ARCHEOLOGIA STORIA SCIENZA E MISTERO
ANNO I LUGLIO 2011
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PIRAMIDI BOSNIACHE
Tra scoperte e sabotaggi
CATARI: I BONI HOMINES STORIA: LA BIBBIA SVELATA UFO: LA STELLA DI BETLEMME ARCHEO: LA PIÙ ANTICA CHIESA CRISTIANA
IN QUESTO NUMERO:
17 ARTICOLI 20 NEWS 5 LIBRI 6 VIDEO 4 SITI WEB
LUGLIO 2011 | N.1
SOMMARIO Editoriale News Video Libreria Siti web Mostre & eventi
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RUBRICHE Trasmutazione dello spirito nell’evoluzione universale cosmica di Lilly Antinea Astore
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ARTICOLI Missione italiana sulle piramidi bosniache Le ricerche e i risultati di Paolo Debertolis
Il mio primo incontro con Sai Baba
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41 Il cosmo mi parla 45 Il simbolismo della Piramide 51
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I Catari: i seguaci dell’Anticristo di Osvaldo Carigi e Stefania Tavanti
Homo Saurus
Un alieno d’acqua dolce di Unconventional Research Group
L’uomo che superò i confini del mondo
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Vita e viaggi di Cristoforo Colombo di Ruggero Marino
Agopuntura,Yoga e… …silenzio
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L’universo frattale e l’illuminazione del Sé di Michele Proclamato
Custodi dell’Immortalità
Le piramidi, lo Zed, Osiride, Orione e Iside di Piero Magaletti
Incontri ravvicinati del IV tipo
Dal mito dei rapimenti reali alla teoria delle interferenze mentali. Presentazione di un caso. Parte I di Giulia M. D’Ambrosio e Duccio Calamandrei
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Passaggio in India, ai piedi di Swami di Tullia Parvathi Turazzi
Ciclopi del Nord
È ora di svegliarsi, figlia di Anja Zablocki
Il sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)
Le radici di una scienza antica di Antonio Crasto
La Bibbia svelata
Non ci hanno raccontato tutto e nemmeno il vero di Mauro Biglino
La Stella di Betlemme era un UFO?
Riflessioni sulla cometa avvistata ai tempi di Gesù di Vincenzo Di Gregorio
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I Boni Homines
Runa Bianca
Omero nel Baltico di Felice Vinci
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La scoperta della più antica chiesa cristiana. Parte I di Gabriele Rossi Osmida
Il passaggio segreto di S. Marco
129 59 Il Cerchio della Vita 135 Runa Bianca 63 Anticipazioni numero 2 agosto 2011 142 Archeologia del Sottosuolo di Luigi Bavagnoli e Margherita Guccione La porta del tempo di Mario Balocco
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EDITORIALE tempo di lettura 4 minuti
di Vincenzo Di Gregorio
Siamo arrivati al secondo numero...
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iamo arrivati al secondo numero di Runa Bianca ed è già tempo di consuntivi. Il numero “Zero” è andato molto bene, superiore a tutte le nostre aspettative. Abbiamo riscontrato un grande interesse sia negli utenti sia negli “autori”, che hanno giustamente visto in questa iniziativa editoriale online, un “qualcosa” che sin’ora mancava nel patrimonio culturale ed editoriale italiano. Runa Bianca garantirà sempre la massima trasparenza nella pubblicazione dei vari articoli con date condivise e un rapporto ed accordi chiari e onesti con i singoli autori. La nostra filosofia avete avuto modo di conoscerla attraverso il nostro numero Zero ma anche attraverso il nostro sito internet (www.runabianca.it) in cui campeggia un trinomio per noi fondamentale “Trasparenza, Gentilezza e Cortesia” e dal motto ‘Prima che studiosi siamo tutti amici accomunati da una stessa passione e su tale traccia vorremmo improntare la nostra e la vostra collaborazione’. Nel frattempo il passaparola ci ha già fatto diffondere a macchia d’olio nel web, l’eco della nostra iniziativa è stata incredibile portandoci inaspettatamente ad essere recensiti anche in siti d’oltralpe XGate (www.x-gate.ch/ index.aspx?m=1400). Il nostro PDF è stato scaricato da moltissimi siti che lo hanno letteralmente “fagocitato” contribuendo alla sua diffusione ma ancor più alla divulgazione delle teorie e delle idee proposte dai nostri autori. Nella “rete” il passa parola ha raggiunto decine di migliaia di persone, vedremo di non disattendere le loro aspettative. Stiamo lavorando per Voi su molti fronti e oltre a contattare i migliori ricercatori italiani (e non-italiani) stiamo anche intraprendendo
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iniziative e spedizioni che un eMagazine che si rispetti non può ne deve trascurare. Stiamo per effettuare ricerche mirate in siti italiani e stranieri che faranno sicuramente scaturire interessantissimi report di cui i nostri lettori avranno sempre l’anteprima assoluta. Per l’anno prossimo stiamo anche organizzando un grande evento da coordinare assieme ad altri noti protagonisti della cultura italiana, mentre parallelamente stiamo predisponendo la creazione e l’uscita di numeri Monografici da collezione, su alcuni temi noti, arcinoti, o poco conosciuti, ma sempre col taglio della nostra rivista, nell’intento di far parlare tutti i protagonisti e i ricercatori, per mettere a confronto più ipotesi e più tesi senza filtri o censure. Frammenti di verità sicuramente usciranno fuori, spetterà a tutti voi saperli cogliere e giudicare. Ma veniamo a questo numero. Come nei film di successo, dopo il primo tutti si aspettano l’uscita del secondo per vedere se è all’altezza del precedente e se lo è ... forse non è stato un caso! Noi riteniamo che il caso non esista ma tutto quello che facciamo e che ci accade sia il frutto di determinate azioni, magari anche non del tutto consapevoli. Quindi se c’è una formula “vincente” è la formula che crea il successo, a prescindere da tanti altri fattori, e la formula in questo caso è la qualità che alla lunga paga sempre. Come potete vedere il sommario di questo numero è ricchissimo di molti nomi noti per chi “mastica” da un po’ di anni questi argomenti. Vi sono però anche delle New-Entry d’eccezione come il gruppo di ricerca che sta indagando da mesi sulle Piramidi Bosniache. L’importanza dei loro risultati, la loro professionalità, le potenziali conseguenze sull’a-
Runa Bianca
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EDITORIALE
Vincenzo Di Gregorio
pertura di porte mai aperte sul nostro passato di europei, ci ha indotto a dedicare la copertina di questo numero alla “piramide del sole” di Visoko e a pubblicare un’interessantissimo report da parte del capo-missione il Prof. De Bertolis dell’università di Trieste. Alcuni elementi della nostra redazione si recheranno quest’estate sul posto e vi saranno sicuramente degli sviluppi nelle ricerche che vi saranno puntualmente documentate, quasi in “diretta”, nei prossimi numeri. Vi segnalo il profondo articolo di Lilly Antinea Astore che ci indica come rispondere ad alcune delle domande esistenziali più profonde e rimaste sin’ora senza risposta. Alcuni “nuovi” autori ci hanno dato la loro adesione inviandoci un articolo di “presentazione” come Mauro Biglino o Tullia Parvathi Turazzi. Mentre il primo ci fa intravedere alcune nuove chiavi di lettura della Bibbia la seconda ci descrive un affresco del suo arrivo in India. Una foto a colori in cui si avvertono i profumi dell’oriente, questo solo per scaldare i motori per i report che saranno pubblicati nei prossimi numeri ma non vi tedio oltre e vi lascio alla lettura di questo nuovo secondo numero della Runa Bianca. Buona lettura e a presto!
Arch. Vincenzo Di Gregorio Tutti i diritti di riproduzione degli articoli pubblicati sono riservati. Manoscritti e originali, anche se non pubblicati, non si restituiscono. Il loro invio implica il consenso gratuito alla pubblicazione da parte dell’autore. È vietata la riproduzione anche parziale di testi, e fotografie, documenti, etc. senza il consenso scritto dell’autore e della rivista Runa Bianca. La responsabilità dei testi e delle immagini pubblicate è imputabile ai soli autori.
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Runa Bianca
COMITATO REDAZIONALE Vincenzo Di Gregorio Lilly Antinea Astore Enrico Baccarini Andrea Critelli
Per contattare la redazione, collaborare, segnalare libri, eventi potete scrivere a redazione@runabianca.it
www.runabianca.it HANNO COLLABORATO Anja Zablocki Antonio Crasto Duccio Calamandrei Felice Vinci Gabriele Rossi Osmida Giulia M. D’Ambrosio Luigi Bavagnoli Margherita Guccione Mario Balocco Mauro Biglino Michele Proclamato Osvaldo Carigi Paolo Debertolis Piero Magaletti Ruggero Marino Stefania Tavanti Tullia Parvathi Turazzi Unconventional Research Group SVILUPPO E PROGETTO GRAFICO Andrea Critelli
Luglio 2011 | n.1
NEWS tempo di lettura 44 minuti
a cura di Enrico Baccarini
Le notizie più interessanti dal web ARCHEOSTORIA La civiltà perduta dell’Amazzonia
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egli ultimi anni gli archeologi hanno scoperto in Amazzonia le tracce di antichi insediamenti, densamente popolati. Ciò fa supporre l’esistenza di società più consistenti e più sviluppate di quanto finora di ritenesse. L’archeologa Denise Schaan, dell’Università Federale di Pará in Brasile, ha steso una mappa di gruppi di misteriose sculture realizzate sulle rocce tra 700 e 2000 anni fa. Si trovano inoltre 269 opere realizzate in terra, di forme circolari e rettangolari, sparse su un’area di 40.000 km quadrati, realizzate per scopi finora sconosciuti, ma Schaan sospetta che si trattasse di centri cerimoniali. “Tali opere potevano essere realizzate soltanto da una popolazione numerosa e ben coordinata, “ ha dichiarato la ricercatrice. L’archeologa brasiliana Helena Lima dell’Università Federale di Amazonas pensa che gi insediamenti identificati abbiano una lunga storia. Oltre alle centinaia di intagli e sculture di volti umani, risalenti tra 3000 e 7000 anni fa, Lima ha trovato anche oggetti di terracotta, che suggeriscono l’esistenza di una rete di villaggi ramificata in tutta la parte centrale dell’Amazzonia. La fitta foresta non sembra adatta al fiorire d’una civiltà, ma un ricercatore suggerisce che il paesaggio anticamente fosse molto diverso. L’archeologo Augusto Oyuela-Caycedo dell’Università di Florida ricorda che le tracce di cereali e di altre coltivazioni nel Perù nordorientale indicano che le grandi piane semia-
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ride della regione erano in realtà dolci praterie, coltivate con cura dai loro abitanti. Discover 2 luglio 2011
ARCHEOSTORIA Scoperta una nuova specie di dinosauri: è la più piccola mai conosciuta
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coperta da due paleontologi dell’Università di Portsmouth una nuova specie di minuscoli dinosauri, che potrebbe essere la più piccola mai conosciuta. A individuare la nuova specie, trovata in una fossa a Bexhill, nell’East Sussex, sono stati Darren Naish e Steve Sweetman. La scoperta sarà descritta nel prossimo numero del ‘Cretaceous Research’. Corriere del Giorno 20 giugno 2011
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NEWS ARCHEOSTORIA Scoperta a Palenque una tomba maya
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l solstizio d’estate non poteva portare migliori auspici per l’archeologia. In contemporanea con la scoperta in Egitto della seconda barca solare di Cheope, dall’altra parte del mondo, all’ombra di altre piramidi, sono venute alla luce importanti rinvenimenti. L’uso di una piccola telecamera ha permesso di addentrarsi all’interno di quella che sembra essere una tomba intatta di un capo maya della città di Palenque, nello stato messicano del Chiapas. L’area funeraria, seppellita per circa 1.500 anni, si trova all’interno di una piramide dell’Acropoli a sud dell’area archeologica della grande città maya; era conosciuta già dal 1999 ma l’instabilità della struttura, con il pericolo che parte dell’edificio potesse crollare sulla tomba, impediva l’accesso. La microcamera, spinta fino a cinque metri di profondità attraverso un piccolo buco nella piramide, ha mostrato affreschi sulle pareti e a terra oggetti del corredo funerario composto perlopiù da reperti in ceramica, giada e madreperla. Le pitture rappresentano figure in nero su uno sfondo rosso vivo. La ricchezza del corredo ha spinto gli archeologi a credere che si tratti della sepoltura di un capo religioso. Per il momento le riprese hanno permesso di identificare solo alcuni oggetti archeologici per cui sembra che manchi il sarcofago, come è stato invece riscontrato nella famosa sepoltura di Pakal il Grande (K’nich Janaab Pakal) 615-683 d.C. , il più conosciuto dei signori maya, trovata da Alberto Ruz negli anni
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Runa Bianca
a cura di Enrico Baccarini cinquanta non molto lontano, nella stessa Palenque, nel Tempio delle Iscrizioni. L’area archeologica abbraccia attualmente più di due chilometri quadrati, ma gli archeologi calcolano che si è esplorato solo il 10 per cento della città. Migliaia di strutture risultano essere ancora coperte dalla folta vegetazione della giungla. In Palenque, come in altre città maya, il problema della ricostruzione storica sta nel fatto che gli ultimi governanti si sono fatti seppellire sulle tombe dei predecessori. Praticamente Pakal ed altri signori del periodo classico tardo, con la costruzione dei propri edifici sacri, hanno in parte distrutto e celato le epoche anteriori, il periodo formativo ed il primo periodo classico. La tomba investigata, di circa cinque metri quadrati, secondo gli esperti dovrebbe datare tra il 431 ed il 550 dopo Cristo, primo periodo classico, e da ciò il suo straordinario interesse. Alcuni studiosi pensano che potrebbe trattarsi del sepolcro di K’uk’Bahlam, il primo signore della cittàstato. Altri sperano che si tratti della tomba di Ix Yohl Ik’nal, la famosa donna che governò Palenque. Nell’area fu già trovata nel 1994 la tomba di una donna di alto rango e di gran prestigio, battezzata dagli archeologi come la Regina Rossa per il pigmento rosso che copriva la sua sepoltura. Giuseppe Lembo ArcheoMolise 25 giugno 2011
ARCHEOSTORIA Nuove indagini su Ciro, il dinosauro meglio conservato del mondo
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ppena uscito dall’uovo 110 milioni di anni fa in una zona ora in provincia di Benevento. L’unico fossilizzato insieme agli organi interni, ora sottoposto a una vera e propria autopsia. Sulla bianca lastra di calcare, non più grande di un piatto, la breve esistenza di un
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a cura di Enrico Baccarini dinosauro neonato appare in tutta la sua istantanea, minuta fragilità. Ma questa vita, per breve che fu, venne letteralmente intrappolata nella vertiginosa profondità del tempo geologico, facendosi quasi eterna. Questo è il paradosso di Ciro, che oggi, capita la sua vera età «anagrafica», affascina ancora di più: visse soltanto una manciata di giorni. Appena sgusciato fuori da un uovo, con la fontanella aperta sul capo come nei cuccioli di uomo e con il ventre ancora gonfio di una piccola riserva di tuorlo, ebbe giusto il tempo di guardarsi intorno stupito, sgranchirsi le gambe al tepore del sole, assaporare i primi pasti. Anche questi conosciamo bene, ora, addirittura nell’ordine in cui furono ingeriti: nel suo intestino, lo stesso incredibile destino cristallizzò le scaglie di una sardina, i cui anelli di accrescimento dicono che aveva nuotato per nove stagioni, prima di finire tra i dentini seghettati di Ciro; poi un piccolo rettile e un altro pesce, e infine la zampa di una grande lucertola, così grande per lui, che furono i genitori a procacciarla. Il dinosauro neonato non ebbe neppure il tempo di digerirla, che vento e acqua lo spazzarono via improvvisamente, sottraendolo alla vita e immobilizzandolo per 110 milioni di anni nel fondo fangoso del mare che piano piano diventava roccia. Tanto è dovuto passare, finché altri esseri potessero scoprire chi fosse questa creatura e come avesse trascorso la sua brevissima esistenza. Unico dinosauro al mondo fossilizzato con gli organi interni, e dunque primo al mondo
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NEWS a poter essere sottoposto a una vera e propria autopsia, Scipionyx samniticus divenne una star della paleontologia conquistando la copertina di Nature nel 1998, con un articolo firmato dai paleontologi Cristiano Dal Sasso e Marco Signore. Ma era solo l’inizio. Il battesimo scientifico di Ciro – come lo chiamarono i giornalisti italiani – mirava in primis a riconoscere i caratteri peculiari dello scheletro e dunque a confermare l’idea che il primo dinosauro trovato in territorio italiano fosse anche una specie nuova per la scienza. Le ricerche sono continuate con metodi di studio sempre più moderni e oggi, dopo cinque anni di Tac, fotografie in luce ultravioletta, esplorazioni al microscopio elettronico su microcampioni infinitamente piccoli, Dal Sasso e Simone Maganuco hanno fatto così tante nuove scoperte da riempire un volume di 300 pagine. Le eccezionali fotografie e le dettagliate ricostruzioni anatomiche appena pubblicate dai due paleontologi del Museo di Storia naturale di Milano documentano in modo inequivocabile che Scipionyx da Pietraroia (Benevento) è il dinosauro meglio conservato al mondo. Per essere un fossile, Ciro presenta una ineguagliabile varietà di tessuti molli, molti dei quali mai visti in alcun altro dinosauro: legamenti intervertebrali, cartilagini articolari nelle ossa delle zampe, muscoli e connettivi del collo, parte della trachea, residui dell’esofago, tracce del fegato, l’intero intestino, vasi sanguigni mesenterici, capillari ramificati, fasci muscolari degli arti posteriori e della coda composti da cellule ancora perfettamente striate, addirittura i batteri che colonizzavano l’intestino. È inoltre ineguagliabile il dettaglio con cui questi tessuti sono fossilizzati: grazie a particolari condizioni fisico-chimiche, essi sono stati replicati da cristalli più piccoli di un millesimo di millimetro, che ancora oggi ci mostrano strutture di dimensioni cellulari e subcellulari. Ancora più stupefacente appare che alcuni elementi chimici, una volta utilizzati dalle cellule vive, come il ferro accumulato nell’emoglobina del sangue, non siano stati rimossi dalle acque mineralizzanti ma siano stati riutilizzati nella rapidissima fossilizzazione dell’animale, incorporati nei cristalli di limonite che formano una grande macchia
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a cura di Enrico Baccarini
rossa, presente nel torace del piccolo dinosauro. La microsonda che ha effettuato le analisi chimiche non ha lasciato dubbi: quel ferro è autigeno. Ovvero, quegli stessi atomi, 110 milioni di anni fa, si trovavano nei globuli rossi di Ciro che, spinti da un piccolo cuore pulsante, trasportavano ossigeno vitale in un caldo corpicino piumoso. Secondo il team di esperti di fama mondiale che ha valutato la ricerca dei paleontologi milanesi, le descrizioni e le illustrazioni pubblicate nella monografia su Scipionyx permetteranno di confrontare la morfologia dei tessuti molli di un importante gruppo estinto di animali, quali sono i dinosauri, con le analoghe strutture biologiche osservabili nei vertebrati viventi. Pertanto Ciro è destinato a far parlare di sé ancora per molto e a diventare un esemplare di riferimento per un gran numero di discipline scientifiche, coinvolgendo non solo paleontologi ma anche biologi evoluzionisti, morfologi funzionali, anatomisti comparati, fisiologi, veterinari, erpetologi e ornitologi. Cristiano Dal Sasso (sezione di paleontologia dei vertebrati, Museo di Storia naturale di Milano)
Il Corriere della Sera 20 giugno 2011
ARCHEOSTORIA Una “Stele di Rosetta” per la scrittura dell’Indo
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i piacciono i misteri e gli enigmi delle antiche scritture? Certamente piacciono a Rajesh Rao, un neuroscienziato esperto di computer, ricercatore presso l’Università di Washington, Seattle. Ha dedicato parecchio del suo tempo a risolvere “il principale dei problemi di parole crociate”: come decifrare la scrittura dell’Indo, di oltre anni fa. Il Dr Rao ha usato modelli informatici per capire i meccanismi della mente umana in due direzioni: per sviluppare modelli che descrivessero come pensa la mente umana, e per applicare tali modelli alla decifrazione
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della lingua misteriosa. Il video che si trova nella notizia originale può spiegarvi meglio come ha proceduto. Alcune delle questioni alla base della ricerca del Dr Rao includevano: Come acquisisce il cervello umano rappresentazioni efficienti di nuovi oggetti e nuovi eventi naturali? Quali algoritmi consentono di avvicinarsi ad un uso sensoriale tipico dell’apprendimento umano? Quali meccanismi di calcolo permettono al cervello di adattarsi alle circostanze mutevoli, rimanendo robusto e tollerante degli errori? The Guardian 1 luglio 2011
ARCHEOSTORIA Una piccola era glaciale spazzò via i Vichinghi dalla Groenlandia
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n repentino abbassamento delle temperature, compiutosi nel giro di poche decine d’anni, ancora prima che avesse inizio la Piccola Era Glaciale: solo pochi gradi in meno, quattro, ma abbastanza da mettere in crisi la sopravvivenza delle popolazioni nordiche. Secondo uno studio pubblicato su Pnas dai ricercatori della Brown University (Usa) sarebbe questa una delle cause della scomparsa dei Vichinghi dalla Groenlandia intorno al 1100 d.C. Per studiare l’andamento delle temperature nel tempo, gli scienziati hanno prelevato alcuni campioni dal sedimento di due laghi nei pressi di Kangerlussuaq, un piccolo villaggio nella regione sud occidentale della Groenlandia, ottenendo dati climatici su un periodo complessivo di 5.600 anni. Le regioni dove sono stati eseguiti i campionamenti, come spiegano gli studiosi, sono le stesse in cui vissero i Vichinghi, e ancor prima le popolazioni delle culture Saqqaq e Dorset. Analizzando i campioni, i ricercatori hanno osservato che intorno al 1100 d.C., circa due secoli dopo l’insediamento dei Vichinghi, le temperature in Groenlandia cominciarono a diminuire in modo significativo: meno quattro gradi Celsius nel giro di soli ottanta anni.
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a cura di Enrico Baccarini Un cambiamento che ebbe effetti devastanti e mise in crisi la sopravvivenza dei popoli nordici perché determinò una riduzione dei tempi di crescita delle coltivazioni, limitò le risorse con cui allevare il bestiame e prolungò i periodi di gelo in mare, rendendo più difficili i viaggi per il commercio. Questo, insieme allo stile di vita solitario e l’indole combattente, avrebbe dato origine alla scomparsa dei Vichinghi dai territori della Groenlandia, che si sarebbe poi concretizzata tra la metà del 1300 e gli inizi del 1400, come suggeriscono i reperti archeologici e le testimonianze scritte. Scavando più indietro nel tempo, invece, i ricercatori hanno scoperto che la cultura degli Saqqaq, in Groenlandia dal 2500 a.C., sperimentò per secoli oscillazioni di temperature, fino all’850 a.C. circa. Intorno a quella data infatti, il clima divenne all’improvviso più rigido, contribuendo forse alla scomparsa della popolazione e favorendo l’insediamento della cultura dei Dorset, più adattata al clima rigido. Anna Lisa Bonfranceschi
Storia in Rete e Galileo 16 giugno 2011
ARCHEOSTORIA Ustica, un mistero lungo 31 anni
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ono passati 31 anni dal disastro aereo di Ustica, quando un Dc9 dell’Itavia si inabissò in mare provocando la morte di 81 persone. Una tragedia dai contorni mai chiariti, rimasta senza colpevoli, che ha prodotto in tre decenni inchieste della magistratura, interrogativi e polemiche e che rappresenta ancora oggi un mistero insoluto. Il volo IH870 decolla alle 20.08, con due ore di ritardo, da Bologna alla volta di Palermo. L’ultimo contatto radio tra il velivolo e il controllore è delle 20.58. Poi alle 21.04, chiamato per l’autorizzazione di inizio discesa su Palermo, il volo non risponde. Alle altre chiamate replica solo un silenzio inquietante. L’aereo è disperso. Cominciano le ricerche e
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NEWS per tutta la notte elicotteri, aerei e navi perlustrano la zona. Solo alle prime luci dell’alba, ad alcune decine di miglia a nord di Ustica, una chiazza oleosa e i primi relitti fanno capire cosa è avvenuto: il velivolo è precipitato al largo dell’isola del palermitano, in un tratto del mar Tirreno in cui la profondità supera i tremila metri. INDAGINI. Immediatamente vengono avviate le indagini. Dal ministero dei Trasporti e dalla magistratura. Tre procure aprono un fascicolo: quella di Bologna, luogo di partenza del volo, quella di Palermo, dove il velivolo avrebbe dovuto atterrare, e quella di Roma, in cui ha sede legale la società Itavia. L’allora ministro dei Trasporti, Rino Formica, nomina una commissione d’inchiesta, la cosiddetta Luzzati, che, però, dopo la presentazione di due relazioni preliminari si autoscioglie nel 1982 per contrasti di attribuzione con la magistratura. Anche le Procure di Palermo e Bologna rimettono per competenza i propri atti a Roma. Sui pochi relitti del velivolo vengono ritrovate tracce di esplosivi TNT e T4 in proporzioni compatibili con ordigni militari. I periti concludono che senza l’esame del relitto non è possibile chiarire se il Dc9 cadde per un’esplosione interna, vale a dire una bomba o esterna, quindi un missile. In ogni caso, però, viene esclusa l’ipotesi inizialmente sostenuta di un cedimento strutturale. Spiegazione ufficiale della tragedia, che porterà infine la società a sciogliersi. Dal 1982 dell’indagine si occupa il giudice istruttore Vittorio Bucarelli, che nomina una nuova commissione di periti. È il 1987 quando la ditta francese Ifremer comincia le operazioni di recupero della carcassa del Dc9, ad una profondità di oltre 3mila metri. Servono, però, due campagne di lavori ed alcuni anni per riportare in superficie circa il 96% del relitto. Nel frattempo anche la Commissione Stragi, presieduta dal senatore Libero Gualtieri, comincia ad occuparsi della vicenda, contestando una serie di reati a numerosi militari in servizio presso i centri radar di Marsala, in provincia di Trapani, e Licola nei pressi di Napoli. Prende corpo la tesi dei depistaggi ed inquinamenti delle prove che avrebbero impe-
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NEWS dito agli inquirenti di far luce sulle cause della strage. È l’inizio di una seconda fase delle indagini e al giudice Bucarelli subentra Rosario Priore. Da questo momento in poi ingenti risorse umane e finanziarie vengono impiegate per dimostrare il cosiddetto ‘scenario aereo e il suo occultamento. La sentenza-ordinanza Priore viene depositata nell’agosto del 1999. LE OMBRE. Nonostante le lunghe indagini, il recupero di una parte consistente del relitto e le centinaia di pagine dei periti non ci sono ‘prove definitive e certe per individuare i colpevoli del disastro aereo. Nella sentenza, comunque, viene stabilito che il Dc9 Itavia è rimasto coinvolto in uno scenario di battaglia aerea avvenuto nei cieli italiani. Le reticenze e le false testimonianze, secondo la sentenza Priore, hanno ostacolato le indagini, inquinando le informazioni su quanto accaduto. Per il giudice a causare il disastro potrebbe essere stata la collisione con un missile o con un altro velivolo. I responsabili materiali del disastro, però, non possono essere individuati conclude il giudice Priore e, quindi, essendo ignoti gli autori non si può procedere in ordine al delitto di strage. Ma l’inchiesta non manca di sviluppi giudiziari dal momento che diversi militari italiani vengono rinviati a giudizio per i presunti depistaggi. Nel settembre del 2000 nell’aula bunker di Rebibbia si apre il processo davanti alla terza sezione della Corte d’Assise di Roma a carico di quattro generali, vertici dell’Aeronautica del tempo: Lamberto Bartolucci, Franco Ferri, Zeno Tascio e Corrado Melillo. Molti i reati contestati dal falso ideologico all’abuso d’ufficio e favoreggiamento fino all’alto tradimento. Dopo quasi 300 udienze e migliaia di testimoni ascoltati il 30 aprile del 2004 la Corte assolve i quattro generali da tutte le accuse contestate. Mentre per un capo d’imputazione nei confronti di Bartolucci e Ferri, in merito alle informazioni sbagliate che i due militari fornirono alle autorità politiche, viene dichiarata la prescrizione del reato. Viene presentato il ricorso in appello, ma anche la Corte d’Assise d’Appello di Roma il 15 dicembre del 2005 assolve, perchè il fatto non sussiste gli imputati, i generali Bartolucci e Ferri. Per i giudici non ci sono prove a sostegno dell’accusa
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a cura di Enrico Baccarini di alto tradimento. La Procura generale di Roma propone il ricorso in Cassazione contro la sentenza d’appello del 2005, ma il 10 gennaio del 2007 la prima sezione penale della Corte di Cassazione conferma la sentenza pronunciata dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Roma e dichiara il ricorso inammissibile. L’assoluzione diventa definitiva. Il 21 giugno del 2008, a 28 anni dalla strage, l’inchiesta su Ustica viene riaperta dopo le dichiarazioni di Francesco Cossiga, presidente del Consiglio all’epoca dei fatti, secondo il quale ad abbattere l’aereo sarebbe stato un missile “a risonanza e non ad impatto”, lanciato da un aereo francese. È dello scorso anno, infine, la presa di posizione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che l’8 maggio 2010 sottolineò l’esistenza oltre che di “intrecci eversivi, anche di intrighi internazionali, che non possiamo oggi non richiamare, insieme con opacità di comportamenti da parte di corpi dello Stato, ad inefficienze di apparati e di interventi deputati all’accertamento delle verità”.
La Sicilia 27 giugno 2011
ARCHEOSTORIA Chi uccise Lorenzino de’ Medici? Dopo 5 secoli svelato il mistero
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organizzare la congiura contro Lorenzino de’ Medici (1514-1548), ucciso a colpi di pugnale da due sicari, non fu Cosimo I de’ Medici. Il mandante del suo omicidio fu l’imperatore Carlo V d’Asburgo. È stato svelato dopo quasi cinque secoli uno dei misteri più lunghi della storia del Rinascimento, facendo emergere un complesso intrigo internazionale. La morte di Lorenzino de’ Medici, noto come Lorenzaccio per l’agguato mortale che il giovane rampollo fiorentino tese il 6 gennaio del 1537 al primo duca di Firenze, Alessandro de’ Medici, viene ricostruita ora nel libro “L’assassino del duca. Esilio e morte di Loren-
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a cura di Enrico Baccarini zino de’ Medici” dallo storico Stefano Dall’Aglio, pubblicato dall’editore Olschki. Stefano Dall’Aglio, professore di storia moderna all’Universita’ “La Sapienza” di Roma, dal 2006 al 2010 ha lavorato come ‘fellow’ del Medici Archive Project all’Archivio di Stato di Firenze. Grazie alle sue ricerche, Dall’Aglio ha ricostruito le vicende dell’assassino del duca nell’arco di tempo degli undici anni compresi tra la morte di Alessandro e quella dello stesso Lorenzino, facendo ordine per quanto possibile tra realtà e leggenda. Le ricerche hanno portato lo studioso all’Archivio di Valladolid in Spagna, dove ha trovato due lettere dell’imperatore Carlo V nelle quali si ordinava, a chiare lettere, l’uccisione di Lorenzaccio. La vendetta per la morte di Alessandro che si consumò a Venezia il 26 febbraio 1548 non fu quindi ordita da Cosimo de’ Medici, ma dall’imperatore del Sacro Romano Impero in persona. Dall’Aglio ha condotto un’accurata ricerca sulla figura di Lorenzino de’ Medici e sulla sua morte, scandagliando centinaia di documenti inediti, anche in cifra, contenuti nell’Archivio di Stato di Firenze e in altri archivi, italiani e stranieri. Dopo avere scoperto che gli uomini del duca Cosimo non avevano effettivamente eseguito l’assassinio, come in un giallo lo studioso si È messo alla ricerca del vero mandante dell’omicidio. Avendo ricostruito un quadro storico dal quale emergeva la sete di vendetta dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, suocero del duca Alessandro ucciso da Lorenzino, Dall’Aglio ha imboccato una pista di ricerca che lo ha portato in Spagna. Nell’Archivo General de Simancas, presso Valladolid, ha scoperto due lettere dell’imperatore in persona nelle quali si ordinava espressamente l’uccisione di Lorenzino. La storia di quell’episodio va dunque completamente riscritta: il mandante dell’assassinio veneziano non fu il duca di Firenze Cosimo I, come sostenuto unanimemente dalla storiografia fino ad oggi, ma il potentissimo Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero. Il libro di Stefano Dall’aglio offre un ritratto molto lontano dagli stereotipi della storio-
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grafia del passato, dal quale emergono, tra le altre cose, il ruolo politico di primo piano rivestito da Lorenzino de’ Medici nell’ambito delle manovre dei fuoriusciti fiorentini e importanti novità sulla redazione della sua “Apologia”, nella quale spiegò le ragioni dell’assassinio del duca Alessandro de’ Medici, suo cugino e compagno di scorribande notturne.
Adnkronos 30 giugno 2011
ARCHEOSTORIA Scoperta ad Assuan la più antica effige di un sovrano dell’Alto Egitto
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li archeologi dell’Università di Bologna e di Yale hanno ricostruito in digitale le incisioni rupestri di Nag el-Hamdulab, risalenti al 3200 a.C., scoprendo la più antica immagine di un re sacerdote con la corona bianca dell’Alto Egitto e una delle più antiche iscrizioni geroglifiche. La scoperta arriva dalla missione “The Aswan-Kom Ombo Archaeological Project” nata dalla collaborazione tra l’Università di Yale e il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna. Gli studiosi italo-statunitensi, assieme ai colleghi della Provinciale Hogeschool Limburg in Belgio, hanno completato la prima documentazione digitale e grafica di Nag el-Hamdulab, sito di arte rupestre scoperto alla metà del ‘900 dal famoso egittologo egiziano Labib Habachi, nei deserti alle spalle del villaggio omonimo, situato sulla riva occidentale del Nilo a nord di Assuan. Le immagini e l’iscrizione geroglifica costituiscono la prima straordinaria raffigurazione di un giubileo regale completo di tutti gli elementi che lo caratterizzeranno nei periodi successivi, tra cui il faraone con indosso la corona bianca dell’Alto Egitto, accompagnato dal cosiddetto “Seguito di Horus” ossia la corte regale, come si conosce da fonti protodinastiche. Il ciclo figurativo risale probabilmente al 3200 a.C., che corrisponde alla parte fina-
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NEWS le della cultura preistorica di Naqada, in un momento collocabile cioè tra il re Scorpione ossia il primo re della dinastia Zero (cui è da attribuirsi con ogni probabilità, la tomba Uj ad Abydos) e Narmer, sovrano della Prima dinastia. Le scene individuate ad Assuan sono uniche e importantissime poiché consentono di “fissare” sulla roccia il momento di passaggio tra i temi raffigurati nel periodo predinastico, ossia processioni di barche e animali quali simboli del potere regale, al repertorio propriamente dinastico dove la figura regale, posta al centro della scena, domina gli eventi. E’ proprio il potere del faraone a emergere dalle
scene di Nag el-Hamdulab, ritratto nelle vesti di supremo sacerdote, figura-simbolo del potere terreno e divino. Immediato il suo riconoscimento nella scena grazie alle insegne regali che lo contraddistinguono: la corona bianca dell’Alto Egitto, qui documentata nella sua forma più antica.
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a cura di Enrico Baccarini La scoperta è eccezionale anche perché fra le scene figurative è stata individuata una delle prime iscrizioni geroglifiche. Nell’iscrizione presente a Nag el-Hamdulab si fa riferimento ad un luogo e ad una barca appartenente ad un non meglio specificato “seguito di”. L’espressione sembra essere un chiaro riferimento alla “corte di Horus” come confermano i primi testi, tra cui in particolare gli annali della pietra di Palermo, dove la raffigurazione di un’imbarcazione è appunto associata all’espressione “corte di Horus”. Con lo stesso termine nei documenti della Prima dinastia si riferisce ai viaggi del re e della sua corte, apparentemente finalizzati alla riscossione delle tasse, pratica che in seguito prenderà la forma della ben nota tassa biennale sul bestiame. Il testo, nel riferirsi a una barca della “corte di Horus”, rappresenta la prima e più antica testimonianza della pratica di riscossione di tasse da parte del faraone e la prima e più antica forma di controllo economico sull’Egitto e probabilmente anche sulla Nubia. Questo studio, grazie all’innovativo approccio metodologico ha permesso di documentare dettagliatamente, sia in formato digitale che cartaceo, un complesso di raffigurazioni rupestri prima del tutto sconosciute. La ricostruzione della scena principale, recentemente danneggiata in modo irreparabile a seguito di atti vandalici, è stata possibile grazie alla disponibilità delle foto originali scattate da Habachi (messe gentilmente a disposizione dalla Chicago House di Luxor dell’Istituto Orientale dell’Università di Chicago). Unibo Magazine 5 luglio 2011
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a cura di Enrico Baccarini
ARCHEOSTORIA Scoperta nuova barca solare del faraone
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i piedi delle piramidi di Giza gli archeologi hanno scoperto una nuova “barca solare”, sorella della cosiddetta barca di Cheope, rinvenuta e ricostruita diversi anni fa. Per anni si è ritenuto che la seconda barca fosse troppo fragile per essere riportata alla luce. Ma secondo gli esperti, oggi ci sono le condizioni per farlo. “Se è così fragile, significa che dobbiamo salvarla adesso”, dice l’archeologo Zahi Hawass. Gli archeologi del team nippo-egiziano stanno esaminando i frammenti di legno di cedro che costituiscono l’imbarcazione, ma il responsabile dell’operazione preferisce non rivelarne i dettagli: “È un segreto”, dice Sakuji Yoshimura dell’università giapponese di Waseda. “Il reperto non è mai stato toccato, quindi va esaminato scientificamente”. Sotto la lastra si trovano centinaia di fragili frammenti di legno, che verranno trasportati all’interno di una tensostruttura eretta sul sito nel 2008 dall’atmosfera controllata. Una volta terminato il lungo lavoro di estrazione del pezzi, ci vorranno alcuni anni per ricomporre la barca, che andrà a fare compagnia alla “barca di Cheope”, lunga 43 metri, custodita nell’apposito museo a Giza. Gli studiosi ritengono che la nuova barca sia leggermente più piccola di quella già ricostruita. Le barche solari avevano un ruolo importante nella mitologia egizia dell’aldilà. Gli antichi ritenevano che ogni notte, il dio del Sole, Ra, navigasse come Ra-Atum su una barca attraverso l’aldilà per battersi contro dei e bestie mitologiche, finché non sorgeva come Sole del mattino - Ra-Horakhty - e navigasse sulla barca diurna attraverso il cielo. Le barche, sepolte accanto alla Grande Piramide, dovevano servire ai viaggi nell’aldilà del faraone Cheope (Khufu). I rematori sulla barca probabilmente rappresentano un mezzo utilizzato da Ra, sostiene Hawass, explorer-in-residence di National Geographic.
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L’archeologo è convinto inoltre che le barche non siano mai state utilizzate da Cheope per navigare realmente sul Nilo, come invece sostengono alcuni. Anche la barca di Cheope, scoperta nel 1954, venne sepolta in vari pezzi in un pozzo profondo una trentina di metri, e venne ricostruita nell’arco di 13 anni. Dal 1982 la barca di Cheope è esposta in un museo, creato appositamente a fianco della Grande Piramide, progettato dall’architetto italiano Franco Minissi. I ricercatori guidati da Youshimura fecero lo stesso nel 2008 per esaminare le condizioni del legno. Da allora, fino al recente scavo, la camera è rimasta perfettamente sigillata nel timore che l’aria o gli insetti potessero danneggiare le assi di legno.
Il Fatto Storico 7 luglio 2011
SCIENZA Singola cellula produce un impulso laser
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ricercatori del Wellman Center for Photomedicine al Massachusetts General Hospital hanno recentemente sviluppato un laser biologico, un fascio di luce coerente prodotto a partire da una singola cellula vivente. Sembra fantascienza, ma questo nuovo metodo si spinge ben oltre i tra-
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NEWS dizionali sistemi di produzione di luce laser. Il laser biologico non sarà (per ora) in grado di tagliare una lamiera, ma potrebbe tornare utile in futuro per una svariata gamma di situazioni. “Uno dei nostri obiettivi sul lungo termine” spiega Malte Gather, uno degli autori della ricerca, “sarà quello di trovare un sistema per portare le comunicazioni ottiche, attualmente funzionanti tramite apparecchiature elettroniche inanimate, nel regno della biotecnologia. Sarebbe particolarmente utile in progetti che necessitano di interfacciare elettronica con organismi biologici. Speriamo inoltre di essere in grado di impiantare una struttura
equivalente al laser all’interno di una cellula, sarà il prossimo passo in questa ricerca”. Un laser non è altro che un dispositivo in grado di emettere luce coerente, monocromatica e molto luminosa. Il suo funzionamento, almeno sulla carta, è relativamente semplice: un mezzo ottico (un materiale in grado di amplificare la luce) viene stimolato all’interno di una cavità ottica, un tubo alle cui estremità sono stati posti due specchi secondo una configurazione tale da costringere la luce a rimbalzare diverse volte da un lato all’altro della cavità, fino a quando l’energia accumulata dalla luce non è tale da riuscire a sfuggire dallo specchio semitrasparente. Attualmente non esiste in natura alcun organismo biologico in grado di riprodurre questo fenomeno. La realizzazione di un laser comporta l’utilizzo di soli materiali inorgani-
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a cura di Enrico Baccarini ci, specialmente se si parla del mezzo attivo, generalmente composto da gas (come elio o neon), cristalli (rubino, zaffiro) o metalli. “Da quando fu sviluppato il primo 50 anni fa, i laser hanno sempre utilizzato materiali come cristalli, coloranti o gas purificati come mezzo ottico entro il quale gli impulsi di fotoni potessero essere amplificati e rimbalzare avanti e indietro tra i due specchi” spiega Seok Hyun, co-autore della ricerca. “Il nostro è il primo resoconto di un laser biologico funzionante basato su una singola cellula vivente”. Per creare il primo esemplare di questa nuova generazione di laser, i ricercatori hanno sfruttato una proteina espressa nella medusa Aequorea victoria, la GFP (Green Fluorescent Protein), che se colpita da luce di una specifica lunghezza d’onda è in grado di emettere luce verde. La proteina non ha nulla di misterioso per la scienza, e viene comunemente utilizzata per la sperimentazione genetica in molti organismi, ma il suo impiego per la produzione di luce laser non era mai stato ipotizzato in precedenza. I ricercatori hanno modificato alcune cellule di mammiferi rendendole in grado di esprimere questa particolare proteina. Una sola cellula è stata posta in una microcavità ottica composta da due minuscoli specchi, distanziati l’uno dall’altro di soli 20 milionesimi di metro. La cellula si è dimostrata in grado non solo di produrre brevi impulsi di luce laser, ma anche di amplificare la luce emessa tramite la sua forma sferica e di sopravvivere al processo, emettendo centinaia di impulsi di luce laser. “Anche se i singoli impulsi laser sono durati solo per pochi nanosecondi, erano sufficientemente luminosi da poter essere rilevati facilmente, e sembrano trasportare informazioni molto preziose che potrebbero indicarci nuovi metodi per analizzare quasi istantaneamente le proprietà di grandi gruppi di cellule” dice Yun. “E l’abilità di generare luce laser da una sorgente biocompatibile all’interno di un paziente potrebbe risultare utile per le terapie fotodinamiche, in cui i farmaci vengono attivati dall’applicazione della luce”. Dita di Fulmine 13 giugno 2011
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a cura di Enrico Baccarini
SCIENZA La meditazione batte i farmaci
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econdo uno studio pubblicato sul Journal of Neuroscience, lo zen ha un effetto analgesico. Durante l’esercizio della concentrazione “positiva”, nel cervello si accendono alcune aree e se ne spengono delle altre in un’azione “combinata” che riduce la sofferenza anche del 40%. Altro che analgesici: quando il dolore è troppo forte basta un’ora di meditazione. La capacità di concentrare la propria mente e liberarla dai pensieri negativi, infatti, avrebbe il potere di ridurre l’intensità del dolore fino al 40%. Non solo, abbasserebbe del 57% anche quella sensazione spiacevole che segue la sofferenza. Queste “certezze” sono il punto d’arrivo di uno studio, pubblicato sul Journal of Neuroscience, secondo il quale lo zen batte i farmaci perché è in grado di influenzare l’attività delle aree cerebrali che controllano lo stimolo doloroso, regolandone il grado di intensità. In altre parole, dicono i ricercatori del Wake Forest Baptist Medical Center di Winston-Salem (Usa), la meditazione ha il potere di “assopire” la corteccia somatosensoriale e di “svegliare” il cingolo anteriore, l’insula anteriore e la corteccia fronto-orbitale. Questa azione “combinata” sulle aree che governano la percezione del dolore ha un potere analgesico. “L’effetto che abbiamo riscontrato è sorprendente - spiega Fadel Zeidan, autore dello studio - basti pensare che la morfina o altri antidolorifici riducono in media il dolore del 25%”. Per testare gli effetti postivi della meditazione sul dolore, il team ha coinvolto 15 volontari. Tutti erano novizi dello zen. Per questo il campione è stato invitato a partecipare a un corso intensivo di una paricolare forma di meditazione, chiamata ‘mindfullness’. Ogni lezione di “attenzione focalizzata” durava 20 minuti, durante gli incontri ai partecipanti si chiedeva di concentrare la mente sul respiro, di mandare via pensieri intrusivi ed emozioni negative. Contemporaneamente gli studiosi, con
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NEWS un’apposita apparecchiatura sistemata sotto la gamba destra dei soggetti, generavano per cinque minuti un calore dolorifico, raggiungendo una temperatura di 49 gradi centigradi. Prima e dopo le lezioni, i ricercatori fotografavano ciò che accadeva nel cervello dei partecipanti grazie a una speciale risonanza magnetica, chiamata Arterial spin labelling. Questa particolare tecnica è in grado di rilevare, attraverso la mappatura del flusso sanguigno, l’intensita del dolore. Così registravano le reazioni dei partecipanti al dolore sia durante l’esercitazione sia mentre erano a riposo. E’ emerso che la meditazione spegne il dolore riducendolo del 40%, con delle punte del 93% in alcuni volontari. A livello cerebrale le scansioni hanno messo in evidenza una riduzione significativa dell’attività della corteccia somato-sensoriale, un’area fortemente coinvolta nella genesi della sensazione di dolore. Contemporaneamente si iperattivavano anche altre zone: il cingolo anteriore, l’insula anteriore e la corteccia fronto-orbitale. “Queste regioni cerebrali - dicono i ricercatori - plasmano il modo in cui il cervello costruisce l’esperienza del dolore a partire dai segnali nervosi provenienti dal corpo”. Una delle ragioni per cui la meditazione può essere stata così efficace nel bloccare il dolore è che non agisce su una singola regione del cervello, ma a più livelli. “Questo studio - dice Fadel Zeidan - mostra che la meditazione produce effetti realmente positivi sul cervello. E che quindi po-
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a cura di Enrico Baccarini
trebbe garantire il controllo del dolore senza l’utilizzo di farmaci”. Adele Sarno
La Repubblica 24 giugno 2011
SCIENZA Nuotano sotto zero, pescighiacciolo in Antartide
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eri e propri ‘supereroi’ sottomarini che per vincere la sfida in questo ambiente estremo sono arrivati ad auto-modificare le proprie caratteristiche biologiche, ritrovandosi, per esempio, con sangue bianco o con lo scheletro alleggerito, pur di adattarsi al clima polare. Sono i pescighiacciolo che, sotto gli strati di ghiaccio, popolano le acque gelide dell’Antartide. A studiarli i ricercatori dell’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) nell’ambito del progetto ‘Eco-fish’, insieme al Museo nazionale dell’Antartide e all’Università di Genova. Ora la vita speciale di questi animali è racchiusa in un video, ‘Pesci sotto il ghiaccio’, dove gli esperti hanno creato un percorso per guidare gli osservatori nell’esplorazione dell’ambiente subacqueo antartico. “In questo ambiente estremo - osserva Marino Vacchi dell’ Ispra - gli ‘ice-fish’ hanno sviluppato una spettacolare capacità di adattamento” che consente a questi esseri di “vivere e nuotare in acque sotto zero, che sfiorano i meno due gradi”. In alcuni di essi si trova, per esempio, “la presenza di liquidi anti-gelo, oppure in altri non è presente l’ emoglobina né i globuli rossi, cosa che riduce la densità del sangue e lo rende meno soggetto al congelamento”. Alcuni di questi pesci polari cambiano anche le “caratteristiche corporee” come il ‘silver-fish’ che è diventato “più leggero a livello osseo per via di una demineralizzazione dello scheletro”, cosa che ha consentito a questo pesce di vivere “in ambiente pelagico, cioé nella colonna d’acqua”. Per altri sono invece aumentati “i grassi e gli olii del corpo che essendo più leggeri dell’acqua ne permettono
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la risalita”. Proprio lo sviluppo delle modificazioni presenti in questi pesci ha acceso anche l’attenzione della medicina che - rileva Vacchi - nutre dell’interesse per “il modello biologico del silver-fish”, quello in cui si è alleggerito lo scheletro. Si studiano le fasi di crescita per capire quando si instaura questo meccanismo che, messo in relazione con la salute umana, fa pensare ad un’analogia con l’osteoporosi. Per vivere, dice Vacchi, questi pesci “unici sul Pianeta”, traggono dall’acqua “l’ossigeno molto abbondante come componente disciolta”. La loro derivazione storico-geologica spiega poi l’esperto dell’Ispra - arriva fino a noi da quando milioni di anni fa il continente sudamericano si staccò dall’ Antartide portandosi dietro un piccolo gruppo di pesci che - rileva Vacchi - sono riusciti “a sopravvivere (nototenioidei)” e a “vincere la sfida” dei cambiamenti climatici, che soprattutto in quell’area del mondo hanno causato “estinzioni di massa”. Con l’adattamento sono stati poi in grado anche di dare vita a nuove specie, creando “un caso unico di isolamento geografico per un gruppo di pesci in ambiente marino”, anche per via della “convergenza antartica”, che da 30 milioni di anni si pone come “una barriera invalicabile, sia in entrata che in uscita, per i pesci”. Tommaso Tetro ANSA 2 luglio 2011
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SCIENZA “Il diserbante più venduto al mondo causa malformazioni genetiche. E la Ue non fa nulla”
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la denuncia di un rapporto realizzato da un gruppo internazionale di scienziati dell’ong Earth Open Source. Sotto accusa l’erbicida Roundup della Monsanto, usato anche in giardini pubblici e scuole. “La Commissione europea non ha mai preso provvedimenti”. L’industria agro-chimica e la Commissione europea sanno da almeno trent’anni che Roundup, il diserbante dell’americana Monsanto più venduto al mondo, contiene il glifosato: un “erbicida totale” che, come dimostrato da ricerche condotte in mezzo mondo, causa malformazioni genetiche nei feti degli animali da laboratorio. E’ questa la denuncia di un nuovo rapporto realizzato da un gruppo internazionale di scienziati dell’Earth Open Source (Ong britannica che mira alla condivisione di informazioni con lo scopo di “assicurare la sicurezza alimentare preservando la Terra”), che accusa le istituzioni europee di avere colpevolmente tenuto nascosto alla popolazione i potenziali rischi legati al diserbante Monsanto, largamente utilizzato anche nei giardini delle scuole o ai lati delle strade pubbliche già dagli anni ’90. Il dossier degli scienzati ha un titolo esplicito: “Roundup and birth defects: Is the public being kept in the dark?”. Chiarissimo il contenuto: l’industria agro-chimica (capeggiata da Monsanto), già dai primi anni ’80 sapeva, grazie a ricerche di laboratorio, che il glifosato causa malformazioni negli animali utilizzati per gli esperimenti; nel 1993 è stato scoperto che questi effetti sono provocati anche dall’esposizione a dosi medie o basse di questa sostanza; tra il 1998 e il ’99, gli esperti della Commissione Europea vengono a conoscenza di tutto ciò, ma nel 2002, invece di avvertire la popolazione sui potenziali effetti della sostanza, ne nascondono le caratteristiche scomode, permettendo la commercializza-
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zione in Europa del diserbante Monsanto. Per Claire Robinson, portavoce di Earth Open Source e co-autrice del rapporto, “sembra che ci sia stata una deliberata volontà di coprire la verità da parte dell’industria chimica (spiegabile ma non giustificabile) e di chi doveva controllare (inspiegabile e ingiustificabile)”. “Tutto ciò sulla pelle della sicurezza pubblica – accusa la dottoressa Robinson -. Perché il Roundup non viene utilizzato solo in agricoltura, ma anche nel giardinaggio, nei parchi e nelle aree verdi delle scuole, grazie alla falsa informazione che sia sicuro”. I ricercatori hanno analizzato per diversi mesi le colture geneticamente modificate in cui si usa il Roundup, riscontrando grandi quantità di un agente patogeno che può causare aborti e malformazioni alla nascita negli animali. Un problema che era stato sollevato già lo scorso autunno da uno studio indipendente di scienziati argentini, che dimostrava come il glifosato, l’erbicida appunto più usato in agricoltura e ingrediente attivo del Roundup, provochi malformazioni craniofacciali negli embrioni di rane e polli, anche a dosi inferiori al livello di residuo massimo autorizzato in Europa. Queste ricerche, partite da studi effettuati sull’alto tasso di malformazioni genetiche e cancro nella popolazione sudamericana, una delle aree al mondo in cui si usa maggiormente la soia Ogm Roundup (nata proprio per tollerare elevate quantità del diserbante omonimo), una volta diffuse vennero prontamente smentite dalle istituzioni europee. L’ufficio federale per la tutela del consumatore e sicurezza alimentare tedesco, ad esempio, in seguito alla pubblicazione dello studio argentino dichiarò che non c’erano “evidenze di teratogenesi” (lo sviluppo anormale di alcune regioni del feto) a causa del glifosato. Per Monsanto, che dal suo blog ha risposto agli scienziati autori del rapporto, la Commissione europea ha già deciso in precedenza che “il glifosato rientra in una categoria di pesticidi che non richiede un’immediata attenzione”. Non solo: ”Le autorità regolatrici ed esperti indipendenti di tutto il mondo concordano sul fatto che il glifosato non causi effetti negativi al sistema riproduttivo negli
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a cura di Enrico Baccarini
animali adulti esposti alla sostanza, né difetti alla nascita nella loro progenie”, anche a dosi di molto superiori a quelle consentite. Ma Robinson non ci sta: “Queste conclusioni – dice a ilfattoquotidiano.it – sono contraddette dagli studi che proprio compagnie come Monsanto hanno condotto dagli anni ’80. Esperimenti che, a differenza di quanto viene affermato oggi, hanno dimostrato gli effetti orribili dell’esposizione anche a dosi medie o basse di glifosato”. L’autorizzazione di questo erbicida doveva essere rivista nel 2012, ma la Commissione ha deciso, con una nuova direttiva, di fissare la revisione al 2015. Ciononostante, entro il prossimo mese l’Ue dovrebbe approvare una più rigorosa regolamentazione sui diserbanti. La speranza degli scienziati di Earth Open Source è quella di vedere il glifosato bandito definitivamente. Visto che questa volta verranno presi in considerazione anche gli studi indipendenti. Ma, conclude Robinson, “non siamo sicuri che ci sarà la forza e il volere politico di fronteggiare il colosso Monsanto”. Andrea Bertaglio Il Fatto Quotidiano 27 giugno 2011
MISTERO Orologi in tilt in Sicilia, un biosifico del Cnr: “Fascio elettromagnetico dei radar”
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È possibile che in alcune città siciliane si stia verificando un caso di incompatibilità elettromagnetica tra gli orologi digitali e una fonte ancora sconosciuta”. Lo dice in un’intervista a ‘La Stampa’ Settimio Grimaldi, biofisico esperto di elettromagnetismo del Consiglio nazionale delle Ricerche, commentando un fenomeno che sta accadendo in varie zone della Sicilia, da Catania a Palermo, dove le sveglie si spostano in avanti di cinque minuti al giorno. Sull’ipotesi che un campo elettromagnetico possa mandare in tilt gli orologi, Grimaldi spiega: “Non È di certo un fenomeno che si vede tutti i giorni, ma È plausibile.
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Mentre c’è difficoltà a credere che un campo elettromagnetico possa far male alla salute dell’uomo, penso ad esempio ai cellulari, sappiamo con certezza che può danneggiare circuiti elettronici”. “È probabile che ci sia un’emittente fissa che porti gli apparecchi elettronici a dare la stessa informazione sbagliata”, aggiunge. “Difficile dire cosa può creare un’interferenza elettromagnetica così costante, sottolinea, “possiamo ipotizzare che una serie di radar militari emanino un fascio elettromagnetico costante che mandi in tilt tutti gli orologi digitali interessati. Certo non si può neanche escludere che questa interferenza sia causata da satelliti spia o da una serie di esercitazioni militari”. Sicilia Informazioni 10 giugno 2011
MISTERO Scomparsi i file della difesa australiana sugli UFO
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all’Australia una notizia ‘ideale’ per gli appassionati delle ipotesi di complotto, o conspiracy theories. Dagli archivi superprotetti della Difesa sono misteriosamente scomparsi gli ‘X-Files’ che dettagliavano i numerosi episodi di avvistamento in tutto il continente di Ufo (oggetti volanti non identificati), nell’arco di decenni. Lo riferisce oggi il Sydney Morning Herald, che da due mesi attendeva di ottenere accesso ai documenti secondo la legge detta Freedom of Information Act (Foia), che obbliga i funzionari governativi a dare accesso a documenti di pubblico interesse. Nel corso degli anni i militari australiani avevano doverosamente indagato su un numero sconosciuto di avvistamenti; gli ufficiali di intelligence dell’aeronautica avevano controllato i movimenti noti di aerei confrontandoli con gli avvistamenti, rispondendo educatamente per posta a tutti colori che dichiaravano di aver visto luci sospese nel vuoto, dischi volanti o altri oggetti misteriosi. Il quotidiano aveva chiesto di esaminare i documenti, ma la risposta e’ stata piu’ sor-
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a cura di Enrico Baccarini prendente di quello che avrebbero potuto rivelare gli X-Files (il nome viene da una fortunata serie Tv americana di fantascienza, Ndr): il materiale e’ quasi totalmente scomparso. ‘’I file non hanno potuto essere ubicati. Il comando centrale dell’Aeronautica notifica formalmente che sono considerati perduti’’, ha scritto al giornale il vice direttore del Foi, Natalie Carpenter. L’unico file che il dipartimento della Difesa ha potuto recuperare si chiama ‘Rapporto su Ufo/strane occorrenze e fenomeni a Woomera’, una vecchia base missilistica nel centro desertico dell’Australia. I militari australiani avevano deciso verso la fine del 2000 di metter fine alla pratica di indagare e compilare rapporti sugli avvistamenti di Ufo, chiedendo ai cittadini di riferire gli avvistamenti alla polizia. ANSA 10 giugno 2011
MISTERO “Tra vent’anni incontreremo gli alieni”
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’è vita nello spazio. Scienziati di diverse nazionalità ce lo dicono da decenni, sperando di arrivarci prima dei loro colleghi di altri Paesi. L’ultima promessa arriva dalla Russia, con tanto di scadenza: vent’anni. Il 10% dei pianeti è come la terra – “La genesi della vita è tanto inevitabile quanto la formazione di atomi (…) La vita esiste anche su altri pianeti e la troveremo entro i prossimi 20 anni”. Lo promette Andrei Finkelstein, direttore dell’Accademia russa delle Scienze astronomiche applicate, parlando ad un forum internazionale dedicato alla ricerca di vita extraterrestre. Ne è convinto perché “il 10% dei pianeti conosciuti situati nella galassia hanno molte somiglianze con la Terra”. DOVE C’E’ ACQUA C’E’ VITA – “Dato che in questi pianeti c’è acqua, allora forme di vita si possono trovare anche lì”; aggiungendo che gli alieni somigliano molto probabilmente agli esseri umani, con due braccia, due gambe e una testa. “Possono avere la pelle di colo-
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re diverso, ma anche no”, dice Mr Finkelstein. Il suo istituto gestisce un programma lanciato nel 1960, al culmine della corsa allo spazio tipica della Guerra Fredda. D’altronde lo dicevano anche i Bluvertigo “è praticamente ovvio che esistano altre forme di vita”. Basta solo scovarle. Giornalettismo 28 giugno 2011
MISTERO Caccia ai tesori di Hitler
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ai lingotti della Banca d’Italia all’oro di Dongo: È una vera e propria mappa dei tesori predati durante la Seconda guerra mondiale quella che Enzo Antonio Cicchino e Roberto Olivo, giornalisti e ricercatori storici, tracciano nel loro libro in uscita in questi giorni. Un saggio-inchiesta che ricostruisce sulla base di documenti e interviste ai testimoni i movimenti dei beni incamerati dai nazisti le cui tracce spesso sono scomparse nel nulla nonostante le ricerche di governi, avventurieri, e persino improvvisati cercatori d’oro. Il libro prende le mosse dal tesoro della sede centrale della Banca d’Italia: 120 tonnellate d’oro, tra le quali anche le 8 provenienti dalla Banca Nazionale Jugoslava acquisite nel 1941 a titolo di preda bellica, le 14 tonnellate e mezzo trasferite all’Italia dal governo francese di Vichy, e 373 chili provenienti dalle razzie in Grecia. Già nel maggio del 1943, l’allora governatore della Banca d’Italia, Vincenzo Azzolini insieme al ministro delle finanze Giacomo Acerbo valutò la possibilità di trasferirlo a Bolzano o a Verona per evitare che cadesse nelle mani degli Alleati. Con la caduta di Mussolini, il 25 luglio, e poi con l’Armistizio gli avvenimenti precipitano e i nazisti chiedono la consegna dell’oro che viene inviato in treno a Fortezza, in Alto Adige. Da qui una parte finirà nelle banche svizzere, una parte in Germania, una parte sarà riconsegnata dagli Alleati alla Banca d’Italia. I tre filoni in cui si divide l’oro italiano danno origine ad altrettante vicende di cui il libro da
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a cura di Enrico Baccarini
conto con dovizia di particolari e con i ritratti di personaggi che sembrano usciti da una spy story come quel Herbert Herzog, un cacciatore di tesori a percentuale: negli anni Cinquanta consentì alla Banca d’Italia di tornare in possesso dell’oro italiano predato dai nazisti e che, misteriosamente, gli Alleati avevano restituito agli austriaci. I conti delle riserve auree della Banca d’Italia sembrano tornare ma non bastano i documenti ufficiali a placare la febbre dell’oro: sul Monte Soratte, in provincia di Roma, per lungo tempo reduci con badile in spalla, perlustrarono i 15 chilometri di gallerie militari alla ricerca di 79 casse nascoste dalle SS nel 1944. Le voci popolari, non suffragate da nessun riscontro, parlano ancora oggi di tesori rubati agli ebrei e oro della Banca d’Italia. Non poteva mancare, infine, un capitolo sull’oro di Dongo, ovvero i beni che Mussolini aveva con sé al momento della cattura, stimati in diversi milioni in oro, beni e valuta. Un tesoro disperso su cui mai si sono spente le ricerche e le leggende. Così come si continua a indagare su sommergibili nazisti affondati con un preziosi carichi o sul tesoro di Rommel, composto pare di oggetti d’oro razziati in Tunisia e Libia. Tante storie che parlano di una guerra che per molti non ancora finita. ANSA 29 giugno 2011
MISTERO Eclissi di luna e... un Ufo nel cielo pesarese?
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a curiosa foto inviata da un lettore del Carlino immortala un oggetto di forma geometrica alla destra della luna. Sembra che quella notte ci siano stati altri 5 avvistamenti. Pubblichiamo una curiosa fotgrafia inviata da un lettore del Carlino, Claudio Madoglio, che si è accorto, un po’ in ritardo, della presenza di una strana forma conica nel cielo pesarese. Ecco uno stralcio del suo racconto: “La sera del 16 giugno 2011, durante l’eclisse lunare, mi sono appostato
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sulla terrazza del’ Hotel Caravelle a Pesaro per scattare alcune foto con la mia digitale. Il mattino seguente, riguardando l’album fotografico della sera precedente, mi sono accorto che nel fotogramma in questione era presente una figura di forma conica alla destra della luna. Documentandomi su Internet ho notato che ci sono stati altri cinque avvistamenti di oggetti non identificati lo stesso giorno in cui ho scattato questa fotografia”. L’invito, dunque è a far luce su questo mistero attraverso i vostri commenti, le vostre segnalazioni e, perché no, altre foto di U.F.O. in salsa pesarese. Il resto del Carlino 8 luglio 2011
MISTERO Ufo e avvistamenti a Palermo
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Una sfera luminosa, non omogenea, con un lungo fascio centrale ed una luce rossa”. SiciliaInformazioni raccoglie ancora una segnalazione, l’ennesima in questi giorni, su avvistamenti di oggetti non identificati nei cieli di Palermo. “Mi era capitato spesso - ci racconta Paola - e più frequentemente mi capita di notare queste strane luci all’inizio dell’estate, approssimativamente dal 30 giugno in poi. Qualche anno fa mi era capitato di avvistare un oggetto misterioso mentre viaggiavo sulla statale 113, in direzione Bagheria: poche ore dopo, a Cefalù, è stato avvistata la stessa luce. Scia luminosa di colore verde, molto lunga”. Fra i ricordi di Paola, residente a Bagheria, in provincia di Palermo, anche un’esperienza vissuta nel 1997, quando “una notte mi sono svegliata ricorda - a causa di rumori stranissimi, che mi davano l’idea di una sorta di corsa, ed anche alcunevoci di sottofondo, particolarmente inquietanti, che si inseguivano. Erano le 3.30 della notte, ed anche mia figlia disse di avere avvertito qualcosa di simile”. Sicilia Informazioni 9 luglio 2011
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VIDEO tempo di lettura 8 minuti
a cura di Andrea Critelli
La videoteca virtuale di Runa Bianca ARCHEOSTORIA Unità d’Italia 150 anni dopo. Le ferite, la speranza
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marzo 1861”. Sono le parole che si possono leggere nel documento della legge n. 4671 del Regno di Sardegna e valgono come proclamazione ufficiale del Regno d’Italia, che fa seguito alla
ocumentario in tre parti dedicato alla storia della nascita dell’Italia prodotto dalla MGMedia. “Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promul-
ghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17
seduta del 14 marzo 1861 della Camera dei Deputati, nella quale è stato votato il progetto di legge approvato dal Senato il 26 febbraio 1861. La legge n. 4671 fu promulgata il 17 marzo 1861 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 68 del 18 marzo 1861. GUARDA VIDEO 1 >> GUARDA VIDEO 2 >> GUARDA VIDEO 3 >>
SCIENZA Interferenza RNA
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interferenza dell’RNA, abbreviata comunemente come RNAi, è un meccanismo mediante il quale alcuni frammenti di RNA a doppio filamento sono in grado di interferire (e spegnere) l’espressione genica. La RNAi è distinta da altri fenomeni di silenziamento genetico, dal momento che in Caenorhabditis elegans è stata osservata es-
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VIDEO sere in grado di diffondere da cellula a cellula e di essere ereditabile. Ciò è stato osservato anche nelle piante, oltre che nei mammiferi ma, nell’ultimo caso con meno efficienza, e solo nei primi stadi dello sviluppo embrionale. GUARDA VIDEO >>
a cura di Andrea Critelli viaggio nel futuro, ferma restando l’impossibilità di superare la velocità della luce. La prima costruzione teorica per la quale risultava possibile un viaggio nel passato, fu elaborata più tardi dalla stesso Einstein insieme a Nathan Rosen. GUARDA VIDEO >>
MISTERO Anne Givaudan: Shambhalla
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SCIENZA Piergiorgio Odifreddi Il paradosso dei gemelli
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l paradosso dei gemelli è un esperimento mentale che sembra rivelare una contraddizione nella teoria della relatività ristretta. L’analisi che porta a tale conclusione è però scorretta: un’analisi corretta mostra che non vi è alcuna contraddizione. Principale sostenitore della questione fu Herbert Dingle, filosofo inglese. Pur avendo ricevuto numerose confutazioni logiche da Einstein e Bohr,
egli continuò a scrivere ai giornali, e quando questi ultimi cominciarono a rifiutare le pubblicazioni, parlò di un complotto ai suoi danni. Risolvendo il paradosso dei gemelli, Einstein ammise la possibilità teorica di un
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escrivere Shamballa è difficile perché non ci sono termini di paragone. In moltissimi hanno cercato questa “terra cava”, da Alessandro Magno ad Adolf Hitler, ma il sotterraneo regno di Agharta è riservato a pochi eletti. Andrea Canetta è andato nell’Hymalaya occidentale e ha raccolto i racconti di chi vive nelle terre che ancora ospitano la leggenda: fra questi la scrittrice francese Anne Givaudan, che con Daniel Meurois ha scritto “Viaggio a Shambhalla”, cronaca di un’esperienza che ha cambiato radicalmente la loro vita. Quando, qualche anno fa, gli Autori andarono in vacanza in Ladakh, non si aspettavano certo di essere contattati dai grandi Fratelli di Shambhalla, malgrado un’esperienza ormai decennale di viaggi astrali... Questo libro è la testimonianza di quell’incontro che cambiò radicalmente
la loro vita, ed è nel contempo una trasmissione iniziatica di insegnamenti voluta dai Grandi Maestri: Shambhalla incomincia ad uscire dal mistero e dalla leggenda, per portarci un messaggio d’Amore Cristico e di Saggezza Buddhista, finalmente uniti. GUARDA VIDEO >>
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LIBRI tempo di lettura 8 minuti
a cura di Andrea Critelli
La libreria virtuale di Runa Bianca ARCHEOSTORIA Al di là delle sabbie di Régis Belleville Edizioni Saecula p. 231, 2011, € 25,00
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el 2002 Régis Belleville compie, in 49 giorni e in totale autonomia, la più lunga traversata nella storia del Sahara, senza rifornimenti di acqua. Questa méharée di 1137 Km porta Régis Belleville e il suo amico mauritano Taha Ould Bouessif, da Chinguetti a Timbuctu, al centro di una zona iperarida di 500.000 Km², nella Majabat al-Koubrâ “la distesa della grande solitudine”. La traversata viene effettuata in condizioni estremamente difficili – le riserve d’acqua sono limitate e, rapidamente, i due uomini inizieranno a soffrire di disidratazione… Nel cuore di questa zona, dove nessuno ha mai osato avventurarsi, la sopravvivenza degli uomini dipende da quella dei dromedari, gli spiriti astuti del deserto - i djiin - sono sempre presenti… e la mente deve rimanere attenta per contrastarli. Questa spedizione ha consentito a Régis Belleville di confermare quel che fino a quel momento non era che un’ipotesi scientifica: quali varietà di piante crescono in questa regione? E fin dove si spingono? Quali sono i limiti delle presenza della fauna? Come datare le tracce dell’uomo preistorico? Oggetti del Neolitico, pitture rupestri, paleosuoli si offrono ai suoi occhi, come risposte emozionanti.
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Un percorso storico, scientifico, etnologico, ma altresì un’eccezionale avventura umana e un’esplorazione che rimarrà nella storia. Al di là delle sabbie.
ARCHEOSTORIA Le chiavi per aprire 99 luoghi segreti d’Italia di Costantino D’Orazio Palombi Editori p. 292, 2011, € 14,00
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arcare il portale di Palazzo Gangi a Palermo per rivivere l’atmosfera del celebre ballo del Gattopardo di Luchino Visconti, scoprire graffiti rupestri sconosciuti nei Sassi di Matera, ammirare gli straordinari affreschi rinascimentali del Chiostro del Platano a Napoli o perdersi nei cieli del Tiepolo a Palazzo Labia di Venezia. Queste sono solo alcune delle esperienze che tutti potranno finalmente vivere grazie alle preziose informazioni contenute in questo volume. La ricerca di Costantino D’Orazio si concentra ancora una volta su luoghi chiusi al pubblico di straordinaria bellezza, tra palazzi privati, chiese, ville e monasteri, dei quali racconta le storie e i tesori, oltre a spiegare il modo per visitarli. Accanto alle informazioni storiche e artistiche, descritte in uno stile accattivante e brioso, il libro offre i numeri di telefono, gli indirizzi email e tutti i contatti per ottenere il permesso ad entrare in questi luoghi inaccessibili. Il
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a cura di Andrea Critelli
volume si concentra sui luoghi più facilmente raggiungibili nei grandi centri urbani, tra Torino, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli fino a Palermo e Bari, senza trascurare le città di provincia, come Vicenza, Piacenza, Cremona e Catania.
SCIENZA Per la scienza, per la patria. Carlo Matteucci, fisico e politico nel Risorgimento italiano di Fabio Toscano Sironi Editore p. 304, 2011, € 18,00
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Un’affascinante narrazione scientifica intrecciata alle burrascose vicende che condussero all’Unità d’Italia. Il fisico Carlo Matteucci fu a lungo quello che oggi si direbbe un precario della ricerca. I suoi più fecondi lavori scientifici, che lo avrebbero portato a una delle scoperte più importanti dell’Ottocento – l’esistenza dell’elettricità animale – erano cominciati in privato: proprio come molti dei nostri cervelli in fuga, infatti, pur essendo acclamato dai maggiori scienziati europei, il giovane era negletto in patria. Una patria ancora tutta da inventare e da costruire, che però a lui premeva tantissimo. Dopo la nomina a professore presso l’Università di Pisa, Matteucci fu tra gli intellettuali liberal-moderati più attivi del Risorgimento: partecipò alla prima guerra di Indipendenza con il Battaglione universitario degli studenti pisani, svolse un’intensa attività diplomatica per il Granducato di Toscana, divenne senatore del Regno. Fu soprattutto un pensatore libero e scomodo: da scienziato cattolico giunse a definire «insostenibile» il potere temporale della Chiesa; da ministro del Regno – uno dei rari di estrazione scientifica – tentò la prima, spregiudicata riforma dell’università,
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in barba agli interessi dei suoi stessi colleghi professori. Leggendo la sua biografia nelle belle pagine di Fabio Toscano, ci sentiamo scivolare via dal nostro presente traballante, verso i tempi in cui o si faceva l’Italia o si moriva. Per farla, menti lucide e capaci come quella del fisico Matteucci tesero sulle italiche contraddizioni una coperta che oggi non sappiamo più allungare. Ma, anche grazie a storie come questa, viene voglia di provarci, di crederci ancora.
MISTERO Sindone. Firenze e i misteri del Sacro Telo di Enrico Baccarini Press & Archeos p. 80, 2010, € 9,50
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n mistero della fede, un enigma della storia. La Sacra Sindone ha percorso duemila anni dall’evento centrale della cristianità, la Resurrezione di Gesù di Nazareth. Da allora il Sacro Telo si è affermato come la reliquia più preziosa della storia occidentale, la testimonianza di un evento unico impresso su un semplice panno di lino. Sopravvissuta a due terribili incendi, il primo nel 1532 e il secondo nel 1997, oggi la sua vulnerabile e fragilissima trama raccoglie e attende ad ogni ostensione un vastissimo numero di fedeli da tutto il mondo. Per quanto nel 1988 le analisi abbiano dichiarato la reliquia un falso di origine medievale, questo giudizio ha dimostrato nel tempo la sua fallacità portando molti scienziati, storici e tecnici ad attestare come la Sindone sia realmente collocabile nella Palestina del primo secolo dopo Cristo. Dopo la trafugazione da Bisanzio e il suo arrivo ad Atene la Sindone scompare per 150 anni, fino a ricomparire inaspettatamente,
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a cura di Andrea Critelli nel 1356, in Francia. In questo arco temporale, conosciuto come gli “anni perduti”, si collocano domande che ancora oggi non sembrano aver trovato una risposta. Chi la conservò? Come poté giungere da Atene ai lidi francesi. Una dettagliata e rigorosa analisi storica tenta di rispondere a queste domande ancor più sviluppando una nuova e suggestiva ipotesi, il suo possibile passaggio da Firenze, luogo in cui sarebbe stata segretamente custodita. Antichi affreschi, legami genealogici, ordini cavallereschi, intrighi politici e simbolismi esoterici delineano una via di ricerca carica di richiami tangibili e di tracce dissimulate. Il libro è un viaggio rigoroso attraverso i secoli, un’analisi minuziosa della storia e dei segreti del Sacro Telo attraverso lo studio delle fonti antiche e delle più recenti scoperte dell’indagine documentale. Non cercate di approfondire l’argomento attraverso ricerche su Google o altro, perchè troverete solo allusioni, notizie incomplete, persino falsi storici. Gran parte delle intuizioni, delle scoperte e delle informazioni raccolte dall’autore sono presenti solo in questa pubblicazione. Nonostante il libro conta solo di 80 pagine, ha numerose informazioni è snella, fruibile e soprattutto economico.
MISTERO L’ uomo che superò i confini del mondo. Vita e viaggi di Cristoforo Colombo, l’eroe che dovrebbe essere santo
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di Ruggero Marino Sperling & Kupfer p. 426, 2010, € 20,00
n In Cristoforo Colombo. L’ultimo dei Templari Ruggero Marino ci invitava a ripensare l’immagine che è stata tramandata ai posteri del navigatore genovese. In questo nuovo libro, la
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sua tenace e anticonformista ricerca storica si spinge ancora oltre, regalandoci un’appassionante narrazione che smonta a uno a uno i «miti» costruiti sulla figura dell’ammiraglio genovese. A partire proprio dalla grande bugia, quella che tutt’oggi si trova sui libri di scuola, secondo cui Colombo approda al Nuovo Mondo per errore, nel tentativo di circumnavigare il globo terrestre e raggiungere l’estremo Oriente. Niente di più falso: il genovese è perfettamente consapevole del suo obiettivo ed è molto più di un semplice e fortunato marinaio. Si muove sulla base di antiche mappe con la decisione di un missionario, di un soldato di Cristo, con lo stesso afflato religioso che caratterizzava gli ordini cavallereschi e, in particolare, quello più misterioso della Storia: i Templari. È un messaggero, incaricato direttamente da un papa, quell’Innocenzo VIII che subirà come lui una damnatio memoriae a opera del successivo pontefice, lo spagnolo Rodrigo Borgia. E l’Ammiraglio, il Christo Ferens (come si firmava), subirà l’infamia di tornare in Spagna in catene, per poi essere liberato da quei re cattolici, Ferdinando e Isabella, cui si è devotamente affidato ma che hanno più di una responsabilità tanto nell’accaduto quanto nella falsificazione storica che seguirà. Prenderà più volte il mare verso il Nuovo Mondo, fino a un quarto estremo viaggio, come un novello Ulisse mosso, tuttavia, da intatte virtù cristiane più che da desiderio di ricchezze e avventura. Dopo la morte, il silenzio. Per secoli la figura di Colombo sarà dimenticata, e tuttora è in attesa di un’autentica riabilitazione. Per due volte è stato avviato un processo di beatificazione, regolarmente interrotto, prima di prendere in esame i documenti più importanti, in grado di certificare la sua fulgida condotta cristiana. I mille volti di Colombo, geniale navigatore, eroe senza pace, cavaliere del mare, templare, santo e missionario, vengono restituiti in questo libro definitivo con una prosa avvolgente, che incalza il lettore con ipotesi sorprendenti, sempre sorrette da solidissima documentazione, e lo conduce in un lungo viaggio, ricco di fascino e mistero, da ripetere al fianco del «navigatore dei due mondi».
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In hoc vinces
La notte che cambiò la storia dell’Occidente Bruno Carboniero e Fabrizio Falconi
DISPONIBILE IN LIBRERIA
La notte del 27 ottobre dell’anno 312 d.C.,
durante il sonno, Costantino riceve la visione di Cristo che gli suggerisce di scrivere sugli scudi il monogramma greco del Salvatore “XP” con la leggendaria promessa in hoc vinces (con questo vincerai). Il giorno dopo si scontra in battaglia col nemico Massenzio, schierato a difesa di Roma.
SITI WEB tempo di lettura 8 minuti
a cura di Andrea Critelli
Una selezione di blog, siti e portali ARCHEOSTORIA ArcheoMega www.archeomega.com
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pesso nei propri studi, o nelle proprie ricerche sarebbe utile riuscire a reperire delle informazioni anche semplici, senza dover perdere del tempo prezioso: le nostre domande possono costituire le risposte di altri, e solo costruendo una realtà comune a portata di mouse, si possono accorciare le distanze. É possibile iscriversi a diversi livelli: due infatti sono le sezioni principali che si trovano evidenziate. La prima è quella della “community”, la seconda è quella delle “imprese”: l’una non esclude l’altra . Nella sezione Community può iscriversi chiunque si occupi di archeologia a qualunque livello: studente, professionista, ricercatore, docente, tecnico, appassionato etc...Chi
si iscrive costruisce all’interno del portale un suo profilo, in cui condividere le proprie esperienze a 360°: questo consente di partecipare ad una grande banca dati in cui poter attingere all’occorrenza, attraverso un sistema di ricerca per parole chiave.
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Nella sezione imprese può iscriversi chiunque sia dotato di partita iva e sono previste diverse modalità di partecipazione cui corrispondono differenti profili di visualizzazione: da un’anagrafica base ad uno spazio più articolato e con maggiore visibilità.
ARCHEOSTORIA ArcheoMega www.fastionline.org
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ra il 1946 e il 1987 l’Associazione Internazionale di Archeologia Classica (AIAC) ha pubblicato i Fasti Archaeologici. La rivista conteneva notizie brevi molto utili sugli scavi riguardanti l’area dell’impero romano. Nel tempo costi crescenti e ritardi nella pubblicazione si sono sommati fino a rendere sempre meno utile la loro edizione. Il consiglio direttivo dell’AIAC ha quindi deciso nel 1998 di abbandonare la pubblicazione dei Fasti e di cercare un modo innovativo per
registrare e diffondere i risultati delle indagini archeologiche recenti. I Fasti Online sono il risultato di questa sforzo: Un database di scavi archeologici condotti dal 2000 ad oggi.
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SITI WEB Scienza a Due Voci
a cura di Andrea Critelli
SCIENZA
Le donne della scienza italiana dal Settecento al Novecento scienzaa2voci.unibo.it
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cienza a due voci è un sito in cui viene messo a disposizione del grande pubblico un primo esemplare di dizionario biografico delle “scienziate italiane”. E’ uno strumento di facile consultazione per saperne di più sulla parte avuta dalle donne italiane nello sviluppo e nella diffusione della scienza, dal 1700 all’età contemporanea (al momento sono state inserite le donne nate entro il 1925).
Il contributo femminile alla scienza è stato ed è ancor oggi, più che oggetto di conoscenza storica, raccontato in forma aneddotica. Le donne che hanno partecipato all’impresa scientifica sono state solitamente raffigurate come fenomeni straordinari o muse ispiratrici di grandi scienziati o abili assistenti al fianco di illustri professionisti. E’ così che, tra eccezionalità e marginalità, la loro collocazione è rimasta al di fuori dalla scienza ufficiale. Una ricerca minuziosa, approfondita e insieme appassionata, intenta a ricostruire un quadro più veritiero e autentico della scena scientifica, ha invece portato alla luce una presenza femminile reale, cospicua e diversificata: tanti nomi nuovi, interessanti percorsi scientifici, imprese intellettuali e sociali, vite non sempre facili e lineari, volti e voci pressoché sconosciuti o dimenticati. Con questo sito si vuole dunque riparare alla dimenticanza o alla rimozione della sto-
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ria: riconoscere alle donne il posto che hanno realmente occupato nella cultura scientifica dell’Italia moderna e contemporanea: ridare spazio a quella voce che è rimasta nascosta ma che ha contribuito con pari dignità al cammino della scienza. Per una scienza, appunto, a due voci.
MISTERO NEXUS
www.nexusedizioni.it
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EXUS Edizioni è nata per la pubblicazione in Italia del bimestrale NEXUS New Times, l’edizione italiana di una rivista bimestrale australiana distribuita con crescente successo in tutto il mondo anglosassone. Quella italiana, nata nel 1995, é stata la prima edizione tradotta dall’inglese. NEXUS si occupa di scienza, di tecnologie del futuro, di free Energy e tecnologie soppresse che, se sviluppate, garantirebbero la produzione di energia abbondante, economica e pulita; di salute, di alimentazione, di benessere olistico e di trattamenti terapeutici alternativi; di archeologia proibita, dei grandi misteri relativi alle autentiche origini dell’umanità, ai possibili contatti con civiltà extraterrestri e alla tecnologia degli UFO; di
cospirazioni, delle manovre dei vari servizi segreti e delle speculazioni dei grossi agglomerati finanziari e commerciali. Non solo: NEXUS parla anche di storie segrete, di profezie, di informazione globale e altro, proponendo un genere di notizie che difficilmente potrete trovare altrove.
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MOSTRE & EVENTI tempo di lettura 8 minuti
a cura di Andrea Critelli
Le rassegne da non perdere
ARCHEOSTORIA 1 luglio - 13 novembre 2011
Le grandi vie delle civiltà
Relazioni e scambi fra il Mediterraneo e il centro Europa, dalla Preistoria alla Romanità Castello del Buonconsiglio Via Bernardo Clesio, 5 - Trento
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noi che crediamo di aver inventato qualcosa di nuovo! Considerazione che verrà spontanea a chi visiterà questa ricchissima mostra (oltre 400 i reperti, moltissimi di assoluta eccezione, in essa esposti) allestita al Castello del Buonconsiglio a Trento e curata dal direttore del museo Franco Marzatico, da Rupert Gebhard, direttore del museo di Monaco, e da Paul Gleirscher conservatore del museo di Klagenfurt. Temi come quello della mobilità, della circolazione di uomini, beni, idee del multiculturalismo della globalità non sono certo temi che riguardano solo l’attualità. Sono realtà con le quali l’uomo – viaggiatore ed esploratore per eccellenza, - si è misurato nei millenni in Europa come nel resto del globo. Questa affascinante esposizione, attraverso una selezione di preziose testimonianze archeologiche provenienti da oltre 50 musei e soprintendenze italiane ed estere, racconta dei contatti, degli scambi e delle relazioni a largo
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raggio che hanno segnato gli sviluppi delle civiltà in Europa con la trasmissione di saperi, al contaminazione di modelli e stili di vita. Una fitta ragnatela si vie tra il Mediterraneo e il Centro Europa, le cui trame si intrecciano, si separano in un continuo divenire che hanno portato territori e culture lontani e diversi a trovare una serie di elementi in comune. Di questa immensa e complessa trama la mostra segue i fili millenari a partire da quando si diffusero, a sud come a nord delle Alpi, le espressioni dell’arte e le figure delle cosiddette dee madri, fino ai tempi del cosmopolitismo e della globalizzazione dell’impero romano. A transitare lungo le diverse “Vie della Civiltà” non sono solo merci, sono uomini con le loro credenze, linguaggi, talvolta nati in ambiti locali talvolta giunti nel “Vecchio Continente” dall’Oriente. Accanto alle concrete tracce dei commerci documentati da materie prime e manufatti esotici, la mostra segue i percorsi avventurosi di innovazioni idee che hanno comportamenti e abitudini. Già in epoca preistorica materie prime e manufatti percorrono, sulle spalle degli uomini, sulle imbarcazioni, sulle some degli animali o, inventata la ruota, sui primi carri, distanze impressionanti. E’ sulla base di scambi e commerci si consolidano le prime differenziazioni sociali.
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MOSTRE & EVENTI Il rango ben presto richiede segni esteriori di appartenenza, ed ecco la ricerca di status symbol tanto più preziosi quanto esclusivi ed esotici. Ma eccessi di ricchezza richiamano anche razzie, invasioni e migrazioni, talvolta calmierate da matrimoni diplomatici e da alleanze strategiche. La diffusione di nuovi saperi, dall’agricoltura, alla metallurgia ma anche alla cucina e aspetti legati all’ideologia del banchetto percorrono l’Europa. Forme ed idee contaminano popolazioni diverse. Siano archetipi come quello della fertilità femminile o quello dell’uomo eroeguerriero dell’atleta. Ma sono anche figure di animali, espressione di un’arte animalistica che fiorisce in diverse aree, o iconografie di barche, il carro solare, l’albero della vita, le immagini del Signore e della Signora degli Animali che, fissati su diversi supporti, stupiscono per la loro potenza e bellezza. Poi le enigmatiche tavolette dell’età del bronzo, i dischi solari in oro, le maschere funerarie, i doni votivi, gli astragali. Testimonianze di contaminazioni di culti e di influssi. Infine la diffusione della scrittura alfabetica, dai fenici, ai greci, agli etruschi, ai popoli alpini, sino all’egemonia del latino. Gli eccezionali reperti esposti in questa irrepetibile mostra raccontano una storia fatta di attinenze ma anche di contrasti, di forme di “alterità” che delineano singoli territori. Il global di cui si discute tanto oggi, alla fine, non è un concetto del tutto nuovo. Gli oggetti, più di 600 provenienti da 72 musei e soprintendenze, 52 italiani e 19 stranieri, saranno esposti in 18 sale del Castello del Buonconsiglio su una superficie di 1800 meri quadrati. Il catalogo della mostra, curata da Franco Marzatico, Rupert Gebhard e Paul Gleirscher, vedrà l’intervento di 80 studiosi. Michelangelo Lupo curerà l’allestimento mentre le scenografie saranno di Gigi Giovanazzi. Tel. 0461/233770 - 0461/492829 info@buonconsiglio.it www.buonconsiglio.it www.legrandivie.it
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a cura di Andrea Critelli
ARCHEOSTORIA 20 aprile - 31 dicembre 2011
Nutrire il corpo e lo spirito Il significato simbolico del cibo nel mondo antico Museo Archeologico Corso Magenta, 15 - Milano
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al 20 aprile 2011 il Museo Archeologico di Milano presenta un nuovo percorso espositivo dedicato al significato simbolico del cibo nel mondo antico, dal titolo Nutrire il corpo e lo spirito. L’evento è promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, dal Civico Museo Archeologico, in collaborazione con Palazzo Reale, ed è organizzato da Civita.
Realizzato grazie ai generosi prestiti del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, di Metaponto e del Museo Archeologico Regionale di Siracusa, il percorso tematico è allesti-
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MOSTRE & EVENTI
a cura di Andrea Critelli to nella cripta cinquecentesca della Chiesa di S. Maurizio Maggiore, all’interno degli spazi espositivi del Museo Archeologico. Se cibarsi è l’atto primario legato alla sopravvivenza, ed è segno tangibile per l’uomo della sua condizione mortale, non c’è da stupirsi che la scelta degli alimenti e le modalità del loro consumo rivestano in tutte le culture una forte valenza simbolica. Nell’antichità la consapevolezza della totale dipendenza della sopravvivenza umana dalla natura, madre e dispensatrice di ogni cibo, è alla base di un incredibile numero di riti sacri e cerimonie propiziatorie, tramite le quali evocare a sé il favore della natura “madre” di ogni alimento e contemporaneamente “lavare” la colpa per aver sottratto, falciato, raccolto i frutti della terra. Per l’uomo che anticamente osservava con estrema attenzione la natura e i suoi fenomeni, i cicli vitali delle piante e dei raccolti erano specchio e metafora della vita umana; il loro annuale rigenerarsi rappresentava il mistero e la speranza al tempo stesso di rinascita dopo la morte anche per l’uomo. Ogni alimento determinante per la vita umana è quindi contraddistinto da un percorso materiale e da un significato simbolico e rituale. Se il pane rappresenta la forza misteriosa e inarrestabile della natura che dal seme fa germogliare la spiga, che diventa a sua volta, con il lavoro paziente dell’uomo, farina e nutrimento, il vino è nel mondo classico lo strumento potente che permette, tramite l’ebbrezza e l’espansione della coscienza, la comunicazione diretta con il divino. I due alimenti, così centrali per la cultura greca e romana, rivestono un ruolo fondamentale anche nel Cristianesimo. Non solo i singoli alimenti, ma anche la condivisione dei momenti segnati dal consumo di cibo e bevande codificano le relazioni del vivere sociale, sancendo l’unione tra chi vi partecipa, ribadendo l’appartenenza ad un gruppo, sia esso un clan familiare o una comunità religiosa. Tel. 02/88445208 - 02/88465720 www.comune.milano.it/museoarcheologico
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ARCHEOSTORIA 21 maggio - 5 agosto 201
DiVino
Dall’Antichità ad Oggi Materima Via Umberto I, 2 - Casalbeltrame (NO)
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ulla storia del vino di mostre se ne sono già viste diverse, sia in Italia che all’estero. Ma mai nessuna così. “DiVino. Dall’Antichità ad Oggi”, allestita dal 21 maggio al 5 agosto a Materima, in quel di Casalbeltrame nel novarese, è per più aspetti evento assolutamente d’eccezione. Innanzitutto per l’ampiezza dell’arco temporale esaminato: in pratica dai primordi della coltura intensiva della vite ad oggi. Ma soprattutto per la rilevanza e il numero dei materiali originali riuniti per raccontare questa lunga, affascinante vicenda: 350 i reperti archeologici, in parte mai prima esposti, che abbracciano tutte le civiltà vinicole del Mediterraneo. Alle testimonianze storiche si uniscono le sculture contemporanee di Marino Marini e Giuliano Vangi, in un gioco di suggestioni antico-contemporaneo che non potrà non coinvolgere i visitatori. “DiVino”, curata da Giuseppina Carlotta Cianferoni, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, e da Fabrizio Minucci, di ARA (Attività di Ricerca Archeologica), nasce dalla collaborazione tra lo Studio Copernico, che da sempre si occupa di arte moderna, e la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e il Museo Archeologico Nazionale di Firenze e ARA. Ad accoglierla sono gli spazi di rara suggestione di Materima, il luogo creato da Nicola Loi per fare incontrare le arti, a Casalbeltrame nel novarese. L’ampio nucleo dei materiali presentati afferma Giuseppina Carlotta Cianferoni, curatore della Mostra - copre un arco cronologico
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MOSTRE & EVENTI che va dal III millennio a.C. al XIX secolo d.C.: dalle più antiche testimonianze del Vicino Oriente alla Grecia, dall’Etruria a Roma, per finire, attraverso Medioevo e Rinascimento al periodo Risorgimentale”. La mostra si articola in 4 grandi sezioni. Nella prima si affronta il tema della vinificazione e viticoltura, partendo dalle sue origini e concentrandosi poi sull’ideologia del simposio greco ed etrusco, con una finestra sul commercio del vino etrusco, giungendo infine alla pratica del banchetto in epoca romana. La seconda sezione riguarda il mondo del Vicino Oriente e della Grecia; la terza l’Etruria e Roma; l’ultima presenta un excursus sul Medioevo ed il Rinascimento, fino a giungere al periodo Risorgimentale. A corredo di questo percorso vi sono due sale espositive in cui sono stati ricreati scenari suggestivi e sensoriali: un fondale marino con resti del carico di una nave da commercio di epoca etrusca ed una sala tricliniare di epoca romana. Il cuore della mostra è rappresentato dai principali temi che costituiscono la cultura del vino e della viticoltura, intesi come produzione, tecnologia, costume e territorio. Viene trattato il tema della coltivazione della vite e della produzione del vino nel mondo antico con particolare attenzione all’Italia, evidenziando gli aspetti - storico, sociale, artistico, antropologico e culturale - del consumo della principale bevanda dell’antichità. Lo studio attento delle fonti iconografiche e letterarie offre una ricca documentazione sui vini e sul loro approvvigionamento, nonché sul banchetto e sul simposio. Un cospicuo nucleo di materiali mostra, a volte con pitture vascolari, altre volte con lastre fittili a rilievo o piuttosto con materiali lapidei, la tradizione della produzione del vino, la vinificazione e l’ideologia del simposio legata al culto di Dioniso. Si segnala una scena di banchetto sulla lastra fittile a rilievo da Murlo datata al VI secolo a.C., piuttosto che scene di vendemmia e pigiatura dell’uva su vasi attici a figure rosse, come la grande kylix “a occhioni”a figure rosse o il cratere del pittore di Firenze, databili tra la fine del VI e la metà del V secolo a.C.. Legate ancora al banchetto si possono ammirare alcune urne etrusche in alabastro, di cui la più imponente è un’urna
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a cura di Andrea Critelli bisoma con coniugi a banchetto proveniente dalla tomba dei Calisna Sepu a Monteriggioni (SI). La cultura del banchetto in Etruria è grandemente testimoniata dai corredi funebri che sono stati rinvenuti e qui presenti, ad esempio, con un corredo in bronzo proveniente da San Cerbone (Populonia), un corredo in ceramica etrusco corinzia e bucchero o con un grande foculo di produzione chiusina. Una statua in marmo che rappresenta un Dioniso bambino ci conduce al tema del culto di Dioniso nella tradizione della viticoltura, della produzione e consumo del vino. La tipica ceramica della fine dell’età repubblicana ed inizio di quella imperiale, la terra sigillata italica, introduce alla tradizione del banchetto romano. Nella seconda sezione vengono messi in esposizione numerosi oggetti che documentano la cultura materiale legata al vino nel modo del Vicino Oriente antico, a partire dal III millennio fino al VI sec. a.C.. La terza sezione presenta una grande quantità di materiale da banchetto, con un’ abbondante varietà di forme proveniente in massima parte dalle necropoli dell’Etruria laziale e toscana. Le conoscenze necessarie alla domesticazione della vite, alla produzione del vino e al suo consumo, l’ideologia del simposio e il commercio di questo importante coagulante sociale: sono questi gli aspetti che oggi, forse troppo spesso, diamo per scontati ma che affondano le loro radici nelle terre e nelle società dei popoli che si affacciavano sul bacino del Mediterraneo più di 6000 anni fa. Il valore aggiunto dell’evento è la fusione ponderata tra queste fondamentali testimonianze del nostro passato ed alcune tra le più suggestive creazioni di due degli artisti italiani moderni più importanti: Marino Marini e Giuliano Vangi. La scelta di esporre opere di questi scultori nasce dal loro essere degli “etruschi contemporanei” che, al pari degli antichi, si sono cimentati nella scultura policroma. E’ anche per questo che i lavori selezionati trovano respiro in questa esposizione, offrendo cesure e unioni con il mondo antico. Tel. 02/67075049 info@materima.it www.materima.it
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PERLE DI SAGGEZZA tempo di lettura 6 minuti
di Lillyy Antinea Astore
Trasmutazione dello spirito nell’evoluzione universale cosmica “La lotta spirituale è brutale quanto la battaglia degli uomini, ma la visione della giustizia è il piacere soltanto di Dio...” Arthur Rinbaud
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due principi fondamentali della dottrina spiritica sono: la persistenza dell’Io cosciente dopo la morte; l’evoluzione progressiva dell’anima attraverso i suoi stessi sforzi. Questa dottrina ha portato ad una rivoluzione completa della filosofia, della morale e della vita sociale, permettendo di mettere definitivamente da parte le oscurità sistematiche, le dottrine incoerenti e caduche, presto dimenticate davanti alla semplicità della nuova concezione e davanti alla soddisfazione completa che essa porta ai nostri istinti di felicità, ai nostri desideri di immortalità e alla nostra speranza, infine realizzata, di conoscere l’Aldilà. Farebbe scomparire sia le idee nichiliste così deprimenti, sia i dogmi religiosi così poco soddisfacenti, rimpiazzerebbe l’imposizione delle credenze con la convinzione ragionata, libererebbe lo spiritualismo dagli orpelli sotto i quali per secoli ci si è sforzati di nasconderlo e di mascherarlo per le convenienze delle varie teocrazie. Ci libererà da quegli dèi antropomorfi spesso crudeli e capricciosi che intervengono costantemente nella creazione coi miracoli, la grazia o la predestinazione, che riservano i loro favori a pochi eletti, che esigono sanguinosi sacrifici e che scelgono le vittime destinate a “placare la loro collera” tra le migliori delle loro creature. Dèi che seminano di tentazioni il nostro cammino e che per il più piccolo sbaglio ci puniscono per l’eternità, che ci subissano, durante la nostra esistenza, di prove e di dolori che altro non sono
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se non l’assaggio di castighi ancor più crudeli. Spariranno queste prescrizioni dogmatiche che impongono credenze irragionevoli, che restringono sino ad annichilirlo il nostro libero arbitrio e che ostacolano il nostro sviluppo cosciente. Svanirà quell’interpretazione incredibilmente meschina dell’universo che riduce tutta la creazione all’umanità terrestre. Sparirà il dogma del peccato originale, con le sue conseguenze ingiuste. Di conseguenza, svanirà la nozione di salvezza attraverso la preghiera e i sacramenti. Soprattutto cadranno le aberrazioni sull’inferno, le sue legioni di demoni, i suoi supplizi eterni. Nasce così questa duplice concezione di involuzione e di evoluzione che abbraccia un panteismo grandioso. Evoluzione progressiva dei mondi e degli esseri attraverso le loro stesse forze, senza il capriccioso intervento della divinità “La più alta idea che ci si possa fare di un Ordinatore” ha detto giustamente Lèon Denise “è di supporlo creatore di un mondo capace di crescere per le sue stesse forze e non grazie a continui interventi miracolosi”. La divinità non potrà essere considerata esterna all’universo: “L’idea di Dio per noi oggi non esprime più quella di un essere qualsiasi, ma l’idea di un essere che comprende tutti gli esseri [...] niente è creazione spontanea, originata, miracolosa, la creazione è continua, senza inizio né fine [...] il mondo si rinnova incessantemente nelle sue parti, nel suo insieme esso è eterno”. “La terra su cui - secondo l’espressione di Flammarion - le religioni vogliono concentrato ogni pensiero del creatore, non è che un puntino insignificante nell’universo”. Una sola esistenza su questo pianeta, d’altra parte, non è che un istante insignificante nella serie delle innumerevoli incarnazioni dell’essere vivente.
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PERLE DI SAGGEZZA L’anima individuale non è creata di sana pianta con le facoltà che il volere del creatore ha pensato di assegnarle, ma forma e sviluppa sé stessa attraverso i propri sforzi, i propri sacrifici e le proprie sofferenze. Essa si libera da sola, a poco a poco, dal male necessariamente proprio delle fasi inferiori della sua evoluzione; da sola arriva alla comprensione del Vero, del Bello e del Bene; da sola sviluppa gli elementi della sua felicità futura, lentamente conquistati. Da qui la perfetta comprensione delle ineguaglianze umane e la soluzione completa del problema del male, due condizioni della vita terrestre che così difficilmente si conciliano con la nozione di una Provvidenza attiva. Le ineguaglianze umane, dal punto di vista dell’intelligenza, della coscienza e del cuore, ineguaglianze che né l’ereditarietà né l’influenza dell’ambiente spiegano con sufficienza, trovano semplice spiegazione nelle differenze evolutive degli esseri. Il male non è il prodotto delle forze cieche della natura che impongono alla nostra personalità delle sofferenze prive di compensazione. Non è la conseguenza ingiusta di un peccato originale. Non è una prova, ancor meno un castigo o una vendetta della divinità. Il male è semplicemente la misura dell’inferiorità dei mondi e la condizione necessaria al loro perfezionamento. Il male diviene motore alchemico, stimolo dell’attività degli esseri, necessario per impedir loro di immobilizzarsi nel loro stato presente. Alcuni privilegiati dell’esistenza potranno perdere intere vite nell’ozio, ma presto o tardi potrebbero subire e sentire sulla propria pelle la conoscenza del male attraverso una malattia, un grosso dispiacere: il dolore in una delle sue forme gli farà comprendere la vacuità dei piaceri materiali, rimpiangere il
Lilly Antinea Astore Conduttrice e creatrice dei primi convegni di parapsicologia con relatori Massimo Inardi e Peter Kolosimo. Archeoastronoma, Cavaliere dell’ordine mi-
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Lilly Antinea Astore tempo perduto e gli conferirà l’illuminazione di un’idea più elevata e la comprensione della vera felicità. Per quanto riguarda la condizione dell’evoluzione spirituale, ne risulta che il male sia inevitabile, anche nei suoi stessi eccessi; per esempio le grandi catastrofi o le sciagure immeritate sono la conseguenza del divenire naturale cosmico, e non potranno essere imputate alle divinità. Il male diminuisce sempre più attraverso i progressi dell’evoluzione spirituale. Non c’è più posto, in questa interpretazione dell’universo, per le immagini del paradiso o dell’inferno. Pene e ricompense non provengono che da noi stessi, e sono la conseguenza naturale, necessaria dei nostri errori o dei nostri sforzi. Come disse Lèon Denis: “La vita attuale è la conseguenza diretta, inevitabile, delle nostre vite passate, come la nostra vita futura sarà il risultato delle azioni presenti”. Siamo il prodotto delle nostre azioni. La sanzione per nostri errori è semplicemente la permanenza nelle incarnazioni inferiori, secondo le condizioni che risultano matematicamente per ogni esistenza dalle esistenze già vissute. La ricompensa è la compensazione che ci dobbiamo attendere dai nostri sforzi, dalle nostre sofferenze, dalle nostre virtù è il passaggio in uno stato superiore, e questa ricompensa risulterà dalle leggi evolutive e non da un giudizio divino. Il nostro progresso ci assicura la felicità, risultato naturale della diminuzione del male, coincidente con l’aumento della coscienza, della libertà e delle facoltà emotive. Otterremo questa felicità rendendocene degni con i nostri liberi sforzi. Per essere capaci di godere uno stato superiore bisogna prima elevarsi al suo livello. Non si può apprezzare un bene che non si comprende.
stico Rosacrociano, rappresentante internazionale Synergetic Art, creatrice della trasmissione radiofonica Dimensione X, conduttrice di UFORAMA.
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di Paolo Debertolis Le ricerche e i risultati
Missione italiana sulle piramidi bosniache tempo di lettura 10 minuti
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rmai è quasi un anno che la missione di ricerca italiana (SB Research Group) collabora con la Fondazione Bosniaca della Piramide del Sole che cura gli scavi sulle piramidi scoperte nel 2005 a Visoko (Bosnia-Erzegovina) ed i risultati sono tanti. D’altra parte fare il punto della ricerca sulle piramidi bosniache è un argomento di non facile sintesi in poche righe. Spesso con piramidi di Bosnia si intende un numero notevoli di siti a diverso stadio di avanzamento degli scavi. Quel che però appare sempre più evidente è che la Valle di Visoko ha ospitato una grande civiltà in Epoca Neolitica in grado di disporre della tecnologia e la forza di costruire strutture monumentali. Attualmente sono riconosciute cinque piramidi di dimensioni cospicue, probabilmente colline rimodellate, delle quali solo due sono in fase di studio e di scavo: la Piramide del Sole (220 metri) e la Piramide della Luna (190 metri). Le altre piramidi, del Dragone, di Madre Terra e dell’Amore, non sono state ancora sfiorate dalla pala dei ricercatori. Ma a queste strutture non possiamo non
Paolo Debertolis aggiungere anche le altre strutture minori. Una tra queste è sicuramente il Tumulo di Vratnica ed i tunnel (di Ravne e il KTK). Ma non sono le uniche. Ad esempio il nostro gruppo di ricerca ha individuato almeno altre tre piramidi di dimensioni più piccole (50-60 metri d’altezza), che ci ripromettiamo di studiare i prossimi anni, ed un tempio megalitico che abbiamo tuttora allo studio. In realtà non sappiamo ancora se le strutture siano state erette contemporaneamente. Siamo di fronte a tecnologie costruttive molto diverse tra loro e probabilmente anche distanti dal punto di vista temporale. In fondo anche la nostra capitale, Roma, ospita delle strutture erette in un arco di tempo ampio più di 2.000 anni. Così potrebbe essere anche per la cosiddetta “Civiltà di Visoko” un termine ombrello da noi dato agli artefici di tutte queste strutture che in realtà potrebbero essere state costruite a centinaia di anni di distanza. Civiltà poi scomparsa proditoriamente senza lasciare scritti o testimonianze nelle civiltà successive. Per ora abbiamo un punto di riferimento dal punto di vista della datazione per quan-
L’INGEGNERE MARJANOVICH SUL TUMULO DI VRATNICA (FOTO R. HOYLE)
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Missione italiana sulle piramidi bosniache to riguarda la Piramide della Luna che sembra risalire a 10.350 anni fa (+- 50 anni). Un campione di legno posto al di sotto della pavimentazione dello strato più profondo nel sondaggio di scavo n. 20 ha fornito questo risultato. Ma non possiamo accontentarci. Un unico campione, a parte gli errori di laboratorio, è troppo poco. Bisognerà pertanto ripetere ancora l’analisi al Carbonio 14 in questo sito con prelievi seriati, considerando che è il meglio conservato della Piramide della Luna. Noi lavoriamo costantemente con le cronologie che spesso rappresentano il punto centrale dello nostro studio. Le cronologie vengono utilizzate in archeologia per riordinare gli eventi del passato e per fornire uno schema entro il quale può essere discusso un cambiamento sociale. È evidente la necessità di rivedere e perfezionare la cronologia delle strutture incontrate sul nostro cammino via via che sono disponibili nuove informazioni. Questo è uno degli scopi principali nella nostra ricerca sulle piramidi bosniache. Le cronologie sono, però, talora costruite artificialmente, create da una parziale comprensione del passato e incorporano tutta
Paolo Debertolis una serie di ipotesi, spesso non dichiarate e non intenzionali, ma che pesano sul giudizio globale sulla Civiltà di Visoko. Per questo motivo dobbiamo essere sempre molto prudenti quando parliamo di datazioni nelle piramidi di Bosnia. Ma le strutture della Civiltà di Visoko non solo sono l’esempio di un’abile capacità costruttiva, ma anche rappresentative di una tecnologia la cui memoria è stata persa nel tempo. Ne è un esempio le ricerche che da oltre sei mesi eseguiamo nel campo degli ultrasuoni che sembrano permeare queste strutture e la cui origine per ora non ci è conosciuta. È abbastanza noto ormai che un fascio di ultrasuoni esca dalla Piramide del Sole e punti verso lo spazio con caratteristiche molto peculiari. Si tratta di una frequenza audio, ossia meccanica, nella banda degli ultrasuoni con una frequenza di circa 32.000 Hz di media. La frequenza di trasmissione è contraddistinta da una portante costante ed una modulazione sovrapposta con caratteristiche di irregolarità molto curiose, molto simili ad una trasmissione radio. Per noi è stata una scoperta inaspettata in
ALLA RICERCA DI ULTRASUONI NEI TUNNEL DI RAVNE
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Missione italiana sulle piramidi bosniache quanto abbiamo prima registrato i suoni ultrasonici rilevati dagli strumenti e poi con due metodiche diverse, per eliminare i possibili errori strumentali (attraverso un compressore sonoro oppure via software), li abbiamo riportati ad una frequenza udibile. L’ascolto dei suoni resi udibili ricorda molto le trasmissioni dei vecchi modem audio oppure sono molto simili ad una trasmissione criptata. Secondo un altro ricercatore serbo, l’ing. Goran Marjanovich, questa trasmissione meccanica è accompagnata da una trasmissione elettromagnetica che lui ha rilevato tramite i suoi strumenti e sembra rispecchiare le stesse frequenze meccaniche audio da noi rilevate. Secondo la sua opinione, i canali ripieni d’acqua posti nel ventre della piramide, di cui abbiamo un esempio nelle nostre esplorazioni dei Tunnel di Ravne, fungerebbero da stadio primario di una enorme macchina di Tesla modulando l’effetto piezoelettrico dovuto alla compressione dei quarzi presenti nel suolo sotto la piramide e facilitando lo scambio ionico con l’atmosfera. È un’ipotesi molto suggestiva, ma ancora da dimostrare. Unico dato sicuro è che questa radiazione meccanica (rilevata dal no-
Paolo Debertolis stro gruppo) ed elettromagnetica (rilevata dall’ing. Marjanovich) sembra originarsi da un unico stadio primario posto all’interno della piramide, con delle curiose somiglianze strutturali, principi energetici e meccanici collaudati da Nikola Tesla nella costruzione del suo “Magnifying Amplifier”, controverso potentissimo trasformatore a Colorado Springs. Qualcosa funziona ancora nella struttura della piramide? È possibile. Solitamente onde meccaniche ed elettromagnetiche possono essere registrate sulla superficie terrestre provenienti principalmente da attività geofisiche e sismiche nella crosta terrestre e il suo nucleo, in una gamma molto ampia di valori di ampiezza e frequenza, e di solito sono piuttosto varie sia per l’intensità che per la durata; mentre le caratteristiche delle frequenze rilevate sulle piramidi bosniache appaiono decisamente diverse e difficilmente possono essere spiegate con processi naturali. Nel nostro prossimo round a Visoko rivaluteremo anche la trasmissione delle onde sonore ultrasoniche nell’acqua dei tunnel di Ravne. Ci siamo dotati di microfoni impermeabili, solitamente utilizzati dai biologi marini
IL MEGALITE K2 NEI TUNNEL DI RAVNE
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per ascoltare le balene. Nella precedente rilepossibili solo durante l’estate, nel periodo che vazione nell’aria dei tunnel di Ravne, abbiava da metà giugno a metà settembre. mo comunque constatato la presenza anche Prima e dopo questi termini le piogge non lì ad un livello molto basso di ultrasuoni, circa solo rallentano i lavori, ma possono anche 10 db. causare danni al sito non protetto da tettoie Qualcosa di più anche in alcune locazioni oppure disperdere o contaminare gli evendel Tumulus di Vratnica tuali campioni organici presenti nei siti, anaMa non è solo questo il filone più clamorolizzabili con il Carbonio 14 per una datazione so delle ricerche sulle piramidi bosniache. In sicura dei resti. via di completamento sono anche le ricerche Tuttora i lavori sono sospesi per quanto sui megaliti presenti nei tunnel di Ravne per i riguarda la Piramide del Sole, anche se l’arquali abbiamo già eseguito delle indagini pecheologa responsabile per gli scavi per contrologiche. to della Fondazione Bosniaca della Piramide Il sospetto è che non si tratti solo di medel Sole, dott.ssa Sara Acconci, conterebbe galiti di origine naturale manipolati, bene o di liberare dalla terra almeno un centinaio di male, dai costruttori dei tunnel di Ravne, ma metri lungo lo spigolo che separa la facciata di pietre di sintesi costruite a partire da maNord dalla facciata Ovest entro l’estate e con teriale crudo, poi compattato a caldo per forl’apporto dei volontari. mare una base, dentro alla quale è stato inseUno spigolo regolare e ben intonacato rito qualcosa di metallico e successivamente sarebbe la testimonianza più eclatante per richiuso con un coperchio colato a sua volta contraddire gli scettici che continuano a consulla base. Questa ipotesi non è campata in siderare la Piramide del Sole come una collina aria, ma è basata sulle ricerche effettuate con il georadar da una ditta croata lo scorso anno. Anche in questo caso non è possibile per ora supporre il significato di questa operazione da parte dei costruttori dei tunnel, ma sarà in primo luogo necessario eseguire di nuovo uno scanner con il georadar del loro interno, con ampia documentazione fotografica, prima di fare supposizioni che siano realistiche. Bisogna prima confermare con sicurezza, infatti, quanto già descritto in precedenza. Intanto proseguono con l’aiuto dei volontari gli scavi per liberare i tunnel di Ravne della terra che li hanno sigillati. È un lavoro lungo e che richiede molto tempo in quanto il lume dei tunnel è molto ristretto e permette l’asportazione di materiale molto lentamente con l’uso di carrettini trainati a mano che rappresentano l’unico mezzo possibile MANUFATTO RITROVATO NEI TUNNEL DI RAVNE per l’asportazione della terra senza creare anni danni alla struttura. I lavori all’interno dei tunnel non si sono naturale. Tra questi l’ex Ministro della Cultura quasi mai interrotti durante tutta la stagione bosniaco, Gavrilo Grahovac, fiero oppositore invernale, in quanto protetti dalle intemperie, alla realtà delle piramidi bosniache che si è a differenza degli scavi all’esterno, che sono sempre rifiutato di visitare i siti della Valle di
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Missione italiana sulle piramidi bosniache Visoko, ma che ora è sotto inchiesta per distrazione di fondi. Il Ministro Grahovac è anche l’autore del decreto che nel 2007 ha bloccato gli scavi sulla Piramide del Sole. Per quanto riguarda gli scavi sulla Piramide della Luna, al contrario, proseguono, ed in questo periodo sono stati ripristinati i siti sulla cima della piramide con possibilità di visitarli anche per i turisti. Un gruppo di volontari è presente costantemente in questa sede e prosegue i lavori di scavo. Quindi dispiace di contraddire quelle persone che hanno previsto il termine degli scavi nel 2012. Non è vero. Qui gli scavi possono proseguire indefinitamente. C’è così tanto da cercare che probabilmente finirà come in Egitto dove tuttora a distanza di due secoli si continua a scavare e scoprire. In appendice la testimonianza di un ritrovamento nei tunnel di Ravne da parte di un operaio italiano della Fondazione, Afredo Brentan: un piccolo manufatto sul quale è incisa una lezione di geometria. Su un lato di questo manufatto è infatti presente un triangolo equilatero profondamente inciso. In prossimità della base del triangolo è riconoscibile un ulteriore angolo con propria bisettrice disegnata solo all’interno dell’area del triangolo e, in questo caso, l’incisione risulta essere meno profonda. Certo che non potevano essere dei selvaggi dediti solo alla caccia, come maliziosamen-
Paolo Debertolis È coordinatore del progetto di ricerca, è in ruolo all’Università degli Studi di Trieste dal 1987 presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, dove insegna sia presso il Corso di Studio per la Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia che presso il Corso di Studio in Odontoiatria e Protesi Dentaria. È laureato in Medicina e Chirurgia e specialista in Odontostomatologia. Presso l’Università degli Studi di Milano ha conseguito nel 2006 il Diploma di Perfezionamento in Odontoiatria Legale e Odontologia. È laureando in Scienze Giuridiche. Presso il Corso di Studio in Odon-
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Paolo Debertolis te afferma qualcuno, quelli che abitavano la Valle di Visoko nel Neolitico, in quanto i tunnel sono stati abitati fino a 5.000 anni fa come provato dai residui carboniosi al C14 presenti all’ingresso dei tunnel. Il reperto ritrovato molto più in profondità nei tunnel a 150 metri dall’entrata, è ipotizzabile sia di epoca ancora precedente e testimonia la perfetta conoscenza della geometria di quelle popolazioni. In ogni caso a poca distanza sono stati ritrovati recentemente altri residui organici che potranno fornire ulteriori informazioni sulle datazioni di questo sito e che ci accingiamo ad esaminare nei prossimi mesi proprio qui in Italia. La strada della ricerca è ormai aperta in molte direzioni sulle piramidi bosniache, ma è anche molto lunga e non priva di incidenti di percorso. Per questo abbiamo ideato il nostro gruppo interdisciplinare con conoscenze antropologiche, architettoniche, archeologiche e geologiche che cerca di gestire questi siti un po’ speciali in modo globale, senza trascurare alcuna ipotesi di studio e ampliando il più possibile le nostre possibilità di ricerca. Per gli aggiornamenti e approfondimenti si può visitare il sito del gruppo di ricerca SB Research Group (www.sbresearchgroup.eu/ index.php?lang=it) e il sito della Fondazione Bosniaca della Piramide del Sole (www.piramidasunca.ba/en/). toiatria dell’Università di Trieste è titolare per affidamento della Cattedra di Odontoiatria Legale, Odontologia e Archeologia Odontoiatrica (Applicazioni forensi di Odontoiatria Legale ed Odontologia). Da alcuni anni ha ampliato le proprie linee di ricerca in ambito antropologico e archeologico collegate all’insegnamento di Archeologia Odontoiatrica (applicazione delle tecniche forensi in ambito archeologico). Dal 2009 ha iniziato uno studio in ambito antropologico connesso alle Piramidi di Bosnia ed agli sviluppi delle ricerche sulla Civiltà di Visoko. Dalle sue ricerche emerge, infatti, che l’estensione di quest’ultima sembra travalicare il puro fenomeno delle Piramidi poste nella Valle di Visoko ed interessare ampiamente i Balcani.
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di Tullia Parvathi Turazzi Passaggio in India, ai piedi di Swami
Il mio primo incontro con Sai Baba tempo di lettura 5 minuti
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Il mio primo incontro con Sai Baba
L’
aeroporto di Linate quel mattino, mi apparve come un luogo strano e minaccioso. Non avevo mai volato prima, anzi, ero terrorizzata all’idea di salire su un aereo, per me volare era come morire. Qui Freud si potrebbe sbizzarrire... ma, era così. Mi chiesi ma dove sto andando? Devo essere impazzita, nel mio cuore però ero certa che quel viaggio avrebbe cambiato la mia vita. Salutai mio marito e mio figlio sapendo che li avrei rivisti dopo 15 giorni, portando con me un ricordo indelebile, così immaginavo. Il volo fu sereno, nessuna paura ma tanta emozione, e su ogni volo 3 in tutto per arrivare a Bangalore in India incontrai compagni di viaggio che miracolosamente mi aiutarono in tutto, a me che ero una novizia del volo. Arrivata all’aeroporto di Bombay, mi prese lo sgomento. Una confusione totale, io allora non parlavo una parola di inglese, solo italiano e un po’ di francese. Gente sdraiata ovunque persino nei bagni. Mendicanti che li avevano fatto il loro rifugio notturno, io colta da nausea, ero stata assistita e confortata da queste care donne indiane, poverissime, costrette a vivere in un bagno dell’aeroporto, ma pronte ad aiutare una sciocca turista smarrita che stava
Tullia Parvathi Turazzi per svenire. Questo fu il mio tragico e meraviglioso impatto con l’India e i suoi meravigliosi abitanti, così diversi da noi occidentali, così poveri e cenciosi alcuni.. ma con occhi brillanti e spirituali, come mai ne avevo visti prima. Finalmente il terzo aereo della Jet Airways toccò il suolo di Bangalore, avevo trovato una compagna di viaggio che guarda il caso andava proprio da Sathya Sai Baba, una devota di lungo corso, ormai esperta che mi guidò e sostenne in tutto. Quando entrai nell’ashram di Sai Baba, provai un intensa commozione, come se stessi tornando a Casa da un vecchio e caro amico e padre, e desiderai baciare il terreno che calpestavo, ma non lo feci, un po’ ne ebbi pudore e forse non era molto igienico... pensai. Parlare di Lui, mi è difficile, soprattutto ora che il suo Sacro Corpo ci ha lasciati tutti orfani per salire verso i Cieli più alti. Fu veramente un’esperienza unica e così meravigliosa che ancora dubito sia capitata a me. Il piccolo Asram di Whitfield vicino a Bangalore era intriso di una strana e dolce energia che io percepivo in ogni mia cellula, mi penetrava ovunque e mi riempiva di uno stato di beatitudine e amore, che non so
SAI BABA IN PREGHIERA
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Il mio primo incontro con Sai Baba descrivere. Il Suo primo sguardo al Darshan, quando fluttuando senza quasi toccare il pavimento del tempio, venne verso di me e mi fisso a lungo in silenzio... fu come guardare nell’Infinito, nella beatitudine fatta Uomo. Conoscevo quello sguardo, da tante vite, i nomi diversi Rama, Krisna, Gesu... ma Lui. L’essenza del SE... era sempre la stessa, eterna, compassionevole, amore infinito. Fuori le strade polverose e trafficate mi riportarono alla realtà di tutti i giorni... camminavo come in un sogno, diventato ora rumoroso e caotico, le bancarelle esponevano frutti esotici multicolori a prezzi davvero irrisori. Altre mostravano file di saree colorati appesi. I saree sono il tipico abito femminile indiano, 6 metri di stoffa da avvolgere intorno al corpo. Elegantissimo e pratico da indossare, una volta imparato a indossarlo. Foto delle divinità indù ovunque. Da Baba a disegni di Krisna il Dio delle Gopi, pastorelle devote del Dio dal flauto incantato del colore blu nuvola. Statuine di ogni forma e materiali, e soprattutto gli odori dell’India, penetranti, inconfondibili, che ti accompagnavano anche quando rientrata in Italia, tirando fuori le poche rupie rimaste, improvvisi colpivano le mie narici... provocandomi una struggente nostalgia... tornare da Lui, tornare a Casa.
Tullia Parvathi Turazzi Nata a Monza (MI) il 10 agosto 1955. Caduta dal cielo insieme a migliaia di stelle cadenti nella notte di San Lorenzo. Ha frequentato il liceo Artistico di Brera diplomata in grafica pubblicitaria, studi di psicologia e danza moderna, studiosa di religioni antiche, antiche filosofie, simbolismo, esoterismo, ricercartrice, conoscitrice di molti mezzi di divinazione dai tarocchi agli I Ching, astrologia, sensitiva fin da piccolissima, in contatto con altre dimensioni o loka. Pratica meditazione e yoga tantra kundalini da 13 anni, pratica il reiki e l’healing è canalizzatrice di Baba ed di altri maestri ascesi ma più che canale ha con loro contatti astrali dove
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Tullia Parvathi Turazzi Feci molti viaggi e tutti in un solo anno, fino al giorno in cui decisi... di rimanere. Ricordo di quel mio primo indescrivibile incontro con l’Avatar, e un braccialetto che ho ancora. Una notte sognai Baba, era un sogno vero, reale, dove benedisse quel piccolo bracciale, comprato il giorno prima su una bancarella per poche rupie, era in argento con 7 ametiste incastonate. Al risveglio di fonte allo stupore mio e delle donne che dormivano con me nell’Ashram in una stanza dove eravamo in 8 sdraiate su materassi di fortuna vedemmo che in ogni ametista compariva la figura chiara di Baba che noi chiamiamo Swami... e in ogni pietra Lui era in posizioni diverse e a volte cambiava secondo i giorni e le situazioni... era uno dei suo Lila mi dissero le devote esperte. Ma per me era incedibile vedere un tale miracolo vivente, nel mio braccialetto. Questo fu uno degli innumerevoli Lila che vidi e che ricevetti. Ma il vero dono fu un altro, l’immersione totale nell’Amore Divino e Cosmico, un Amore che non mi ha più lasciata, neppure nei momenti bui e difficili che tutti noi, incontriamo lungo il cammino verso la Realizzazione del Sé. Questo fu il mio primo incontro a livello fisico del mio Amato Maestro. Ma ogni mia parola è totalmente inadeguata ad esprimere La Sacralità e bellezza di ciò che ho vissuto e continuo a vivere. li vede e tocca normalmente come in 3 dimensioni, un dono di BABA, uno dei molti che ha ricevuto da LUI. Vive attualmente in India, ma viaggia tra i vari stati indiani. Vive Puttaparthi dove ebbe la fortuna a 43 anni di avere la grande benedizione di conoscere ed incontrare l’Avatar di questo kali yuga SRI SRI SATHYA SAI BABA che mostrò me stessa a me stessa, e gli rivelò che Dio vive in noi e non fuori di noi. Ha vissuto continuamente ai suoi piedi di loto dal 1998 ad oggi fino al Suo Mahasamadi. Un esperienza che da sola merita un libro che sta scrivendo. Prosegue il percorso seguendo i suoi insegnamenti AMA TUTTI E SERVI TUTTI... il percorso umano e spirituale continua, in astrale con la Sua vicinanza continua perchè non c’e limite alla bellezza e alla meraviglia della Rivelazione.
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di Anja j Zablocki Ăˆ ora di svegliarsi, figlia
Il cosmo mi parla tempo di lettura 13 minuti
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draiata sul prato del Circo Massimo, dove piedi umani per millenni hanno calpestato il suolo, io e Jek siamo due “Wally”, due punti fermi in mezzo a una distesa di corpi agitati. Provate a trovarci. Siamo quelli talmente estranei alla situazione da risultare paradossalmente invisibili, slegati momentaneamente dalla mente collettiva in cui siamo immersi, presi da un estatico amore artificiale. È una fresca giornata di marzo, il cielo è blu superlativo assoluto, e sulla sua rotondità scorrono bianche nuvole. In questo momento perfetto non potrei essere più vicina e più lontana di così dall’essere umano. Del resto, io in questo mondo non sono altro che uno spettatore, un passante curioso. Quella è una pecora, quello un unicorno, quello un drago. Nello stato mentale in cui mi trovo, non sono sicura se è la fantasia a dare forma alle nuvole o se il mio pensiero è così potente da crearle. Qualcuno grida slogan a un microfono e decine di altoparlanti riportano una versione distorta della sua indignazione. Per un secondo mi sento in colpa della mia totale indifferenza; forse dovrei salire anche io sul palco e gridare a quelle persone che si stanno scaldando troppo per delle questioni insensate. Molto rumore per nulla, avrebbe detto Shakespeare. Non lo faccio, ovviamente, perchè non è compito mio. Non sono un invasore, sono un errante. Il cosmo mi parla: io ascolto e assorbo in silenzio. Onde di energia si riversano su di me mentre cammino per quelle strade piene di gente e di storia, e ogni persona ruba e regala qualcosa, passando. Il tempo non è lineare, ma è composto da attimi fissati su una pellicola, ed è come guardare un film già visto. La sensazione che provi, quando il cosmo ti parla, è l’assoluta certezza che ogni cosa sta perfettamente al posto giusto. Dalla cima della scalinata in piazza di Spagna osservo il mondo. È tutto così dolorosamente vivo, i tetti sono troppo rossi, il sole è troppo giallo, l’aria occupa troppo spazio. Se solo penso al miracolo che accade in ogni istante, mi sembra di impazzire. Jek ha un sorriso e una luce negli occhi che non gli avevo
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Anja Zablocki mai visto. Non è fantastico come tutto riesca a esistere contemporaneamente? gli chiedo. Penso all’arcano XII mentre stiamo seduti sulla scalinata. Una settimana prima, una voce metallica, disumana, mi aveva svegliata mentre sognavo di camminare sul letto asciutto di un fiume. Davanti a me, sopra alberi rinsecchiti dondolavano i corpi impiccati di dodici frati. La voce divertita mi cantava nella testa una filastrocca: Dodici frati appesi nel prato, chi sarà stato? Chi sarà stato? Uno scherzo di cattivo gusto, certo, ma efficace. Svegliarmi per due mesi di fila nel letto, nella posizione dell’appeso, e sognare continuamente questo archetipo, mi era bastato per capire che era ora di ripartire da zero. Pensavo a quale ruolo stesse avendo questo viaggio a Roma nel mio percorso di risveglio. Era il mio appuntamento al buio con Dio e la mia mente estraeva riflessioni come conigli da un cilindro. Una madre sale la gradinata con un bambino, contando insieme gli scalini: sessantuno, sessantadue, sessantatré... È superfluo dire che, alla nostra altezza, i gradini sono sessantaquattro? E come posso spiegare con parole di carne, quale è il significato di tutto questo? Io sorrido, Jek sorride, madre e figlio sorridono, mentre capisco che il cosmo ha imbastito un piano, perfetto e intricato quanto solo le cose più semplici possono sembrare. Un piano di cui sono sempre stata complice ignara. Questo piano è tutto ciò che vale la pena di conoscere. Trovo ironicamente bellissime le coincidenze numerologiche dell’universo. Osservo il mondo e il mondo è uno specchio; guardando tra le spire dell’energia riemergono ricordi perduti e tutto mi sembra così ovvio, chiaro. La vita si palesa in tutte le sue definizioni. Una voce sussurra verità incontestabili: è come imparare qualcosa che già conosci, come risvegliarsi da un coma, come l’odore rassicurante della propria casa. In quell’istante io sono, e sono tutto, e sento l’enormità energetica che muove questa
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Il cosmo mi parla
Anja Zablocki
tamente. Una grande macchina, la colonna che regge l’universo. Le persone mi attraversano come neutrini: le persone che mi passano accanto ogni giorno, le persone con cui parlo, mangio o dormo, le persone che nemmeno conosco. Nessuno si ferma, nessuno rimbalza o mi abbatte ma, attraversando la mia vita per un istante, raccolgono e scambiano informazioni. Alcuni, come ora Jek, interagendo con la mia energia scoprono nuovi sentieri. Sono un catalizzatore, un viandante antico. Sono un Rispondente, e porto il fuoco. Penso a tutte queste cose, seduta su quegli scalini, e a milioni di altre. I pensieri sono un fiume in piena, una marea che sommerge tutto. Da questa marea riemergono i ricordi dei primi contatti con le mie guide. Mi rendo conto di non averne mai compreso realmente il significato. Sentivo, ma non ascoltavo. Credevo, ma avevo dubbi. Pensavo di vivere, in realtà respiravo soltanto. Vedo me stessa in tutte le mie forme. Qui e ora, un unico interminabile momento, in cui sono questa e molte altre forme di vita, dimensioni, mondi. La pluralità di ciò che chiamiamo Io mi sconvolge. Il mio nome è Legione perchè siamo tanti. Sono consapevole. Insieme alla gioia di avere riscoperto me stessa è arrivato anche un senso di perdita per tutti gli anni che ho vissuto senza dare la giusta importanza al mio dono. Le persone vivono le loro esistenze nella cecità e nella paura. Quando naARCANO MAGGIORE XII: L’APPESO. RAPPRESENTA L’INIZIAZIONE, sci in un simile contesto, senza una guiIL SACRIFICIO, IL TRAVAGLIO DEL CORPO PER L’ELEVAZIONE da, senza qualcuno che ti aiuti a sfruttaDELL’ANIMA. È LA CARTA DELLA TRASFORMAZIONE, re il tuo potenziale, finisci con l’assopirti DELL’INTROSPEZIONE, DEL MUTAMENTO. ARCHETIPO anche tu. È l’ironia della nostra natura, DELL’ABBANDONO AL MONDO E AL VIAGGIO DENTRO SÉ STESSI. esser certi dell’inganno e negare la veriIL RISVEGLIO DELLA CONSAPEVOLEZZA tà. Inconsapevolmente aiutiamo i nostri carcerieri a tenerci in prigione. Come ucrealtà. Sento l’interazione fra questa realtà e celli cresciuti in cattività, quando il velo molte altre, e so che non c’è limite al pensiero. di Maya si alza e intravediamo la libertà, non L’unico limite è lo Spirito del mondo, con cui sappiamo che farcene. Perché libertà significa ci autogoverniamo, e attraverso il quale so di staccare l’ancora, liberarsi di schemi mentali essere il tutto: ogni sasso o persona, indistinlogori, dogmi socialmente acquisiti, certezze
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Il cosmo mi parla personali. È l’esser rovesciati in un mondo tutto nuovo, come l’Appeso insegna. La Via della consapevolezza non è una passeggiata. È l’unico modo di esistere, per l’anima. Muore e rinasce continuamente. Passa attraverso la sofferenza, la lotta, ed esige molto coraggio. Passa attraverso l’Amore, anche se non lo comprende appieno. Si nutre di ogni istante regalato dall’illusione del tempo. Impara. Non è un percorso lineare. Certe esperienze non sono facili da digerire. Esige una costanza e una presenza fisica e mentale impossibile da avere con le limitazioni del corpo fisico e le trappole mentali contro cui deve continuamente lottare. Forse la trappola più pericolosa è l’inganno ad opera dei falsi messaggeri. I contattisti New Age ne sono esempio. Chi ha canali aperti e riesce a comunicare con altre realtà, deve rendersi conto di essere aperto a tutto. L’universo è pieno di entità che non aspettano altro che una breccia, per nutrirsi della nostra energia approfittando dell’ingenuo desiderio di sapere dell’essere umano. Anche io sono stata spesso vittima di queste creature, sia da parte di visitatori astrali, sia da viaggiatori in carne e ossa, che mi hanno sovente lasciato sul corpo i segni del loro passaggio. Dopo l’esperienza di Roma, la mia nuova consapevolezza mi ha fatto risplendere come un faro, e con esso ho attirato di tutto. Ma ancora una volta ho commesso un errore, lo stesso che anni prima, mi aveva portata a giocare d’azzardo con la sanità mentale e con la vita stessa. Mi sono gettata a capofitto nell’esplorazione della realtà separata, senza proteggermi in modo adeguato, senza informarmi, convinta di sapere esattamente cosa stavo facendo, e di avere il controllo. Prima dell’avvenimento che mi ha fatto fare cento passi indietro, c’è stato un altro viaggio a Roma. Avevo da poco conosciuto il ragazzo che
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Anja Zablocki poi sarebbe diventato mio marito, e desideravo fortemente condividere con lui ciò che stavo vivendo. Lui era mentalmente aperto e disponibile a credermi, ma senza esperienza pratica non avrebbe mai potuto farlo fino in fondo. Non sapevo se Ra’bey avrebbe accettato di dare dimostrazioni: avevo sempre vissuto i contatti in solitudine e, a parte qualche sporadico avvenimento, nessuno ne è mai stato partecipe. Era la notte di Capodanno, e la voce di Ra’bey ha risposto alla mia richiesta. Vi facciamo un regalo adesso, ha detto, così lui potrà vedere. In quel momento è tornata in me la sensazione familiare di estraniamento. Il tempo era un abbozzo, le persone erano più “presenti”, gli oggetti avevano contorni più forti. Ho chiesto a mio marito di seguirmi, e come fossi guidata da un Gps, ho iniziato a percorrere i vicoli della città come un automa. Dopo alcuni minuti, siamo sbucati in una piazzetta dove, sulla facciata di un palazzo, stavano proiettando immagini raffiguranti dipinti famosi e l’aria tremava per un brano del “Duetto dei fiori” di Delibes, il nostro preferito. Mio marito, incantato, rideva. Come hai fatto? Mi ha chiesto. Come facevi a saperlo? Io avevo il cuore caldo e la mente serena. Finito lo spettacolo, siamo andati in piazza di Spagna, dove gli ho chiesto di sedersi con me sulla scalinata ad aspettare. La piazza era stracolma di gente, camminare era quasi impossibile. Quando la voce di Ra’bey mi ha detto Ora digli di guardare in quel punto, ho spiegato a mio marito che cosa mi stava dicendo. Gli ho mostrato il punto della scalinata che Ra’bey mi aveva indicato e gli ho detto che, anche se lui non poteva vederli, li avrebbe percepiti, e avrebbero fatto in modo di fargli capire che esistevano davvero, e che erano li con noi. Pochi istanti più tardi, in mezzo a quella fiumana di persone, in quel preciso punto si è aperta una falla, un vuoto in cui potevano sta-
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Il cosmo mi parla re quattro grandi persone, e nessuno vi passava. Centinaia di persone sgomitavano nella calca per riuscire a muoversi, ma nessuno osava attraversare quel piccolo punto vuoto, vi giravano invece attorno. Attraverso me, Ra’bey ha detto a mio marito Ora vedi l’istante. Adesso se ne vanno, ho aggiunto, e lo spazio vuoto è stato subito sommerso dalla calca. Sei stata brava, mi ha comunicato Ra’bey col pensiero, ti facciamo un altro piccolo regalo. Ho sorriso, ripetendo le sue parole a mio marito. Così siamo rimasti ancora li seduti. Un minuto più tardi, un venditore ambulante di rose è sbucato tra la folla e si è diretto verso di me. Mi ha porto un fiore e mio marito ha aperto il portafoglio per pagarlo, ma il venditore l’ha bloccato con una mano e sorridendo ha detto: No, questa è per lei, perchè è stata brava. Forse quella frase è stata, più di qualsiasi cosa successa quella notte, a sconvolgere mio marito. Anche in lui, come è stato per Jek, un nuovo sguardo, una nuova luce, un sorriso di emozione e di serenità. Quando vedo quello sguardo di meraviglia nelle persone, anche se si accende negli occhi di uno su mille, penso valga la pena di combattere contro la cecità del mondo. Qualche mese più tardi, mentre dormivamo in un hotel, ci siamo svegliati entrambi con un grido, scalciando nel letto. Pochi istanti prima avevamo percepito una presenza, un’ombra enorme, una faccia che ci fissava in volto a pochi centimetri di distanza e di cui riuscivo a sentire i pensieri malevoli. Mentre mio marito scattava in piedi per accendere la luce, io ero seduta col cuore che martellava nel petto. Lui era bianco come un lenzuolo, e mentre cercava di rassicura-
Anja Zablocki Nasce in Bosnia nel 1981, si trasferisce in Italia a nove anni per sfuggire alla guerra civile. Fin da piccola ha esperienze di contatto coi mondi sottili. Nel 1999 inizia un rapporto amichevole con enti-
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Anja Zablocki re se stesso controllando ogni angolo della stanza e del corridoio, continuava a chiedermi che cosa era “quella cosa” e cosa era la luce che aveva visto nel muro. Non abbiamo chiuso occhio quella notte e la sera dopo, mentre ne parlavamo a casa mia, io avevo già preso la mia decisione. Parlando a mio marito, e alle mie guide, ho confessato di essere troppo stanca. Prima di quel fatto non lo avevo ammesso neppure a me stessa, ma ero davvero sfinita dai contatti, dalle esplorazioni OBE, dalle settimane senza sonno, dovendo immagazzinare quantità enormi di dati. Questa stanchezza si era trasformata in debolezza, e la debolezza stava dando occasione a tutto ciò che c’è di peggio di manifestarsi, trovandomi impreparata a combattere. Rinunciare a tutto questo era troppo allettante, e rifugiarsi in una vita “normale” era l’unica soluzione che mi sembrava possibile. Ho chiesto che non venisse più a disturbarmi nessuno, ho chiuso il canale di comunicazione, e mi sono addormentata nella mia personale cripta sigillata. Ra’bey si è ritirato, dicendo che capiva la mia necessità di riposo, e che per un po’ non mi avrebbe più cercata. In quel momento, la stanza è stata illuminata da un abbagliante lampo. Mio marito ha chiesto cosa fosse. Nulla, gli ho risposto, non ci sarà più nulla da oggi in poi. La pausa è durata quasi cinque anni: un coma dove vivevo nell’illusione di un sogno, ed ero riuscita a costruirmi un mondo, una vita, che ricalcavano ciò che io credevo fosse normalità; una norma che piano piano mi stava consumando, indebolendo, ammalando. Poi, una notte, una voce metallica che conoscevo molto bene, era tornata a sussurrare nella mente: È ora di svegliarsi, figlia.
tà provenienti da un’altra dimensione, con le quali condivide un percorso evolutivo. Da un paio d’anni frequenta il forum di Nexus (forum. nexusedizioni. it) di cui diviene moderatrice col nickname di Ressay. Le sue esperienze son state oggetto di discussione in alcune trasmissioni televisive tra cui “mistero” Italia1.
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Il leone rosso Elisir di vita eterno
Maria Szepes
DISPONIBILE IN LIBRERIA
Si può vivere in eterno?
Un uomo misterioso, che si presenta come Adam Cadmon, consegna ad uno studioso il manoscritto di una storia fantastica: quella di Hans Burgner, giovane tedesco che nel XVI secolo diviene allievo di Anselmus Rochard, un alchimista che possiede il segreto dell’Elisir di Vita Eterna.
di Antonio Crasto Le radici di una scienza antica
Il simbolismo della Piramide tempo di lettura 8 minuti
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Il simbolismo della Piramide
Simbolismo Vari studiosi ritengono molto probabile che durante il Paleolitico Superiore sia esistita una civiltà molto evoluta, civiltà che sarebbe stata distrutta da una serie di cataclismi. Alcuni studi scientifici portano a ipotizzare che il centro di questa civiltà fosse la regione sudorientale asiatica, la vastissima regione della penisola indocinese, quella che però risulterebbe considerando un abbassamento del livello medio dei mari di circa 150 metri. Questa civiltà dell’Era Glaciale sembra richiamata dai miti della leggendaria civiltà di Mu dell’Oceano Pacifico, ma anche delle leggendarie civiltà delle Americhe e di Atlantide. Si ritiene, infatti, possibile che l’antichissima civiltà si sia propagata dalla regione asiatica a Est e a Ovest, mantenendosi forse nella fascia tropicale, quella che a causa del clima rigido dell’Era Glaciale risultava la sola a essere abitabile con una certa possibilità di sviluppo. Ritengo probabile che questa antichissima civiltà abbia sviluppato una religione che
Antonio Crasto venerava un solo Dio creatore e che abbia ripreso il concetto della terna familiare: padre, madre e figlio, per assegnare al dio creatore tre valenze, tre distinte volontà nella creazione. Potrebbe esser nato dunque moltissimi millenni fa il concetto della trinità divina, concetto che sarebbe stato espresso numericamente dal numero 3 e geometricamente dal triangolo. Seguendo questo simbolismo numerale e/o geometrico, ritengo che l’idea della creazione nelle quattro direzioni cardinali abbia portato ad associare al creato e all’umanità il numero 4 e il quadrato. Questi simbolismi potevano dunque essere riassunti geometricamente dalla rappresentazione di un triangolo costruito sopra un lato di un quadrato e la rappresentazione avrebbe così simboleggiato il dominio del Creatore sulla Terra e sull’Umanità. Ovviamente il passo successivo sarebbe stato la rappresentazione tridimensionale di questo concetto, per cui sembra logico pensare che l’antichissima civiltà abbia considerato la piramide. La trinità del Creatore, espressa dal triangolo, sarebbe stata così considerata
SUGGESTIVA IMMAGINE DELLE TRE PIRAMIDI PRINCIPALI DELLA PIANA DI GIZA
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Il simbolismo della Piramide in tutte le quattro direzioni cardinali e il dominio del Creatore sull’Umanità sarebbe stato rappresentato dalla piramide sovrastante il quadrato di base o se vogliamo un ipotetico cubo sottostante la piramide. Alla luce di queste possibilità, risulta consequenziale che le antiche civiltà abbiano edificato piramidi quale omaggio al Dio creatore. Questo concetto religioso sarebbe stato poi esportato nelle terre in cui l’antichissima civiltà si estese e il concetto religioso sarebbe stato tramandato alle civiltà che nacquero dopo la fine dell’Era Glaciale. Questa interpretazione logica spiega dunque come mai in vari continenti e in epoche differenti furono edificati monumenti o templi a forma piramidale e spiega soprattutto come questi monumenti abbiano sempre avuto una valenza sacra e furono spesso associati a cerimonie religiose. La sacralità della piramide e il suo collegamento al Dio creatore spiega anche perché esse furono edificate in particolari momenti di crisi di una civiltà, al fine di rendere omaggio al Creatore e ottenere l’intercessione divina.
Antonio Crasto Questa spiegazione non è stata finora considerata dagli archeologi né dagli studiosi della antiche religioni. Il mistero della comparsa di piramidi in vari continenti e in periodi differenti è stato risolto ipotizzando che la piramide fosse la costruzione più facile da realizzare e che la loro costruzione in differenti località fu puramente casuale. A parte che questa spiegazione semplicistica non entra nel merito della sacralità del monumento, si ritiene che la spiegazione pecchi anche da un punto di vista ingegneristico. Non è infatti vero che sia facile edificare una costruzione piramidale, realizzando quattro facce che abbiano la stessa inclinazione. Sembra molto più semplice edificare un cubo o un parallelepipedo, posizionando un blocco su l’altro e aiutandosi per la verticalità con un semplice filo a piombo.
Le piramidi in Egitto Nella terra dei faraoni le piramidi comparvero agli inizi della III dinastia. Fu infatti il fa-
LA PIRAMIDE A GRADONI DI DJOSER
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Antonio Crasto
IN ALTO LE COSTELLAZIONI ODIERNE. IN BASSO LE PROBABILI COSTELLAZIONI EGIZIE SECONDO ANTONIO CRASTO
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Il simbolismo della Piramide
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LO ZODIACO DI DENDERA
raone Djoser che edificò la prima piramide a gradoni nella necropoli reale di Saqqara, nel deserto di fronte alla capitale Menphy. Gli studiosi sono tutti d’accordo sul fatto che la piramide fu realizzata come sovrapposizione ideale di varie mastabe, il monumento funebre a forma di parallelepipedo, fino ad allora utilizzato come sepoltura dei personaggi di una certa importanza. Gli studiosi non sanno però giustificare questa eccezionale innovazione architettonica. Non avendo considerato un simbolismo religioso connesso al Creatore, gli Egittologi non hanno saputo considerare che Djoser potrebbe aver ideato un grandioso progetto architettonico, da realizzare nel corso di varie centinaia di anni e che avrebbe reso omaggio al Dio creatore, nella speranza che questo omaggio prolungato nel tempo valesse a esorcizzare nuove catastrofi in Egitto. Ritengo infatti molto probabile che l’Era Glaciale sia terminata a seguito di varie catastrofi, che la scienza ha oggi individuato dai
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loro effetti: rapida rottura e scioglimento di estese zone di ghiacci dell’America settentrionale e/o dell’Europa, immissione violenta di molte tonnellate di ghiacci nell’Oceano Atlantico con conseguente formazione di impetuosi tsunami, che avrebbero percorso l’Oceano formando onde gigantesche. Questi effetti avrebbero portato a un rapido sollevamento dei mari, conseguente inondazione delle zone costiere e distruzione dei villaggi e/o città edificati lungo le coste. Gli studi geologici portano a considerare 4 catastrofi, grosso modo databili intorno al 12000, 9500, 6000 e 5500 a.C. L’ultima catastrofe potrebbe aver determinato l’idea del Diluvio Universale riportata da molte antiche culture: Sumeri, Babilonesi, Ebrei, ecc. Questa teoria giustifica la regressione delle antiche civiltà e le varie fasi d’evoluzione dell’Umanità. I successivi periodi evolutivi: Paleolitico Superiore, Mesolitico e Neolitico non sarebbero dunque delle fasi di evoluzione
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Il simbolismo della Piramide
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Livello del mare rispetto al valore attuale (metri)
migliaia di anni a.C. SOLLEVAMENTO DEI MARI A CAUSA DEI TRE DILUVI
crescente, ma dei periodi in cui l’evoluzione dovette ripartire pressoché da zero. Gli Egizi potrebbero dunque aver vissuto con il ricordo o l’incubo di catastrofi immani che per più volte distrussero le loro terre. La lunga cronologia egizia, da me rivisitata sulla base dei dati dello storico egizio / tolemaico Manetone, dati pervenutici grazie all’opera di alcuni storici: Giuseppe Flavio, Giulio Sesto Africano ed Eusebio da Cesarea, inquadra la fine della II dinastia egizia intorno al 3300 a.C., mentre le cronologie cortissime, generalmente oggi proposte, datano la fine di questa dinastia intorno al 2780 a.C. Ebbene alcuni studi di geologia sembrano suggerire che proprio intorno al 3300 - 3200 a.C. possa essersi verificata una nuova catastrofe. La caduta di un grosso meteorite in Mesopotamia o di vari suoi frammenti fra il Mediterraneo orientale e l’Asia occidentale. È probabile che un frammento di questo
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grosso meteorite sia caduto in Egitto e che abbia causato danni abbastanza gravi da determinare uno sconvolgimento dinastico e la fine della II dinastia. Anche volendo limitarci ai riscontri geologici, si potrebbe considerare che il meteorite sia caduto in Mesopotamia e che l’Egitto abbia subito gli effetti climatologici determinati dalla catastrofe. Un riscontro di questi avvenimenti si ricava sia da rappresentazioni di gente scheletrica in monumenti a Saqqara sia da quanto riportato sulla Stele della Carestia, che, per quanto di datazione tarda, riporta la storia di una tremenda carestia accaduta durante il regno del faraone Djoser. Possiamo dunque ipotizzare che i sacerdoti egizi abbiano ricordato le drammatiche catastrofi precedenti e abbiano considerato il nuovo evento come un nuovo castigo divino. Sembra dunque molto probabile che il
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Il simbolismo della Piramide faraone Djoser abbia voluto ideare un vasto programma di edificazione di vari monumenti piramidali quale omaggio al Creatore, al fine di ottenere l’intercessione divina per le sorti dell’Egitto. Djoser potrebbe così aver ideato un programma di edificazione di varie piramidi, che corrispondessero alle stelle principali di alcune costellazioni nelle quali i sacerdoti / astronomi egizi avevano immaginato la rappresentazione di alcune divinità connesse al mito di Osiride.
Progetto unitario Senza addentrarci nella descrizione del mito di Osiride, che tratteremo in un prossimo articolo, ritengo che gli Egizi abbiano considerato una rappresentazione stellare dei personaggi del mito in differenti costellazioni del cielo boreale, nella particolare regione a Ovest della via Lattea. Alla luce della rappresentazione dello zodiaco circolare di Dendera (nel riquadro delle immagini), in cui si evidenzia la figura del falco Horus posizionato su un piedistallo (obelisco o pianta di papiro), ritengo molto probabile che gli Egizi abbiano visto: il dio Osiride nella costellazione di Orione, la dea Iside nella
Antonio Crasto Nasce a Mogoro (OR) il 1/7/1944. Vive a Cagliari fino al 1° anno di Università e quindi si trasferisce, per seguire la sua famiglia, a Torino, dove si laurea in Fisica. Ufficiale geofisico – meteorologo dell’A.M., si specializza in Fisica dell’Atmosfera e presta servizio in varie sedi in Italia: Vigna di Valle, Milano, Cagliari, Perdasdefogu e Roma. Appassionato di storia delle antiche civiltà ha centrato le sue ricerche sull’antichissima civiltà egizia. I suoi lunghi studi lo hanno portato a una clamorosa scoperta scientifica in merito ai calendari e la cronologia egizia, scoperta divulgata nel suo primo saggio sull’antico Egitto
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Antonio Crasto costellazione del Cane Maggiore e in particolare nella luminosa stella Sirio, il dio Horus, figlio di Iside e Osiride, in una costellazione formata dalle stelle dell’attuale Auriga, quelle occidentali dei Gemelli e quelle della costellazione dell’Unicorno, gli dei Shu, Tefnut, Geb e Nut nelle stelle alfa e beta dei Gemelli e del Cane Minore, il dio Atum nella costellazione del Leone, il dio Seth nella costellazione del Toro e infine il dio Thot nelle stelle delle attuali costellazioni di Perseo e Andromeda. Ritengo ancora probabile che Djoser abbia progettato la trasposizione delle stelle principali di alcuni personaggi celesti: Osiride, Horus e Thot in una serie di piramidi del deserto occidentale, lasciando ovviamente la scelta dell’elemento piramidale da realizzare alla volontà dei singoli faraoni, a seconda delle aspettative di vita e dei mezzi economici a disposizione. Ritengo infine che le dimensioni e/o la preziosità delle piramidi avrebbe rispecchiato in qualche modo l’importanza, secondo la magnitudine o il simbolismo religioso, della stella scelta per la correlazione piramidale. Alla luce di questa ipotesi, Djoser avrebbe deciso di edificare la prima piramide del grandioso progetto, quale elemento corrispondente al corpo del grande Falco celeste, l’attuale stella gamma dei Gemelli, Alhena.
Hassaleh. L’occhio di Horus. Manetone aveva ragione! (Ugiat, 2007). Sulla spinta del notevole interesse destato dal suo lavoro scientifico, Crasto ha pubblicato di recente il nuovo saggio Dendera. La sacra terra della dea (Ugiat, 2011) nel quale esplora i misteri del tempio di Dendera, approfondendo in particolare: la cosmogonia, l’astronomia e la religione egizia.
Dendera. La sacra terra della dea Ugiat, 2011 vai scheda libro >> Runa Bianca
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di Mauro Biglino g Non ci hanno raccontato tutto e nemmeno il vero
La Bibbia svelata
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a Bibbia è stata oggetto di svariate chiavi di lettura e questi diversi approcci hanno prodotto interpretazioni teologiche, allegoriche, metaforiche, teosofiche, antroposofiche, esoterico-iniziatiche, psicanalitiche, sociologiche... Ogni interpretazione è stata condizionata dalle idee e dagli obiettivi dei vari commentatori che hanno sempre fatto in modo di trovare nei testi conferme alle dottrine o idee che essi stessi hanno elaborato e sulle quali sono state costruite intere strutture di potere finalizzate al controllo sistematico delle coscienze per motivi spesso non solo spirituali. Le finalità degli interpreti piegano il testo e rielaborano i significati alla luce di dottrine la cui origine appare essere addirittura esterna ai testi stessi e talvolta neppure con quelli coerente. Spesso la realtà si prende una sorta di rivincita, tende a superare la volontà interpretativa e si impone anche contro chi la vuole ricondurre nei binari necessari alla diffusione delle verità che si intendono veicolare... Rashi de Troyes - uno dei massimi esegeti ebrei (X-XI sec d.C.) – era consapevole di questo problema che è determinante agli effetti
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Mauro Biglino di quanto qui diremo, sulla base di contenuti che derivano esclusivamente da traduzioni letterali della Bibbia derivante dal testo più antico ed universalmente accettato: il Codice di Leningrado. Rashy affermò che alle parole della Toràh si possono attribuire anche 70 significati diversi, ma c’è un significato che queste parole non possono non avere ed è quello letterale (peshat) cioè il significato semplice accompagnato dalla sua spiegazione, cui seguono (remètz) l’indizio, (derùsh) l’interpretazione omiletica e (sod) la cabbala. Si tratta quindi di provare a pensare che gli autori biblici ci abbiano voluto dire ‘esattamentÈ ciò che ci hanno detto, senza messaggi particolari, senza contenuti celati in codici, senza misteri da svelare: rispettiamo così anche le parole dello stesso Elohìm chiamato Yahwèh che affermò di parlare faccia a faccia e non per enigmi (Nm 12, 8). Facciamo quindi un esercizio inusuale e consideriamo l’Antico Testamento come un libro di storia, un testo in cui vari autori di un popolo hanno voluto raccontare la loro saga. Così facendo dobbiamo attribuire a quel testo le caratteristiche di ogni lavoro storiografico e considerare quindi che contiene delle verità, ma anche delle fal-
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La Bibbia svelata sità, degli errori, delle dimenticanze accidentali o volute; certi eventi saranno enfatizzati ed altri sottaciuti, magari interpretati in funzione degli obiettivi e dei messaggi che si intendeva veicolare. Abbiamo definito inusuale questa scelta perché sappiamo che chi si accinge a presentare i significati dei testi biblici (teologo, cabalista od esoterista che sia) tende spesso a seguire un atteggiamento che lo porta a dire: “quando la Bibbia dice questo in realtà vuol dire che...”. Noi per una volta “fingiamo” invece di pensare che il significato sia proprio quello trasmesso dagli autori e così facendo si costruisce una visione di insieme che non richiede l’utilizzo di categorie interpretative particolari come “il mistero della fede” o il “nascondimento esoterico/iniziatico o ancora” l’illuminazione mistica” che hanno portato nella storia esegetica tante versioni quante sono le categorie mentali di coloro che se ne sono occupati. Va ricordato inoltre che una delle caratteristiche fondamentali ed ovvie di ogni testo è la seguente: gli autori scrivono utilizzando le categorie culturali, concettuali e linguistiche di cui dispongono. Ogni autore impiega ne-
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Mauro Biglino cessariamente gli strumenti di comunicazione che il suo tempo gli mette a disposizione; non potrà quindi usare termini che ancora non esistono per descrivere realtà nuove e strabilianti per lui e per chi lo leggerà. Abbiamo quindi una duplice premessa metodologica: importanza del significato letterale del testo e storicizzazione degli strumenti di comunicazione usati da chi scriveva. Precisiamo questi aspetti perché costituiscono un elemento peculiare che differenzia questa rappresentazione della Bibbia da quella della Chiesa che invece tende a reinterpretare in chiave dottrinale ciò che appare astruso o comunque non in linea con il messaggio dogmatico veicolato da due millenni. Rispettando Rashi de Troyes traduciamo il testo nel significato letterale sapendo che gli autori biblici dovevano fare uso delle espressioni del linguaggio appartenente a quel periodo e a quel particolare contesto culturale; avevano la necessità di raccontare a persone non certo dotate di una ampia cultura eventi che erano di ordine diverso rispetto alla normalità, fenomeni che sembravano superare le conoscenze e le capacità di comprensione di un popolo nomade o seminomade. Tutto ciò che era inerente al volo veniva quindi definito
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con la terminologia propria del mondo degli “uccelli”; tutto ciò che attraversava velocemente l’aria non poteva che essere descritto come una forma di “vento” (ruàch: termine il cui significato si è evoluto fino ad acquisire poi il valore astratto di “spirito”); tutto ciò che emetteva una qualche forma di energia visibile era definito “ardente o infuocato”; gli improvvisi getti o riflessi di luce erano necessariamente “lampi”; ogni rombo, frastuono o rumore prodotto da un qualunque mezzo veniva identificato con il “tuono” o con il suono prodotto da grandi masse di acqua; ogni strumento di osservazione, magari di forma tondeggiante, era evidentemente un “occhio”, e così via... La traduzione letterale della Bibbia nella forma più antica definita dai masoreti (i custodi della tradizione) porta, sulla base di quanto appena detto, a fare delle scoperte di non poco conto. Lo strabiliante (ciò che desta meraviglia) appare ai nostri occhi e ci rivela anche l’inatteso che trova conferme dirette e indirette. La traduzione letterale condotta sulla Bibbia Stuttgartensia consente di riscontrare ciò che non è stato mai raccontato con sufficiente chiarezza o che addirittura è stato raccontano con deliberata volontà di nascondimento; anni di traduzioni hanno fatto maturare nel traduttore delle convinzioni
Mauro Biglino Realizzatore di numerosi prodotti multimediali di carattere storico, culturale e didattico per importanti case editrici italiane, collaboratore di riviste, studioso di storia delle religioni, è traduttore di ebraico antico per conto delle Edizioni San Paolo: dalla Bibbia stuttgartensia (Codice di Leningrado) ha tradotto 23 libri dell’Antico Testamento di cui 17 già pubblicati. Da circa 30 anni si occupa dei cosiddetti testi sacri nella convinzione che solo la conoscenza e l’analisi diretta di ciò che hanno scritto gli antichi redattori possa aiutare a comprendere veramente il pensiero religioso formulato dall’umanità nella sua storia. Tra i
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precise. Va detto che il sottoscritto traduttore - autore del libro e del presente articolo - non è un ufologo tanto meno un contattista, non ha mai visto un UFO in vita sua - anche se da sempre vive sotto il monte ufologico per eccellenza (il Musiné) - non se ne è mai occupato e quindi pensa che sia utile introdurre qui le parole di un teologo, Mons. Corrado Balducci – portavoce del Vaticano per il tema degli extraterrestri – il quale ha sostenuto che gli Alieni esistono e che la Bibbia li conosceva senza alcun dubbio! Conosciamo i molti testi che affrontano la possibilità di contatti con civiltà extraterrestri e che tali contatti siano all’origine della nostra nascita e della nostra evoluzione: questa produzione libraria talvolta cita e analizza passi dell’Antico Testamento sulla base delle versioni della Bibbia che tutti possediamo. Ma la traduzione letterale dell’antico testo ebraico ci ha rivelato che abbiamo la possibilità di saperne di più, di avere riscontri ancora più significativi, di trovare conferme concrete alle parole di Mons. Balducci, ma anche di andare ben oltre ciò che egli stesso affermava e a cui forse non pensava, perché era sempre e comunque un sacerdote legato alle dottrine della sua Chiesa madre.
suoi libri ricordiamo: Resurrezione reincarnazione. Favole consolatorie o realtà? Una ricerca per liberi pensatori (Infinito Records, 2009), Chiesa romana cattolica e massoneria. Realmente così diverse? Una ricerca per liberi pensatori (Infinito Records, 2009) e...
Il libro che cambierà per sempre le nostre idee sulla Bibbia Infinito Records, 2010
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di Vincenzo Di Gregorio g Riflessioni sulla cometa avvistata ai tempi di Ges첫
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i sono storie che ci vengono ...e se tutto quello che ci viene descritto raccontate sin dai primi anni della nella Bibbia fosse il ricordo di un fatto nostra vita. Storie che per il loro realmente accaduto, riconosciuto da subito fascino rimangono fissate nella nostra come un evento eccezionale non naturale memoria per sempre. Una di queste è e che essendo nel Cielo, è stato ovviamente sicuramente la storia/leggenda della “stella attribuito alla sfera del divino? di Betlemme”, la stella cioè che muovendosi Anche se con queste note non si nel cielo e precedendo i “Re Magi” nel loro raggiungeranno certezze, ritengo sia “cosa cammino, li condusse davanti alla grotta di buona e giusta” porsi il problema ed analizzare Betlemme ad adorare Gesù bambino. la questione con razionalità, ma anche con un La dicitura comunemente più diffusa pizzico di umorismo (che non guasta mai). Ma per indicare la stella di Betlemme è la vediamo cosa ci racconta la Bibbia. Chi erano contraddittoria “stella cometa”. La veridicità i “Re Magi”? del racconto è discussa. Storici non-cristiani Non si sa con esattezza, ma secondo e alcuni biblisti cristiani lo vedono come un il Vangelo di Matteo (Mt 2, 1 – 12) furono dettaglio di un racconto Midrashico, altri coloro che seguendo “il suo astro” giunsero biblisti cristiani ne ammettono l’attendibilità da Oriente a Gerusalemme per adorare il storica. bambino Gesù. Si ritiene che fossero degli Molti han provato a dare delle spiegazioni scienziati specializzati nell’astronomia e “razionali” a questa strana stella che “si muove” sacerdoti zoroastriani, gli unici in grado di e che per questo gli è stato attribuito l’epiteto di “cometa”. Altri hanno ipotizzato che non fosse una cometa ma bensì la congiunzione di più pianeti (Giove, Venere, Saturno, avvenuta nel 7 a.C.) che avvicinandosi tra loro avessero dato l’impressione che si fosse formata dal nulla una “nuova stella”. Altri, abbandonando qualsiasi tentativo di una spiegazione razionale, si son limitati ad attribuirle un valore esclusivamente simbolico. In fondo una stella che appare dal nulla non è altro che il simbolo di una luce, che appare nella notte. La luce che illumina le tenebre. Cristo, cioè il Dio che viene sulla Terra incarnandosi nel corpo di un bambino, non è altro che la Luce che viene per illuminare le tenebre del mondo. Ecco quindi che la stessa Stella Cometa non è altro che il simbolo di Gesù stesso. Così i Re Magi che vengono da paesi L’ADORAZIONE DEI MAGI AFFRESCO DI GIOTTO A PADOVA lontani ad ossequiare il bambino-Dio non sarebbero realmente esistiti, ma sarebbero anche loro il simbolo del fatto che riconoscere nell’osservazione del cielo che Gesù sia venuto per tutti, sia per gli ebrei sia improvvisamente era sorta una nuova stella. per i “gentili”, cioè tutti i non ebrei. Ci sono stati tramandati anche dei nomi ...e se non fosse vero? dalla tradizione popolare, raccolti nel Vangelo
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La Stella di Betlemme era un UFO? armeno dell’infanzia, che li chiama Melchiorre, Baldassarre e Gaspare. La stessa tradizione popolare ci indica anche che uno di loro avesse la pelle scura, probabilmente originario dall’Africa. Ma da che paesi provenivano? Anche qui le informazioni sono scarse, in quanto ci viene detto che venivano genericamente “Da Oriente”... e ad oriente vi erano le civiltà maggiormente evolute nelle scienze astronomiche ( assiri/babilonesi )... ma validissimi astronomi vi erano anche in Egitto. Forse da lì che proveniva il “re magio” con la “pelle scura” africana. Ma riepiloghiamo brevemente i fatti tramandataci. Questi scienziati astronomi, ognuno dal proprio paese, vedono che nel cielo è improvvisamente era apparsa una nuova stella... e cosa fanno? Decidono tutti e tre autonomamente di organizzare una spedizione per andare a osservarla meglio, andandoci incontro. Si credeva a quei tempi che l’apparizione di una nuova stella in cielo indicasse la nascita di un nuovo re. I Re Magi quindi, dovendosi recare in un paese straniero per osservare la stella, potevano trovarsi a dover essere
Direzione NORD stella Polare
Vincenzo Di Gregorio ricevuti nella corte del nuovo Re e per un elementare segno di buona creanza, si erano portati dietro ognuno un dono di natura “regale” (oro, incenso e mirra). Ma la stranezza vuole che giunti alle porte del paese (Palestina) pur giungendo da luoghi diversi, si incontrano, si riconoscono e appurato che erano giunti lì tutti e tre per lo stesso scopo, decidono di fare da quel momento in poi lo stesso percorso insieme. La stella da questo momento ci viene descritta come una stella “anomala” e dotata di una proprietà “magica”... si muoveva davanti a loro rispetto al piano delle stelle fisse indicandogli la direzione del Cammino... ma anche indicandogli il luogo dove era il re-bambino (la grotta di Betlem)... da un suo altro strano comportamento... perché una volta giunti alla grotta di Betlemme, la stella si fermò e da quel fatto i re magi capirono che erano arrivati a destinazione. Questo racconto che, ripeto, ci viene narrato con alcune varianti sin da bambini, se analizzato con la logica della mente e non dello spirito o del simbolo, rivela molte strane ma interessanti contraddizioni. Molte cose stonano, non quadrano... sono
Direzione convergente in caso di oggetto posto in orbita geostazionaria
LA STELLA FU UN OGGETTO POSTO IN ORBITA GEOSTAZIONARIA COME DIMOSTRATO DALL’IMMAGINE DI DESTRA. TALE POSIZIONE AVREBBE PERMESSO UNA DIREZIONE CONVERGENTE NEL PERCORSO DEI MAGI. SE L’OGGETTO FOSSE STATA UNA VERA COMETA, E SUL PIANO DELLE STELLE FISSE, I TRE SAPIENTI NON SI SAREBBERO MAI POTUTI INCONTRARE
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tasselli di un mosaico che non possono essere spiegati con le conoscenze astronomiche “tradizionali”... ma tutti i tasselli si incastrano qualora si ipotizza una soluzione “non tradizionale”. Ma partiamo con ordine dalla prima contraddizione. I Re Magi erano dei valenti astronomi e l’astronomia a quei tempi, per calcolare le eclissi luna/sole o le fasi delle stagioni, utilizzavano allineamenti a mezzo di pali o aste posti su blocchi in pietra monolitiche... inamovibili... ci viene in mente il famoso Cromlec di Stonehenge, ma anche molto più recenti gli osservatori astronomici Celtici quali quello in località Castello a Casoli val di Lima. Cosa può avere spinto un astronomo a lasciare il suo osservatorio e recarsi a piedi per... osservare una stella?!!! Riflettiamo. Facciamo finta che volessimo studiare la stella polare... chi è quel “genio” che per farlo lascia tutte le sue attrezzature astronomiche per recarsi a piedi... al polo Nord?... per fare?... per osservarla meglio? Senza attrezzature “tecniche”? No... è questo un comportamento illogico, non degno di una delle menti più eccelse di quei tempi. Ma quello che stupisce è che lo stesso comportamento illogico lo han fatto ben tre menti eccelse e contemporaneamente e all’insaputa l’uno dell’altro.
Il leggendario Sherlock Holmes è passato alla storia anche per la sua celebre affermazione: “quando tutte le spiegazioni possibili sono scartate, ciò che rimane, sebbene impossibile, deve essere la verità”. Per spiegare questa “follia” (perpetrata ben tre volte) abbiamo scartato tutte le spiegazioni “possibili” e ne è rimasta una che sembra “impossibile”... cioè che quella “Stella” potesse non giacere sul piano delle stelle fisse (come tutte le stelle comete)... ma potesse essere un oggetto luminoso (come una stella), ma posto in un’orbita geostazionaria sopra la grotta di Betlemme. L’idea è sufficientemente “assurda”, ma quasi per gioco vediamo dove ci conduce e scopriamo che improvvisamente tutti i tasselli del puzzle come per miracolo vanno al loro posto. Se un astronomo vedesse un oggetto luminoso non sul piano delle stelle fisse ma molto più vicino al suolo... bè, forse in quel caso, acquisterebbe un senso logico quello di abbandonare i propri osservatori astronomici per andare ad osservare quella “stella” portandosi sotto la sua verticale e quindi avvicinandosi di fatto ad essa. Se invece si fosse andati nella direzione di una stella posta sul piano delle stelle fisse non si sarebbe mai potuto avvicinarsi ad essa, né tantomeno si sarebbe potuto “osservarla meglio”.
RAPPRESENTAZIONE DELLA POSIZIONE GEOSTAZIONARIA DELLA COSÌ DETTA “STELLA DI BETLEMME”.
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La Stella di Betlemme era un UFO? Altra “stranezza”: I tre Re Magi pur provenendo da tre paesi diversi si sono incontrati una volta giunti ai confini della Palestina. Quando improvvisamente il cielo si coprì per diversi giorni di nuvole ed impedì ai tre astronomi di proseguire il loro cammino seguendo la stella. Decisero quindi di chiedere informazioni alla “gente del posto” (Mt 2, 1 – 12.16). Si recarono da Erode e dissero “abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo... ”. Da Erode seppero che le profezie indicavano che a Betlemme sarebbe sorto il “capo” del popolo di Israele, il messia. Ringraziato e salutato Erode, mentre si dirigevano nella direzione di Betlem il cielo nuvoloso si aprì “... ed ecco la stella che avevano visto nel suo sorgere giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia...”. Questi i fatti raccontati nel vangelo di Matteo. Analizziamoli nel dettaglio. Che probabilità ci sono che tre persone partendo da tre luoghi differenti posti in tre paesi differenti, seguendo la stessa stella si trovino nello stesso luogo (ai confini della Palestina). Ritorniamo all’esempio di prima della stella polare. Se un abitante di Babilonia si volesse mettere in cammino verso la stella polare andrebbe in direzione Nord. Se un abitante in Egitto volesse seguire la direzione della stella polare andrebbe in direzione Nord. E così per il terzo viandante. Tre Magi che si fossero recati nella direzione di una vera stella avrebbero percorso direzioni tra di loro perfettamente parallele e che non si potranno incontrare MAI in quanto la stella polare si trova su di un piano all’infinito. Vi è solo un caso in cui tre persone possano percorrere delle direzioni tra loro convergenti, quando cioè la sorgente verso cui si recavano fosse posta in un punto finito. Solo in questo caso tre persone partendo da posti diversi si potrebbero incontrare nello stesso posto (nel caso in studio alle porte della Palestina). Vi era quindi un oggetto luminoso posto sulla perpendicolare della grotta di Betlemme.
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Vincenzo Di Gregorio Ma come spiegare la strana caratteristica del “movimento” tanto da fargli attribuire il soprannome di “stella cometa”? Seguendo la chiave di interpretazione di una luce posta ad un altezza “finita” rispetto al piano delle stelle fisse un eventuale viandante che si muovesse verso questa luce la vedrebbe “muoversi” rispetto a quelle poste sul piano delle stelle fisse. Ecco quindi perché pur stando ferma la Stella “cometa” sembra muoversi, solo perché si muovevano verso di essa i Re Magi. Ma ecco un’altra “stranezza” che conferma questa chiave di lettura. “... Ed ecco la stella che avevano visto nel suo sorgere giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino”. Si fermò solo quando giunsero sulla verticale dell’oggetto luminoso e da questo gli Astronomi capirono che erano giunti nel luogo dove l’oggetto si era posto “in attesa della nascita più importante della nostra civiltà”. Questo fatto ci porta ad un altro tipo di considerazioni. Quanto tempo ci sarà voluto per dei “Re Magi” / Astronomi a capire che quell’oggetto luminoso non era una Stella posto sul piano delle stelle fisse? Ma anche organizzare una spedizione che attraversando stati e percorrendo svariate miglia, comportava anche pericoli e quindi un numero sufficientemente numeroso di guardie e di mezzi che ne garantissero l’incolumità? E quante settimane o mesi occorrevano per giungere a piedi da un luogo come la piana del Tigri e l’Eufrate sino a Gerusalemme? Diversi mesi se non anni. Questo fatto ci induce a stabilire che questa strana “stella” era posta sopra la grotta di Betlem da molto tempo prima che Giuseppe e Maria si recassero da quelle parti per il famoso censimento e giunti a Betlemme si compissero i giorni del parto. Quindi la “luce” in orbita sopra Betlemme sapeva che in quel luogo sarebbe accaduta una nascita di un bambino “speciale”, ma non sapevano esattamente quando tanto da farla posizionare in quella verticale mesi o anni prima che il fatidico evento si compisse. Quindi chi sapeva dove non sapeva
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La Stella di Betlemme era un UFO? quando, interessante! Ebbene se noi oggi avessimo i mezzi tecnologici (leggi una macchina del tempo) per recarci su quei posti a fotografare il primo vagito di Gesù Cristo, non sapremmo neanche noi quando, a che data impostare sulla nostra Delorian di “Ritorno al Futuro”. Infatti la data esatta della nascita di Cristo non è nota per via di alcuni errori del calendario giuliano-gregoriano su cui si è basato Dionigi il piccolo nel VI secolo. Dionigi attribuendo la nascita di Gesù al 1° d.C. si discosta di uno o due anni dalla datazione fornita dai Padri della Chiesa tramandata sino al II-III secolo d.C. Uno o due anni... sufficienti per organizzare e compiere una spedizione dall’Oriente sino a Betlemme. La conclusione di tutto ciò induce a ritenere che un UFO (nella sua vera accezione del termine ovvero Oggetto Volante Non Identificato ), fosse in orbita (geostazionaria?) sopra la grotta di Betlemme e che lo stesso fosse guidato da dei viaggiatori del tempo (o di altre dimensioni spazio-temporali grazie al quale si conosceva perfettamente il luogo ma non l’esatto momento della nascita). Questo UFO quindi suggerisce che i suoi piloti siano degli studiosi dei momenti topici della nostra civiltà ma l’argomento ci porterebbe fuori rotta ed allargare il discorso agli avvistamenti Ufo durante la seconda
guerra mondiale o durante i voli di prova delle missioni Mercury... ecc. Ma se, e ribadisco se, i Re Magi son veramente esistiti e si son veramente recati alla grotta di Betlemme seguendo questa luce “anomala” allora è molto probabile che quella luce non fosse solo un simbolo ma una navicella con all’interno altri Re Magi provenienti da nazioni o mondi molto più lontani dei nostri “Melchiorre, Baldassarre e Gaspare”. Dei Re Magi un pelino più “tecnologici” il cui scopo era quello di studiare fatti a loro già noti tramandati da millenni di storia a volte nebulosa, e per il fatto che fossero proprio lì ne confermava la loro intenzione di porgere anche loro un garbato omaggio. Se costoro erano realmente lì in quel particolarissimo momento storico, sicuramente saranno venuti attrezzati con vari strumenti per registrare dati ed immagini. Noi con la nostra tecnologia siamo in grado di effettuare, con i satelliti spia, foto ad alta risoluzione grazie alle quali si possono leggere dallo spazio le lettere di un giornale al suolo. Mi piace pensare quindi, che da qualche parte, nello spazio o nel tempo, esista una foto di una ragazza-madre con in braccio un bambino con uno sguardo molto dolce e pieno di amore per tutti noi.
Vincenzo Di Gregorio
al sito web: www.aereofoto.it. Suoi studi son stati mostrati in diverse riviste di settore, e su reti televisive quali: Voyager (rai2), Mistero (italia1), Mediolanum Chanel (Sky), OdeonTV.
Architetto ed imprenditore, da sempre appassionato di archeologia, noto come scopritore delle cosiddette “piramidi di Montevecchia” i cui studi sono stati pubblicati nel libro dal titolo Il Mistero delle Piramidi Lombarde (Fermento, 2009). Fondatore di Antikitera.net (uno dei più noti siti web di news archeologiche e di misteri) e della rivista Runa Bianca (www.runabianca.it). Per le sue ricerche si avvale di foto aeree sia nel visibile che nell’infrarosso, fondando una società finalizzata alla ricerca chiamata “ludi ricerche” che fa capo
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Il Mistero delle Piramidi Lombarde Fermento, 2009 vai scheda libro >> Luglio 2011 | n.1
di Osvaldo Carigi g e Stefania Tavanti I Catari: i seguaci dell’Anticristo
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Osvaldo Carigi e Stefania Tavanti
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el sito Internet Dizionario del penin quanto si raccontava che i catari adorassesiero cristiano alternativo, alla voce ro il diavolo sotto forma di gatto. In realtà la “catari” (o albigesi) troviamo scritto loro era una dottrina molto simile al cristia“la grande alternativa religiosa alla Chiesa Catnesimo delle origini, strettamente correlata al tolica d’Occidente nel XII e XIII secolo”. bogomilismo bulgaro (non a caso i bogomili Non sorprende, dunque, che il catarismo furono considerati i “Cristiani per eccellenza”!) sia stato duramente condannato dalla Chiesa che, a sua volta, era di chiara derivazione maromana e che i suoi seguaci siano stati feronichea. Molti studiosi si sono chiesti quale sia cemente perseguitati fino alla loro estinziostato il fattore scatenante l’espansione dell’ene. Per attuare tale disegno Papa Innocenzo resia in Europa, che coinvolse l’Occitania, la III creò la temibile Inquisizione ed indisse, nel Champagne, l’Aquitania e l’Italia settentriosud della Francia dove il catarismo era parnale. Secondo Isaac Ben Jacob, autore del liticolarmente diffuso, una crociata con ben bro “The Rise”, l’espansione corrisponderebbe 500mila uomini, la prima “di un popolo cristiaa quella dell’impero germanico. “Sembra che no contro un altro popolo cristiano”, che durò verso il VIII secolo la Bulgaria abbia portato in quasi 40 anni, mietendo circa 800.000 vittime Germania la sua eresia che, con l’allargamento tra uomini, donne e bambini; fu inoltre istituidei confini del paese, si è di conseguenza prota a Tolosa l’università di Teologia, con l’obietpagata (...) Federico Barbarossa (un Hohentivo di cancellare per sempre il ricordo dell’estaufen) e Federico II ripresero le ostilità contro resia catara. Ma perché il catarismo rapprela Chiesa, sostenendo, tra l’altro, proprio l’eresia sentò, agli albori del secondo millennio, un tale pericolo per la potente Chiesa di Roma? I sacerdoti catari, sia uomini che donne, conducevano una vita di ascesi, ben diversa da quella del clero cattolico, che, in casi estremi, poteva addirittura sfociare nel suicidio per inedia (endura), predicavano la carità e la comunione dei beni, condannavano la violenza (erano vegetariani), le passioni, il lusso, l’arroganza e la corruzione, in special modo quella dei sacerdoti e vescovi cattolici, spesso travolti da scandali ed intrighi. Inoltre i credenti potevano liberamente leggere ed interpretare il vangelo: una “libertà” che la Chiesa di Roma vietava e condannava (“Te lo doveva spiegare il prete, il rappresentante della Chiesa”). Per LA NECROPOLI DEI BOGOMILI A STOLAC questi motivi il catarismo contava numerosi adepti e simpatizzanti, non solo tra i ceti più umili ma anche tra i membri della catara-manichea.” L’eresia bulgara citata da nobiltà. “La prima forma di ribellione dei creBen Jacob nacque nel X secolo nel villaggio denti catari fu la disobbedienza civile: non pamacedone di Bogomil, dal nome del quale gavano più le decime alla chiesa. Per la Chiesa vennero chiamati Bogomili gli appartenenti a cattolica i catari erano veri e propri rivoluzionaquesta dottrina dualista troppo simile a quelri da sterminare”. Allo scopo di enfatizzarne la la dei Catari per non ipotizzarne una sorta di natura perversa e “demoniaca” del catarismo, eredità da parte di quest’ultimi. René Relli affu coniata una nuova etimologia del termine fermò che “Ci sono stati, fra bogomili e catari, “cataro”, facendolo derivare dal latino catus i medesimi contatti sul piano della simbologia (gatto) invece che dal greco katharos (puro), iconografica che su quello religioso e filosofico.
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Osvaldo Carigi e Stefania Tavanti
RAFFIGURAZIONE SU AFFRESCO DI INNOCENZO III
Non abbiamo la pretesa di dire che i bogomili abbiano inventato questi temi, ma crediamo che i catari li abbiano mutuati da loro. ” Una delle similitudini che maggiormente colpisce è quella inerente al rifiuto, da parte di entrambe le eresie, di venerare la croce. “Qualunque simbolo legato con la croce cristiana... non appartiene al catarismo ed alla storia dei Catari” - spiega Adriano Petta, medievalista ed autore di romanzi storici, “per i quali, così come per i primi cristiani, Cristo era un angelo del bene, non era stato mai uomo, non era mai stato crocifisso, mai nessuno gli aveva scavato nel costato e mai nessuno aveva raccolto il suo sangue in nessun Santo Graal: tutto questo è leggenda attribuita ai catari da noi gente dei nostri tempi.” Invece, secondo A. Borst bogomili e catari non sono assolutamente la stessa cosa poiché seppure il bogomilismo è “molto prossimo allo straordinario movimento eretico occidentale e gli ha fornito l’insegnamento dualista” l’Occidente “non è in alcuna maniera, neppure nelle eresie che ha perseguitato, una semplice copia dell’Oriente. L’insegnamento, le scritture, i missionari, potevano venire dall’Oriente. Ma l’eresia aveva in Occidente, dall’inizio di questo millennio, le sue proprie leggi e un suo proprio volto”.
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Il catarismo di S. Francesco Incredibilmente a dirsi, l’ordine dei Domenicani e quello dei Francescani che, ricordiamo, furono espressamente delegati all’annientamento dell’eresia, avrebbero in comune con i manichei non solo insegnamenti e comportamenti ma addirittura le origini! “L’accostamento fra catarismo e francescanesimo è, a mio parere”, dice Adriano Petta “più che una ipotesi: erano due movimenti religiosi che in comune avevano una visione pura del cristianesimo, e ce l’avevano come pratica quotidiana... e non solo come idea. Non a caso papa Innocenzo III fu sul punto di mandare al rogo anche Francesco... ma poi dovette desistere, in quanto il frate d’Assisi era ormai troppo conosciuto ed aveva già un grandissimo seguito. I perfetti catari ed i frati francescani, nella pratica quotidiana erano molto simili, per la loro semplicità di costumi, per il loro rispetto della natura e di tutte le creature. E soprattutto per il loro continuo sforzo di mettere in pratica il puro messaggio d’amore cristiano. ” Nel saggio “History of the Christian Church” di Philipp Schaff, leggiamo che San Francesco si ispirò molto probabilmente agli
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I Boni Homines eretici “Umiliati”, di cui avrebbero fatto parte anche catari, e di opinione simile è il domenicano Richard Weber per quanto riguarda il proprio ordine. “Può sembrare un paradosso, ” dice Ben Jacob, “che l’Inquisizione, formata appunto da francescani e dominicani, fosse eretica. Fino a prova contraria essa aveva come obiettivo quello di combattere le “devianze religiose”. O almeno è ciò che si crede. Non dobbiamo dimenticare che i penitenti erano per natura dei sado-masochisti (si flagellavano a vicenda e mortificavano il proprio corpo). L’idea di eretici che torturano altri eretici non è inconcepibile se per questi si trattava di far fare “penitenza”. Quello di creare in seno alla Chiesa una struttura per la repressione dell’eresia è stato un capolavoro di perversione. L’inquisizione permise ai penitenti di fondare, in tutte le circoscrizioni che contavano la presenza di manichei, dei monasteri per la conversione degli eretici... ma non conversione al cristianesimo bensì alla peni-
Osvaldo Carigi e Stefania Tavanti tenza. ” Dopotutto la regola domenicana non prevede proprio la “penitenza”, oltre che allo studio e alla preghiera?
Il mito dei Catari “Tutto iniziò una quarantina d’anni fa, ” spiega Adriano Petta, “quando uno psichiatra inglese (Arthur Guirdham) scrisse un libro e dette inizio ad una dottrina New Age (che cercò di mascherare con una forma di catarismo): ebbe tanto successo che da allora è stato un inarrestabile fiume in piena. ” Studioso di eresia catara e di reincarnazione (suoi sono i libri Catari e Reincarnazione, Noi siamo un altro, The Great Heresy: The History and Beliefs of the Cathars), Arthur Guirdham, convinto di essere stato in una vita precedente Roger de Grisolles, sacerdote cataro, riferisce di casi clinici di alcuni suoi pazienti che avevano reminiscenze di
IL MASSACRO DEGLI ALBIGESI, CRONACHE DI SAINT-DENIS, XVI SECOLO, LONDRA, BRITISH LIBRARY
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tati al conte di Monfort... e l’avevano invitato a seguirli e ad andare a vedere il corpo di Nostro Signore, che era divenuto carne e sangue nelle mani del loro prete”. Monfort, sconcertato da questo invito, rifiutò in quanto ossequioso ai dettami della Santa Chiesa. Se per Petta si tratterebbe di pura invenzione, considerando che la storia del catarismo ci è pervenuta, in gran parte, dai registri della “Santa Inquisizione” e, quindi, soggetta a manipolazioni che oggi definiremmo mediatiche “soprattutto quando si parla dei catari che “rubavano” i bambini etc. etc.” per Ben Jacob “I Catari in questione si riferivano ovviamente ad un tipo di “messa nera che veniva officiata dai loro sacerdoti. Gli storici solitamente non menzionano questi riti, limitandosi invece a parlare del “Consolamentum” (n. b. battesimo cataro) che, tuttavia, non veniva impartito soltanto alla morte dei credenti ma anche in altre occaPurezza e consolamentum sioni importanti come ad esempio per aiutare l’anima del defunto a reincarnarsi, durante la I catari seguivano il nomina dei nuovi sacerdoti e per la purificaziovangelo di Giovanne. In alcuni documenti bizantini abbiamo ni, credevano che trovato la descrizione di un esistessero due particolare Consolamendivinità contrappotum, che coinvolgeva dei ste, una del bene e bambini e prevedeva una del male, in lotta una sorta di comunione tra di loro per il domie sacrificio con la carne nio delle anime e che ed il sangue della vitl’anima fosse impritima, simboleggiante, gionata nella materia, per i Catari, la carne ed credevano nella reinil sangue di Cristo. (...) carnazione, rifiutavaIn Francia, e specificano, come abbiamo tamente nella regione visto, il simbolo della di Rennes-le-Château, croce e la resurrezioesiste un movimento ne della carne poiché era religioso, la “Chiesa loro convinzione che Gesù Gnostica” che prevede Cristo fosse sceso sulla terra l’esecuzione della cericome spirito La loro era, insomma, monia descritta sopra. una religione “pura”. Tuttavia, ne ‘Il Uno dei suoi memSanto Graal’ di Baigent, Leigh e bri, Eugene Vintras, si Lincoln viene riportato un invantava di poter moquietante episodio tratto dal listrare ostie macchiate bro ‘Vita di San Luigi’ di Jean de del sangue di Cristo”. Joinville, in cui è narrato Adriano Petta MONACI MANICHEI INTENTI A COPIARE TESTI che “...molti uomini degli puntualizza che SACRI, CON ISCRIZIONE IN SOGDIANO. MANOAlbigesi si erano presenquesta cerimonia terribili torture e degli orrori dei roghi: questo lo portò ad asserire che erano dei catari reincarnati nei pazienti a procurare tali ricordi. Le drammatiche descrizioni riportate dal medico inglese furono in seguito ritenute autentiche dalla studiosa Lynda Harris, specializzata in catarismo. Secondo Adriano Petta, questo avrebbe dato la svolta moderna allo studio del catarismo esoterico, che da quel momento subì una impennata di popolarità: “Ebbe inizio una leggenda, una moda... che ci ha portato allo stato attuale (...) Inutile dire che tutti coloro che hanno dato vita ad una setta, ad una corrente esoterica ecc., ne hanno ricavato dei guadagni materiali, vendendo il loro prodotto culturale-filosofico-esoterico-religioso, raccogliendo attorno a sé tanta gente in buona fede e stanca della religione tradizionale”.
SCRITTO DA KHOCHO, TARIM BASIN
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I Boni Homines e altre manifestazioni potevano subire delle variazioni locali poichè il catarismo “è stata una religione vissuta e praticata quasi sempre in clandestinità” e, quindi, impossibilitata ad assumere un aspetto organico unitario. Tuttavia, la liturgia classica del Consolamentum la si può riconoscere in un rito officiato sia dai manichei, concernente l’imposizione delle mani nel momento in cui il “credente” diventava un “eletto”, che dai bogomili presso i quali l’”eletto” veniva consacrato tale da un’assemblea di “eletti” e “credenti” dopo un lungo preparatorio periodo iniziatico.
“Bisogna schiacciare i seguaci dell’anticristo” Una linea di pensiero vuole che nella Fortezza di Montségur, rifugio degli ultimi catari ribelli e sede di una biblioteca contenente importanti libri di religione, filosofia e scien-
Osvaldo Carigi e Stefania Tavanti za, venisse praticato, da parte degli eretici, un culto solare, testimoniato anche dal fatto che prima della loro resa, avvenuta a marzo dopo 10 mesi di assedio da parte dei crociati, fu accordata loro una tregua per celebrare - così si ipotizza - l’equinozio. L’architettura dell’imponente castello presenta la particolarità che durante il solstizio d’estate i primi raggi del sole attraversano il loggione: “Ho assistito personalmente ad un’alba del 22 giugno” riferisce Petta “... e posso assicurare che non era un caso: i primi raggi di sole del solstizio d’estate attraversano le strette feritoie della torre principale da parte a parte... e solo in quei pochi momenti dell’anno. Chi la costruì sapeva il fatto suo, era sicuramente un osservatorio astronomico. ” Ritroviamo la stessa descrizione in un libro dedicato all’enigma cataro di Jean Markale, studioso francese recentemente scomparso: “Sul pog di Montségur, al mattino del solstizio d’estate, quelli che si alzano presto e hanno il coraggio e
LE ROVINE DELLA FORTEZZA DI MONTSÉGUR RIFUGIO DEGLI ULTIMI CATARI RIBELLI
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I Boni Homines la passione di salire fino alle rovine del castello sono testimoni di un fatto incontestabile: il primo raggio di luce, sfiorando il Pic de Bugarach, attraversa da parte a parte le feritoie del torrione. Non è un caso”. Indubbiamente concepito e realizzato in modo tale da determinare il fenomeno sopra citato, Montségur non è però, secondo Markale, un tempio dedicato al culto solare, giudicando tale classificazione “il parto di una fantasia delirante”, soprattutto alla luce del fatto che i catari non edificavano templi in quanto sarebbe stato in netto contrasto con la loro dottrina che considerava la materia “una creazione diabolica”. Ma da dove nasce l’ipotesi che Montségur, prima di essere “il centro della resistenza catara contro l’oppressione della Chiesa e della monarchia capetingia”, fosse un santuario? Markale, cita, tra le cause, proprio quelle condizioni di resa riportate in apertura di questo paragrafo: si sarebbe associato il rinvio con il permesso accordato ai catari di celebrare una festa solare
Osvaldo Carigi e Stefania Tavanti semplicemente perché il 15 marzo del 1244 corrispondeva all’equinozio. “Ma che cosa significa?”, si chiede lo studioso, aggiungendo che non esistono inoltre riscontri documentali riguardo “cerimonie solari celebrate dagli albigesi nel XII e XIII secolo”. I catari, seppur eredi dei manichei e dei mazdei, al contrario di questi manifestarono sempre una precisa volontà di non sacrificare mai lo spirito alla materia, quindi, conclude Markale, “la cosiddetta cerimonia del 15 marzo, in concomitanza con l’equinozio di primavera, non è esistita che nell’immaginario dei commentatori del XX secolo”. Montségur non sarebbe stato un tempio solare ma, probabilmente, un luogo di meditazione, di sicuro sacro, “in cui la creatura inglobata nella materia si risveglia e riceve i raggi benefici della Luce originale... e questa ‘stanza del solÈ non può essere che in cielo o su un’isola oppure in cima a una montagna.. .”. Secondo Petta, contrariamente a quanto comunemente si pensa, “I catari nulla hanno
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I Boni Homines a che vedere con quel castello, al di là del fatto che vi trovarono rifugio (1235 circa - 1244 ) prima di essere sterminati. Non si sa esattamente a quale epoca risalga, probabilmente al V o VI secolo, molto tempo prima che si manifestasse l’eresia catara. Venne solamente ristrutturato dal signore locale (Raymonde de Perella), il quale vi stabilì la sua residenza, soprattutto perché si trattava di un luogo fortificato praticamente imprendibile; non a caso capitolò solo per un atto di tradimento. ” Montesegur è tuttavia al centro di una delle storie più affascinanti dell’epopea catara, quella che vede protagonisti 4 “perfetti” catari che, la notte prima della capitolazione, sarebbero riusciti a fuggire, complice il buio, calandosi con delle funi dalla rocca, per mettere in salvo un tesoro. “Sono tutti fatti accertati storicamente, si conoscono anche i nomi di questi catari, sono presenti nelle deposizioni rese all’Inquisizione dai sopravvissuti di Montségur. ” Che cos’era questo tesoro che non doveva
Osvaldo Carigi e Stefania Tavanti assolutamente finire nelle mani dei crociati? “Si fanno varie supposizioni, ” spiega Petta “c’è chi pensa al Santo Graal, chi a monete, gioielli o libri preziosi”. Per Markale “la soluzione meno verosimile” sarebbe proprio quella di un cospicuo tesoro materiale, ragionevolmente impossibile da trasportare lungo “sentieri da capre” costellati di precipizi. Molto probabilmente i quattro perfetti dovevano raggiungere determinate persone alle quali trasmettere indicazioni segrete. “Questa missione venne quasi certamente portata a termine ma gli interessati si guardarono bene dal lasciarne traccia”. Un tesoro, dunque, che non doveva assolutamente cadere nelle mani degli assedianti, forse costituito da preziose reliquie o documenti in grado di scuotere le fondamenta su cui poggia il cattolicesimo e il cui recupero sarebbe stato il vero motivo che spinse Papa Innocenzo III a lanciare la sua terribile crociata. Secondo Petta la ragione dell’eccidio sarebbe da impu-
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I Boni Homines tare, invece, più semplicemente alla ricchezza delle terre di Occitania: “Il popolo occitano era tollerante; amava la poesia, l’arte, la cultura; era dedito a viaggiare, agli scambi commerciali. L’Occitania era una terra in cui vivevano pacificamente le comunità ebraiche, cattoliche, catare, valdesi e in cui cresceva la libertà di pensiero; era una terra ricca, faceva gola a tutti, ai barbari baroni e conti del nord della Francia, al re, a vescovi e papi. L’eresia catara fu un pretesto per poter invadere una terra libera e occuparla, depredarla, sottometterla. La crociata degli Albigesi in parte fu come tutte le guerre, come tutte le crociate. Papa Innocenzo III si alleò al re di Francia Filippo Augusto per conquistare l’Occitania e spartirsela”. E ciò che i 4 fuggitivi misero in salvo la notte prima della resa? “Gli storici sono certi si trattasse di libri: dal formato prezioso, con gioielli incastonati nella rilegatura della copertina, e libri dal contenuto rivoluzionario, di scienza, testi contenenti pagine di astronomia, di matematica, e di un metodo per
Osvaldo Carigi e Stefania Tavanti stampare”: invenzioni e scoperte scientifiche che avrebbero potuto mutare il corso della storia giunte dall’oriente, che Adriano ha denominato “chiavi del sapere”. “Era soprattutto di questo tesoro che volevano impossessarsi i crociati, ma non ci riuscirono. Le “chiavi del sapere” furono portate lontano, e dopo due secoli dettero inizio alla rivoluzione culturale e tecnologica che avrebbe mutato il corso della storia e della diffusione del Sapere in mezzo ai popoli”. La conoscenza sarebbe stata dunque il vero tesoro, in una epoca in cui “... Se possedevi un Vangelo, un libro di Aristotele, qualsiasi libro di fisica, matematica potevi finire bruciato vivo (...) Papi, re, imperatori hanno fatto di tutto, in tutte le epoche storiche, perché la conoscenza filosofica, scientifica, religiosa, restasse nelle loro mani per poterla distribuire goccia a goccia, purgata, perché un popolo colto non li avrebbe seguiti facilmente, sarebbe stato un popolo libero e quindi capace di ribellarsi”. Tuttavia, come si legge nel già citato ‘Il
STELE FUNERARIA AI PIEDI DI MONTSÉGUR IN RICORDO DEI CATARI
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Santo Graal’, sarebbe esistito anche un tesoro più “materiale”, messo in salvo tre mesi prima della caduta di Montségur. Adriano Petta è quasi certo che si trattasse di oro, che doveva servire per l’ultimo tentativo di liberare il castello di Montségur dall’assedio dei crociati, oro con cui si dovevano pagare dei coraggiosi mercenari comandati da Corbario, che però fallirono l’impresa.
Il predecessore di Leonardo Da Vinci Mentre studio sono libero: mentre la mia mente indaga ed apprende, ho vinto la schiavitù (Eresia Pura) Montségur, 16 marzo 1244. Duecentocinque catari vengono arsi vivi. Tra questi un geniale personaggio la cui vera identità è riemersa dalle nebbie del passato grazie al lavoro di Adriano Petta. Adriano Petta è anche studioso della scienza, la stessa che in passato terrorizzò “i potenti ...” in quanto strumento di emancipazione e di libertà. “Non a caso al concilio di Cartagine nell’anno 383 d.C. i vescovi proibirono la lettura di ogni testo, religioso, filosofico o scientifico, a tutti... compresi loro stessi... tanta LA FORTEZZA DI QUÉRIBUS L’ULTIMA ROCCAFORTE OCCITANA A CAera la paura del sapere che potevaDERE. UNDICI ANNI DOPO QUEL TERRIBILE 1244 no contenere quei libri!”. Ed è proprio su trattati di scienza e matequella di Giordano di Sassonia, il primo capo matica che Adriano ha incontrato uno dell’Inquisizione. sconosciuto genio del medioevo, Giordano “Non era possibile che Nemorario, innamoNemorario: matematico, filosofo, scopritore rato della matematica, se ne andasse con una delle equazioni di secondo grado, autore di torcia in mano ad appiccare il fuoco ai roghi opere di matematica, astronomia, meccanica, degli eretici. In quegli anni vennero bruciati vivi egli può essere considerato il predecessore nel centro di Parigi dieci allievi dello scienziato del grande Leonardo da Vinci. Secondo Petta Amaury de Bene, perché studiavano i libri di fila vera identità di Nemorario fu volutamente sica di Aristotele. Giordano Nemorario non ponascosta - perché “Uno scienziato era mille volteva essere Giordano di Sassonia, ne ero quasi te più pericoloso di un eretico” - e confusa con
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I Boni Homines certo! E mi misi a scavare. ” Anni di ricerche e di viaggi in tutta Europa, sino alla Turchia e all’Armenia, tra biblioteche ed abbazie, hanno finalmente gettato nuova luce su questo incredibile personaggio, del quale Petta ha scritto la biografia romanzata. Originario del lago di Nemi, vicino Roma, Nemorario viene a conoscenza delle «chiavi del sapere», contenute in antichi codici. Braccato dall’Inquisizione fugge in Linguadoca, a Béziers, città tristemente nota per la strage dell’intera popolazione, sia cattolica che catara, dove il suo destino si lega a quello del popolo occitano e degli eretici, che come lui perseguono la verità e la conoscenza, poi in Inghilterra e a Parigi con la nuova identità di Giovanni de Sacrobosco, ed infine nuovamente in Occitania. La sua vita si conclude drammaticamente ai piedi del castello di Montsegur, ma non prima di aver messo in salvo le preziose chiavi del sapere. “Nonostante la Chiesa abbia cercato di cancellare tutto e di riscrivere la storia, qualche indizio è rimasto. È molto probabile che il cammino di Giordano Nemorario sia stato quello che ho raccontato io: le cose devono essere andate proprio così, le poche tracce rimaste lo confermano. ”. Un cammino segnato da morte, odio e violenza, intrapreso da uno scienziato che non ha voluto arrendersi all’oscurantismo, per proteggere quel sapere in grado di rendere l’uomo libero e di farlo progredire in un “mondo in cui sia possibile studiare senza vincoli di nessuna natura, in cui sia possibile professare liberamente il proprio credo o non credo, un mondo senza catene teso verso la conoscenza, alla scoperta dei segreti racchiusi nella vita e nell’universo”. L’intervista completa ad Adriano Petta è stata pubblicata sulla rivista FENIX di Novem-
Osvaldo Carigi Nato a Roma nel 1953, collabora con Adriano Forgione da Maggio 2007. Pubblica regolarmente su FENIX e saltuariamente su NEXUS e la spagnola MAS ALLA’. Da Maggio 2009 lavora in coppia con Stefania Tavanti.
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“Un falcone saldamente aggrappato a un pugno di roccia” Montsègur non fu, comunque, l’ultima roccaforte occitana a cadere. Undici anni dopo quel terribile 1244, la fortezza di Quéribus, ai confini dell’Occitania e della Catalogna, fu conquistata e restituita ufficialmente al Re di Francia senza ‘colpo ferirÈ. Eretto in posizione strategica sulla sommità di una delle cime calcaree nella parte meridionale del massiccio montuoso delle Corbières, , questo castello, al pari di Montségur, presenta impressionanti difese naturali: circondato dal vuoto e protetto efficacemente “dal lato meno ripido della cresta da un massiccio torrione” poteva tenere a bada a lungo anche un’armata numerosa, la stessa che, al comando di Pierre d’Auteuil, nel maggio del 1255, iniziò un assedio che venne tolto nel settembre successivo. Quéribus cadde senza gloria ma anche senza i massacri che caratterizzarono la presa di Montségur. L’ipotesi accreditata da Markale è quella secondo cui il responsabile di Quéribus, certo Chabert de Barbaira (ingegnere militare, convinto seguace del catarismo e protettore di coloro che erano sfuggiti ai massacri della crociata contro gli albigesi) sarebbe caduto in una trappola e, fatto prigioniero, avrebbe consegnato la fortezza in cambio della propria vita e della libertà nonché di “mille marchi d’argento dietro garanzia di Philippe de Montfort e di Pierre Voisins”. Non vi sono documenti attestanti la sorte dei catari rifugiatisi a Quéribus, ma probabilmente, afferma Markale, ebbero, proprio in mancanza di un’azione militare, il tempo di disperdersi, forse migrando nell’Italia del Nord.
Stefania Tavanti Nata nel 1966 a Firenze, lavora nel campo dell’editoria dal 1995. Appassionata da sempre di archeologia, pubblica in collaborazione con Osvaldo Carigi sulle riviste FENIX, MAS ALLA’ e NEXUS.
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a luna piena si rifletteva sulle piatte che andava aumentando col passare del temacque del Po, che scorrevano lente e po. Da alcuni anni, Sergio è passato a miglior silenziose nel loro lungo andare. Il suo vita. chiarore creava giochi di luci ed ombre tra la Ma questo avvenimento non era destinato vegetazione fluviale, appena scossa da una a rimanere un caso isolato. Verso la metà degli leggera brezza. Sergio aspettava paziente che anni ottanta, dal Veneto e dall’Emilia, cominqualche pesce abboccasse all’amo. Era divenciavano ad assumere consistenza le segnalatata un’abitudine per lui passare alcune ore zioni di avvistamenti di un essere dalle stesse della notte in quel posto, in compagnia dei caratteristiche. I racconti degli sventurati testisuoi pensieri e del fumo di qualche sigaretta, moni passavano di bocca in bocca riempienlontano dal traffico e dalla monotonia del sodo le piazze e i bar dei paesi e la causa degli lito bar. Sembrava una notte tranquilla, una stravaganti racconti veniva generalmente atnotte come tante altre, ma qualche cosa di lì tribuita all’ormai classico e logoro bicchiere di a poco avrebbe sconvolto per sempre la sua vita. Ad un tratto, proprio davanti a lui, qualche “cosa” emerse dall’acqua, infrangendo l’immagine riflessa della luna, per stagliarsi minacciosa verso l’alto. Una figura lugubre, un essere raccapricciante che fece sobbalzare l’incredulo Sergio dallo sgabello sul quale era seduto. Scosso dall’insolita presenza e dai due grandi occhi giallorossi che lo stavano fissando, rimase fermo, immobile, pietrificato. Per una ventina di interminabili secondi, rimasero fermi uno di fronte all’altro, poi, la strana creatura girò le spalle, avanzò di qualche passo verso il largo e si inabissò. Sergio rimase immobile per qualche minuto ancora, il tempo di riordinare le idee, di convincersi che non si trattava di IMPRONTE DELL’HOMO SAURUS un’ allucinazione e poi, di corsa, si diresse verso casa, a cercare rifugio tra le mura domestiche, dimenticando troppo. Certo che quel vino avrebbe dovuto sul posto: canna da pesca, sgabello e tutta avere caratteristiche organolettiche davvero l’attrezzatura. Nei giorni a seguire trovò il costraordinarie per indurre tutti i consumatori raggio di confidare l’accaduto ai famigliari e a ad avere la medesima sconcertante visione. qualche fidato amico, ma nessuno di loro lo Quello proprio sì che doveva essere un propresero seriamente. L’altezza dell’essere potedotto che andava analizzato! va raggiungere tranquillamente i due metri e le mani erano palmate. Questa sua breve ma L’Homo Saurus e le sue sconvolgente descrizione è quanto gli aveva caratteristiche permesso di vedere il chiarore della luna. Ser gio non tornò mai più a pescare sulle rive del A parte gli scherzi, i loro resoconti testimoPo, non parlò mai più con nessuno della sua niali venivano regolarmente ignorati e l’insoesperienza e si chiuse in un ostinato silenzio lita presenza attribuita a strascichi di antiche
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leggende, alla sparata di qualche buontempone o, nella migliore delle ipotesi, a qualche specie di rettiloide che non ha voluto seguire i suoi simili nella remota fase di estinzione. Il clamore suscitato dagli articoli apparsi sui giornali, di quell’essere che girovagava terrorizzando le persone, non era altro che una frizzante alternativa alle notizie di tutti i giorni. Gli unici a pagare a caro prezzo tale presenza, inutile dirlo, erano e rimanevano solo gli sventurati testimoni. Le segnalazioni comunque stavano aumentando come pure le persone che timidamente si facevano avanti, confessando di avere visto quell’essere, in luoghi diversi e anche distanti fra loro, ma sempre nelle vicinanze di fiumi o canali. Il caso era decisamente interessante ma estremamente vago e confuso. Bisognava approfondire la ricerca e fare luce sul fenomeno, portarlo su un piano più razionale e restituire credibilità alle persone che in buona fede vivevano le loro esperienze, ma che venivano regolarmente derise, additate come visionarie o allucinate. A questo ci pensò il professore Sebastiano Di Gennaro che, sceso in campo con una equipe tecnicoscientifica dell’USAC, si mise sulle tracce di quello che poi lui stesso avrebbe battezzato HOMO SAURUS. Il professore Sebastiano Di Gennaro è direttore dell’USAC, (Centro Accademico Studi Ufologici) da lui creato nel 1978 a Santa Maria Maddalena, Rovigo, dove tutt’ora ha la sua sede. Nel 1986 ha iniziato la sua ricerca che è durata quasi un ventennio durante il quale ha raccolto numerose testimonianze, reperti, calchi in gesso delle orme, eseguito analisi scientifiche e ambientali e indagini a tutto campo. Le testimonianze raccolte, la morfologia delle
impronte e i dati incrociati dei vari casi, hanno prodotto una stima piuttosto precisa sui dati fisici e sulle caratteristiche dell’HOMO SAURUS. I risultati ottenuti parlano di altezza che supera i due metri, per arrivare a toccare i due metri e mezzo. Le mani, contenenti quattro dita sono palmate e quindi adatte al nuoto. I piedi sono dotati di tre dita ampiamente ungulati ed in alcuni casi palmati. Le orme prodotte evidenziano che le dita ungulate dei piedi, il più delle volte trafiggono il terreno su cui poggiano. La sua andatura è leggermente barcollante e i suoi passi, largamente distanti fra loro, confermano le sue notevoli dimensioni. La struttura cranica è molto sviluppata e denota un volume cerebrale superiore a quello umano e a quello di molti mammiferi. Le cavità orbitali sono molto grandi e la pupilla, verticale, si staglia su una cornea giallastra o giallo-rossastra. Il muso è allungato e le narici sono costituite da due piccoli fori. La bocca è sporgente e munita di fila di denti piccoli ed aguzzi, adatti al carattere sia carnivoro che erbivoro. Non si notano orecchie cartilaginose all’esterno e il collo è sottile e sporgente. Nessun pelo sul capo o sul resto del corpo. L’intero corpo è coperto da scaglie verdastre come le lucertole e alcuni serpenti (Figura 1). A questo punto è piuttosto comprensibile lo stato d’animo che si ritrovano le persone che hanno avuto la sfortuna di trovarsi davanti un essere così formato.
IDENTIKIT HOMO SAURUS
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Vestigia aliena?
Alla fine dell’inverno del 1988, un collabora-
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Homo Saurus tore dell’USAC, mentre passeggiava su un tratto sabbioso dell’argine del Po, nel ferrarese, si imbatté in una sostanza carnosa che giaceva al suolo sparsa per un centinaio di metri. L’aspetto dava l’idea di residui di un grosso rettile. Le squame, alcune di queste molto grandi, rivestivano la massa carnosa, all’apparenza gelatinosa. La sostanza presentava caratteristiche piuttosto curiose e oltretutto, non mostrava alcun segno di decomposizione in atto. Alcuni campioni della sostanza furono quindi consegnati dal professore Di Gennaro, all’Istituto di Zoologia all’Università di Ferrara per essere analizzati. La risposta dei tecnici dell’Istituto, per niente convincente, diceva che il reperto non poteva essere tagliato col microtomo, (strumento che permette di tagliare a fettine sottilissime un prodotto organico) e che quindi non poteva essere sottoposto ad un’analisi microscopica. La causa era da attribuire all’origine sintetica del materiale. Non voglio percorrere nei particolari tutto l’iter che la sostanza ha subito, ma voglio aggiungere che durante il percorso, sono emersi particolari a dire poco eclatanti. Furono contattati altri laboratori per fare analizzare il prodotto, ma per procedere chiedevano cifre insostenibili per le possibilità del momento. Nel frattempo, il professore Sebastiano Di Gennaro, laureato in chimica organica e docente in materie scientifiche, ha pensato bene di procedere personalmente con alcuni esperimenti, confidando nella sua conoscenza di uomo di scienze e con l’aiuto dell’amico Angelo Fiacchi, inventore, naturalista ed esperto in varie materie, ha iniziato con analisi varie ed esperimenti sulla strana sostanza. Un risultato in particolare colpisce. Sottoponendo alcuni campioni della sostanza squamosa, ad alte temperature, si disidratava assumendo una colorazione verdastra. Sottoposta poi alla fiamma azzurra, esalava un forte odore di cheratina bruciata. Ora sorgeva un problema: come poteva una sostanza come la cheratina, che poi è una proteina che costituisce i capelli, i peli, le unghie e le piume dei pennuti, comporre una sostanza sintetica come sostenevano i tecnici dell’Istituto di Zoologia dell’Università di Ferrara? Evidentemente qualche cosa non quadrava.
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Unconventional Research Group Molto tempo dopo, un conoscente del Di Gennaro, gli confidò che alcuni campioni del prodotto, erano stati trattenuti dall’Istituto di Ferrara e sui quali erano in corso approfondite analisi all’insaputa di tutti, persino dello stesso professore. I risultati non vennero mai divulgati. Solo una parte, seppur parziale, arrivò nelle mani del Direttore che, in cambio dovette promettere di non rivelare il nome del latore e con l’assicurazione che comunque in seguito avrebbe avuto i risultati completi. Ma delle prove altamente strumentali alle quali fu sottoposta la sostanza, nessuna risposta. Comunque, tra le righe del documento, ci sono dei punti estremamente interessanti e che inducono ad una ragionevole riflessione. Uno dice: Vi sono figurazioni che a prima vista sembrano essere scaglie a disposizione embricata, di forma Rettiliana. Ad un’analisi più accurata non esistono scaglie ma estroflessioni che ne simulano la forma. In un altro punto si legge: Il materiale sottoposto all’azione di un Bunsen, carbonizza mandando un odore di cheratina bruciata. In stufa a
SOSTANZA CARNOSA
50° si disidrata diventando consistente ed assume una colorazione brunastra. Il materiale rimesso in acqua, diventa elastico, mantenendo la colorazione acqui-
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Homo Saurus sita. In seguito a queste vicende, sembrava arrivato il momento tanto atteso. Si era presentata la persona giusta che conosceva le giuste persone. Finalmente avrebbe avuto le risposte che tanto voleva e svelato il mistero di un prodotto tanto speciale quanto impossibile. E invece, come succede nelle storie più classiche, gli ultimi campioni di un prodotto tanto speciale quanto impossibile, andavano perduti per sempre. Concludo questo argomento dicendo che in fondo, quella misteriosa sostanza è stata sottratta con l’inganno sommato ad una buona dose di ingenuità da parte dell’USAC, ignara probabilmente dell’enorme valore
Unconventional Research Group milanesi i quali la usavano principalmente per trascorrervi le ferie estive. Il fatto che avessero le chiavi di casa, insospettì non poco la signora, perché, per quanto ne sapeva, solo lei poteva avere una copia delle chiavi della villetta, incaricata dagli stessi proprietari di controllare di tanto in tanto all’interno che tutto fosse a posto. Incuriosita anche dal comportamento furtivo dei tre, attraversò il giardino e sbirciò dalle gelosie della finestra che erano appena state socchiuse. Il sangue gli si raggelò nelle vene quando assistette alla scena che si stava svolgendo. I tre personaggi erano completamente nudi, con le sembianze perfettamente identiche agli umani, ma la cosa
TRACCE DI FORMA ROTONDA E DISEGNO RICOSTRUZIONE RILEVAMENTI
scientifico che tale sostanza avrebbe potuto avere. Se la sostanza avesse effettivamente avuto le caratteristiche riscontrate durante gli esperimenti, ossia, una composizione mista di materiale sintetico e una proteina come la cheratina, ecco allora che l’esperienza vissuta da un’anziana signora, nella primavera del 1985 a Varazze (SV), oltre ad assumere un aspetto davvero sconvolgente, apre un nuovo scenario sulla realtà aliena. In un pomeriggio di quella primavera, raccontò la signora, tre persone, due uomini e una donna, si prestavano ad entrare in una villetta situata nelle vicinanze della sua abitazione e di proprietà di una copia di coniugi
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terribile fu quando cominciarono a strapparsi la pelle di dosso, fino ad assumere l’aspetto di grosse lucertole squamose. Il viso era oblungo, gli occhi molto lunghi, il naso sembrava una protuberanza con due piccoli fori al centro. Non avevano lobi alle orecchie e nessun pelo o capelli. La femmina, girata di spalle, era senza natiche, al loro posto c’era una coda legata alla vita da formare qualche cosa di vagamente simile alle natiche. Dopo avere assistito alla scena, la signora si allontanò terrorizzata di essere vista. Non ne parlò con nessuno, per la paura di essere scoperta e per un’eventuale reazione di quegli esseri. Qualche giorno dopo però, dovette cedere alle insistenti domande del marito, preoccu-
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Homo Saurus pato del suo comportamento non più consueto e al parroco, al quale confidò quanto aveva visto. Il primo non le credette, contribuendo, così facendo, ad aumentare la depressione nella quale la signora era già caduta, il secondo la rimproverò, consigliandole di frequentare più spesso la parrocchia e le funzioni religiose.
Consistenza fin dall’inizio L’ipotesi extraterrestre dell’HOMO SAURUS, avrebbe trovato conferma nelle testi-
Unconventional Research Group strettamente reale. Frutto di un’incessante attività di ricerca durata quasi un ventennio, vengono in esso riportate passo dopo passo, tutte le fasi dell’appassionante avventura iniziata nel 1986, con tutti i risultati ottenuti ed esposte con estremo rigore scientifico. Le approfondite e scrupolose indagini supportate da testimonianze e analisi ambientali, le comparazioni incrociate le numerose foto e le raffigurazioni in esso contenute, fanno di questo volume un saggio ineguagliabile in campo ufologico e non. Negli ultimi tempi, gli avvistamenti dell’HOMO SAURUS, si sono drasticamente interrotti tranne alcune dubbie segnalazioni
TRACCE DI FORMA QUADRANGOLARE E DISEGNO RICOSTRUZIONE RILEVAMENTI
monianze di persone le quali affermavano di avere visto oggetti volanti non identificati là dove poi avrebbe fatto la sua comparsa l’alieno, di bagliori notturni che per diverso tempo illuminavano parte delle zone boschive e nelle quali successivamente venivano rilevate tracce di forma rotonda e, in altri casi, quadrangolare prove concrete che in quel punto qualche cosa di non identificato era atterrato. Con il libro “HOMO SAURUS, una creatura aliena sta popolando il nostro mondo”, il professore Sebastiano Di Gennaro, ha sapientemente tolto al mondo fantastico, nel quale era stata inizialmente collocata la figura inquietante e mitologica del rettiloide, per portarlo con determinazione su un piano
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che devono essere ancora indagate dalla sezione tecnico-scientifica dell’USAC. Io penso che questo essere, indubbiamente dotato di un’ottima intelligenza, abbia tenuto conto già da qualche tempo che, l’incessante attività di inquinamento, il degrado a cui viene sottoposto l’ambiente e la sempre più scarsa quantità d’acqua che scorre nei nostri fiumi e oltretutto alla prospettiva di una situazione che non andrà certo migliorando, abbia coscientemente deciso di cambiare aria e prendere altre strade, o meglio dire, altri corsi. A questo punto dovremmo stare più tranquilli, visto che l’alieno non dà più notizie da diverso tempo, però...
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Inquietante prospettiva
La pericolosità dell’HOMO SAURUS, intesa come forma di violenza nei confronti dell’uomo, non è mai stata dimostrata o testimoniata, almeno nell’ambiente in cui si muove e vive. Ma se teniamo conto delle recenti rivelazioni espresse da alcuni ricercatori che si basano sull’ipnosi come sistema, per estrapolare agli addotti tutti i particolari di una presunta abduction, allora il discorso cambia. Testimonianze emerse grazie a questo metodo infatti, confermerebbero la presenza di un essere dalle stesse caratteristiche, operare insieme ai classici alieni grigi o Ebe, (Entità Biologiche Extraterrestri), e con individui in uniforme rigorosamente militare. Il fatto preoccupante è che nel gruppo, questi rettiloidi manifestano chiare attitudini al comando. Ora resta da capire se si tratta della stessa specie. Se questo dovesse essere confermato, allora la questione assumerebbe risvolti davvero preoccupanti. Già si sa, che i rapiti ad opera degli alieni, vengono sottoposti ad ogni sorta di esperimento e di analisi e che una volta caduti nelle loro mani è ben difficile poterne uscire. L’HOMO SAURUS, non ha mai infierito sulle sfortunate persone che lo hanno incontrato lungo gli argini dei canali, nessuno di loro ha mai denunciato questo, ma se lo troviamo in un “laboratorio di analisi” di chiara matrice aliena, in compagnia di Ebe e di personale militare, beh, il problema c’è. Come se non ce
Unconventional Research Group L’Associazione nasce dallo spirito di coloro che nonostante il trascorrere del tempo e delle mille vicissitudini personali , hanno mantenuto nel profondo spirito umano, l’inesauribile desiderio di conoscenza e gioia di vivere e condividere! Essendo una libera Associazione, non esiste alcuna presunzione di verita’ assoluta, nelle teorie e/o supposizioni rela-
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ne fossero già abbastanza. A dirigere il gioco, il cervello del gruppo dunque, è proprio lui, tutto il resto è solo personale addetto ai lavori, manovalanza. Se da una parte si diverte a fare gli scherzetti agli ignari pescatori, approfittando della sua non celestiale apparenza fisica, allo solo scopo di terrorizzarli e a tenerli lontano dal suo habitat, dall’altra, in separata sede, è il più interessato alle operazioni in corso, usando materiale umano come cavia, esattamente lo stesso trattamento che noi riserviamo agli animali da laboratorio. Il fatto è che le parti sono semplicemente invertite e in questo contesto gli animali da laboratorio sono proprio gli esseri umani. Evidentemente, in nome della scienza, tutto è permesso, a noi per la nostra e a lui per la loro e in fondo poco importa da che parte ci si trova, il concetto non cambia, sempre di cavie si parla. Chi ha incontrato l’HOMO SAURUS, non può sicuramente considerarsi un uomo fortunato, per tutte le conseguenze psicologiche subite dopo i fatti, e neppure un privilegiato per avere visto quello che la maggior parte delle persone non ha mai visto e non vedrà mai, ma sono gli unici a poter testimoniare l’esistenza di una realtà che esula completamente dalla nostra conoscenza. Il libro “HOMO SAURUS, una creatura aliena sta popolando il nostro mondo”, non è distribuito nelle librerie, può essere richiesto alla Cartografica Edizioni di Ferrara o allo stesso autore.
tive alle scoperte di antichi insediamenti ed ai loro periodi storici; nelle dichiarazioni relative all’utilizzo di apparati specifici ed ai dati rilevati con essi; alle osservazioni di tecnici o metal detectoristi relative all’utilizzo consigliato dei metal detector di una o altra marca e modello;allo studio fotografico di possibili anomalie riscontrate in loco e dai relativi esami mediante sofware specifici;all’accuratezza dei dati audio/video rilevati mediante prototipi hardware/sotware realizzati dall’Associazione “Unconventional Research Group” (www.uresearchgroup.org).
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L’uomo che superò i confini del mondo Ruggero Marino
DISPONIBILE IN LIBRERIA
Colombo scoprì l’America il 12 ottobre 1492
Tutti conoscono la storia della scoperta e di Colombo che ci hanno insegnato a scuola. Ma i fatti non andarono realmente così, la storia fu cambiata ed è giunto il momento di riscrivere le vicende della «scoperta dell’America» e del genio di Cristoforo Colombo.
di Ruggero Marino gg Vita e viaggi di Cristoforo Colombo
L’uomo che superò i confini del mondo tempo di lettura 11 minuti
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L’uomo che superò i confini del mondo
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a 500 anni non fanno, non facciamo che raccontarci in fotocopia la solita “soap opera” dannata e d’annata. È il caso ormai di definirla una “barzelletta d’antiquariato”. Tanto per farci capire meglio facciamo un esempio, aggiornato all’epoca moderna e in tempi di sbandierata eguaglianza sociale, un esempio ambientato nel più democratico dei paesi del duemila, nella terra del sogno americano e dei self-mademan. Mettiamo che uno “chicano” messicano, una sorta di “vu cumprà”, varchi la frontiera con gli Stati Uniti e si presenti nel nuovo paese pretendendo di andare da Obama. E che in breve ci riesca. Per presentarsi al suo cospetto e fargli più o meno questa proposta, anzi imponendogli un vero e proprio diktat (!): conosco altre vite e altri mondi ricchissimi, mi dia tre astronavi. Quando sarò rientrato dalla scoperta sarà quasi praticamente tutto mio e solo io avrò il diritto di governare quelle nuove terre, dove sarò libero di amministrare la giustizia, mentre ne ricaverò oltre il 50 per cento di tutto quello che vi si troverà. Al che Obama gli dà la mano e acconsente. È credibi-
Ruggero Marino le oggi questa favoletta? È quello che sarebbe accaduto ad una marinaretto di umili origini, avido e ignorante, in epoche in cui i re erano re e i plebei, se avessero osato anche molto meno, sarebbero finiti in una lurida galera e poi sul rogo. Stiamo parlando di Cristoforo Colombo, di Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona, le corone che sottomisero i grandi di Spagna, che cacciarono gli ebrei e sconfissero i musulmani, che fecero terra bruciata degli avversari, pur di unire le lande iberiche. Stiamo parlando, in definitiva, della storia della “scoperta” dell’America. Una storia dalla quale è sparito il personaggio più importante della fine del Quattrocento: il papa. Chi era il pontefice a quell’epoca? Giovanni Battista Cybo, cittadino genovese, salito sul soglio di Pietro col nome di Innocenzo VIII. D’altronde come avrebbe fatto il figlio di una un lanaiolo genovese a recarsi dai re di Portogallo e di Spagna, come avrebbe fatto a sposare, sempre in Portogallo, la figlia di un nobile cavaliere, imparentata con le corte di quel paese, come avrebbe fatto Colombo a pretendere dalle teste coronate tutto ciò che
FERDINANDO IL CATTOLICO E ISABELLA DI CASTIGLIA SPONSORIZZANO CRISTOFORO COLOMBO
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L’uomo che superò i confini del mondo vuole fino all’ultimo, come avrebbe potuto recarsi, qualora avessero continuato in Spagna a dirgli di no, alla corte del re di Francia? Come avrebbe fatto suo fratello Bartolomeo a soggiornare alla corte del re di Inghilterra per poi recarsi, a sua volta, dal re di Francia? Come avrebbe fatto un ignoto capitano del mare a scriversi con una delle più grandi menti scientifiche del tempo, quel Paolo del pozzo Toscanelli, che risiedeva nella Firenze dei Medici? Come avrebbe ancora fatto a dare a papa Alessandro VI Borgia, il pontefice spagnolo che succederà a Innocenzo VIII, dando tutto agli spagnoli, le indicazioni per come dividere il mondo in due per stabilire i possedimenti di Spagna e Portogallo? E via di questo passo. Ma andiamo per ordine.
L’uomo Da 5 secoli la tradizione ha ingessato e mummificato Cristoforo Colombo in un copia-incolla perpetratosi premeditatamente prima, colposamente dopo. Accecato dall’o-
Ruggero Marino ro, avido e supponente, bugiardo e schiavizzatore, alla ricerca spasmodica di titoli e di ricchezze, ignorante quanto basta per avere sempre creduto di essere approdato in Asia, al Giappone-Cipango. Basta leggere poche righe delle carte del navigatore per capire che non è così. Basterebbe esaminare il suo strano criptogramma da Gran Maestro, sicuramente anche un erede templare, con il quale si firma: un rebus ancora non completamente risolto:
.S. .S. A .S. X M Y Xpo FERENS È la firma di un misterioso Ammiraglio, di un personaggio complesso, dai risvolti esoterici, che appartiene di diritto al grande e utopistico sogno del Rinascimento italiano. Un uomo il cui vero identikit è in una frase vergata di suo pugno: “Lo Spirito Santo è presente in Cristiani, Musulmani ed Ebrei e di qualsiasi altra setta”. Parole audaci, ancora oggi passibili di rogo. Ma è la dimostrazione che il
IL PRIMO SBARCO DI CRISTOFORO COLOMBO NEL NUOVO MONDO A SAN SALVADOR
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L’uomo che superò i confini del mondo “marinaretto” aveva una cultura profonda in molti campi, in linea appunto con la tradizione umanistica. Si aggiunga che in un “Libro delle profezie”, che quasi nessuno conosce e in cui l’autore colleziona passi dei testi sacri dove si annuncia e profetizza la “scoperta” di nuovi cieli e nuove terre, il navigatore afferma che chi sa veramente leggere e scrivere lo sa fare in quattro modi differenti (!). Ecco perché alla terza riga e quarta riga dell’enigmatica firma si può leggere, il linea con le sue parole, che lui è il portatore di Cristo (Xpo Ferens) alle tre grandi religioni del libro: Cristo, Maometto, Yaweh. Un uomo ed un nome simboli di un sogno universale di cui era il “messaggero” (così si autodefinisce in alcuni passi) non solo in senso geografico: l’uomo vitruviano e leonardesco per eccellenza, che i nuovi tempi ponevano al centro del cerchiomondo. Ma non solo questo: se si va a scavare si scopre un esperto di alchimia, di cabala, di conoscenze esoteriche, con una capacità incredibile di leggere i segni della natura, come se fosse un libro spalancato. Di un vero e proprio “sciamano”, che indovina le tempeste, che ammansisce uragani e trombe d’aria, che interpreta i segnali dell’oceano, che sotto altre volte stellate indovina al minuto secondo un’eclisse di luna, salvando così la vita per sé e per i suoi uomini dagli indios stanchi dei soprusi dei troppi spagnoli-traditori, che fanno di tutto per ostacolare il compito del loro Ammiraglio.
Le rotte Si dice che Colombo non abbia mai capito nulla: dove andasse, dove fosse sbarcato, da dove fosse tornato. Strano che abbia sempre indovinato tutto. Praticamente il suo primo viaggio si svolge da casello a casello. Le sue rotte, sino ad allora considerate ignote, sia all’andata che al ritorno, sono quelle che ancora oggi percorrono i velisti nelle immensità dell’Atlantico, l’oceano che gli arabi chiamavano il verde mare delle tenebre. Colombo avanza scegliendo le situazioni climatiche giuste, conosce le calme oceaniche come le correnti, cambia le vele per rendere più spedi-
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Ruggero Marino to il viaggio. Quando i suoi marinai cominciano ad essere presi dalla paura chiede tre giorni, mettendo a disposizione anche la propria
vita, prima di poter decidere di tornare indietro. Dopo tre giorni MAPPA DI PIRI REIS, 1513 fa “tana”. Quando avvista terra nella notte non prosegue, perché preferisce farlo di giorno, quasi consapevole del rischio delle barriere coralline. Dirà che dalla Spagna alle Canarie e poi alle nuove terre ha impiegato 40 giorni. Di 40 giorni parlavano i testi antichi per poter raggiungere il continente posto al di là del continente liquido. A dimostrazione che quel mondo nuovo era stato raggiunto svariate volte in precedenza e non solo dall’Occidente. I Turchi, come dimostra la carta dell’ammiraglio Piri Reis nel 1513, che presenta più America di quella fino ad allora perlustrata, avevano le stesse mappe dei cristiani, i Cinesi andavano regolarmente in America come sempre più spesso si sostiene. Il Cipango che Colombo voleva raggiungere ci insegnano che fosse il Giappone. Ma il Giappone non era stato ancora scoperto. Per di più se si guarda una
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L’uomo che superò i confini del mondo mappa della Cina non si trovano desinenze in “ango” mentre il Mesoamerica ne è costellato: Durango, Cichicastenango, Xipangu, Xipan... D’altronde è sufficiente leggere il passo del “Milione”, che Colombo leggeva e chiosava come tutti grandi scienziati dell’epoca, relativo al Cipango, per capire che anche Marco Polo (altro strano mercante, che si recava dal Gran Khan, portando l’olio del Santo Sepolcro su incarico del pontefice dell’epoca), in quel breve paragrafo sta esattamente parlando dell’America. Si sa che Colombo effettuò nella sua vita quattro viaggi, sfidando la sorte fino alla maturità, visto che a quel tempo non erano crociere. Si dice che solo nella terza traversata toccò il continente. Siamo convinti che accadde molto prima e quasi sicuramente anche prima del 1492. E per chi volesse saperne di più, dato che lo spazio è quello che è, rimandiamo il lettore curioso ai nostri ultimi due libri (“Cristoforo Colombo l’ultimo dei Templari” e “L’uomo che superò i confini del mondo”, ambedue della Sperling).
Il Papa Mai nella storia di Colombo, prima che questa ricerca cominciasse oltre 20 anni fa, trasformando l’autore da un semplice ricercatore storico alla Fantozzi in un convinto Indiana Jones, si era mai parlato di un pontefice, del Vaticano, della Chiesa in funzione dell’”operazione America”. I rapporti dell’Ammiraglio con Roma venivano fatti cominciare dalla tradizione con l’avvento sulla cattedra di Pietro di Rodrigo Borgia, il famigerato spagnolo Alessandro VI. Cancellando completamente il vero “sponsor”, il “Deus ex machina” della prima spedizione colombiana. Ovvero quello che abbiamo da sempre chiamato il “papa decaparecido”, Innocenzo VIII, Giovanni Battista Cybo. Un papa cittadino genovese (!), che viene dall’Oriente. Il padre, fu Viceré di Napoli, era nato a Rodi, l‘isola dei cavalieri del mare, oggi di Malta: si chiamava Aronne, un nome che per i tempi rinvia ad un’ascendenza ebraica. La nonna si chiamava Sarracina, un nome che rinvia a commistioni musulmane. Nel sangue del pontefice cattolico romano si univa-
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Ruggero Marino no le tre grandi religioni monoteiste, in linea con le parole di Colombo: “Lo Spirito santo è presente in Cristiani, Musulmani ed Ebrei”. Innocenzo VIII governa la Chiesa dal 1484 al 1492, muore appena sette giorni prima della partenza di Colombo, il 3 agosto. Quando il Borgia versava nei calici la “cantarella”, il veleno, come Coca Cola. Il papa coltivava il sogno, qualora non fosse stato possibile raggiungere un accordo, di realizzare una santa crociata per la riconquista di Gerusalemme e del santo Sepolcro ancora in mano agli infedeli. Un papa la cui tomba, eseguita dal Pollaiolo, l’unica traslata dalla vecchia basilica costantiniana alla nuova, in un omaggio singolare per un vicario di Cristo praticamente infamato dalla pubblicistica che seguirà, presenta nel tempio della Cristianità un’enigmatica epigrafe. Alla terza riga vi compare incisa, nel marmo scuro, una menzogna: sicuramente è la fotografia della verità: “Novi orbis suo aevo inventi gloria” (Nel tempo del suo pontificato la gloria della scoperta di un Nuovo Mondo). Perché? Le domande si moltiplicano guardando nella parte superiore del feretro, dove la statua del pontefice reca in mano un talismano, che dona il potere del mondo e l’immortalità, la lancia di Longino, una reliquia inseguita anche da Carlo magno, Napoleone e persino Hitler. Strano papa in odore di ermetismo e forse, come per Colombo, di eresia. Mentre ancora oggi, sempre attorno alla basilica si vende un poster dove, nella breve biografia, si può leggere “aiutò Cristoforo Colombo nella scoperta dell’America”. Un’altra menzogna o un’altra verità? C’è infine da aggiungere che il viso del pontefice e quello di Colombo nel ritratto del Ghirlandaio si assomigliano in maniera inquietante. Che Colombo al nord equivale all’Esposito del Sud, figlio di padre ignoto, che i colori dello stemma originario di Colombo hanno gli stessi colori di quelli dei Cybo. Che due documenti dei primi del ‘500 parlano di un “Columbus nepos”...
I soldi Avrete probabilmente presente qualche monumento con Isabella di Castiglia, che
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L’uomo che superò i confini del mondo offre le sue gioie pur di far partire Colombo. Scordateveli. Sono, lo riconoscono gli stessi spagnoli, un falso storico buono solo per l’agiografia di chi si appropriò dell’”operazione America”. Il finanziamento per la prima spedizione, oltre alle tre imbarcazioni, non rappresentò un investimento oneroso. Metà di quei soldi, lo si sa da sempre, venne dall’Italia, da nobili famiglie genovesi che si scoprono essere tutte imparentate con i Cybo. Un’altra parte venne da un banchiere dei Medici. Guarda caso il papa, che aveva molti figli (Pasquino annotava: “Finalmente abbiamo il padre di Roma”) era il consuocero di Lorenzo il Magnifico, con buona pace dei pavidi storiografi italiani. E l’altra metà? Fu prestata da una milizia laica spagnola, la Santa Hermandad. Da chi era amministrata, visto che non lo si spieg correttamente? Da un ebreo converso, ricevitore delle rendite ecclesiastiche in Aragona e quindi uomo di Innocenzo VIII e da un nipote genovese del papa, Francesco Pinelli. Come se non bastasse quel prestito,
Ruggero Marino È giornalista, scrittore e poeta italiano, ex capo redattore del quotidiano Il Tempo. Ha lavorato, per trentaquattro anni, al quotidiano Il Tempo di Roma, ricoprendo anche le cariche di inviato speciale e di responsabile dei settori spettacolo e cultura. Ha effettuato reportages da circa 50 paesi nel mondo. Ha collaborato e collabora a riviste italiane e straniere. Ha vinto oltre 10 premi giornalistici, a carattere nazionale, fra i quali quello dell’Associazione Stampa Romana, il Premio Scanno, per il giornalismo nel 1981 e per la narrativa nel 1991, e quello del Coni. Inoltre è stato nominato Accademico onorario del Centro Culturale Giuseppe Gioacchino Belli, “Per aver saggiamente colto, interpretato e reinterpretato in modo tanto originale la storia di uno dei più grandi Italiani: Cristoforo Colombo. Svelandone le sue autentiche origini, la sua vera personalità e le sue intuizioni. Ed in relazione alle Sue competenze di giornalista e scrittore, Roma oggi apprezza in Lui tutti i lati qualificanti dell’auten-
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Ruggero Marino e non lo si dice, fu restituito pochi giorni dopo dal fondo della crociata contro i Mori in Spagna, istituito sempre da Innocenzo VIII. Fondo che aveva fra gli amministratori un altro genovese, un Gentili, “familiare” del pontefice. Se si continua ad affondare (anche per questa ricerca occorrerebbe uno “sponsor”, un mecenate) in questa storia i conti prima o poi tornano sempre. In maniera perfettamente opposta a quanto sino ad ora ci è stato raccontato. Per concludere che se non fosse sbarcato il cristiano Colombo oggi l’America avrebbe agitato il libretto rosso di Mao o si inginocchierebbe verso la Mecca. E che se l’Occidente ha trionfato, se al posto dei campanili non abbiamo minareti, se al posto di San Pietro non è stata sovrapposta Santa Sofia questo, piaccia o non piaccia, lo si deve alla Chiesa di Roma. E soprattutto al papa decaparecido e al Christo Ferens. In una ricostruzione, che è un perfetto uovo di Colombo.
tico ricercatore, che i “Romani de Roma” hanno apprezzato ed apprezzano, per la loro natura di abitanti della città “Caput Mundi”. Per aver adottato, in tutto il Suo positivo lavoro, il chiaro segno della passione per il proprio lavoro e la Città Eterna, condividendo pienamente usi, costumi, umori, emozioni e passioni della nostra tipicità sia romana sia romanesca”. Ha fondato e diretto per 7 anni il quadrimestrale internazionale Poeti & Poesia. Tra i suoi libri ricordiamo: Cristoforo Colombo l’ultimo dei templari. La storia tradita e i veri retroscena della scoperta dell’America (Sperling & Kupfer, 2007) e...
L’ uomo che superò i confini del mondo Sperling & Kupfer, 2010 vai scheda libro >> Luglio 2011 | n.1
di Michele Proclamato L’universo frattale e l’illuminazione del Sé
Agopuntura,Yoga e… …silenzio
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Agopuntura,Yoga e… …silenzio
Michele Proclamato
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o scritto di Yoga per una rivista specializzata del settore. Non Chakra Shasrara so se la cosa verrà pubblicata. Non lo nascondo, mi piacerebbe. Sarebbe una di quelle “perle” che da anni con Chakra Ajna pazienza metto insieme, nella speranza di veder finita una preziosa collana coSushumna noscitiva che comunque ora mi appare Chakra Vishudda con più chiarezza. Vi chiederete come e perché chi si occupa anche di Cerchi nel Pingala Grano, come me, possa dire la sua anche in un campo che nulla dovrebbe avere a Chakra Anahata che fare con un pseudo- mistero collaudato come quello dei Crop. Ebbene la risposta è semplice. Io penso, che il sapeIda re dei Cerchi è quello dell’Ottava quindi non mi stupisco affatto quando vedo Chakra Manipura l’ennesima sua applicazione millenaria. Chi fa Yoga semplicemente applica i dettami di questo sapere per otteneChakra Svadhishthana re un percorso di avvicinamento a Dio attraverso un sistema fisico strutturato da “posizioni” ben precise. Certo la cosa è più complessa e affascinante se conChakra Muladhara siderate che fare Yoga vuol dire anche, fare una vita Yogica, o almeno sforzarsi di farla attraverso tutti i suoi dettami LA RAFFIGURAZIONE DEI SETTE CHAKRA E DEI TRE PRINCIPALI CANALI NADI NEI QUALI SI COSTITUISCE LA KUNDALINI spirituali, capaci di rivedere ogni nostra abitudine, comprese quelle alimentari. Ma, e qui viene il bello, il sottoscritto, che con 7 centri energetici ben precisi, i celeberrimi grande difficoltà farebbe a meno dei suoi “arChakra. Il tutto poi, verrà riassunto attraverso rosticini”, può forse dare al suddetto mondo 108 posizioni Yogiche ben precise rappresenun momento di comprensione altro, utile, tanti una summa altamente raffinata di atcontemporaneamente, a più campi conoteggiamenti fisici, capaci, attraverso la giusta scitivi. Essenzialmente infatti chi interpreta respirazione, di avvicinare, corpo, mente e questa scienza-spirituale, sa’, che 8 sono gli anima umana al divino. Sostanzialmente il ristadi dello yoga (Yama, Niyama, Asana, Prasultato ottenuto è lo stesso perseguito, mennayama, Pratyahara, Dharana, Dhyana, Satalmente, da Giordano Bruno attraverso l’arte madhi), guarda caso, di cui 4 estremamente della memoria ... immortale. (L’Uomo di DIO). fisici e 4 soprattutto mentali. Inoltre conosce Per chi mi conosce credo a questo punto sia un tipo di fisiologia Vedica per la quale il corestremamente semplice ritrovare in questo po umano risulterebbe attraversato da 72000 tipo di fisiologia la matrice numerica e frazioNadi che, sostanzialmente, rappresentano naria (3\4) del sapere dell’Ottava di cui mi ocdei canali preposti alla conduzione di 4 tipi di cupo. Allora, vi domanderete perché essa apenergie (Prana, Apana, Sapana e Vyana). pare nei campi di tutto il mondo e all’interno Ebbene questa quadriplice situazione del corpo umano... orientale? Semplicemenenergetica seguirà una canalizzazione ben te perché la struttura creante dell’universo, precisa fatta esattamente da 3 Nadi principali di per se anche numerica, si ripete in modo (Ida, Sushumna, Pingala) poi, attraverso cuore frattale a tutti i livelli, quello fisico compreso e mente, tale circolazione verrà finalizzata da e chi fa i cerchi semplicemente... lo sa. Non
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Agopuntura,Yoga e… …silenzio
Michele Proclamato
basta, vogliamo parlare dell’Agopuntura? Anche in questo caso il corpo umano è figlio di 4+4 meridiani “curiosi”, da cui prenderanno spunto i 12 organi principali a loro volta matrice dei 12 meridiani primari capaci di generare i 48 secondari. Nuovamente ci troviamo di fronte ad un sistema numerico che comunque, come la fisiologia Celeste, utilizza intervalli e riferimenti numerici appartenenti alla Precessione degli Equinozi. E quindi? Quindi, essendo il sapere dell’OTTAVA la codifica della Creazione, fu, semplicemente “normale“ utilizzarla per meditare, curarsi, ricordare, pensare, sapere, scrivere, dipingere, costruire, scolpire e... prevedere il futuro come l’Ottuplice I Ching insegna. Allora qual è CERCHIO DEL GRANO A BEGGAR’S KNOLL, NR WESTBURY (WILTSHIRE) il problema, perché l’Ufficialità scientifica e culturale non prende seriamente essere il dover ammettere che sol... non lo un tale sapere e le sue poliedriche applicaziosiamo mai stati. ni? Direi che una delle motivazioni potrebbe Per il resto è solo... silenzio
Michele Proclamato È uno scrittore, simbolista, che vive all’Aquila. Conduce una rubrica dedicata ai Crop Circles ed ha pubblicato numerosi articoli sulla rivista Hera, Misteri di Hera, Totem, Scienza e Conoscenza. Sono in uscita alcuni suoi articoli per Vivere lo Yoga e il Ria. È collaboratore di diversi siti telematici quali: Il Portale del Mistero, Stazione Celeste, Paleoseti, Cropcircle Connector, Altrogiornale, Riflessioni, Ufo network, Nonsiamosoli, Esonet. Ha partecipato a numerosi convegni e conferenze e tiene corsi e seminari. È accompagnatore di Tour basati sulle sue pubblicazioni: all’Aquila, Castel del Monte, Milano sulle orme conoscitive del grande Leonardo da Vinci, Assisi ed in Inghilterra, dove il sapere costruttivo dei Cerchi convive, da secoli, con alcune basiliche che recano il simbo-
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lo dell’OTTAVA. Il suo sito è: www.micheleproclamato.it. Tra i suoi libri ricordiamo: Il segreto delle tre ottave dai rosoni di Collemaggio ai cerchi nel grano alla ricerca delle leggi dell’universo (Melchisedek, 2007), Il genio sonico. La scoperta incredibile che lega ogni opera di Leonardo, ad un codice divino (Melchisedek, 2008), L’ ottava. La scienza degli dei (Melchisedek, 2008), La storia millenaria dei cerchi nel grano (Melchisedek, 2009), Quando le stelle fanno l’amore. Ossia: la teoria eterica del tutto (Melchisedek, 2010) e...
L’ uomo di Dio Giordano Bruno Melchisedek, 2011 vai scheda libro >>
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Quando le stelle fanno l’amore La teoria eterica del tutto
Michele Proclamato
DISPONIBILE IN LIBRERIA
Come la scienza usa l’esoterismo per creare se stessa 1999: con il progetto “Chandra” la Nasa mette in orbita il telescopio più avanzato che mai l’uomo abbia costruito. 2006: la Nasa sconvolge il mondo scientifico dimostrando come il VUOTO non sia mai esistito.
di Piero Magaletti g Le piramidi, lo Zed, Osiride, Orione e Iside
Custodi dell’Immortalità tempo di lettura 11 minuti
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partire dalla pubblicazione nel 1994 de Il Mistero di Orione di Robert Bauval, gli studi sulle piramidi egiziane hanno interessato una nutrita schiera di appassionati che, focalizzando l’attenzione ora su un dettaglio ora su un altro, hanno dato vita ad vivace underground di idee che si sviluppa, più attivo che mai, parallelamente all’Egittologia ufficiale; un mondo che i detentori del sapere, coloro che hanno potere di veto su ciò che è o non è storia, sono restii a considerare. Nonostante le conferme oggettive che le teorie dei più noti fantarcheologi riscontrano, l’Egittologia si impone di non dar credito a ciò che proviene dall’esterno della ristretta elite scientifica e a ciò che non sia supportato da fatti concreti, prove certe, documentazioni attendibili. Un criterio necessario, ne conveniamo, ma che in taluni casi si è tradotto nella colpevole sottovalutazione di ipotesi interessanti, cestinate e spesso derise prima di essere valutate. È da questo principio che è nato Custodi dell’Immortalità: fornire le prove definitive che dimostrino, una volta per tutte, la fondatezza degli studi di alcuni maestri di cui l’autore si definisce con umiltà “un discepolo”, come l’italiano Mario Pincherle e il già citato Robert Bauval, per poi coniare una teoria nuova e affascinante sull’intimo rapporto che unisce terra e cielo, un segreto che, in una sola parola, si chiama Immortalità. Come è noto, secondo Bauval le tre piramidi della Piana di Giza riproducono sulla Terra le tre stelle della Cintura di Orione e il loro scopo era condurre le anime dei re nell’Aldilà, ubicato nella costellazione di Orione, la rappresentazione stellare del dio Osiride. Le Piramidi di Giza (e Cheope in particolare) sono un ascensore cosmico che conduce i sovrani al cospetto di Osiride presso il quale, secondo i Testi delle Piramidi, le loro anime si tramutano in stelle. Che la necropoli di Giza esprimesse un nesso tra terra e cielo ne è convinto anche Pincherle, secondo il quale il compito delle piramidi era allineare il piano finito della nostra dimensione con quello infinito dell’universo. Mario Pincherle è noto al pubblico per
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Piero Magaletti una straordinaria scoperta legata alla piramide di Cheope; Pincherle rilevò che la parte interna della Grande Piramide custodiva una torre di granito, alta circa 60 metri, il cui nome è Zed (in greco) o Djed (in egiziano)… Bauval e Pincherle; la Piana di Giza come riproduzione della Cintura di Orione; la piramide di Cheope come luogo in cui nascondere il pilastro Zed: teorie su cui due generazioni di studiosi e appassionati hanno indagato, fantasticato, ma che per l’Egittologia sono carenti dei requisiti necessari per essere elette a verità; mancano, a detta degli egittologi, quelle prove schiaccianti e inconfutabili che ne confermino l’assoluta veridicità. Prove che oggi, Custodi dell’Immortalità, è finalmente in grado di fornirci.
Il misterioso Codice di Bayer Nel 1603 il tedesco Johann Bayer pubblicò l’Uranometria, un monumentale atlante celeste che cataloga 1277 stelle visibili sia nel cielo dell’emisfero boreale che in quello australe, fino ad allora del tutto sconosciuto agli europei, attingendo dalle preziosissime carte nautiche di navigatori come Amerigo Vespucci e Pieter Geyser. L’Uranometria stabilisce in maniera definitiva la regola di associare lettere dell’alfabeto greco alle stelle, in base alla luminosità, alla grandezza e al colore. Il sistema ideato da Bayer è ritenuto così valido da essere il codice di catalogazione a cui l’astronomia mondiale fa tutt’oggi riferimento; eppure, nonostante la sua validità, il nostro misterioso astronomo ha commesso qualche errore. Nella costellazione di Orione, secondo alcuni studiosi, l’assegnazione delle lettere non corrisponderebbe al criterio da lui inventato. È una svista o un’eccezione voluta? Gli Arabi chiamarono le tre stelle nel modo a noi noto: Alnitak (la Fascia), Alnilam (il Filo di Perle), Mintaka (la Cintura). Bayer, molti secoli dopo, assegnò loro tre lettere greche: Zeta [Orionis], Epsilon [Orionis] e Delta [Orionis]. Isolando le lettere, otteniamo Zeta, Epsilon e Delta: cioè Z, E, D.
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Custodi dell’Immortalità Incredibile a dirsi, la parola che compongono è ZED. È possibile che, su 1277 stelle, Bayer abbia commesso un errore in relazione alle tre stelle della Cintura e che le lettere da lui assegnate, per un caso del tutto singolare, formino il nome dello Zed individuato da Pincherle nella Grande Piramide? Se gli studiosi cercavano una prova scritta e inconfutabile, l’esplicito riferimento nell’Uranometria rappresenta un elemento più che valido: il Codice di Bayer è stato ideato da un precursore della moderna astronomia, la cui attendibilità non può essere messa in discussione. Siamo quindi in presenza di un’eccezionale conferma storica: la Grande Piramide nasconde realmente uno Zed ed esiste una corrispondenza tra le Piramidi di Giza e Cintura di Orione.
Piero Magaletti piccola stella. La sequenza di stelle secondarie che accompagnano le tre principali della Cintura, 3 – 1 – 3, coincide con il numero delle piramidi “satellite” di Giza: chiunque abbia riprodotto la loro struttura nella Piana, conosceva perfettamente la natura multipla delle
Le piramidi “satellite” Un’ulteriore conferma giunge dall’osservazione delle Piramidi Satellite. Queste costruzioni sorgono nei pressi delle piramidi principali seguendo una sequenza apparentemente inspiegabile: Cheope è affianZETA [ORIONIS], EPSILON [ORIONIS] E DELTA [ORIONIS] cata ad est da tre piramidi minori; una è posta a sud di Chefren; Micerino ne conta tre stelle. tre a sud. Ma per comprendere definitivamente il leQual era la loro funzione? game tra la Cintura e Giza, dobbiamo tornare Osserviamo la Cintura di Orione: Alnitak allo Zed e scoprire il suo significato. (che corrisponde a Cheope) è una stella multipla1; i telescopi hanno individuato tre stelle di minore grandezza che la accompagnano. Lo Zed Anche Alnilam (Chefren) è affiancata da una stella di piccole dimensioni. Lo Zed è un simbolo molto diffuso nell’AnInfine Mintaka (Micerino), composta da tico Egitto; è comunemente associato ad Osiuna principale, che in realtà è binaria, e una ride ed è considerato la sua colonna vertecompagna a sua volta separata da un’altra brale. 1) Le stelle multiple sono formate da una coppia o anche più di stelle che, a causa della distanza dal punto di osservazione, sembrano costituire il nucleo di un’unica stella.
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Il nome egizio, Djed, deriva dalla radice djd e significa, secondo gli esperti, stabile, duraturo. In greco diventa Zed; il suono dj, infatti,
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Custodi dell’Immortalità viene contratto in Z2. L’analisi del nome del padre degli dèi dell’Olimpo, Zeus, il cui genitivo è Dios, o Djos, rileva tracce della radice egizia, dj.
Piero Magaletti troduce un discorso del tutto nuovo: a quale membro maschile si farebbe riferimento? Si tratta dello Zed, finora interpretato come una colonna vertebrale?
LO ZED DENTRO LA PIRAMIDE DI CHEOPE
Concentriamo la nostra attenzione su Medjedu, che è il nome in lingua egizia di Cheope, composto da m djd w: w significa luogo; m indica sta, stare; djd è lo zed; il risultato è il luogo in cui si trova lo Zed, un significato alquanto bizzarro per essere il nome di un faraone… Il termine greco piramide è composto da Pr md: pr vuol dire casa; md da’ origine al femminile medea o al maschile mezos e indicano entrambi il membro virile. Il significato della parola è: la casa del membro virile… L’identicità di significati tra m djd w (il luogo in cui si trova lo Zed), e Pr md (la casa del membro maschile) è a dir poco sconcertante. Siamo di fronte ad un’altra scoperta straordinaria: quello che era il nome di un luogo, Medjedu, è diventato impropriamente il nome di un faraone, mentre il termine piramide è divenuto un nome comune per designare una figura geometrica o un tipo di costruzione, non più quella specifica costruzione… La traduzione di piramide e Medjedu, intesi come la casa del membro maschile, in2) Vocabolario della lingua greca, Loescher Editore, pag. 865
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Non abbiamo che una pista da esplorare, quella che conduce al dio a cui lo Zed è associato: Osiride.
Il mito di Osiride Secondo la mitologia egizia, Geb (la Terra, il maschio) e Nut (il Cielo, cioè la femmina) generarono due coppie di gemelli, Osiride e Iside, Seth e Nefti. Osiride divenne re d’Egitto e sposò sua sorella Iside; Seth, invidioso del potere del fratello, ordì una congiura e lo uccise, smembrandone il corpo in 14 pezzi e disperdendoli in altrettante città. Iside recuperò tutte le membra del marito eccetto il fallo, mummificò il suo corpo grazie all’aiuto di Anubi (figlio di Osiride e di Nefti) e vi applicò un fallo artificiale, per poter concepire Horus. Horus crebbe protetto dalla madre e da Anubi con lo scopo di vendicare la morte del padre al compimento del trentesimo anno. Una volta affrontato e sconfitto Seth, Horus consacrò a suo padre l’occhio che aveva perso nello scontro col rivale, deponendolo tra le stelle.
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Custodi dell’Immortalità
Piero Magaletti
Osiride assunse così il ruolo di sovrano del regno dei morti, mentre Horus divenne il simbolo dei regnanti viventi. Com’è noto, ognuna di queste figure mitologiche ha una propria raffigurazione nel cielo: Iside corrisponde alla stella Sirio e Osiride alla costellazione di Orione. Ma se l’origine di queste assegnazioni è da ricercare nel mito, non si può non notare che il movimento di queste stelle nel cielo non trova alcun riscontro nella narrazione. Orione appare all’orizzonte precedendo Sirio di pochi giorni; se vi sovrapponiamo i protagonisti del racconto, avremmo Osiride (Orione) che sorge prima di Iside (Sirio) annunciandone l’avvento… Ma, secondo il mito, Iside non è preceduta da Osiride e non è certo la sua nascita che determina l’inizio di un nuovo regno. Inoltre, nonostante la sua importanza, per una ragione inspiegabile gli studiosi non hanno mai riconosciuto ad Horus un corrispettivo stellare e, al contrario dei suoi genitori, non vanta un astro o una costellazione con cui identificarsi. I binomi Orione – Osiride e Sirio – Iside sembrano suscitare più dubbi che certezze, soprattutto perché si fondano sul dogma, ormai millenario, secondo cui la costellazione di Orione rappresenti un individuo di sesso maschile.
Orione e Iside
ZETA [ORIONIS], EPSILON [ORIONIS] E DELTA [ORIONIS]
Al contrario di molte culture antiche, gli egiziani ritenevano che il Cielo (Nut) fosse un’entità femminile e la Terra (Geb) maschile. La Terra è il principio fecondatore, il Cielo è il ventre ricettivo. Ma se le piramidi sono in relazione con Orione e la Terra è un’entità maschile, come può questo principio maschile relazionarsi intimamente con una costellazione che raffigura un uomo, Osiride? Cerchiamo allora chi potrebbe rappresentare un soggetto maschile sulla Terra e uno femminile nel cielo. Nel 1818 Giovanni Battista Caviglia sco-
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prì un’iscrizione in greco su una delle zampe della Sfinge: “La Sfinge era il custode della tomba di Osiride”3; il nome egizio della Piana di Giza è pr wsr nb rstw; pr significa casa, wsr Osiride, nb signore, rstw Rostau: Casa di Osiride, signore di Rostau (antico nome di Giza). Giza era sì connessa ad Osiride, ma il legame non è tra la sua presunta raffigurazione stellare (Orione) e le piramidi, bensì tra il dio e la Piana, che è il luogo della sua sepoltura, la sua dimora eterna: il soggetto maschile sulla Terra è, quindi, Osiride. Abbiamo infatti visto che nella Piramide di Cheope c’è lo Zed, strettamente legato a Osiride.
Ma è l’interpretazione dello Zed come sua colonna vertebrale che lascia perplessi: il mito non accenna ad una specifica importanza della spina dorsale del dio. E se lo Zed fosse il fallo artificiale di Osiride?
Le nebulose di Orione È singolare che gli Arabi si riferissero ad Orione con attributi femminili: Betelgeuse, 3) Il Codice di Giza, di Lawton – Ogilvie – Herald, pag. 54
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dall’arabo Yad al-Jawzā, significa spalla (Yad) zione di Orione è la dea Iside. di colei che sta al centro (al-Jawzā è un termiLa scoperta della vera identità di Orione ne chiaramente femminile). costituisce la pietra angolare della nostra riMa la caratteristica più rilevante è la precerca; il progetto della Piana di Giza non si senza nel perimetro suo perimetro delle neproponeva soltanto di copiare la disposizione bulose più grandi e spettacolari finora scodelle stelle, ma doveva collegare le entità maperte: raggruppate nella Spada di Orione, schio – femmina. la M42, la M43, la NGC 1977 e la B33 (nota come Testa di Cavallo) si trovano al di sotto di Alnitak. Le nebulose sono i grembi materni dell’universo, in grado di generare un numero infinito di stelle (è stato stimato che la sola M42 contenga materia sufficiente a dar vita a 10.000 stelle identiche al sole4). La soluzione dell’enigma è vicina: l’identificazione della costellazione di Orione con un essere maschile ostacolava l’autentica interpretazione del legame tra terra e cielo che le piramidi esprimono. Dobbiamo essere pronti accettare una conclusione rivoluzionaria: la costellazione più nota del cielo rappreLE NEBULOSE DI ORIONE senta una figura femminile, la madre delle stelle… Il faraone, col sopraggiungere della morte, La trasmissione dell’anima del faraone nel diventava Osiride e, in ossequio all’imitazione cielo attraverso lo Zed di Cheope è senza dubdel suo dio, doveva ricorrere all’espediente bio la simulazione dell’atto del concepimento del fallo artificiale per ingravidare la sua sposa e il personaggio che, secondo il mito, riceve il celeste, Iside. seme maschile attraverso un fallo artificiale è Questo fallo artificiale è lo Zed nella Piraproprio Iside. mide di Cheope, attraverso cui l’anima del re Ormai non vi sono più dubbi: la costellapoteva tramutarsi in una stella raggiungendo 4) Stella per stella. Guida turistica all’universo, il grembo della dea Iside. di Piero Bianucci, Giunti Editore, pag. 222.
Piero Magaletti È nato a Bari il 29 giugno 1977. È laureato in filosofia con 110 e lode. Studioso di antichità egizie, di storia medioevale, di lingue antiche, di esoterismo, di occultismo, di storia del cinema, parla correntemente l’inglese. Poeta, musicista, compositore, sceneggiatore, romanziere, ha all’attivo diverse pubblicazioni di romanzi, saggi e raccolte di po-
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esie a partire dal 1999.
Custodi dell’immortalità Bastogi Editrice Italiana 2011 vai scheda libro >> Luglio 2011 | n.1
di Giulia M. D’Ambrosio e Duccio Calamandrei Dal mito dei rapimenti reali alla teoria delle interferenze mentali. Presentazione di un caso. Parte I
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ino si presenta come una persona che si pone in modo interlocutorio non solo con se stesso, ma in generale con l’ “esistente”. La sua ricerca per comprendere cosa gli stia accadendo, iniziata in sordina in un periodo in cui era spaventato da alcuni eventi notturni, gli ha concesso di accedere via via a numerose informazioni, e a collegare avvenimenti della sua vita con quelli dei suoi familiari più stretti. Le esperienze che lo hanno segnato, nel corso dell’infanzia, riguardano una particolare malattia del fratello e le strane percezioni che sia il fratello che il padre avevano. Lui stesso percepiva strane presenze, contro le quali preparava dei rituali difensivi. Durante la notte si sentiva toccare, e questa sensazione perdura nei tempi attuali. Il fratello non era così spaventato, ma la connotazione di bizzarria della sua malattia avrà per sempre un’influenza sul nostro experiencer. Dino è una persona concreta, legato in modo sano agli aspetti dell’esistenza, privo di inutili orpelli mentali, con un’attitudine ad affrontare i problemi in modo diretto, dopo attenta riflessione. Moderato, equilibrato, con una certa gestione della sua aggressività. È laureato in una disciplina scientifica, specializzato nella modellazione di strutture proteiche. Geneticamente è di derivazione scozzese, per parte di padre, e francese, per parte di madre. Lo scambio tra di noi è iniziato ragionando sul fatto che la realtà che noi vediamo e percepiamo è soltanto una piccola parte di quello che esiste, e che ignoriamo la vera natura della realtà. Dino ribadiva che introdurre concetti quali la virtualità delle esperienze quotidiane è importante: quando noi facciamo esperienza, simuliamo o attendiamo certi avvenimenti, in realtà stiamo lavorando virtualmente con il nostro cervello. La realtà che noi creiamo attraverso l’uso del pensiero e dell’immaginazione non è, cioè, totalmente disconnessa dalla realtà materiale, e contribuisce a crearla, anche quando a noi sembra di non dare seguito alle immagini del nostro mondo interno. A conferma dei suoi pensieri, dopo poche settimane si trova in un sogno in cui SA di sta-
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Giulia M. D’Ambrosio e Duccio Calamandrei re affrontando un sogno simulato, ossia un sogno apparente, un sogno-schermo. Non è il primo che gli capita. Si tratta di sogni che finiscono improvvisamente, ‘come se qualcuno togliesse la spina’. All’interno di questo sogno compaiono degli esseri grigi, che hanno l’aspetto di robot. Se questi robot oltrepassano certi limiti, la loro struttura viene spostata dall’equilibrio, come se tendessero a disintegrarsi. Quando il sogno bruscamente si interrompe, la sua sensazione è quella di aver vissuto, per la verità, una cosa diversa da quella che appariva. Come tutti i sogni, questo episodio va letto su più piani. Esaminiamo prima l’aspetto ufologico - chiamiamolo così. L’impressione che i grigi siano dei robot, o comunque qualcosa di artificiale, è un dato che si riscontra nei soggetti IR4 che hanno una capacità introspettiva più marcata. È come se alcuni soggetti riuscissero ad andare oltre la percezione visiva del fenomeno, oltre la sorpresa/spavento; è anche come se alcuni aspetti della percezione risvegliassero nella coscienza il dato oggettivo, reale, che tali personaggi, a volte, possono non essere ciò che appaiono, e forse abbiamo qualche prova del fatto che si tratti effettivamente di creature artificiali. Anche in un sogno di un altro soggetto IR4, che chiameremo Victor, esistono le tracce di più incontri con esseri artificiali. Victor lo chiama ‘Black Dream’. C’è un campo di concentramento dove alcuni bambini vengono messi ad attendere in alcune aree. Sono trattati male, vengono spinti. Ci sono degli uomini vestiti di nero hanno pantaloni, camicia, fazzoletto neri e scarponi in cuoio. Non hanno pietà o carità, fanno puzza di sangue umano. Victor sente che esiste una lotta tra bene e male e che questi sono le pedine di un gioco più grande di loro. Questi esseri hanno intenzione di sfruttare la specie umana, hanno sete di potere. Il loro gioco è fatto da esseri ancora più grandi di loro. In seguito, Victor dichiarerà che questi esseri avevano un modo di operare che richiamava l’artificialità, e al termine del suo percorso con me arriverà proprio a dividere i suoi
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Incontri ravvicinati del IV tipo incontri ravvicinati in due generi (quelli con esseri robotici e quelli con esseri più reali, entrambi specie di grigi). Le testimonianze di un altro soggetto IR4, Leo, e gli studi di Derrel Sims ci danno modo di pensare che effettivamente almeno una parte di queste creature sia artificiale, e che abbiano dei compiti da eseguire nel livello materiale che rappresenta il nostro quotidiano. Leo racconta: “Mi sveglio una notte, e li trovo in camera. Balzo dal letto e ne afferro uno (Leo è militare abituato a operazioni speciali). Mi sembra fatto di gomma, ma ciò che mi stupisce di più è che ‘sento’, attraverso il contatto con il suo polso, la paura che lo pervade per essere stato scoperto e catturato”. Ciò che stupisce me è che questo ricordo fluisce dopo che Leo si è sottoposto a un massaggio al collo, come se il toccare certe strutture attivasse il ricordo. Esaminando il punto del secondo sogno cui gli esseri artificiali non possono oltrepassare certi limiti, pena la loro disintegrazione, troviamo che il concetto si sposa con il fatto che questi esseri siano apparentemente rappresentativi di una gerarchia di creature (vive? semirobotiche? pseudo-spirituali?), tra cui si collocherebbero come la parte più adatta a interagire con il mondo materiale senza ricevere danni, perlomeno per un tempo limitato. L’impressione che ci sia un inganno, in tutto il sogno, rende conto di un’idea di ambivalenza. L’ambivalenza è un aspetto importantissimo da esaminare insieme ai soggetti IR4. Terrore e passione per gli accadimenti notturni vanno di pari passo, fino a quando la coscienza non subisce un risveglio tale da non tollerare più che vi sia qualcosa di nascosto. Il mistero è un alimento importante per la vita spirituale; ma anche l’inganno, che è più crudo, rappresenta una possibilità di evoluzione, un’occasione, purché lo si sa sappia capire e gestire. Anche gli esseri umani, come i grigi robotici del sogno, non possono oltrepassare certi limiti, pena il disequilibrio e la disintegrazione, soprattutto mentale. In un altro sogno, Dino circola in mezzo
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Giulia M. D’Ambrosio e Duccio Calamandrei a persone che portano sulla schiena un simbolo che solo lui può vedere. Le persone del sogno sono quindi diverse dalle altre, e potrebbero rappresentare sia parti di se stesso diverse dal resto, quindi sconosciute, come pure potrebbero rappresentare il fatto che vi siano aspetti, forse del corpo, forse della psiche, forse dello spirito, che sono ‘marchiati’, e non sappiamo se questa marcatura sia resolvibile oppure no. Anche Dino si è trovato a svegliarsi, alternativamente, con dolori notturni a un ginocchio, con una zona circolare di un rosso vivo, infiammata all’interno del ginocchio; oppure con due punti a forma quadrata sulla scapola, nelle vicinanze di alcuni graffi. Marchiato. La vita può marcare le persone con dolori terribili, con scoperte abissali, con sensazioni di non appartenenza a quello che si vede, che si percepisce, che si è costretti a vivere e a condividere. Gli eventi della vita reale possono creare delle discrepanze tra ciò che esprimiamo e le vere emozioni che ci scuotono all’interno. Il più delle volte, le forze aliene che provocano gli IR4 approfittano proprio di questa crepa che si forma tra i processi coscienti e quelli inconsci per agganciarsi, e fare proprie le immagini prese dal vero vissuto della persona, per usarle in modo manipolativo, mescolando ciò che è vero, ciò che è vissuto, per mascherare qualcosa di inconoscibile a parole, di indescrivibile, qualcosa di sottilmente oscuro, per capire come impossessarsi degli individui, scavalcando le normali difese. Quelli dei soggetti IR4 sono sogni?, sono ricordi di esperienze vissute?, sono tentativi di segnalare che qualcosa non va? Sono un inganno ben congegnato, dove il soggetto vive, trasposto sugli altri, qualcosa che gli appartiene, e si ritrova a mischiare avvenimenti e sentimenti personali con soggetti apparentemente estranei a lui, in una sorta di finto coinvolgimento di altre persone (che può dargli la sensazione di non essere solo a vivere quel problema) in un tema che invece riguarda soltanto lui. I sogni con protagoniste creature che sembrano robot ritornano. Predisposti a un dialogo molto semplice, afferma Dino. Proprio come sembrano essere le creature grigie, ma-
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Incontri ravvicinati del IV tipo novalanza altrui, creature incompiute, esecutori senza spirito. Una creatura di sembianze femminili si trova all’interno di una struttura che sembra richiamare scenari di fantascienza. Tuttavia la struttura sembra una stazione di comando. Alcune creature danno doni ad altre persone, Dino sbircia la scena e si sente in pericolo. Una parte di lui, quindi, riesce a rimanere estranea a quanto accade. Le paralisi con allucinazioni sono un fatto comune, nelle sue notti. Ma accanto a queste, accadono altri fenomeni che lo portano a teorizzare qualcosa di nuovo nel campo. I soggetti IR4 spesso avvertono degli strani suoni, che si presentano a ripetizione. Secondo Dino la cadenza sonora serve per indurre uno stato di apertura. Il suono ha l’effetto di coinvolgere la persona e di bloccarne le reazioni, lasciandola cosciente di quanto sta per avvenire. Il suono cessa quando lo stato di paralisi è completo. A quel punto una presenza (non un Grigio) interagisce con il corpo del soggetto. Scrive un utente del forum di Primocontatto: “È un paio di sere che sento presenze in camera mia... cominciano attorno alle 23: 00; le avverto perchè sento che il mio orecchio sinistro viene in qualche modo stimolato: è come se sentissi avvicinarsi qualcuno, però quasi come i suoi passi fossero un ultrasuono particolare, che non riesco a sentire, ma mi stimola comunque l’apparato uditivo sinistro.
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Giulia M. D’Ambrosio e Duccio Calamandrei Quando succede questa ‘stimolazione’, poi 9 volte su 10 faccio o un sogno apocalittico oppure sogno qualcosa di attinente agli ET”. Come potrebbe avvenire questo fenomeno? Potrebbe il suono essere una sorta di segnale ipnotico? O arriva a coinvolgere, con particolari onde d’urto, i recettori che potrebbero essere implicati nella comparsa degli scenari ufologico-abduttivi? Forse andrebbe presa in considerazione la natura elettrica del suono. Questo aspetto elettrico potrebbe essere quello che interferisce con il sistema nervoso, e forse con la struttura energetica dell’individuo. Nel momento dell’interazione, il contatto potrebbe essere coscientemente interrotto. Infatti, se esiste un meccanismo con cui il suono consente l’accesso alla persona, questo meccanismo deve far parte della normale struttura umana; addirittura si può pensare che il soggetto stesso potrebbe inconsapevolmente tenere aperto questo canale e consentire la ripetizione del contatto, quando addirittura non sollecitarlo. L’essere umano potrebbe comportarsi come un conduttore, come un ponte, attraverso cui potrebbero passare molteplici segnali. Anche gli animali domestici, presenti in casa, potrebbero svolgere la stessa funzione (questo farebbe pensare che il corpo del soggetto IR4 non costituirebbe il bersaglio a cui le forze aliene tenderebbero).
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Incontri ravvicinati del IV tipo Tutto questo riporta alla mente il caso di Victor, descritto prima, che dopo un anno di lavoro era riuscito a ricordare il fatto che, durante la notte, poteva udire un suono, da cui capiva che “stavano arrivando”. Per sfuggire all’abduction, Victor emetteva a sua volta un suono, mentalmente, che gli consentiva di staccare la sua coscienza e di trasportarla in un luogo a lui molto caro, da cui era assai difficile portarlo via. Victor asseriva: “Se la mia coscienza non c’è, loro non possono utilizzare il corpo”. Il suono però non è sempre presente, nei modelli di IR4. La cosa più semplice a cui si possa pensare è che entità diverse utilizzino passaggi e strumenti diversi per accedere alle varie parti di un essere umano. Gli oggetti alieni trovati nel corpo (che non sono impianti di trasduzione) sono anche spesso oggetti del tutto privi di tecnologia, che potrebbero avere lo scopo di riorganizzare energeticamente certe zone, o potrebbero destrutturarle. Il suono che induce la paralisi, comunque, si presenta anche in soggetti che non sono portatori di oggetti estranei. A che scopo tutto ciò? La sofferenza sembra essere il cibo di queste entità. Esse lavorano sulle nostre parti meno coscienti, sui nostri difetti di razza, sulle nostre “ombre” psicologiche. Il lato oscuro è il modo giusto per accalappiare gli umani: è prontamente disponibile e si gonfia con poco. La paura ne è il tramite più chiaro e logico. La trappola consiste nel fatto che se un soggetto cerca di approfondire gli aspetti non ordinari dell’esistenza, e comincia un percorso di consapevolezza a livello spirituale, se non procede anche con una consapevolezza a livello psichico, non gli è data la possibilità di conoscere realmente né ciò che sta avvenendo né di isolare i problemi personali che costituiscono la porta di ingresso della fenomenologia. La fenomenologia abduction, infatti, si avvale delle esperienze e delle immagini interne proprie del soggetto per mostrarsi. L’avanzamento solo dal punto di vista spirituale del soggetto consente alle forze intrudenti di accedere a livelli più sottili della consapevolezza universale, accelerando probabilmente taluni processi creativi generali, svincolati dal singolo.
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Giulia M. D’Ambrosio e Duccio Calamandrei Tornando al fatto che queste creature diano un’impressione di artificialità, noi e Dino siamo arrivati separatamente alla stessa conclusione, ossia che questi esseri siano controllati da strutture superiori. Afferma Dino: “Queste strutture possono essere enormi e amorfe, buie e composte dalla sostanza con cui è fatto il “male”. Ne possiamo derivare proprio una fisica, una Fisica del Male”. Alla stessa conclusione arriva uno scienziato molto conosciuto, un fisico: “Questi fenomeni coinvolgono sicuramente lo Zero Point Field, la capacità creatrice della coscienza universale (sia nella luce che nell’ombra), l’universo a più dimensioni delle superstringhe. Dietro queste bizzarre e spesso spaventose manifestazioni, c’è una scienza. E in qualche punto dell’universo, anzi dello Zero Point Field, c’è solo un furbo che si è gonfiato a dismisura con le nostre paure, e si è trovato gratis il meccanismo della creazione. Ma un furbo imbecille, perché Dio LO USA, e lui non lo sa”. Dino afferma: “I Grigi rappresentano una possibilità concreta da parte delle strutture amorfe (senza forma che possono assumere forme) di intervenire sulla nostra terza dimensione. Gli Amorfi possono interagire con il rapito, ma questo avviene in una vibrazione diversa, e non in questa. Ho l’impressione che i Grigi predispongano a un contatto diretto con queste entità, stimolando il contattato. Credo che se fosse possibile intervenire sui Grigi, gli altri avrebbero molti più problemi, anche se la situazione spiritualmente è molto più complessa”. L’ipotesi che quindi formuliamo è quella che vede in campo forze di ordine più materiale, i Grigi, la cui forma fisica potrebbe essere ricavata in parte dal DNA umano e da quello animale, che sarebbero i più adatti a soffermarsi nel nostro mondo vibrazionale e che avrebbero il compito di consentire il contatto con forze meno materiali; e forze di ordine via via meno materiale, gerarchicamente organizzate in senso spirituale (negativo) e materialmente sempre più rarefatte, il cui controllo sulla materia viva non può essere diretto, ma mediato dalle creature grigie o da meccanismi assai più sottili, che hanno come tramite le strutture del nostro sistema nervoso centrale, in particolare alcuni tipi di
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recettori – con tutta probabilità i recettori serotoninergici. Le visioni, i disturbi del sonno, i campi di luce che vengono visualizzati dai soggetti, fanno ritenere che effettivamente le strutture mesencefaliche vengano coinvolte nel contatto. Alcuni recettori serotoninergici – coinvolti in lesioni, uso cronico di LSD e farmaci agonisti dei recettori serotoninergici - sembrano i più probabili candidati a fornire il bersaglio fisiologico a stimoli (interni o esterni?) che si rivelano fondamentali nel ricreare l’ambiente caratteristico riferito dagli interessati, e che comprende sia le creature che gli scenari silenziosi che accompagnano la visione di queste esperienze. In un modo o
te, avendo in noi la capacità della creazione (avendo come nucleo inalterabile una Luce cosmica), attribuiamo loro una forma”. Questa situazione non è univoca, nel senso che non tutta la fenomenologia IR4 è riportabile esattamente a questo schema, benché esso funzioni per la maggior parte delle volte. Dobbiamo avere delle perplessità sull’uniformità delle creature grigie. Se per gli Amorfi possiamo ipotizzare che le forme siano dei pretesti subdoli per entrare in contatto con gli esseri umani, per quanto riguarda i Grigi questo difficilmente può essere vero, essendo la loro realtà di “esseri di materia” incompatibile con idee di trasformismo. Vi devono essere diverse ‘razze’ di creature grigie, razze che si sono anche trasformate nel “Ricordare & Raccontare” tempo. Sims ritiene che Gruppo di Lavoro sulle Esperienze Anomale siano stati programmati in modo diverso con il trascorrere degli anni. Questo può essere vero, e può essere che siano molto WORKSHOP PRATICO più specializzati nell’interCON SESSIONI INDIVIDUALI E DI GRUPPO ferenza mentale, rispetto a venti o cinquant’anni or Toscana, 7 – 10 Giugno 2012 sono. Ma si deve supporre che esistano anche ‘razze’ per info - esperienzeanomale@gmail.com che sono sfuggite a questo genere di controllo. Si è ipotizzato di creature nell’altro, l’iperstimolazione o il blocco di tali che proseguono una loro linea sperimentale, recettori potrebbe fornire la base fisio-neurodel tutto ignare che il ’programma’ di prelielogica per il manifestarsi del fenomeno. vi biologici a cui dovevano aderire sia finito. Dice Dino: “Credo che gli Amorfi usino Un’altra ipotesi è che una delle razze di Grigi l’olografia del nostro sistema percettivo per stia tentando di riparare i danni provocati da presentarsi come vogliono, o come noi voaltri esseri. E probabilmente ve ne è un’altra gliamo, ma le cose adrebbero un po’ insieme, ancora che non è d’accordo con quello che e raccolgono pezzettini di ricordi forse vincosta avvenendo, si tiene in disparte e non sa lati a parti emotive/sensitive. Ho visto i rettili come contattarci in modo efficace. Tutte quepoche volte, meccanici dinosauri con la pelle ste ipotesi richiederebbero un approfondito marrone, anche questi specie di cyborg, sono esame di funzioni mentali e biochimiche che molto aggressivi, ma son finti anche, molto si trovano al confine con le funzioni psichiche, limitati nel loro campo di azione. Allo stesso per arrivare a capire in che modo l’esperienza tempo ritengo che tutti questi siano feticci, con queste ‘forze’ può arrivare a influenzare la l’oscuro reale sta dietro e non deve necesnostra attenzione, la capacità di trasformare sariamente avere una forma propria... anzi le immagini, la possibilità di accedere a un credo che l’oscuro sia la materia prima della mondo non materiale. Luce, buia immobile gelata. ProbabilmenRiguardo però le ‘forme’ che sembrano
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operare in modo più intrusivo, e che sono viste rispettivamente come: esseri grigi filiformi, sauri, Man in Black, soldati di vario grado, ombre, Nordici – ciò che traspare dopo anni di attività è una loro sostanziale immobilità psicologica. Questo è un lato che si presta alle speculazioni più pericolose e più ridicole, contemporaneamente. Per chi, come Dino, si è immerso a tutto volume nell’esplorazione delle sensazioni, la risposta che emerge, almeno a grandi linee, pare essere una sola: “Dividi e controlla: loro sono mutilati e sono rabbiosi per questo, una rabbia durata milioni di anni”. Il risveglio della coscienza dell’Uomo (circa duemila anni or sono, nella nostra cultura; in un tempo precedente, nelle culture orientali; e non mi sospingo oltre) ha creato scalpore, nel mondo invisibile. Siamo esseri in grado di vivere sia l’invisibile che il visibile, con le giuste tecniche; siamo quindi in grado di procedere a un’evoluzione e una conoscenza di alto livello. Probabilmente nessun altro Essere creato, nel Cosmo che conosciamo, ha queste caratteristiche. È l’opinione anche del fisico citato più sopra: “La coscienza, concetto un tempo trascendentale, adesso sta diventando uno dei temi della fisica teorica. Sembra funzionare in maniera realmente olografica e può essere studiata con le tecniche di topologia algebrica della meccanica quantistica non-classica, ma ancora non
conosciamo la funzione d’onda che descrive la coscienza e il suo funzionamento; sappiamo solo che è legata a uno strano campo quantico, dove l’informazione non si propaga per segnali che vanno alla velocità della luce, ma si propaga istantaneamente per strani effetti di risonanza, innescati da ‘fattori di passione’. Ci vorranno ancora anni per mettere a punto gli operatori matematici che ci permettano di capire quantitativamente come la coscienza interagisca in maniera istantanea con la materia, l’energia, lo spazio e il tempo, ma ci arriveremo. La gente comune e l’establishment scientifico non sono pronti, e allora questo processo evolutivo nella scienza è in corso a porte chiuse. Ma avviene”. Là fuori, ‘qualcuno’ è rimasto congelato, senza tempo, senza spazio e senza possibilità di evolvere. La scintilla del contatto scaturisce dallo scontro tra la rabbia ‘aliena’ per questa immobilità e l’incoscienza dell’essere umano. Le forze aliene più visibili e materiali inseguono probabilmente l’obiettivo di ottenere un corpo costituito da componenti sia fisiche che astrali, ossia materia sottile e plasmabile. Tale possibilità è infatti peculiare dell’essere umano e rappresenta esattamente la sua connessione con l’aspetto divino positivo del Cosmo, e con la sua possibilità di evoluzione su piani di cui cominciamo soltanto a comprendere l’esistenza.
Giulia M. D’Ambrosio
Da molti anni studia il campo delle esperienze straordinarie. È stata co-autore in: Gagliardi G., Garzia P., D’Ambrosio G., Margnelli M., Fattori G. – Poltergeist: l’esplosione del distress infantile. In: Atti del Convegno Nazioneale Stress e infanzia, Torino, 30-31 marzo-1 aprile 1990, Edizioni Proing, pag. 429-442. Lavoro scientifico pubblicato e presentato al World Congress of the International Society of Hypnosis Monaco 2000: Alcune raccomandazioni sull’impiego dell’ipnosi con soggetti che riferiscono esperienze del genere Incontri Ravvicinati del Quarto Tipo (in collaborazione con il dottor Mario Cigada). Il suoi siti sono www.giuliadambrosio.it e www. primocontatto.net
Nasce a Milano. Laureata a pieni voti in Medicina e Chirurgia, e specializzata in Neuropsichiatria infantile, svolge la professione di medico e psicoterapeuta. Proviene da una formazione molteplice. Ha lavorato presso l’Università di Milano per 10 anni nel campo della neurofisiologia clinica, ha realizzato la stesura di lavori scientifici per riviste peer-review internazionali durante l ’iter universitario e specialistico, nell’ambito della ricerca in neurofisiologia clinica e si è specializzata con una tesi sulla Rottura dei legami di attaccamento come evento psicopatogeno.
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Le piramidi di Giza non sono edifici funebri
Secondo Robert Bauval riproducono sulla Terra le tre stelle della Cintura di Orione; secondo Mario Pincherle la piramide di Cheope nasconde al suo interno un pilastro di granito alto 60 metri, lo Zed. Queste ipotesi trovano nel libro conferma e prova definitiva della loro validità.
di Felice Vinci Omero nel Baltico
Ciclopi del Nord tempo di lettura 9 minuti
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Ciclopi del Nord
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Ciclopi dell’Odissea hanno lasciato le loro tracce nella letteratura nordica medievale: una saga vichinga (la Hàlfs saga ok Hàlfsrekka) racconta l’avventura di un navigatore che approda con i suoi uomini in una terra lontana, dove affronta un gigante minaccioso e lo sconfigge accecandolo con una “lancia infuocata”, dopo averne arroventato la punta sul fuoco: non si tratta di Ulisse, bensì del re vichingo Hjörleif, e la vicenda è ambientata nella Norvegia settentrionale: gli studiosi convengono che il motivo ricorda il mito di Polifemo. E tuttora, nei negozi di souvenir di Bergen, non è difficile trovare, tra gli spiritosi pupazzetti raffiguranti i Troll (esseri mitici, talvolta giganteschi e con un pessimo carattere), quelli con un solo occhio in mezzo alla fronte. Una traccia del mondo dei Ciclopi è forse rimasta anche nella toponomastica: lungo la costa della Norvegia settentrionale troviamo un Tosenfjorden, che ricorda il nome della madre di Polifemo: “... Lo generò Toosa, la ninfa/ figlia di Forchis, signore del mare instancabile/ nei cupi anfratti unita con Poseidone” (Od. I, 71-73). Davanti al Tosenfjorden vi sono alcune isole, tra cui potrebbe esservi l’”isola piatta” che il poeta colloca accanto all’approdo della terra dei Ciclopi. E, non lontano da lì, la montagna forata di Torghatten, il cui caratteristico “occhio” luminoso è ben visibile dalle navi di passaggio, potrebbe anch’essa aver contribuito alla costruzione del mito del gigante monocolo, che Omero paragona ad “un picco selvoso d’eccelsi monti”. D’altronde, lo storico e geografo medievale Adamo di Brema (XI secolo) colloca i Ciclopi, “che nella fronte hanno un solo occhio”, nell’area dei monti Rifei. I monti Rifei sono menzionati da vari geografi antichi, che di solito li situano verso l’estremo nord, nel-
la zona abitata dagli Iperborei. Vengono citati anche da Plinio, il quale ad un certo punto dà un’indicazione geografica molto precisa, allorché afferma che essi si trovano ad una latitudine assai settentrionale, corrispondente a quella di Tule. Ora, sempre Adamo di Brema identifica tout court Tule con l’Islanda: “Tule adesso è chiamata Islanda, a causa del ghiaccio che ricopre l’oceano” (“Thyle nunc Island appellatur, a glacie quae oceanum astringit”). E, a chiudere questa catena di relazioni fra la terra dei Ciclopi, i Rifei, Tule e l’Islanda, sta il fatto che l’area del Tosenfjorden, situata sulla costa norvegese attorno al 65° parallelo, oltre ad essere assai montuosa si trova effettivamente alla stessa latitudine dell’Islanda, che da quel parallelo viene “tagliata” esattamente a metà (la misura della latitudine, a differenza della longitudine, è piuttosto agevole, in quanto corrisponde all’altezza della Stella Polare sull’orizzonte del luogo dove si effettua la misura). Sarebbe a questo punto da chiedersi se il nome dei monti Rifei, chiamati anche Ripei, non sia accostabile a quello dell’Hypereia, la “terra alta” dove, a detta dell’Odissea, prima di scendere nella Scheria i Feaci avevano sofferto i disagi di una difficile convivenza proprio con i Ciclopi, “uomini tracotanti/ che li depredavano”. Il fatto che si trattasse di una regione montuosa collima con una precisa indicazione dell’Odissea, secondo cui i Ciclopi “vivono sulle cime di alte montagne”. In ogni caso, l’accostamento tra la Hypereia omerica ed i Rifei-Ripei è confortato dal fatto che, ripetiamo, l’una è la terra dei Ciclopi secondo Omero, gli altri sono i monti dei Ciclopi secondo Adamo di Brema. D’altronde è sempre Adamo di Brema, in una mappa comprendente le terre attorno al Mar Baltico e la Scandinavia,
TROLL IN VENDITA A BERGEN
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Ciclopi del Nord a collocare i Ciclopi lungo la costa della Norvegia settentrionale! E lì indica persino l’Isola dei Ciclopi (“Insula Cyclopum”). Ancora, in un altro passo di Adamo di Brema troviamo l’avventurosa navigazione verso l’estremo nord di un equipaggio frisone, che rischia di essere risucchiato dal grande gorgo, chiamato “voragine dell’abisso”, in cui si
Felice Vinci tracce di un popolo nomade), dove si narra che “fra tutti i mostri e i giganti che popolavano le estreme foreste della Lapponia, il più forte e coraggioso era Stalo”: costui era un orco malvagio, dedito all’antropofagia (“era molto avido di cervella umane”) e con “un occhio solo in mezzo alla fronte”, proprio come Polifemo. Tra i vari racconti che lo riguardano, il più in-
MAPPA DI ADAMO DI BREMA IN CUI COLLOCA I CICLOPI LUNGO LA COSTA DELLA NORVEGIA
trovano “tutti i movimenti del mare, che pare decrescere, essere assorbito e poi di nuovo rivomitato”. Notiamo che questi frisoni s’imbattono sia nel micidiale risucchio (facilmente identificabile con il famoso gorgo del Maelstrom, situato nella Norvegia settentrionale, all’estremità delle isole Lofoten, che corrisponde in maniera stupefacente alla descrizione che Omero fa di Cariddi), sia nei Ciclopi: infatti “videro uomini di altezza straordinaria, che i nostri chiamano Ciclopi”. Tutto ciò conferma che l’ambientazione è proprio quella delle avventure di Ulisse. Sempre riguardo ai Ciclopi, estremamente interessanti sono certe leggende lapponi (riportate da Roberto Bosi nel suo Lapponi: sulle
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teressante ai nostri fini è quello in cui egli viene accecato con l’astuzia da un Lappone suo ospite: subito dopo, continua il Bosi, “Stalo si alzò e, accortosi di essere ormai completamente cieco, tentò di agguantare il Lappone che però gli sgusciava di mano con grande facilità. Allora pensò di giocare anche lui d’astuzia. ‘Fa’ uscire le capre dalla capanna’ disse e si mise davanti alla porta a gambe larghe. Il Lappone sospingeva le capre che, per uscire, dovevano passare una alla volta e venivano tastate dal gigante. ‘Fa’ uscire per ultimo il capronÈ aggiunse Stalo. Mentre le capre uscivano una ad una, il Lappone uccise il caprone e ne indossò la pelle, quindi passò carponi tra le gambe di Stalo. ‘Molto benÈ disse Sta-
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lo, ‘ora puoi passare tu’. Ma il Lappone era già moso otre dei venti. Infatti, secondo l’Odissea, fuori e saltando di gioia, gridò: ‘Ma io sono già nell’isola Eolia Ulisse ricevette da Eolo, il re dei passato!’ Ormai battuto, Stalo pensò che solo venti, il dono più prezioso per un navigante: i suoi figli avrebbero potuto aver ragione di un otre, chiuso con una catenella d’argento, quell’uomo così astuto e lo pregò di dirgli il in cui erano imprigionati tutti i venti sfavosuo nome. ‘Certamente te lo dirò’ disse il Laprevoli che avrebbero potuto intralciargli la pone ‘mi chiamo io stesso’ Detto questo fuggì. navigazione verso casa. Ora, l’Eolia omerica Quando i figli di Stalo rientrarono e s’accorè collocabile nell’arcipelago delle Shetland sero che il grande caprone, cui erano molto per una serie di ragioni, tra cui la frequenza e affezionati, era stato ucciso, interrogarono il l’eccezionale violenza dei venti, che qui si scapadre. ‘Chi ha ucciso il nostro caprone?’ dotenano fino a 250 km/ora, nonché per l’aspetmandarono in collera. ‘Io Stesso’ rispose Stalo. to dirupato a cui queste isole devono il loro E lui stesso fu ucciso dai suoi figli”. Dunque questo racconto, oltre a ripercorrere par pari le modalità della fuga di Ulisse dalla grotta di Polifemo, addirittura riprende, ed in termini molto simili, il famoso gioco di parole, basato sul nome (fasullo) dell’ingegnoso prigioniero, con cui egli riesce a beffare il suo aguzzino, prevenendo la reazione degli altri Ciclopi. D’altronde è sempre nell’area della Lapponia che si colloca l’avventura nell’isola di Circe, dove Ulisse appena sbarcato non sa più “dove il sole sorga e dove tramonti”: è il fenomeno del sole di mezzanotte! Quanto alla stessa Circe, chiamata “polypharmakos”, “quella dalle molte pozioni”, ha le caratteristiche di una sciamana lappone. Non solo: uno stranissimo equivoco tra un remo e un ventilabro, ossia una pala da grano, oggetto della profezia che l’indovino Tiresia fa ad Ulisse nell’Ade omerico (anch’esso localizzabile nell’estremo nord), lo ritroviamo par pari, come segnalato dal grande studioso Georges Dumézil, nella figura di Bieka-Galles, un dio della Lapponia, il cui culto è durato fino a tempi relativamente recenti: costui infatti viene raffigurato con LA COLLERA DI POLIFEMO AFFRESCO DI ANNIBALE CARRACCI in mano un remo che è anche un ventilabro... nome, originariamente Hjaltland, “terra alta”, Ma non è questo l’unico esempio di persida cui è derivato l’attuale nome Shetland, che stenza di un mito omerico dall’età del bronzo ben s’attaglia alla descrizione omerica: “Nuda fino all’epoca attuale: un altro è quello del fas’ergeva la roccia”. Ora, una straordinaria con-
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ferma di tale identificazione dell’Eolia con una delle Shetland (dove vi è un’isola chiamata Yell) la troviamo nel Ramo d’oro di James Frazer: “I marinai delle Shetland comprano ancora oggi i venti sotto forma di fazzoletti e spaghi, annodati dalle vecchie che pretendono di saper governare le tempeste. Si dice che a Lerwick, il capoluogo dell’arcipelago, vi siano delle vecchie megere che vivono vendendo i venti”. Se pensiamo che il Frazer ha compiuto le sue ricerche sui miti, il folklore e le tradizioni di tutto il mondo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, possiamo renderci conto dell’incredibile persistenza di certe credenze e di certe tradizioni, a dispetto dei secoli, anzi, dei millenni! E, a questo punto, le venditrici dei venti di Lerwick ci confermano che con ogni probabilità il famoso calzolaio di Eratostene (lo studioso greco a cui dobbiamo l’ironica frase che “si troveranno i luoghi delle peregrinazioni di Ulisse quando si troverà il calzolaio che ha cucito l’otre dei venti”), a cui per tanto tempo è stata data invano la caccia, aveva la sua bottega proprio da quelle parti, nei mari tempestosi dell’Europa settentrionale. Tornando a Stalo, è sempre lui che in un’altra storia lappone “rovescia pietre tanto grandi che la gente di oggi non riesce a spostarle, fossero pure venti uomini”, il che rappresenta un’ulteriore conferma della sua identità con il ciclope omerico, il quale “aggiustò, sollevandolo, un masso enorme, pesante, / che chiudeva la porta: io dico che ventidue carri/ buoni, da quattro ruote, non l’avrebbero smosso da terra; / tale immensa roccia, scoscesa, mise
Felice Vinci Felice Vinci è ingegnere nucleare con la passione di Omero e della mitologia greca. Ha iniziato la sua ricerca sulla reale localizzazione dell’Iliade e dell’Odissea nel 1992. Negli anni è riuscito a trovare numerose coincidenze e tracce di un passato nel nord Europa e ha racchiuso le sue scoperte nel libro “Omero nel Baltico” che è stato aggiornato più volte e tradotto di molte lingue.
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a chiuder la porta”, e poi, il mattino successivo, “dopo aver mangiato spinse fuori dall’antro le pecore pingui, / senza fatica togliendo l’enorme masso; ma subito/ ve lo rimise, come se alla faretra rimettesse il coperchio”. Notiamo anche che Polifemo, oltre a spostare facilmente enormi massi, secondo Omero era anche in grado di lanciarli: “Strappò la cima di un monte enorme e la scagliò, / la fece cadere davanti alla nave, / sfiorò quasi il timone”. Ora, nel folclore norvegese “riguardo ai giganti si racconta che essi hanno lanciato o fatto rotolare questo o quello dei molti giganteschi massi erratici del paese” (Enciclopedia Treccani). Tutto ciò conferma ulteriormente l’ambientazione nordica del mondo omerico, dove si ritrovano tutti i fenomeni dell’estremo Nord: oltre al sole di mezzanotte (talvolta chiamato da Omero “Sole Iperione” (Hyperion), “quello che va al di sopra”), vi sono le notti chiare del solstizio d’estate (che consentono la prosecuzione notturna della battaglia più lunga dell’Iliade, impensabile in un contesto mediterraneo), le tenebre di quello invernale, le cosiddette “albe rotanti” (che preannunciano il ritorno del sole alla fine della notte solstiziale), le aurore boreali e perfino una particolare anomalia delle fasi lunari, che si ritrova, suscitando comprensibili perplessità negli studiosi, nell’Inno omerico a Hermes e che si può spiegare soltanto con l’alta latitudine. Già questo dovrebbe bastare a dissipare ogni dubbio sul fatto che il mondo originario di Ulisse era assai lontano da quello della Grecia e del Mar Egeo.
Un documentario è stato trasmesso da Voyager nel 2008 girato in Finlandia e in Norvegia.
Omero nel Baltico Palombi Editori, 2008 vai scheda libro >>
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di Gabriele Rossi Osmida La scoperta della piĂš antica chiesa cristiana. Parte I
Il sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)
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Il sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)
Gabriele Rossi Osmida
MAPPA DELL’IMPERO SASANIDE (220-652). IN ALTO, A DESTRA, IL GRANDE CENTRO COMMERCIALE DI MERV OGGI NEI PRESSI DI MARY (TURKMENISTAN).
IL
sito di Haroba Kosht (lett. : “Castello in rovina”) si trova nella Repubblica del Turkmenistan, Regione di Mary, comune di Bayram Alì ed è compreso nel Parco Storico-Archeologico dell’Antica Merv, posto sotto la tutela dell’Unesco. Le sue coordinate geografiche GPS sono: 37°45’12.07” N e 62°05’41.76” E. Per la struttura anomala rispetto alle altre costruzioni medievali della Margiana, è considerato di grande importanza dal Ministero per i Beni Culturali che ha conferito mandato all’archeologo Gabriele Rossi Osmida di recuperarlo e restaurarlo. Grazie alla disponibilità del Consiglio Re-
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gionale del Veneto e del Centro Studi Venezia-Oriente, a partire dal 2009 ebbe inizio una campagna triennale che ha portato al recupero e alla messa in sicurezza del sito, in stretta collaborazione con il National Department of Turkmenistan for Protection, Research and Restorations of Historical and Cultural Monuments. Le prime notizie storico-archeologiche sul sito di Haroba Kosht si devono a G. Pugacenkova che, nel 1951 e nel 1958, lo visitò intuendo che questo edificio doveva esser stato costruito da una comunità cristiana. Nel 1966, una squadra della missione sovietica dello YuTAKE sotto la direzione di
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Il sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.) G.Y.Dresvyanskaya, operò degli scavi di assaggio al suo interno. Ma, dal momento che non si provvide a drenarli, le strutture murarie che ancora esistevano collassarono riducendo il tutto ad una collinetta informe di detriti. Della rovina provocata da questi scavi si possiede una puntuale documentazione attraverso le fotografie conservate presso l’archivio del National Archaeological Park of Ancient Merv che segnalano l’esistenza, a ovest, di un articolato edificio su due piani dotato di stanze interne e munito di porte e finestre; e, sul lato est, di una imponente costruzione sormontata dai resti di una cupola. Sull’impiego religioso dell’edificio concordarono anche altri studiosi sovietici che però non sempre sostennero la matrice cristiana, avanzando l’ipotesi che fosse una struttura utilizzata per il culto zoroastriano. Ipotesi fermamente esclusa da Pugacenkova che, a ragione, ricorda come sia difficile collegare l’edificio di Haroba Kosht allo Zoroastrismo in
Gabriele Rossi Osmida quanto “… i Templi del Fuoco erano strutture chiuse e i luoghi sacri presentavano delle aree circolari…” di cui non esiste traccia a Haroba Kosht. Seguirono anni di discussioni lasciando insoluto questo problema che, per gli studiosi, divenne un vero enigma. Fino al 2009 quando ebbero inizio i lavori della missione italo-turkmena che si conclusero nel 2011.
Campagna 2009 Il primo intervento è stato riservato alla bonifica e alla messa in sicurezza del sito. Si è pertanto provveduto alla rimozione delle macerie e dei rifiuti accumulati lungo i fianchi della struttura e al loro trasferimento in una discarica. Successivamente si è rimosso il terriccio incoerente e si sono raccolti i frammenti di ceramica che abbiamo deposi-
IN ALTO IL LATO SUD DI HAROBA KOSHT FOTOGRAFATO DA G. PUGACENKOVA NEL 1958. IN BASSO LO STESSO LATO FOTOGRAFATO DALL’AUTORE NEL 2003
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Il sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.) tato nei magazzini del National Archaeological Park of Ancient Merv. A parte, si sono accatastati i mattoni e i frammenti di mattone sparsi tra le macerie, in previsione di un loro possibile riutilizzo. Il secondo intervento che si imponeva era un rilievo topografico strumentale del sito con evidenziate le quote per poter programmare una mirata sequenza delle operazioni successive. Poiché, dal punto di vista archeologico, l’edificio in questione è costituito dalla sovrapposizione di più livelli di mattoni avvenuta in epoche diverse, si evidenziò la necessità di assegnare con certezza i diversi tipi di mattone alle diverse epoche per stabilire una corretta sequenza diacronica. Si realizzò così una banca-dati dei mattoni presenti nel Parco Archeologico di Merv raccogliendo campioni dalle principali strutture che furono sottoposte ai laboratori dell’Istituto Sperimentale e di Diagnostica per la Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali di Bergamo (Zeila) per individuarne sia le caratteristiche tipo-cronologiche che i caratteri fisico-chimici. Come consigliato dal Dipartimento per la Tutela e la Conservazione dei Monumenti del Ministero della Cultura del Turkmenistan, si è creato un dosso perimetrale per confluire le mandrie di bovini e cammelli lungo un sentiero obbligato, limitando così i danni derivanti dai loro quotidiani sconfinamenti sull’area archeologica. Di comune accordo con gli esperti del Ministero della Cultura, abbiamo deciso di occuparci in prima battuta dell’angolo SW per testare sia il metodo che i materiali, verificandone la tenuta durante le stagioni critiche: il grande freddo e la grande piovosità del periodo gennaio-febbraio e il grande caldo di luglio-agosto. L’angolo SW è stato quindi attrezzato con un sistema di drenaggio basato su di una rete di canali di scolo confluenti su una serie di pozzi di raccolta distribuiti lungo il perimetro. Va opportunamente segnalato che, a ridosso della struttura, si è scavato un canale largo circa un metro, spingendolo per circa 50 cm al di sotto della piattaforma basale in mattoni in
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Riferimenti Cronologici 253 a.C. 224 d.C. 220 240 313
320 322 431
476 498
632 652 651 748 800 1037 1145 1153
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La dinastia dei Parti Arsacidi regna sull’impero Persiano e in Turkmenistan il sasanide Ardashir I conquista Merv Impero Romano: Editto di Tolleranza promulgato da Costantino e Licinio imperatori. Libertà a tutti i culti, anche al Cristianesimo che viene citato per la prima volta. Costantino unico imperatore di Roma Si costruisce la nuova capitale Costantinopoli sul luogo dell’antica Bisanzio Concilio di Efeso. Condanna di Nestorio e suo esilio in Egitto. A Seleucia-Ctesifonte i suoi seguaci costituiscono un primo nucleo separatista che porterà gradualmente alla costituzione di una Chiesa Nestoriana Caduta dell’Impero Romano d’Occidente Il patriarca di Seleucia diviene patriarca nestoriano di Persia, Siria, India e Cina. Gode dell’appoggio sasanide mentre i cristiani ortodossi vengono espulsi per la loro dipendenza dagli imperatori bizantini. ultimo re sasanide Yazdegerd III, ucciso nei pressi di Haroba Kosht inizio occupazione araba di Merv (Omayyadi) Merv capitale degli Abassidi che si oppongono alla dinastia omayyade Carlo Magno imperatore del Sacro Romano Impero i Turchi selgiuchidi prendono pacificamente possesso di Merv Merv è la più grande città del mondo (200.000 abitanti) superando Costantinopoli che, dal 1127, deteneva questo primato invasione di Tolui figlio di Gengis Khan. Distruzione e scomparsa di Merv.
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IL SISTEMA DI DRENAGGIO APPLICATO NEL 2009 AL SETTORE OVEST PER ARRESTARE LE PERICOLOSE INFILTRAZIONI PIOVANE CAUSATE DAGLI SCAVI DEL 1966
modo da consentirne l’aerazione. È stato durante questo scavo che sono venute alla luce alcune interessanti testimonianze partico-ellenistiche (II-III sec.d.C.). Si è quindi proceduto alla messa in luce di una sezione muraria corrispondente ad un probabile ingresso dell’edificio fino alla sua soglia. Grazie alla rapida trasmissione dei risultati delle analisi sui mattoni crudi e sui campioni di intonaco esterno fornitici dai Laboratori “Zeila”, abbiamo potuto utilizzare materiali tipici dell’ambiente turkmeno operando secondo i principi dell’archeologia sperimentale senza ricorrere a componenti acrilici o a sigillanti. Per questo si è scelto come legante una malta elastica costituita da inerte macinato e setacciato raccolto sul posto, gesso di origine locale e fibre vegetali frammentate in piccole dimensioni, nel rispetto della tradizione costruttiva tradizionale.
Campagna 2010 Dopo aver verificato l’esito positivo del metodo applicato durante la campagna del
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2009, si è deciso di continuare con questo tipo di intervento. Pertanto si è provveduto a mettere in luce buona parte del lato sud e l’angolo sud-ovest ripulendo i mattoni ed erigendo dei contrafforti in mattoni crudi dove le strutture erano pericolanti o insicure. Dopo aver consolidato il tutto, si è passati alla ricostruzione di porte e finestre restituendole alle forme documentate fotograficamente nel 1958 e 1966. Infine, per mettere in sicurezza la struttura, si è prestata la massima attenzione alla copertura che, a causa degli interventi sovietici, rappresenta il principale pericolo per la stabilità del monumento. Abbiamo quindi creato sulla copertura un piano a doppia pendenza, convergente su due canali di scolo che scaricano l’acqua piovana alla base dei lati nord ed ovest dove abbiamo scavato delle fosse di raccolta idrica. Si è quindi provveduto a ricoprire il tutto con strati alternati di glyna rinforzata con gesso, tenuti assieme da una rete di contenimento in fibra di vetro. In questo modo si è letteralmente “inscatolato” l’edificio impedendone un ulteriore degrado. Laddove le strutture murarie si sono rinvenute in condizioni ottimali, si è deciso di non
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IL RECUPERO DELLA GRANDE PORTA AD ARCO ACUTO N.2D. SI OSSERVI AL SUO INTERNO LA FITTA STRATIFICAZIONE LAMELLARE TIPICA DEI DEPOSITI DI RIEMPIMENTO CAUSATI DAL TRASPORTO DI ELEMENTI ARGILLOSI ATTRAVERSO IL PERCOLAMENTO DELL’ACQUA PIOVANA
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GLI OPERAI PREPARANO DELLE BOCCE DI GLYNA DA INSERIRE A FORZA NEI PUNTI INSTABILI DELLA MURATURA COME RINFORZO. LA GLYNA È UN IMPASTO DI LARGO UTILIZZO IN ASIA CENTRALE E NEL MEDIO ORIENTE COSTITUITO DA SABBIA ARGILLOSA SETACCIATA, GESSO E MINUTI FRAMMENTI DI PAGLIA
ricoprirle totalmente con il plaster protettivo lasciandone scoperto qualche tratto con funzione di testimone.
Campagna 2011 Agli inizi di aprile abbiamo proceduto per gradi alla messa in luce e al rinforzo delle parti ancora sommerse dell’edificio e al consolidamento statico dei picchi pericolanti. Durante questi interventi, sul lato est, è venuta in luce la facciata principale della struttura, provvista di una porta ad arco centrale in mattoni cotti e con le spalle ricoperte da tavelle in crudo e in cotto. Sull’angolo NE è stato rinvenuto un pozzo destinato all’alloggiamento di un grande orcio, simile ad analoghi visibili in superficie sulla cima e sui fianchi del vicino Düýe çöken tepe, una residenza reale di epoca sasanide. Sul lato nord, inoltre, è apparsa una struttura addossata al corpo principale che lascia supporre l’esistenza di un articolato edificio a
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supporto del sito principale. La base del monumento è stata quindi circondata da un ampio fossato largo circa 2 metri e profondo in media 70 cm, per arieggiare la costruzione e raccogliere le acque di impluvio convergendole su tre pozzi praticati ai lati est, sud ed ovest. Per il lato nord questo non si è ritenuto necessario dato che i lavori agricoli avevano già creato una sufficiente depressione che convergeva su di un canale irriguo. Con la stesura del rilievo definitivo, la documentazione fotografica e filmata e il restauro dei principali reperti raccolti che sono stati depositati presso la direzione del Parco Archeologico di Merv, si è concluso il previsto ciclo di interventi.
Descrizione del monumento Ultimati gli interventi su Haroba Kosht si è constatato che questo monumento è di fatto costituito da due parti nettamente distinte
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IL PORTALE EST, ENTRATA PRINCIPALE DELLA STRUTTURA PRIMA DELLA SUA TRASFORMAZIONE IN UN MONASTERO NESTORIANO. IN EPOCA SELGIUCHIDE È STATO RINFORZATO CON TABELLONI IN COTTO.
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PIANTA DEL COMPLESSO DI HAROBA KOSHT CON EVIDENZIATI GLI EDIFICI A E B, DI EPOCHE DIVERSE, FUSI ASSIEME VERSO L’EPOCA SASANIDE TARDA
tra loro: una costruzione longilinea, più stretta, verso ovest (Edificio A) e una più massiccia e più allargata verso est (Edificio B) costruite in momenti diversi ma sempre in epoca sasanide, con restauri e interventi di epoca selgiuchide. Solo l’Edificio A ha offerto testimonianze di epoche anteriori, specificamente del periodo partico-ellenistico (monete, statuette, ceramica, bronzo, ecc.) in occasione della messa in luce del suo basamento e della creazione dell’adiacente canale di drenaggio. Il corpo principale è orientato lungo l’asse 300° W g 120° E ma, nella descrizione, per praticità faremo riferimento direttamente ai quattro punti cardinali. L’edificio è lungo 55 m, largo da 13 a 18 m. Fino a 34.5 metri da ovest verso est, la larghezza si mantiene sui 13 metri, poi si evidenzia una sporgenza che, sul lato sud, è di 1.60 mt mentre sul lato nord sembra essere più accentuata. Questa sporgenza continua per circa 8.5 metri per poi rastremarsi per altri 9 metri e allargarsi nuovamente nella facciata est dove raggiunge la larghezza massima di 18 metri.
Facciata lato est Originariamente l’entrata principale si trovava sul lato est, di fronte ad un tratto dell’an-
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tica via che conduceva a Horezm e al Caspio. Al centro della facciata si apriva una grande porta d’accesso con arco “a tutto sesto” poggiante su due massicci piedritti, mantenuto in tensione da cunei e da “chiavi di volta”. Il tutto è stato realizzato con tavelle in cotto di dimensioni diverse. Questo particolare fisserebbe la sua costruzione in epoca selgiuchide, ma è probabile che una porta a est esistesse già in epoca sasanide e che quella che noi ammiriamo sia stata realizzata nel corso degli interventi di restauro che hanno coinvolto l’Edificio B. Queste, a titolo informativo, le principali dimensioni della porta in oggetto: altezza massima m 2,80; larghezza massima m 270; larghezza massima dell’arco m 2,40; altezza massima dell’arco m 1,00; larghezza dei piedritti m 0,65. Come segnalato in precedenza, lo spessore stimato è di circa 1,20 m. È interessante osservare che gli spigoli interni delle spalle (o piedritti) sono sensibilmente arrotondati per l’uso fino ad altezza d’uomo. Si presume che, varcando il portale, i fedeli, per qualche motivo rituale o beneaugurante (come usa ancora in alcuni santuari) ne accarezzassero la soglia. La struttura massiccia del portale troverebbe una propria giustificazione per il fatto che doveva sopportare la spinta di una grande cupola sovrastante i cui resti erano ancora visibili nel 1968. Funzione di sostegno che
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spiegherebbe anche le due pareti inclinate rebbe per la derivazione sasanide ritenendo ai lati del portale costruite con compito di che gli interventi di epoca selgiuchide si siacontrafforte, che poggiano su di un muro di no limitati ad una sua ristrutturazione con l’ucontenimento alto 110 cm su cui è stata sotilizzo di tavelle in cotto. vrapposta a spiovente la copertura dell’edificio realizzata a gradoni e ricoperta con tavelle accostate: sotto, crude, sopra in cotto. Nel corso di interventi di trasformazione e di restauro avvenuti in epoca selgiuchide tarda, il portale venne parzialmente murato ricavando una nicchia con, sul fondo, una finestra (=finestrata) con arco a sesto acuto. La tipologia del grande arco a tutto sesto, fino ad oggi pressoché sconosciuto dall’architettura di Merv, pone un quesito sulla sua provenienza: o è stato importato in epoca sasanide dall’area mesopotamica dove esistono altre strutture simili, oppure proviene dall’Anatolia selgiuchide influenzata dall’architettura bizantina. DURANTE LA MESSA IN LUCE DELLE SPALLE IN MURATURA, Per una serie di motivi legati sia alla INCASTRATA TRA IL PIEDRITTO DI DESTRA E LA RADICE DI UN ARBUSTO, È STATA RINVENUTA UNA CROCE TIPICA DELLA storia dell’insediamento nestoriano di TRADIZIONE NESTORIANA. LA CROCE PETTORALE NESTORIHaroba Kosht che ad un ventaglio di reANA, IN BRONZO-RAME È NOTA ANCHE COME “CROCE DI SAN perti individuati durante i lavori di sterro, TOMMASO” O “CROCE DI GLORIA”. attualmente si propende-
Gabriele Rossi Osmida Archeologo, giornalista e scrittore, esperto in Storia delle Esplorazioni e delle Scoperte Geografiche della Società Geografica Italiana. È Presidente del Centro Studi e Ricerche Venezia-Oriente “Antiqua Agredo”. Dirige la collana “I know the Central Asia” prodotta dalla Casa Editrice «Il Punto» di Padova. Nel 1996 ha curato la ristrutturazione del Museo Nazionale di Ashgabat su mandato del Ministero alla Cultura del Turkmenistan e di ENI-AGIP. Ha condotto ricerche nell’ex Yugoslavia, Romania, Egitto, Sudan, Madagascar, Niger, Iran e Asia Centrale. Già direttore del progetto “Berel-Altai” (Kazakhstan) patrocinato dal Ministero Affari Esteri, è responsabile per la parte italiana delle ricerche archeologiche nel progetto congiunto
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“Gobi Altayn Geo-Archaeology” (Mongolia) promosso dal CNR-IRPI. È Honor Professor alla State Academy di Ashgabat (Turkmenistan) dove tiene corsi di propedeutica archeologica e collabora strettamente con la Haward University e il Peabody Museum (USA). Da quasi vent’anni conduce le missioni archeologiche italo-turkmene in Margiana sostenute dal Ministero della Cultura del Turkmenistan e dal Ministero Affari Esteri Italiano. Dal 2001 dirige le ricerche nell’oasi di Adji Kui dove ha scoperto una nuova civiltà del III-II mill.a.C. nota col nome di Civiltà delle Oasi. Dirige le operazioni di recupero e di restauro del sito cristiano nestoriano di Haroba Kosht (Oasi di Merv, Turkmenistan) con il contributo del Consiglio Regionale del Veneto. È autore di diverse pubblicazioni a carattere storico e archeologico.
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di Luigi e Margherita Guccione g Bavagnoli g g Archeologia del Sottosuolo
Il passaggio segreto di S. Marco tempo di lettura 7 minuti
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ebbene l’”Archeologia del Sottosuolo”, multi disciplina all’interno della quale convergono speleologia in cavità artificiali, archeologia, geologia, storia, antropologia, architettura e molte altre branche ancora, si occupi di ogni opera ipogea realizzata dall’uomo, il passaggio segreto è indubbiamente quella di maggior fascino. Sia che si tratti di un camminamento segreto per abbandonare un fortilizio assediato o di una galleria nascosta capace di collegare un edificio ad un altro, ci ritroviamo, in ogni caso, ad indagare su di un mistero. Alla ricerca di un opera cunicolare volutamente occultata e nascosta dai nostri antenati. L’uomo ha cavato il sottosuolo da tempo immemore, per inumare, per cercare l’acqua, per realizzare un rifugio, per estrarre minerali, e così via. In questo modo ha realizzato una gran varietà di cavità, un patrimonio spesso sottovalutato ma ancora perfettamente in grado di fornire preziose indicazioni complementari a studi archeologici tradizionali. Questo perché le opere in sotterraneo, di norma, subiscono meno le modificazioni che affliggono gli elevati nel corso del tempo. Fenomeno accentuato ancora di più quando un edificio viene demolito. Ben raramente ci si occupa di smantellare e di demolire le fondazioni e le opere sotterranee, quali pozzi, cisterne, cunicoli. Anzi, sovente queste opere vengono reimpiegate, riutilizzate adattandole alle nuove esigenze. La nostra indole è quella di esplorare. È ciò che facciamo fin dalla primissima infanzia, durante la quale impariamo a conoscere, tramite l’esperienza diretta, l’ambiente che ci circonda. Ed è proprio a questo primordiale istinto che ci siamo appellati quando, ancora una volta, abbiamo sentito raccontare la leggenda del passaggio segreto nella chiesa di S. Marco di Brera, nel cuore di Milano. La Chiesa, che venne edificata nel 1254 per volere del Priore degli Eremitani di Sant’Agostino, Lanfranco Settala, sorge su di una precedente fondazione risalente al 1177. L’intitolazione a S. Marco sembra essere un omaggio a Venezia, che aiutò la città di Milano nel periodo delle lotte contro Federico Barbarossa. Originariamente di impianto go-
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Luigi Bavagnoli e Margherita Guccione tico, venne modificata nel corso del Seicento secondo il gusto barocco. La sua facciata, che risale al 1872 ed è frutto dell’intervento di restauro di Carlo Maciachini1, presenta bifore e trifore goticheggianti, un grande rosone e un portale ad arco a tutto sesto, decorato nella lunetta con un mosaico raffigurante la Madonna e i Santi. L’interno è composto da tre navate e nove cappelle. All’interno della prima cappella, lungo la navata destra, sono conservati affreschi cinquecenteschi con le Storie di San Pietro e San Paolo, realizzati da Paolo Lomazzo2 e un presepe in carta, opera del Londonio3. Nel transetto si trova il monumento funebre del beato Lanfranco Settala. Nel XVIII secolo, come ricorda una targa, la canonica ospitò per tre mesi un giovanissimo Mozart. Il 22 maggio 1874, inoltre, venne eseguita per la prima volta la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, che diresse egli stesso e che aveva composto per onorare lo scrittore Alessandro Manzoni nel primo anniversario della scomparsa. La leggenda, tramandata da tempo imme1) Carlo Francesco Maciachini è stato un archi-
tetto italiano. La sua opera più famosa è senz’altro il Cimitero Monumentale di Milano, la cui costruzione gli venne affidata nel 1863.
2) Giovanni Paolo Lomazzo, pittore e trattatista italiano dell’età del Manierismo, verso la fine degli anni ‘60 e i primi ‘70 dipinse una serie di pale d’altare per chiese milanesi, quasi sempre su tavola, caratterizzate da uno stile monumentale e severo. Il suo ciclo pittorico più importante, però, è certamente quello conservato nella Cappella di Pietro Foppa nella chiesa di S. Marco a Milano (1573). 3) Francesco Londonio, pittore, viene ancora oggi ricordato per essere stato tra gli artisti più operosi nel Settecento per le famiglie private milanesi. Egli fu infatti un valente ritrattista non solo per le casate dell’antica aristocrazia (i Borromeo, per esempio), ma anche per la nuova nobiltà, quella composta da imprenditori come i Greppi, i Tanzi o i Mellerio. La sua opera massima, e anche la più curiosa, è certamente rappresentata dal presepio realizzato nel 1750 per la Chiesa di San Marco, composto da una trentina di figure lignee ricavate da tavole di legno e poi dipinte.
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Il passaggio segreto di S. Marco
Luigi Bavagnoli e Margherita Guccione
LA TECA DELLA MADONNA DELLA CINTURA, CON GLI ESPLORATORI IN AZIONE
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IL POZZO VERTICALE CHE DALLA BOTOLA CONDUCE ALLA BASE DELL’AMBIENTE SOTTERRANEO
more, veniva ulteriormente confermata da un signore che prestò servizio come sagrestano fino a diversi anni addietro, poi pensionatosi. Quell’uomo ne era convinto, sebbene non l’avesse mai visto, ma a sua volta aveva sentito il racconto dall’uomo che lo aveva preceduto e forse quest’ultimo ne era venuto a conoscenza nel medesimo modo. Le informazioni in nostro possesso erano quindi generiche e molto approssimative e nessuno era mai stato autorizzato in precedenza a condurre un’indagine sistematica per la sua ricerca. Grazie alla collaborazione ed alla disponibilità del parroco, Monsignor Testore, ci rechiamo in chiesa un sabato mattino per il sopralluogo. L’indagine preliminare ci ha condotto in ogni angolo della chiesa e del cortile interno del chiostro, osservando porte, grate, mura-
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ture, tamponature, prendendo misurazioni e fermandoci per fare ipotesi. Nonostante l’accurata metodologia seguita, non era emerso nessun risultato di interesse. Solo in alcuni ambienti nei pressi del chiostro è parso evidente che i soffitti fossero troppo bassi a causa di una ripavimentazione e la presenza di una tamponatura lungo un corridoio avrebbe potuto indicare l’esistenza di una nicchia se non di un cunicolo orientato in direzione della chiesa. I nostri antenati avevano architettato tutto talmente bene che eravamo quasi persuasi si trattasse solamente di una leggenda. Occorreva cercarlo proprio dove nessuno lo avrebbe cercato. Il piano di studio non poteva che proseguire con la pianificazione di una seconda giornata di studio, organizzata con l’ausilio di un georadar.
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Luigi Bavagnoli e Margherita Guccione
FASE DELL’ESPLORAZIONE, SI NOTI NELLA PARTE SUPERIORE DELL’IMMAGINE, IL BASAMENTO LIGNEO SU CUI POGGIA LA STATUA
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Il passaggio segreto di S. Marco Dopo aver richiuso mestamente gli zaini ed aver effettuato alcuni ultimi tentativi quasi disperati di trovare qualcosa, ecco che viene localizzata una botola. L’entusiasmo si era riacceso improvvisamente. La botola era nascosta quasi sotto ai piedi della grande statua lignea della Madonna della Cintura, conservata all’interno della grande teca collocata sopra l’altare della prima cappella laterale destra. Un luogo cui nessuno avrebbe mai fatto caso. Inoltre, la pavimentazione a parquet raffigurante motivi geometrici occultava molto bene i due cardini in ferro ed una piccolissima maniglia che consentiva la sua apertura. Dalla botola è possibile accedere ad un vano più basso, interno all’altare e rivestito in muratura. L’ulteriore discesa era in origine possibile grazie a sette gradini in pietra sporgenti dalla muratura. Si raggiunge così la base di questo primo vano, il quale un tempo doveva essere dotato di una pavimentazione oggi scomparsa. È però ancora possibile scendere ulteriormente in un secondo vano, alla base del quale è ipotizzabile l’apertura di un cunicolo. Esso si articola in direzione ortogonale alla navata, orientato verso l’interno della chiesa, ed è quasi totalmente interrato. Solo un’ope-
Luigi Bavagnoli Speleologo ed esploratore, è il presidente dell’associazione speleo-archeologica TE.S.E.S. (www.teses.net), da lui fondata nel 1996, che si prefigge di ricercare, studiare ed esplorare gli ambienti sotterranei realizzati dall’uomo. È stato co-fondatore e consigliere della Federazione Nazionale Cavità Artificiali, che ha lasciato nel 2008, dopo tre congressi nazionali di Archeologia del Sottosuolo ed alcune importanti pubblicazioni presso il British Archeological Reports di Oxford. Appassionato di storia, archeologia, geologia, folklore ed esoterismo tiene anche numerose conferenze sulle ricerche, e le scoperte effettuate.
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Luigi Bavagnoli e Margherita Guccione razione di sterro potrebbe portarci alla corretta comprensione del manufatto che potrebbe anche essere un semplice scasso del muro. È stato però notato, durante operazioni successive, che in seguito ad abbondanti piogge, l’ambiente si ammorba di acqua stagnante. Questo evento fa ipotizzare un possibile collegamento di questo “pozzo” con il vicino canale voltato che scorre sotto a via Fatebenefratelli. Questa teoria potrebbe confermare il suo utilizzo come via di fuga sotterranea e segreta, nel momento in cui avrebbe potuto così raggiungere la spalletta dell’ex canale. Allo stato attuale delle indagini solo lo sterro dell’ipogeo può o meno portare alla conferma del cunicolo come camminamento di fuga. Resta invece la certezza che il vano, della profondità complessiva superiore ai cinque metri, sia stato realizzato o riutilizzato con la funzione di nascondiglio, dal momento che il suo accesso appare ancora oggi così ben occultato. BIBLIOGARFIA La chiesa di San Marco a Milano, a cura di M.L. Gatti Perer, Milano 1999.
Margherita Guccione Coltiva da sempre una grande passione per tutto ciò che concerne l’archeologia e le materie storico-artistiche, tanto d’abbandonare gli studi in Giurisprudenza per dedicarsi ai Beni Culturali. Entra a far parte dell’associazione T.E.S.E.S. nel 2010 e dimostra fin da subito di essere, oltre che preparata, anche un’ottima esploratrice. Tutto ciò, insieme all’esperienza maturata esplorando ambienti sotterranei e dimenticati, le dà la possibilità di promuovere la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico ed archeologico italiano. All’interno dell’associazione è la responsabile delle ricerche storiche e culturali.
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di Mario Balocco La porta del tempo
Il Cerchio della Vita tempo di lettura 12 minuti
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partire dall’epoca dell’Illuminismo, dal senso profondo dell’esistenza. della Rivoluzione francese e della Nell’antichità più remota il cerchio della prima industrializzazione, nel mondanza costituiva la migliore immagine per do europeo e occidentale si andò affermando esprimere il significato dell’esistenza, mentre la convinzione che l’uomo fosse in grado di a partire dal ’500 la linea retta delle esploraspezzare il collegamento con il proprio centro zioni geografiche e intellettuali sostituì gradi rotazione, partendo per la tangente di una dualmente la circonferenza che la saggezza libera e spassionata esplorazione. Almeno dal antica aveva posto a simbolo del mondo. Fino punto di vista mentale l’umanità, in tal modo, ad alcuni secoli fa, chiunque “sapeva” che la ha creduto di essersi sganciata dall’orbita fervita era tutta un girotondo, e i filosofi della rea della Natura per muoversi secondo un Natura si ponevano pertanto alla ricerca del percorso rettilineo e autonomo. “centro motore”, mentre i profani si godevano Questa sorta di incanto collettivo fu successivamente avvalorato da una lunga serie di realizzazioni scientifiche e di applicazioni tecnologiche, che rafforzarono il senso di una latente onnipotenza umana in fase di graduale manifestazione. Fin dalla prima metà del ’700, all’interno di alcuni circoli iniziatici, questa infatuazione fu interpretata come un segno che “l’epoca di confusione” si andava aprendo. Contrariamente a ciò, nella moltitudine profana la convinzione di andare incontro a un periodo di progresso e di miglioramento senza limiti conquistò rapidamente tutte le classi sociali, fino a trasformarsi nella seconda metà del XX secolo nell’unica religione intimamente riconosciuta e inconsciamente praticata a livello planetario. Ci troviamo quindi oggi, all’alba del terzo millennio, di fronte a una società fermamente convinta di procedere in avanti, mentre in realtà continua come sempre a girare su se stessa, orbitando intorno all’unico “punto” dal quale nasce il Mondo. Seguendo l’esempio della ruota, la vita di ogni giorno perCUPIDO CON LA RUOTA DELLA FORTUNA DI TIZIANO VECELLIO corre l’eterno cerchio dell’esistenza e il mentalismo generato dalla coscienza cerebrale si muove, invece, in direzione retcon spontaneità la bellezza della danza. tilinea, nell’illusione di un progresso che in Le allegorie dei Misteri medioevali, che verità non esiste. Aerei più veloci e navi più raffigurano la precaria stabilità dell’equilibrio grandi, comunicazioni istantanee e terapie esistenziale con l’immagine della “Ruota deld’urto finiscono per illuderci che davvero ci la Fortuna” e il continuo divenire degli eventi stiamo allontanando dal mondo oscuro e ricon la “Danza della Morte”, ci permettono di stretto nel quale vivevano i nostri antenati: si capire quanto fosse profonda e radicata nelle tratta, però, solo di artifici che ci allontanano popolazioni la consapevolezza di una circola-
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Il Cerchio della Vita
Mario Balocco
AFFRESCO TRIONFO DELLA MORTE E DANZA MACABRA, ORATORIO DEI DISCIPLINI A CLUSONE
rità alla quale nulla e nessuno può sottrarsi. Invece, l’affanno e l’inquietudine dei nostri giorni derivano in buona parte dalla pretesa tutta mentale di un obiettivo preciso da raggiungere, di una condizione sociale, economica o anche intellettuale da conseguire per potersi considerare soddisfatti. In altri termini, oggi rifiutiamo la circolarità dell’esistenza e, dunque, di ammettere che nascendo siamo emersi da un mondo del quale non ricordiamo nulla e che morendo torneremo a immergerci in esso. Rifiutiamo di essere i raggi di una ruota immersa nell’acqua dell’oblio fino al perno e pretendiamo di vivere in base a una tangente rettilinea che disconosce l’esistenza stessa di un centro. È come se “qualcosa” o “qualcuno”, che potremmo assimilare a un’“entità” oscura e obnubilante, avesse ristretto la nostra visione del mondo grazie a un paraocchi che proietta il nostro sguardo in avanti. O forse, invece, molto più semplicemen-
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te, la banale padronanza di alcuni elementari princìpi fisici applicati alle locomotive e alle lavatrici ci ha inorgogliti al punto da cancellare quell’autoironia, quella capacità di scherzare e di prenderci gioco di noi stessi che per lunghi millenni ci aveva mantenuti in equilibrio. Forse, stiamo solamente considerando ogni cosa con troppa serietà e questo atteggiamento ci acceca irrimediabilmente. Fin dalle epoche più remote, le scritture profetiche avevano previsto un periodo oscuro nel quale l’umanità sarebbe andata fuori di senno, ma ben pochi oggi sono in grado di accorgersi che queste profezie si stanno avverando puntualmente e nel modo più inaspettato. Quando viene legato alla macina, l’asino deve essere bendato affinché non si accorga di procedere in cerchio. L’uomo libero, invece, può compiere un lavoro analogo senza la costrizione di alcuna benda, poiché è in grado di accettare e di comprendere che il Cerchio della Vita è il mulino che trasforma il grano in
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Il Cerchio della Vita farina adatta per fare il “pane dello Spirito”. Il mito di un progresso materiale senza limiti è un semplice strumento psicologico utilizzato dalle gerarchie che sovrintendono al risveglio della coscienza planetaria quando devono indurre le moltitudini umane, che ancora non possono comprendere la luminosa “realtà del servizio”, a uno sforzo supplementare, ma necessario. L’illusione di correre per conquistare qualcosa che immediatamente lo gratifica scuote nell’intimo anche l’essere umano più torpido e lo costringe ad agire nell’apparenza del proprio personale interesse, nel momento in cui sta portando l’acqua al mulino di coloro che rimangono per lui del tutto sconosciuti. L’individuo che vuole risvegliarsi deve, invece, accettare l’esistenza della “Gerarchia universale”, senza la quale l’armonia del cosmo risulterebbe impossibile. Deve rendersi conto di essere uno strumento e accettare, quindi, di girare in tondo con gli occhi bene aperti, fino a quando l’esperienza maturata e la comprensione raggiunta non gli consentano (questa volta realmente e non più in senso illusorio) di staccarsi dal cerchio del divenire, governato dalla ferrea legge della trasmutazione delle forme, per penetrare nella dimensione immobile dell’essere, posta nel punto centrale del cerchio. Quel medesimo punto che la mentalità profana continua a ricercare fuori della circolarità dell’esistenza, senza accorgersi che si trova, in verità, laddove convergono le aspirazioni più intime e gli aneliti di tutti gli esseri vissuti e viventi su questa Terra. Nulla può esistere all’esterno del Cerchio della Vita, perché coincide con il Tutto che è emanato da un unico punto. Ecco, quindi, che il pensiero di potersi strappare all’esistenza andandone oltre si dimostra del tutto assurdo agli occhi dell’antica Sapienza. Dal punto di vista iniziatico qualsiasi ricerca deve sempre condurre alla radice di ciò che si va studiando, poiché nell’Origine è situata la “bocca che genera” qualsiasi fenomeno, secondo la giusta etimologia del termine. In altre parole, si può affermare che la “vita di ogni giorno” costituisce, già per se stessa, tutto ciò che ci è dato generosamente dalla Provvidenza e che ci occorre per compiere il cammino
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Mario Balocco verso la liberazione. Il nostro primo compito è quello di perfezionare l’umiltà interiore fino a renderci conto degli immensi doni che ci vengono offerti. In tal senso, possiamo valorizzare ogni singolo momento, fino a trasmutarlo in qualcosa di eterno. L’occasione propizia non si nasconde dietro l’angolo, ma risplende sempre di fronte ai nostri occhi con un’intensità che per il saggio e per il santo diventa abbacinante, mentre per il profano risulta, addirittura, inesistente. L’uomo e la donna di un tempo sapevano di essere destinati a vivere, a riprodursi, a invecchiare e a morire. Tenevano ben presente tutto ciò in qualsiasi momento della propria giornata e sviluppavano un attaccamento minore nei confronti delle mille illusioni del mondo. Il senso stesso della loro esistenza risiedeva nell’alternarsi armonico e continuo della vita e della morte, della notte e del giorno, del sonno e della veglia diurna. Una danza nella quale la Rigenerazione e la Mortificazione occupavano il palcoscenico come autentiche protagoniste eterne. Oggigiorno, l’individuo afferma di essere impegnato in un continuo avanzamento e di non disporre del tempo necessario per andarsene da questa Terra. Infatti, si è sempre troppo occupati per potersi permettere di mollare la presa sugli eventi e ci si distacca con sempre maggiore fatica dall’esistenza, senza neppure accorgersi che si tratta soltanto di una nostra costruzione mentale. Tutto ciò è assurdo perché rinnega la realtà del Cerchio dell’Esistenza. Ecco, quindi, che la vita stessa risulta oggi senza senso, perché appare come una parabola che non riesce a chiudersi nel viaggio naturale dell’oltretomba. Una parabola troncata dall’evento traumatico e inspiegabile della morte. D’altro canto, si vive nell’epoca del restauro e della conservazione a oltranza di tutto ciò che il passato ha lasciato in eredità, anche perché non si possiede più lo slancio necessario per creare ogni giorno la fresca bellezza del “momento presente”. Un presente che temiamo ancor più del futuro anche perché, a differenza di quest’ultimo, non possiamo ipotizzarlo e immaginarlo a piacimento, ma siamo costretti a viverlo in prima persona sulla nostra pelle. Dopotutto, la tremenda paura di sbaglia-
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Il Cerchio della Vita re ogni cosa, che oggi quasi ci immobilizza, nasce anche dal fatto che, illudendoci di procedere in linea retta, abbiamo perso quell’intima sicurezza che il Cerchio della Vita offriva ai nostri progenitori. Ovvero, siamo convinti di dover affrontare ogni giorno qualcosa di nuovo e di sconosciuto, laddove un tempo chiunque sapeva, almeno in modo inconscio, di trovarsi di fronte alla medesima situazione di sempre, manifestata sotto un’apparenza lievemente diversa. Nell’incerto e convulso panorama dell’Occidente, anche la semplice ricerca di un lavoro o la decisione di sposarsi per molte persone assume ormai contorni drammatici e toni da tragedia greca, come se in passato non fosse mai accaduto ad alcuno di affrontare simili eventi. La realtà, nuda e cruda, è che temiamo profondamente di sbagliare, poiché abbiamo perso la consapevolezza di muoverci all’interno del cerchio che costituisce la base della vita. Quando gli uomini avevano ancora ben chiaro il concetto del ciclo esistenziale erigevano maestose cattedrali senza alcun timore di alterare l’equilibrio ambientale, poiché vivevano nell’equilibrio della Natura. Nessuno avrebbe pensato di prolungare il Carnevale
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Mario Balocco oltre il Martedì Grasso che precede il Mercoledì delle Ceneri, come purtroppo oggi molto spesso accade per motivi puramente commerciali. E questo, non tanto perché la potenza della Chiesa incutesse nel popolo un autentico timore, quanto piuttosto per la ragione che tutti riconoscevano la necessità di un Ordine superiore, posto a fondamento della vita e del benessere sociale. A motivare simili affermazioni non è la nostalgia di un passato idilliaco, il quale comunque non potrà tornare, ma semplicemente a constatazione che un tempo l’esistenza umana si svolgeva in base a un equilibrio aureo, spezzato in seguito dalla necessità di demolire il vecchio edificio per costruire un “Nuovo Mondo”. Si sta vivendo ora la fase in cui i muri portanti sono rasi al suolo e i pilastri minati alla base. Resta in piedi solo una parvenza di facciata, affinché i distruttori si affrettino a compiere l’opera per la quale sono nati. A livello collettivo, in realtà, nulla deve essere fatto per mantenere in piedi un mondo che, comunque, è destinato a sparire per lasciare spazio a un’altra costruzione. Invece, il discorso risulta diverso sul piano individuale, poiché chiunque provi empatia e compassione per i pro-
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Il Cerchio della Vita pri simili, può preparare nel proprio intimo le fondamenta sulle quali potrà innalzarsi una nuova civiltà. Chiunque si renda conto che la vicenda umana non è giunta al termine, bensì solamente a una svolta che presuppone di conseguire un livello di coscienza superiore, può trovare in se stesso, e nella Natura benigna, la fiducia, il coraggio e la forza per accettare di svolgere ogni giorno il compito che la Gerarchia universale gli ha affidato al momento della nascita. Per conferire le giuste proporzioni alle cose, si deve sviluppare un’acuta consapevolezza del Cerchio della Vita, entro il quale tutti insieme stiamo orbitando da epoche immemorabili, in modo più o meno inconscio. In questo senso, il fatto di risvegliarsi corrisponde a rendersi conto che si nasce e si muore, ci si arricchisce e ci si impoverisce per il fatto che ogni elemento del nostro mondo procede in base a un continuo e inarrestabile alternarsi di circostanze. Pensare di poter organizzare la società umana in modo che ogni cosa vada sempre per il meglio equivale a ignorare le leggi fondamentali dell’Universo. Ciò che nasce, ciò che viene fondato o, che comunque, trae la propria origine in un punto qualsiasi del flusso temporale è destinato, prima o poi, a scomparire. Anche per l’impero più maestoso e granitico che l’uomo possa immaginare verrebbe il giorno in cui se ne perderebbe perfino il ricordo. Non si deve, dunque, cercare l’equilibrio nell’immobilità della vita eterna, bensì, al contrario, nella radice stessa del movimento, cuore pulsante e ragione d’essere dell’esistenza. In tal senso, può essere utile sviluppare una neutralità be-
Mario Balocco Nato a Monesiglio nel 1961. Saggista, laureato in Scienze Politiche, dopo vent’anni trascorsi a Torino, periodo che lo ha visto impegnato nella direzione editoriale di una nota casa editrice, è tornato a vivere nell’Alta Langa cuneese. Appassionato studioso di storia e antiche religioni, si dedica all’esplorazione del mistero che si cela dietro all’apparenza delle cose. Tra i suoi libri ricordiamo: Luoghi magici. Aspetti misterio-
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Mario Balocco nevola nei confronti di tutto ciò che accade. Il perno della ruota, dal quale traggono origine i raggi convergenti che noi stessi rappresentiamo, è situato in una dimensione che va ben oltre gli ordinari schemi di pensiero. Non è migliorando le nostre condizioni materiali che possiamo pensare di risvegliarci, poiché non esiste alcuna evoluzione possibile in questa direzione. Lo scopo non è quello di erigere palazzi lussuosi o di costruire ponti sempre più lunghi, di vivere su questa Terra per centinaia di anni o di essere osannati dalle folle, anche perché quando ci si accorge del rigido cerchio che delimita i contorni dell’esistenza ogni valore precedente viene sconvolto. Tutto ciò che agli occhi altrui risulta di grande importanza, per colui che si apre alla visione ciclica risulta un dettaglio transitorio e superfluo. La possibilità di conseguire una reale indipendenza dalla rotazione del cerchio, ossia la piena liberazione della coscienza, diventa allora l’autentico obiettivo del pellegrino che cammina sulla Via dello Spirito. Per colui che riesce a ottenere tale liberazione, una parte importante del lavoro che resta ancora da compiere consiste nell’aiuto offerto a tutti coloro che ancorano brancolano nelle tenebre. La vita, infatti, non è una corsa a ostacoli che prevede un premio per chi arriva primo, ma una sinfonia generata da molteplici strumenti. La vera evoluzione coincide con il “risveglio”, e il risveglio è in ogni caso un “ricordo”: il ricordo intrinseco di ciò che fummo, che siamo e che saremo per sempre, al di là delle forme assunte nell’arco di un continuo divenire. si ed esoterici del territorio italiano (L’Età dell’Acquario, 2008), La magia dei monasteri (L’Età dell’Acquario, 2009) e...
La porta del tempo Arethusa, 2011 vai scheda libro >> Luglio 2011 | n.1
La porta del Tempo L’eredità di Atlantide dagli Egizi ai giorni nostri
Mario Balocco
DISPONIBILE IN LIBRERIA
Dove conduce la porta del Tempo? Quale Sapere nasconde? Un viaggio alla scoperta di un mondo nel quale pochi hanno avuto accesso. Un mondo nel quale i misteri dell’Uomo sono stati svelati e la Scienza sacra degli antichi è rimasta custodita per millenni.
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Nel prossimo numero...
Indagheremo nel castello di Montebello sulle tracce del fantasma di Azzurrina con Michele Morettini del portale Dal Tramonto all’Alba, scopriremo i valori del pi greco e della precessione degli equinozi nelle piramidi di Teotihuacan e Giza, continueremo l’interessante analisi di un caso di abduction studiato dalla psichiatra Giulia D’Ambrosio e la scoperta della più antica chiesa cristiana dell’archeologo Gabriele Rossi Osmida, analizzeremo gli enigmatici teschi di cristallo con Giuseppe di Stadio di Italia Parallela, poi sveleremo, insieme a Mario Moiraghi, come Re Artù abbia estratto una spada italiana, quella di San Galgano... ...e tanto altro ancora nel numero di AGOSTO!