delle acque. Sempre per un terremoto, o forse a causa della spinta del bacino lacustre, secondo una leggenda datata 243 d.C. fu distrutta la mitica città di Benaco, sontuosa e ricca di monumenti, fondata dagli Etruschi e situata ai piedi della Valle delle Camerate, vicino a un bacino lacustre formato dal fiume Toscolano e sovrastato dal monte Gu. Benaco, così importante da dare il nome a tutto il lago, fu travolta da un’enorme massa d’acqua e da una porzione di montagna, che finirono per distruggerla e per inondarla. Ancora oggi è visibile la grande frattura, forse in realtà opera di una lenta erosione; in fondo a essa scorre il fiume, e si dice che sul fondo del lago sia possibile vedere le sagome degli edifici devastati e sommersi. Il mito della città sommersa nel lago tocca la costa veronese anche ben più su di Garda, verso Cassone, dove la cittadina di Assenza con il suo nome richiama antichissimi eventi geologici; la Val di Sogno, l’appellativo con cui viene chiamata la zona, una notte fu scossa da un terribile sommovimento tellurico che provocò un’immensa voragine tra le pendici del Baldo e il lago, risucchiando la località chiamata Città del Sonno e sommergendola sotto le acque senza lasciare traccia, mentre tutti gli abitanti erano addormentati. Di nuovo tra Garda e Bardolino sarebbe giunta la caratteristica arena dell’Adige, a causa di un improvviso trabocco del fiume dal lago glaciale di Caprino Veronese. In quell’occasione le acque avrebbero anche travolto e inabissato gli inse-

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Simona Cremonini diamenti palafitticoli sorti vicino a Garda, dando consistenza alle leggende che parlano di borghi e villaggi sommersi nel lago. Infine, secondo taluni la città di Benaco sarebbe stata posizionata nei pressi di Torbole, dove una frana l’avrebbe sepolta. Anche Giosuè Carducci, in diverse sue odi, ha ricordato il lago e i misteri a esso sottostanti: in «Sirmione» il poeta cantò: “Garda là in fondo solleva la rocca sua fosca | sovra lo specchio liquido | cantando una saga d’antiche cittadi sepolte | e di regine barbare”. Acque pericolose, non solo per gli improvvisi temporali che spesso travolgono i navigatori meno esperti: anche il diavolo è un personaggio che ha non poco contribuito ad ammonire i gardesani. Lo ritroviamo a riempire d’acqua una prospera valle colpita dalla siccità, formando così lo splendido lago, ma anche presenza in agguato sulle sponde, sempre pronto a liberare acque caldissime provenienti da profondità sconosciute e impregnate di zolfo come l’aria infernale: nel Medioevo sorgenti termiche come la “Bojòla” di Sirmione, formata da numerose polle che lanciano in alto i loro getti e che impregnano l’aria con intensi vapori di zolfo, erano attribuite al Maligno. Ma sotto le acque del lago di Garda si agitano anche creature misteriose che non sempre si riescono ad attribuire al Diavolo. Con le loro acque nere e profonde, impossibili da esplorare attraverso il semplice sguardo, i laghi ispirano da sempre storie e leggende di mostri. Ogni lago pulsa di vita. Pesci che guizzano improvvisamente, tronchi contorti che percorrono le superfici immobili con le loro forme suggestive, animali che hanno preso dimora in fondo alle acque, bolle o vapori sollevati in seguito a fenomeni naturali, sagome che emergono dalle profondità senza svelare la propria identità: movimenti lenti o repentini che spezzano la magia e il mistero delle acque e che, fin dal passato, hanno portato gli uomini a riempire il vuoto di conoscenza con la fantasia. Nel XVI secolo, Grattarolo, nella sua “Historia della Riviera di Salò”, scriveva di “mostri smisurati e deformissimi” avvistati da un gruppo di studiosi curiosi sotto le rupi dell’isola Borghese, durante un tentativo di immersione in alcune caverne “oscurissime” per scoprire i segreti dei fondali

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dell’acqua “profondissima”. prevista quella rotta. La gente che vuol parlare Bastava un racconto fantasioso, o una semplidel «mostro» con i pescatori affolla le osterie, ce raccomandazione al bambino troppo incauto dove gli affari vanno a gonfie vele e dove è posnell’avvicinarsi all’acqua, per far nascere una legsibile parlare con chi conosce bene le acque progenda. Del resto, sempre secondo Grattarolo, “Ci fonde del lago. sono ancora frati che dicono aver notato sotto acLuigi Malfer, un pescatore di Garda, mette in qua ne tempi de gran caldi, e averci veduto di quei correlazione l’avvistamento del «mostro» con un Mostri, e essersene spaventati talmente, che non altro fatto insolito occorso in quegli stessi giorni: hanno più osato tornarci.” le reti lasciate dai pescatori locali nella Baia delPoi, nel 1965, quella che era solo una storia di le Sirene, durante quello stesso mese, sono state paura o una narrazione frammentaria si fa realtà, strappate e oltre cinque quintali di sardelle sono come testimoniano anche i giornali dell’epoca. state divorate da un predatore misterioso. “È difIl 17 agosto di quell’anno un fatto straordinaficile credere che il mostro esista, lo so: mio padre e rio e spaventoso suscita profonda impressione a mio nonno non me ne hanno mai parlato, e il mio tutta la comunità lacustre e ai turisti in vacanza bisnonno non ha mai detto niente a mio nonno. nella zona del lago. Ma se ha mangiato le sardelle, cribbio, vuol dire Armati di cineprese e macchine fotografiche, che c’è!”. il giorno dopo, gruppi di persone si accalcano in Il «drago» (come viene chiamato da taluni, località Punta San Vigilio per immortalare il “moforse perché le sue caratteristiche corrispondestro” della Baia delle Sirene, la creatura che, due rebbero a quelle degli antichissimi sauri erbivori) giorni dopo ferragosto, alcuni turisti di varie nadivide le opinioni della comunità stretta attorno zionalità hanno avvistato in una delle località più al lago. “Mostri e draghi sono frutto di fantasia”, suggestive del lago. asserisce il dottor Pasquale Turri, direttore dello Una trentina di persone, inglesi, tedeschi, stabilimento ittiogenico di Brescia. Ma nessuna italiani e la giovane americana Camille Finglet, delle specie ittiche che vivono nel lago può avehanno assistito all’emersione di “una specie di re dimensioni e forma analoghe a quelle descritlungo serpente” lungo una decina di metri, con te da chi era presente. I fondali del Garda ospitaun diametro di una ventina di centimetri e quatno pesci siluro e talvolta anche storioni di grossa tro gobbe. Color marrone, la “Nessie” benacenstazza. I primi possono crescere fino a due metri se “procedeva con un movimento ondulato su un e mezzo, tre di lunghezza, e a prima vista potrebpiano, si direbbe in geometria, perpendicolare alla bero anche essere classificati come mostri. In superficie del lago”. realtà sono però creature del tutto innocue nei A differenza del suo alter ego scozzese, però, confronti dell’uomo e, soprattutto, sono molto il «mostro» del Garda si rivela una creatura estrepiù piccoli del «mostro» descritto dai testimoni. mamente timida nei confronti della popolarità: Gli storioni, dal canto loro, possono raggiungere dopo essere balzato alla cronaca sparisce subito il quintale di peso, ma le loro dimensioni sono dalla riviera veronese, facendosi avvistare verso anch’esse troppo ridotte per poter corrispondere la sponda bresciana in una località non precisaa quelle del «mostro» della Baia delle Sirene. ta tra Gardone e Salò, forse addirittura Gargnano. Ciò non basta a placare nell’immediato la curiosità e la paura. I turisti sono divisi tra coloro che escono in motoscafo solo per andare alla baia e coloro che rifiutano di salire sui natanti se è FOTO: RITAGLIO DI GIORNALE DELLA NOTIZIA DEL MOSTRO DELLA BAIA DELLE SIRENE

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Garda, lago di misteri e leggende In mancanza di avvistamenti successivi e di una spiegazione risolutiva, e data la prossimità territoriale della città di Verona alla località dell’avvistamento, il «drago» viene anche correlato alla costola animale custodita nell’Arco della Costa in piazza Erbe, nel pieno centro della città scaligera, e ai due coccodrilli antichi, reperti che si trovano a Grazie di Curtatone, lungo lo scorrere del Mincio, e presso il santuario di San Michele Extra a Verona. Altre leggende locali hanno contribuito a tessere una tela di mistero e di possibilità intorno ai “mostri” del Garda e degli altri laghi morenici: come quella che ipotizza l’esistenza di una rete di cunicoli sotterranei che collegherebbero le acque dei diversi bacini, creando così opportunità infinite di passaggio e di nascondiglio tra di essi. Al fascino di avvistamenti e leggende di creature insolite si è affiancato il mito dei draghi che ha trovato, vicino al lago, un ambiente favorevole alla sua diffusione. Diverse sono le storie locali che vedono protagoniste queste creature, soprattutto nelle valli trentine a ridosso del lago. Ma anche le località stesse del Benaco non sono immuni dall’essere state, secondo tali racconti, il teatro della lotta tra uomini e draghi, come pare sia stato per la Rocca di Garda, reggia del re dei Longobardi Ortnit. Costui rapì una principessa orientale per farne la sua sposa, ma dal suocero offeso ricevette un terribile regalo: due uova di drago che si schiusero seminando il panico nella regione benacense. Solo l’intervento di un giovane eroe di nome Wolfdietrich, dopo la morte di Ortnit, mise fine alla distruzione operata dai due mostri. Dalla più spaventevole mostruosità alla pura

Simona Cremonini Consulente editoriale e giornalista, Simona Cremonini vive a Montanara, nel mantovano, ma fin da piccola trascorre le estati nella casa di famiglia sul lago di Garda, a Manerba. Autrice di narrativa fantastica e horror, ha pubblicato racconti su antologie e riviste. Nel 2005 ha vinto il Premio Akery sezione horror. Nel 2011 il racconto “Dove vivono le silfidi” è apparso sull’antologia “Visioni fatate”, edito da Delmiglio Editore nella collana Quaderni Indaco, libro ufficiale della Festa delle Fate di Bar-

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Simona Cremonini bellezza delle sponde: molte leggende del lago si legano allo splendore di queste rive; come quando Benaco, il dio del lago, sedusse Egle, la più anziana delle sorelle Esperidi (custodi delle mele d’oro degli dèi, rubate con l’astuzia da Ercole), che portò sul lago i preziosi cedri che ancora oggi danno vita alla Riviera dei Limoni e alle caratteristiche limonaie; oppure quando Nettuno, dio del mare, preferendo in realtà il lago, dichiarò guerra a Benaco per scacciarlo, ma fu sconfitto da Giove, che lo condannò a tributare oro dal mare a Benaco per nutrire i carpioni che proliferavano nel lago. Al paesaggio sul Benaco non restarono indifferenti neppure le fate: si racconta che la fata Orcana, di passaggio per andare a trovare nelle terre del Nord la sorella Morgana, vedendo la bellezza del lago ne fu così ingelosita da provocare una terribile tempesta. La riviera fu invasa da un nugolo di cavallette, che ne divorarono la vegetazione per giorni, e solo una benedizione mise fine allo scempio. Mentre oggi avvistare un mostro benacense è privilegio di pochi, e avvenimento probabilmente casuale, se si vogliono seguire le orme degli dèi del lago vi è la possibilità di individuare le tracce che essi hanno lasciato lungo le sponde gardesane. Oltre ai toponimi, qua e là resti di templi antichi, are votive e statue celebrative consentono di seguire le suggestioni che nascono dall’incontro tra l’incantevole lago e la mitologia. Così a Manerba sulla Rocca, a San Felice sulla Parrocchiale, nel municipio di Moniga, su Punta San Vigilio a Garda, a Malcesine, a Cassone, a Riva e nell’entroterra trentino, si può cogliere quel sottile e ancestrale patto tra il lago e i suoi dèi. dolino. Gestisce il sito www. leggendedelgarda.com. Appassionata di leggende locali, nel 2008 ha pubblicato:

Leggende, curiosità e misteri del lago di Garda Lulu, 2008

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Il biscione di Milano Tra miti e leggende

FOTO: LIOSAURO FOSSILE, RICOSTRUZIONE GRAFICA

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ra una giornata afosa di fine estate di qualche anno fa, e due amici stavano arrampicandosi sulle cime del Monte Barro (922 mt sul livello del mare). Questo monte fa parte della catena montuosa delle prealpi Luganesi e si trova nel triangolo Lariano, e più specificatamente si erge imponente sopra la città di Lecco e del suo Lago. La differenza di quota tra la città di Lecco (circa 200 mt) e quella della cima del Monte Barro (922 mt) ci dice come la montagna si erga con un salto di 700 mt, quasi perpendicolarmente sopra quel ramo del lago di Lecco. Quel giorno i due amici avevano appena raggiunto la seconda delle tre cime del monte Barro, e per riposarsi si erano sporti ad ammirare la splendida vista che si gode su Lecco e su tutti i territori circostanti. Dopo qualche estasiato minuto uno dei due richiama l’attenzione dell’altro verso uno spettacolo curioso che avveniva nel

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punto in cui il fiume Adda si allarga diventando “lago”. In quel punto è stato costruito uno dei tre ponti che collegano le due sponde in prossimità della città di Lecco. Come si è detto, si era alla fine dell’estate e non vi erano state piogge da mesi. Il livello dell’Adda e del lago era ai minimi storici, e dall’alto con la luce radente del sole al tramonto si riuscivano a vedere le alghe del fondo del fiume Adda. Una cinquantina di metri prima del ponte, lo sguardo dei due amici si soffermò su una insolita scena di “caccia”. Uno strano pesce, con andamento sinuoso, inseguiva una miriade di pesciolini che brillavano sotto il pelo dell’acqua scappando in ordine confuso su un fronte di diverse decine di metri. Il “pesce” sembrava più una biscia che un pesce “tradizionale”, per le ampie curve descritte dal suo corpo. La scena durò pochi secondi... frazione di tempo che ha impiegato quel gruppo di pesci a nuotare dall’Adda al Lago di Lecco, pas-

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Il biscione di Milano sando sotto il ponte ad una profondità di qualche metro, ma ben visibili da quell’altezza e con quel tipo di luce. Il silenzio che era caduto tra i due amici fu interrotto solo da una frase pronunciata da uno dei due: “Che... cavolo è quella cosa lì?“. La “cosa” infatti, nel passare sotto il ponte, era transitata vicino a un deposito di autobus che si trovava sulla sponda destra del fiume Adda, e solo in quell’istante il confronto con un autobus ha dato, per la prima volta, un’esatta indicazione delle sue reali dimensioni. Quel pesce “sinuoso” era grande quanto un autobus e mezzo... tradotto in cifre: circa 10/12 metri. Forse troppi per un pesce “tradizionale”. Di questo avvistamento si è data comunicazione, in quegli anni, in vari forum. Nel marzo del 2006 si è tenuto un convegno a Como su quello che viene chiamato il “Lariosauro”, cioè una specie di “mostro” che saltuariamente appare e spaventa la gente del luogo, tanto da meritarsi l’epiteto di LARIO-Sauro. In quel convegno si è parlato anche di questo avvistamento, ma gli “esperti” ivi convenuti han deciso di attribuire poca credibilità al racconto, adducendo l’ipotesi che il “pesce sinuoso” altro non fosse che un insieme di altri pesciolini che si muovevano all’unisono, dando la sensazione di essere un’unico pesce. A volte gli esperti esprimono dei pareri molto “prudenziali”, anche se non hanno dati sufficienti per emettere una “sentenza”. Per inciso, detta spiegazione è sempre stata decisamente rifiutata da chi ebbe ad osservare il fenomeno. Ma questo avvistamento è stato forse l’ultimo di una serie interminabile di altri, tanto che si è pensato fosse opportuno ripercorrerne la storia al fine di discernere quanto sia “leggenda” dall’effettiva “realtà”. Molti conoscono il simbolo di Milano per averlo visto riprodotto, a volte a sproposito e con varianti, sulle magliette del Milan, sulle macchine dell’ Alfa Romeo o sulle reti televisive di Mediaset: un biscione con in bocca “qualcosa”. L’origine del Simbolo risale al 1100, come stemma della casata Visconti. Ritrae un serpente mentre mangia un “bambino”. Mediaset, forse ritenendo troppo cruento il simbolo, ha sostituito il bambino con una margherita. Come mai un simbolo così particolare è diventato lo stemma del capoluogo lombardo?

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Vincenzo Di Gregorio Vi sono diverse leggende, ma sostanzialmente le più accreditate son due. La prima, riportata da Bonvesin de la Riva nel De magnalibus urbis Mediolani (1288), sostiene che: “Viene offerto dal comune di Milano a uno della nobilissima stirpe dei Visconti che ne sembri il più degno un vessillo con una biscia dipinta in azzurro che inghiotte un saraceno rosso; e questo vessillo si porta innanzi ad ogni altro; e il nostro esercito non si accampa mai se prima non vede sventolare da un’antenna l’insegna della biscia. Questo privilegio si dice concesso a quella famiglia in considerazione delle vittoriose imprese compiute in Oriente contro i saraceni da un Ottone Visconti valorosissimo uomo”. Il serpente in questione non sembra però inghiottire un “saraceno rosso”, bensì un bambino. Occorre quindi citare la seconda versione dell’origine del “biscione”. La leggenda narra che poco dopo la morte di Sant’Ambrogio, a Milano arrivò un drago. La bestia viveva in una caverna fuori dalle mura. Spesso qualche viandante finiva mangiato dal drago. Molti cavalieri milanesi tentarono di liberare la città dall’indesiderato ospite, ma finirono tutti divorati. La notizia si sparse e in breve tempo la situazione divenne insostenibile; gli abitanti avevano paura ad uscire, le vie di comunicazione con le altre città erano bloccate e il commercio era praticamente scomparso, Milano era bloccata. Un giorno Uberto Visconti giunse alla dimora del drago proprio mentre esso stava divorando l’ennesimo bambino. Uberto prima liberò il bambino, poi cominciò la sua battaglia con il drago. I cronisti dell’epoca ci dicono che il duello durò due giorni. Solo al tramonto del secondo giorno Uberto ebbe la meglio. Tagliò la testa del drago e rientrò trionfante a Milano. Il Visconti, a futura memoria, decise di raffigurare il drago che divorava il bambino sullo stemma della sua famiglia. A riprova di quanto sopra, le cronache riportano che il corpo del “drago” fu portato sulla piazza del Duomo per essere mostrato alla folla riconoscente, e lì fu esposto per una decina di giorni. Poi, a causa del malodore, fu portato a decomporsi altrove, e lo scheletro fu donato ad una chiesa che, per tenerlo esposto per sempre, lo appese al soffitto. In effetti vi son diverse chiese nel milanese che espongono grosse ossa, ma sinora si son rivelate solo ossa di qualche cetaceo.

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Vincenzo Di Gregorio La leggenda continua descrivendo altri avvistamenti simili tanto da dare un nome al “mostro”, che ci viene tramandato come “drago Tarantàsio”. Questo nome è anche intimamente legato a quello di un lago, anch’esso misterioso e scomparso, quale il Lago Gerundo. Di questo lago però si conoscono molti più dettagli. Fino al XIII secolo le province di Milano, Lodi, Bergamo e Cremona ospitavano un ampio bacino idrico. Questa grande distesa d’acqua era conosciuta come “Mare Gerundo” (o Lago Gerundo o Gerondo). Più che un vero e proprio lago, è probabile che il Gerundo fosse un insieme di paludi e acquitrini collegati dalle frequenti esondazioni dei fiumi circostanti. I primi accenni al lago Gerundo risalgono all’epoca romana (se ne fa riferimento, ad esempio, nelle opere di Plinio il Vecchio) ma le descrizioni più dettagliate si hanno nel periodo medievale, negli scritti dello storico del VII secolo d.C. Paolo Diacono e di altri cronisti dell’epoca. Del suo prosciugamento esiste invece una data leggendaria: il capodanno del 1300. In realtà già a partire dal XI secolo andò riducendosi di estensione e si prosciugò definitivamente nel corso del XIII secolo, probabilmente per le ingenti opere di bonifica intraprese dai monaci cistercensi, benedettini e cluniacensi prima e dal comune di Lodi poi. Questo bacino dalla scarsa profondità (le sue acque non scendevano al di sotto di una decina di metri) aveva però un’estensione ragguardevole. Pur essendo difficile tracciare dei confini precisi, nel momento della sua massima ampiezza il Gerundo arrivava fino a Brembate (BG) a nord, fino a Pizzighettone (CR) a sud, lambendo con le sue acque la città di Lodi a ovest e Grumello Cremonese (CR) a est. Al suo interno, il lago conteneva una lunga striscia di terreno, detta originariamente isola della Mosa, e poi isola Fulcheria. Qui, in un periodo compreso tra il IV e il VI secolo d.C., fu edificata Crema (CR). Sulla sua esistenza abbiamo prove geologiche, archeologiche, documentali. L’esplorazione del territorio del Gerundo, e cioè la provincia di Bergamo nella parte meridionale, la provincia di Cremona nella parte superiore, oltre al Lodigiano e a tutto il Cremasco, muovendosi tra musei, chiese, ruderi, cave di ghiaia, remoti angoli di campagna dove il terreno è “inspiegabilmente”

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Il biscione di Milano fatto come la sponda di un lago, consente un viaggio dentro una storia che i libri ignorano. Una storia che sul posto, però, non è stata dimenticata. Ad esempio a Lodi e a Crema possiamo trovare strade dedicate alla leggenda: Via Lago Gerundo, Vicolo Gerundo. La parola “gera”, o “ghera”, che significa ghiaia e dà il nome al lago Gerundo (lago Ghiaioso, potremmo tradurre oggi), ricorre spesso proprio al centro dell’area ex lacustre, nella zona detta Gera d’Adda, con i toponimi Brignano Gera d’Adda, Fara Gera d’Adda e Misano di Gera d’Adda, solo per citarne alcuni. A Soncino, un paese di questa zona, troviamo una leggenda che lega il lago Gerundo al “drago Tarantasio, o Tarànto, descrivendolo come il più feroce degli abitatori del lago Gerundo. Lo storico Francesco Castiglioni, nella sua opera “Antichità di Milano”, riporta un testo conservato presso l’archivio dei monaci Olivetani: «Nell’anno 1300 dalla natività di Cristo Signor nostro, bravi intorno alla città di Lodi un certo lago, che per la ingente larghezza e per la grandissima inondazione dell’acqua che vi era fluita, appellavisi mare Gerondo. Su questo medesimo lago ap-

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Il biscione di Milano parve prodigiosamente un velenoso e mostruoso serpente, che col solo alito pestifero infestava tutta la città; per cui molti dal pessimo puzzo ammorbati, morivano. Contagio e infermità facendosi di giorno in giorno maggiori e scemandosi assai il numero degli abitanti, e la città dalla furia dell’acqua essendo invasa, grandemente i cittadini se ne accoravano, e tanto più l’affluizione s’aumentava, quanto meno fosse sperabile rinvenire rimedio che valesse a guarire gli infetti, o a prosciugare l’acqua, o ad estinguere l’animale stesso. Epperò stando tutti gravemente ín angustia, si rivolsero alla Divina Maestà, colla ferma speranza ch’essa nessuno respinga che con puro cuore le si raccomandi. Ma perché più facilmente ciò che tanto bramavano avessero a conseguire, il Reverendissimo Bernardino Tolentino, allora vescovo della città, convocato il clero e tutto il popolo, tenne loro pietoso sermone in cui efficacemente pregavali perché con tutto il calore del cuore e con tutta la pietà levassero preghiere a Dio, onde sì degnasse liberare questo suo popolo da quella pestifera strage. Il medesimo Reverendissimo Vescovo sancì che si facessero per tre giorni continui solenni processioni e si stabilisse un voto: che se Dio operasse che, preso da compassione di quella mortalità, gli avesse a campare da quella velenosa fiera, erigerebbero un tempio in onore della santissima Trinità e del glorioso martire Cristoforo. Né fu certamente quella una vana speranza, perché compite le processioni, e dato il voto, in quello stesso giorno, che fu il primo di gennaio, si ottennero due memorabilissimi miracoli, che morisse cioè l’infestissimo drago e si prosciugasse quell’immenso lago. Laonde i pii cittadini, di questo beneficio immensamente riconoscenti, edificarono un magnifico tempio, come avevano promesso col voto, il quale tempio fu poi più augustamente riedificato dai Reverendi Padri della Congregazione Olivetana nell’anno 1563». Secondo Luciano Zeppegno, grande cronista delle curiosità e delle stranezze sparpagliate nelle nostre contrade, nella chiesa di Sant’Andrea di Lodi era custodito addirittura uno scheletro completo di Tarantasio. Un osso gigantesco, e precisamente una costola di drago del Gerundo, è ancora oggi visibile appesa al soffitto della sacrestia della chiesa di San Bassiano, a Pizzighettone. La costola, probabilmente, appartiene a una balena fossile o a un elefante. Scheletri di balene sono stati spesso rinvenuti sulle Prealpi e,

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Vincenzo Di Gregorio soprattutto, sull’Appennino che si affaccia sulla Pianura Padana. E si potrebbe andare avanti ancora per molto, citando altre storie e leggende sulla convinzione da parte degli abitanti di questi luoghi che una specie di mostro esistesse davvero e si aggirasse nelle acque melmose di questo lago acquitrinoso. Ma il Gerundo era collegato ad un ricco sistema idrico che faceva capo al fiume Adda e quindi al lago di Como/Lecco, con cui l’ Adda è collegato. Giova ricordare che il lago di Lecco è il lago più profondo d’Italia ed il secondo d’Europa. Pochi infatti sanno che nessuno conosce la sua profondità effettiva, che si stima comunque superiore ai 900 metri. Una notevole massa di sedimenti e di sassi caduti dalle montagne franose circostanti han portato il fondo effettivo del lago intorno ai 420 metri. Infatti vi è stato, in un passato geologicamente vicino, un grosso spostamento della parete occidentale del lago di Lecco che ha portato alla formazione delle due più alte montagne in zona (Grignia e Grignetta) e collateralmente all’allontanamento delle due sponde. Questo ha creato una specie di “fenditura” dalla profondità di quasi 1000 metri, in cui si è riversata l’acqua del lago di Como, creando il “braccio” del lago di Lecco. Successive frane e smottamenti hanno portato il fondale a riempirsi di detriti. Questo fondale pieno di sassi e macigni potrebbe dare rifugio a specie animali poco studiate che, per le profondità in questione, potrebbero ben essere chiamate “pesci abissali”. L’ipotesi che alcuni hanno avanzato è che questi animali, di norma viventi a quote molto profonde, in occasione di periodi particolarmente difficoltosi per l’approvvigionamento di cibo (quali mesi di prolungata siccità), possano portarsi a quote “superficiali” ed essere avvistati in queste rare occasioni. Per completezza d’informazione vi è da riferire l’origine del nome del “mostro” attuale: LARIOSAURO. Nel 1839 Balsamo Crivelli fece la prima descrizione di un esemplare fossile di “pleiosauro” ritrovato a Perledo (LC), ma reputò “opportuno non applicargli nuovo nome [...]. Non ambisco crear nuovi nomi per la vanagloria che il mio nome venga registrato nei cataloghi dei Naturalisti, come si suol fare anche a costo che la nuova denomina-

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Vincenzo Di Gregorio zione divenga un superfluo sinonimo”. Il rettile fu “battezzato” solo nel 1847 da Giulio Curioni, dopo il ritrovamento di altri esemplari, sempre provenienti dalle cave di Perledo. Curioni istituì la specie Lariosaurus balsami, proprio in onore di colui che per la prima volta lo descrisse e del posto del rinvenimento. Trattasi di un “pleiosauro”, un fossile di un animale esistito nel periodo del triassico (230 milioni di anni fa) che abitava realmente questo lago, un mostro marino il cui habitat naturale era appunto l’acqua, dove si muoveva agevolmente grazie alle sue pinne. La grandezza dei fossili ritrovati raggiunge quella di un metro, ma esemplari di pleiosauri rinvenuti in altre località nel mondo raggiungono facilmente i 10/12 metri di lunghezza. Sarebbe facile saltare alla conclusione che questa “razza” sia sopravvissuta a quelle ere così lontane e che ancora qualche esemplare viva nascosto negli abissi del lago. In ogni caso, questo rinvenimento ha fatto ribattezzare il mostro del lago di Como/Lecco da Tarantario a Lariosauro (o confidenzialmente “LARRIE”). Ma le descrizioni degli sporadici (ma continui) avvistamenti non si “attagliano” alla figura di un pleiosauro. L’avvistamento citato all’inizio assomiglia più ad un “regaleco”, pesce che ha la forma di un’anguilla schiacciata ai lati. L’unico problema è che questa razza di pesce vive solo in mare, in acqua salata e non in acqua dolce. Ma vi sono state molte altre segnalazioni. Questa è del 1946 e viene raccontata da Giovanni Galli nel suo libro “ il Lariosauro”, edizioni Actac. A Bellano vi era un abitante che ci viene descritto con lo pseudonimo di “partigiano Panàn”. “Un bel giorno Panàn prende il lago con una piccola imbarcazione. Lavorava al cotonificio Cantoni, ma con l’inflazione del ‘46, i soldi non bastavano mai e i salari faticano a starle dietro, per cui lui va a pescare per arrotondare lo stipendio. Un giorno, mentre è uscito a pescare, sta catturando un pesce abbastanza grosso, sicuramente di sua soddisfazione, quando vede arrivare dalla parte di Acquaseria, proprio di fronte a Bellano, un’onda un pò strana, un’onda anomala, insolita, probabilmente prodotta da qualcosa che si trova sotto il pelo dell’acqua. Questa cosa urta violentemente la barca facendo perdere l’equilibrio a Panàn

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Il biscione di Milano che quindi, oltre all’equilibrio, perde anche il pesce che sta cercando di catturare e oltre tutto questa cosa che l’ha urtato gli rompe anche il remo, glielo mangia proprio coi denti, glielo spezza e quindi Panàn torna lentamente a riva con un remo solo, ovviamente con tutte le difficoltà del caso, e fatica prima di tutto a credere a quello che gli è successo e poi a spiegarlo a coloro che lo incontrano e che lo vedono decisamente scosso. A questo punto inizia a riflettere su quello che ha incontrato nel lago, su questa creatura strana che gli ha quasi rovesciato la barca, gli ha spezzato il remo con i denti, e si convince che questo mostro che veniva dalle parti di Acquaseria, quindi dall’altra parte del lago, altro non è se non la reincarnazione di Benito Mussolini, del duce, che era morto per l’appunto su quella sponda del lago... e tutto sembra finire lì! Panàn non aveva avuto alcun credito a Bellano quando raccontava la storia di questo suo mostro e soprattutto quando raccontava che secondo lui c’era questa associazione che cioè il mostro fosse una reincarnazione del duce. Poi un bel giorno esce a pescare insieme al fratello e, non sapendo bene dove andare, si dirigono con la barca nella zona delle Grosgalle, zona costiera che si trova tra Bellagio e Lezzeno, nella quale già Paolo Giovio aveva segnalato l’esistenza di alcuni pesci di dimensioni e di comportamento del tutto insoliti che lui aveva definito i burberi delle Grosgalle. Intanto che sono lì a cercare di pescare qualcosa da portare a casa per la cena hanno il secondo incontro con il mostro e questa volta Panàn non è più solo e quindi la cosa comincia ad avere una consistenza. Il mostro si manifesta emergendo dalle acque

FOTO: PESCA GROSSA NEL LAGO

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Il biscione di Milano più o meno come viene dipinto nella copertina del libro, con questo aspetto truculento, con questa bocca piena di denti, probabilmente un po’ troppi rispetto a quanti avrebbe potuto averne. Quindi Panàn e suo fratello si prendono proprio un bello spavento. Panàn era abbastanza abituato, ormai, all’idea che ci fosse questo mostro, ma il fratello, che non aveva dato molto credito alle affermazioni di Panàn, questa volta si rende conto che c’è davvero qualche cosa nel lago”. Ma, a prescindere da quello che si è scritto e detto sulla presenza di questa fantomatica creatura, vi è una branca della zoologia che è chiamata criptozoologia, che studia l’esistenza di creature che ancora non son state “scoperte”. E’ quindi una branca della scienza “ufficiale”, il cui scopo è studiare proprio le creature “misteriose”, sino a capirne la loro reale esistenza. Questi scienziati, ci informano che sono oggetti di studio molti laghi per le svariate segnalazioni di “mostri” simili a quello del lago di Lecco. Il più famoso e popolare mostro lacustre è il mostro di Loch Ness che si dice esistere nel lago Loch Ness in Scozia. Un mostro simile a questo è l’Ogopogo avvistato nel lago Okanagan, nel mezzo della British Columbia. Un certo numero di storie di mostri simili sono inoltre relative ad altri laghi americani come Manipogo nel lago Manitoba e Champ nel lago Champlain. Nel lago Nahuel Huapi, Argentina, si pensa viva Nahuelito. Altri luoghi di avvistamenti sono il lago di Van in Turchia, (http://www.youtube. com/watch?v=0GsxRlGQbso) il lago Flathead in Montana, il lago Tianchi in Cina e il Fiume Bianco

Vincenzo Di Gregorio Architetto ed imprenditore, da sempre appassionato di archeologia, noto come scopritore delle cosiddette “piramidi di Montevecchia” i cui studi sono stati pubblicati nel libro dal titolo Il Mistero delle Piramidi Lombarde (Fermento, 2009). Fondatore di Antikitera.net (uno dei più noti siti web di news archeologiche e di misteri) e della rivista Runa Bianca (www.runabianca.it). Per le sue ricerche si avvale di foto aeree sia nel visibile che nell’infrarosso, fondando una società finalizzata alla ricerca

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Vincenzo Di Gregorio in Alabama. Il lago di Fulk vicino a Churubusco nell’Indiana si dice sia abitato dalla bestia di Busco. Anche il lago più profondo, esteso ed antico del mondo, il lago Baikal in Siberia, è stato detto essere dimora di una di queste creature. Per ultimo non possiamo non citare un avvistamento descritto da un gruppo musicale lecchese (Van Der Sfross ), che ha scritto una canzone dedicata proprio a questo “mostro”. Sarebbe stata ispirata da un’intervista fatta ad un pescatore anziano in una casa di riposo, che avrebbe avuto un’incontro ravvicinato con questa creatura in una notte buia al centro del lago. Per chi volesse leggere l’intero testo riportiamo un link: http://www.testitradotti.it/canzoni/ davide-van-de-sfroos/el-mustru Per chi volesse sentire l’intera canzone: http:// www.youtube.com/watch?v=M-ri42e7WDA ...Finiamo con la descrizione del pescatore di Van der Sfross: ho visto squarciarsi il lago ho visto coprirsi il cielo e la luna cadere giù era fatto come un’anguilla, era grosso come un battello e mangiava tutte le stelle, una biscia incatramata, con la bocca spalancata e occhi dell’altro mondo... un mostro, ma non era il film dell’oratorio un mostro, venuto in un tempo che non era più il suo ho visto il mostro, ho visto il mostro. chiamata “ludi ricerche” che fa capo al sito web: www.aereofoto.it. Suoi studi son stati mostrati in diverse riviste di settore, e su reti televisive quali: Voyager (rai2), Mistero (italia1), Mediolanum Chanel (Sky), OdeonTV.

Il Mistero delle Piramidi Lombarde Fermento, 2009

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FIGURA 1: L’ISOLA GRANDE SOLOVETSKY, RIPRESA DAL SATELLITE

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isola Grande Solovetsky nel Mar Bianco (figura 1) presenta significative coincidenze con la descrizione dell’isola di Atlantide effettuata da Platone più di 2.000 anni fa. Quest’isola, caratterizzata da un basso profilo sull’orizzonte, si trova non lontano dal circolo polare Artico, nel cuore del Mar Bianco in Russia, ed è coperta da fitte foreste di conifere e numerosi laghi. I geologi russi hanno scoperto che quest’isola si è formata in seguito ad una fuoriuscita di lava dalla crosta terrestre in tempi antichissimi, 24 milioni di anni fa, ed ha anche subito la devastazione di uno tsunami proveniente dal Mare di Barents. Durante l’ultima era glaciale, più di 10.000 anni fa, l’isola si trovava sotto due km di ghiaccio. In seguito allo scioglimento dei ghiacci, essa iniziò ad emergere dalle acque del mar Bianco a causa del processo chiamato dagli scienziati “rebound isostatico”: l’innalzamento del fondale marino. Dopo la sua emersione dalle

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acque, l’isola venne scoperta poco meno di 5.000 anni fa da popoli che in quel periodo iniziarono a diffondersi sulle rive del Mar Bianco, a esplorare i territori circostanti, e con tutta probabilità si accorsero della forma vagamente circolare dell’isola, della sua abbondanza di acqua dolce e del suo clima particolarmente mite rispetto al resto del territorio. Forse sono questi i motivi per cui questa cultura, chiamata “La cultura del Mar Bianco” dagli archeologi Russi, ha considerato da sempre sacra l’isola Grande Solovetsky: nessun insediamento umano stabile, nessun reperto archeologico dei 50.000 e più ritrovati sulle isole circostanti è stato infatti rinvenuto all’interno della Grande Solovetsky. Tale cultura ha abbandonato definitivamente queste zone intorno al 1.000 AC, lasciando numerose tracce di sé: molte costruzioni in pietra tuttora visibili ai nostri giorni. Vediamo come alcuni dettagli del racconto di Platone, so-

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La vera Atlantide prattutto geografici e morfologici, ben si adattano a quest’isola, facendo propendere per l’ipotesi che Atlantide fosse in realtà a nord dell’attuale Europa: un punto di riferimento e luogo di culto sacro per molti popoli (Platone cita 10 re facenti parte della coalizione di Atlantide), nel periodo storico che va dalla fine dell’età del bronzo all’inizio dell’età del ferro.

Il territorio intorno all’isola Nel suo racconto Platone descrive come l’immensa potenza, la coalizione di Atlantide, che aveva invaso violentemente tutta l’Europa e l’Asia partisse dal di fuori, dal mare Atlantico. Quel mare a quei tempi era navigabile, giacché davanti allo stretto che i Greci chiamavano Colonne d’Ercole vi era un’isola, e da quest’isola i naviganti di quel periodo potevano passare con relativa facilità da un’isola all’altra. Così facendo, potevano procedere nella navigazione e passare attraverso l’intero continente posto intorno a quello che era un vero e proprio mare”. Nel passo successivo il filosofo scrive: “Tutto questo mare, che si trova al di qua dello stretto di cui stiamo parlando, è solo un porto dall’imboccatura stretta; difatti quello si può realmente chiamare un mare, mentre la terra che lo circonda è realmente un continente”. In un altro brano Platone afferma che “Tutti i figli di Poseidone e i loro discendenti abitarono Atlantide e poterono esercitare il comando su molte altre isole del mare che circondava l’isola”. Nell’analizzare questi brani possiamo trarre molte conclusioni importanti relative alla geografia dei luoghi in cui si trovava Atlantide: 1) Platone non parla mai di oceano, ma sempre di mare. Eppure chiama questo mare “Atlantico”, il che porta a pensare che questo mare interno fosse in comunicazione con quello che anche noi oggi chiamiamo oceano Atlantico; 2) Platone ribadisce più e più volte che quello poteva essere considerato un vero mare, e anzi afferma che il mare è solo un porto dall’imboccatura stretta; 3) Platone dice che l’isola si trovava di fronte allo stretto che i Greci chiamavano colonne d’Ercole, quindi lo stretto che era l’imbocca-

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Marco Bulloni tura del mare era chiamato colonne d’Ercole; 4) Platone dice che tutto questo mare che si trova al di qua dello stretto di cui stiamo parlando, quindi nella direzione di colui che parla, sia esso Greco o Egiziano, quindi all’interno delle colonne, non oltre le colonne; 5) Platone afferma che era facile passare da un’isola all’altra dello stesso mare, quindi in quel mare vi erano più isole abitate e facilmente raggiungibili per mare; 6) Platone dice che un vero continente circondava questo mare, anche questo facilmente raggiungibile via mare dalle isole. 7) Platone, nell’affermare che il mare sembra un porto, vuole porre l’accento sul fatto che non si sta parlando di un oceano, molto più insidioso di un mare, ma di un bacino d’acqua relativamente tranquillo. Da queste descrizioni, e facendo riferimento alla posizione dell’isola Grande Solovetsly al centro del mar Bianco (figura 2), è possibile individuare tutti gli elementi descritti da Platone: a. l‘Oceano Atlantico, tramite il mare di Barents, è collegato da un’imboccatura stretta con il Mar Bianco: tutti questi mari sono in comunicazione fra loro; b. di fronte a questa stretta imboccatura si trova l’isola Grande Solovetsly; c. l’isola è quindi circondata da un vero mare, non da un oceano; d. nel Mar Bianco si trovano molte altre isole, tutte molto vicine l’una all’altra: lo spostamento da un’isola all’altra anche in tempi preistorici è stata confermata dagli archeologi Russi che hanno dimostrato come anche 4.000 anni fa la cultura del Mar Bianco si spostasse su piroghe realizzate con pelli di animali o con cortecce di betulla intrecciate. Lo spostamento da un’isola all’altra non durava più di un giorno di navigazione, partendo sia dalle coste della Carelia che dalla penisola opposta; e. l’intero mare è circondato da una terraferma molto vasta, che si può considerare un vero continente: da questo momento in poi infatti sulla terraferma è possibile procedere ininterrottamente verso lo sterminato territorio della Siberia.

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fango. In un famoso mito Ercole si sostituisce al gigante Atlante proprio nel compito a lui affidato di sostenere la volta celeste. Queste considerazioni sono quindi tutte coerenti con la descrizione di Platone, tranne quando egli afferma che l’isola era più grande della Libia e dell’Asia messi assieme. In realtà questa affermazione viene fatta quando Platone parla dell’immensa potenza che aveva invaso tutta l’Europa e l’Asia. Quindi credo che egli intendesse parlare dell’estensione dell’impero, non tanto delle dimensioni geografiche dell’isola. Platone ha cioè usato un eufemismo: quando afferma che l’isola era immensa, egli vuole dire la potenza dell’impero dei re che si incontravano sull’isola era immensa e si estendeva su un FIGURA 2: L’OCEANO ATLANTICO ATTRAVERSO IL MARE DI BARENTS (1) È territorio più grande della Libia e COLLEGATO DA UNO STRETTO INGRESSO (2) AL RUSSO MAR BIANCO (3). dell’Asia messi insieme. D’altronde L’ISOLA DI ATLANTIDE (4), GIACE NEL MEZZO DI UN MARE CALMO, DI FRONTE che l’isola di Atlantide non fosse ALLO STRETTO. DIVERSE ISOLE (5) PERMETTONO DI RAGGIUNGERE IL GRANDE CONTINENTE (6) POSTO ALL’ESTREMITÀ OPPOSTA DELL’ISOLA. immensa, lo si desume anche in un altro passo del filosofo, quando La conclusione di questa ricostruzione è che egli afferma che sull’isola di Atlantide non potenell’antichità il mar Bianco veniva chiamato vano vivere più di 20.000 persone, mentre l’imMare Atlantico semplicemente perché esso era mensità della potenza dell’impero viene desunta in comunicazione con quello che noi oggi chiaquando Platone cita la coalizione dei 10 re che miamo Oceano Atlantico, ma Platone evidenzia governavano autonomamente territori separati, come non si tratti affatto di un oceano, piuttosto tanto lontani l’uno dall’altro che sarebbe troppo di un vero mare. complicato descriverli nel dettaglio. Inoltre è possibile desumere come lo stretto che mette in comunicazione il Mar Bianco con il Mare di Barents fosse chiamato le colonne d’ErLa pianura di fronte all’isola cole dai Greci. Nel mio libro spiego che il motivo di questo appellativo è legato al fatto che queNel “Crizia” Platone afferma di voler parlare del sto stretto si trova oltre il circolo polare artico, resto del paese dopo avere abbondantemente e nell’antichità questa zona doveva avere una descritto prima l’isola con le sue cinte concentrivalenza molto importante per i fenomeni astroche, sia la città che la dimora dei re di Atlantide. nomici che qui solo hanno luogo. In effetti, olInizia così la descrizione di una pianura immensa, tre questo circolo, d’inverno, durante le lunghe circondata da montagne che discendevano fino notti polari, le stelle ruotano incessantemente al mare. Era “una pianura piana ed uniforme, per la sopra l’orizzonte, senza mai tramontare. Era quemaggior parte rettilinea ed oblunga, che si estensto il vero motivo per cui i Greci credevano che deva per 3000 stadi in una direzione e per 2000 nel le colonne d’Ercole fossero le colonne che sostemezzo in su, a cominciare dal mare”. I monti che nevano la volta celeste, il perno di ogni cosa, e si circondavano la pianura erano ricchi di laghi, fiutrovano all’estremità del mondo, in un mare di mi e foreste che rifornivano materiale copioso a

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tutti i lavori in genere. Intorno alla pianura, sia per natura che per opera del lavoro di molti re, avendo suppergiù la forma di un rettangolo oblungo, venne scavato un fossato tutto intorno con un perimetro complessivo di 10000 stadi. Tale fossato raccoglieva l’acqua che discendeva dai monti e andava a gettarsi in mare. Inoltre vennero scavati nella pianura molti canali rettilinei distanti cento stadi l’uno dall’altro. Lungo tali canali gli abitanti portavano il legname e altri prodotti sulle navi verso il mare. Questa descrizione della pianura è perfettamente coerente con la struttura geografica dell’attuale pianura di Carelia di fronte al Mar Bianco: essa è piana, quasi rettangolare, leggermente oblunga, circondata su tre lati da monti e su un lato dal Mar Bianco. I suoi monti sono ricchi di fiumi e laghi, i territori sono ricoperti di fitte foreste. Ma l’aspetto più importante della Carelia è che essa ha le stesse dimensioni riportate da Platone: il lato più lungo è pari a 530 km (5000 stadi) mente la distanza dal mare alla base di monti è pari a 350 km (3000 stadi). Inoltre la Carelia è attraversata da una FIGURA 3: I VENTI FREDDI DEL NORD (7) NON DISTURBANO LA PARTE A SUD DEL’ISOLA (8), POSTA DI FRONTE ALLA PIANURA DI CARELIA (9). LA PIANURA HA fittissima rete di bacini d’acqua, LE STESSE DIMENSIONI RIPORTATE NEL RACCONTO DI PLATONE (3.000X2.000 di canali e laghi in comunicazione STADI), È PERCORSA DA 80.000 KM DI FIUMI E LAGHI COLLEGATI FRA LORO, ED È fra di loro, per complessivi 80000 CIRCONDATA SUI TRE LATI DA MONTAGNE (10) km di vie d’acqua, quasi tutte naquesta parte, era rivolta a mezzogiorno e al riparo vigabili (figura 3). Ancora oggi tali vie d’acqua dai freddi venti del nord”. Io ritengo che quando sono sfruttate per il trasporto di legname verso il Platone parla di “isola rivolta da questa parte” inmare e di molte altre materie prime, soprattutto tendesse dalla parte della pianura, in quanto sta minerali, che abbondano da questa parti. Tutta descrivendo la pianura, non l’isola, e che quinla descrizione della Carelia è quindi coerente con di questa parte di Atlantide era quella rivolta a la descrizione effettuata da Platone. sud, al riparo dai freddi venti del nord. Con queOccorre per questo porre in evidenza l’errore sta interpretazione si desume che, procedendo commesso da coloro che hanno ritenuto che la da nord verso sud, questi sono gli elementi degrande pianura fosse sull’isola di Atlantide, non scritti da Platone: i freddi venti che provengono di fronte ad essa come in effetti voleva intendeda nord, l’isola, la porzione di isola rivolta a sud, re il filosofo. A conferma di questa ipotesi, cito il mare di fronte alla pianura, la pianura (figura un passaggio di Platone che afferma: “L’isola, da

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Marco Bulloni 4). Esattamente questa è l’ubicazione dell’isola Grande Solovetsky rispetto alla pianura di Carelia. Che la pianura di fatti fosse cosa distinta dall’isola lo si desume sempre dal numero di abitanti: su Atlantide potevano vivere solo 20000 abitanti, mentre l’immensa pianura forniva un esercito di più di 1 milione di combattenti.

Il periodo temporale Platone, nella sua descrizione dell’isola di Atlantide, cita il fatto che sono passati 9.000 anni da quando l’isola di Atlantide venne distrutta a quando il grande ateniese Solone venne a conoscenza per la prima volta dell’intera storia relativa ad Atlantide. Io sono convinto che Platone si riferisse non a 9000 anni solari, ma a 9000 cicli lunari. Ora, poiché 9.000 mesi lunari equivalgono a circa 730 anni solari, e poiché Solone visse intorno al 570 A.C., è ragionevole presumere che la distruzione di Atlantide avvenne intorno al 1300 AC. Questa mia ipotesi è confermata anche da molti dettagli del racconto del filosofo: l’esisten-

La vera Atlantide za di cavalli addomesticati, la presenza di carri nell’esercito di Atlantide, l’uso di metalli da parte dell’uomo, tra cui oro, stagno e ottone. Sono elementi che portano a una sola conclusione: Platone sta descrivendo una civiltà che si è affermata durante l‘età del bronzo (3300 anni fa), non durante l’ultima era glaciale (11.500 anni fa), quando non esistevano né carri, né cavalli addomesticati, né metalli utilizzati dall’umanità. La distruzione di Atlantide narrata da Platone deve quindi necessariamente essere avvenuta durante la seconda metà del secondo millennio A.C.: questo è proprio il periodo in cui gli archeologi russi registrano l’abbandono definitivo della cultura del Mar Bianco dalle isole Solovetsky.

Gli anelli concentrici Nel descrivere l’isola di Atlantide, Platone parla di una collina fortificata e resa scoscesa da tutti i lati che venne costruita al centro dell’isola. Platone cita anche 3 anelli d’acqua di mare, alternati da 2 anelli di terra, di dimensioni variabili (dal più piccolo di uno stadio, pari a 180 metri, fino

FIGURA 4: LA SEZIONE DELLA PARTE CENTRALE DELL’ISOLA DA UNA MAPPA SATELLITARE: È VISIBILE IL MONTE CENTRALE C, LA POSIZIONE DEL PRIMO ANELLO DI MARE (1S), DEL PRIMO ANELLO DI TERRA (1G), DEL SECONDO ANELLO DI MARE (2S), DEL SECONDO ANELLO DI TERRA (2G), DEL TERZO ANELLO DI MARE (3S)

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La vera Atlantide al più largo e più esterno di 3 stadi, pari a 540 metri) costruiti intorno alla collina centrale. Dei canali collegavano gli anelli d’acqua tra di loro, erano mimetizzati e ricoperti da tetti. La cinta più grande era anche quella più esterna, in comunicazione diretta con il mare: da qui infatti partiva un canale lungo quasi 9 km, che permetteva alle navi più grandi di entrare in un ampio porto interno, molto affollato di barche. Inoltre, per chi proveniva da mare, era possibile incontrare un muro esterno, che circondava l’isola, ovunque distante sempre poco meno di 9 km. Tale muro si richiudeva su sé stesso in corrispondenza del lungo canale.

Marco Bulloni Partendo dalla descrizione di Platone, e analizzando nel dettaglio la sezione tridimensionale di una vista satellitare dell’isola Grande Solovetsky (figura 4), è possibile individuare e trovare tutti gli elementi descritti da Platone. Al centro dell’isola, non lontano dal monte Podnebesnaya, alto 81 metri, è possibile trovare una struttura collinare, del diametro di 1,8 km, che risulta essere la struttura geologica più alta dell’isola: era questo l’antico cuore di Atlantide, la scoscesa collina fortificata. Sempre dalla stessa vista satellitare, è possibile individuare il primo avvallamento circolare intorno a tale collina, posto a una distanza di 1,1

FIGURA 5: NELL’IMMAGINE SONO RIPORTATI IL CENTRO (C), I TRE ANELLI DI MARE (1,2,E,3), LA POSIZIONE DEL MURO ESTERNO (L), DEL PORTO INTERNO (P) E DEL LUNGO CANALE (E) IN COMUNICAZIONE CON IL MARE ESTERNO (S)

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km dal monte centrale. Era questa la sede originaria del primo anello di mare di cui parla Platone, largo 1 stadio (180 m). Subito dopo questo, la vista satellitare mette in rilievo una struttura anulare di terreno mediamente più alto dell’anello precedente: questa era la sede del primo anello di terra di cui parla Platone. Subito dopo si nota dalla vista satellitare una depressione anulare alla distanza di 2,2 km dal monte centrale: questa era la sede del secondo anello d’acqua citato da Platone, largo 2 stadi (360 m). Dopo questa seconda depressione, è possibile notare una seconda struttura anulare più alta che circonda le precedenti: era questa la sede del secondo anello di terra di cui parla Platone. Infine, la vista satellitare permette di individuare la posizione del terzo anello d’acqua, largo 3 stadi (540 m) che era posto alla distanza di 4,4 km dal monte centrale. La posizione di quest’ultimo anello è facilmente riconoscibile sia a nord-ovest (dove ora si trova la baia Sosnovaya) che a sud-est (in fondo alla baia Dolgaya): in entrambe le baie è ancora oggi possibile notare una sequenza di isolette che corrono parallele alle coste interne dell’isola, e poste tutte a una distanza di 540 metri dalle coste, esattamente la dimensione citata da Platone dell’anello più esterno d’acqua di Atlantide. Tale anello d’acqua, così come scrisse il filosofo, è tuttora in comunicazione con il mare aperto tramite un lungo canale (figura 5), esattamente lungo 50 stadi (8,8 km). L’ingresso dal mare è imponente, così come lo descrive Platone, costituito a destra dalla presenza dell’attuale isola di Muksalma e a sinistra dalla estremità meridionale della Grande Solovetsky. Il canale permette ancora oggi alle navi di poter

Marco Bulloni nato nel 1960, di passaggio in Italia, e ha trascorso i primi sedici anni di vita all’estero, a contatto diretto con luoghi e popolazioni che hanno fatto nascere in lui la grande passione dell’archeologia. Laureato in Ingegneria Nucleare al Politecnico di Milano, e con un Master in Business Administration alla Università Bocconi, ha sempre continuato le sue ricerche nel passato

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entrare nell’ampia Baia Dolgaya, il grande porto interno di Atlantide descritto da Platone. Relativamente al grande muro che circondava tutta l’isola a una distanza di 50 stadi (8,8 km) è possibile notare, sempre dalla mappa satellitare, come il bordo dell’isola posto a sud-ovest abbia una forma circolare e sia posto esattamente alla distanza di poco inferiore ai 9 km rispetto al monte centrale, così come citato da Platone. Un’analisi delle mappe topografiche di questa parte dell’isola permette di evidenziare come tutta la costa presenti in questo punto un terrapieno imponente costruito a ridosso della costa: sono i resti del muro di cui parla Platone. Il muro esterno, distante 50 stadi dal centro, è invece del tutto assente a nord-est dell’isola Solovetsky: è questa la direzione dalla quale arrivò l’immensa onda di tsunami che distrusse l’isola 3.300 anni fa e fece sì che la cultura del Mar Bianco abbandonasse definitivamente questi territori. Ancora oggi all’interno dell’isola, nascosti nella fitta foresta, tra i 600 e più laghi formatisi dopo la distruzione di Atlantide, è possibile trovare i resti di imponenti e lunghi terrapieni dalla forma trapezoidale: con tutta probabilità erano le strutture in terra che delimitavano gli anelli di terra e di mare descritti da Platone nel suo racconto, larghi rispettivamente 1, 2 e 3 stadi (180 metri, 360 metri e 540 metri rispettivamente). Atlantide esiste ancora, ed è tuttora visitabile da chiunque. Le immagini satellitari sono elaborazioni del programma software N.A.S.A. World Wind 1.3, Copyright © 2001, United States Government as represented by the Administrator of the National Aeronautics and Space Administration. All rights Reserved.

dell’umanità. Dall’intreccio di tutte le informazioni raccolte durante queste ricerche con le dettagliate foto satellitari della Nasa, nasce la sua scoperta di Atlantide. Il suo sito: www.atl-antis.com

Ho scoperto la vera Atlantide Armenia, 2010 Marzo 2012 | n.8


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Il metodo Carpeoro

Delle leggi e delle funzioni dei simboli

FOTO: L’’ALBERO DELLA VITA, GUSTAV KLIMT

Gli Archetipi Gli archetipi sono quegli eventi naturali o soprannaturali, storici o metastorici che sono entrati nella memoria ancestrale, il grande archivio naturale universalmente condiviso. Il Primo Archetipo, lo speculum, è l’Essere-Non Essere, stato susseguente al Non Essere-Essere, effetto della scissione del Tutto è Uno nella Vita-Due, la nascita di ogni binarietà. Dalla binarietà sorgono dei protoarchetipi, gli specula, anch’essi fondati sulla specularità, che progressivamente hanno reato il linguaggio che spiega il mondo: caldo-freddo, dolore-piacere, maschile-femminile, ruvido-liscio, dolce-amaro ecc. Uno dei modi di delineare l’archetipo è ricercarlo nei suoi schemi di derivazione: l’archetipo è riscontrabile solo quando sia contestualmente presente nella narrazione del mito e nella rappresentazione del simbolo.

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I Miti Il mito è la narrazione, il racconto degli eventi che hanno generato gli archetipi. Il racconto è la forma più semplice per conservare e trasmettere la memoria di eventi fondamentali, ma non è escluso che una narrazione mitica, nella sua evoluzione, finisca per inglobare e utilizzare anche degli schemi simbolici, soprattutto quando debba al suo interno celare una sapienza segreta, nel qual caso dal mito stesso nasce quello che gli antichi chiamavano Mistero. Il mito è una narrazione investita di sacralità relativa alle origini del mondo o alle modalità con cui il mondo stesso e le creature viventi hanno raggiunto la forma presente in un certo contesto socio culturale o in un popolo specifico. Il tempo sacro del mito, coerentemente con la sua natura, sacralizza il luogo dove esso viene ripristinato: è in tal

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modo che la parola tempus è in relazione con la parola templum, il luogo sacro dove si celebravano i riti, perché quel luogo serve a ricreare le condizioni di quel tempo.

I Simboli Il simbolo è la rappresentazione degli eventi che hanno generato gli archetipi. Il simbolo diviene da semplice a complesso per l’innesto sulla sua forma originaria di componenti aggiuntive, mitiche, religiose e storiche che ne completano l’efficacia ai fini di uno specifico obiettivo di rappresentazione. Lo schema simbolico complesso si forma per uno scopo preciso, che è quello di eliminare, nella massima misura possibile, ogni eventuale deviazione dall’itinerario per arrivare più rapidamente ad una meta, che poi è quella di una rappresentazione nella sua struttura fondamentale dell’archetipo o segmento di tradizione, radicato nella memoria ancestrale in cui si colloca. Tanto più lo schema simbolico è complesso, tanto più è selettivo, tanto più è importante il tema

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Giovanni Francesco Carpeoro che rappresenta. La nostra analisi ha collocato l’origine degli archetipi nell’accadimento di eventi primordiali fisici o metafisici, da noi definiti anche storici o metastorici, che abbiano profondamente mutato la prospettiva universale, spaziale o temporale, contrassegnando il fluire degli eventi successivi. Questi segni, o segnature come furono definiti dagli autori alchemici ed esoterici più importanti, si collocano stabilmente nella memoria ancestrale, l’archivio cosmico condiviso universalmente, anche se non sempre o quasi mai consapevolmente, assumendo la forma di archetipi. Gli archetipi, in quanto presenti nella memoria ancestrale, sono collocati anche nell’inconscio di ognuno di noi, l’inconscio individuale, dove, per naturale e automatico meccanismo di catalogazione della nostra memoria, vengono elaborati tramite, come abbiamo già esposto, un procedimento di sintesi o, meglio, di compressione, in simboli o in schemi simbolici. Da tale loro luogo di provenienza i simboli possono affluire in un’area di consapevolezza, la coscienza individuale, oppure, nella fase di sonno e tornando alla loro forma originaria di archetipi, in un’area che rimane al di sotto della consapevolezza, che abbiamo denominato subconscio individuale, nella quale si traducono nei sogni. Quando i simboli affluiscono nell’area di consapevolezza, e cioè nella coscienza individuale, vengono elaborati razionalmente e ciò comporta la nascita anche della narrazione mitica, in quanto rievocazione, ma anche conservazione degli eventi primordiali, cioè la traduzione in miti. Infine, gli schemi simbolici affluiscono nell’esistenza di tutti noi divenendo simboli del quotidiano, se trasmessi inconsapevolmente, quindi per Tradizione, oppure simboli spirituali se trasmessi consapevolmente, cioè per Iniziazione, o infine fiabe, leggende e allegorie, ove siano la traduzione letteraria o figurativa della narrazione mitica, cioè dei miti.

Le Fiabe La chiave simbolica delle fiabe e delle favole

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è il pathos (πάΘος, pathos, dal greco πάσχειν paschein, letteralmente sofferenza o emozione) che è una delle due forze che regolano l’animo umano secondo il pensiero greco, in antitesi con il Logos, quello inferiore, non quello superiore dei sogni, che è la parte razionale. Il pathos invece rappresenta tutti gli istinti irrazionali che legano l’uomo alla sua natura animale e gli impediscono d’innalzarsi al livello divino. Col tempo il termine ha assunto il significato di carica emotiva e di commozione; ciò ha segnato il passaggio dal realismo naturalistico delle favole popolate di animali alla suggestione surreale delle fiabe, popolate per lo più di protagonisti frutto dell’immaginario.

Le Leggende Le leggende, che sono tramandate innanzitutto oralmente e per le quali la scrittura è solo una circostanza marginale, sono costruite invece sull’epos, dal greco antico έπος (epos) che significa parola e, in senso più ampio, racconto, narrazione. Le leggende, quindi, che sono la versione in chiave epica del mythos (mito), quale prima forma di narrativa, la più antica delle enciclopedie del sapere religioso e politico, sono state trasmesse oralmente, condizione quasi sempre necessaria per l’assoluta necessità dei toni della voce (toni epici), frequentemente con un accompagnamento musicale.

Le Allegorie Le allegorie sono invece fondate sull’ethos (ηθος), un termine greco originariamente significante il posto da vivere, che può essere tradotto in diversi modi. Può significare inizio, apparire, disposizione e da qui carattere o temperamento. In effetti, con riferimento allo schema simbolico dell’allegoria, l’ethos è un ordine fondante delle cose che serva a rendere evidente e immediatamente comprensibile un concetto base.

I Sogni Infine i sogni: essi sono un’articolazione del

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logos (in greco: λόγος), termine derivante dal greco λέγειν (léghein) che significa scegliere, raccontare, enumerare; radice che è all’origine del termine collegare, ma anche del termine intelligenza. Proprio la purezza degli archetipi nei sogni conferma il collegamento con il termine logos, che oltre ai significati suddetti ne ha assunti nella lingua greca altri innumerevoli, quali: stima, apprezzamento; relazione, proporzione, misura, ragion d’essere, causa; spiegazione, frase, enunciato, definizione; argomento, ragionamento, ragione. Come abbiamo già avuto modo di accennare, a nostro avviso i sogni sono costituiti dal tracciato finale del percorso dell’archetipo, secondo la chiave del logos, direttamente nel nostro mondo onirico, che abbiamo definito trasconscio collettivo perché si tratta dell’accesso, tramite la restituzione della purezza dell’archetipo stesso, ad un autentico stato di trascendenza, un mondo uni-

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versale e collettivo la cui parziale personalizzazione avviene solo in termini di linguaggio, formatosi nel percorso individuale di ogni soggetto. In realtà, a nostro avviso, poiché gli archetipi fanno ingresso nei sogni senza alcun contatto o filtro con la nostra parte razionale, almeno relativamente ai sogni allocati nella fase REM del sonno, in ragione di ciò essi non sono solo le fantasie censurate nella fase cosciente o di veglia che entrano nel mondo onirico di ognuno di noi, ma tutti gli archetipi, di volta in volta agganciati dalla rappresentazione, che nel mondo della veglia stimolano il nostro immaginario, mentre durante il sonno vengono fedelmente rappresentati nella loro purezza.

Le Leggi La Legge di Definizione del Simbolo, che consiste nella spiegazione più esaustiva possibile del simbolo, è quella che fin dal primo capitolo abbiamo delineato: Il Simbolo è la rappresentazione di un evento materiale o immateriale in precedenza accaduto. La Legge Fondamentale o Legge di Rappresentazione della scienza simbolica è stata teorizzata da uno dei padri della materia, del quale abbiamo già fatto cenno in precedenza, Renè Guénon: Il piccolo può simboleggiare il grande, l’inferiore il superiore, la parte il tutto, mai viceversa. Possiamo definite come Leggi Statiche del Simbolismo quelle regole che disciplinano l’espansione del simbolo in orizzontale, nello spazio non fisico che percorre per giungere nella nostre menti. Le denominiamo statiche perché non attengono all’unica, vera dimensione dinamica del simbolo, che è il viaggio generazionale, anzi multigenerazionale, laddove esso trasporta il suo contenuto nel tempo, per secoli. La prima legge statica da analizzare relativa agli Studi Simbolici e Tradizionali è la Legge delle Corrispondenze, che

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FOTO: SIMBOLI DELLE RELIGIONI

possiamo esporre col predicato: Il simbolo deve contenere le esatte corrispondenze della realtà rappresentata. Tale principio rispecchia il postulato altamente esoterico degli antichi alchimisti che, quando dovevano sintetizzare il rapporto in natura tra microcosmo e macrocosmo, enunciavano: Quod superius, sicut inferius. D’altro canto, è un principio universale: come in cielo così in terra si riporta anche nei Vangeli cristiani, nel Padre Nostro, di cui al Discorso della Montagna dal Vangelo di Matteo. Il secondo principio statico del simbolismo è la Legge dell’Ordine, altrimenti detta Regola della Struttura che possiamo enunciare in questi termini: Il simbolo rappresenta sempre un ordine, una struttura, e non potrà mai rappresentare il vuoto, il disordine o il caos. Poi vi sono le leggi dinamiche del simbolismo che, come quelle statiche, sono due. La prima può essere denominata Legge della Trasmissione

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Giovanni Francesco Carpeoro Consapevole e può essere così espressa: La Trasmissione Consapevole si realizza quando il significato di un simbolo viene spiegato e trasmesso consapevolmente da un individuo ad un altro: ciò delinea una continuità culturale o spirituale tra di essi, marcata in misura maggiore o minore, in ogni caso proporzionale all’entità del patrimonio simbolico trasmesso. In tali casi l’accesso al patrimonio simbolico viene marcato da un procedimento d’ingresso, anche ritualizzato, che prende il nome di Iniziazione, procedimento che caratterizza, relativamente alle dette modalità, l’acquisizione del patrimonio simbolico. La seconda legge, denominata Legge della Trasmissione Inconsapevole, può essere così espressa: La Trasmissione Inconsapevole si realizza quando il significato di un simbolo viene spiegato e trasmesso inconsapevolmente da un individuo a un altro o gruppi di individui ad altri: ciò generalmente avviene all’interno di una comunità etnica, finendo per caratterizzare l’evoluzione delle sue generazioni, marcata in misura maggiore o minore, in ogni caso proporzionale alla entità del patrimonio simbolico trasmesso. Tale modalità riguarda la trasmissione del patrimonio simbolico in popoli interi, con forti connotazioni territoriali e geografiche e prende il nome di Tradizione. L’ultimo importante criterio che dobbiamo enunciare, da verificare sul campo, è quello della Legge della Proporzionalità del Simbolo, che è una vera è propria equazione: L’antichità e l’importanza storica o conoscitiva di un simbolo sono direttamente proporzionali alla durata, alla frequenza ed al sovrapporsi delle

Giovanni Francesco Carpeoro Nato a Cosenza nel 1958. Si trasferisce a Milano e si laurea in giurisprudenza presso l’ Università Cattolica per poi svolgere per trent’anni la professione di avvocato. Ha curato per Acacia Edizioni l’edizione italiana de L’Archeometro di Alexandre Saint’Yves d’Alveidre e di Sotto le Piramidi di Andrew Collins. È stato direttore

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Il metodo Carpeoro modalità delle sue utilizzazioni.

Le Funzioni Le funzioni sono principi, non leggi, perché esprimono due modalità che si intersecano in modo intermittente e sempre connesso, senza quella rigidità che caratterizza gli schemi normativi. Il Principio della Funzione Sintetica può essere così sintetizzato: Il simbolo deve contenere gli elementi strettamente necessari a rappresentare l’evento fisico e metafisico cui esso si riferisce. La Funzione Evocativa necessita di un ulteriore approfondimento ma si può così esprimere: La Funzione Evocativa è la potenzialità del linguaggio simbolico di svelare, o nascondere a seconda dei punti di vista, immagini, vicende, energie, tradizioni, conoscenze di particolare complessità. In questo caso possiamo utilizzare ancora il simbolo lettera dell’alfabeto, che considerato singolarmente esprime un suono, mentre organizzato in una pluralità, come in una parola, fino a formare frasi, paragrafi, capitoli, si traduce in immagini, significati, figure, concetti, definizioni della realtà o, addirittura, dell’irrealtà, cioè anche, talvolta, di ciò che non è ordinariamente percettibile dai nostri sensi. Qui emerge quello che è il principio della Discriminante Funzionale del simbolo: Se per la funzione sintetica è sufficiente un unico simbolo, per la funzione evocativa è necessaria una pluralità di simboli organizzata in linguaggio.

delle riviste mensili PC Magazine, HERA e I Misteri di HERA. Il suo sito personale: www. carpeoro.com. Delle sue pubblicazioni ricordiamo: Il volo del pellicano (Bevivino, 2007), Labirinti (Bevivino, 2008) e...

Il re cristiano Bevivino, 2010

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Pianto e silenzio, urla e gioia, disperazione e felicità... erano queste le sensazioni contrastanti che provava in quel momento. Tutto era energia e vibrazioni, e quello che stava succedendo in quel momento al centro di quella galassia gli causava sensazioni molteplici e variegate. Nell’osservare incantato quei centinaia di mondi che venivano inghiottiti dal buco nero massiccio, non poteva non provare tristezza per quelle miliardi di forme di vita che scomparivano da questo piano dimensionale, ma nello stesso tempo il dispiegarsi affascinante delle radiazioni che esplodevano, si intersecavano, innervandosi lungo spirali infinite multicolori, non poteva non suscitare un senso di incontrollata ammirazione per lo spettacolo che a volte sa dare di sé l’universo. Ed in quel momento si ricordò di quando si era recato in quella parte del multitempo ed aveva assistito dal vivo a quel turbinoso intreccio di

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onde, radiazioni e sinapsi temporali. E già... il TEMPO ! Quanto ne era passato da quella volta ? Fece fatica a calcolarlo, anche se era conscio che le sue capacità di calcolo erano praticamente infinite. Raccolse molto lentamente le particelle del suo essere, che aveva disteso su lunghezze immense, pari a quelle di un’intero sistema solare, per osservare quei fenomeni che si svolgevano quasi dalla parte opposta dell’universo. Quasi pigramente e senza fretta, come può fare solo un immortale, si accinse a recarsi su uno di quei pianeti che le particelle di cui era composto gli indicavano come brulicante di vita. Era un mondo azzurro, pieno di vita e di contraddizioni... come era forse giusto che fosse. Pur essendo oggetto del suo studio da centinaia di eoni, come la maggior parte dei mondi di quella galassia, ogni volta che vi si recava trovava

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L’immortale sempre una situazione diversa, pur nella sua esasperante monotonia. Un mondo sempre in lotta, in guerra continua, perenne. Gli animali con le piante e tra di loro. I potenti contro i deboli. Le forme di vita più intelligenti contro quelle meno dotate. Lo stesso pianeta emetteva sostanze altamente inquinanti che venivano riassorbite e riciclate per ripristinare l’ordine precostituito. Ogni volta vi erano situazioni differenti, ma identiche (nella sostanza) a quelle che si erano susseguite per secoli o millenni prima. Ere geologiche si susseguivano alle altre, specie dominanti nascevano, si sviluppavano e si estiguevano, ma sempre seguendo ritmi e cicli che lui ormai era in grado di calcolare e prevedere. La razza dominante in questo momento si stava avvicinando alla fine di uno di questi cicli, e lui era venuto proprio per studiare ed “aiutare” questo cambiamento dimensionale. A volte ripensava a quando anche la sua razza aveva avuto un’esistenza “materiale” e “fisica”, e a come con lo sviluppo delle conoscenze e della tecnologia si erano via via liberati dai gravami di un “corpo”. Dopo la sostituzione di tutte le parti biologiche e deperibili con parti realizzati con materiali sostituibili, erano riusciti a trasferire i propri pensieri su dei cri-

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Mike Tempo stalli “pensanti”, raggiungendo l’immortalità. Con il prolungamento illimitato della vita di ogni individuo della sua razza, aumentò incommensurabilmente la crescita tecnologica e spirituale, sino al raggiungimento di un traguardo sempre ricercato ma insperato: la trasmutazione del pensiero in pura energia. Una volta attuato, tutti loro sperimentarono la potenza illimitata di tutte le forme di energia che esistono nell’universo e di cui non si erano mai resi conto. Questa nuova “veste” gli consentiva di vedere per la prima volta “cose” presenti sia adesso, in questo universo, sia negli altri universi... ma anche indietro o avanti nel tempo. Come era stata parziale e limitata la loro visione, e come era incommensurabilmente complessa e semplice la realtà come appariva alla loro vista! Dopo una prima fase di crescita spirituale, fondendosi in un’unica grande massa energetica e di pensiero, ognuno di loro decise di dare uno scopo alla propria illimitata esistenza, recandosi in una zona diversa dei multiuniversi a diffondere l’intelligenza e l’evoluzione spirituale. L’amore era infatti la chiave di volta dell’intera realtà e tutte le forme di vita esistenti, pur essendo “naturalmente” portati in quella direzione, facevano fatica a raggiungere i loro livelli e ricadevano verso uno stato recessivo, che appesantiva la loro esistenza e quella di tutto ciò che

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li circondava. Ma sapevano già che il tempo dell’intero universo non sarebbe bastato per raggiungere e concludere il loro scopo. Lui si era recato in quella galassia a spirale e ormai da molto, molto tempo aveva visitato quasi tutti i suoi mondi. Questo azzurro era uno di quelli più promettenti. Dopo molto lavoro era riuscito a far raggiungere all’attuale razza dominante un discreto livello di consapevolezza... ma c’era molto ancora da lavorare. Ogni tanto scendeva tra di loro e sempre dava una piccola spinta nella giusta direzione. Lasciava un seme che a volte cresceva e dava frutto, ma a volte si spegneva soffocato dalle forze negative, sempre presenti. Nessuna paura. Ripartiva da dove aveva lasciato con quella pazienza e testardaggine che solo un essere senza tempo come lui sapeva avere. Da quella posizione privilegiata aspettò che il pianeta facesse un giro completo su sé stesso, individuando e mappando la posizione di tutti i bambini che erano nati dopo il suo ultimo arrivo su quel pianeta. Era quello l’ultimo seme che aveva lasciato a quella razza dominante per fargli percorrere un altro piccolo gradino sulla scala infinita dell’evoluzione spirituale. Un gruppo di bambini che stavano crescendo sviluppando alcune doti che sarebbero state essenziali alla nuova umanità. Li contò tutti e li strinse virtualmente in un’unico abbraccio amoroso. Quella stretta mentale fu percepita da tutte le migliaia di bambini come un’ondata di calore e di amore infinito, verso sé stessi (come gruppo), ma anche verso tutti gli altri. La loro risposta, pronta ed immediata, gli diede la sicurezza che era venuto il momento giusto per aumentare a dismisura le loro capacità an-

Mike Tempo Nato a Tenerife nel 1970, scrittore freelance, ha al suo attivo numerosi racconti di fantascienza pubblicati all’estero con vari pseudonomi. Si è distinto per la sua grande

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cora sopite, facendo nascere di fatto una nuova specie di umanità. Questi bambini avrebbero trasmettesso le loro doti a tutti coloro che avevano la sufficiente apertura mentale e spirituale per recepirle... e tutti insieme avrebbero ripopolato il nuovo mondo. Infatti occorreva che il vecchio finisse, troppe persone con vibrazioni negative e troppe tossine stavano inquinando quel pianeta, ad un punto che ormai aveva passato la soglia del “non ritorno”. Occorreva un suo intervento che riequilibrasse le cose e portasse quei cieli e quei mari ad una purezza simile ai cuori di quei bambini. Vide un grosso asteroride orbitante in un’orbita ellittica e ne deviò il moto, calcolando velocemente una traiettoria che lo portasse a sfiorare il pianeta ma senza farlo impattare. Lo avrebbe “semplicemente” sfiorato. Ma le forze gravitazionali dei due corpi avrebbero indotto delle onde di maree e telluriche tali che il pianeta dopo quell’incontro ravvicinato non sarebbe stato più lo stesso. Gli sovvenne quella frase che aveva suggerito telepaticamente ad uno scrittore qualche tempo addietro: “Nuovi cieli e nuove terre”. Beh... si, aveva pensato proprio a tutto, adesso poteva godersi lo spettacolo. Racchiuse tutta la sua forma di energia in una dimensione compatta e raggiunse il livello del suolo, adagiandosi su di un assolato prato erboso. Per chi avesse assistito all’evento, avrebbe avuto l’impressione di una brina mattutina che si distendeva nella pianura. Rimase sospeso a pochi metri dal suolo... ristette ed attese. In quel momento, se avesse avuto delle labbra, si sarebbe potuto cogliere su di esse un leggero sorriso. capacità di combinare il realismo e l’immaginazione con l’interpretazione delle contraddizioni della società moderna. Questo suo scritto è il primo pubblicato in italia avendo ceduto i diritti di esclusiva della sua produzione alla rivista online “Runa Bianca”

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