ARCHEOLOGIA STORIA SCIENZA E MISTERO
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LE PIRAMIDI Un progetto che risale a 1000 anni prima
ENIGMI: LA SFINGE DELLA VALGANNA SCIENZA: L’ENIGMA DELLA MASSA L’UOMO DI DIO: GIORDANO BRUNO
IN QUESTO NUMERO:
3 RUBRICHE 17 ARTICOLI
SETTEMBRE 2011 | N.3
SOMMARIO Editoriale RUBRICHE PERLE DI SAGGEZZA
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Le dimensioni del sogno di Lilly Antinea Astore LA BIBBIA SVELATA
Dalle traduzioni letterali della Bibbia ricaviamo che non ci hanno raccontato tutto e nemmeno il vero. Parte III
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di Mauro Biglino
I SENTIERI DI OGMA
Kalòs l’archeodromo del Salento di Fabio Truppi
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ARTICOLI Le piramidi di Giza
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Un progetto che risale a 1000 anni prima di Christopher Knight e Alan Butler
La civiltà perduta di Göbekli Tepe
Un mondo di 12.000 anni fa sepolto dai suoi costruttori di Paolo Battistel
La cultura di Rinaldone Intervista con Giovanni Feo a cura di Osvaldo Carigi
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Il sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)
La scoperta della più antica chiesa cristiana. Parte III di Gabriele Rossi Osmida
Luna
Luci e ombre sul nostro satellite di Vito Lecci
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L’enigma della massa
Una caratteristica non ancora definita in modo chiaro di Ludovico Polastri
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Runa Bianca
L’Uomo di Dio
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Giordano Bruno e i misteri della creazione di Michele Proclamato
I Desposini
Una dinastia dimenticata di Enrico Baccarini
Raimondo di Sangro
L’enigmatico incontro tra arte, medicina e mistero di Giuseppe di Stadio
La sfinge della Valganna
Archeologia del Sottosuolo di Luigi Bavagnoli e Margherita Guccione
Il grande inganno dell’astuto Omero
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79 Lunigiana 85 La magia del desiderio 94 Il divano di Sri Maharishi 98 Le scie chimiche 101 Chemtrails 105 H.A.A.R.P. 110 Anticipazioni Runa Bianca 119 numero 4 ottobre 2011 Chi ha ucciso realmente i Proci? di Alberto Majrani
Itinerari marittimi e navigazione di altura di Enrico Calzolari Sondando l’ignoto di Hoseki Vannini
L’alba di una nuova vita di Tullia Parvathi Turazzi
Tra inganno ed evoluzione: imparare a vedere di Cristian Martinis Reticoli bianchi che oscurano il sole di Giorgio Pattera Tra scienza e alchimia di Samuele Venturini
Settembre 2011 | n.3
SETTEMBRE 2011 | N.3
SOMMARIO COMITATO REDAZIONALE Vincenzo Di Gregorio Lilly Antinea Astore Enrico Baccarini Andrea Critelli
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www.runabianca.it HANNO COLLABORATO
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Alan Butler Alberto Majrani Christopher Knight Cristian Martinis Enrico Calzolari Fabio Truppi Francesco Arduini Gabriele Rossi Osmida Giorgio Pattera Giovanni Feo Giuseppe di Stadio Hoseki Vannini Leonardo Melis Luana Monte Ludovico Polastri Luigi Bavagnoli Margherita Guccione Marisa Grande Mauro Biglino Michele Proclamato Osvaldo Carigi Paolo Battistel Samuele Venturini Tullia Parvathi Turazzi Vito Lecci SVILUPPO E PROGETTO GRAFICO Andrea Critelli
Runa Bianca
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EDITORIALE tempo di lettura 4 minuti
di Vincenzo Di Gregorio
Contando dal numero zero...
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una Bianca è arrivata al quarto numero, ed ancora una volta mostra freschezza e ricchezza d’idee. Nata dalla volontà di un gruppo di amici di creare un’informazione corretta ed alternativa a quella finora imperante, lentamente sta diventando un catalizzatore di ricerche e di autori che in essa vedono un valido mezzo di informazione. In questo numero viene pubblicata una ricerca effettuata da due autori anglosassoni: Christopher Knight e Alan Butler. Dopo un’accurata disanima, questi due autori di best seller, giungono all’ipotesi che sia necessario retrodatare di almeno un migliaio di anni la costruzione delle piramidi di Giza. È per noi un onore accogliere questo loro articolo che ci conforta nel lavoro che stiamo facendo e ci conferma come la Runa Bianca sia stata prescelta tra tante, pur ricche, iniziative editoriali italiane. I nostri fedelissimi lettori si saranno già accorti come sia uscito ai primi di settembre un “supplemento” alla Runa Bianca in cui son inserite, news, video, novità librarie e quant’altro non sia strettamente attinente alle ricerche d’autore. In questo modo abbiamo reso più snello il corpus della rivista riuscendo (incredibilmente) a star dentro le 120 pagine, contro le 150/160 degli altri numeri. Così facendo la rivista ne giova in fruibilità e lettura. Inoltre gli articoli accorpati per argomenti simili, o nel tema, o nel genere. Pensiamo così di aver dato ascolto a tutte quelle persone che ci scrivono dandoci consigli e che invitiamo a continuare a farlo. La nostra crescita è infatti determinata principalmente nel dare ascolto alle esigenze eterogenee di tanti, per quanto ci sia possibile, anche se spesso vi son problemi tecnici da superare.
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Runa Bianca
Ma l’archeologia di confine in cui ci introducono i due autori inglesi, diventa ancora più intrigante quando ci immergiamo nei misteri di Gobekli Tebe che ci porta in un’era protostorica antichissima e che spinge realmente a retrodatare i nostri libri di storia. L’uomo è andato realmente sulla Luna! Vito Lecci utilizza le stesse foto usate nelle tesi complottistiche per dimostrare la veridicità delle missioni sul nostro satellite. Il concetto di “massa” può sembrare complicato, ma Ludovico Polastri ce lo spiega in maniera elegante e lineare. Famosi nel panorama italiano di settore, Giorgio Pattera e Samuele Venturini ci introdurranno in due fenomeni come le scie chimiche e HAARP con la promessa di approfondirli in futuro su Runa Bianca. Enrico Baccarini ci narra l’annoso problema di ricostruire la storia della discendenza reale francese e della loro presunta appartenenza alla stirpe che ha in Gesù Cristo il primo stipite in attesa del suo nuovo libro sull’argomento. Mi scuso sin d’ora con tutti gli autori che son presenti in questo numero e che non ho citato, e con quelli che pur avendoci inviato il loro articolo lo hanno visto slittare a ottobre. L’idea di mantenere un numero di pagine contenuto purtroppo va rispettato anche se a malincuore. Convinti quindi di aver prodotto un’altro numero di elevata qualità, vi invitiamo a continuare a leggerci e a seguirci in questa nostra avventura. Buona lettura e a presto! Arch. Vincenzo Di Gregorio
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PERLE DI SAGGEZZA tempo di lettura 12 minuti
di Lillyy Antinea Astore
Le dimensioni del sogno
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he analisi si può fare di ciò che, a livello immediato, sembrerebbe sfuggire ad un’investigazione razionale ed essere il luogo della divagazione, un “terreno incolto” del senso escluso quindi dalla serietà filosofica e sociologica ed in definitiva da tutti quei discorsi portatori di una logica della verità. Eppure, il sogno si presenta come una necessità: questo è il punto di partenza. Non si può sfuggire al sogno, anche se paradossalmente il sogno è proprio ciò attraverso cui noi sfuggiamo a noi stessi. Da ciò in ultima analisi l’idea che non sfuggiamo mai completamente a noi stessi e che il sogno è lì a dimostrarlo. Questa necessità, che è la legge dell’Essere, la si ritrova nel tessuto onirico a due livelli: il sogno come tale, nel suo sorgere, fa parte della natura dell’uomo: il contenuto del sogno, inteso come discorso che occupa uno spazio ed un tempo, non solo non è assurdo ma è dotato di significato. Interrogazione ontologica: Cos’è l’essenza del sogno, la sua funzione e la sua finalità? Perché il sogno? Interrogazione semantica: cosa sono il senso e la trama dei significati che il sogno ha tessuto? Aristotele diceva: “Qualsiasi conoscenza è una conoscenza attraverso le cause” ed ogni volta che si mette in evidenza tale necessità, si ha produzione del fenomeno secondo le sue cause. Il sogno è un bisogno vitale: o ancora, si potrebbe dire, la vita si articola col sogno; non sognare sarebbe una morte, non solo in senso figurato. Bisogna partire da un enigma o piuttosto da un’aporia (nella filosofia greca antica indi-
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cava l’impossibilità di dare una risposta precisa ad un problema poiché ci si trovava di fronte a due soluzioni che, per quanto opposte, sembravano entrambe apparentemente valide, ossia quell’ostacolo sul cammino del pensiero che bisogna rimuovere per poter avanzare). Il sogno è l’illusione, lo spettro della realtà veicolato dalle potenze ingannatrici dell’immaginazione, destinato a svanire al momento del risveglio e non appena si ritorna alla verità delle cose, un geroglifico segno nascosto di un senso e di un mondo da decifrare che, lungi dall’apparirci come illusione (MAYA, l’inganno) ci permette di accedere al mondo reale in altre parole: l’esperienza onirica sarebbe un’esperienza medianica. “Strada maestra” che conduce all’Essenza sotto l’apparente aspetto di un illusione? Il paradosso è tutto qui: il sogno inteso troppo spesso come espressione di ciò che è solo una traccia fugace ed irrazionale, pone precisamente la domanda dell’Essere: In cosa consiste la linea di demarcazione tra l’apparenza e la realtà? Dalle acque dell’una alla schiuma dell’altra, ...come delimitare il luogo in cui prende corpo il vero e sparisce il falso? Ecco dunque il primo approccio: l’approccio filosofico, un tema ricorrente in tutta la storia degli uomini. Una metafisica del sogno è il discorso che inaugura qualsiasi ricerca di questo ordine. Di questa interrogazione metafisica provocata dallo studio del sogno ne troviamo prova nei più disparati documenti etnografici: una sociologia del sogno che non può che confermare lo schema filosofico di partenza. Il sogno può apparire come messaggio divino, segno di una volontà trascendente che alcuni uomini sono tenuti a decifrare per tra-
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PERLE DI SAGGEZZA smettere la “parola“ ai non iniziati; in ciò viene posto il legame tra la divinazione ed il sogno. Ma bisogna ridurre i sogni ai soli “sogni premonitori”, appoggiandoci ai grandi testi sacri delle tradizioni? Il carattere profetico del sogno essenziale chiarisce il senso del sogno come “medium” fra umano ed il sovrumano. Ma se questo aspetto di premonizione è un punto di vista determinante, è necessario rilevare una sfumatura della premonizione: il sogno introduce l’obbligo della realizzazione, cioè non dice solo ciò che avverrà ma ciò che deve assolutamente avvenire. Metafisica del sogno, sociologia del sogno: i discorsi si integrano. Ci incamminiamo così verso quella che è la “scienza dei sogni” e che, in questo modo, pretende di dare al sogno il valore di fenomeno perfettamente integrato in un rigoroso determinismo. Esiste una scienza dei sogni che, come ogni scienza, è un tentativo di spiegare l’universo “mentale” sulla base di alcune leggi e sullo sfondo di una relazione di causa e di effetto. Ma di quale causa il CARL GUSTAV JUNG sogno è l’effetto? Parliamo di “constatazioni psico-fisiologiche semplici”: chi non sogna (perché gli si impedisce di sognare, provocando il risveglio o impedendo il sonno) muore o diviene pazzo. Esiste dunque una funzione biologica del sonno: protegge la salute psichica. Andando oltre nell’indagine si può inoltre notare che, attraverso il sonno, entra in gioco il rapporto tra conscio ed inconscio. La necessità del sogno appare in relazione con questa manifestazione delle regioni sepolte dell’Essere, col venire alla luce di una
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Lilly Antinea Astore “notte pulsionale”. Ancora una volta il sogno è un segno in cerca di interpretazione: non è incoerente, non è assurdo, è piuttosto la liberazione del desiderio attraverso il discorso onirico. Ne consegue che ciò che si pone al centro del sogno è la questione dell’inconscio e di conseguenza anche la questione della conoscenza dell’uomo. Chi conosce il significato del proprio sogno conosce se stesso, legge in questo modo il proprio lato d’ombra; chi lo comprende è in grado, grazie alla conoscenza di se, di dominare i propri impulsi. Ma, al di là di questa esplorazione individuale dell’io, il sogno apre l’accesso ad un inconscio assai più vasto, che qualificheremo “cosmico” e che Jung chiamava “inconscio collettivo”. È così che il sogno fornisce una memoria” mitica” e rinnova la domanda sulla memoria che attraversa la storia. Dalla psicanalisi passiamo quindi alla parapsicologia del sogno. Qual è l’enigma posto dai discorsi onirici nei quali si annuncia il futuro? Esiste una comunicazione con un aldilà dell’umano che si rivelerebbe in questo modo? Se cerchiamo di riunire un certo numero di sogni chiamati “premonitori” vedremo chiaramente questo congiungimento di due universi, questo ponte gettato fra una realtà semplicemente umana ed un “altrove” del quale dobbiamo trovare la spiegazione. Quale è il legame per esempio tra questi sogni e la reincarnazione, facendo un’incursione tra le teorie metafisiche? E in che misura il sogno può servire come
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Lilly Antinea Astore prova di tali teorie? Ecco allora che si manifesta tutta la ricchezza del sogno: filosofica, sociologica, psicanalitica, parapsicologica. Non possono passare inosservati gli insegnamenti di questo universo: si tratta invece di svelarne il senso senza mutilare un aspetto a vantaggio dell’altro. Ritroviamo in continuazione questo carattere vitale del sogno, il suo aspetto funzionale. Partendo da questa constatazione, risulta evidente che ogni sogno ha un significato. Lo scopo principale è di mettere in evidenza il ”determinismo psichico-onirico” (quella concezione per cui in natura nulla avviene a caso ma tutto accade secondo ragione e necessità, ed individua una spiegazione di tipo fisico per tutti i fenomeni, riconducendola alla catena delle relazioni causa-effetto) attraverso un’indagine condotta a diversi stadi. Bisogna quindi individuare un ordine, un’organizzazione che è presente dovunque. Nulla sfugge alla legge ed il libro dei sogni
PERLE DI SAGGEZZA è costruito secondo la legge del determinismo universale. Di questo troviamo un’eco anche nell’arte. È evidente che l’espressione artistica si alimenta, in modo più o meno esplicito, nel mondo dei sogni. A volte “sogno” e “ispirazione” sono stati identificati con troppa leggerezza: la teoria di questo legame viene fornita dal surrealismo. C’è anche un ruolo letterario del sogno che non è soltanto formale, bensì portatore di una testimonianza: quella del nostro inconscio e della sua essenzialità nella nostra vita e quindi della nostra espressione. La poesia fa sognare, ma è il sogno che fa la poesia. Non si può ugualmente escludere il sogno dal pensiero come un “parente povero” perché, se in un dato momento il sogno fa’ la poesia, esso fa anche pensare, da’ da pensare, merita di essere pensato. Esso è in noi, è quella parte di mistero che non è destinata a restare tale, perché il mistero rimanda a ciò che lo ha reso tale, ed il so-
SOGNI DI CONQUISTA GIORGIO DE CHIRICO
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PERLE DI SAGGEZZA gno al nostro io profondo. Parlare dei sogni è quindi discendere dentro di noi, e se questa discesa talvolta assume l’apparenza di una discesa agli inferi, dipende dal fatto che l’essere umano si trova, nonostante secoli di storia, ad uno stadio infantile del pensiero. L’importanza del sogno nel corso della storia umana, e nella storia del pensiero, risulta immediatamente evidente. Ma il termine “sogno” porta in se tutta una costellazione di significati. Che cosa chiamiamo sognare, a quale regione dell’Essere si applica questa denominazione? Lasciamoci guidare dal linguaggio, se è vero che esso è sempre il luogo dove appare il vero, sotto forme più o meno nascoste. Certe madri chiamano i loro bambini ”sognatori”, esprimendosi con espressioni come: “è sempre perso nei suoi sogni”, “è un sognatore”, “non ha i piedi per terra”. Così il sogno e l’atto di sognare farebbero spuntare le ali: si tratterebbe di una fuga, di un’evasione o di un’assenza.
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Lilly Antinea Astore Ma allora, qual è il paese verso il quale porta il sogno? Dove si perde il sognatore? A cosa si sfugge in questa esplorazione strana ma comune a tutti? Questo punto di partenza, colto nell’esperienza quotidiana, porta ad una prima osservazione: sognare è sfuggire alla realtà, cioè a ciò che gli altri vedono, sentono, toccano, capiscono. Nessuno può penetrare nel mio sogno, nessuno può vedere il colore del mare notturno nel quale mi immergo, o il paesaggio nel quale cammino. Sono inaccessibile e solo; anche se molti mi accompagnano, loro lo sanno. Ecco dunque una prima opposizione: quella fra sogno e realtà. Questa opposizione è basilare, perché da essa dipendono altre opposizioni. In particolare si raddoppia nella coppia contraddittoria Apparenza – Realtà. Il vero problema filosofico che pone il sogno è qui, e riguarda la teoria della conoscenza, rinvia ad una metafisica della conoscenza. Infatti, se il sogno è l’esplorazione di un mondo incomunicabile, conserva un carattere completamente soggettivo, è una crea-
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Lilly Antinea Astore zione dell’io che svanisce non appena la luce della coscienza riprende i suoi diritti. Ma dire che il sogno è soggettivo equivale a dire che non ha alcun valore, che è illusione, un fantasma dell’Essere, destinato a svanire. Ci sarebbe allora nel sogno un sintomo della debolezza umana, e non una prova di ricchezza. Perché dovrei assegnare più importanza alle immagini del sogno che non al fumo che si dissolve rapidamente nel vento? Eppure il sogno esiste e di questa esistenza bisogna pur rendere conto. Come scriveva Platone: “c’è un essere nel non essere“ e se anche il sogno è non essere bisogna comunque capire questo essere del sogno. La storia del pensiero, per quello che riguarda il sogno, indica due direzioni. La prima, come abbiamo appena detto, consiste nell’assimilare il sogno e l’apparenza. Questa assimilazione nasce sullo sfondo di una “teoria dell’immaginazione” maestra di errori e di falsità. Questo accade in una certa tradizione classica (per esempio Cartesiana e Spinoziana).
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PERLE DI SAGGEZZA L’immaginazione che produce immagini è un mondo di conoscenza inferiore; non esiste una “verità di immaginazione”, esistono solo illusioni e quindi errori. Condannare il sogno e l’apparenza vuol dire rivendicare i diritti della ragione come unico modo di accesso efficace alla verità. Chiamiamo questo modo di pensiero “corrente razionalista”. La seconda tradizione è in un certo senso molto più ambigua, ma anche molto più ricca. Consiste in un interrogarsi sull’essere stesso del sogno in rapporto ad una cosmologia e ad una “teoria dell’anima” collegata a questa cosmologia. Il sogno, per esempio, viene spesso usato, nei testi filosofici greci, come una metafora: con essa comprendiamo che il mondo in cui viviamo, il mondo sensibile non è altro che illusione, “fenomeno”. La vita dell’uomo può essere paragonata ad un sogno dal quale egli si sveglierà per riconoscere l’irrealtà delle produzioni oniriche. È quindi opportuno approfondire l’uso meta-
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PERLE DI SAGGEZZA forico del sogno fatto da questi filosofi. Ma esiste anche un’interpretazione del sogno che gli restituisce un valore ontologico: per comprenderlo bisogna rifarsi ad una tradizione Orfico-Pitagorica presente in Platone come in Aristotele, e che vede l’anima umana come una parte dell’anima del mondo e quindi una parte divina. L’anima è un mezzo: essa assicura il collegamento tra due mondi. Grazie alle sue produzioni oniriche si può ricercare il segno di questa appartenenza. La difficoltà è dunque questa: da una parte, il sogno non ha alcun valore ontologico ed appartiene solo all’ordine dell’apparenza e dell’illusione, produzione ingannevole dell’immaginazione; dall’altra il sogno, fenomeno noetico, è il segno della realtà vera che guida l’uomo nella sua presa di coscienza della falsità delle apparenze, diventa messaggio divino, invito alla reale ricerca di ciò che effettivamente è. Questa doppia formulazione sarà il nostro punto di partenza: cercheremo di superare la difficoltà immediata che consiste o nel rifiutare il sogno, o al contrario nel valorizzarlo come espressione di ciò che è reale. Non dimenticando che se il
Lilly Antinea Astore È una studiosa eclettica con interessi in svariati campi che spaziano dalle Scienze di confine, all’esoterismo, dall’archeoastronomia, all’Arte ed all’Ufologia. È Cavaliere dell’Ordine Mistico Rosacrociano. A soli 15 anni intraprende il suo percorso di ricerca partecipando con un’innovativa relazione sul tema del “Rinnovamento”, presentata per la prima volta durante le conferenze organizzate presso le Università di Bologna e Camerino organizzate da Massimo Inardi, Peter Kolosimo, Roul Bocci ed il Conte Pelliccione Di Poli. In campo esoterico collabora con il “Centro Studi” di Lecce di Franco Maria Rosa dalla quale apprende ed approfondisce le Medicine olistiche. In campo culturale è Rappresentante internazionale della “Synergetic-art”, movimento artistico-culturale
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Lilly Antinea Astore sogno ci mette in crisi è stimola quella parte di noi che, sfociando altrove, ci costringe ad approfondire quello che siamo. Il sogno è, al tempo stesso, sapere di se e sapere dell’Universale: pone all’uomo il problema dell’apparenza e della dolorosa scissione fra l’Essere e l’Apparire. Ma è anche luogo di rivelazione di un passato e degli elementi fondamentali dell’incrocio sacro-profano. Il sogno libera l’uomo dai suoi desideri, facendoli scoppiare nella strana luce della notte: con il sogno si accede a se stessi. Quale dialogo si stabilisce nella notte della coscienza? Chi parla con le immagini nascoste delle visioni oniriche? I sogni sono segni ed è compito dell’uomo rilevare tali segni per viverli meglio. Prossimamente il nostro cammino sarà quello di mostrare la funzione sociale del sogno nelle varie civiltà, e ci addentreremo nei testi sacri, nella psicanalisi e nella parapsicologia. Un percorso che ci condurrà a comprendere che da qualsiasi parte volgiamo lo sguardo incontriamo il sogno, viviamo del sogno ed esaudiamo alcuni desideri fondamentali tramite il sogno.
fondato da Marisa Grande, che si prefigge come obbiettivo finale la ricomposizione di un sapere globale, una conoscenza collettiva, coniugando tra loro nuovi ed antichi saperi ed annullando i rigidi settorialismi accademici. Nell’ambito ufologico è da anni collaboratrice della RETE-UFO, per la quale presta anche il volto nella conduzione della web TV “UFORAMA ON TV”, visibile su YouTube. Parallelamente a queste attività di ricerca entra nel mondo della Comunicazione ed inizia a collaborare con famose emittenti radiofoniche. Nel 1990 è creatrice e conduttrice del programma radiofonico “DIMENSIONEX: INDAGINI NEL MISTERO” un programma radiofonico che affronta in maniera sinergica numerose e controverse tematiche per lo più ignorate dalla Scienza ufficiale e dall’ informazione generalista e che la consacra tra le principali divulgatrici in Italia delle tematiche legate al mistero, all’esoterismo, all’ufologia e all’archeo-astronomia.
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LA BIBBIA SVELATA tempo di lettura 6 minuti
di Mauro Biglino g
Dalle traduzioni letterali della Bibbia ricaviamo che non ci hanno raccontato tutto e nemmeno il vero Parte III
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bbiamo chiuso l’articolo precedente ricordando che l’Elohìm degli Ebrei non aveva assolutamente finalità di ordine spirituale. È sufficiente leggere con attenzione la Bibbia che abbiamo in casa per comprendere quanto questo sia vero: la religione e la teologia non interessavano minimamente a quel viaggiatore dello spazio che non amava parlare di sé, dell’anima, dell’aldilà: gli ebrei sapevano bene chi o cosa fosse e tutte le vicende dei reciproci rapporti dimostrano come la questione teologica fosse totalmente inesistente. Ciò che contava era il rispetto di un patto che era stato proposto e che poteva anche non essere accettato; questa possibilità di ‘non accettare’ è un aspetto che non viene mai ricordato dalla tradizione religiosa che invece ha artificiosamente costruito la figura di un Dio al quale non si può e non si deve dire di no perché egli è (sarebbe) il creatore onnipotente, onnisciente, spirituale, trascendente, assoluto: nulla di più lontano dalla figura presente nel racconto biblico che ci presenta un individuo certamente molto potente, ma al quale si poteva anche negare il consenso. Infatti l’idea di un Dio unico è sorta nel corso delle elaborazioni teologiche successive agli eventi di cui la Bibbia ci da conto. Il monoteismo non apparteneva agli autori ebrei che con grande naturalezza ci narrano della molteplicità degli Elohìm. A questo proposito va ricordato che nel corso della conquista della terra promessa è lo stesso Giosuè a rammentare al popolo che la scelta è libera e che può
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quindi decidere di seguire altri Elohìm, tutti presenti, attivi, potenti: tutti possibili ‘dèi’ da servire dunque. Dei che avevano caratteristiche molto umane compresa una che non ci si attenderebbe e che, pur essendo indicata nel testo biblico, viene in effetti sempre dimenticata dai commentatori. Erano certamente ‘dèi’ potenti e probabilmente anche molto longevi, ma non immortali! Questo è un aspetto pericoloso, inaccettabile - di cui mai si parla quindi - ma è un contenuto offerto dalla Bibbia con una chiarezza sconcertante, là dove, nel libro dei Salmi, descrive una assemblea nella quale questi esseri (impropriamente definiti dèi dalla tradizione religiosa) vengono redarguiti dal loro capo, totalmente insoddisfatto del loro modo di governare. Li
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LA BIBBIA SVELATA
Mauro Biglino
STATUA DI ADAMO ED EVA SULLA FACCIATA DEL DUOMO DI REGGIO EMILIA
rimprovera duramente ricordando loro che, se anche sono i detentori del potere, non di meno “moriranno come tutti gli altri uomini”: per indicare gli uomini, viene usato il vocabolo Adàm, che non è un nome proprio, ma un termine generico col quale si indica la specie di coloro che provengono dalla Adamàh (la Terra intesa come pianeta). Quindi la Bibbia afferma con una chiarezza a prova di qualunque dubbio interpretativo che gli Elohìm muoiono come i Terrestri: noi non abbiamo dubbi in merito perché gli Alieni non sono certo immortali. E qui i commentatori tradizionali devono rispondere ad un dilemma di non poco conto: se è vero che - come essi dicono - ogni volta che la Bibbia usa il termine Elohìm (plurale) intende indicare il ‘Dio’ unico allora bisogna prendere atto che nel testo biblico si dice con chiarezza che questo ‘Dio’ muore. Se invece, per ovviare a questo inaccettabile inconveniente, si dice che in alcuni casi intende Dio ed in altri passi invece intende ‘altro’ allora dobbiamo registrare che viene meno ogni certezza teologica. Ma non è ancora tutto. Una sorpresa maggiore attende il traduttore letterale: il racconto della ‘formazione’ dell’uomo. I prefissi usati, i termini che indicano ‘immagine e somiglianza’, contrariamente alle interpretazioni tradizionali che ne travisano il signi-
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ficato, ci raccontano che noi siamo stati formati utilizzando quel ‘quid di materiale che conteneva l’immagine degli Elohìm’ e che è stato tagliato fuori dagli Elohìm stessi’. Tutti noi sappiamo bene che cosa contiene la nostra immagine (impronta) e sappiamo anche che può essere tagliato fuori (per essere reimpiantato): il DNA. Osservando poi in parallelo i due racconti della formazione dell’uomo contenuti nel libro della Genesi si comprende come i termini usati nei due passi (tzelèm e afàr) rimandino ai patrimoni genetici delle due specie che sono state fuse per creare la nuova: cioè noi! Questo ci raccontano ‘letteralmente’ gli autori biblici utilizzando con grande chiarezza gli strumenti concettuali e linguistici di cui disponevano! In conclusione: la Bibbia si presenta al traduttore come un testo estremamente concreto, un racconto che ci narra eventi realmente accaduti, un libro scritto da uomini senza alcun aiuto divino, senza altra ispirazione che non fosse quella dettata dalla necessità di narrare fatti indubbiamente straordinari ma non tali da costituire il fondamento di una religione. Solo lo stravolgimento successivo del significato ha permesso la costruzione di strutture di potere tese a controllare l’uomo con finalità anche poco nobili. Queste strutture di potere si sono abilmente inserite in un vuoto esistenziale che si è determinato nella storia:
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LA BIBBIA SVELATA
Mauro Biglino
quando gli Alieni hanno lasciato la Terra l’uomo si è trovato senza ‘padre’ ed ha cercato di ricostruirne l’immagine con gli strumenti concettuali e linguistici che la cultura gli ha via via messo a disposizione. Senza Alieni, senza Padre! L’uomo non ha accettato questa scomparsa ed allora è stato costretto a costruire una figura ‘divina’ e l’ha disegnata a sua immagine e somiglianza, arrivando infine ad elaborare il concetto di resurrezione della carne per garantirsi la possibilità di ristabilire concretamente il contatto perduto. Ma la Bibbia ci racconta l’origine inversa di tutto questo processo, ci narra cioè di quando sono stati gli Alieni ad usare la loro ‘impronta’ per fare noi. Una ipotesi naturalmente, ma una ipotesi decisamente motivata, riscontrabile nella letteralità dei testi e dunque tale da stimolare il proseguimento della ricerca grazie alla quale la verità pare lentamente venire alla luce. La giura del ‘dio alieno’ prende forma sotto i nostri occhi senza la necessità di volare
Mauro Biglino Realizzatore di numerosi prodotti multimediali di carattere storico, culturale e didattico per importanti case editrici italiane, collaboratore di riviste, studioso di storia delle religioni, è traduttore di ebraico antico per conto delle Edizioni San Paolo: dalla Bibbia stuttgartensia (Codice di Leningrado) ha tradotto 23 libri dell’Antico Testamento di cui 17 già pubblicati. Da circa 30 anni si occupa dei cosiddetti testi sacri nella convinzione che solo la conoscenza e l’analisi diretta di ciò che hanno scritto gli antichi redattori possa aiutare a comprendere veramente il pensiero religioso formulato dall’umanità nella sua storia.
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con la fantasia; quella fantasia che è invece stata necessaria nei secoli per nascondere ciò che non era dicibile o comunque non comprensibile ed accettabile per un pensiero che aveva scelto di essere monoteista contro ogni evidenza testuale. Spesso però neppure la fantasia era sufficiente ed allora, per spiegare l’inspiegabile, è stato necessario introdurre la categoria del “Mistero della fede”, il concetto del “Mistero imperscrutabile di Dio”, cui si può e si deve aderire solo per accettazione fideistica. Ma noi sappiamo che esistono altri cammini, altre vie possibili per le menti che vogliono procedere liberamente.
Tra i suoi libri ricordiamo: Resurrezione reincarnazione. Favole consolatorie o realtà? Una ricerca per liberi pensatori (Infinito Records, 2009), Chiesa romana cattolica e massoneria. Realmente così diverse? Una ricerca per liberi pensatori (Infinito Records, 2009), Il libro che cambierà per sempre le nostre idee sulla Bibbia (Infinito Records, 2010) e...
Il Dio Alieno della Bibbia Infinito Editori, 2011 vai scheda libro >>
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I SENTIERI DI OGMA
di Fabio Truppi pp
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Kalòs, l’archeodromo del Salento
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n sentiero di campagna solitario e accogliente, a pochi chilometri dalla magnifica città di Lecce; una tranquilla e soleggiata stradina punteggiata da nerboruti ulivi e secolari muretti a secco che delimitano ataviche terre rosse ornate di ginestre e fiori di campo, giungendo - in direzione di Caprarica - in quelle che sono dette le Serre di Galugnano. Qui l’ignaro visitatore si appresta a entrare in uno dei luoghi più magici e inattesi che il suo ideatore, l’archeologo Alessandro Quarta, ha giustamente ribattezzato Kalòs, per l’impareggiabile bellezza del suo ambiente e degli incantevoli orizzonti che attorno si stagliano. Ci si addentra così in un’ampia zona protetta e delimitata, trasfor-
mata in parco naturalistico e archeologico, iniziando un percorso lento e appagante capace di regalare un’esperienza in cui il piacere di godere di un paesaggio straordinario e quello di interagire direttamente con la storia e l’archeologia dei luoghi si intrecciano mirabilmente. Kalòs è la geniale intuizione di un sogno che diviene realtà fruibile e vivibile da tutti, il più grande parco di Archeologia Sperimentale d’Italia, una sorta di museo all’aperto che ha confronti solo in Europa settentrionale, appositamente denominato “archeodromo del Salento” dall’insigne prof. Francesco D’Andria, docente di archeologia presso la Facoltà di Beni Culturali dell’Università degli Studi di
RICOSTRUZIONE DI UNA CAPANNA NEOLITICA. FOTO DI FABIO TRUPPI
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Fabio Truppi Lecce (le cui imprescindibili lezioni io e il dott. Quarta abbiamo seguito ai tempi dell’università), da poco reduce di un’altra importantissima scoperta archeologica presso Hierapolis, in Turchia: la tomba dell’apostolo Filippo. L’intera ricostruzione sperimentale dell’archeodromo, capace di coinvolgere attivamente il visitatore, si deve dunque alla lodevole e coraggiosa idea dell’archeologo Alessandro Quarta che ne ha curato – e continua a farlo – gli aspetti scientifici, sperimentali, didattici e organizzativi. Nonostante personalmente abbia avuto la fortuna di visitarlo in anteprima sotto la sua esperta guida, l’archeodromo sarà ufficialmente inaugurato a fine settembre ma chi già ne è venuto a contatto, rimastone estasiato, non può far altro che diffondere la notizia ed elogiarne la realizzazione. Il fantastico viaggio attraverso i declivi e la tipica vegetazione mediterranea del parco, si snoda infatti in diverse “tappe storiche”, a par-
tire dalla fase pre-protostorica, in cui è possibile osservare la lavorazione della selce e la produzione degli strumenti litici (lame, punte di freccia, ecc.), con il passaggio alla fase neolitica associata alla produzione dei primi manufatti ceramici e alla scoperta di caratteristici monumenti megalitici: dolmen, menhir e specchie (tutti e tre ricostruiti con minuziosa perizia). Si sono pertanto ricreati gli abitati preistorici e i modi di vita in base ai risultati delle ricerche archeologiche, dalla scheggiatura alla cottura dei cibi. Nel neolitico, infatti, la nuova economia impose alle genti una maggiore stanzialità rispetto al passato, per cui ecco sorgere i primissimi villaggi trincerati, ossia circondati da un profondo fossato, i cui indizi in Puglia sono da ricercarsi nei buchi sul terreno per i pali di sostegno delle capanne, canalette, fossi di combustione e piani pavimentali in argilla. Proprio in questa fase, d’altronde, compaiono anche le prime sepol-
RICOSTRUZIONE MURA MESSAPICHE. FOTO DI FABIO TRUPPI
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Fabio Truppi
FOTO DI FABIO TRUPPI
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Fabio Truppi ture, seppur senza corredo, in apposite fosse in cui il defunto era adagiato. Seguendo il percorso e lasciandosi alle spalle il villaggio neolitico, il visitatore si trova di fronte all’ingresso di una possente cinta muraria: è la fase messapica. La Messapia (letteralmente “terra tra i due mari”, Mar Adriatico e Mar Ionio) è il nome con cui in antico era chiamato tutto il Salento. Erodoto, parlando dei Messapi, li ricorda come una popolazione compatta etnicamente e culturalmente; in un passo della sua celebre opera sono definiti discendenti dei Cretesi, i quali si spinsero sulle coste del Salento mescolandosi alle popolazioni già presenti e fondando così le prime città. Tale fase ripropone la vita quotidiana di una società di 2600 anni fa: dalla libagione agli dei ai camminamenti sulle mura di cinta, dai riti funerari con la toccante scena della prothesis1 funebre alle offerte votive agli dei, dalla ricostruzione di una eschara2 a quella di una tomba a camera e di una sepoltura a fossa. Bellisimo il tempietto dedicato alla dea delle fonti, dove prossimamente il visitatore ammirerà anche la scena di una vera e propria sorgente d’acqua che sgorga di continuo nei pressi dello stesso tempio. Si continua con la fase romana, contrad1) L’esposizione del defunto. A questa seguiva
il corteo funebre (in greco ekphord), il seppellimento, il lutto e infine il culto funerario, ossia i rituali di commemorazione che venivano celebrati in momenti successivi. 2) Altare all’aperto dove avvenivano sacrifici alle divinità del sottosuolo cosiddette ‘ctonie’.
Fabio Truppi Nato a Francavilla Fontana (Br), è laureato in Conservazione dei Beni Culturali (Beni Architettonici, Archeologici e dell’Ambiente), discutendo nel 2002 una brillante Tesi su Atlantide con l’ausilio del professore e archeologo Riccardo Guglielmino, docente di Archeologia e Antichità Egee all’Università degli Studi di Lecce, pubblicata dalle Edizioni Bardi di Roma nel 2004. Chitarrista e appassionato di letteratura fantastica, nonché
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distinta dalle notevoli trasformazioni intervenute nella società e nella quotidianità dell’uomo, evidenziando le capacità costruttive di questo grande popolo. Si assiste alla costruzione di una strada, si osservano le incredibili macchine di sollevamento e trasporto dei blocchi, fino a incontrare lungo il percorso i centurioni romani a piedi o alla guida di una biga; inoltre, è anche possibile ammirare la ricostruzione di un tempio romano, con tanto di volto apotropaico3 di gorgone dipinto nel timpano della facciata. Infine vi è la fase medioevale che illustra la vita nella campagna durante questo periodo storico con la bottega del fabbro, la lavorazione dei tessuti, i sistemi di stoccaggio delle granaglie e i luoghi di culto. Tutto questo e molto di più è Kalòs, in quanto aree adibite a picnic, servizi e un piccolo ‘corner shop’ dove procurarsi la guida del parco o qualche souvenir, arricchiscono e completano la visita all’archeodromo, trasformandola in un’esperienza davvero unica, istruttiva e piacevole al tempo stesso, per una immersione totale nel tempo e nello spazio, nella nostra storia e nella suggestione del paesaggio salentino. Per maggiori informazioni: - http://w w w.facebook .com/profile. php?id=100002375722870 - http://www.meridiesnet.it 3) Dal greco αποτρέπειν, apotrépein = “allontanare”, viene solitamente attribuito a un oggetto o personaggio atti a scongiurare o annullare influssi maligni.
vincitore di numerosi concorsi letterari nazionali, svolge attualmente attività di docenza in Lettere.
Atlantide. Tra mito e archeologia Bardi Editore, 2004
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di Christopher Knight p g e Alan Butler Un progetto che risale a 1000 anni prima
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Le piramidi di Giza
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li antichi testi egizi narrano di un tranquille campagne dell’Inghilterra settenperiodo perduto nella profondità trionale, precisamente nello Yorkshire del della storia dove vi fu una civiltà Nord, dove fu costruito il complesso dei tre avanzata che, per qualche motivo, regredì. giganti henge di Thornborough intorno al Essi chiamarono questa perduta età dell’oro 3500 a.C. Zep Tepi, che significa “Primo Tempo”. Gli egizi Sono passati alcuni anni da quando abbiaassociano quest’epoca remota con la prima mo scoperto che la yard megalitica era il cuoapparizione della fenice, l’uccello mitologico re di un sorprendente sistema globale di 366 che si rigenera dalle sue stesse ceneri. gradi, velocemente riproducibile da chiunPerché gli egizi dovettero inventare Zep que attraverso l’utilizzo del pendolo. Col temTepi? Forse si tratta semplicemente di un ropo abbiamo trovato sempre più straordinarie mantico tentativo per cercare di spiegare qualità dell’unità di misura che il professor come loro stessi ebbero origine? O potrebbe Alexander Thom scoprì, ma che non compreveramente essere una memoria culturale di se. un qualche precedente periodo di avanzato sviluppo che crollò per qualche ragione. Saremmo giunti in seguito a scoprire delle nuove prove che puntano fortemente verso questa seconda ipotesi. Ma cosa dire riguardo alla possibilità che un qualche contributo al sapere astronomico possa essere derivato da una fonte esterna alle abilità proprie degli egizi? Una nazione che difetta di capacità tecniche può comunque procurarsi dall’esterno le necessarie competenze specifiche. Secondo la tradizioVEDUTA AEREA DEL COMPLESSO DEI TRE HENGE DI THORNBOROUGH ne Salomone, il secondo re giudeo di Gerusalemme, fece ricorso alle Le probabilità che avesse avuto origine da competenze dei fenici per la costruzione del un errore o da un’imprecisione erano effettisuo famoso tempio. Egli pagò Hiram, re di Tiro, vamente pari a zero. Qualsiasi tecnica statiaffinché provvedesse a fornirgli un architetto stica applicata alla serie continua di caratteriche potesse progettare quest’edificio come stiche dimostrate da questa particolare unità un osservatorio astronomico funzionale che di 2,722 piedi, o di 82,966 cm, renderebbe collegasse la Terra con il cielo. Gli antichi egizi assolutamente irrazionale affermare che non avrebbero potuto fare una cosa simile 1500 siano collegate. In breve, la yard megalitica di anni prima di Salomone? E se così fosse, a chi Thom è reale. Una delle più importanti e insi sarebbero rivolti per avere le tecniche netriganti caratteristiche della yard megalitica è cessarie? data dalle sue proprietà geodetiche, come il L’ispirazione per il nostro viaggio in Egitfatto che un secondo d’arco polare nel sisteto ebbe inizio circa 4000 km più a nord, nelle ma 366 abbia esattamente una lunghezza sul
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Le piramidi di Giza terreno di 366 yard megalitiche. Una conseguenza immediata di tale scoperta era il fatto di accettare che alcuni uomini del Neolitico dovevano aver compreso la circonferenza della Terra con un’esattezza che è rimasta ancora insuperata. 1 Ma chi erano queste persone? Tutte le testimonianze suggeriscono l’esistenza di un’autorità alla base del potere: un sacerdote-astronomo che progettava strutture attraverso milioni di chilometri quadrati e lungo i secoli. L’idea convenzionale dell’establishment archeologico, secondo cui gli henge furono dei luoghi di culto concepiti a livello locale per la venerazione di dèi sconosciuti, non ha un futuro. Questi popoli erano, innanzitutto, astronomi; la loro comprensione dei cieli avrà forse avuto una componente teologica, ma gli enormi cerchi sulla superficie della Terra erano strumenti scientifici, non proto-chiese! Ci chiediamo cosa penseranno gli archeologi, in un remoto futuro, delle immense strutture sotterranee del CERN, che è 1) Per un maggior approfondimento sulla yard megalitica e sulle nostre scoperte relative a questa unità di misura preistorica, vi invitiamo alla lettura del nostro libro Civilization One. Il mondo non è come pensavi che fosse, pubblicato in Italia da Arethusa.
Christopher Knight e Alan Butler il più grande laboratorio al mondo di ricerca nucleare. Il Large Hadron Collider (Grande collisore di adroni, ndt) è un tunnel circolare di 27 km di lunghezza, a 100 metri di profondità sul confine franco-svizzero. Ridotta all’essenziale, completamente vuota, questa struttura potrebbe essere qualsiasi cosa: forse una tomba oppure un luogo di culto per divinità degli inferi? In realtà, questa struttura piuttosto banale è uno strumento altamente scientifico gestito da 2600 persone locali a beneficio di 7931 scienziati provenienti da 580 università e 80 Paesi. Tra i molti risultati ottenuti in questa cavità circolare c’è l’invenzione di sir Tim Burners-Lee: Internet. E la ricerca attuale è incentrata sulla possibilità di viaggiare nel tempo, sebbene solo per le particelle subatomiche. L’analogia del CERN con Thornborough e altri henge in Britannia potrebbe non essere così inverosimile come si può immaginare. Potrebbero essere stati creati entrambi a beneficio di scienziati internazionali? I costruttori degli henge erano originari delle Isole Britanniche, oppure potevano essere stati un gruppo più ampio che arrivava da altri luoghi per servirsi dei vari benefici astronomici offerti dalle latitudini del nord-ovest dell’Europa? In questa fase, al momento, non lo sappiamo.
VEDUTA AEREA DELLA CAPPELLA DI ROSSLYN
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Le piramidi di Giza
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Tutto ciò che possiamo dire per certo è che decine di migliaia di strutture usate per locafacevano uso di unità, cioè metri e secondi, lizzare e misurare i moti della Luna, dei pianecosì come della yard megalitica. ti e delle stelle. Thornborough stessa era staArrivati a questo punto, abbiamo deciso di ta in uso per quasi un millennio prima che le portare la nostra attenzione sulle sabbie del piramidi fossero costruite. Dato che entramdeserto di Giza. bi, gli henge di Thornborough e le piramidi Una delle critiche alle teorie del noto scritdella piana di Giza, sembrano essere costruiti tore e ricercatore Robert Bauval riguardanti le in base alla forma della Cintura di Orione, ci piramidi di Giza è relativa alla grande importanza che lui diede alle questioni stellari coinvolte, quando l’Antico Regno è generalmente considerato essere stato, in modo schiacciante, una cultura orientata al Sole. L’importanza del Sole per questo popolo è fuori dubbio, dal dio Ra all’incredibile città di Eliopoli. Fu solo molto più tardi, probabilmente come risultato dell’influenza babilonese, che gli egizi si interessarono in modo serio all’astronomia. Prima dell’iniziale era delle piramidi e per un considerevole tempo successivo, lo studio CORRELAZIONE STELLARE DELLA CINTURA DI ORIONE CON GIZA DI BAUVAL dell’astronomia non sembrava infatti essere stato d’importanza sono tre possibili spiegazioni per la correrilevante per gli antichi egizi. Eppure le piralazione. Primo, potrebbe essere che non ci midi sembrano implicare un grande interessia alcuna relazione, ma semplicemente che se nelle stelle e ciò è anche confermato dalle due culture differenti avessero focalizzato in molteplici “formule magiche” o “incantesimi” modo del tutto naturale la loro attenzione su presenti nei Testi delle Piramidi. E se abbiaSirio, la più luminosa di tutte le stelle, e che mo ragione, il livello dell’astronomia basato poi avessero notato una linea quasi dritta di sull’osservazione di chi progettò i siti delle pitre stelle che sorgevano e puntavano verso di ramidi deve essere stato notevole. essa. Attribuirono quindi a queste stelle alcuPertanto, da dove viene questa conoscenni significati mistici e decisero per qualche raza astronomica? gione di costruire un modello di esse sulla TerLa nostra risposta è che provenisse dalle ra. La seconda opzione è che ci fu un contatto Isole Britanniche, e ci sono molti validi motivi fra gli antichi egizi e il popolo della Britannia per stabilire questa apparentemente bizzarra megalitica, e che gli egizi avessero adottato le affermazione. credenze dei nordici fondendo la loro “magia” Le Isole Britanniche, insieme ad altre aree astronomica basata sulle stelle con la loro tedell’Europa occidentale, hanno ancora resti di ologia solare. La terza possibilità è che la casta
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Le piramidi di Giza sacerdotale astronomica della cultura britannica megalitica fosse attivamente coinvolta nella progettazione e disposizione delle piramidi. Mentre tutte le testimonianze mostrano come il popolo della Britannia fosse molto indietro rispetto agli egizi nella costruzione in pietra e nella produzione di strumenti in bronzo, essi erano chiaramente avanti nell’astronomia e nell’adozione di sistemi di misurazione complessi e multifunzionali. La critica potrebbe ribattere che qualsiasi relazione fra questi due gruppi avrebbe portato all’adozione di metalli in Britannia molto prima, ma noi abbiamo buone ragioni di credere che ciò sarebbe stato un anatema per i sacerdoti del Megalitico. Per seguire questa terza versione “forte” della teoria britanni-egizi, si può presumere che i sacerdoti megalitici andarono in Egitto oppure che i re egizi inviarono i loro sacerdoti-costruttori al Nord, per investigare la “magia” delle stelle conosciuta e compresa dalle popolazioni di cui erano venuti a conoscenza. L’evidenza suggerisce che fu quest’ultima ipotesi ad aver avuto luogo. Se le piramidi fossero state situate come abbiamo sostenuto, calcolando il tempo al sorgere delle stelle
Christopher Knight e Alan Butler della Cintura di Orione e convertendo la durata del pendolo usato in unità lineari, allora possiamo determinare dove e quando fu fatto, poiché l’angolo della levata delle stelle cambia a seconda della latitudine, ma quando studiammo il sorgere delle stelle della Cintura di Orione a Giza nel 2500 a.C. circa, non trovammo nessuna relazione con l’attuale disposizione delle piramidi in nessuna unità. Allora tentammo con Thornborough, e corrispose immediatamente con una precisione straordinaria! Utilizzando un software standard per l’astronomia, calcolammo i tempi all’equinozio d’autunno a Thornborough il 14 ottobre 2500 a.C. e scoprimmo che le tre stelle sorsero al seguente orario: Mintaka - 21:02:27 Alnilam - 21:10:49 Alnitak - 21:18:11 Come riportato più dettagliatamente all’interno del nostro libro L’alba delle Piramidi, sono le due stelle esterne che devono essere misurate al loro sorgere, poiché la curvatura della stella centrale falsa i tempi reali e quindi, alla fine, la distanza lineare tra le
IMMAGINE SUGGESTICA DELL’ALBA PRESSO LA PIANA DI GIZA
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Le piramidi di Giza stelle. Questo significa che il tempo calcolato tra il sorgere di Mintaka e Alnitak era di 15 minuti e 44 secondi: un totale di 944 secondi. L’intervallo di tempo fra il sorgere della prima e dell’ultima stella presentava 944 oscillazioni di un pendolo che batte i secondi da 99,55 cm di lunghezza: 944 di tali lunghezze misurerebbero 940 metri. Lo spazio tra il centro della piramide di Khufu e il centro di quella di Menkaure è, per meglio dire, di 942 metri. Questo dà una corrispondenza del 99,8%, che è la percentuale più vicina alla perfezione che si possa avere, dato che potremmo aver leggermente sbagliato le nostre valutazioni della reale distanza tra i centri delle piramidi e tenendo conto che gli egizi potevano aver sbagliato leggermente nel disporle. O è un’enorme coincidenza il fatto che entrambe le strutture siano una copia della Cintura di Orione e che la misurazione delle stelle a Thornborough nel 2500 a.C. corrisponda alla posizione delle piramidi, oppure ci deve essere una connessione. Va da sé che diventi necessaria una più accurata ed estesa ricerca sulle possibili connessioni tra le due culture in questione. Dal nostro punto di vista rimaniamo totalmente convinti che le tre piramidi principali della piana di Giza fossero costruite sotto un’impronta che non fu creata precedentemente nel deserto vicino al Nilo, bensì nel verde e piacevole territorio dello Yorkshire del Nord. Chiaramente il progetto delle piramidi non era grande come quello degli henge di Thornborough, anche se il lavoro svolto per la loro costruzione fu significativamente maggiore. La misurazione diretta dall’henge più a nord all’henge più a sud a Thornborough è di 1500 metri, mentre la misura, da centro a centro, tra la Grande Piramide (Khufu) e la più piccola delle tre piramidi (Menkaure) è circa 943 metri. Cercando attraverso quanti più documenti e rilievi topografici possibili, arrivammo alla conclusione che la differenza tra il centro della piramide di Khufu e il centro della piramide di Khafre è di circa 479 metri e che la differenza tra il centro di questa piramide e la piramide di Menkaure a sud è di circa 463 metri. Tenendo conto di questa informazione, scoprimmo abbastanza velocemente qualco-
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Christopher Knight e Alan Butler sa che ci stupì in maniera incredibile. Divenne completamente ovvio che il prospetto delle tre principali piramidi sulla piana di Giza non fu progettato nel natio Egitto, bensì a migliaia di chilometri di distanza: sul sito dei tre henge di Thornborough in Gran Bretagna! Sappiamo infatti che, dopo 1000 anni dalla costruzione degli immensi henge in Britannia, la cultura che li aveva progettati e costruiti era stata convinta a portare la sua conoscenza lontano dalle sponde delle Isole Britanniche. La conoscenza che disegnò e costruì gli osservatori astronomici in Britannia sarebbe stata usata per impostare la costruzione della Grande Piramide e delle sue compagne. Erano presenti le stesse idee e gli stessi protocolli. Ma il fatto che la pianta delle piramidi fosse quasi certamente basata su Thornborough, testimonia come lo schieramento degli henge fosse conosciuto, rispettato e forse anche venerato in gran parte del nostro pianeta. I viaggi compiuti durante la nostra ricerca, unitamente ad alcuni degli esperti che incontrammo sulla strada, ci avevano fatto capire che gli straordinari risultati dei costruttori di henge non erano che l’inizio della storia. L’esistenza di pietre erette in Egitto, insieme alle prove relative alla Sfinge e alla sua età, dimostrano senza ogni dubbio che la nascita della civiltà e quasi certamente delle super-civiltà avvenne molto tempo prima di quanto la storia ufficiale abbia mai preso in considerazione. Cosa accadde a questi popoli perduti, con la loro straordinaria conoscenza della Terra e anche dell’Universo, rimane un enigma, sebbene la vulnerabilità della Terra alle cadute di comete e meteoriti probabilmente offra il miglior indizio che abbiamo. Siamo stati portati al riconoscimento dell’importanza degli henge dalla più incredibile delle coincidenze: la scoperta di un edificio del XVIII secolo con proporzioni megalitiche in una graziosa cittadina inglese. La nostra ricerca sul King’s Circus a Bath, sebbene non programmata, ci portò nuovamente faccia a faccia con la massoneria, un soggetto che abbiamo trattato nel passato. E quando divenne ovvio che ci fossero altre connessioni megalitiche a Bath, oltre al King’s Circus, ci sentimmo in obbligo nel verificare se queste
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Le piramidi di Giza antiche misure fossero state utilizzate in altre strutture del XVIII secolo. Fu a questo punto che le cose incominciarono a diventare davvero incredibili. La città di Washington DC, costruita a ovest lontano dall’Inghilterra attraverso l’Oceano Atlantico, si dimostrò essere un’autentica depositaria della conoscenza megalitica. Non semplicemente alcuni specifici edifici, ma l’intera pianta della città era stata basata sulla yard megalitica e sulla geometria megalitica. Ancora una volta ci imbattemmo nella massoneria e in una storia antica che iniziò nella Gerusalemme preistorica. La dipendenza di Washington DC dalle misure e dalla geometria megalitiche non si limitava alla fondazione della città: era evidente che fossero state capite e utilizzate anche di recente nel nostro secolo. Ma il più intrigante luogo a Washington DC giace proprio al centro del distretto della Columbia, nel mezzo di un parco ellittico con proporzioni megalitiche. Questo evidente luogo sacro fu pianificato ben oltre 200 anni prima perché i suoi creatori aveva lasciato un’enorme e palese freccia nel paesaggio, che puntava in modo specifico verso questo luogo. Washington DC è una città “pianificata astronomicamente”. È un deposito voluto per “qualcosa” che quasi sicuramente restò per secoli sotto la cappella di Rosslyn in Scozia, anch’essa pianificata astronomicamente. Qualsiasi cosa sia questo tesoro, esso giunse originariamente dal tempio
Christopher Knight Consulente di marketing, studioso di Scienze del comportamento e di Storia delle religioni, inizia la sua carriera di scrittore dopo sette anni di ricerca sulle origini dei rituali della massoneria. La chiave di Hiram, il suo primo libro scritto insieme a Robert Lomas nel 1996, è diventato un bestseller internazionale: tradotto in 40 lingue ha venduto oltre 1 milione di copie in tutto il mondo.
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Christopher Knight e Alan Butler di Gerusalemme, altra struttura progettata in accordo con le stelle. Stiamo parlando di qualcosa di così antico che fu un tempo in possesso di Enoch? Questa possibilità sembra improbabile, ma potrebbe aver avuto origine nei primi secoli avanti Cristo, oppure anche al tempo di re Salomone. Che storia, che avventura. Per il resto della nostra vita, quando alzeremo lo sguardo al cielo stellato e vedremo le tre stelle della Cintura di Orione puntare inesorabilmente verso Sirio sapremo che, dai solitari altopiani dell’Età della Pietra della Britannia ai primi passi di una molto più recente comunità alla disperata ricerca di libertà e autodeterminazione, siamo in buona compagnia. E chiunque voi siate, a Washington DC e ovunque sulla Terra, che già conoscete questi segreti e li considerate tuttora sacri, noi possiamo solo ammirare la convinzione, la determinazione e la forte motivazione che è durata così tanto a lungo nel tempo. Ma un pensiero è inevitabile. È ora tempo di riesaminare completamente la storia dell’umanità e riguardare alle vecchie idee del passato che sono così ovviamente e deplorevolmente inadeguate. L’archeologia deve trovare un modo per mettere da parte le sue supposizioni del XIX e XX secolo e avanzare verso un nuovo paradigma di un’evoluzione sociale e scientifica che rispetti le imponenti conquiste dei nostri avi. Abbiamo tutti così tanto da imparare.
Alan Butler Ingegnere, esperto di astrologia e astronomia, ha scritto numerosi saggi sulle antiche civiltà, sui culti pagani, sulla religione comparativa, sui Templari e sulla leggenda del Graal. A tutto questo si unisce anche l’attività di romanziere e drammaturgo.
L’alba delle piramidi Arethusa, 2011 << vai scheda libro Settembre 2011 | n.3
di Paolo Battistel Un mondo di 12Ë&#x2122;000 anni fa sepolto dai suoi costruttori
La civiltĂ perduta di GĂśbekli Tepe
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La civiltà perduta di Göbekli Tepe
Il più antico tempio costruito della razza umana
Paolo Battistel quella insolita collina che spiccava in modo del tutto artificiale come «un gigantesco ventre» sul piatto altopiano calcareo, non aveva avuto il minimo dubbio su cosa si celasse nelle sue profondità «era evidente fin da subito che quello era stato un gigantesco sito dell’età della pietra». «Avevo due possibilità» ama ricordare Schmidt «Andare via senza dirlo a nessuno o passare il resto della mia vita lavorativa qui». Appena iniziarono gli scavi Schmidt comprese immediatamente che i bianchi megaliti
L’istante in cui Klaus Schmidt poté osservare da vicino quella singolare Collina con uno strano dosso nella sua sommità che gli abitanti del luogo chiamavano confidenzialmente “pancia” modificò per sempre il nostro concetto della storia dell’uomo. Una maestosa opera architettonica si celava sotto quella terra arida, un edificio religioso composto da più templi circolari eretta intorno al 10˙000 a.C. da una cultura che avrebbe dovuto essere di soli cacciatori-raccoglitori. Göbekli Tepe cioè letteralmente “collina con la pancia” è un sito neolitico dislocato nell’odierna Turchia Sud-orientale nella provincia di Sanliurfa ad una quarantina di km dall’omonima città. La storia della Collina con la Pancia è piuttosto controversa. Risale ai lontani anni ’50 quando le leggende locali su una collina sacra (una Ziyaret) raggiunsero alcuni archeologi ma dopo gli iniziali sopralluoghi il sito venne bocciato defiRICOSTRUZIONE GRAFICA DI GÖBEKLI TEPE nitivamente nel 1960 da Peter Benedict che interpretò i pilastri affioranti come lapidi di un ipoaffioranti che erano stati catalogati decenni tetico cimitero medievale. La scoperta della prima da Benedict come lapidi tombali d’un straordinaria verità avvenne solo nel 1994 cimitero islamico erano in realtà degli impoquando le nuove segnalazioni degli abitanti nenti pilastri a forma di T d’epoca neolitica. del luogo riguardo i frequenti affioramenti di Questo tipo di manufatto era piuttosto noto reperti archeologici fanno muovere lo stesso all’archeologo che ne aveva studiati alcuni di museo di Sanliurfa che solletica con insistensimili qualche anno prima nel sito neolitico za una nuova verifica ed è l’archeologo tededi Nevali Çori ma la grandiosità e il numero sco Klaus Schmidt (che in quel momento stadei pilastri di Göbekli Tepe non aveva pari. va lavorando in alcuni siti neolitici più a nord), Gli scavi ne portarono alla luce decine di diche si incuriosisce alla vicenda e si reca con la mensione variabile dai 2 ai 7 metri d’altezza. sua squadra a fare un sopralluogo nella “ColliIn qualche anno gli archeologi di Göbekli rina con la pancia”. uscirono a ricostruire quattro grandi cerchi Schmidt ricorda che appena giunto in megalitici dal diametro variabile dai 10 ai 30
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La civiltà perduta di Göbekli Tepe metri composti interamente da questi pilastri a forma di T spesso sostenuti (e recintati) da dei muri a secco strettamente adiacenti. L’ipotesi di Schmidt e dei suoi colleghi è che i pilastri rappresenterebbero degli esseri umani stilizzati a cui venivano scolpiti dei tratti umanoidi come le braccia e le mani. L’archeologo tedesco va oltre nella sua interpretazione simbolica ipotizzando in quelle immagini una prima forma di “religione moderna” «penso che qui siamo faccia a faccia con la prima rappresentazione degli dei. I pilastri non hanno né occhi né bocca ma hanno le armi e le mani. Essi sono quindi responsabili». Entità divine quindi complesse a pensanti in un mondo di 12˙000 anni fa. Come è stata però possibile il realizzarsi di una simile opera architettonica da parte di una società che tutti hanno creduto fin’ora vivere in piccoli gruppi in un’economia di stretta sussistenza? Una società basata sulla caccia e il raccolto occasionale? Schmidt tenta di rispondere frantumando questo schema evolutivo «I blocchi di calcare dei pilastri (il cui peso varia dalle 40 alle 60 tonnellate) sono stati estratti e scolpiti da migliaia di persone
Paolo Battistel che non conoscevano ancora la ruota né la ceramica o i metalli, ma non avevano inventato nemmeno l’agricoltura o l’allevamento», questa evidenza dei fatti risulta inconciliabile con la visione classica dei cacciatori-raccoglitori in quanto per un simile compito era necessario un governo centrale in grado di coordinare masse di lavoratori indispensabili per la realizzazione di grandi monumenti. Secondo quest’ipotesi non sarebbe stata l’agricoltura con il conseguente surplus di cibo a portare gli uomini a una vita sedentaria in gruppi che con il passare dei secoli sono cresciuti ma il desiderio di grandezza nel costruire questi imponenti monumenti a portare questa grande massa d’uomini a scegliere la vita sedentaria. Lo schema risulta affascinante ma ancora tutto da verificare.
Il culto degli animali o della fertilità? L’elemento più stupefacente del sito neolitico (oltre alla connessa monumentalità) consiste senza dubbio nella moltitudine di basso-
SCAVI ARCHEOLOGICI A GÖBEKLI TEPE
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La civiltà perduta di Göbekli Tepe rilievi scolpiti che decorano i Pilastri stessi. Ad una prima occhiata serpenti, volpi, avvoltoi, leoni, cinghiali e tori si intrecciano sulla pietra calcarea insieme ad animali meno feroci come Ibis, gru, anatre, asini senza dimenticare le grandi immagini di ragni e scorpioni. Un vero e proprio «zoo dell’età della pietra» secondo gli archeologi. Un accenno a parte va fatto per il cosiddetto “culto degli avvoltoi” ipotizzato dall’archeologo francese Danielle Stordeur. Analizzando il grande numero di questo tipo di raffigurazioni presenti a Göbekli e confrontandole con quelle ritrovate in altri siti neolitici della
UNO DEI TANTI ANIMALI RAFFIGURATI SULLE PIETRE
zona ha riscontrato l’insolito prestigio di questa razza di volatili. Per Stordeur questi uccelli mangiatori di cadaveri potevano rappresentare (per le popolazioni neolitiche) un possibile tramite tra umano e divino, erano degli esseri cioè che cibandosi della carne dei morti avrebbero portato i medesimi fino al cielo. L’archeologo francese preferisce non sbilanciarsi sulla difficile ipotesi di cosa rappresentino determinati avvoltoi scolpiti in forma qua-
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Paolo Battistel si umanoide, ma è lo stesso Schmidt a smontare l’ipotesi di una qualche divinità-avvoltoio a Göbekli ipotizzando che siamo di fronte a sciamani che «danzano vestiti da avvoltoi». Gli uomini di Göbekli Tepe scolpivano quei blocchi di pietra calcarea con dei semplici utensili di selce scheggiata ma con una straordinaria abilità raffigurando il mondo che vedevano dinanzi ai loro occhi di cacciatoriraccoglitori, un mondo che assomigliava a un antico Paradiso Perduto ricco di flora e fauna di cui l’uomo era parte integrante. Tra i cerchi megalitici sono state anche disseppellite statue vere proprie (come una testa umana e un uomo con il pene eretto) ma anche complessi altorilievi vennero scolpiti direttamente sulle pareti dei pilastri stessi nella forma di animali feroci o rettili. Per quanto ciascun cerchio megalitico abbia al suo interno due imponenti pilastiumanoidi a forma di T Schmidt non crede (come ipotizzato da alcuni colleghi) che questi rappresentassero un uomo e una donna né che il tipo di culto praticato a Göbekli Tepe si avvicinasse ai riti della fertilità ritrovati nelle più tarde comunità vicine. In questo modo l’archeologo tedesco si oppone alla vecchia teoria della Dea-Madre neolitica ipotizzata dal famoso scopritore del sito di Catal Höyük, James Mellaart che trovando al principio numerosi simulacri divini in forma di donna e di Uro (una razza bovina primigenia) giunse alla frettolosa conclusione del culto della fertilità, ipotizzandolo poi per tutto il mondo neolitico. Per Schmidt in tutte le raffigurazioni fin’ora portate alla luce non ci sono chiari simboli della fertilità e persino gli animali scolpiti hanno per buona parte chiari tratti maschili, mentre le colonne risultano totalmente asessuate.
I primi Geroglifici Sotto questi imponenti bassorilievi dal chiaro valore simbolico che ornano i pilastri a T è possibile distinguere delle immagini scolpite dalle dimensioni minori. I soggetti scelti risultano affiancati gli uni agli altri in successioni che appaiono stranamente simili ai
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La civiltà perduta di Göbekli Tepe geroglifici che potremmo trovare nell’antico Egitto solo 7˙000 anni più tardi. Queste immagini che anche gli addetti ai lavori definiscono cautamente Geroglifici (dal greco hierós e glýfō cioè sacro-segno) sono la più antica forma di scrittura che ci è giunta integra. I soggetti scelti di queste catene simboliche che si sviluppano sulle colonne sia verticalmente che orizzontalmente sono per lo più dei segni astratti. Il più diffuso è il segno “H” che troviamo sia nella consueta posizione che ruotato di 90°; il cerchio; la mezzaluna nella variante verticale e in quella coricata; il palo orizzontale. A queste simbologie astratte vengono affiancati segni con una più chiara connessione con il reale come la testa d’ariete o di toro, il cosiddetto bucranio, il serpente stilizzato singolo (quasi a forma di saetta) e il fascio di serpenti la cui forma sinusoidale fa fatto pensare ad una superficie acquea scossa dalle onde. Pochi sono ottimisti nella comprensione dei messaggio incisi sui pilastri di Göbekli Tepe come l’archeologo Gary Rollefson che diffidente a ogni ipotesi interpretativa del simbolismo primitivo, ama sottolineare che «è trascorso il medesimo tempo tra Göbekli Tepe e le tavolette d’argilla sumere (impresse nel 3˙300 a.C.) che tra i sumeri e oggi». Se per i grandi bassorilievi si tenta di ipotizzare alcune comparazione proprio con l’antica mitologia sumerica come nel caso dell’enorme numero di volpi scolpite su i pilastri a T il cui simbolismo condurrebbe al dio sommo del pantheon mesopotamico Enlil che viene spesso ritratto nella forma di volpe, per i geroglifici di Göbekli la strada verso la comprensione simbolica e “linguistica” è piuttosto lontana dall’essere imboccata, ma ancora notevoli strati del sito sono da portare alla luce e questa prospettiva porta un vento d’ottimismo per comprender una civiltà per-
Paolo Battistel Nato a Torino si laurea in Ermeneutica Filosofica prendendo un indirizzo mitologico-religioso. Formato nell’analisi arche-
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Paolo Battistel duta che costruiva maestosi templi nel cuore della preistoria.
Culto degli antenati? L’ipotesi principale di Schmidt sull’utilizzo del tempio è legato al culto degli antenati. Negli strati inferiori di Göbekli Tepe ci sarebbe secondo l’archeologo berlinese il motivo per cui questi cacciatori-raccoglitori hanno eretto il complesso cultuale. Il pavimento dei templi ad anello è composto da lastre di calcare indurito e Schmidt è convinto che quando infine si scaverà sotto questo strato si troveranno le prima ossa umane. Queste resti dovrebbero appartenere alle figure più eminenti di quel popolo neolitico, capitribù, sciamani, grandi cacciatori, uomini che hanno forgiato il modo di vivere delle genti di Göbekli. Per l’archeologo tedesco c’è la possibilità che il sito in origine fosse solo un cimitero di cacciatori in cui si officiavano le prime cerimonie mortuarie e che solo successivamente questo culto dei morti si fosse sviluppato fino a spingere quelle genti neolitiche ad erigere i grandiosi pilastri-totem il cui compito originario sarebbe stato vegliare sui defunti. Secondo Schmidt la collina di Göbekli Tepe è stata scelta proprio perché dominava il paesaggio circostante, un paesaggio che 12˙000 anni fa era simile a un paradiso e che gli antenati dei cacciatori avrebbero potuto ammirare per l’eternità. Non sapevano che proprio nell’erigere quella stupefacente costruzione l’uomo si sarebbe modificato perdendo le sua originaria autosufficienza nomade e imboccando la strada dell’agricoltura, un percorso impervio che rese le condizioni di vita estremamente difficili e destinato a trasformare quel paesaggio rigoglioso in un suolo arido e inospitale. Il paradiso di Göbekli Tepe era perduto.
ologica e mitologica delle religioni antiche si specializza nell’analisi delle civiltà mesopotamiche e nord-europee. Attualmente lavora come giornalista freelance collaborando con diverse riviste specialistiche e non.
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a cura di Osvaldo Carigi g Intervista con Giovanni Feo
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“I
veri giganti, quelli che si elevano, sono il sale della terra”, basterebbe questa frase, posta a dedica dall’amico Giovanni Feo sulla mia copia del suo ultimo lavoro, per delineare la possente personalità di questo grande studioso che con “Giganti Etruschi” continua nella sua energica, spirituale descrizione di un mondo, lontano nel tempo, che seppe convivere con la natura circostante e studiare il cosmo sovrastante in una sorte di magica e rispettosa simbiosi con le eterne universali leggi che regolano la vita degli esseri umani. “Storia e leggende dei ‘figli della terra’ recita il sottotitolo di quest’ultima fatica dell’autore, un’opera che si completa nel suo valore divulgativo con la presenza di “Astri e megaliti dell’Antica Etruria”titolo di uno straordinario dvd allegato, dedicato a quel periodo storico del nostro passato “ancora in gran parte da scrivere” Ed è proprio dalle nebbie di una storia antica, che possiamo datare con la fine del neolitico, che si rivela nelle pagine di questo ‘Giganti Etruschi’ l’esistenza di una civiltà ai più sconosciuta, se non a pochi addetti ai lavori, una civiltà la cui importanza nella civilizzazione del belpae-
A cura di Osvaldo Carigi se sorprenderà non poco il lettore. La storia della “cultura di Rinaldone” ha inizio nel 1903 proprio nella località laziale da cui prende il nome con il rinvenimento, da parte dell’archeologo Pernier, di una necropoli e di reperti funerari. Successivamente, ulteriori scoperte in molte località dell’Italia Centrale, Abruzzi e Campania di altri sepolcri e corredi funerari similari al predetto primo ritrovamento, confermarono, su un territorio più vasto di quanto si fosse creduto inizialmente, l’impronta di questa cultura nonché le sue eccezionali connessioni con quella etrusca. Ma le sorprese non finiscono qui e nel rimandarne la completa conoscenza nella lettura del libro, abbiamo incontrato il suo autore per approfondire alcuni aspetti delle storie raccontate in ‘Giganti Etruschi’. Tuttavia, non posso davvero esimermi dall’iniziare questa intervista chiedendo proprio a Giovanni Feo di rendere omaggio alla grande archeologa lituana Marija Gimbutas e al suo straordinario operato nel campo della ricerca sull’Europa neolitica. Giovanni Feo: “L’importanza di una studiosa come Marija Gimbutas la si comprende se si guarda a ciò che questa donna straordi-
UNO DEI MEGALITI DI POGGIO ROTA
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La Cultura Di Rinaldone naria ha fatto: ricerche e scavi in più di 3000 siti neolitici dell’Antica Europa, migliaia di importanti reperti rinvenuti, la conseguente definizione di una civiltà matrifocale – incentrata sul culto di una dea – durata circa dal 7500 al 3000 a.C. In una serie di splendidi libri illustrati, la Gimbutas ha proposto una radicale ridefinizione della storia conosciuta: una nuova, scientifica e profonda visione sul mondo delle nostre origini. Tra le civiltà di età
RESTI OSSEI IN MOSTRA AL MUSEO
storica che la Gimbutas fa risalire alla cultura matrifocale del neolitico, è compresa anche la civiltà etrusca.” Osvaldo Carigi: “Come mai una cultura come quella di Rinaldone, così importante per la storia del nostro paese, non ha avuto il giusto riconoscimento mediatico che indubbiamente merita?” G.F.: ”Le ragioni sono diverse. Primo, perché i “media” tendono inevitabilmente ad abbassare la qualità delle informazioni al livello della persona “media”, cosa che, in Italia, equivale a banalizzare le informazioni, eliminando ogni profondità snaturando i contenuti. Poi, perché il mondo accademico è stato, ed ancora è incapace di comunicare ad altri, se non ad una ristretta cerchia di addetti ai lavo-
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A cura di Osvaldo Carigi ri, i risultati delle proprie ricerche. Quello accademico è troppo spesso un mondo chiuso, obsoleto, ottocentesco, amante dei ‘premi’ e dei ‘ riconoscimenti’, ma nemico delle novità e delle scoperte, un mondo che invece di essere in primo piano nella società è del tutto staccato dalla realtà culturale del paese. Ci vorrà un drastico ricambio generazionale per poter tornare a studiare con passione e a promuovere ricerche su importanti temi come le origini della civiltà. La cultura di Rinaldone potrà allora essere rivalutata per il suo fondamentale contributo alla nascita dell’Italia antica. O.C.: ”La metodologia di studio di questa cultura venne indirizzata esclusivamente allo scavo delle tombe. Conseguenza di tale criterio di ricerca è risultato il progressivo abbandono della stessa proprio là “dove quel popolo aveva vissuto e lasciato tracce e opere”. G.F.: ”La ricerca archeologica è divenuta in troppi casi sinonimo di scavo: se non si scava non si fa archeologia. È nata una vera ossessione per lo scavo delle tombe, trascurando lo studio dei luoghi dei vivi e del loro territorio che, invece, è un elemento basilare per comprendere come viveva un’antico popolo. Studi e ricerche sui Rinaldoniani si sono impantanati per lunghi decenni, fino ad arrivare all’oblio, dimenticando che la cultura di Rinaldone non fu una marginale tribù primitiva….priva di civiltà, ma una tra le più importanti e antiche culture dell’Italia. Grazie alle recenti scoperte avvenute in Maremma si stanno iniziando a rivalutare i due lunghi millenni nei quali i Rinaldoniani, in un’ampia area dell’Italia centrale, svolsero il ruolo di protagonisti e civilizzatori. O.C.: ”Giovanni, nell’inverno del 2004/2005 sei stato protagonista di una scoperta sensazionale: quella del sito preistorico di Poggio Rota, un imponente circolo di megaliti “alline-
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La Cultura Di Rinaldone ati sulla cima di un colle, ciclopici e scuri massi puntati verso il cielo, come giganti pietrificati” miracolosamente giunto fino a noi in buone condizioni di conservazione. Questo monumento è stato, ed è tutt’ora, oggetto di studio anche da parte di illustri studiosi, come il geologo Alfonso Giusti, l’astronomo Adriano Gaspani e l’archeologa Nuccia Catacchio Negroni, che ne hanno scientificamente accertato la funzione di osservatorio astronomico. Leggendo il capitolo del tuo libro dedicato a questo circolo di pietre mi ha anche però profondamente colpito il grido di allarme che lanci circa il pericolo di cedimento che sta correndo a causa dell’azione erosiva delle piogge e di quella invasiva della vegetazione circostante. Eppure, nella nostra penisola, quello di Poggio Rota è l’unico osservatorio astronomico di età preistorica ancora integro…..ancora per poco se non si corre subito ai ripari.” G.F.: ”Senza un urgente intervento di messa in sicurezza i megaliti possono crollare. Andrebbe persa una scoperta eccezionale: quello di Poggio Rota è un monumento unico in Italia, ne esistono pochissimi nel mondo inte-
A cura di Osvaldo Carigi ro. I megaliti di Poggio Rota compongono un completo osservatorio astronomico che dà informazioni sul sole e gli altri astri con una precisione e una “tecnologia” delle più complesse. Le informazioni che si possono trarre dallo studio dei megaliti riguardano due temi: quello puramente astronomico e quello relativo al culto solare e astrale. O.C.: ”Mi dicevi che, comunque, si sta cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sullo stato di pericolo in cui versa questo importante monumento e, in attesa di un auspicabile positivo riscontro da parte delle autorità competenti, ti stai adoperando, quanto più possibile, insieme ad altri studiosi, a salvaguardare il sito. G.F.: ”Si, per questo abbiamo fondato l’associazione Tages, il cui primo obiettivo è di mettere in sicurezza i megaliti di Poggio Rota. Abbiamo la collaborazione dell’archeologa Catacchio Neuroni, esperta di protostoria, e di geologi, professori e ricercatori, tutti preoccupati di salvare un monumento unico ed eccezionale. Finora abbiamo prodotto relazioni di archeologia, archeoastronomia e geologia, tutte depositate in Soprintendenza per do-
I MEGALITI DI POGGIO ROTA
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La Cultura Di Rinaldone cumentare l’importanza del sito e accelerare i tempi per metterlo sotto vincolo; ciò potrà permettere la tutela del sito e il proseguimento di studi e ricerche che, già da quanto sinora fatto, hanno prodotto informazion i di estremo interesse.” O.C.: ”Da dove provenivano i Rinaldoniani?” G.F.: ”Sulle origini dei Rinaldoniani non c’è ancora un’acclamata certezza. È comunque
BROCCA RITROVATA A RINALDONE
dimostrato, dai numerosi reperti archeologici, che i Rinaldoniani mantennero stretti rapporti con le culture dell’area egeo-anatolica (IV-III millennio a.C.). La mia opinione è che provenissero proprio da quelle terre, le stesse da dove, secoli più tardi, si mossero i Tirreni (=Etruschi) per venire in Italia. O.C.: ”La comune area geografica di provenienza spiegherebbe le affinità riscontrate tra questi due popoli” G.F.: ”L’area dell’Italia centrale occupata dai rinaldoniani è la stessa occupata secoli più tardi dagli Etruschi. Ambedue provenivano dalle terre egeo-anatoliche, esistono molti punti in comune tra i due popoli, però non si tratta dello stesso popolo, ma di due etnie imparentate tra loro, ambedue discendenti
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A cura di Osvaldo Carigi da una stessa originaria cultura: quella del neolitico europeo, studiata dalla prof. Gimbutas, dalla quale, oltre a Rinaldoniani ed Etruschi, discesero vari “popoli del mare” insediati sulle coste egee ed anatoliche. Da questo retroterra prese forma la prima grande civiltà del mare, la Minoico-Cretese, ma anche quelle confederazioni di 12 popoli (“anfizionie”) riunite intorno ad una stessa religione e lingua; da qui ebbe origine la confederazione dei 12 popoli etruschi.” O.C.: ”Sempre nel contesto delle affinità tra le due culture in questione, è da sottolineare che una comune conoscenza di rotte marittime e approdi ‘pelasgici’ portò sia i rinaldoniani e, più tardi, gli etruschi ad approdare sulle coste dell’odierna Toscana: i primi nei pressi del monte Argentario (Orbetello, Porto Ercole), i secondi dapprima occupando l’isola mineraria dell’Elba e, successivamente, insediandosi nell’area metallifera di Populonia. Noi sappiamo anche che gli etruschi, precedentemente allo sbarco nelle suddette zone, si insediarono, durante il loro viaggio, in diverse zone del mediterraneo, basti pensare alle evidenti vestigia di loro colonie nell’isola di Lemno, in Sardegna. Stessa situazione sembra riscontrarsi anche durante il percorso migratorio dei rinaldoniani, infatti nel tuo libro si legge che arrivarono “a toccare svariati territori mediterranei” e che solo una parte di loro sbarcò sulle coste della Toscana. Vi sono tracce, al di fuori del territorio italiano, di insediamenti appartenenti alla sfera culturale rinaldoniana? G.F.: ”Quando i Rinaldoniani giunsero in Toscana, verso il 4000 a.C. (datazione della necropoli di Canino - VT) contemporaneamente altri popoli del medesimo “ceppo” egeo-anatolico si mossero dalle loro terre per insediarsi sul Po, nelle isole e nel centro-sud della penisola. Nella stessa epoca si verificò
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La Cultura Di Rinaldone un generalizzato spostamento di popoli da est verso ovest, verso l’Europa occidentale. Si ritiene che il motivo di ciò sia stato l’arrivo, non pacifico, di popoli orientali, i cosiddetti Indoeuropei. I popoli dell’età del rame, con una cultura vicina a quella dei Rinaldoniani, hanno lasciato tracce del loro passaggio in molte valli fluviali dell’Antica Europa. O.C.: ” La “scomparsa dalla storia” della cultura rinaldoniana la si può, invece, interpretare come un naturale processo di integrazione con quella dei tirreno-etruschi? G.F.: ”L’eccessiva ottica analitica degli storici ha incasellato le diverse culture e civiltà entro rigide e assurde “gabbie”: scompare una civiltà e dal nulla ne arriva un’altra....È invece esistito un naturale processo di continuità e di integrazione tra i popoli dell’età del rame (Rinaldoniani) e quelli delle successive età (Villanoviani, Etruschi).I Rinaldoniani iniziarono un lungo processo formativo che ebbe il suo apice nella civiltà etrusca. Per oltre due millenni i Rinaldoniani posero le fondamenta dell’antica civiltà italica. Gli Etruschi, giunti verso il XII secolo a.C., erano i loro diretti discendenti, eredi di una medesima visione del-
A cura di Osvaldo Carigi la vita, collegata alle antiche culture europee del neolitico. O.C.: ”Cosa sappiamo della loro scrittura? G.F.: ”Secondo una diffusa opinione accademica, i Rinaldoniani e gli altri popoli dell’età del rame non avevano una scrittura. Eppure, di manufatti con chiari segni di scrittura, risalenti a quell’epoca (e anche precedenti), ne sono stati rinvenuti molti, dall’Ungheria al Mediterraneo. È una scrittura fatta di segni semplici, lineari o ricurvi, ma è ancora difficile esprimere certezze. Diversi filologi credono che anticamente sia esistita una lingua-madre, dalla quale si sarebbero poi sviluppate le diverse forme di scrittura. O.C.: ”Nel 1902, vicino Monteleone, in Umbria, venne scoperto un sepolcro etrusco così descritto: “Un imponente monumento a forma di tumulo, del diametro di metri 19,60”. All’interno di questa tomba gli archeologi trovarono due eccezionali reperti: una splendida biga da parata e lo scheletro di un individuo alto 2 metri e 20 ! La biga è “In legno di noce, interamente rivestita di lamine bronzee, decorate a sbalzo” con un timone, di circa 2 metri di lunghezza,
LA BIGA DI MONTELEONE IN MOSTRA AL METROPOLITAN MUSEUM OF ART A NEW YORK
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UNA DELLE TAVOLETTE ENIGMATICHE RITROVATE A GLOZEL
che “esce dalla bocca di un cinghiale e termina a testa d’ariete”. Questa meraviglia dell’arte etrusca si trova oggi esposta al Metropolitan Museum di New York, ma vi arrivò in circostanze “poco chiare”... G.F.: ”La biga venne portata di notte dall’Umbria nel retrobottega di una frequentata farmacia romana, dopo un mese fu spostata in un luogo più sicuro, presso una banca di Parigi (Crédit Lyonnays), infine fu portata in nave a New York. È ancora oggi in corso, per vie legali, la richiesta della restituzione della biga da parte del piccolo comune di Monteleone. Il comportamento del Metropolitan Museum, finora, è stato sprezzante: gli americani
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A cura di Osvaldo Carigi insistono a ignorare la comprovata origine criminosa di quel furto minuziosamente organizzato. La biga resta tra i massimi capolavori dell’arte sacra etrusca. Le scene mitologiche raffigurate sui tre pannelli del carro parlan, con le arcaiche forme dell’originaria spiritualità etrusca. O.C.: ”La straordinaria altezza dell’uomo trovato nel sepolcro non è ‘un unicum’, tant’è che scheletri di giganti sono stati trovati in sepolcri rinaldoniani ed etruschi, ma anche in Calabria e Sardegna. È da sottolineare, invece, la bassissima percentuale di tali ritrovamenti rispetto a quella di scheletri di statura normale, deducendo che “Quello dei giganti era un ceppo elitario”, al quale sembra appartenere il gigantesco etrusco di Monteleone, anche in considerazione dell’altezza media in epoca etrusca “ di poco oltre il metro e sessanta”. G.F.: ”Possiamo fare alcune ipotesi. Il ceppo dei rinaldoniani, tra i quali vi erano persone di elevata statura, durò almeno 2000 anni, per poi integrarsi con le etnie indoeuropee giunte nel centro-Italia successivamente. Il ceppo certamente non scompare e, in epoca etrusca, forse un antico carisma e speciali qualità ancora erano detenuti dai discendenti dei Rinaldoniani; così come per il “principe” etrusco deposto accanto alla biga, da alcuni reputato persino un possibile “lucumone”. Lo proverebbe la speciale disposizione rituale delle offerte funerarie, ritrovata all’interno del sepolcro. O.C.: ”Nel capitolo dedicato ai Giganti Etruschi, fai menzione anche della misteriosa scomparsa di ossa gigantesche, probabilmente etichettate come scomodi reperti ‘fuori contesto storico’ e, quindi, meritevoli dell’oblio. Storia già sentita, purtroppo.”
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La Cultura Di Rinaldone G.F.: ”La perdita di reperti che potrebbero offrire preziose informazioni è un fatto molto grave. Forse una delle cause è che per certi archeologi ciò che esula dal loro campo di ricerca, come la genetica, o anche l’antropologia o l’etnologia, non è preso nella giusta considerazione. La ricerca moderna dovrebbe invece avere la multidisciplinarietà come basilare metodo di lavoro. Lo si dice…ma poi prevale il monopolio esclusivista dell’”esperto” che evita i confronti, soprattutto con chi ha una visuale diversa dalla sua. O.C.: ”A conclusione del nostro incontro, spostiamoci in Francia, precisamente a Glozel dove, nel 1924, un contadino del posto, certo Emile Fradin, scoprì casualmente numerosi antichi reperti su cui erano incisi segni di una sconosciuta scrittura. L’inevitabile susseguente diatriba circa l’autenticità o meno della scoperta, ancora attuale, coinvolse lo stesso Fradin accusato inizialmente di essere un falsario ma, in seguito, prosciolto da tale accusa. Tale assoluzione gli permise di aprire un piccolo museo locale dove potè esporre i reperti da lui rinvenuti. Tra i sostenitori dell’originalità dei ritrovamenti in questione, spicca lo studioso svizzero Hans Rudolf Hitz il quale recentemente ha acclarato l’appartenenza delle iscrizioni di Glozel ad un alfabeto di tipo etrusco, arrivando ad individuare, in una delle tavolette di terracotta, le parole “Nemu Chlausei” la cui traduzione è “nel bosco sacro di Glozel”. ‘Chlausei’ è simile all’etrusca ‘Cleu-
Giovanni Feo Scrittore e ricercatore, vive da circa trent’anni in Maremma dove ha svolto un’estesa ricerca sul campo, mirata ad una approfondita conoscenza del territorio etrusco e pre-etrusco. Nel 2005 ha scoperto e segnalato alla Soprintendenza l’osservatorio astronomico di Poggio Rota (GR), unico nel suo genere in Italia. Ha fondato l’Associazione Culturale Tages (Pitigliano) e l’Associazione Tawantin con l’antropologo Juan Nunez del Prado (www.tawantin.com/it/ index.htm) Principali opere pubblicate: Le città del tufo nella valle del Fiora (Laurum, 1996), Le vie cave etrusche (Laurum, 1997), Misteri etru-
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A cura di Osvaldo Carigi sin’, ovvero Chiusi, e tale somiglianza etimologica non sembra davvero casuale…..” G.F.: ”Credo che il dr. Hitz abbia risolto, almeno in buona parte, il “mistero”delle iscrizioni di Glozel, definendole di tipo celtico-etrusche e traducendole in modo comprensibile e chiaro. Il suo lavoro merita attenzione. Resta da dire che esiste un numero di iscrizioni ancora non tradotte, anomale, diverse da quelle studiate da Hitz. È possibile che ChlauseiGlozel fosse un importante centro sacro per un lungo periodo di tempo, questo spiegherebbe il ritrovamento di iscrizioni di diverse epoche e provenienze. Il nome etrusco di Chiusi, Cleusin, è etimologicamente omologo a quello celtico di Glozel, Chlausei. Ma c’è un’altra corrispondenza: Chiusi fu un prestigioso centro religioso e culturale, in specie per l’arte fulgurale e la scrittura, e da lì venne portato l’alfabeto etrusco a Felsina (Bologna) e nel nord-Italia, appunto in area celtica. Anche Glozel fu un importante centro sacro, sede di un “nemeton” gallo-celtico, un bosco sacro nei cui templi vennero recati e deposti oggetti votivi con le celebri iscrizioni tanto discusse. È possibile che la scrittura etrusca sia giunta a Glozel portatavi in seguito a scambi tra sacerdoti etruschi e sacerdoti gallo-celtici; credo invece inverosimile, come qualcuno ha affermato, che la scrittura etrusca sia giunta a Glozel tramite “mercanti e scambi commerciali…”.
schi (Stampa Alternativa, 2000), Eremi e romitori di Maremma (Laurum, 2001), Prima degli Etruschi (Stampa Alternativa, 2001), Miti, segni e simboli etruschi (Stampa Alternativa, 2003), Pittura segreta etrusca (Stampa Alternativa, 2004), Geografia sacra (Stampa Alternativa, 2006), Il duomo romanico di Sovana (Stampa Alternativa, 2007), e... Giganti Etruschi
Stampa Alternativa, 2008 Vai scheda libro >> Runa Bianca
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di Gabriele Rossi Osmida La scoperta della piĂš antica chiesa cristiana. Parte III
Il sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III â&#x20AC;&#x201C; XIII sec.)
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Il sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)
Primi edifici cristiani in Oriente Va innanzitutto ricordato che il termine Cristianesimo apparve per la prima volta nell’editto di tolleranza promulgato a Milano dagli imperatori romani Costantino e Licinio nel 313: fino a quel momento i seguaci del Cristo erano generalmente noti come “giudeo-cristiani” ed erano considerati come una delle tante sette che affliggevano il mondo ebraico. Per questo nella loro missione evangelizzatrice, i primi apostoli rimbalzarono da comunità ebraica in comunità ebraica, allora molto diffuse in Oriente fin dall’epoca della
PIANTA DELLA CHIESA-MONASTERO DI URGUT, UZBEKISTAN, COSTRUITO TRA LA FINE DELL’VIII E GLI INIZI DEL IX SECOLO
diaspora babilonese (VIII-VI sec.a.C.). In queste comunità non esistevano templi ma case dedicate al culto (domus ecclesiae) in cui si riunivano non solo gli Ebrei ma anche esponenti di altre religioni greche ed aramaiche, come hanno recentemente dimostrato le missioni americane della Yale University a Dura Europos (Siria). Dal momento che anche a Merv esisteva una comunità ebraica di tutto rispetto, l’ipotesi avanzata da Pugacenkova che la prima chiesa di Haroba Kosht fosse una “chiesa a sala” riflette correttamente l’immagine della domus ecclesia di tradizione giudeo-cristiana.
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Gabriele Rossi Osmida Sia perché perseguitati fino al 313, sia perché il principale rito cristiano, quello della Santa Messa, non era ancora codificato, i seguaci del Cristo non disposero di specifici edifici di culto fino alla metà del IV secolo e, per i loro incontri, utilizzavano di volta in volta o le catacombe o la casa di qualche patrizio. Con la liberalizzazione del culto in epoca costantiniana e con la definitiva rottura con l’Ebraismo che portò alla costituzione ufficiale del Cristianesimo le domus ecclesiae si dimostrano insufficienti a contenere il crescente numero di adepti. Sorgono le prime chiese che si ispirano sia al modello delle basiliche civili romane a pianta rettangolare, sia ai mausolei e/o ai ninfei a pianta circolare. La prima variante si affermerà soprattutto in Siria e Mesopotamia, mentre la seconda, da Bisanzio verrà esportata in Armenia. La chiesa-monastero di Haroba Kosht eretta dai Nestoriani, riflette la pianta delle chiese siriane di cui sopravvivono esempi a Al-Hira (Iraq) e Qalb Lozeh (Siria); la chiesa di quest’ultima località, considerata la più antica chiesa del Vicino Oriente, venne costruita nel 460 con influenze bizantine. In Asia Centrale un edificio religioso accostabile a quello di Haroba Kosht sembra essere il monastero nestoriano di Urgut (Uzbekistan) messo in luce dalla Society for the Exploration of EurAsia durante le campagne del 2004-2007. Questo monastero venne visitato verso il 970 dal geografo islamico Abu-‘l-Qasim Muhammad ibn Hawqal che lo descrive attentamente riferendo che allora si chiamava Wazkard e che ospitava diversi nestoriani fuggiti dall’Iraq. Dalle evidenze archeologiche risulterebbe che a Urgut il primo insediamento nestoriano sia avvenuto tra l’VIII e il IX secolo e che allora si limitasse ad una struttura allungata pressoché rettangolare, come quella di Haroba Kosht. Successivamente, nell’XI secolo, sarebbe stata aggiunta a NE una cappella cruciforme e, sul lato est, si sarebbe sviluppata una struttura adiacente al corpo principale che si considera destinata a foresteria che richiamerebbe in qualche modo la dependance individuata a Haroba Kosht.
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Il sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.)
Considerazioni storiche sulle origini di Haroba Kosht A conclusione ritengo opportuno commentare alcune leggende raccolte e tramandate dai Nestoriani sulle origini della comunità cristiana di Merv codificate nel X-XI secolo e che si riferiscono ad avvenimenti compresi tra il III e il VI secolo. Si tratta di testi a sfondo agiografico-devozionale che, come usava, sono intrisi di fatti leggendari. Ma non vanno certo sottovalutati in quanto il nucleo di una leggenda si rivela spesso come fulcro di fatti realmente accaduti. La tradizione sostiene che il Cristianesimo sia penetrato nell’oasi di Merv nella seconda metà del I secolo per opera dell’apostolo Tommaso, facendo riferimento a questo passo dello Pseudo-Ippolito: “Tommaso in base al quarto sorteggio doveva proclamare la buona novella ai Parti, ai Medi, agli Hircani, ai Battriani e ai Margiani. Nella città indiana di Kalamen morì e vi fu sepolto.” Il valore di questo passo risiede nel fatto che, per la prima volta, uno scrittore protocristiano fa esplicito riferimento alla Margiana. Quanto all’ipotesi che vi sia approdato personalmente l’apostolo Tommaso, questo
Gabriele Rossi Osmida fa parte di una pia tradizione storicamente ambigua. È certo però che alcuni suoi seguaci si fossero stabiliti nell’oasi di Merv nel corso del II secolo se lo Pseudo-Ippolito, morto nel 235, fa riferimento ad una presenza cristiana in Margiana. Come già sottolineato nella prima parte, sotto il profilo storico questa presenza deve esser definita giudeo-cristiana, non cristiana tout-court, dal momento che sarà solo nel 320 che l’imperatore romano Costantino introdurrà ufficialmente il termine “Cristianesimo”. L’esistenza in Merv di colonie ebraiche risaliva a diversi secoli prima, quanto meno a partire dalla volontaria diaspora ebraica seguita alla liberazione dalla cattività babilonese decretata dal re persiano Ciro il Grande; ed è noto che i Parti furono sempre molto tolleranti nei riguardi delle minoranze ebraiche. Per analogia con quanto avvenuto in altri paesi dell’Oriente, è verosimile che anche a Merv alcuni seguaci di Tommaso siano entrati in contatto con la comunità ebraica locale divulgando l’ideologia cristiana e acquisendo dei proseliti. Il fatto che in Haroba Kosht siano state trovate testimonianze dell’esistenza di un insediamento partico del II-III secolo e che l’im-
IL DÜÝE ÇÖKEN TEPE CHE NASCONDE I RESTI DI UN PALAZZO REALE SASANIDE, ULTIMA DIMORA DEL RE YAZDEGARD III ASSASSINATO NELLE SUE VICINANZE
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Il sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.) pianto dell’edificio del V secolo ricordi molto da vicino le sinagoghe della Siria e dell’Iraq, fa ritenere di trovarsi in presenza di una domus ecclesia proto-cristiana verosimilmente eretta sul precedente impianto partico verso la fine del III secolo. Altri testi della tradizione nestoriana sulla formazione di una colonia cristiana in Merv agli inizi dell’epoca sasanide, ci farebbero guardare sempre alla fine del III secolo. Mi riferisco in particolare alla Leggenda di Bar Shaba di cui possediamo ben tre varianti tutte convergenti sui fatti essenziali. La più antica, redatta in siriaco, si trova in un manoscritto recuperato a Mossul agli inizi del Novecento intitolato «Cronaca di Zeert», risalente all’XI secolo; un altro manoscritto, compilato in sogdiano, venne rintracciato da una spedizione tedesca in Turfan agli inizi del secolo scorso e risale alla fine dell’XI sec.-inizi del XII. Infine esiste anche una versione araba del XIV secolo (v. M.A.Scher e P. Dib, 1910). Storicamente la vicenda si svilupperebbe durante il regno di Sapore I, figlio di Ardashir: quindi tra il 241 e il 272. Bar Shaba era un medico di origine “occidentale” che, dopo aver studiato a Seleucia il siriaco, il persiano e le Sacre Scritture, aveva deciso di condurre vita eremitica ritirandosi dal mondo. Poiché la regina Estassa era caduta ammalata, re Sapore lo convocò a corte perché la curasse. Bar Shaba la guarì guadagnandosi la gratitudine del sovrano ma attirandosi l’odio dei magi zoroastriani che, per vendetta, uccisero la regina incolpandola di apostasia. Nel frattempo la sorella del re, Shiraran, era a sua volta caduta ammalata e nessuno, medico o astrologo, riusciva a guarirla. Giuntale notizia del grande potere taumaturgico di Bar Shaba, lo supplicò di aiutarla. La principessa guarì e, da quel momento, abbracciò la fede cristiana. Venuto a saperlo, Sapore si preoccupò molto per la sorella temendo che i magi le facessero fare la stessa fine della moglie. In quei giorni si trovava a corte il governatore di Merv. Sapore gli raccontò sia la vicenda della moglie che quella della sorella e di quanto fosse in pena per lei, proponendogli di sposarla e di portarla lontano, a Merv. Così
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Gabriele Rossi Osmida fu. A Merv la principessa Shiraran cominciò a frequentare greci ed ebrei, molto numerosi nell’oasi, diffondendo tra loro i germi della dottrina cristiana che accolsero favorevolmente. Quando la principessa partorì un figlio, si affrettò a comunicarlo al fratello chiedendogli in dono l’invio a Merv di Bar Shaba. Il re acconsentì di buon grado, anche perché così lo allontanava prudentemente dalla corte dove i magi zoroastriani lo detestavano. Bar Shaba, nominato vescovo dal metropolita di Seleucia, si spostò a Merv dove esistevano già delle chiese. Prese possesso ufficialmente della diocesi rimanendone alla guida per settant’anni durante i quali costruì altre chiese e compì una lunga serie di miracoli su cui i manoscritti, ovviamente, si dilungano con abbondanza di particolari fantastici. Se riduciamo questi racconti agiografici alla loro struttura essenziale svincolandoli dai risvolti devozionali, scopriamo che convergono su temi già ipotizzati attraverso le nostre ricerche sul terreno e che ci offrono ulteriori interessanti spunti di riflessione utili alla ricostruzione della storia di Merv. Da questo racconto risulterebbe che la cattedra vescovile di Merv fosse istituita dalla comunità cristiana di Seleucia già nella seconda metà del III secolo, affidandola ad un pastore di origini greche1. La diffusione del Cristianesimo a Merv, in un primo tempo, deve aver riguardato soprattutto le comunità greche ed ebraiche, sia perché i Greci dovevano esser già a conoscenza di questa dottrina attraverso la predicazione di san Paolo, sia perché, come già ricordato, per gli Ebrei si trattava solo di una delle tante ramificazioni della loro religione. Questo ���������������������������������������� ) Secondo la documentazione storica raccolta dagli studiosi, il primo vescovo sarebbe stato nominato nel 334 e il primo metropolita di Merv, con giurisdizione su altri vescovi dell’Asia Centrale, nel 420. Nel VI secolo, a seguito delle tensioni tra Sasanidi e Bizantini, il clero ortodosso all’obbedienza di Bisanzio (i “Melchiti”) venne progressivamente sostituito da quello nestoriano (Pugacenkova 1958).
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Gabriele Rossi Osmida
SCHIZZO CON LOCALIZZATE LE POSIZIONI DEL DÜÝE ÇÖKEN TEPE E DI HAROBA KOSH
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Il sito proto-cristiano di Haroba Kosht (III – XIII sec.) quadro verrebbe indirettamente confermato anche dal fatto che, quando il nuovo vescovo giunge a Merv, trova già delle “chiese”, frutto di una precedente divulgazione operata verosimilmente dai seguaci di san Tommaso, i Taumasiti, alla fine del II secolo. Nel ciclo dei racconti dedicati a Bar Shaba si parla di “chiese” ma, ovviamente, non erano delle vere “chiese” ma “domus ecclesiae” organizzate sul tipo delle sinagoghe che, riguardando comunità straniere, anche sotto il profilo architettonico differivano dalla tradizione margiana. Queste osservazioni dedotte dalle antiche cronache in ogni caso si armonizzano con le evidenze archeologiche restituite dalle nostre ricerche. Esiste infine un ultimo documento che getterebbe ulteriore luce sulla costruzione del monastero nestoriano a Haroba Kosht. Nel manoscritto del X secolo noto come “Libro della grazia” tradotto e pubblicato da J.-B. Chabot nel 1896, si trova una raccolta di biografie di personalità eminenti del monachesimo nestoriano e in particolare di fondatori di monasteri. Tra questi viene dato particolare risalto alla figura di Mar Gheorghis Marvazaja, di origine persiana, cui si attribuisce la fondazione
Gabriele Rossi Osmida Archeologo, giornalista e scrittore, esperto in Storia delle Esplorazioni e delle Scoperte Geografiche della Società Geografica Italiana. È Presidente del Centro Studi e Ricerche Venezia-Oriente “Antiqua Agredo”. Dirige la collana “I know the Central Asia” prodotta dalla Casa Editrice «Il Punto» di Padova. Nel 1996 ha curato la ristrutturazione del Museo Nazionale di Ashgabat su mandato del Ministero alla Cultura del Turkmenistan e di ENI-AGIP. Ha condotto ricerche nell’ex Yugoslavia, Romania, Egitto, Sudan, Madagascar, Niger, Iran e Asia Centrale. Già direttore del progetto “Berel-Altai” (Kazakhstan) patrocinato dal Ministero Affari Esteri, è responsabile per la parte italiana delle ricerche archeologiche nel
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Gabriele Rossi Osmida del monastero di Elalgal “nel deserto di Merv a 2 farsah di distanza dalla città, nei pressi di un palazzo reale” dove sarebbe stato sepolto in una cripta. Ora, poiché 2 farsah equivalgono a circa 12,5 km, questa è esattamente la distanza da Merv a Haroba Kosht che si trova proprio a ridosso di un grande edificio sasanide, il Düýe çöken tepe. Per meglio inquadrare l’epoca dell’attività di Mar Gheorghis, il codice in questione precisa in un altro punto che fu discepolo di Mar Abraham, nato nel 491, morto nel 586. Da questo possiamo dedurre che i monaci nestoriani presero possesso del monastero “Elalgal” di Haroba Kosht verso la metà del VI secolo; ma, dalle evidenze archeologiche, sappiamo che qui già esisteva un complesso cristianoortodosso. In un’altra parte di questo manoscritto si riporta inoltre che nel villaggio di Zark, situato a 6 farsah (30 km) da Merv, venne assassinato l’ultimo re sasanide Yadzegard III nel 652 e che fu proprio l’abate nestoriano a ricomporre i suoi resti e a offrir loro pietosa sepoltura nel monastero Elalgal o nelle immediate vicinanze (cfr.: Mitt, vol. I, p.354). Cosa che ci farebbe guardare con sempre maggior curiosità alla cripta ancora inesplorata del monastero di Haroba Kosht.
progetto congiunto “Gobi Altayn Geo-Archaeology” (Mongolia) promosso dal CNR-IRPI. È Honor Professor alla State Academy di Ashgabat (Turkmenistan) dove tiene corsi di propedeutica archeologica e collabora strettamente con la Harvard University e il Peabody Museum (USA). Da quasi vent’anni conduce le missioni archeologiche italo-turkmene in Margiana sostenute dal Ministero della Cultura del Turkmenistan e dal Ministero Affari Esteri Italiano. Dal 2001 dirige le ricerche nell’oasi di Adji Kui dove ha scoperto una nuova civiltà del III-II mill.a.C. nota col nome di Civiltà delle Oasi. Dirige le operazioni di recupero e di restauro del sito cristiano nestoriano di Haroba Kosht (Oasi di Merv, Turkmenistan) con il contributo del Consiglio Regionale del Veneto. È autore di diverse pubblicazioni a carattere storico e archeologico.
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di Vito Lecci Luci e ombre sul nostro satellite
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ra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 l’Umanità ha vissuto un periodo “magico” dal punto di vista astronautico e delle conquiste spaziali. Esseri umani, per la prima volta nella storia, mettono piede addirittura sulla Luna, l’astro che da sempre, nell’immaginario collettivo, rappresenta lo standard di bellezza e irraggiungibilità che, da quel momento, diventa un po’ meno distante e forse meno misterioso. Una patina di mistero era già stata rimossa da Galileo Galilei quattro secoli fa, quando osservandola per la prima volta col cannocchiale ne mise a nudo la sua superficie tormentata ed irregolare, molto lontana dalla sfera liscia e perfetta che fino ad allora si riteneva che fosse. È assolutamente naturale ed inevitabile che l’aura di mistero e di fascino che avvolge ciò che a noi è poco noto, col tempo, sia destinata a dissolversi, squarciata dalle nuove conquiste dell’intelletto e della conoscenza.
Tuttavia è un vero peccato che ci sia sempre qualcuno pronto a scagliare fango addosso a tutto e a tutti, così, gratuitamente, o forse mosso da qualche oscuro tornaconto. A deturpare gli sforzi di 400.000 uomini e donne, che hanno lavorato alacremente per rendere possibile ad alcuni astronauti di compiere una missione epica nell’approdare sul nostro unico satellite naturale è stato proprio un americano, che in un suo libro vorrebbe screditare l’autenticità degli sbarchi umani sulla Luna, adducendo una serie di argomentazioni talmente sbilenche, che davvero non stanno in piedi da sole. In questa sede non c’è lo spazio, né l’intenzione, di prendere in esame ogni singola farneticazione proferita a questo proposito. Mi limiterò a prenderne in cosiderazione soltanto alcune, quelle che maggiormente mi capita di ascoltare nell’ambito della mia attività di divulgazione scientifica, successivamente vorrei poi darvi gli strumenti grazie ai quali potrete trovare risposta autonomamente ad
NELLE FOTO SCATTATE DAGLI ASTRONAUTI NON CI SONO LE STELLE
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Vito Lecci oppure si espone per le alte luci (la superficie lunare) sottoesponendo quindi il cielo stellato, che di conseguenza non mostrerà alcuna stella. La bandiera piantata dagli astronauti sulla Luna sventola nel vuoto. Nelle foto scattate dagli astronauti sembra che la bandiera americana stia sventolando, sebbene sulla luna non ci sia atmosfera e quindi non potrebbe esserci il vento per farla sventolare. È sufficiente guardare bene la foto per rendersi conto che la bandiera in effetti non sventola, ma è sorretta da un’asta orizzontale che serve appunto per evitare
LA BANDIERA PIANTATA SULLA LUNA
ogni singola sciocchezza detta a questo proposito, oltre alle ultime prove inconfutabili sull’autenticità degli sbarchi umani avvenuti sul nostro satellite. Ma eccovi alcune delle “chicche” di cui vi accennavo: Nelle foto scattate dagli astronauti non ci sono stelle, quindi le foto sarebbero state scattate in un set cinematografico. I lunacomplottisti forse non sanno che è assolutamente normale che, in quelle foto, le stelle non ci siano. Chiunque abbia mai utilizzato una fotocamera sa che la latitudine di posa di una pellicola fotografica, o la dimanica di un sensore CCD, è LUCI DEL SET LUNARE RIFLESSE SUL CASCO molto limitata rispetto alla capacità dei nostri occhi. Quindi: o si espone per le basse luci (come quelle delche si afflosci su se stessa. Gli astronauti inolle stelle) sovraesponendo però, e quindi “brutre, dispiegandola sull’asta, l’hanno volutaciando”, tutto il resto del panorama lunare; mente lasciata leggermente “stropicciata” in
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Luna maniera che desse l’impressione di sventolare, ma dalle foto sono chiaramente visibili gli angoli acuti sulla stoffa, dovuti alla sua precedente piegatura. Quindi la bandiera non sventola affatto. Luci del set lunare sono riflesse sul casco di uno degli astronauti. Secondo questa tesi dei lunacomplottisti, in una delle foto che riprende gli astronauti, si vede riflessa sulla visiera del casco tutta una serie di luci che sarebbero quelle del set cinematografico in cui sarebbe stato messo in scena il falso allunaggio. Ma se questo fosse vero, se davvero ci si fosse trovati all’interno di un set con molteplici proiettori o altre fonti di illuminazione, allora ognuno degli astronauti avrebbe dovuto proiettare non una, ma diverse ombre (una per ogni fonte di illuminazione presente). Esattamente come capita nelle partite di calcio disputate in notturna. Ogni calciatore proietta quattro ombre, una per ogni fonte luminosa presente intorno al campo di calcio. Ma questo sulla Luna non è mai accaduto, in ogni foto si vede chiaramente che ogni astronauta proietta una sola ombra, dovuta al sole,
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Vito Lecci unica fonte luminosa presente. Addirittura nella foto incriminata, l’astronauta riflesso nello stesso casco in cui sono presenti anche i riflessi multipli, proietta una sola ombra. In effetti, da una analisi più approfondita della foto, si vede chiaramente che la visiera è graffiata, ed è assolutamente normale che la luce del sole venga riflessa anche nel microsolco di ognuno dei graffi presenti. Gli argomenti che ho affrontato fin qui, da soli, mettono a nudo la preoccupante scarsità di preparazione e informazione da parte dei lunacomplottisti, ma questa è soltanto la punta dell’iceberg. Tutto il resto delle altre sgangherate argomentazioni possono essere smontate con la stessa facilità con cui ho fatto poco fa. Ovviamente in questa sede è impossibile contemplare ed argomentare proprio tutte le sciocchezze a proposito di questo argomento, tuttavia se volete potete trovare da soli la risposta ad ogni quesito. Troverete il tutto in un ottimo lavoro svolto da Paolo Attivissimo, giornalista e divulgatore informatico, che raccoglie in un libro di oltre 300 pagine tutte le domande e le risposte a questo proposito. Il libro, dal titolo “Luna? Si ci sia-
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IN QUESTE IMMAGINI VEDETE LA FOTO SCATTATA DAGLI ASTRONAUTI (IN ALTO), I RILIEVI E I DOMI PRESENTI SONO PERFETTAMENTE SOVRAPPONIBILI A QUELLI DELL’IMMAGINE RICOSTRUITA CON I DATI DELLA KAGUYA (IN BASSO).
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mo andati”, è liberamente scaricabile in formato PDF dallo stesso sito dell’autore (www.attivissimo.net). Per completare questa mia breve dissertazione vorrei aggiungere due ulteriori prove, relativamente recenti, a sostegno della tesi dell’autenticità delle missioni Apollo. La prima è da attribuirsi alla sonda Selene/Kaguya della JAXA (l’agenzia spaziale giapponese) che, in orbita lunare negli anni 2007-2009, ha eseguito una precisa mappatura altimetrica di ogni regione del satellite. Dalle ricostruzioni 3D realizzate con i dati raccolti dalla Kaguya si evince chiaramente come le foto scattate dagli astronauti della missione Apollo 11 siano perfettamente compatibili con i dati altimetrici della sonda nipponica. Nelle immagini nella pagina precedente vedete la foto scattata dagli astronauti (in alto), i rilievi e i domi presenti sono perfettamente sovrapponibili a quelli dell’immagine ricostruita con i dati della Kaguya (in basso). Questa è una prova che la
foto è autentica, scattata quindi sulla Luna e non certo in un set, in cui sarebbe davvero impossibile ricostruire “a caso” l’esatta scenografia presente sul satellite. L’altra prova ce la offre la sonda LRO (Lunar Reconnaissance Orbiter) della NASA che, lanciata nel 2009, è tuttora in orbita lunare a soli 50 km d’altezza. La sonda ha eseguito una mappatura ad altissima risoluzione della superficie del nostro satellite. In essa sono inclusi ovviamente anche tutti i siti dei vari allunaggi, dove si evince chiaramente la presenza dei LEM utilizzati, della strumentazione scientifica installata e, addirittura, sono visibili i passi che gli astronauti hanno compiuto nelle loro passeggiate lunari. Tutte queste immagini sono liberamente scaricabili dal sito ufficiale della NASA (www. nasa.gov). A questo punto, con i dati Kaguya e con le immagini LRO, credo davvero che l’ultima parola su questo argomento sia stata detta. Alla luce di tutto ciò, ogni ulteriore ingerenza da parte di qualche altro avventato lunacomplottista risulterebbe oltremodo ridicola.
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ti altri istituti scolastici pugliesi. Nel 2007 vince l’ambitissimo “Premio SPUTNIK” grazie alla vastissima mostra di materiale spaziale esposto a Mosca presso la Città delle Stelle. Tale premio viene conferito dalla giuria Russa soltanto alle esposizioni più ricche, complete e ben strutturate. Nel 2009, dopo un lungo periodo di attenta progettazione e realizzazione, inaugura il Parco Astronomico SIDEREUS, il primo ed unico eretto nel Salento. La struttura, che si estende per 5.000 mq, è composta da un Planetario a cupola fissa da 6 metri di diametro, diverse aree attrezzate con svariati telescopi per l’osservazione del cielo, una Galleria delle Scienze contenente una ricca collezione di meteoriti, una mostra dell’astronautica e moltissimi altri oggetti. Il Parco è divenuto meta di diverse migliaia di visitatori ogni anno. Informazioni più approfondite sono sul sito ufficiale www.sidereus.info.
Divulgatore scientifico da oltre 15 anni, tiene corsi di astronomia presso scuole di ogni ordine e grado, pubblica decine di articoli su diversi giornali e riviste del settore. Ex studente di Astrofisica, nel 1993 mette a frutto gli insegnamenti appresi all’Università, e costruisce con le proprie mani il suo primo telescopio, di ben 30 cm di diametro, partendo dalla realizzazione in proprio delle ottiche in vetro. Nel 1996 progetta e realizza il suo primo Osservatorio Astronomico, a doppio tetto scorrevole, che negli anni ha accolto oltre 10.000 visitatori, tra studenti e appassionati. Nel 2004 pubblica il libro “Il Quadrante Solare del Liceo Capece”, dopo aver progettato e realizzato una meridiana non solo in questo, ma in mol-
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di Ludovico Polastri Una caratteristica non ancora definita in modo chiaro
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I tre tipi di masse
Ludovico Polastri mo è la forza peso e non la nostra massa! La massa che risponde alla forza di gravità viene anche detta dai fisici “massa gravitazionale”. La massa inerziale e quella gravitazionale sono intimamente legate tra loro; se un corpo raddoppia la propria massa inerziale, succede la stessa cosa a quella gravitazionale: l’effetto inerziale e quello gravitazionale si replicano perfettamente. Fu proprio da questa proprietà misteriosa che, nel 1915, Einstein pose la pietra angolare per sviluppare la teoria della relatività generale. Oltre ai due tipi di massa che ho spiegato sopra ne esiste una terza, legata alla concezione di energia; la massa viene rappresentata come “nodo” energetico che si esprime attraverso la nota equivalenza E=mc2: la massa è energia.
Qual è l’origine della massa e cosa intendiamo per massa? Domande la cui soluzione non è mai arrivata in modo chiaro ed univoco neppure a chi ha frequentato corsi scientifici o ha una formazione in questo senso. Normalmente si risponde con una affermazione del tipo “è una proprietà intrinseca della materia” che dice tutto e nulla. La verità è che allo stato attuale uno dei segreti scientifici meglio custoditi è quello della definizione di massa. Eppure tutti noi, quotidianamente, ne sperimentiamo la sua esistenza se non altro quando dobbiamo spingere o trasportare un oggetto pesante. Sembrerebbe quasi che i corpi vogliano stare esattamente nel posto in cui si trovano e si oppongano ad una qualunque alterazione del loro stato. Newton, nella sua legge sullo spostamento dei gravi, aveva riassunto questa proprietà affermando che “un corpo permane nello stato di quiete o di moto rettilineo uniforme fino a che non compare una forza che ne altera l’equilibrio”. L’opposizione che ha una massa di restare nel CAMPO GRAVITAZIONALE suo status quo è chiamata comunemente “inerzia” e la sua denominazione, chiamata “massa Lo si è potuto sperimentare con le esploinerziale”, è la più familiare di tutte le forme di sioni nucleari in cui viene disintegrata la mamassa. Oltre all’inerzia, la massa viene anche teria producendo enormi quantità di energia; associata ad un altro concetto noto, il peso. basti pensare che un grammo di materia è in Chiariamo subito questi termini in quanto grado di liberare la potenza di 10 tonnellate spesso enunciati maldestramente confondi dinamite. Una delle questioni chiave della dendone il significato. Il peso altro non è che fisica è quella di spiegare da dove viene tutta la massa sottoposta alla forza di gravità terrequesta energia, in altre parole qual è la forza stre ed è dunque una forza propria dell’attrache si sprigiona nel momento in cui “rompo” i zione gravitazionale del nostro pianeta, menlegami più intimi della materia? tre la massa resta tale, senza alterazioni di Ed ancora, quali sono i mattoni elementasorta, come ci ha dimostrato Galileo. Quando ri che costituiscono la materia stessa e su cui saliamo su una bilancia quello che registriaagisco per produrre energia?
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L’origine della massa: il bosone di Higgs
Ludovico Polastri che nell’Universo esistesse un campo in grado di pervadere tutto, una sorta di “melassa cosmica” che le particelle devono attraversare quando si muovono. Questa “melassa” le frenerebbe in modo diverso rendendole più o meno pesanti. Tradotta in equazioni l’idea funzionava: le particelle acquisivano massa e le equazioni della teoria rimanevano valide senza sgretolarsi. Ma come fare a provarlo? Higgs notò che, se la sua ipotesi fosse stata vera, questa sorta di “melassa cosmica”, oltre a conferire massa, doveva anche raggrumarsi
La scienza moderna ha ormai dato per scontato che le particelle fondamentali della materia siano tra loro “incollate” da quattro forze fondamentali: elettromagnetica, nucleare debole, nucleare forte e gravitazionale. La forza elettromagnetica lega insieme gli atomi di cui è composto il nostro corpo, la forza nucleare debole e quella forte dominano il mondo dell’ultra piccolo mentre la forza gravitazionale disciplina la scala dell’Universo con i pianeti e le galassie. Le particelle costituenti la materia e che partecipano a queste forze sono i quark ed i leptoni che si combinano tra loro. Questi costituenti elementari si “parlano” scambiandosi delle altre particelle “messaggere”, che sono gli intermediari delle forze fondamentali della natura: il fotone (la luce in tutte le sue forme) trasporta la forza elettromagnetica, che è responsabile di tutta la chimica e le interazioni che sperimentiamo tutti i giorni; i gluoni scambiano la forza “forte”, che tiene insieme i quark e i nuclei degli atomi; particelle chiamate W e Z si occupano di scambiare la forza “debole”, che è responsabile della radioattività. La teoria che spiega queste interazioni è anche detta “modello standard” ed è allo stato attuale quello più accreditato INTERAZIONE TRA PARTICELLE SUBATOMICHE nel mondo scientifico. Esso funziona molto bene, tuttavia ha una grossa lacuna: sostiene che le particelle non dovrebsu se stesso, dando vita ad una nuova partibero avere massa. Proprio così, nessuna mascella che venne battezzata “bosone di Higgs”. sa, corpuscoli senza peso! È un bel mistero, Pertanto “il bosone di Higgs”, se esiste, è il perché noi sappiamo benissimo che le cose condensato di un campo responsabile della hanno massa, e dunque la devono possedere massa di tutte le particelle. Dopo anni di coanche le particelle che le compongono. Il prostruzione, si spera che l’LHC, il più potente blema è che se aggiungiamo forzatamente al acceleratore di particelle mai costruito, dia modello standard la massa delle particelle, le la prova dell’esistenza di questa misteriosa equazioni vengono distrutte e non funzionaparticella. Se riuscissimo a vederla avremmo no più (i fisici teorici dicono che l’invarianza di la prova che la teoria di Higgs era esatta e Gauge non è rispettata). dunque si avrebbe una spiegazione del perNegli anni 60 Peter Higgs suppose che le ché tutto ha una massa e del perché abbiamo particelle non avessero massa di per sé, ma anche diversi tipi di massa.
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Tutto risolto? Non proprio, anzi… È comprensibile la tensione e la preoccupazione degli scienziati che in questo periodo stanno lavorando nei sotterranei del CERN di Ginevra; quasi certamente non vedono l’ora di dichiarare a tutte le televisioni e giornali del mondo che uno dei più grandi misteri della scienza moderna, la scoperta della massa mancante, è stato definitivamente risolto. Tuttavia, secondo il fisico Wilczek, questa sarà una esagerazione della verità. “Bisogna essere molto chiari su cosa esattamente la teoria di Higgs fa e non spiega,” dice. E non ha tutti i torti; vediamo il perché. La teoria non spiega i valori effettivi delle masse delle par-
Ludovico Polastri realtà veramente molto esigue, contribuendo solo per una piccola frazione alla massa di protoni e neutroni. Così, anche con la verifica della teoria di Higgs, la maggior parte della massa resterebbe ancora sconosciuta. Inoltre, se una particella si disintegra a riposo, o “decade” in altre particelle, l’energia totale di queste ultime deve essere sempre uguale alla massa-energia della particella originaria, ma l’equivalenza massa-energia è solo uno degli aspetti della massa; le altre caratteristiche ossia quella inerziale e gravitazionale da dove vengono? Non resta che supporre che queste caratteristiche provengano dall’interazione che la particella ha nel muoversi nell’ambiente circostante; diversi fisici sono ormai convinti di questo fatto e sono arrivati ad elaborare una nuova teoria: la concezione del vuoto quantistico.
La teoria del vuoto quantistico
IL VUOTO QUANTISTICO IN UNA RAPPRESENTAZIONE ARTISTICA
ticelle fondamentali. Per esempio, non spiega perché il quark ha circa un milione di volte la massa dell’elettrone, inoltre la maggior parte della massa della materia ordinaria è legata in particelle chiamate protoni e neutroni che sono a loro volta composti da quark. Le ipotesi di Higgs tengono pertanto sì conto delle masse dei quark, tuttavia, esse sono in
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Nell’accezione più comune di vuoto si immagina una zona dello spazio priva di ogni cosa, caratterizzata dal nulla assoluto. In realtà, scientificamente parlando, il vuoto assoluto non esiste. Anzi il cosiddetto vuoto è una zona dello spazio satura di onde elettromagnetiche a cui corrisponde un preciso stato energetico: lo stato energetico di punto zero. Secondo gli scienziati il vuoto quantistico è una conseguenza inevitabile dell’esistenza di campi di forza. Per il principio di indeterminazione di Heisemberg, ogni oscillazione di un’onda elettromagnetica deve contenere almeno una piccola quantità di energia, ciò significa, per l’equivalenza massa-energia, che le particelle fondamentali altro non siano che dossi, protuberanze, nodi, ed il vuoto quantistico altro non sia che un mare increspato da infiniti campi elettromagnetici ognuno caratterizzato dalla propria frequenza e lunghezza d’onda. Particelle virtuali emergono per brevissimo tempo per poi annichilirsi continuamente in una incessante danza cosmica i cui protagonisti sono la materia e l’antimateria. Questa condizione particolare dello spazio ha affascinato in particolare due scienziati, Davies ed Unruh, che, studiando le caratte-
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L’enigma della massa
Ludovico Polastri
ristiche dei buchi neri ed in particolare la rala causa della forza di inerzia. In questa ottica, diazione di Hawking, iniziarono ad ipotizzare che chiameremo “teoria dell’inerzia del vuoto che la deformazione gravitazionale intorno quantico”, la materia resiste all’accelerazione all’orizzonte degli eventi di un buco nero ponon a causa di una sua innata proprietà ma tesse essere di aiuto per la spiegazione dei feperché il vuoto quantistico elettromagnetico nomeni gravitazionali ed inerziali. In particoproduce una forza di resistenza proporzionalare, secondo Hawking, l’immensa gravità in le all’accelerazione. Resterebbe da spiegare il prossimità ad un buco nero distorce il vuoto perché della massa gravitazionale. quantistico in modo tale che le particelle di È vero che sono masse tra loro intercammateria ed antimateria, invece di annichilirbiabili ma sarebbe troppo semplicistico liquisi, possano sfuggire (in particolare quella ad dare così il problema. La relatività generale energia positiva) dall’attrazione e dunque rieci dice che la gravità può essere interpretata scano a creare particelle reali che potrebbero essere espulse dal buco nero. Il bilancio energetico dovrebbe prevedere, a causa di questa possibilità, un progressivo indebolimento del campo gravitazionale del buco nero che, dopo un tempo lunghissimo, sarebbe destinato a scomparire. Il risultato finale di queste considerazioni è che il principio di equivalenza fra inerzia e gravitazione deve portare ad un analogo tra gravitazione ed energia di punto zero. Inoltre i due scienziati hanno dimostrato che, se un osservatore ipotetico osservasse un buco nero, “vedrebbe” delle radiazioni molto simili a quelle che emergono da un forno caldo, con un mix di colori dato dalla temperatura esistente. Parimenti, in un buco nero, il mix UN BUCO NERO IN UNA RAPPRESENTAZIONE ARTISTICA DELLA NASA di colori sarebbe determinato dalla gravità del buco nero; in altre parole la gravità conferisce la temperatura come una curvatura dello spazio-tempo. Il al buco nero. I buchi neri sono caldi! fisico Wheeler ha coniato il termine “geomeDa questa scoperta inaspettata Davies trodinamica” per descrivere la dinamica degli ed Unruh hanno fatto una estrapolazione aloggetti sottoposti alla gravità in relazione alla quanto interessante ovvero che un oggetto, geometria dello spazio tempo a quattro disottoposto ad accelerazione, riceve energia mensioni. e cambia la sua quantità di moto alterando Quello che la “geometrodinamica” prende la radiazione del vuoto quantico e la forza di in considerazione è la famiglia di geodetiquesto cambiamento è proporzionale all’acche (la distanza più corta in uno spazio temcelerazione. Se questo flusso di radiazione po a quattro dimensioni è una geodetica) in viene fatto interagire con la materia (a livello presenza di un corpo gravitazionale. I corpi di quark ed elettroni) la forza di reazione che in caduta libera e i raggi di luce seguono le viene prodotta può essere interpretata come geodetiche. Quando un oggetto è costretto
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L’enigma della massa a non seguire una geodetica questo stesso corpo sperimenta una forza chiamata peso. Per esempio un aereo che vola non segue la geodetica sperimenta la forza peso; ma se l’aereo segue la geodetica ponendosi in caduta libera e noi con lui, allora sperimenteremmo l’assenza di peso. Ma da dove viene questa forza? Questo è lo stesso identico processo di cui abbiamo parlato prima, parlando della teoria inerziale del vuoto quantistico. Ho detto che il vuoto quantistico è rappresentato da onde elettromagnetiche; queste onde seguono le geodetiche creando la stessa variazione di quantità di moto sia rispetto ad un oggetto fisso che nel caso di un oggetto in accelerazione, fatto in accordo con il principio di equivalenza di Einstein fra la gravità e inerzia. Un oggetto fisso sopra un corpo gravitante percepirà di essere accelerato attraverso il vuoto quantistico analogamente ad un corpo che accelera attraverso il vuoto in uno spaziotempo piatto. Qualche esempio intuitivo è necessario per capire bene il concetto. Pensate ad un elicottero che vola; esso sta immerso nel campo gravitazionale terrestre e percepisce quindi la forza di attrazione del campo. Ora la curvatura dello spazio-tempo nei pressi della terra non fa altro che attirare a sé anche le onde elettromagnetiche del vuoto quantico le quali esercitano una pressione sull’elicottero nel “tentativo” di trascinarlo giù seguendo la distanza più breve verso il centro della terra. Quella distanza più breve (che in pratica è perpendicolare alla superficie terrestre) non è altro che la geodetica. Ecco perché l’elicottero sperimenta la forza peso. In pratica il vuoto elettromagnetico quantistico esiste nello spazio-tempo e se questo spazio-
Ludovico Polastri È laureato in ingegneria meccanica all’Università di Brescia. Ha conseguito la specializzazione post lauream presso il Politecnico di Milano e effettuato corsi di specializzazione in ambito: Produttivo, Certificazione dei Sistemi Qualità e Ambientali Aziendali,
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Ludovico Polastri tempo è curvo lui deve seguire per forza la curvatura trascinando con sé tutto!
Alcune strabilianti conclusioni La conseguenza di queste valutazioni è a dir poco sorprendente. Di fatto il vuoto non è vuoto ma è permeato da un immenso mare di onde elettromagnetiche in grado di polarizzarsi ed interagire energeticamente con la materia, sia essa visibile che non. Un “etere” moderno che ridurrebbe la forza gravitazionale non più a forza fondamentale ma ad una conseguenza dell’esistenza del vuoto quantistico. Le caratteristiche della massa, cruccio di moltissimi fisici, verrebbero notevolmente ridimensionate e ridotte ad una conseguenza dell’alterazione dello spazio circostante: il vuoto spiegherebbe la curvatura della luce esattamente come un pezzo di vetro ne spiega la rifrazione. Potremmo addirittura supporre di raggiungere velocità superluminali grazie all’alterazione del vuoto che limita la velocità di qualunque massa a quella della luce: l’inerzia di una massa verrebbe annullata. Anche la relazione tra la massa e l’energia, che vede trasformare l’una nell’altra, sarebbe vista in modo alternativo. Essa rappresenterebbe l’energia che le fluttuazioni di punto zero inducono sulle particelle elementari ed una sua concentrazione ne costituirebbe la massa. Da ultimo poiché ad ogni onda elettromagnetica si può associare una energia, potremmo ipotizzare di essere di fronte ad una inesauribile fonte gratuita che permea tutto il cosmo. Scenari affascinati e misteriosi, ricchi di possibili sviluppi futuri.
Organizzazione e Gestione Aziendale. Ricopre da molti anni ruoli di responsabilità in ambito tecnico, produttivo e impiantistico per conto di importanti realtà aziendali. Si occupa inoltre di aspetti normativi e legali inerenti la sicurezza e la prevenzione sui luoghi di lavoro. Ricercatore indipendente e giornalista free lance, collabora per diverse testate giornalistiche.
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di Michele Proclamato Giordano Bruno e i misteri della creazione
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Michele Proclamato
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o smesso di scrivere di Lui una notte limitato. dell’Agosto del 2010 e non sono più Vediamo un po’, facciamo così, immagiriuscito ad aggiungere nient’altro nate in un magnifico giorno di primavera al già scritto, già pensato, già dedotto. Per un inoltrata, di recarvi in un luogo magnifico ed anno infatti non ho fatto altro che occuparincontaminato dove un piccolo e magnifico mi di Giordano Bruno, tutti i giorni a qualsialago dalle acque cristalline porrà le sue sponsi ora e nonostante sapessi di poter dire la de profumate a vostra completa dispomia esclusivamente solo su un aspetto sizione, bisognosi come siete, si spera, del suo variegato ed incompreso sapedi fare chiarezza nella vostra vita, di re, i Sigilli. Ho continuato a rinviare il avere un momento tutto per voi per tutto conscio di come la mia ultima rivedere e rivedervi nel vostro viparola su di Lui mai ultima sarebbe vere quotidiano, mai disponibile stata. Sono stato soggiogato, direalmente a concedervi quella retto, deriso, irriso dal suo sapere libertà di cui il vostro animo vee ne sono uscito, fortunosamenramente è bisognoso. Mentre te, mantenendo in una mano contemplate e vi contemplate, una piccola perla fatta da un improvvisamente sentite di essolo attimo conoscitivo, sere osservati da un essere, non intenso, appaganun uomo, dalle sicure sembiante, inatteso. Ora, ze umane. Prima intimoriti dal come in questi suo sguardo e poi sempre mesi spesso mi più incuriositi dallo sono ripropostesso, lentamente, sto, dovrei ripesenza accorgervetere, meglio riasne vi avvicinerete a sumere, ciò che Lui come se la sua ho appreso da personalità fosse un’esperienza che fatta dalla stessa spesso mi ha visto forza attrattiva che pronto a ritrarmi, ad governa i rapporti arrendermi poiché gravitazionali fra sentitamente violacorpi celesti. Stupiti to e prostrato da una da voi stessi e dalla mente intransigente, vostra inaspettata genialmente costruscelta ancor di più itasi attraverso i più vi sconvolgerete grandi personaggi nel sentirvi dire e STATUA DI BRUNO, ESPOSIZIONE DI PARIGI del pensiero metafi- GIORDANO BRUNO, STATUA DI ETTORE FERRARI, rivolgere ad un presico di tutti i tempi, PREMIATO, L’ILLUSTRAZIONE POPOLARE. GIORsunto e perfetto scoindisponente nonché NALE PER LE FAMIGLIE nosciuto la seguente rissosa ancora oggi, domanda: “Come può nonostante i maldestri tentavi sulfurei di porDio creare tutto ciò” re fine alla sua voce. Ma come Lui diceva, Dio A quel punto ormai impossibilitati nel poaveva generosamente donato ali al suo penter tornare indietro dalla vostra domanda, sare al suo ricercare la luce divina, prima vera indirizzerete nuovamente a quell’angolo di responsabile della Creazione. Quindi che dire, natura perfetta il vostro sguardo e aperta la da dove cominciare in questo sterminato piavostra mente, consci di assistere ad uno spetnoro di affermazioni e massime che costituitacolo unico, porrete il vostro cuore e tutta la scono solo una piccolissima parte del Suo covostra attenzione alle parole che sicuramente noscere, visto lo spazio, in questo caso, così quello sconosciuto dedicherà voi. Ed infatti...
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L’Uomo di Dio “Fratello, sappi che il mondo che tu vedi è triplice, è fatto di idee, vestigia delle idee e ombre delle idee” “In che senso” “Credi forse di osservare solo materia ?Tutto ciò che vedi è il frutto di pensieri perfetti destinati a diventare qualsiasi forma in natura e immagini della stessa nella tua mente” “E di chi sono queste... idee?” “Di dio” “Quindi tutto è Dio?” “Esatto” “Ma allora sarà ovunque?” “Si” “In che modo, in che percentuale?” “La tua è una domanda tipica dei tuoi tempi, ma ti basti sapere che Dio si trova in ogni cosa nelle percentuali che le spettano” “Anche nelle pietre?” “Nelle pietre, nelle piante, negli animali, nei pianeti, nelle stelle, negli dei, nella giusta proporzione”. “Negli Dei? Scusami ma gli Dei mi sembrano un concetto un po’ sorpassato”. “Davvero? Allora dimmi, se Dio dovesse, come dire, dividersi, quale sarebbe il primo grado di suddivisione del suo creare?”. “Mi stai dicendo che esistono entità identificabili con gli Dei?” “Ti sto dicendo che anche tu come tutti, mai potrai veramente spiegare tutti gli eventi della tua vita se non accetterai in essa la presenza di qualcosa di più “alto” e operante”. “Non è possibile” “Davvero? Allora dimmi sei innamorato?” “Si” “E come è nato tutto?”. “Per puro caso, assolutamente per puro caso, ed oggi vivo con una persona meravigliosa con cui ho scoperto avere moltissimo in comune”. “Bene a distanza di tempo puoi dire che tutto ciò sia potuto nascere per caso?” “In effetti le coincidenze che hanno fatto si che ci incontrassimo sotto state davvero stupefacenti” “E se ti dicessi che quelle coincidenze si potrebbero accreditare alla volontà di un entità chiamata, come tu ben sai, Cupido, il tutto avrebbe più senso?”
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Michele Proclamato “Forse si, in effetti considerando ciò che poi è successo, sembrerebbe che... si per quanto incredibile, potrebbe essere” “Allora pur essendo un uomo moderno se posso ti suggerirei di pensare che il destino umano è deciso dalle sue scelte... solo a metà”.
FIGURA DELL’AMORE. TRATTO DA ARTICULI CENTUM ET SEXAGINTA ADVERSUS HUIUS TEMPESTATIS MATHEMATICOS ATQUE PHILOSOPHOS, PRAGA, 1588
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L’Uomo di Dio “Ma se accetto tutto ciò, dovrò pensare che persino i corpi celesti hanno un anima”. “Noi chiamavamo gli stessi, animali, cioè dotati di anima” “Quindi tutto è vivo?” “Tutto è vivo e consegna le sue caratteristi-
che all’uomo” “E come può avvenire tutto ciò” “Semplicemente perché ogni cosa è spec-
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Michele Proclamato chio di un’altra essendo tutte figlie della stessa matrice, quindi ricorda, chi non intende uno non intende nulla” “Ma cosa trasmette tutto ciò?” “Colei che conserva ogni sapere... la Luce” A questo punto probabilmente osserverete quell’essere con occhi perlomeno curiosi e vi ritrarrete forse spaventati da tanta sicurezza nel descrivere un mondo così diverso da quello percepito, e spontanea nella vostra mente comincerà a sorgere la speranza mai coltivata, che tutto ciò che vediamo non è altro che il risultato finale di una “mente” capace di trasformarsi in ciò che pensa. “Esatto” “Come hai potuto sentire ciò che pensavo?” “Non ha importanza piuttosto domandati di cosa è fatta questa mente” “Non saprei, tu mi hai detto di idee “ “E le idee dentro di te di cosa sono fatte?” “Mi stai chiedendo qual è l’energia che alimenta e crea i pensieri umani?” “Diciamo di si” “Non saprei forse... ...forse” “Bravo dai voce al tuo sentire, stai intuendo in modo esatto””Il pensiero è suono è vibrazione” “Di conseguenza le idee di Dio che se mi permetti definirei archetipi, non sono altro che suoni” “Otto suoni ben precisi destinati a diventare ciò che vedi e ciò che mai vedrai in quest’universo infinito” “E solo otto suoni come possono diventare ... materia, spazio, tempo, luce?” “Vedo che questo posto ti sta dando il giusto equilibrio per immaginare le giuste domande” “Otto frequenze, che sarebbe meglio definire otto entità possono diventare il nostro mondo, trasformandosi prima in pura geometria per la precisione in 5 momenti geometrici ben precisi” “E come la geometria può diventare forma, come una figura geometrica può diventare un colibrì” “Bravissimo sei incalzante, stai intraprendendo anche tu la via del ritorno a Dio. Vuoi sapere come? Attraverso un’unica legge, l’u-
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L’Uomo di Dio nica legge aggregante esistente in tutto l’Universo vera responsabile di tutte le vostre improbabili leggi fisiche”. “Dimmela” “La legge Spiralica” “Vuoi dire che gli archetipi divini acquisiscono miliardi di forme attraverso un sistema aggregante spiralico?” “Voi oggi direste così” “Allora di cosa sono fatte queste miliardi di cose di cosa è fatta la materia?” “Voi affermereste oggi, dalla somma spiralica di miliardi di fotoni, io direi semplicemente di Luce” “Quindi Dio vibra se stesso diventando Luce destinata ad essere materia?” “Pressappoco” A quel punto osserverete il paesaggio intorno a voi e capirete che la differenza fra la luce che illumina quel panorama e ciò che costituisce lo stesso è minima e spontaneamente vedrete nascere dentro di voi la constatazione che se tutto è pensiero il vero luogo in cui si crea la realtà è la vostra mente ed attratti da una soluzione finale sarete costretti a pensare che la differenza fra voi e Dio dovrà essere effettivamente minima, se si considera che anche e soprattutto l’uomo è mente e chiederete come mi son chiesto . “Io sono come....... Dio?” “Sei la cosa più simile a lui coGIORDANO BRUNO nosciuta su questo pianeta” “Perché ci sono altri esseri intelligenti come l’uomo? “Come l’uomo, più dell’uomo e meno dell’uomo, in tutto l’universo” “Io non ne sarei tanto sicuro” “Peccato, se tu vedessi il creato attraverso la legge della simmetricità, della similitudine e dell’analogia, come effettivamente è forse non avresti titubanze, ma non tutti hanno abbastanza coraggio per essere ...
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Michele Proclamato uomini”. “Piuttosto spiegami come usa la sua mente Dio ... Maestro” “La usa utilizzando dei meccanismi mentali tipicamente presenti in tutti gli esseri viventi ma ultimamente bistrattati”. “Che cosa vuoi dire” “Osserva la creazione, per avere la tua risposta, in quanti modi la natura esprime la vita” “In che senso” “Se la natura è Dio e la natura crea per esempio un essere come il Pesce Volante o l’Ornitorinco, o la Megattera oppure la Giraffa, non ti sembra che essa sia abbondantemente fornita di Immaginazione?” “Si in effetti si” “Allora come puoi ben vedere una delle caratteristiche migliori del creatore sarà proprio la fantasia o l’immaginazione”. “Ora dimmi forse nella natura così complessa non esiste un reale effettivo equilibrio che bilancia tutto?” “Si esiste” “Allora pensa al fatto che Dio è si fantasia ma anche ordine, quindi immaginazione e razionalità contemporaneamente” “Ma sono caratteristiche mentali umane queste! Quindi esiste un progetto intelligente alla base dell’Universo” “Esiste un progetto numericamente intelligente da millenni conosciuto e da millenni codificato” “Maestro perdonami stai forse affermando che esiste una codifica numerica della creazione?” “Ma certo, non solo, esiste un linguaggio simbolico dedotto dal progetto divino, utilizzato da sempre da i grandi iniziati per creare ogni tipo di capolavoro” “Mi stai dicendo che il pensiero divino è stato codificato simbolicamente e l’utilizzo di tali simboli permetterebbe l’uomo di creare ... qualsiasi cosa egli voglia in modo ... perfetto?“ “E così” “Allora se osserviamo attentamente la Natura possiamo percorrere il tragitto divino al contrario, scoprendo in essa gli archetipi e quindi i Sigilli alla base del creato” “Che giornata meravigliosa vero?”
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“Maestro rispondi alla mia domanda ti prego, sono forse l’immaginazione, la fantasia, l’intuito la razionalità e i sensi i mezzi attraverso i quali tornare a Lui? “Si figlio mio, quelli sono i modi per ridestare la tua anima, ognuno di essi è un atto di Luce utile a risvegliare quella parte di luminosità divina dormiente in te ma da sempre presente” “Maestro ma allora sulle rive di questo lago sto ricordando attraverso le tue parole ciò che in me è già presente” “Ricorda, numero, arte, amore, magia, questi dovranno essere sempre i tuoi maestri se a Dio vorrai ritornare, rimembrando “ “Aspetta maestro non andare via, se così è se l’uomo può ricordare allora mai muore veramente, in qualche modo vede il creatore o i suoi archetipi” “Ora sai il perché l’Arte della Memoria fu per me così importante” “Un ultima domanda poi ti lascerò andar via” “Dimmi” “Perché Dio ha creato” “Per puro semplice e meraviglioso Amore. Ora va e cerca fra gli esseri umani e vedrai che qualcuno più di altri potrà dirti perché non
Michele Proclamato È uno scrittore, simbolista, che vive all’Aquila. Conduce una rubrica dedicata ai Crop Circles ed ha pubblicato numerosi articoli sulla rivista Hera, Misteri di Hera, Totem, Scienza e Conoscenza. Sono in uscita alcuni suoi articoli per Vivere lo Yoga e il Ria. È collaboratore di diversi siti telematici quali: Il Portale del Mistero, Stazione Celeste, Paleoseti, Cropcircle Connector, Altrogiornale, Riflessioni, Ufo network, Nonsiamosoli, Esonet. Ha partecipato a numerosi convegni e conferenze e tiene corsi e seminari. È accompagnatore di Tour basati sulle sue pubblicazioni: all’Aquila, Castel del Monte, Milano sulle orme conoscitive del grande Leonardo da Vinci, Assisi ed in Inghilterra, dove il sapere costruttivo dei Cerchi convive, da secoli, con alcune basiliche che recano il simbo-
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esistono tanti segreti nell’umanità, bensì un solo mistero, il quale indagato con l’impegno meritato forse vi permetterà di capire perché nulla divide il sapere delle antiche civiltà da quello che costruì le musicali cattedrali gotiche, che diede modo a tanti iniziati di creare capolavori inarrivabili e inesausto di riapparire nei Campi di Grano di tutto il mondo, per opera di chi da sempre sa che il tempo è solo uno degli effetti del suono, per opera di chi vi sorvola utilizzando un energia fatta di puri intervalli musicali, matrice geometrica di un universo fatto solo di frequenze dodecafoniche”. Detto questo quell’essere verso il quale sentirete un amore ed un affetto infinito, in quel momento, sulla stretta e sabbiosa riva di quel lago reso perfetto dall’imperfezione divina, con un semplice ramo portato a riva dall’opera lunare, inciderà indelebili, poche e perfette parole, le seguenti: “Mente, Intelletto, Amore”, saprete allora che in quel mondo di pura immaginazione avrete avuto come me la fortuna immensa di aver incontrato l’unico il vero “Dormitantium Animorum Excubitor” (Risvegliatore di Animi Dormienti).
lo dell’OTTAVA. Il suo sito è: www.micheleproclamato.it. Tra i suoi libri ricordiamo: Il segreto delle tre ottave dai rosoni di Collemaggio ai cerchi nel grano alla ricerca delle leggi dell’universo (Melchisedek, 2007), Il genio sonico. La scoperta incredibile che lega ogni opera di Leonardo, ad un codice divino (Melchisedek, 2008), L’ ottava. La scienza degli dei (Melchisedek, 2008), La storia millenaria dei cerchi nel grano (Melchisedek, 2009), Quando le stelle fanno l’amore. Ossia: la teoria eterica del tutto (Melchisedek, 2010) e...
L’ uomo di Dio Giordano Bruno Melchisedek, 2011 vai scheda libro >>
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di Enrico Baccarini Una dinastia dimenticata
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imenticati dalla storiografia, abbandonati nelle nebbie del tempo un antichissimo lignaggio sembra oggi voler reclamare il suo posto nella storia! La genesi di questa ricerca risale a molti anni fa quando, affascinati da certe letture, abbiamo iniziato ad approfondire la possibile veridicità storica di tasselli genealogici che risultavano sempre più importanti all’interno di un quadro di ricerca generale sempre più affascinante. La domanda che continuava ad echeggiare nella nostra testa era “È esistita realmente una dinastia regale promanatasi da Gesù Cristo, o più probabilmente dai suoi parenti, giunta fino ai nostri giorni attraverso alleanze dinastiche?”. Un arduo dilemma che agli inizi sembrava doversi risolvere in nulla di fatto ma fummo ben presto illuminati da alcuni riferimenti ritrovati in antichi autori classici e nella patristica, elementi che ci avrebbero direzionato verso incredibili strade nella nostra ricerca. Diversamente da quanto sostenuto da alcuni odierni cultori del mistero, non è possibile affermare con perentoria sicurezza che una discendenza di Cristo possa essere realmente esistita ma altrettanto non può essere detto per i suoi parenti, i consanguinei di Gesù, le cui gesta e la cui storia ci sono state narrate da molti autori dell’antichità. Incuriositi e stimolati da tale tematica ci siamo immersi nello studio comparativo e storico delle antiche fonti giudaiche e cristiane alla ricerca di elementi che potessero confutare o acclarare tali asserzioni.
Un viaggio nel passato, i Desposini La memoria segreta del tempo ha preservato nei secoli informazioni, oggi recuperate dalla moderna ricerca, a cui personaggi come Dan Brown hanno attinto forsennatamente per la stesura dei loro romanzi o saggi. La questione, pur se si vorrebbe conclusa, è ancora aperta ed altamente scontante. Se da una parte l’attestazione di un lignaggio della famiglia di Cristo potrebbe aprire nuove pa-
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Enrico Baccarini gine della storia e della nostra religiosità, la preoccupazione imperante in questi ultimi anni sembra essere stata direzionata verso una possibile prosecuzione di questo sangue regale non solo in linea diretta da Cristo, ma anche nelle sue linee collaterali. Attraverso la lettura del Vangelo apocrifo di Filippo apprendiamo che il rapporto intercorso tra Cristo e Maria Maddalena non fu un semplice scambio, dia lògos, tra discepolo e Maestro bensì sarebbe stato un vero e proprio connubio d’amore. Da qui le leggende e il dibattito che vorrebbero la continuazione di questa genia in suolo francese. Ma i suoi parenti? I vangeli ne parlano. Che fine fanno dopo la morte di Gesù? Nei documenti antichi, se escludiamo il Vangelo apocrifo di Filippo o i libri del Nuovo Testamento, troviamo numerosi riferimenti a fratelli o cugini diretti di Gesù, mai di suoi figli diretti. Questo implica che fin dall’antichità si possedeva una ben precisa cognizione che consanguinei del Cristo avessero continuato la loro discendenza nel tempo. Tale genia ben presto fu conosciuta con il nome di Desposini1. Voltaire stesso, in una delle sue monumentali opere, riportava che «Giulio Africano2, nelle sue Lettere ad Aristide3, narra che Erode, che non aveva una sola goccia di sangue israelita nelle vene ed era morso dalla consapevolezza delle sue basse origini4, bruciò i registri ������������������������������������������������ ) Secondo alcune tradizioni la dinastia bizantina dei Puoti, o DesPoti, ovvero Despota o “Desposini” erano familiari di Gesù, discendenti di Davide, detti anche Alkè ovvero attributo del Signore, da “Pietra Potente”, o “Pietra del Signore”. Lo stemma dei Puoti è quello di Davide, un leone rampante verso un braccio le cui dita imitano la bocca del serpente, per evocare il simbolo taumaturgico del farmaco. Erano detti anche “Terapeuti”. L’arma parlante dichiara che la Scienza taumaturgica è il vero potere. 2) Visse tra il 160 e il 240 d.C. e fu anche in stretti rapporti con la casa reale di Edessa. 3) Nota inserita da Voltaire – Euseb., Hist. Eccles., liv. I, ch. Vii, et Nicephor., 1. I. ch. ii. 4) Nota inserita da Voltaire - Josèphe, Hist. Des Juifs, 1 XIV, chap. ii, avoue cependant qu’il était petit-fils d’Antipas, Iduméen, gouverneur de toute la Judée
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I Desposini delle antiche famiglie di Israele; ma un piccolo numero, geloso dell’antichità della propria nobiltà, era sopravvissuto a questa perdita, poche attente persone possedevano documentazioni private, o avendo ricordato i nomi o avendoli recuperati da copie, ed erano orgogliose di preservare il ricordo della loro origine aristocratica. Fra costoro vi erano alcuni che erano chiamati desposynoi per il rapporto stretto che avevano con la famiglia del Salvatore5»6, attingendo queste documentazioni da testi classici circolanti anche ai suoi tempi. Ieri come oggi tali documenti risultano essere facilmente consultabili ed incuriosisce 5) Secondo altre traduzioni l’ultima parte do-
vrebbe essere letta come «… perché erano stati parenti prossimi del Salvatore». 6) Tratto da, Voltaire, Collection d’Ancienne évangiles ou Monuments du Premeier Siècle du Christianisme, Extraits de Fabricius,Grabius et Autres savants par l’Abbé B***. Capitolo IX, Histoire de la Famille du Christ, trovée sous l’Empereur Justinien, 1769.
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Enrico Baccarini che nelle mille censure operate nel corso dei secoli da parte della Chiesa Cattolica buona parte di tale materiale sia filtrato indisturbato fino ai nostri giorni. Fonti che passarono al vaglio dell’Inquisizione ma a tali contenuti, probabilmente, i censori non diedero grande peso. Rivolgendo il nostro sguardo alle prime comunità cristiane vediamo che nella setta degli Ebioniti vi era un grande rispetto per Maria madre di Cristo, suo padre Giuseppe, le sue sorelle, ed i suoi fratelli Giacomo il Giusto, Joses, Simone e Giuda. Secondo le fonti storiche classiche ogni prima comunità giudaica dei seguaci di Gesù, sia che fosse Nazarena o Ebionita, era retta da un Desposino, in qualità di patriarca di questa collettività, ed ognuno di essi portava uno dei nomi davidici usati per tradizione all’interno della famiglia di Cristo, anche se nessuno avrebbe più usato tali epiteti dopo la Sua venuta. Le fonti storiche romane più accreditate sono identificabili in Egesippo (ca. 110 d.C. –
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Enrico Baccarini
ca 180 d.C.) ed Eusebio di Cesarea. Egesippo scrisse cinque libri di Commentari su gli Atti della Chiesa, di cui oggi purtroppo ci sono rimasti solo pochi frammenti, mentre il tempo ha preservato integralmente la Historia Ecclesiae di Eusebio di Cesarea. Le narrazioni giunte fino ai nostri giorni affermano che durante il periodo ascritto al regno di Domiziano (81 – 96 d.C.) «… della famiglia del Signore sopravvivevano ancora i nipoti di Giuda (ci si riferisce a Giuda Tommaso detto il Didimo, ovvero letteralmente dal greco il gemello, n.d.a) che si diceva fosse Suo fratello secondo la carne, umanamente parlando. Vennero denunziati come discendenti di Davide7 e portati davanti a Domiziano Cesare, poiché anch’egli, come Erode, temeva la venuta del Messia. Domiziano chiese loro se discendessero da Davide, ed essi lo ammisero»�.
tiche del tempo avessero potuto considerare il cristianesimo come un potenziale pericolo interno all’impero, in grado di sfaldarlo e farlo collassare se non fosse stato preventivamente arginato. Una drastica repressione avrebbe costituito l’unico deterrente in grado di poter circoscrivere questi nuovi ideali, ovvero di reprimere quelle aspirazioni e quel credo che sembravano oramai compenetrarsi all’interno di molte strutture sociali, culturali e religiose romane. All’interno di tale ipotesi potrebbe trovare chiarificazione una frase di Svetonio rimasta oscura per molti secoli il quale dichiarò che le vittime dell’epurazione voluta da Claudio erano stati quegli “ebrei” colpevoli di aver dato luogo a disordini in nome di Gesù, ovvero del Messia di Israele la cui missione era stata annientata da Ponzio Pilato. Ancor più affascinante è sapere di un in-
Da questo passo risulta evidente che i discendenti della famiglia di Cristo erano stati perseguitati anche in relazione ad una nuova paura messianica in cui si temeva la restaurazione della dinastia davidica sul trono israelitico in contrapposizione alla dinastia farsa di Erode imposta dai romani. La ricerca di ebrei attivisti nella nuova fede, coloro che credevano nel ritorno di un re-messia della dinastia di Davide, avrebbe costituito il nuovo problema per l’impero, soprattutto per quei nuovi ideali che sembravano diffondersi sempre più anche tra le file degli stessi cives romani. È facile immaginare come le strutture poli-
contro diplomatico avuto tra Domiziano e una delegazione desposina. Secondo la Historiae di Eusebio, questa stirpe avrebbe richiamato la curiosità dell’imperatore soprattutto riguardo a quante e quali proprietà possedessero i discendenti di Cristo e di quanti soldi potessero disporre. I convenuti replicarono che con loro possedevano solo 9000 denari e che ognuno di loro possedeva personalmente metà di quella somma, precisando che non era in valuta monetaria bensì in terre sulle quali pagavano le tasse dovute e che sostenevano loro stessi attraverso il lavoro. Per dimostrare l’onestà di tale affermazione Eusebio riporta che alcuni Desposini mostrarono a Domiziano la propria pelle bruciata e rovinata dal lavoro. Secondo lo studioso fiorentino David Donnini “In realtà, a proposito di questi ebrei scac-
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di Israele, avversari che Domiziano non voleva avere dopo decenni di sanguinose lotte per la reconquista del regno di Israele.
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I Desposini ciati da Roma, possiamo senz’altro chiamarli cristiani, rendendoci conto del fatto che il significato con cui questa parola era utilizzata a quel tempo era diverso da quello moderno: essa non indicava affatto l’appartenenza ad una nuova religione che si era scissa dalla fede degli ebrei, perché tale religione ancora non esisteva, bensì rappresentava gli ebrei messianisti”8. È indubbio constatare come il seme del credo cristiano fosse ancora una struttura in fieri e vaga all’interno delle stesse comunità. Gli stessi scrittori classici, un po’ per cattiva informazione un po’ per reale acculturazione tardiva, acclaravano tale dicotomia. È fin troppo evidente come un odio profondo fosse dilagato contro quel movimento religioso apportatore di nuovi ideali e nuove speranze. Non fu certamente la paura di una nuova religione a provocare la persecuzione
na, il teologo gesuita Malachi Martin9, protrae la loro esistenza pubblica fino al IV secolo. Nel 318 d.C. una delegazione di otto capi Desposini sarebbe giunta fino a Roma per conferire con l’allora vescovo e patriarca Silvestro I nel palazzo Laterano, a quel tempo non esisteva ancora l’appellativo di “Papa”. Giunti per esigere alcune riforme nella Chiesa romana le loro principali richieste furono la revoca delle nomine dei vescovi cristiani di Gerusalemme, Antiochia, Efeso ed Alessandria in quanto cariche spettanti agli stessi Desposini. La richiesta più importante fu quella però che voleva che le chiese cristiane riprendessero ad inviare oboli alla Chiesa Desposyna di Gerusalemme che avrebbe dovuto essere considerata la legittima Chiesa Madre per il cristianesimo. Prevedibilmente la Chiesa romana respinse queste istanze asse-
cristiana, Roma contava a quel tempo più templi e più religioni di qualsiasi altra metropoli del mondo conosciuto. La vera paura furono le nuove idee libertarie e di tolleranza promulgate ovvero l’assenza di una dottrina segreta e la mancanza di sistemi verticistici stretti così come presenti negli altri culti. A ciò si aggiunge il fatto che la morte di Gesù, considerato dai romani uno tra gli artefici della rivolta giudaica, poteva non costituire un epilogo degli eventi se suoi discendenti avessero utilizzato tale uccisione come strumento di nuova ribellione. Eusebio situa la prima presenza “ufficiale” dei Desposini tra il 98 e il 117 d.C., all’epoca dell’imperatore Traiano, periodo dopo il quale si perde ogni loro traccia. Una fonte moder-
rendo che la Chiesa Madre era da allora quella con sede a Roma e che Roma stessa aveva la sola autorità di nominare i propri vescovi indipendentemente dalla Chiesa di Gerusalemme. Durante il pontificato di Silvestro I, Costantino sarebbe stato eletto al soglio imperiale diventando successivamente il primo monarca a non perseguitare più, e a tollerare ufficialmente, il popolo cristiano. Storicamente questi furono gli ultimi contatti tra la chiesa di Gerusalemme e quella di Roma, ogni traccia e ogni riferimento successivo saranno dimenticati dalla storia. La chiesa di Gerusalemme, capeggiata da Giacomo il Giusto, secondo numerose fonti antiche tra cui gli apocrifi fratello di sangue di Gesù,
8) David Donnini, Nuove Ipotesi su Gesù, Macro
9) Malachi Martin, The Decline and Fall of the Ro-
Edizioni, Cesena, 1998.
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man Church, Putnam Pub Group, London, 1981.
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sarebbe stata sottoposta a tremende persecuzioni che avrebbero condotto ad un suo sfaldamento e all’integrazione dei suoi devoti all’interno delle perseguitate comunità cristiane. È interessante notare come in questo periodo sia gli esuli cristiani quanto quelli ebrei avessero, soprattutto in quest’ultimo caso, abbandonato la Terra Promessa per dirigersi verso molteplici territori tra cui quelli greci, all’ora occupati dai Visigoti, e quelli dell’odierna Francia sotto dominio dei Galli. Proprio questi popoli, secondo le moderne ricerche e mitografie, costituiranno i veicoli attraverso cui conoscenze e lignaggi potranno perpetuarsi nei secoli successivi in Europa. È storicamente accertato, inoltre, che un
denze davidiche francesi, oggi trasformatesi purtroppo più in un fruttifero strumento nelle mani di speculatori piuttosto che in un serio motivo di ricerca verso questo enigma.
cospicuo numero di ebrei e cristiani raggiunsero anche la Spagna e la Francia meridionale durante quel periodo oscuro di persecuzioni volute dall’autorità imperiale. Alcuni gruppi desposinici potrebbero aver raggiunto questi lidi per fondere il proprio lignaggio con quello di popolazioni che avrebbero potuto garantire loro una sopravvivenza nel tempo. Da tali assunti si possono essere originate quelle ipotesi moderne di possibili discen-
il riferimento al fatto che la nostra tradizione cristiana, cattolica e romana, cioè il corpus di insegnamenti e di testi cui prestiamo fede, viene indicato generalmente come “tradizione paolina”. Il sacco di Gerusalemme perpetuato dall’allora Generale Tito, nel 70 d.C., avrebbe condotto alla dispersione del potere e delle autorità della nascente Chiesa, già definita la Chiesa di Giacomo, in favore della tradizione
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Le due Chiese delle origini Si contrappongono spesso, nella ricerca moderna, due Chiese delle origini distinte. La prima guidata da Giacomo il Giusto, e definita la Chiesa di Gerusalemme, la seconda retta da San Paolo e successivamente definita la Chiesa di Roma, indicativa della tradizione cattolico-romana che seguiamo ancora oggi. Nella stessa definizione del nostro culto è esplicito
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I Desposini paolina già filtrata ed accettata tra i “gentili”. Secondo lo storico Giuseppe Flavio10 Giacomo il Giusto sarebbe stato ucciso attorno al 62 d.C.11, pochi anni prima del saccheggio perpetuato dai contingenti romani12. Nelle differenti tradizioni Giacomo viene indicato come “fratello del Signore” identificandolo quindi, in base alle testimonianze fino ad ora proposte, come un uomo di stirpe desposinica. Terrore e lotte intestine segnarono la Palestina del I secolo dopo Cristo, guerre che si estesero a tutti quei territori in cui il nuovo credo era filtrato. La repressione e la diaspora ebraica, unita al soffocamento della nascente religione cristiana, instaurarono nell’Impero un clima di terrore unico nel suo genere. I primi riferimenti ad un lignaggio di Cristo avverranno però solo con Egesippo (110 c.ca 10) Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche. 11) “James, St.” Cross, F. L., ed. The Oxford Dictionary of the Christian Church, Oxford University Press, 2005. 12) Tale perdita di potere potrebbe anche essere osservata come un momento di transizione a seguito della morte di una figura carismatica come quella di un Apostolo vero di Cristo.
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Enrico Baccarini – 180 c.ca) e si riferiranno a discendenti viventi nel 165 d.C. Tale periodo di silenzio può essere motivato da quegli eventi che segnarono duramente anche la Città Santa, simbolo ed emblema di una nazione ed un popolo che avrebbero dovuto duramente lottare anche nei secoli successivi. Nel 135 d.C. le legioni di Adriano posero nuovamente d’assedio Gerusalemme, saccheggiandola e privando i suoi cittadini di qualsiasi diritto sia civile che umano. Le furiose lotte, e le strenue resistenze, perpetuate da questo popolo erano infatti durate talmente a lungo da portare l’Imperatore verso la decisione più estrema, bandire Ebrei e Cristiani dalla Città Santa. Tale preclusione sarebbe durata solo qualche secolo ma avrebbe nuovamente condotto verso una dispersione e frantumazione ulteriore dei credi e delle “scuole religiose” presenti. San Giacomo, durante il mandato come patriarca della Chiesa di Gerusalemme, assurse al ruolo di massimo esponente della corrente giudaico-cristiana successivamente conclusasi con gli ebioniti. La scoperta di un ossario nell’ottobre del
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2002, con la dicitura «Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù» ha posto nuovamente l’attenzione mondiale sulla possibile esistenza di una parentela stretta di Gesù. L’ossario in pietra calcarea ritrovato durante alcuni scavi è stato datato con precisione al 63 d.C., ricordando che Giacomo sarebbe stato lapidato nel 62, anche se a tutt’oggi esistono forti discussioni sulla oggettività della datazione stessa. L’iscrizione, decifrata dello storico francese Andrè Lemaire13, ha posto nuovamente all’attenzione mondiale un dibattito secolare, anche in seno alle stesse chiese cristiane, mai estintosi del tutto. Le confessioni protestanti ammetto che Gesù avesse avuto dei fratelli e delle sorelle (Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda assieme a Salomé e Maria). La confessione ortodossa, con una tradizione presente anche nell’apocrifo protovangelo di Giacomo, afferma che questi fratelli sarebbero stati figli di un precedente matrimonio di Giuseppe e quindi fratellastri di Gesù (comunque di stirpe davidica in quanto secondo i Vangeli neotestamentari era proprio Giuseppe a provenire da una discendenza regale) mentre la versione accettata dalla Chiesa cattolica romana afferma che Giacomo e i Desposini sarebbero stati cugini di Gesù (in quanto l’uso del termine fratello per cugino è ben documentato nel greco e in 13) Andre Lemaire, Burial Box of James the brother of Jesus, Biblical Archaeology Review, Nov-Dic 2002, 26/70.
Enrico Baccarini È nato e vive a Firenze. Giornalista pubblicista e scrittore professionista, si occupa di saggistica con un particolare interesse per ciò che è insolito e una predilezione per gli enigmi storici. Ha compiuto studi universitari in psicologia clinica e sperimentale focalizzandosi in particolare nel campo antropologico culturale. Ha collaborato in qualità di Caporedattore con Notiziario UFO e Archeomisteri dal 2001 al 2008 per l’Editoriale Olimpia di Firenze, Ufo Notiziario per la Acacia Edizioni, Gli speciali dei misteri, HERA e i Misteri
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diversi papiri) e figli di un’altra Maria e di Clopa, fratello di Giuseppe. In tutte e tre le versioni rimane comunque evidente il rapporto di stretta parentela tra Giacomo e Gesù come anche di una cerchia di familiari a lui vicini e prosecutori del suo messaggio14. Nel Nuovo testamento, come anche in scritti del tempo, si attesta la stretta parentela fra questa figura e quella di Gesù. Giuseppe Flavio afferma «… convocò una sessione del Sinedrio e vi fece comparire quel fratello di Gesù, detto Cristo, che si chiamava Giacomo»�, mentre San Paolo nell’Epistola ai Galati (I, 19) afferma «… e non vidi nessuno altro degli apostoli; ma solo Giacomo, il fratello del Signore…». La storia non ci ha permesso di conoscere quale fine poterono compiere o subire i parenti di Cristo. L’evidenza storica e documentaria non può più essere negata. Per quanto le informazioni siano ancora frammentarie e disorganizzate, l’esistenza di una discendenza di Cristo attraverso suoi familiari e parenti è un dato di fatto che non può più essere confutato. Solo la ricerca potrà rispondere alle molte domande che questa evidenza sta sollevando, conducendoci alla riscoperta di un passato taciuto e dimenticato e forse anche ad identificare nei tempi odierni qualche discendente dei familiari di Gesù, i Desposini. 14) Ilaria Ramelli, I parenti terreni di Gesù, in Vetera Christianorum, n.40, Edipuglia, Bari, 2003.
di HERA, FENIX, il Giornale dei Misteri, SECRETA nonché a diverse testate di settore. Ha partecipato come ospite a trasmissioni per i principali canali radio-televisivi italiani, come MEDIASET e la RAI, svolgendo anche consulenze per alcuni programmi. Il suo sito Internet ENIGMA è www.enricobaccarini.com.
La Toscana dei misteri Zona, 2010 vai scheda libro >> Runa Bianca
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di Giuseppe pp di Stadio Lâ&#x20AC;&#x2122;enigmatico incontro tra arte, medicina e mistero
Raimondo di Sangro
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Raimondo di Sangro
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’è chi l’ha definito esoterista, chi all’occhio, come il velo marmoreo, posto lunalchimista, chi inventore, chi addigo tutto il corpo del Cristo, aderisce perfettarittura sostiene sia stato un impormente alle forme del viso ed al corpo stesso, tante massone o militare. In effetti, quando tanto che sono visibili le ferite del martirio. si parla di Raimondo di Sangro VII principe L’impressionante perfezione di esecuzione di San Severo, è difficile accordarsi su quale nello scolpire i due cuscini posti dietro la nuca sia la disciplina che abbia caratterizzato la sua e degli strumenti post crocifissione, fanno si misteriosa ed affascinante vita. Nato nel 1710 che sia dia credito alla leggenda che avvolge a Torremaggiore in provincia di Foggia, Raila vita del principe. Infatti, la storia vuole che, mondo inizia i suoi studi di retorica, filosofia, come nel Cristo Velato, anche ne Il Disinganlogica, matematica, geometria, scienza, fisica, no, la vita sia stata “marmorizzata” con progreco latino ed ebraico. Si appassiona all’aralcesso alchemico segreto. Inoltre Raimondo di dica e alla scultura grazie al suo innato amore per la composizione artistica. All’età di 20 anni si trasferisce a Napoli, all’apice della sua crescita culturale, e per questo non gli è difficile imporsi sulla stragrande maggioranza dell’aristocrazia napoletana, considerata rozza ed ignorante. Ma trattiamo con maggiore attenzione le arti che tutt’oggi attirano milioni di studiosi e turisti da tutto il mondo, a visitare la famosa Cappella di Sansevero nel centro storico di Napoli. Fu proprio il restauro di DA NOTARE LA RETE MARMORIZZATA CHE AVVOLGE LA STATUA questa cappella che lo rese famoso. Restauro che trasuda chiari elementi massonici in stile Sangro è stato anche creatore delle incredibili barocco. Parteciparono al restauro i migliori Macchine Anatomiche. Perfette riproduzioartisti del panorama napoletano tra i quani eseguite nel 1700, del sistema venoso ed li Giuseppe Sanmartino, autore del famoarterioso dell’essere umano. Rappresentate sissimo Cristo Velato, e Francesco Queirolo, in due individui di sesso maschile e femminicreatore de Il Disinganno, rappresentante un le unitamente al sistema scheletrico. Questa uomo che si districa da una rete a simbolegoperazione era praticamente di impossibile giare come, dopo una vita di libertinaggio e esecuzione, se si considerano le conoscenze di azioni nefaste, il padre abbia trovato la forscientifiche del tempo. Inoltre tali corpi sono za di uscire dall’inganno terreno per abbracstati “creati” in corrispondenza della scomparciare la fede. sa di due camerieri che lavoravano in casa di La rappresentazione artistica del Cristo Sangro in quel periodo, e il caso vuole che Velato e la sua creazione restano ancora oggi erano proprio un uomo ed una donna. Voci un mistero rimasto incompreso dagli artisti del popolo raccontano di strane urla e rumori e scultori contemporanei. Infatti, salta subito molesti provenienti dall’abitazione del princi-
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Raimondo di Sangro pe. Per questo motivo il suo operato è stato a lungo criticato sia dalla Chiesa sia dai salotti aristocratici partenopei. Altra invenzione avvolta nel mistero è la cosiddetta Carrozza Marittima, come evidenziabile da una stampa d’epoca (ancora esistente), si trattava di un veicolo perfettamente somigliante a una carrozza terrestre, con tanto di cavalli verosimilmente in sughero o legno, ma al posto delle ruote vi erano delle “pale” (azionate da personale nascosto) in grado di viaggiare per mare. Tale carrozza poteva ospitare dodici persone ed era più veloce delle barche a remi ed a vela dell’epoca (fonte “La Gazzetta di Napoli” 24 luglio 1770). Con tale mezzo di trasporto, si racconta, che Raimondo riusciva a navigare di notte l’intero Golfo di Napoli, sperimentando di nascosto, le sue incredibili creazioni. Di fondamentale importanza, nella tormentata vita del principe, è stata l’appartenenza alla loggia Massonica partenopea. Prima però è d’obbligo fare una precisazione di carattere storico sociale. I massoni partenopei del settecento erano ovviamente molto diversi da quelli odierni. Infatti, le logge,
Giuseppe di Stadio prendevano il nome dalle taverne dove i “muratori” si riunivano per argomentare su discorsi di filosofia, politica e spesso…esoterismo. Le riunioni delle società segrete terminavano di frequente con l’intonazione di un inno “a tema”. Riportiamo in merito uno dei numerosi canti in merito all’esclusione della donna dalla vita massonica: «Se tra noi luogo non hanno le tue ninfe, Amor, perdona; che ove il nome tuo risuona, tutto è colpa e tutto è inganno ne tener san donne imbelli il segreto dei fratelli» Ma un curioso aneddoto ha alimentato negli anni accese polemiche tra i sostenitori massonici partenopei e gli studiosi di Raimondo di Sangro. Nel 1751, Papa Benedetto XIV (papa Lambertini), influì in modo determinante sulla decisione di re Carlo III, di emanare un editto anti massonico. Questo perché, in quel clima da Santa Inquisizione, il confine tra scienza e stregoneria era pressoché inesistente. Il principe non esitò dal salvarsi dalla ro-
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vina rivelando i nomi dei maggiori esponenti Il quesito che tormenta gli studiosi attuali alla loggia massonica campana. In realtà di è “velato” da un enigmatico mistero: come è Sangro non interruppe mai definitivamente i possibile che un personaggio del 1700 sia rirapporti con l’ordine napoletano continuanuscito ad acquisire conoscenze così sviluppado imperterrito i suoi studi esoterici. te ed approfondite in tutti i campi del sapere Tuttavia, questo enigmatico personaggio, umano? Come ha potuto mettere in pratica i è riuscito, fino alla fine dei suoi giorni, a coltisuoi studi realizzando le opere che oggi amvare segreti, molti dei quali ha deciso di portarli con se nella tomba. Tra i più popolari, c’è n’è uno in particolare che riguarda addirittura il Conte di Cagliostro. Nel 1790, Cagliostro, afferma di fronte al tribunale della Santa Inquisizione Romana, di aver appreso numerose tecniche esoteriche (di segretissima natura e di impossibile divulgazione) da un enigmatico studioso partenopeo, definito dallo stesso Cagliostro un “Principe amante della chimica”. Purtroppo, come numerosi documenti simili, anche quella deposizione, oggi, è gelosamente custodita negli archivi Vaticani. Per questo motivo, difficilUNA DELLE MACCHINE ANATOMICHE mente verremo a conoscenza di una possibile affascinante miriamo con i nostri occhi incantati e sbalorcollaborazione tra Cagliostro e il suo Maestro diti? Coloro che hanno dedicato la loro vita di Sangro, privandoci a questo punto della allo studio di questo personaggio affermano possibilità di scrivere un’importante pagina con fermezza che la scienza non riuscirà mai a di storia della scienza italiana. svelare chi e soprattutto in che modo, ha reso Tutt’oggi è possibile visitare il Museo della Raimondo di Sangro uno dei personaggi più Cappella di Sansevero situata nel centro storienigmatici della comunità artistica e scientifico di Napoli in Via F. De Sanctis 19/21 aperta i ca partenopea del 1700. giorni feriali dalle 10.00 alle 17.40 e Domenica e festivi dalle 10.00 alle 13.30.
Giuseppe Di Stadio Studioso di archeologia, con la passione per la storia antica e l’antropologia. Assiduo ricercatore nell’ambito dell’ufologia da diversi anni. Relatore e collaboratore per diversi siti italiani, nonché appartenente allo staff del sito www.italiaparallela.it
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in qualità di amministratore e curatore del sito insieme ad Antonella Balboni, Monica Taddia e Giovanni Zaninelli. Il sito si prefigge la divulgazione informativa di argomentazioni prettamente inerenti al campo del “Mistero”, quali archeologia, ufologia, astrologia, leggende e tanto altro. Nonché la partecipazione ad argomenti di discussione sull’apposito forum dedicato.
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di Luigi e Margherita Guccione g Bavagnoli g g Archeologia del Sottosuolo
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finge intesa come un secolare enigma, un mistero ancora poco noto, che si trova non molto distante da Varese. Sfinge della Valganna1, questo è il nome datogli dalla stampa di fine ‘800 quando la sua scoperta iniziava a superare i confini del sapere accademico per raggiungere il grande pubblico generalista e sensazionalista. Tutto ebbe inizio nell’autunno del 1873, quando, nei pressi dell’Alpe Cuseglio2, si stava svolgendo una battuta di caccia. Raffaele Inganni3 scopre casualmente l’ingresso di questo complesso dedalo di cunicoli, un labirinto sotterraneo totalmente sconosciuto, che prende il nome di “Antro delle Gallerie”. Non si era allontanato troppo dal sentiero principale, quando notò un rigagnolo d’acqua sgorgare dalla collina, qualche metro più a valle. I suoi cani lo annusavano con insistenza, così decise di seguirlo. Arrivò ad un’apertura a grandezza d’uomo, stretta ma in grado di consentire l’accesso in posizione eretta di una persona adulta. Con se non aveva alcun tipo di luce, ma mosse al suo interno qualche incerto passo. A poco a poco i suoi occhi si abituarono all’oscurità e si ritrovò all’interno di una galleria, completamente scavata nella roccia e non sostenuta da alcun rivestimento murario. Dopo pochi metri la fioca luce che proveniva dall’esterno non era più sufficiente per consentirgli di proseguire, così tornò sui suoi passi.
INGRESSO
1) La Valganna, percorsa dal fiume Olona, si trova in Lombardia, in provincia di Varese e raggiunge il lago di Ghirla. 2) L’Alpe ���������������������������������������������� Cuseglio poggia su di uno strato di Dolomia di S. Salvatore, sotto al quale si incontra uno strato di sabbie e conglomerati fini (servino verrucano), a sua volta depositato sopra a colate laviche del Permiano, posate su Granofiro di Cuasso. 3) Inganni, canonico di San Celso in Milano, era un grande appassionato di storia e di archeologia.
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Prima di uscire, però, notò all’interno una forte umidità, la pavimentazione fangosa e diverse aperture laterali che lasciavano presagire delle prosecuzioni. Ritornò con alcuni amici e diede il via ad un lungo ciclo di esplorazioni, ancora vivo oggigiorno e capace di coinvolgere studiosi ed esperti nei settori dell’archeologia, della speleologia e della speleo-subacquea. Da allora in molti si interessarono a questo complesso di cunicoli, senza mai arrivare a comprendere con certezza quale fosse il suo scopo originario e perché, quindi, venne realizzato.
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Si iniziò a parlare di un labirinto, lasciando troppo spazio alla fioritura di colorite leggende sulle creature mitologiche che lo avrebbero abitato. Si è parlato in modo azzardato di un acquedotto, di un antro in cui doveva essere stato nascosto un tesoro, ben difeso dalla sua natura labirintica, di una necropoli (etrusca, celtica o gallica), un’opera militare di tipo difensivo e di altre ancor più fantasiose ipotesi. Allo stato attuale delle indagini, condotte da curiosi, speleologi, speleo sub, tra i quali spicca l’ottimo Amedeo Gambini del Gruppo Proteus Speleosub di Milano4, l’ipotesi più accreditata è che si tratti di un’opera di estrazione, una miniera, un cava. Infatti al suo interno si presentano due tipi di opere cunicolari, ben distinte, alcune chiaramente utilizzate come gallerie di collegamento, altre di esplorazione o di coltivazione. La galleria principale, ad esempio, si snoda in leggera salita, serpeggiando con un andamento sinuoso e mantenendo la sezione ogivale tronca, per quasi un cento metri. Le pareti sono rifinite accuratamente e permettono una chiara lettura dei segni lasciati dagli attrezzi di scavo. È anche possibile notare, in prossimità dell’ingresso, una battuta ricavaSOLCHI E TRACCE DI SCAVO ta per risparmio dalla roccia, forse un per depositare materiale di scavo contenuto tempo utilizzata per fissare una porta da muretti a secco. o un cancello. Questa circostanza si ritrova Le pareti delle gallerie permettono ancora ancora in diversi altri punti dell’Antro. Questa di leggere esplicitamente i solchi lasciati dapotrebbe essere la galleria di carreggio, utilizgli attrezzi di scavo, utilizzati sia per l’apertura zata per il trasporto dei materiali e degli atdei fronti che per la rifinitura dello scavo. Tractrezzi, la fuoriuscita del materiale scavato ed il ce parallele dovute a punte metalliche a puntransito delle persone. ta piramidale di sezione quadrata ed angolo All’interno di questa galleria si aprono, su al vertice compreso tra i 15° ed i 35°, lasciano più livelli, numerosi rami e saggi di scavo. Alpresupporre che lo scavo sia stato effettuato cuni ambienti sono interessati da cedimenti in una direzione, con attrezzi più grandi, e rifistrutturali che hanno comportato l’allarganito in senso opposto con punte più fini. mento delle loro sezioni, nuovi spazi utilizzati Tra i misteri di questo luogo c’è anche una 4) �������������������������������������������� Prezioso il contributo di A. Gambini presenscritta, incisa nella roccia, ritenuta da alcuni di tato al I Congresso Nazionale di Archeologia del origine etrusca. Ipotesi contestata successivaSottosuolo: “Metodologie a confronto”, tenutosi mente da alcuni e sostenuta con vigore da ala Bolsena nel dicembre 2005.
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MURI A SECCO DI CONTENIMENTO
tri. Attualmente è stata rimossa e trasportata al Museo Varesino. Esistono altri reperti di notevole interesse, ritrovati all’interno dell’Antro, nella galleria principale sotto ad uno spesso strato di fango. Si tratta dei resti di una traversina lignea fissata a rotaie. Costituiva sicuramente un sistema di binari sui quali venivano fatti scorrere carrelli per il più agevole trasporto del materiale scavato. Le traversine erano collocate all’interno di incassi ricavati a regolari intervalli nella pavimentazione della galleria. Ciò consolida la teoria che vuole il suo utilizzo come opera di estrazione. Sebbene sia impossibile evincere con certezza assoluta lo scopo originario del complesso, possiamo però affermare almeno che, in una fase della sua esistenza, venne utilizzato come miniera. Durante alcune indagini di inizio ‘900 vennero alla luce due scalpelli in metallo, con foro
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centrale per alloggiare un manico di legno, di cui non ci è pervenuta una convincente ipotesi di datazione. L’interesse del pubblico verso questo dedalo di cunicoli su più piani portò alla sua ricerca curiosi poco preparati ed attrezzati alla sua esplorazione. È del 1903 un articolo che parla di un francese, improvvisatosi speleoesploratore, che si perse all’interno della cavità dopo che la sua lanterna si era guastata, per essere fortunosamente ritrovato da altri visitatori ben tre giorni dopo, quando stava per impazzire e spararsi con la rivoltella che aveva con se. Pericolosi, per gli sprovveduti, anche alcuni pozzi in cui l’acqua affiora durante diversi mesi all’anno, la cui esplorazione richiede competenze specifiche, non facilmente improvvisabili, ed esperienza. Forse l’Antro fu quindi una miniera, un’opera di estrazione, di coltivazione mineraria.
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La sfinge della Valganna Ma cosa si estraeva da questo terreno?5 Qualcuno pensò all’estrazione di materiale lapideo da costruzione. Eppure il tipo stesso di coltivazione, un reticolo di anguste gallerie, lo escluderebbe, essendo palese che l’escavazione ai lati dell’ingresso sarebbe stata indubbiamente più agevole potendo manovrare su di un fronte di scavo più largo. I vuoti oggi lasciati non contengono alcun indizio di distaccamento di blocchi di roccia squadrati, parallelepipedi simili ai “cantoni” o alle “pianelle” tipiche delle coltivazioni monferrine6, che richiederebbero invece pareti molto più vaste. Le ipotesi più accreditate, da inquadramenti geologici e dal sapere conoscitivo attualmente raggiunto, insisterebbero sulla ricerca e l’estrazione di rari e deboli filoni di galena argentifera7. 5) ��������������������������������������������� Si tratta di una formazione sedimentaria prova di rocce cristalline che escluderebbe la presenza di filoni metalliferi. 6) Cantoni �������������������������������������������� e pianelle erano le forme più diffuse dei blocchi distaccati nelle cave di “Pietra da Cantoni”. 7) Conosciuta anche come piombo argentifero, descritta per la prima volta nella storia da Plinio il Vecchio. Estratta in età medioevale per ricavarne argento per il conio delle monete, in seguito per ricavarne piombo.
Luigi Bavagnoli Speleologo ed esploratore, è il presidente dell’associazione speleo-archeologica TE.S.E.S. (www.teses.net), da lui fondata nel 1996, che si prefigge di ricercare, studiare ed esplorare gli ambienti sotterranei realizzati dall’uomo. Co-fondatore e consigliere della Federazione Nazionale Cavità Artificiali, poi lasciato nel 2008 dopo tre congressi nazionali di Archeologia del Sottosuolo ed alcune importanti pubblicazioni presso il British Archeological Reports di Oxford. Appassionato di storia, archeologia, geologia, folklore ed esoterismo tiene anche numerose conferenze sulle ricerche, e le scoperte effettuate.
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Luigi Bavagnoli e Margherita Guccione Per una più fornita galleria di immagini dell’articolo si rimanda al sito www.teses.net. •
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Bibliografia Badini G. 1971, Nuove scoperte e nuove ipotesi sull’Antro delle Gallerie 2001 Lo, in Rassegna Speleologica Italiana, Società Speleologica Italiana, anno XXIII, fasc. 2, pp. 18-23 Bavagnoli L., Fulci A., Suggestioni dal sottosuolo – Le cave abbandonate di Colma – 45’ Videodocumentario DVD 2010 Binda A. 1950, Rinvenimento di manufatti lignei all’Antro delle Gallerie 2001 Lo (Varese), in Rassegna Speleologica Italiana, anno II, n. 1-2m Varese, pp. 76-77 Frecchiami M. 1974, L’Antro delle Gallerie in Valganna, in Archivio Storico della Badia di San Gemolo, fasc. IV, Tipografia dell’Addolorata, Ganna (VA) 1974, pp. 1-27 Gambini A. 2007, Antro delle Gallerie: lo stato attuale delle conoscenze, in Archeologia del Sottosuolo: Metodologie a confronto, vol II, Atti I congresso naz. di Archeologia del Sottosuolo Bolsena 2005 Moroni G. 1934, Il mistero dell’Antro delle Caverne in Valganna, in Cronaca Prealpina, 30 ottobre, Varese, p. 5 Talamoni G. 1935, L’Antro delle Gallerie, in La Provincia di Varese, Varese, pp 17 e seg.
Margherita Guccione Coltiva da sempre una grande passione per tutto ciò che concerne l’archeologia e le materie storico-artistiche, tanto d’abbandonare gli studi in Giurisprudenza per dedicarsi ai Beni Culturali. Entra a far parte dell’associazione T.E.S.E.S. nel 2010 e dimostra fin da subito di essere, oltre che preparata, anche un’ottima esploratrice. Tutto ciò, insieme all’esperienza maturata esplorando ambienti sotterranei e dimenticati, le dà la possibilità di promuovere la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico ed archeologico italiano. All’interno dell’associazione è la responsabile delle ricerche storiche e culturali.
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di Alberto Majrani Chi ha ucciso realmente i Proci?
Il grande inganno dellâ&#x20AC;&#x2122;astuto Omero tempo di lettura 10 minuti
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hi era Omero? E chi era Ulisse? C’è una verità nascosta dietro gli immortali versi dell’Iliade e dell’Odissea? Per tre millenni queste domande hanno afflitto generazioni di studiosi di tutto il mondo. Giambattista Vico coniò il termine “questione omerica” per definire l’infinita serie di enigmi creati dai due poemi: un autentico “mattone” indigesto per i poveri studenti e gli altrettanto poveri insegnanti. E ancora: la guerra di Troia è un evento storico realmente verificatosi, oppure è solo l’invenzione di un poeta, o forse addirittura di più poeti, vissuti in epoche diverse? E i resti archeologici trovati presso il villaggio turco di Hissarlik appartengono davvero alla città di Priamo ed Ettore, oppure questa identificazione è solo il frutto della lucida follia di Heinrich Schliemann, un archeologo dilettante, fortunato quanto incompetente? In realtà su quanto detto finora non c’è niente di “sicuro”, né di scientificamente provato, ma solo una lunga serie di teorie e supposizioni, più o meno plausibili, che hanno dato luogo a infinite polemiche tra gli studiosi. Al principio degli anni ’90 sono usciti quasi contemporaneamente due libri che BUSTO DI OMERO AI MUSEI CAPITOLINI A ROMA collocano decisamente a nord l’ambiente omerico è abbastanza diverso da quello clasdove si muovevano Ulisse e compagni: uno sico), la localizzazione dei luoghi descritti da del giornalista Iman Wilkens, intitolato Where Omero mal si concilia con le omonime locaonce Troy stood, cioè “Dove un tempo stava lità del Mediterraneo, tanto da aver generaTroia”, che localizza l’antica Troia in Inghilterto la diceria secondo cui “Omero è un poeta ra, e che ha avuto un certo rilancio di recene non un geografo”. Non so se esista un sinte grazie alla citazione che ne ha fatto il rodacato dei poeti, che possa organizzare uno manziere Clive Cussler nel suo Trojan Odyssey sciopero, o una marcia di protesta, contro (tradotto in italiano con il titolo abbastanza questa idea che un poeta debba essere tofuorviante di Odissea, e basta). L’altro, moltalmente ignorante di geografia! E poi Ometo più convincente, pur con qualche piccolo ro era un pignolo, che descriveva ogni cosa errore che esamineremo, è il risultato di una con una accuratezza minuziosa, possibile che accurata ricerca di un ingegnere nucleare apsi sbagliasse continuamente e sistematicapassionato di letteratura antica, Felice Vinci, mente proprio sull’argomento principale dei pubblicata in un saggio intitolato Omero nel suoi racconti, cioè la vita di eroi e popoli naBaltico, di cui potete leggere due articoli sul vigatori? E che nessuno, mentre declamava i numero zero e sul numero uno di questa rivisuoi versi nelle corti, tra guerrieri, mercanti, sta. I due libri hanno messo in crisi una delle marinai e altri cantori, gliel’avesse mai fatto poche certezze che molti credevano di avere, notare? Vinci spiega come i poemi omeriquella della “grecità” dei poemi e della mitoci siano verosimilmente delle saghe nordilogia classica. Già, perché, anche se è vero che giunte fino al Mediterraneo lungo la via che i poemi sono scritti in greco (ma il greco
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Il grande inganno dell’astuto Omero dell’ambra: questo giustifica le incongruenze geografiche e climatiche dei racconti, come il clima freddo, spesso tempestoso e nebbioso, gli assurdi percorsi di viaggio, le descrizioni che non quadrano, i capelli biondi di molti protagonisti, e così via. Secondo Vinci, i nordici navigatori, scesi in Grecia a fondare nel XVI secolo avanti Cristo la civiltà micenea, avrebbero cominciato a rinominare i luoghi del Mediterraneo basandosi sulle loro località di origine, tramandate da mitologie e religioni, allo stesso modo come in America o in Australia avrebbero fatto secoli dopo i colonizzatori europei. Dopo un lungo periodo di trasmissione orale, i secoli bui del cosiddetto “medioevo ellenico”, i poemi sarebbero stati messi per iscritto intorno all’VIII secolo a.C., quando si trovano le prime tracce scritte. La
Alberto Majrani teoria vinciana gode di molti favori entusiastici e di altrettanto acerrimi detrattori, per non parlare dei moltissimi che la ignorano totalmente. Nell’appendice del mio saggio “Ulisse, Nessuno, Filottete” mi sono preso la briga di apportarne alcune correzioni, sia dal punto di vista geografico che, ancor più importante, da quello storico archeologico. Nel caso della tradizionale localizzazione mediterranea delle vicende, poiché nell’ottavo secolo il mondo descritto da Omero non esisteva più da circa 400 anni, si è stati costretti ad ipotizzare un lungo periodo di trasmissione orale dei poemi, prima che qualcuno li mettesse per iscritto. Anche Vinci sostiene l’idea della trasmissione orale, partendo addirittura dal XVI secolo. Ma spostandone l’origine nei
LE PRINCIPALI VIE COMMERCIALI DELL’AMBRA DURANTE IL PERIODO TRA IL 1600 E IL 1200 A.C.
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Il grande inganno dell’astuto Omero mari nordici tutto cambia! Per esempio l’età del ferro nel Nord Europa è cominciata solo intorno al VI secolo a.C., quindi non c’è da stupirsi se le armi descritte da Omero sono di bronzo. I poemi potrebbero essere arrivati nel mondo ellenico anche poco prima della fine dell’ottavo secolo e subito trascritti. In questo modo non c’è più neanche la necessità di immaginare un lungo periodo di oralità, oltretutto con un bellicoso “medioevo” in mezzo, prima che i poemi fossero messi per iscritto: tutto può essere avvenuto pochi anni dopo l’arrivo del cantastorie Omero, o di qualcuno della sua “scuola”, in Grecia. Quanto alla lingua, il Greco presenta molte più affinità con le lingue germaniche e scandinave che con
AMBRA PREISTORICA
quelle mediterranee; la Grecia e alcune altre zone del Mediterraneo hanno subito parecchie invasioni da nord nel corso della protostoria, e quindi i poemi possono essere giunti assieme a una di queste migrazioni, mentre altre invasioni in tempi e luoghi diversi hanno portato diverse lingue e varianti dialettali nelle isole e nelle località del nostro mare. Oppure, si può anche ipotizzare che il greco
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Alberto Majrani omerico rappresentasse una specie di “lingua franca” in uso lungo la via dell’ambra, parlata e compresa da tutti i popoli che commerciavano la preziosa gemma. O ancora si può pensare che i cantastorie girovaghi, che costituivano in un certo senso l’élite intellettuale dell’epoca, conoscessero l’uso della scrittura, a differenza della grandissima maggioranza degli altri uomini antichi. Con questa nuova localizzazione temporale, l’origine nordica diventa ancora più plausibile. Mi sembrano ipotesi molto più logiche rispetto a quella di una “tradizione orale” durata secoli, di cui non si trova alcuna traccia (non solo scritture, ma neanche graffiti, vasi, statue), e che dà luogo a infinite contraddizioni. Mi sento comunque di consigliare a tutti gli studiosi di archeologia, filologia, mitologia e ai semplici appassionati il libro di Felice Vinci, perché la quantità di suggerimenti degni di attenzione è veramente impressionante. Proprio da una delle sue osservazioni è nato il mio libro, che risponde ad una domanda apparentemente molto provocatoria: “Chi ha ucciso realmente i Proci?”. Quasi di sfuggita, tra le pieghe del discorso, Vinci ipotizza che il figlio di Ulisse, Telemaco, abbia ingaggiato un mercenario per interpretare Ulisse e fare strage dei pretendenti alla mano della madre Penelope. Lo stesso Telemaco avrebbe poi scritturato un poeta per raccontare una fantasiosa storia che potesse giustificare tutti gli anni di assenza del padre. Tutto ciò allo scopo di liberare la reggia dai Proci che gli stavano mangiando tutte le sostanze; si aggiunga poi che se qualcuno ne avesse sposato la madre, Telemaco avrebbe perso il diritto alla successione e al regno. I pretendenti stessi, poi, stavano tramando per toglierlo di mezzo, e quindi bisognava anticiparli al più presto. Ma allora, chi poteva essere veramente il misterioso straniero, giunto a Itaca dopo vent’anni e che nessuno era in grado di riconoscere? Una attenta lettura dell’Odissea ci rivela la miriade di indizi lasciati da Omero per la sorprendente soluzione. Ulisse non era... Ulisse, ma il migliore degli arcieri achei: Filottete! Con questa chiave, il poema omerico assume improvvisa-
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Il grande inganno dell’astuto Omero mente una logica e una coerenza finora insospettabile. Filottete, chi era costui? L’Iliade ci narra che egli era a capo di un contingente di Achei che andavano alla guerra di Troia. Ma era stato morso ad un piede da un serpente, e la lesione si era infettata tanto da costringere i compagni ad abbandonarlo sull’isola di Lemno. Recuperato e curato dai medici achei, avrebbe ucciso Paride, dando un contributo determinante alla sconfitta dei Troiani. Sostituendo Ulisse con Filottete nelle vicende dell’Odissea, tutto si spiega: era un abilissimo arciere, evidentemente abituato a un “numero da circo” come quello di attraversare con una freccia gli anelli di dodici scuri allineate, il che presuppone anche un certo allenamento, cosa che Ulisse non poteva più avere dopo tanti anni per mare. Ammesso poi che fosse realmente dotato di questa abilità, visto che in tutta l’Iliade, poema che è molto più realistico dell’Odissea, lo stesso Ulisse non usa mai l’arco, neanche durante i giochi in onore di Patroclo, nei quali vince invece le gare di lotta e di corsa. Logicamente, i giovani di Itaca non lo conoscevano, ma certo qualcuno dei vecchi avrebbe potuto riconoscerlo, per cui sarebbe stato necessario eclissarsi al più presto a missione compiuta; cosa che “Ulisse” preannuncia alla moglie Penelope, senza che lei si scomponga tanto. La sua ferita doveva avergli lasciato una evidente zoppìa. E Omero, pur senza dirlo apertamente, fa di tutto per farci capire che il misterioso straniero zoppica: infatti cammina lentamente, appoggiandosi a un bastone, viene paragonato al dio Efesto, zoppo pure lui, fino alla trovata davvero geniale della vecchia nutrice che riconosce “Ulisse” dalla profonda cicatrice al ginocchio causata da un cinghiale (cosa mai accennata né nell’Iliade né nel resto dell’Odissea, in cui le gambe del corridore Ulisse sono assolutamente perfette). Il riconoscimento avviene proprio mentre gli lava i piedi, quindi ciò può significare che il problema era nel piede, e non nel ginocchio! Quanto ad Ulisse, probabilmente doveva essere morto da tempo, ucciso in battaglia o annegato sulla via del ritorno. Infatti, in tutta
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GRAFFITO DI ARCIERE A TANUM IN SVEZIA
l’Odissea, l’idea che l’eroe sia ormai defunto viene ripetuta più volte in modo deciso, mentre l’ipotesi che possa essere ancora vivo viene posta in modo dubitativo. Che dire poi del fatto che Ulisse ad un certo punto discende nel mondo dei morti? O che nell’episodio di Polifemo dichiara di chiamarsi Nessuno, per cui il ciclope ripeterà che Nessuno lo acceca, Nessuno lo uccide? Altri messaggi con cui Omero ci suggerisce la soluzione. Nelle prime pagine dell’Odissea, Telemaco viene esortato a pensare egli stesso a come cacciare i Proci, per cui parte a cercare notizie del padre proprio dai suoi migliori alleati. E non appare molto sospetta la straordinaria coincidenza, per cui Ulisse torna ad Itaca dopo vent’anni, e quasi contemporaneamente suo figlio sbarca sulla stessa spiaggia, situata dal-
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FILOTTETE ALL’ISOLA DI LEMNO
la parte opposta rispetto al porto principale? Filottete-Ulisse giunge nottetempo, assieme alla sua ricompensa in oggetti preziosi (fatta passare come dono dei Feaci ad Ulisse). Non viene riconosciuto da nessuno, tranne che dal
Alberto Majrani nato a Milano dove vive e lavora. Laureato in Scienze Naturali, collabora come giornalista e fotografo con alcune delle maggiori riviste di scienze e di viaggi italiane e straniere. Il suo archivio fotografico, costruito insieme con il fratello Marco e visitabile sul sito www.photomajrani.it , comprende circa mezzo milione di immagini di tutto il mondo. È membro dell’UGIS (Unione dei Giornalisti Italiani
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Alberto Majrani cane (che non può testimoniare, anche perché muore subito), dalla vecchia nutrice, e in seguito dal padre Laerte, tutti destinati a morire da lì a poco senza potere smentire la loro testimonianza. Così verranno eliminati pure gli avversari di Telemaco, i Proci e una dozzina di ancelle loro compagne. I servi fedeli, come il porcaro Eumeo e il mandriano Filezio, si preoccupano di comunicarci che riceveranno in premio una bella moglie, una casa e un podere (oggi lo chiameremmo “conflitto di interessi”!). Mentre un altro amico di Telemaco, l’araldo Medonte, guarda caso porta lo stesso nome del “vice” di Filottete. Non c’è niente di “superfluo” in Omero: ogni episodio, anche quello che sembra “appiccicato” in qualche modo, ritrova la sua coerenza e la sua naturale collocazione logica alla luce di questa spiegazione. Ecco dunque la sorprendente verità sui poemi e sul loro protagonista principale Ulisse: non era lui, non era lì, e non era neanche quella volta! Solo così la secolare, anzi, millenaria questione omerica si risolve. “Quandoque bonus dormitat Homerus”, ogni tanto dorme anche il buon Omero, proclamava Orazio. Niente affatto, Omero era un genio, e ora i suoi messaggi diventano improvvisamente chiarissimi: era lui l’astuto acheo, amante degli enigmi, abile negli inganni e nei giochi di parole, che è riuscito a prenderci in giro per tutto questo tempo! Altro che dormire! Povero poeta, sempre calunniato da chi non l’ha capito! Scientifici) e di diverse altre associazioni culturali. Il suo sito è www.filottete.it.
Ulisse, Nessuno, Filottete LoGisma, 2008 vai scheda libro >>
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di Enrico Calzolari Itinerari marittimi e navigazione di altura
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o studio degli allineamenti fra i crinali del Caprione1 ed i crinali delle Cinque Terre non può prescindere dalla constatazione che la “pietra-altare” del Persico di Campiglia2 è allineata con lo scoglio cuspidato detto “a gagiarda” (indicato in carta 1) Il promontorio più orientale della Liguria,
prospiciente le Alpi Apuane, già indicato nella cartografia di Tolomeo: Claudii Ptolemaei – Cosmographia – Tabulae, Grafica Gutenberg, Gorle, 1975 – Tabula Sexta, Europae, come risulta dalla copia del Codice V F. 32 conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli. Un ingrandimento di tale porzione di costa è stato pubblicato nel volume “Lerici e il mare – Storie di marinai, di pirati, di armatori e di naviganti – scritto dall’autore e pubblicato con Luna Editore, La Spezia, 1999, nel retrocopertina. Fra gli ottomila toponimi elencati da Tolomeo e corredati delle prime coordinate geografiche, figura anche la Foce del fiume Magra: Latitudine 42° 50’ N – Longitudine 30° 45’ Est (da <Fontes Ligurum> pag. 6) 2) L’immagine della pietra-altare, fornita di nove-coppelle con coppella centrale, è pubblicata alla pagina 39 del libro dell’autore a titolo “La Comunità di Fabiano – segni, riti e miti di Indoeuropei, Celti e Ariani sulle alture del Golfo della Spezia”, Luna Editore, La Spezia, 1994.
nautica come “Scoglio Ferale”3) e con la cuspide del Monviso, il monte delle Alpi Marittime distante 230 chilometri, alto metri 3 841 e perfettamente visibile, perché con la sua mole sovrasta di quasi duemila metri i monti circumvicini4. Al collegamento offerto dall’allineamento cartografico, verificabile anche ad occhio nudo nelle giornate particolarmente limpide, si va ad aggiungere la constatazione semantica che la pietra-altare del Persico di Campiglia appare incisa con un cerchio di coppelle, così come la pietra fallica del sito di “Canaa Granda”5. Qui le coppelle sono sette, con coppella centrale più grande, mentre nel Persico sono nove, sempre con coppella centrale più gran3) Golfo della Spezia – Istituto Idrografico, carta n. 115, scala 1: 25 000 4) Si veda la fotografia pubblicata alla pagina 89 del volume “Magiche Cinque Terre”, Luna Editore, La Spezia, 1999. 5) Sita in località Guercio, in territorio del Comune di Arcola. Si veda la scheda pubblicata nel libro “La Spezia e il mare e il Golfo della Luna” di De Nevi P. & Senese S., Luna Editore, La Spezia, 1997. Si veda la scheda nel sito Internet www3.shiny.it/caprione
LA MERIDIANA DI MONTE CAPRI ORMAI ATTORNIATA DALLA VEGETAZIONE
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de (ciò è spiegabile con la più ampia superficie offerta da questa pietra-altare). L’impianto semantico è però identico, essendo la coppella il contenitore dell’acqua sacra della Dea Madre, dispensatrice della vita, ed essendo il cerchio il segno propagatore dell’energia concentrata della Dea6. Oltre all’allineamento con il Monviso si riscontrano nella costiera delle Cinque Terre altri allineamenti di pietre, e di fori di pietra, diretti verso il Monte Argentera, verso il limite occidentale della costa del Mar Ligure (Provenza) e verso le isole dell’arcipelago toscano. Nel sito della Valletta di Campiglia, da ritenersi area sacra per la presenza di una grande pietra con due coppelle, esiste un allineamento, formato da un foro e da due pietre poste a guisa di mirino, indicante l’azimut del punto in cui il profilo SOLE EQUINOZIALE TRAMONTA A VALLETTA DI CAMPIGLIA di Capo Corso si innalza verticalmente (210°) oltrepassando la linea altimetrica dei 1000 metri7. La meridiana di Monte Capartendo dallo Scoglio Ferale, l’antico appropri8, nelle giornate di perfetta visibilità, oltre do di Varazze, alle cui spalle esistono notevoli che determinare la linea meridiana, mostra, valenze archeologiche preistoriche. all’interno del vano delimitato da due grandi Seguendo l’allineamento dell’ Argentera pietre parallele, l’isola Capraia! Si noti come la (274°) si raggiunge, partendo dallo Scoglio longitudine di Monte Capri sia di 09° 44’ Est e Ferale, l’antico approdo di Pietra Ligure, alle come la longitudine media dei rilievi dell’Isocui spalle esistono valenze archeologiche, la Capraia sia di 09° 49’ Est, con la differenza di messe in luce recentemente9. appena 5’ su una distanza di 105 miglia mariSeguendo gli azimut indicanti la Provenza, ne, corrispondente a km 195. Seguendo l’alvariabili da 250° a 255° (che paiono credibilineamento del Monviso (288°) si raggiunge, li proprio perché a seconda dell’effetto della rifrazione la visione della costa muta) si rag6) Si vedano le definizioni del Glossario dei Simgiungono i siti delle antiche colonie greche di boli, presenti alle pagine 322 e 323 del volume Massalia e Antibes e quindi, navigando verso di Marija Gimbutas – Il Linguaggio della Dea – occidente, la mitica Tartesso. Longanesi, Milano, 1990. Tutto ciò ha permesso di formulare l’ipo7) Trattasi del Monte Alticcione, di m 1 139. tesi che nella preistoria e nella protostoria si Si confronti la carta nautica dell’Istituto utilizzassero questi allineamenti per impostaIdrografico n. 2 150 “Da Cap Corse a Punta di re la navigazione di altura nel Mar Ligure. l’Acciolu – Golfo di Saint Florent” – scala 1: 50 300. Ciò appare confermato da quanto scrivo8) Si veda il Bollettino Osservatorio Astronomico no Strabone, Diodoro Siculo e Posidonio, a di Genova, N°.65 / 1994 – articolo dell’autore, a proposito della navigazione dei Liguri: titolo: “Meridiane preistoriche nelle Cinque TerStrabone (IV, 6, 3): “…contro i Liguri che re?” pagg. 23-27 – Si vedano le carte nautiche avevano sbarrato le strade che conducono in dell’Istituto Idrografico 432 “Dal Mar Balearico Iberia lungo la costa. Facevano infatti razzie al Mar Tirreno” (scala 1: 1000 000); 4 “Dal Gombo al Canale di Piombino e Isole d’Elba - Capraia Gorgona “ (scala 1: 100 000); 3 “Da Portofino al Gombo” (scala 1: 100 000).
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9) Odetti G. - Pietra Ligure e la Val Maremola dalla preistoria alla storia – Comune di Pietra Ligure, 1996.
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Lunigiana per terra e per mare ed erano tanto forti….” 10; Posidonio (fr. 118 Jacoby = Diodoro V 39, 1): “Essi sono coraggiosi e nobili non solo in guerra, ma anche in quelle circostante della vita non scevre di pericolo. Come mercanti solcano il mare di Sardegna e quello Libico, slanciandosi coraggiosamente in pericoli senza soccorso; giacché usano barche più semplici di quelle per combattere da vicino e con un numero scarsissimo di equipaggiamenti utili per la navigazione, sopportano le più paurose condizioni atmosferiche che l’inverno crea tremendamente”11 Questi allineamenti furono opera degli antichi Liguri, dei Focesi, dei Fenici, degli Etruschi, oppure si devono a più antiche tribù, capaci di navigare nel Mediterraneo ben prima del 5 000 a.C., per effettuarvi il commercio dell’ossidiana12, quando il livello del mare era 10) Fontes Ligurum, pag. 28 11) Fontes Ligurum, pag. 99 12) “Non destructive analytical method (SEM-
EDS) to discriminate obsidian archaeological artefacts” – Acquafredda ������������������������������������ P, Andriani T,. LorenzoniS. & Zanetin E. – Dipartimento Geomineralo-
Enrico Calzolari circa 110 metri inferiore all’attuale?13
Altura L’appartenenza di Luni e di Alalia alla giurisdizione della flotta romana di Capo Miseno induce a fare alcune considerazioni storiche sulla realtà dei collegamenti marittimi nell’Alto Tirreno. Forti venti da SE avrebbero facilitato la navigazione nella tratta Capo Miseno-Alalia (l’attuale Aleria in Corsica) mentre forti venti da SW avrebbero facilitato la navigazione nella tratta Alalia -Luni. In caso di mare calmo e di assenza di vento la navigazione sarebbe avvenuta lungo la cogico, Università di Bari, via E. Orabona, 70125, Bari 13) Combourieu-Nebut N., Paterne M., Turon J.L. & Siani G. – “A high-resolution record of the last deglaciation in the Central Mediterranean Sea: palaeovegetation and palaeohydrological evolution” – Elsevier Science, Quaternary Science Reviews, vol. 17, pagg. 303-317
LA COSTA DA ANZO IN DIREZIONE OVEST, VERSO PUNTA APICCHI AL DI LÀ SI TROVA DEIVA MARINA
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Lunigiana sta, utilizzando i remi e, se favorevoli, anche le brezze costiere. È opinione comune che la navigazione lungo la costa si svolgesse nelle ore diurne, con approdo nei sorgitori, cioè in quei siti riparati ove si potesse fare rifornimento di acqua sorgiva. È controverso invece se dover contare le giornate di navigazione dal punto di stacco al punto di nuovo approdo, perché per poter dare credito agli scrittori antichi di cose di navigazione sembra più verosimile dover considerare la giornata di navigazione dall’ultimo momento in cui si vedeva la terra che si abbandonava, al primo momento in cui si scorgeva la terra in cui si sarebbe fatta la sosta notturna (è chiaro che ciò dilata di molto l’unità di misura!). Per meglio comprendere questa tematica occorre considerare l’ampiezza dell’orizzonte marino che si poteva scorgere dalla coffa di una nave antica (si noti come l’etimologia prossima sia araba, da quffa = cesta, mentre l’antica sia greca, da kophinas = cesta). La formula nautica per il calcolo del cerchio di visibilità, espressa in miglia secondo l’algoritmo due che moltiplica la radice quadrata dell’elevazione dell’osservatore espressa in metri, considerata l’altezza di una coffa in circa dieci metri, porta a circa a sette miglia marine, il che è ben poco. Bisogna però introdurre l’elemento “altezza della costa” e nella nostra configurazione geografica la sky-line, cioè la linea di demarcazione della terra con il cielo, è ricchissima di picchi che si elevano oltre i duemila metri, con punte che si spingono nel Mar Ligure fino ai 3 841 metri del Monviso, definito da Isidoro da Siviglia proprio come “il monte che si vede da solo” (Vesulus mons, quia videtur a longe solus)14. Considerando quindi questa poderosa variabile si possono introdurre nella navigazione oggetti visibili da distanze che oltrepassano le cento miglia, cioè circa centottantacinque chilometri, il che fa pensare che si potesse effettuare nella protostoria navigazione di altura. Una tratta di tale navigazione potrebbe essere individuata nel percorso Luni-Provenza, come 14) Voce nel “Dizionario di Toponomastica”UTET, Torino, 1990
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Enrico Calzolari scrive Strabone15: “dalle alture che circondano il <Portus Lunae> si possono vedere entrambi i mari, ai due lati, e una grande porzione di costa”. Logico quindi che i marinai antichi tentassero di raggiungere detti punti notevoli dell’orizzonte, evitando di seguire l’arco ligure. La recente scoperta, sul crinale della Valletta di Campiglia, di megaliti che non paiono orientati verso asterismi (non riconducibili quindi all’archeoastronomia) ma che sono orientati per angoli che indicano punti della costa occidentale, fanno pensare ad un avvio di navigazione assistita e corretta dall’alto con segnali di specchi o segnali di fumo o di fuoco o con suono di corni?- verso una direzione precisa, anche quando la visibilità non permettesse di scorgere fin dall’inizio della navigazione il Monviso o l’Argentera o i vari promontori della costa. La grande pietra, con nove coppelle, nel Persico (in lingua osca persklum = altare sacrificale – cerimonia sacra)16 e la grande pietra con due coppelle a ridosso del crinale della Valletta di Campiglia, inducono a ritenere che quei marinai, prima di partire, celebrassero riti propiziatori. Ci troviamo quindi di fronte ad una organizzazione completa della thalassocrazia di cui narra Strabone (V, II, 5) di “uomini dominatori di tanto mare per così tanto tempo”?17 Sembra proprio di sì, specie dopo il ritrovamento di due scritte incise nelle rocce di Navone e del Persico, che, pur nella difficoltà di attribuzione, sembrano essere una di origine etrusca ed una di origine greca o messapica. Queste attribuzioni paiono spiegabili in senso temporale dal successo dei Greci di Gerone di Siracusa nella battaglia di Capo Licola, presso Cuma (474 a.C.). Con essa gli Etruschi persero il dominio del mare che porta il loro stesso nome, Tyrrenoi o Tyr15) Strabone – Geografia (V, 2, 5) 16) Ancillotti & Cerri – Le Tavole di Gubbio e la
Civiltà degli Umbri – Edizione Jama, Perugia, 1996 17) Strabon (V, 2, 5) – « tous les avantages qu’on attend d’une base navale utilisèe par des hommes ayant imposé leur thalassocratie sur une mer aussi vaste et pendant si longtemps » - pag.63 – Géographie – tome III – Livres V et VI – Editions Les Belles Lettres, Paris, 1967
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senoi, come narra Erodoto18. Resta comunque aperta una questione: furono per primi gli Etruschi a navigare in altura oppure ciò veniva fatto anche da popoli precedenti ? Emergono infatti nuove scoperte che inducono a ritenere che già nel IV millennio a.C. il Mediterraneo fosse percorso in lungo e in largo dai “popoli del mare”. Durante una conferenza tenuta nella Sicilia Occidentale ho saputo del ritrovamento, presso Sciacca, in una delle grotte vulcaniche del Monte Kronio, dette “Stufe di San Calogero”, di alcuni otri contenenti grano non coltivato, nato spontaneamente in Palestina, e datato al radiocarbonio nel V millennio a.C.. Ciò fa capire che prima ancora dell’agricoltura e prima ovviamente dell’allagamento della grotta da parte di acque vulcaniche, marinai provenienti dal Mediterraneo Orientale avessero fatto approdo nella costa siciliana, mettendovi al sicuro provviste19. Na-
vigazioni ulteriori verso le coste sarde sono documentate dal ritrovamento nel Santuario di Monte d’ Accodi (toponimo da agu - aguto, cioè la pietra della procreazione20) presso Porto Torres, di quello che potrebbe essere uno ziqquart mesopotamico a più piani, un unicum in tutto il Mediterraneo Occidentale ed i in Europa. Una prima cella sacrificale, dipinta in ocra rossa, risulta distrutta da un incendio e la successiva, ricostruitavi sopra, venne datata al radiocarbonio attorno al 2590 a.C.21 Ciò prova, inequivocabilmente, e con il massimo di credibilità scientifica, che nel millennio precedente avvennero comunicazioni stabili fra la Mesopotamia e la Sardegna. E ovviamente non furono i Sardi ad andare in Mesopotamia, bensì avvenne l’inverso, durante navigazioni mirate alla ricerca del rame e dello stagno. Ciò è provato dalle analisi biogenetiche sulle popolazioni italiche, condotte dal prof. Alberto
18) R.A. Staccioli – Gli Etruschi –mito e realtà –
Oriente (Palestina e Siria) e che ben presto i risultati abbiano raggiunto la Sicilia lasciando traccie proprio nelle stufe”. 20) Proposta inedita dell’autore, derivata dagli studi del Maruotti in “Italia sacra preistorica – la dimensione europea delle Tavole di Gubbio” ove vengono comparate le voci gaczum, catzum, lingam, spina, cona, coni, cucno ed i “reperti conici o fallici” (pag. 102) 21) Guide Archeologiche U.I.S.P.P. N° 2 – Sardegna – ABACO Edizioni, Forlì, 1996, pagg. 10-17
Fratelli Melita, La Spezia, 1987 – pagg. 21-29. 19) Si veda il sito www.sciacca.it/LaStoria/ archeologia.htm che attinge notizie dal libro “Sciacca Terme – Guida Turistica” di Salvatore Cantone. Si veda soprattutto il sito www.termeitaliane.com/sicilia/sciterfi.htm, ove si legge, a proposito della frequentazione delle grotte nel periodo Neolitico: “Questa grande rivoluzione nell’attività economica è ormai accertato che abbia avuto luogo nei paesi del vicino
DA RIOMAGGIORE SI VEDONO MESCO, PORTOFINO E SULLO SFONDO IL MONVISO
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Piazza, collaboratore di Luca Cavalli Sforza, professore emerito di Genetica presso l’Università di Princeton, secondo le quali gli abitanti della Sardegna hanno sangue simile alla popolazione del Libano22. Volendo peraltro ignorare una simile prova, il fatto che un solo zyqqurat sia nel Mediterraneo Occidentale e molti siano invece in Mesopotamia, farebbe giungere in via stocastica ad analoga conclusione. Gli stessi studi del prof. Piazza dimostrano affinità genetiche fra la Liguria e la Sicilia, che spiegherebbero il perché di alcune coincidenze toponomastiche, finora considerate “accostamento non valido”23: - Lerici in Liguria (ve ne sono due, uno è presso Levanto ) ed Erice in Sicilia; - Tèllaro (da Tèllus + ara, l’ara della Dea Terra, la Grande Madre, la Mater Magna dei latini) fiume e paese in Sicilia e località marittima in Liguria, pronunciata però Téllaro; - Segesta (da seges, le messi) in Sicilia e Segesta Tigulliorum, l’odierna Sestri Levante, citata da Plinio24 in Liguria; - Entella (da entelus = il fuoco sacro nelle Tavole di Gubbio) fiume in Liguria, ed Entello, monte a forma di verruca in Sicilia; - Levanzo, isola della Sicilia e Levanto, approdo costiero in Liguria, nonché Leivi-Levasco, località elevata presso Chiavari, che si ritiene sede della tribù ligure dei Leivi25. Peraltro ciò era già noto agli storici antichi (anche se finora questi venivano poco creduti e considerati degli inaffidabili scrittori di favole26). Ellanico di Mitilene scrive infatti nel V 22) Piazza Alberto - “L’eredità genetica dell’Italia antica” – Le Scienze n. 278/maggio 1991; Piazza Alberto et alii – “Genetics and the Origin of European Languages – PNAS 92:5836 – 40. Si veda la complessa produzione di libri ed articoli di Cavalli Sforza nel sito Internet www.balzan.it/ italiano/pb1999/cavalli/bibliografia.htm 23) Si veda la voce “Entella” nel Dizionario di Toponomastica UTET, pag. 259 24) (Historia, libr.3, 7) 25) Si veda la voce “Leivi” nel Dizionario Toponomastico UTET, pag. 349 26) Si veda in proposito l’articolo “Il segreto dell’oracolo? Un gas allucinogeno” di Alessan-
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secolo a.C. che “gli Elimi vennero tre generazioni prima della guerra di Troia dalla Liguria in Sicilia.”27. Navigatori i Liguri? Certamente, anche se non tutti concordano in ciò, o meglio, riconoscono tale capacità in fase piuttosto tarda. Non si può infatti negare quanto scrive Tito Livio per gli Ingauni: “Fu intimata la consegna degli equipaggi e dei piloti delle navi corsare, e tutti vennero imprigionati”28. Il decemviro C. Matieno a sua volta catturò 32 navi lungo le coste Liguri che esercitavano la pirateria29. Ne si può ignorare quanto scrive in proposito Strabone: “in effetti questi due popoli (Liguri e Celti) esercitano il brigantaggio in terra ed in mare e si mostrano così potenti che la rotta è appena praticabile da delle grandi armate”30. Non costituiva ciò una buona ragione per credere ad una navigazione effettuata in altura, lontano dalle coste Liguri, per evitare i loro arrembaggi? Come scrivono Posidonio e Diodoro Siculo31, i Liguri erano noti per il loro coraggio e salpavano su rudimentali zattere quando c’era burrasca, mentre tutti gli altri naviganti, con le loro navi, non potevano far altro che mettersi a ridosso. Potevano così raggiungere rapidamente la Sicilia e la Libia. L’etimologia ligure di barma = grotta32, si trova infatti nella nostra isola Palmaria, nell’isola di Palmaiola (Elba) e nell’isola Palmarola (in antico anch’essa Palmaria) delle isole Pontine. Prova questa che i Liguri viaggiavano per meridiano! Che i Liguri avessero colonizzato la Corsica dro Saragosa, su “Le Scienze”, n. 403/marzo 2002 27) Adragna V. – Erice – Coppola Editore, Trapani, 1986, pag. 9 28) Tito Livio – Storia di Roma, libri XXXIX-XL, a cura di C. Vitali, Zanichelli, Bologna, 1973, pagg. 225 29) Tito Livio – Storia di Roma, ibidem,pag. 227. 30) Strabone (Libro IV, 6, 3) – “Fontes Ligurum” pag. 28. 31) Vedi nota n. 11 32) Vedi lo studio riportato alla pagina 36 del libro “La Comunità di Fabiano” dell’autore; vedi la pagina 124 del libro “Book of Irish names” di P.W. Joyce.
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è fuori di dubbio. Lo dimostra il toponimo del fiume Asco, che è prettamente ligure e significa “pozzo sacro” (secco) ove venivano gettati i resti dei sacrifici olocausti e le relative ceneri (asa-h in sanscrito, ash in inglese, asche in tedesco)33 - Un ulteriore elemento si è recentemente aggiunto a dimostrare che la Liguria Orientale era toccata da antiche rotte. Tre ingegneri chiavaresi (Casaretto, Campagnoli, Baudà) hanno identificato in alcuni “medaglioni” trovati in tombe femminili e conservati presso il Museo Archeologico di Chiavari, degli strumenti per il calcolo della latitudine, provenienti da Ninive (37°) e successivamente costruiti per la latitudine di Chiavari (44°). Simili strumenti sono stati rinvenuti anche in Danimarca. L’analisi astronomica computerizzata ha consentito di datare il più antico di questi strumenti astrologici all’887 a.C. 34. Dalle “Fontes Ligurum” si attinge la narrazione della navigazione effettuata lungo le coste spagnola, francese e ligure, condotta in parte sotto-costa ed in parte in altura, così come descritta nel “Periplo dello Scylax” (pseudo-Scylax)35: “La navigazione lungo il territorio dei Liguri da Ampurias fino al Rodano dura due giorni e una notte. Dopo il fiume Rodano abitano i Liguri fino ad Antion. In questa regione vi è la citta greca di Marsiglia con il suo porto. Anche Tauroeuis e Olbia sono colonie di Marsiglia. La navigazione lungo questo territorio dal fiume Rodano fino ad Antion dura quattro giorni e quattro notti. Dalle Colonne d’Ercole fino ad Antion tutta la regione è dotata di buoni porti. Dopo Antion abita la gente dei Tirreni fino alla città di Roma”.36 Antion è il nome antico di Framura. 33) Vedi la voce di Glossario “Marinasco” in “La Comunità di Fabiano-segni, riti e miti di Indoeuropei, Celti e Ariani sulle alture del Golfo della Spezia- Lunaeditore, La Spezia, 1994. 34) Si veda l’articolo di Ada Lorini nel giornale “Il Secolo XIX” del 28.03.2001. 35) « Fontes Ligurum » - Scylax Cariand. (pseudo) – pagg. 85 - 86 36) Trattasi di Anzio o Anzo di Framura e non di Anzio di Roma, entrambi toponimi di origine etrusca da antion = confine. Il passo deve leggersi come indicazione che la gente dei Tirreni viveva nel litorale fra i due Anzio, di Framura a nord, e di Roma a sud.
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Il sito è ricco d’acqua, quindi buon “sorgitore” (approdo). La navigazione giornaliera risulta essere stata di 60 miglia, con pernottamento a terra ogni notte. Utilizzando la carta nautica 432 dell’Istituto Idrografico della Marina è possibile controllare la lunghezza delle seguenti tratte di navigazione: 1) da Cabo Creus a Cabo Agde 2) da Cabo Agde alle foci del Rodano 3) dalle foci del Rodano a Cap d’Armes 4) da Cap d’Armes a Nizza 5) da Nizza a Capo Noli 6) da Capo Noli a Punta Mesco (Anzo di Framura). Dall’approdo di Noli la navigazione doveva avvenire in <altura> utilizzando come dromone37 le Alpi Apuane. In tal caso tutto il racconto dello pseudo-Scylax, finora considerato incredibile dagli storici - sia perché alcuni consideravano Anzio di Roma e non Anzio di Framura, sia perché molti ignoravano la possibilità di navigare in altura - diviene chiaro e sperimentabile da chi ancora oggi voglia dedicarsi alla navigazione a vela lungo gli antichi itinerari dei marinai greci. Bibliografia • Acquafredda P. et alii – “Non destructive analytical method (SEM-EDS) to discriminate obsidian archaeological artefacts” – memoria del Dipartimento Geomineralogico dell’Università di Bari, Via E. Orabona – 70125 Bari • Adragna V. – ERICE – Coppola Editore, Trapani, 1986 • Ancillotti A.& Cerri R. – LE TAVOLE DI GUBBIO E LA CIVILTA’ DEGLI UMBRI - Edizioni Jama, Perugia, 1996
•
AA.VV. – BOLLETTINO OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI GENOVA – N° 65 - giugno 1994, pagg. 23-27 - articolo di E. Calzolari a titolo: “Meridiane preistoriche nelle Cinque Terre?”. • AA.VV - DIZIONARIO DI TOPONOMASTICA, i nomi geografici italiani – UTET, Torino, 1990 • AA.VV. - FONTES LIGURUM ET LIGURIAE ANTIQUAE – Società Ligure di Storia Patria, 37) Termine di derivazione greca, da drymos,
quercia, indicante un palo di legno che serve da segnale. Si veda nel “Vocabolario Etimologico” di Ottorino Pianigiani la voce “dromo”
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Genova, 1976 • AA.VV. – GUIDE ARCHEOLOGICHE U.I.S.P.P. – n° 2 – SARDEGNA – ABACO Edizioni, Forlì, 1996 • AA.VV. – MAGICHE CINQUE TERRE – Luna Editore, La Spezia, 1999 • Aziz P. – LA CIVILTA’ ETRUSCA – Fratelli Melita, La Spezia, 1990 • Calzolari E. – LA COMUNITA’ DI FABIANO – segni, riti e miti di Indoeuropei, Celti e
• Ariani sulle alture del Golfo della Spezia – Luna Editore, La Spezia, 1994 • Calzolari E. – LERICI E IL MARE – Storie di marinai, di pirati, di armatori e di Naviganti - Luna Editore, La Spezia, 1999 • Coghlan R. & Grehan I. & Joyce P.W.– BOOK OF IRISH NAMES – The Appletree Press Ltd., Belfast, 1990 • Combourieu-Nebut N. et alii – « A high-resolutiun record of the last deglaciation in the Central Mediterannean Sea: palaeovegetation and palaeohydrological evolution – Elsevier Science, Quaternary Sciences Review, vol. 17, pagg. 303317 • De Nevi P. & Senesi S. – LA SPEZIA IL MARE E IL GOLFO DELLA LUNA – Luna Editore, 1997 • Gimbutas M. – IL LINGUAGGIO DELLA DEA, mito e culto della Dea Madre nell’Europa Neolitica - Longanesi, Milano, 1990 • Istituto Idrografico della Marina – Genova: 1. Carta Nautica 3 - DA PORTOFINO AL GOMBO -1: 100 000 2. Carta Nautica 4 - DAL GOMBO AL CANALE
Enrico Calzolari Enrico Calzolari, nato a Lerici nel 1938, si è diplomato presso l’Istituto Nautico della Spezia, sezione Capitani, e si è laureato in Economia e Commercio presso l’Università di Pisa. Si è formato sul mare, sia come ufficiale della Marina Mercantile, sia come ufficiale di complemento della Marina Militare. Tra le numerose attività ha contribuito a fondare l’Associazione Ligure Sviluppo Studi Archeoastronomici (A.L.S.S.A.), di cui è segretario, e l’Associazione di Archeologia Vibrazionale (Sarzana). Effettua ricerche sul megalitismo, sulle incisioni rupestri attinenti alla paleoastrono-
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DI PIOMBINO E ISOLE D’ELBA - CAPRAIA GORGONA - 1. 100 000 3. Carta Nautica 115 – GOLFO DI LA SPEZIA 1: 25 000 4. Carta Nautica 432 – DAL MAR BALEARICO AL MAR TIRRENO - 1: 1 000 000 5. Carta Nautica 2150 - DA CAP CORSE A PUNTA DI L’ACCIUOLO - GOLFO DI SAINT FLORENT - 1: 50 300 • Odetti G. – PIETRA LIGURE E LA VAL MAREMOLA DALLA PRESITORIA ALLA STORIA – Comune di Pietra Ligure, 1996
• Osservatorio Astronomico di Genova – Bollettino n. 65 del giugno 1994 – articolo di Calzolari E. – “Meridiane preistoriche nelle Cinque Terre? “ - pag. 23-27 Genova, Università Popolare Sestrese, Piazzetta dell’Università. • Pianigiani O. – VOCABOLARIO ETIMOLOGICO – Fratelli Melita Editori, La Spezia, 1990 • Ptolemaei Claudii – COSMOGRAPHIA – TABULAE – Grafica Gutenberg, Gorle, 1975 • Saragosa A. – articolo “Il segreto dell’oracolo? Un gas allucinogeno” su “Le Scienze” n. 403 del marzo 2002 • Staccioli R.A. – GLI ETRUSCHI, mito e realtà – Fratelli Melita, La Spezia, 1987 • Strabon – GÉOGRAPHIE – Tome III, Livres V et VI, Editions Les Belles Lettres, Paris, 1967 • Tito Livio – STORIA DI ROMA – LIBRI XXXIXXL - a cura di C. Vitali – Zanichelli, Bologna, 1973
mia e alla cosmogonia, con particolare riguardo a Lunigiana, Corsica e Sardegna. Fra i numerosi suoi libri, documentati nell’ampia bibliografia all’interno, segnaliamo Lunigiana terra di Templari, pubblicato da Marna nel gennaio 2006. Il suo sito web è www.paleoastronomia.com
Lunigiana Terra di Templari Marna Editore, 2006 vai scheda libro >> Runa Bianca
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di Hoseki Vannini Sondando lâ&#x20AC;&#x2122;ignoto
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La magia del desiderio
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gni uomo vive la sua esistenza sotto la spinta di una forza interiore che gli consente di organizzare la sua personalità e la sua azione nel mondo che abita. Questa forza ha un solo nome: desiderio. Appena viene al mondo, l’uomo agisce sotto l’impulso di desideri inconsci, istintivi che sono qualificati come bisogni primari. Un bambino, infatti, si “muove” nell’ambiente che lo ha accolto esprimendo i suoi desideri di essere nutrito, protetto ed amato. Egli si riconosce come esistente quando la sua mamma, o chi per lei, si prende cura di lui. Non essendo questo piccolo essere capace di badare a sé stesso rivela la sua presenza con gesti naturali come il pianto, un sonno sereno o un silenzio tranquillo. Il suo volto ancora incapace di “disegnare” espressioni comprensibili, si limita a produrre delle “smorfie”. Con il passare del tempo, queste “smorfie” diventano sempre più variate e sono l’anteprima del linguaggio verbale; difatti vengono nominate come linguaggio del corpo, un linguaggio che non sarà, però, mai più abbandonato neanche quando la capacità di comunicazione del bimbo, e poi dell’uomo fatto, si sarà perfezionata consentendogli di articolare i suoi iniziali gridolini di piacere o sofferenza in parole che traducono pensieri complessi e completi. Dunque, l’uomo nasce già con una sua tendenza a manifestarsi attraverso richieste più o meno esplicite dettate da desideri prima inconsapevoli, e poi, via via, sempre più urgenti e coscienti. Questa sua attitudine a desiderare consente all’uomo di costruire una sua “mappatura“ caratteriale contraddistinta proprio dal tono, dalla qualità dei suoi desideri. Più
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Hoseki Vannini un bambino sarà incoraggiato ad esternare, senza timore, i suoi desideri, più si rafforzerà in lui la sua auto-conoscenza, il suo “percepirsi“ come essere senziente e capace di autodeterminarsi, cosicché, a maggior ragione, sarà in grado di trovare una sua collocazione all’interno del nucleo sociale e familiare in cui dovrà agire. Malauguratamente, la società, il contesto culturale e civile, ha da tempo preordinato una serie di desideri, distinguendoli in leciti o illeciti, utili o dannosi, per stabilire un suo ordine economico e politico, per la sua sicurezza e per i suoi fini esistenziali: perciò, in virtù di un’educazione decisa sulla base di esigenze non riconducibili all’individuo, ma al gruppo che lo ospita, chi viene al mondo ha, da subito, delle regole non sue da seguire, pena l’emarginazione. Insomma, sono state preconfezionate, ab immemorabili, delle categorie di giudizio del desiderio che stimolano o impediscono una condotta anziché un’altra. In questo ambiente, parlare di libertà, qualche volta, è addirittura ridicolo. Invece, l’uomo è stato creato per onorare la sua unicità che, solo nella libertà, si può concretizzare. Ma come sentirsi liberi se ogni nostra pulsione, ogni nostro pensiero, deve passare al vaglio di Autorità, prima genitoriali, familiari e poi religiose o istituzionali? A chi dare credito? ai nostri desideri, alle nostre esigenze o alle imposizioni, che ci vengono da Altri che hanno una posizione di comando accreditata in vario modo? Come salvaguardare i nostri bisogni spirituali ed umani senza entrare in rotta di collisione con il Sistema in cui operiamo? Sembra, questo, un quesito senza risposte certe ed invece, grazie a qualche accorgimento, forse possia-
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La magia del desiderio mo tutelare la nostra vita senza interferire brutalmente con quanto ci circonda. Alla luce delle recenti scoperte di una scienza più libera dagli imperativi politici, che dimostra in cosa consiste realmente l’essenza dell’uomo, siamo in grado di insegnare alle nuove generazioni ciò che i nostri Antenati ignoravano o fingevano di ignorare. Partendo dalle nuove affermazioni sulla potenza creatrice della realtà propria del nostro pensiero, asserite dalla Fisica quantistica e dalla Psicologia spirituale, ed ampiamente sperimentate, siamo in condizione di dare una svolta alla nostra quotidianità e di assicurarci un’esistenza confacente alle nostre necessità. Non è il caso, in questa sede, di dilungarsi sulla metodologia e le tecniche di indagine seguite da queste due branche dell’umana sapienza, però, è bene ancorare il nostro discorso a questi filoni di ricerca che tanto hanno contribuito, e ancor più lo faranno in seguito, a smantellare paradigmi di credenze da sempre accreditate come verità. Verità date per certe, in passato, e che hanno costretto intere generazioni a controllare o eliminare, nel loro percorso esistenziale, quella forza propulsiva donataci per agire liberamente nel mondo e favorire così la nostra evoluzione umana e spirituale e, di conseguenza, dell’intero Uni-
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Hoseki Vannini verso. Ebbene, questa forza altro non è che l’accettazione e la manifestazione dei nostri desideri, desideri che prendono vita nei nostri pensieri e che, se sostenuti dalle nostre emozioni e dalla fiducia nella loro realizzazione, possono fare di Noi dei creatori infallibili di una esistenza felice e consona alle nostre prerogative. La prima cosa, pertanto, da fare, è smettere di credere a quanto ci viene raccontato o dimostrato: bisogna smettere di affidare ad Altri la nostra vita e bisogna altresì ignorare le regole ed i dettami del luogo in cui viviamo. Non è detto che un comportamento apprezzato in un posto vada bene in un altro, anzi, spesso, è il contrario. Quindi, via dal nostro bagaglio culturale le idee religiose, filosofiche, politiche o morali che Altri ritengono giuste, via il senso di colpa che ci intrappola quando cerchiamo di sfuggire a certi insegnamenti, via il concetto che siamo il frutto dell’altrui esperienza, via le convinzioni che ne discendono! Ed intanto, contemporaneamente, innamoriamoci dei nostri desideri e, grazie alla potenza del nostro pensiero, impegniamoci per tradurli in felice realtà. Questo processo creativo, questa manifestazione della nostra qualità di unici Creatori della nostra vita, deve diventa-
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La magia del desiderio re un’abitudine di vita, deve diventare la celebrazione del desiderio tout court. Riconoscere il ruolo del desiderio, il suo importante compito, ci distoglie dal giudicare i nostri pensieri secondo categorie mentali non nostre, ci permette di sviare i concetti di bene e male dalla qualificazione di un’azione per concentrarci solo sull’armonia di questa con il nostro desiderio senza limite alcuno se non la tutela dell’altrui libertà. In fin dei conti, Noi di tutto possiamo e dobbiamo avere la consapevolezza, di tutto possiamo avere il controllo meno che del “perché” un desiderio anziché un altro sorge nel nostro animo. Quello che deve interessare agli uomini non è come e perché in Noi si è svelato quel desiderio - questo non è affar nostro - agli uomini tocca, al momento, semplicemente amare e realizzare quel desiderio. Desiderare, in ultima analisi, significa amare la vita, onorare la sua continua evoluzione che proprio i desideri, che nascono in Noi, favoriscono! Desiderare, e desiderare ancora, dà la possibilità, ogni giorno, di rinnovare la nostra esistenza e finalmente rinascere, di continuo, a nuova vita. Desiderare, in ultima analisi, altro non è che la misura della nostra libertà. Più siamo in grado di desiderare felicemente ciò che ci dà la spinta, ogni mattino, di rimetterci in marcia verso la nostra piena e felice realizzazione di esseri dotati di capacità creative illimitate, più
Hoseki Vannini Viene al mondo come Maria F. e diventa dopo un lungo, e spesso sofferto, percorso esistenziale Hoseki. Diplomata al liceo Classico, studia giurisprudenza senza convinzione o meglio con la certezza di aver scelto una facoltà non adatta a lei. Nel frattempo, si imbatte nei mille interrogativi sul significato della esperienza umana e inizia un cammino di personale ricerca spirituale, condotto in assoluta e dolente solitudine. Dall’età di quindici anni si dibatte fra i dubbi della sua ragione e le tesi del suo cuore. La sua ricerca non è conclusa, ma ha attraversato, con entu-
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Hoseki Vannini diamo vigore alla nostra natura spirituale, o meglio divina, e più comprendiamo la profonda connessione di anima e corpo, il nostro essere una precisa miscela di spirito e materia, una “macchina” perfetta che riproduce e rivitalizza il pensiero di Dio, dell’Universo, dell’Energia creatrice, o come dir si voglia. Lo spirito vitale, in effetti, si esprime unicamente attraverso la capacità di desiderare che è semplicemente il motore della vita … Tutti desiderano, Tutti devono desiderare, essenziale è che lo facciano con la coscienza che quella nostra attitudine è necessaria non solo alla nostra crescita, ma alla crescita di ciò che ci sta intorno! Alla fine, ciò che conta per sentirsi vivi ed in sintonia con la danza creatrice della natura è sentire la potenza dell’atto di desiderare, è desiderare essendo consci che stiamo operando un cambiamento positivo in noi e nel mondo. La magia del desiderio è la magia della creazione, è l’input emozionale del pensiero, il carburante della materializzazione di un’idea, è la manifestazione della Divinità che, solo adesso, stiamo scoprendo essere la nostra precipua caratteristica. Il desiderio, pertanto, va vissuto come un bene prezioso che stimola la nostra immaginazione, quella prerogativa che è la vita intrauterina del pensiero e quindi della realtà in cui si deve concretizzare l’idea di essere vivi, la “bacchetta” magica che crea quella che è la storia infinita dell’essere umano. siasmo e sofferenza in egual misura, ogni teoria capace, a suo avviso, di fornire risposte adeguate alle domande che le premevano dentro. Nel tempo ha pubblicato, con rispetto e umiltà, articoli della sua crescita interiore e che ora ha cercato di riassumere in parte nell’eBook Anima gemella: illusione o realtà.
Anima gemella: illusione o realtà eBook, 2011 vai scheda libro >> Runa Bianca
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di Tullia Parvhati Turazzi Lâ&#x20AC;&#x2122;alba di una nuova vita
Il divano di Sri Maharishi tempo di lettura 5 minuti
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Il divano di Sri Maharishi
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vevo sempre sentito parlare del mal d’Africa, da amici che vi erano andati per una vacanza e non erano più riusciti a staccarsi da quei luoghi difficili ma bellissimi, ma mai del mal d’India. L’India è uno strano paese, il primo impatto è sempre tragico, uno si chiede: “Ma cosa ci faccio qui?“. Il pensiero di rifare subito la valigia e scappare si fa improvvisamente impellente... ma una strana magia ti incatena a questi luoghi, cosi incantevoli e cosi difficili nello stesso tempo. Avevo progettato con alcune mie amiche di fare un piccolo viaggio da Puttaparthi ad Arunachala, la Sacra Montagna dedicata al Dio Shiva e meta di pellegrinaggio di molti ricercatori spirituali, famosa anche per Rahamana Mahrishi, vissuto fino al suo Mahasamadhi in quel luogo. Quel giorno al darshan di Swami, così chiamiamo noi devoti il nostro Maestro Sri Sathya Sai Baba, aspettavo impaziente che Lui arrivasse e ci donasse quella infinita benedizione che rappresentava la Sua Amorevole Presenza tra di noi. Il tempio di Prashanti Nilayam, a Puttaparthi, era come sempre strapieno di devoti, giunti da ogni parte dell’India e del mondo. Attesi a lungo, volevo un segno da Swami, una benedizione per questo progetto di viag-
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Tullia Parvhati Turazzi gio ad Arunachala; la musica inizio’ e la folla di devoti seduti ordinatamente in varie file si mosse, come onde di un unico oceano e un unico cuore. Baba entrò con quel suo incedere tanto caro ai nostri cuori, leggero e deciso allo stesso tempo. I Suoi Sacri Piedini calpestavano dolcemente il lungo tappeto rosso, steso per Lui. Sentii il cuore accellerare i battiti, talmente tanto che pensai di svenire da un momento all’ altro, l’energia era fortissima quasi palpabile fisicamente, magnifica e indescrivibile per chi non l’ha potuta conoscere. Formulai un pensiero preciso e chiesi il solito segno che solo io e il Maestro conoscevamo, un nostro linguaggio, avrei capito se il viaggio sarebbe stato fruttuoso o meno. Swami si voltò verso di me con quel sorriso unico e divino che costringe dolcemente tutta la tua anima a sorridere insieme a Lui, fece un lieve segno con la testa quasi impercettibile… un Sì. L’energia intensa e sacra come sempre mi sollevò dalla mia umana natura per portarmi come in volo verso altre dimensioni e stati dell’Essere. La prima cosa che vidi fu un luogo dorato, fatto di cupole oro e cristallo. Dolci suoni indescrivibili riempivano l’aria, ero fuori da me stessa, un altro viaggio! Una
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Il divano di Sri Maharishi intensa ma delicata beatitudine riempiva ora tutto il mio essere, una gioia non umana, una comprensione profonda. Godei di quegli interminabili istanti di estasi pura, di luce e di coscienza di essere. Le cose che vidi sono indescrivibili, senza termini di paragone, ma era la gioia divina che dominava tutto ad essere indescrivibile, nulla che assomigliasse alla normale felicità dell’ ego... tutta un’altra cosa. Il darshan finì e mi ritrovai di nuovo sulla terra, non senza un lieve disappunto… fosse stato per me, non sarei mai più ritornata agli affanni e all’ illusione che ci tedia ogni giorno su questo piccolo pianeta azzurro, che fin dall’ infanzia ho considerato uno strano posto. Il viaggio si svolse in allegria e entusiasmo, arrivai con il mio gruppo ad Arunachala, piena di aspettative. Devo dire che ne fui delusa, il tempio era molto bello ma ci fecero entrare nella sala ove il Maestro Maharishi dava i suoi darshan ai devoti, mi misi proprio di fronte al suo divano, ora vuoto, almeno in apparenza. Chiusi gli occhi e mi misi nella posizione del loto. All’ inizio non sentii molto, ma improvvisamente fui avvolta da una delicata energia, molto piacevole, diversa da Puttaparthi ma comunque sacra e pura. Sentii la mia kundalini risalire dolcemente attraverso la spina dorsale, una sensazione ormai familiare, mi trovai immer-
sa in una grande luce, nessun suono, nessun luogo, solo silenzio e beatitudine infinita. Un rumore improvviso, forse una borsa caduta dalla spalla di qualche pellegrino. Mi riportò bruscamente, troppo bruscamente a terra, provai una sensazione di disagio e malessere, mi feci forza e inspirai lentamente ed espirai. Aspettando che il capogiro si calmasse, e così fu. Voltai gli occhi ancora semichiusi che stentavano a riabituarsi a quella sala illuminata e vidi per una frazione di secondo, solo una frazione, il corpo disteso del Maestro Maharishi, il suo viso luminosissimo che mi guardava e sorrideva... sorrideva. Fu tutto brevissimo ma meraviglioso, avevo ricevuto il suo bellissimo darshan astrale. Tornai a Puttaparthi felice e commossa per ciò che mi era accaduto, non ne feci parola con nessuno quel giorno. Mi sedetti come sempre ad aspettare il Mio Amatissimo Swami, il Nostro Amatissimo, quando passò di fronte a me, seppur seduta in 5 fila e non molto vicina, percepii un sorriso d’ intesa sul suo Volto, ma forse fu solo un’impressione. Una piccola perla cadde sul mio grembo... dal nulla... guardai in alto e sorrisi. La perla la conservo ancora con amore e reverenza insieme alle altre ricevute così… cadute dal cielo. Sorrisi e sto ancora sorridendo.
Tullia Parvathi Turazzi
dove li vede e tocca normalmente come in 3 dimensioni, un dono di BABA, uno dei molti che ha ricevuto da LUI. Vive attualmente in India, ma viaggia tra i vari stati indiani. Vive a Puttaparthi dove ebbe la fortuna a 43 anni di avere la grande benedizione di conoscere ed incontrare l’Avatar di questo kali yuga SRI SRI SATHYA SAI BABA che le mostrò “se stessa a se stessa”, e gli rivelò che Dio vive in noi e non fuori di noi. Ha vissuto continuamente ai suoi piedi di loto dal 1998 fino al Suo Mahasamadi. Un’esperienza che da sola merita un libro, che sta scrivendo. Prosegue il percorso seguendo i suoi insegnamenti “AMA TUTTI E SERVI TUTTI”. Il suo percorso umano e spirituale continua, in astrale con la Sua vicinanza continua perchè non c’e limite alla bellezza e alla meraviglia della Rivelazione.
Nata a Monza (MI) il 10 agosto 1955. Caduta dal cielo insieme a migliaia di stelle cadenti nella notte di San Lorenzo. Ha frequentato il liceo Artistico di Brera diplomata in grafica pubblicitaria, studi di psicologia e danza moderna, studiosa di religioni antiche, antiche filosofie, simbolismo, esoterismo, ricercatrice, conoscitrice di molti mezzi di divinazione dai tarocchi agli I Ching, astrologia, sensitiva fin da piccolissima, in contatto con altre dimensioni o loka. Pratica meditazione e yoga tantra kundalini da 13 anni, pratica il reiki e l’healing, è canalizzatrice di Baba e di altri maestri ascesi ma più che canale ha con loro contatti astrali
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di Cristian Martinis Tra inganno ed evoluzione: imparare a vedere
Le scie chimiche
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Cristian Martinis
Le scie chimiche
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a qualche anno a questa parte chi scruta il cielo con occhi sufficientemente aperti si trova di fronte ad uno scenario affatto inconsueto, ovvero la vistosa presenza di lunghe scie biancastre (a volte anche più scure) parallele o perpendicolari tra loro, persistenti a lungo per poi dissolversi lentamente in una foschia biancastra che finisce per opacizzare il cielo riducendo la quantità di luce solare nelle zone in cui il fenomeno è presente1. Tali scie vengono rilasciate da uno o più velivoli in contemporanea; un osservatore sufficientemente attento potrà notare la quota estremamente bassa del loro transito come è dimostrato dal rombo dei loro motori udibile da terra e dal loro passaggio a livello delle nuvole basse di tipo cumuliforme (presenti, queste, non oltre i tremila metri d’altezza). Nel cercare di tracciare un identikit di questi misteriosi velivoli bianchi e senza identificativi visibili (le targhe degli aerei) possiamo procedere per esclusione: gli aerei di linea 1) Dal sito Tanker Enemy di Rosario Marcianò: http://www.tankerenemy.com/2011/04/ilfurto-della-luce-solare-articolo-di.html (fonte: http://scieneicieli.wordpress.com/).
per il trasporto passeggeri e commerciali, se non nei pressi di aeroporti in fase di decollo o atterraggio, transitano ad altezze non visibili ad occhio nudo. Esclusi anche i bimotori, facilmente riconoscibili per le ridotte dimensioni e transitanti a bassissima quota, non rimangono che i velivoli militari o legati, comunque, a progetti di tale genere. Di fronte alla comparsa di queste strie nel cielo, una larga parte delle persone che scruta questo spettacolo inusuale è portata, almeno inizialmente, a giustificarlo come il naturale prodotto della condensa proveniente dai gas di scarico di normali velivoli in transito (circostanza confutata più su), senza sospettare alcunché di anomalo. D’altro parere sono i sostenitori (come il sottoscritto) della patente anomalia di tutto ciò e dell’ esistenza del fenomeno scie chimiche (nome mutuato dall’ inglese chemtrails, contrazione di chemical trails), fenomeno esistente su larga scala e documentato dal 1996,prima in territorio canadese e poi, gradualmente, in tutto il mondo (dal 2003 anche nel nostro paese, proprio in coincidenza con la stipula di un accordo sulla modificazione del clima stipulato dal nostro governo e quel-
IRRORAZIONE DEI CIELI DA PARTE DI VELIVOLI IN FORMAZIONE
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lo degli USA2). Riguardo alla reale composizione di queTornando alla naturalezza o meno del feste scie chimiche, diverse analisi indipendennomeno, i più strenui detrattori dell’ esistenza ti4 (la scienza ufficiale non sembra, volendo delle chemtrails, al pari degli scettici più posusare dei termini piuttosto eufemistici, tropsibilisti, sono sempre solerti nel sostenere che po impegnata e ricettiva alle sollecitazioni tali scie siano costituite da semplice condennel far luce su ciò) effettuate presso laborasa proveniente dai motori dei velivoli. Tale tesi, però, viene contraddetta in primis dai testi di aereonautica i quali, con l’avallo delle leggi della fisica, riportano che la condensa si forma solo a precise condizione di altitudine (oltre gli 8000 metri), di temperatura ed umidità dell’ aria (40 gradi sotto lo zero e 70% circa), impossibili rispetto alle basse quote di questi aerei che volano, come già detto, ad altezza dei cumuli. In aggiunta a ciò, la semplice condensa non può formare delle scie di tipo persistente che restano integre per parecchio tempo (da diversi minuti a oltre un’ ora) prima di dissolversi e tramutarsi in una foschia lattiginosa. Inoltre, è stato osservato, con l’ ausilio di strumenti di ingrandimento ottico quali zoom e fortuite riprese ravvicinate durante i voli di irrorazione compiuti da questi tankers (termine che inglese POLIMERI DI RICADUTA indica un’aereocisterna), che il getto all’ origine di queste scie non è prodotto dai motori dei velivoli ma da particolari ugelli potori privati hanno riscontrato la presenza di sti sulle ali del velivolo (o ai lati della carlinga) bario, alluminio, manganese, silicio, polimeri e collegati con l’interno, per poi propagarsi di ricaduta (fibre macromolecolari filamentoin aria sfruttando, solo in seguito, la corrente se artificiali, ritenute causa tra le più probabili 3 prodotta dai gas in uscita . del misterioso morbo di Morgellons5 di cui si sono occupati, nel disinteresse quasi totale 2) “Piano di cooperazione Italia- USA su scienza della medicina ufficiale, i ricercatori americae tecnologia dei cambiamenti climatici”: http:// ni Clifford Carnicom e Hildegarde Staninger) www.scribd.com/doc/9381320/ e persino batteri, tutte sostanze estremamen3) Brevetti di apparati per l’ irrorazione con velivoli: http://www.tanker-enemy.com/Dati_2. htm Documenti ufficiali e brevetti: http://www. scribd.com/doc/36458516/ Brevetti di apparati per l’ irrorazione: http://www.lightwatcher.com/chemtrails/ patents.html http://isaacgarza.wordpress.com/2010/12/29/ chemtrailsareosols-geoengineering-proof-list/ http://www.google.com/patents?id=dLeSAAA AEBAJ&zoom=4&pg=PA1#v=onepage http://www.seektress.com/patlist.htm http://www.tanker-enemy.tv/brevetti.htm
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4) http://labvirus.wordpress.com/2010/06/23/ clifford-carnicom-morgellons-the-extent-ofthe-problem/; http://www.scribd.com/doc/16585609/ 5) Dal sito Tanker Enemy di Rosario Marcianòanalisi di laboratorio al suolo ed in aria: http://www.scribd.com/doc/60967135/ http://www.scribd.com/doc/61056987/ http://www.scribd.com/doc/60966603/ http://www.scribd.com/doc/60966879/ http://www.tankerenemy.com/2011/07/nubidi-metallo.html http://www.scribd.com/doc/17278036/
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te tossiche se inalate e dannose, se presenti in eccesso, per l’equilibrio dell’ecosistema. Una delle obiezioni possibili all’esistenza ed alle recondite implicazioni di questo fenomeno oramai mondiale verte sul perché dei militari accetterebbero l’ordine di avvelenare l’aria che essi stessi e i loro simili respirano ma è nella natura dei soldati obbedire ai loro superiori o credere agli inganni di quest’ultimi sui reali scopi di determinate missioni; a riprova di ciò vi sono gli esperimenti militari con radiazioni ed armi batteriologiche condotti in passato sulla popolazione ignara in America ed Inghilterra, a posteriori ammessi dai loro governi6. Perché accade tutto questo? Sulle motivazioni le ipotesi non mancano: la dispersione di sostanze conduttive in progetti militari per un aumento della propagazione delle onde radar nel controllo dello scenario globale; la geoingegneria o scienza di modificazione del clima del pianeta (i governi di Cina e Russia hanno ammesso ufficialmente di averne fatto uso7 ), piegata anche a scopi precipuamente bellici di concerto con la tecnologia HAARP8 di interazione ionosferica tramite onde ELF (dall’ inglese extremely low waves, onde a bassa frequenza - tra i 3 ed i 30 Hz); l’inaridimento mirato dei terreni volto a far attecchire esclusivamente le sementi OGM brevettate da grosse multinazionali come la Monsanto e resistenti proprio a queste sostanze chimiche; 6) Dal sito Scienzamarcia - “Dossier sulle scie chimiche”, appendice 1: http://scienzamarcia. altervista.org/app1.html 7) Dal sito ComeDonChisciotte – “Geongegneria Atmosferica, Modificazioni Climatiche, Scie Chimiche”: http://www.comedonchisciotte. net/modules.php?name=News&file=article&s id=1785 8) Dal sito Luogocomune di Massimo Mazzucco: http://www.luogocomune.net/site/modules/ sections/index.php?op=viewarticle&artid=13
Cristian Martinis Nato a Pordenone nel 1973. Si è laureato in Lingue e lavora come insegnante e traduttore. Appassionato di letteratura,
l’ opacizzazione del cielo volta alla riduzione del passaggio della luce solare nella lotta al presunto riscaldamento globale di natura antropica (tesi, questa, che vacilla ogni giorno di più, con buona pace di Al gore che, a suo tempo, ne fu il più fervente promotore). La più incontrovertibile di queste possibili spiegazioni è proprio la modificazione climatica a scopo geoingneristico, in ragione – come già detto delle ammissioni ufficiali da parte degli stessi governi delle nazioni in cui è stata utilizzata; questo, però, non deve sottrarre spazio ad un’ attenta disamina delle altre ipotesi, non così remote dal momento che vi sono implicati, come pare, organigrammi militari. Tutto ciò ci conduce ad una una riflessione: i sinistri mandanti di queste irrorazioni clandestine, al di sopra di confini geografici e leggi internazionali, si arrogano il diritto di spargere delle sostanze chimiche venefiche tramite velivoli privi di identificativi in tutto il mondo senza degnarsi di fornire alcuna spiegazione a riguardo; tutto questo assume, a mio avviso, i contorni di un’invasione patente della nostra libertà (oltre che della nostra salute), contro la quale la prima forma di ribellione non può che essere il contributo di un numero sempre maggiore di volontari del bene tesi al disvelamento ed alla divulgazione di tale crimine silenzioso fino a ad esporlo completamente alla luce del sole insieme ai suoi artefici. Concludo con una considerazione ulteriore: le scie chimiche, come altri inganni ‘luciferini’, rappresentano un brusco richiamo per tutti noi a scuoterci dall’ inerte schematismo consuetudinario dell’ ovvio ed a guardare oltre la maya, opportunità disponibile per evolvere nel percorso di comprensione della nostra natura di esseri perfettibili, capaci di cooperare in senso altruistico e sensibili all’ amore in ogni sua declinazione. teatro e filosofia, da alcuni anni si occupa della divulgazione di diverse tematiche dedotte da campi quali la scienza, le medicine alternative, la storia delle religioni ed l’esoterismo, utilizzando il web e, più di recente, anche il medium radiofonico.
di Giorgio g Pattera Reticoli bianchi che oscurano il sole
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l Comitato Scientifico dell’Associazione l’interesse e la cura dimostrati dalle Istitu“Galileo - Centro Culturale di Ricerche zioni competenti, in questi ultimi anni, in riEsobiologiche”, con sede a Corcagnano ferimento alla qualità dell’aria. Coraggiose e (PR) e composto da un Ingegnere Elettronispesso impopolari le decisioni prese al riguarco, un Ingegnere delle Telecomunicazioni, do, con la restrizione della circolazione di auun Chimico Industriale, un Microbiologo ed toveicoli e motocicli all’interno della cerchia un 1° M.llo A.T.G. del Servizio Meteorologiurbana, specie per i mezzi vetusti e maggiorco dell’Aeronautica Militare, intende sollemente inquinanti; così come il controllo delle citare l’opinione pubblica, affinché focalizzi emissioni degli impianti di riscaldamento, sia l’attenzione su quel fenomeno reale, ma anpubblici che privati, sul territorio. Tutto quecora trascurato se non addirittura ignorato, sto, comunque, risulterebbe privo di valenza comunemente denominato “scie chimiche” concreta, qualora fosse accertato che le sud(chemtrails, in inglese). La documentazione raccolta, in forma di testimonianze oculari, immagini fotografiche ed analisi chimiche, mostra un fenomeno a carattere planetario e presente, anche nei nostri cieli, ormai da alcuni anni. La natura delle “chemtrails” non è stata ancora inequivocabilmente definita, ma troppe evidenze ne suggeriscono l’origine da matrice non convenzionale, trattandosi, come di seguito meglio specificato, di una miscellanea di elementi chimici. È lecito, allora, chiedersi se sono possibili incidenze sulla salute dei cittadini, considerando che, inevitabilmente, i costituenti delle suddette “scie” tendono a precipitare al suolo, a guisa del “fall-out” radioattivo, favoriti dagli eventi atmosferici (correnti aeree in quota, precipitazioni, nebbia, ecc.). Tali sostanze FOTO DI UNA DEI TANTI RETICOLATI DI SCIE CHIMICHE possono propagarsi anche a notevole distanza, su quadranti non interessati direttamente (visivamente) dalle chemtrails. dette “scie chimiche”, indipendentemente da Che non si tratti delle comuni scie di conchi e perché siano prodotte e/o commissionadensazione del vapor acqueo contenuto nei te, rappresentino una fondata minaccia per gas di scarico dei propulsori a reazione degli la salute dei cittadini. aeromobili, sia civili che militari, è ormai di Si rivelerebbe insufficiente, infatti, il tentadominio pubblico. Lo confermano qualificate tivo di contrastare l’incidenza dei decessi per attestazioni scientifiche e la loro apparenza malattie polmonari, causati dallo smog urba(così difforme dal consueto), che consiste nel no e superiori a quelli per incidenti stradali, liperdurare esagerato ed immotivato in cielo, mitando le emissioni nocive dal basso, quannel loro (inconcepibile) incrociarsi in porzioni do componenti altrettanto pericolosi potrebaeree delimitate e l’insolita caratteristica della bero ricadere dall’alto sulle nostre teste. “sfrangiatura a denti di pettine”. Tutti elemenLe nostre affermazioni sono validamenti, questi, che le differenziano dalle comuni te supportate da tangibili prove, raccolte in scie di condensazione. un ormai voluminoso “dossier”, sia a livello È senza dubbio estremamente positivo internazionale che locale. Anche nei cieli di
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Chemtrails Parma, recentemente, si sono osservate tali scie anomale, l’ultima delle quali rilevata sulla verticale del centro urbano di Salsomaggiore Terme ed opportunamente documentata da un testimone oculare. Ma le attestazioni più sconcertanti provengono dalle analisi chimiche quali-quantitative, effettuate a cura dei ricercatori di “Galileo” nel dicembre 2005, presso un laboratorio specializzato del CNR. Tali indagini hanno portato all’identificazione, nelle acque piovane immediatamente successive alla comparsa delle “chemtrails”, di sostanze assolutamente estranee alla normale composizione dell’atmosfera. Una serie di sostanze che non solo non hanno nulla a che fare con l’ambiente aereo naturale, ma che, se inalate o ingerite (direttamente o indirettamente), sono certificate come patogene per l’organismo umano: quarzo (=silicosi), alluminio (=Alzheimer), bario (=sclerosi multipla), titanio, polimeri organici non meglio identificabili (=morbo di Morgellons), ecc. Dette sostanze, se inalate per lungo tempo (e le scie in oggetto rimangono visibilmente compatte in cielo anche per molte ore, a differenza di quelle “normali” di condensazione, che si dissolvono in pochi minuti), risultano altamente pericolose a livello polmonare e potenzialmente foriere, fra l’altro, della silicosi, che può manifestarsi anche a distanza di anni dall’esposizione ai suddetti agenti inquinanti. A riprova delle preoccupazioni percepite anche dalle Istituzioni Comunitarie, circa
Giorgio Pattera la potenziale pericolosità del fenomeno in oggetto, ricordiamo le recenti interrogazioni formulate sull’argomento al Parlamento Europeo. In quest’ottica, l’On.Piero Ruzzante, nell’ottobre 2003 (seduta 379, n.° 3/02792), ha posto un’interrogazione al Governo Italiano (al Ministro Ambiente e tutela territorio, al Ministro Infrastrutture e Trasporti, al Ministro della Salute, al Ministro della Difesa), per sapere: ”Se il fenomeno sia oggetto di rilevazione o di studio, per la parte di competenza di ciascun dicastero, direttamente o attraverso ricerche affidate a soggetti specializzati; se siano già in possesso dei dicasteri interessati, ciascuno per la parte di competenza, dati o ipotesi che possono in qualche modo far luce sul fenomeno; se in particolare il Ministro della difesa sia in possesso di elementi, raccolti direttamente o indirettamente, sul fenomeno sopra descritto”. A questa prima interrogazione, che mai ha ottenuto risposta soddisfacente, ne sono seguite altre, tutte dello stesso tenore, formulate da diversi Parlamentari (Di Pietro, Brandolini, Scilipoti), oltre a quella inviata direttamente da parte dell’Adiconsum al Presidente della Rupubblica, Napolitano. In sintonia con quest’ultima iniziativa, il Consiglio Direttivo di “Galileo”, il Circolo Culturale di cui il sottoscritto è uno dei soci fondatori, ha deciso all’unanimità (per la tutela della salute, nostra e conseguentemente di tutti) di inviare nel gennaio del 2007 un esposto-denuncia, corredato da una fitta
SCIA CHIMICA RIPRESA DAL SATELLITE, IMMAGINE DI GOOGLE EARTH
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Chemtrails serie di documentazioni scientifiche e fotografiche, a tutti gli Enti istituzionali di Parma e Provincia. Risultato: l’unica risposta è stata quella dell’A.R.P.A., che ha dichiarato (cito testualmente) “...le normative attualmente in vigore, inerenti le nostre indagini, non contemplano i fenomeni da voi descritti...”. Loro non contemplano, noi non commentiamo: questa affermazione si commenta da sola e, curiosamente, ricorda la risposta menzionata da Enzo Jannacci nella sua canzone “Quelli che...”: “...(La mafia?)... non ci risulta...”. Sulla “scia” (è proprio il caso di dirlo...!) dell’iniziativa di “Galileo”, la mattina del 14 dicembre 2007 il Codacons – Friuli Venezia Giulia, nella persona dell’avv. Vitto Claut, ha provveduto a posizionare davanti alla base militare di Aviano (PN) una postazione di rilevamento
ALTRE SCIE CHIMICHE
e studio sul fenomeno delle “chemtrails”. Allo stato attuale, ogni ipotesi può essere plausibile, tanto come assurda: gli scopi reali e finali, come del resto avviene per mille altri eventi, forse non li conosceremo mai. A mio modesto avviso, la modificazione (o la contro-modificazione) del clima ne detiene la maggiore “chance” ed il progetto “HAARP”, già concepito da oltre un decennio, vi è implicato fino al collo. Ma forse non ha fun-
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Giorgio Pattera zionato come gli ideatori si attendevano (=effetti troppo lenti e non localizzabili con precisione): di conseguenza, le “chemtrails” ne sono una logica nonché consequenziale estensione, per ottimizzare (ed accelerare) il risultato finale. Pertanto, nella migliore delle ipotesi (alla faccia del termine “migliore”!), le ricadute negative per la salute umana delle “scie chimiche” altro non sarebbero se non un “effetto collaterale” e/o “secondario”, come conseguenza inevitabile d’un fine non individuabile, per ora, con assoluta certezza. Per intendersi, un po’ quello che accade col famigerato “bugiardino” dei medicinali: gli “effetti indesiderati” vengono considerati “trascurabili”, in vista dello scopo primario, quello della cura della malattia o della remissione della sintomatologia. Salvo poi, quando si manifestano (ma è già troppo tardi), l’invito a comunicarlo al medico o al farmacista: fuggiti i buoi, si chiude la stalla. Volendo traslare la similitudine in politica, lo stesso ragionamento può trasformarsi nella ben nota “ragion di stato” o nel machiavellico “il fine giustifica i mezzi” (specie quando le conseguenze ricadono su altri...). Anche la RAI se n’è recentemente “occupata”, nel corso della trasmissione dedicata al mistero della morte di Lady Diana, facendo “passare” per ultimo (oltre la mezzanotte, ovviamente) un servizio ove venivano accomunati il fenomeno UFO, l’attentato alle Torri Gemelle, il (supposto) finto sbarco sulla Luna e, appunto, le scie chimiche: tutto questo sotto l’etichetta di “complottismo” (!); et voilà, il gioco al discredito e alla disinformazione è servito! Viva mamma-RAI, viva il canone (per chi lo paga)! La mia impressione, anche se può sembrare sensazionalistica, è che “qualcuno” ci stia sottoponendo ad una “vaccinazione di massa”, con il rischio che ogni vaccinazione comporta; o, in altri termini, stia preparando un’altra “arca di Noè” ! Ma speriamo che non piova... Fonti e bibliografia: • “Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025” - USAF, August 1996. • P. Zatta (CNR - Istituto Tecnologie Biomediche, Unità Metalloproteine, Padova) -
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”Interdisciplinary Approach to The Study of Aluminum Toxicity”, tratto da “Metals in Medicine”, E.C.COST D8. • Prima Conferenza Internazionale “Metalli e Cervello: dalla Neurochimica alla Neurodegenerazione (Università di Padova, 20-23/09/2000), tratto da “Alluminio & Salute”. • S.Polizzi, E.Pira, M.Ferrara, M.Bugiani, A.Papaleo, R.Albera, S.Palmi: “Neurotoxic Effects of Aluminium Among Foundry Workers and Alzheimer’s Disease”, tratto da “Neuro Toxicology”, 23 (2002) 761–774. • Convegno Bilaterale Italia–U.S.A. sulla “Ricerca Congiunta sui Cambiamenti Climatici”; Roma, 22-23 Gennaio 2002 (http://www.scribd.com/ doc/9381320/Piano-dettaglio-Accordo-ItaliaUSA-sul-Clima). Accordo di collaborazione Italia-U.S.A. (George W. Bush/Silvio Berlusconi), denominato «Cooperazione Italia-U.S.A. su Scienza e Tecnologia dei cambiamenti climatici», nel quale si fa riferimento a «siti sperimentali italiani dove vengono modificate artificialmente le condizioni ambientali a cui è esposta la vegetazione» e di «meccanismi di risposta delle piante».
Giorgio Pattera Nato il 20 maggio 1950 a Parma, dove ha lavorato per 16 anni presso i Laboratori d’Analisi dell’Azienda OspedalieroUniversitaria, come Tecnico d’Indagini Bio-Mediche; attualmente è distaccato in Direzione Sanitaria, ove ricopre la funzione di Capo-Tecnico Coordinatore. È laureato in Scienze Biologiche, iscritto all’Ordine Nazionale dei Biologi dal 1995 e, dal settembre 2004, all’Albo dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti di Bologna. Nel 1988 riceve dal Prefetto di Parma il Decreto Provinciale di Guardia Ecologica Giurata Volontaria e, nel 2000, ottiene il riconoscimento dell’Assessorato Regionale Ambiente dell’Emilia-Romagna, per la permanenza ultradecennale nel volontariato del servizio di vigilanza ecologica. Appassionato di esobiologia (ricerca e studio di possibili forme di vita extraterrestre), è iscritto dal 1980 al C.U.N. (Centro Ufologico Nazionale), di cui dirige la sede di Parma dal 1982; cura la
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• Mark Purdey - “Chronic barium intoxication disrupts sulphated proteoglycan synthesis: a hypothesis for the origins of multiple sclerosis”, Medical Hypothesis (2004), 62. • Staninger, Hildegarde – “Far-Infrared Radiant Heat (FIR RH) Type Remediation for Mold and Other Unique Diseases”. - National Registry of Environmental Professionals, annual Conference in Nashville, Tennessee, October 18, 2006. • “L’Unione Sarda”, 28/12/06 • “La Repubblica”, 16/01/07 • “L’Unione Sarda”, 18/01/07 • “GAZZETTINO di TREVISO”, 23/03/07 • Comunicato Stampa “Codacons”, 16/12/07 • Atmospheric Aerosol Properties and Climate Impacts, U.S. Climate Change Science Program, Synthesis and Assessment Product 2.3, January, 2009 • “La Stampa”, 11/02/09 • “Corriere della Sera”, 19/02/09 • La tecnica dell’”inseminazione” dei cieli; ENEL, 09/11/2009 • Interrogazione “Adiconsum”, 13/06/2010 • “Meteorology Evergreen Aviation & Chemtrail Contracts with USAF”; January, 14, 2011
catalogazione informatizzata degli avvistamenti UFO (dal 1947 a oggi) su tutto il territorio provinciale, di cui è il Responsabile. Membro del Consiglio Direttivo del CUN, dal 1999 Direttore Tecnico del Comitato Scientifico, per le ricerche sul campo e le analisi di laboratorio. Fa parte della Commissione scientifica “CSA”, creata allo scopo di studiare il fenomeno “abduction” in ogni sua manifestazione. Affianca le Autorità (Carabinieri, Polizia Municipale) durante le indagini atte a smascherare la diffusione di “avvistamenti” falsi e di notizie atte a turbare l’ordine pubblico; presiede numerosi Convegni, Congressi e Conferenze, sia in ambito nazionale che internazionale.
UFO: vent’anni di indagini e ricerche PPS Editrice, 2011 Vai scheda libro >> Runa Bianca
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di Samuele Venturini Tra scienza e alchimia
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.A.A.R.P. ovvero “The High Frequency Active Auroral Research Program” che, tradotto in italiano, significa “programma di ricerca aurorale attivo ad alta frequenza”. Se per molto tempo le aurore boreali1 sono state avvolte nel mistero, oggi lo è per noi, come allora, la tecnologia HAARP. Ma per quale motivo si sente così tanto parlare ultimamente di questo argomento? Che cos’è veramente HAARP e che cosa si sa a riguardo? Con questo articolo quindi vorrei accompagnare i lettori attraverso le tappe che si effettuano quando si decide di dedicarsi ad una ricerca, seria, libera, indipendente ma basata comunque su fatti e dati oggettivi dai quali, ciascuno di noi, potrà poi condividere le proprie opinioni e considerazioni aggiungendo così un piccolo tassello per la comprensione di questo mosaico. Non mi soffermerò sui dettagli tecnici perché si perderebbe il fulcro della ricerca. Per chi fosse interessato però, segnalerò a fine articolo alcuni link di approfondimento. HAARP è una base sita in Alaska (Gakona) composta da una serie di antenne in grado di emettere e ricevere onde ELF e VLF, rispettivamente onde a frequenza estremamente bassa (3 Hz – 3 kHz) e onde a frequenza molto bassa (3 kHz – 30 kHz). La stazione presenta anche un’infrastruttura denominata IRI (Ionospheric Research Instruments) cioè un trasmettitore ad alta potenza in grado di operare nell’intervallo di frequenze HF cioè ad alta frequenza (3 MHz – 30 MHz)2. Ufficialmente HAARP viene impiegato per studiare una regione dell’alta atmosfera chiamata ionosfera che presenta particolari caratteristiche tra cui quella di essere sotto forma di plasma (plasma ionosferico) ovvero di essere composto da gas ionizzato. Il sole, le stelle e le nebulose ad esempio sono costituite anche da plasma. 1) L’aurora polare (boreale o australe) è un feno-
meno naturale che si crea a causa dell’interazione tra il vento solare, ricco di particelle cariche come protoni ed elettroni, e la ionosfera ovvero una regione dell’atmosfera compresa tra i 100 ed i 500 Km sopra la superficie terrestre. 2) http://ieeexplore.ieee.org/xpl/freeabs_all. jsp?arnumber=661959
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Samuele Venturini Sul sito ufficiale di HAARP3 è possibile anche visionare i dati raccolti dai vari strumenti, tra cui il magnetometro ad induzione dal quale si può visionare una delle attività del sistema HAARP. Fin qui tutto sembrerebbe parte di un progetto di ricerca scientifico. Ma se si indaga più a fondo, adottando un approccio olistico, si apre un mondo multidimensionale per quantità di informazioni, ipotesi e realtà più o meno reali. Varie sono le ipotesi che pendono su HAARP e che ritraggono questo sistema come una potente arma militare in grado di modificare il clima ma anche di controllare la mente delle persone4. Da qui ci si può collegare al famoso progetto di alcuni anni fa, MKULTRA, dedicato proprio alla ricerca di metodi per il controllo mentale, metodi purtroppo alquanto crudeli, fino ad arrivare al progetto Blue Beam. È bene fare un salto indietro e dare uno sguardo all’origine di HAARP. Per fare questo non possiamo non citare il grande genio Nikola Tesla e le sue strepitose ricerche nel campo dell’energia libera, dell’etere e appunto dell’elettromagnetismo. Secondo le ricerche del famoso scienziato, sarebbe tecnicamente possibile concentrare un fascio di particelle ad alta energia da proiettare a distanza verso bersagli precisi e tale scoperta è stata definita “raggio della morte”. Proseguiamo quindi con la nostra ricerca per raccogliere quanto più materiale possibile su cui basarci. Partiamo quindi dai brevetti, documenti estremamente importanti e ufficiali quindi incontrovertibili. HAARP è solo un progetto scientifico oppure c’è anche l’interesse militare? Gli Enti principali coinvolti nel progetto HAARP sono: U.S Air Force, Navy, Department of Defense, MIT, APTI, ARCO, University of Alaska e altre Università. Nelle prime fasi del progetto HAARP, la APTI possedeva 12 brevetti tutti collegati al programma difensivo americano “Star Wars”. I brevetti sono qui di seguito elencati: 3) http://www.haarp.alaska.edu 4) Angels Don’t Play This Haarp: Advances in Tesla Technology - Nick Begich, Jeane Manning
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H.A.A.R.P. • U.S. Patent 4686605: Method and Apparatus for Altering a Region In The Earth’s Atmosphere, Ionosphere, And/Or Magnetosphere • U.S. Patent 5038664: Method For Producing a Shell Of Reflectivistic Particles At An Altitude Above The Earth’s Surface • U.S. Patent 4712155: Method And Apparatus For Creating An Artificial Electron Cyclotron Heating Region Of Plasma • U.S. Patent 5068669: Power Beaming System • U.S. Patent 5218374: Power Beaming System With Printer Circuit Radiating Elements Having Resonating Cavities • U.S. Patent 5293176: Folded Cross Grid Dipole Antenna Element • U.S. Patent 5202689: Lightweight Focusing Reflector For Space • U.S. Patent 5041834: Artificial Ionospheric Mirror Composed Of A Plasma Layer Which Can Be Tilted
Samuele Venturini • U.S. Patent 4999637: Creation Of Artificial Ionization Clouds Above The Earth • U.S. Patent 4954709: High Resolution Directional Gamma Ray Detector • U.S. Patent 4817495: Defense System For Discriminating Between Objects In Space • U.S. Patent 4873928: Nuclear-Sized Explosions Without Radiation Abbiamo quindi brevetti che parlano di “metodo e apparato per alterare una regione nell’atmosfera terrestre, nella ionosfera, e o nella magnetosfera”, di “sistema a fascio di energia”, di “specchi ionosferici artificiali composti da uno strato di plasma che possono essere ruotati”, o ancora “sistema di difesa per la discriminazione tra oggetti nello spazio” e “esplosioni di grandezza nucleare senza radiazioni”. Nel 1994 la E-Systems comprò i brevetti della APTI e nel 1995 la Raytheon Corporation acquistò la E-Systems. La Raytheon ha grandi contatti a livello militare, molti dei quali sono
ALCUNE IMMAGINI TRATTE DAI BREVETTI SOPRA CITATI. MAGGIORI DETTAGLI ALL’INTERNO DEI DOCUMENTI UFFICIALI ELENCATI, LIBERAMENTE CONSULTABILI.
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H.A.A.R.P. tutt’ora classificati. Quali sono quindi le potenziali applicazioni di questa struttura? Innanzitutto occorre ribadire che le prime due fasi del progetto HAARP non hanno consumato più di 10 megaWatt di potenza ma cosa riserverà il futuro? Sui documenti ufficiali di HAARP, in particolare i brevetti di Eastlund, si parla del consumo di almeno 1 miliardo di Watt! Le possibili applicazioni possono essere così schematizzate ed elencate: • Fasci di energia verso la Terra • Fasci di energia verso satelliti orbitanti e stazioni spaziali • Riflessione della luce solare • Accelerazione di particelle cariche • Armi costituite da raggi / fasci di energia • Comunicazioni radar oltre l’orizzonte • Comunicazioni a lunga distanza • Comunicazioni ELF e VLF
Samuele Venturini matica” è un argomento molto interessante e potrebbe divenire – o già essere – un progetto classificato negli interessi della Sicurezza Nazionale (National Security). Ciò potrebbe spiegare il muro di gomma delle Istituzioni e le tecniche di disinformazione che circolano sia in Internet che sui media ufficiali. Lo stesso articolo esprime preoccupazioni sul fatto che il riscaldamento delle correnti a getto sull’Alaska possa avere ripercussioni sul clima di Denver o Miami. Inoltre, nel medesimo studio, viene affrontato il discorso dei terremoti. Si sa infatti che i terremoti avvengono a causa di spostamenti delle placche tettoniche. Gli autori si chiedono quindi quale potrebbe essere l’effetto di massive ionizzazioni energetiche che dall’atmosfera raggiungano il nucleo della Terra mentre la risposta al successivo quesito “questi raggi ionizzanti potrebbero essere sufficienti a causare dei forti terremoti?” è: “forse”! L’uso dell’atmosfera per le comunicazioni
Teniamo a mente ciò che vogliamo comprendere. Ribadisco che io non ho in mano nessuna verità quindi non dirò che HAARP fa questo e quello ma, sia come essere umano che come scienziato, sono sempre alla ricerca della verità. Sarà poi la somma dei vari pezzi a completare il puzzle. Io in questo cammino posso solo intravedere o intuire dove questa strada porterà, nel bene e/o nel male. Quindi ricordiamo il quesito se HAARP possa davvero essere impiegato per modificare il clima NUVOLA “IONIZZATA”. SI NOTA IL PASSAGGIO DI UN AEREO CON SCIA CHIMICA E e per creare terremoti. LA TIPICA FORMA AD “ONDE” DELLA NUVOLA ARTIFICIALE. In entrambi i casi esistono sia dei brevetti che degli articoli scientifici a tal riguardo. Un artramite onde VLF ed ELF potrebbe causare ticolo scritto in tempi “non sospetti”[2] cita il effetti disastrosi su insetti, uccelli, animali ed fatto che gli effetti di HAARP sul clima siano esseri umani. In particolare le interferenze in completamente ignoti. La “modificazione cliquesto lasso di frequenze potrebbero causa-
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H.A.A.R.P. re gravi disturbi agli animali migratori. La memoria salta subito all’aumento degli spiaggiamenti e alle anomale morie di uccelli e pesci di inizio 2011. Le onde dei campi elettromagnetici che vengono generate in atmosfera sono della stessa frequenza delle onde cerebrali umane (0 Hz – 40 Hz). È stato anche dimostrato che sia le radiazioni ELF che VLF possono influenzare e sincronizzarsi con le onde cerebrali umane in modo da contrastare la volontà dei singoli individui. Quindi, una possibile lista dei pericoli di HAARP può essere così esposta: • Inquinamento da onde ELF e VLF • Effetti disastrosi di risonanza nei sistemi viventi • Effetti sulla materia vivente • Effetti sugli insetti • Effetti sulle onde cerebrali • Disastri climatici • Disastri naturali • Terremoti Ma quali potranno mai essere i vantaggi di questa arma? Teniamo presente che nel 1995 il Parlamento Europeo ha sottoscritto una interrogazione proprio nei riguardi di HAARP5, recentemente inoltre History Channel ha dedicato un documentario sulla guerra del clima in cui viene esplicitamente mostrato HAARP quale arma per questo scopo. Le funzioni della base di Gakona sono molteplici. A livello politico – militare il potenziale controllo del clima conferirebbe una strategia vincente per le vicende geopolitiche mondiali. Mediante HAARP si possono controllare e interrompere a proprio piacimento le comunicazioni e oltretutto può svolgere la funzione di radar sia per scandagliare il fondo del mare che i bunker sotto terra ma è anche in grado di intercettare oggetti volanti fuori dall’atmosfera. Non è un caso infatti che HAARP rientri negli armamenti dello scudo spaziale e nella prima bozza dello Space Preservation Act oltre alle scie chimiche erano citate anche le 5) http://www.europarl.europa.eu/sides/
getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A41999-0005+0+DOC+XML+V0//IT
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Samuele Venturini armi al plasma. HAARP emette onde elettromagnetiche. Tutto il mondo, dalla più piccola particella subatomica al più grande organismo vivente, è composto da energia elettromagnetica che vibra a frequenze diverse conferendo le più disparate conformazioni (forme e consistenze). Il nostro Pianeta ed i suoi organismi inoltre sono composti per la stragrande maggioranza da acqua. Recentemente uno studio di fisica ha dimostrato come l’acqua possa avere una memoria e trasmettere informazioni. Il DNA infine presenta una struttura (la famosa doppia elica) che potrebbe fungere da antenna per determinate frequenze che risuonano nell’etere, ogni frequenza specifica per ogni organismo e forse per ciascuno individuo. Esiste un brevetto che illustra come sia possibile colpire determinate cellule e lasciarne intatte altre proprio in base alle diverse frequenze (cellule sane e cellule malate). Non solo, in questi tempi la Terra sta attraversando un particolare periodo, possiamo dire, evolutivo. Ma non è solo la Terra bensì tutto il Sistema Solare e la galassia Via Lattea. Le radiazioni solari e cosmiche rivestono con ogni probabilità un ruolo importante e decisivo nell’evoluzione materiale ma soprattutto spirituale di ogni essere vivente. Bloccare od ostacolare questo processo potrebbe portare a pessime e disastrose conseguenze. I terremoti che si stanno susseguendo in questi tempi sembrano essere il preludio di un risveglio della Terra come super-organismo che sta entrando in risonanza con il Sole e gli altri Pianeti e con il centro della Galassia. C’è chi lo chiama “salto quantico”, chi “evoluzione” ma una cosa è assai certa: questo processo sarà inarrestabile. Penso però che non tutti i terremoti siano naturali, la mia ipotesi è che HAARP sia impiegato anche per contrastare, per interferite con questa sorta di evoluzione. La maggior parte dei terremoti infatti presenta una frequenza di intensità minore a 20 Hz. Ricordiamo che HAARP lavora in un intervallo di frequenze che vanno proprio dai 3 Hz in su, coprendo così sia le frequenze delle onde cerebrali che quelle degli eventi sismici. Ma non solo, un recente articolo ha dimostrato come
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Sumatra 26/12/2004 – Profondità 10 Km – Magnitudo 9.3
Pakistan 08/10/2005 – Profondità 10 Km – Magnitudo 6.0
L’Aquila 06/04/2009 – Profondità 8.8 Km (~ 10Km) – Magnitudo 6.3
Haiti 12/01/2010 – Profondità 10 Km – Magnitudo 7.1
Giappone 11/03/2011 – Profondità 22 Km – Magnitudo 9.0
GRAFICI CHE ILLUSTRANO L’ATTIVITÀ DI HAARP DURANTE ALCUNI EVENTI SISMICI DI GROSSA PORTATA
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i campi elettromagnetici di onde ELF siano in grado di disturbare l’allineamento magnetico di alcuni ruminanti, segno che molti vertebrati sono sensibili alle onde ELF. HAARP non agisce da solo, esistono nel mondo altre basi con la medesima funzione (FIG. 6) e in più, per riuscire nel suo intento “globale”, si serve anche di un’altra arma della geoingegneria, ovvero le scie chimiche. Per mezzo di queste altre armi, che consistono di nano particolati di metalli e altre sostanze, le onde ELF possono propagarsi in ogni dove e fare letteralmente il bello ed il cattivo tempo. Per una migliore propagazione delle onde elettromagnetiche, le nuvole costituirebbero
per qualche tempo, si potrà constatare come la sinergia tra scie chimiche ed HAARP incrementi quasi sempre durante i periodi di Luna piena e altre congiunzioni astrali. Queste ultime fanno parte di una conoscenza remota (alchemica7) ma che i fautori del nuovo ordine mondiale conoscono molto bene. L’azione benevola degli astri, unita al magnetismo terrestre, al vento solare e ai raggi cosmici sono un toccasana per il nostro DNA e quindi per il nostro complesso “corpo/mente/anima”. Diffondere onde a determinate lunghezze d’onda, magari malevole, può servire a diversi scopi tra cui quello di imprigionare la coscienza dentro una gabbia elettromagnetica. Questo si può avere perché ogni emozione o sensazione che proviamo è caratterizzata da una particolare vibrazione (frequenza) energetica. Creare e trasmettere vibrazioni negative, tra cui soprattutto la paura, impiegando tecnologie come queste unite a messaggi subliminali e campi elettromagnetici, non è solo fantascienza. Con questa tecnologia quindi sarebbe potenzialmente possibile non solo interferire con l’evoluzione dei sistemi viventi ma anche e soprattutto con l’evoluzione dei vari piani dimensionali (mente, corpo, anima) di ciascun individuo. Proprio in questi giorni ho letto su alcuni siti che seguo, il commento di una persona che percepiva questa strana calura estiva come una sorta di “forno” ed effettivamente la tecnologia HAARP, se impiegata in modo non corretto, potrebbe trasformare GRAFICO A CASCATA DI HAARP CON PRESENZA DI UNA ANOMALIA l’atmosfera in un forno per gli orga(IL COSÌ DETTO BUCO) NEI DATI. nismi viventi sottostanti. un ostacolo. Ed è qui che entrano in gioco le Sul sito ufficiale di HAARP è possibile os6 scie chimiche (chemtrails) che rappresentaservare diversi grafici che mostrano i dati no una potenziale arma polivalente in grado relativi al funzionamento della struttura. Ho cioè di svolgere diverse funzioni tra cui quelprovato ad osservare per qualche tempo il la di distruggere alcune formazioni nuvolose grafico a cascata e il magnetometro ad innaturali e al tempo stesso permettere di produzione ed ho potuto constatare, come anpagare le onde elettromagnetiche emesse da che altri ricercatori indipendenti, una buona HAARP e dalle relative stazioni radar. 7) L’alchimia è un antico sistema di discipline Se si avesse la costanza di osservare il cielo che unisce in sé la chimica, la fisica, la medicina, 6) http://tankerenemy.com l’astrologia, l’arte, il misticismo.
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H.A.A.R.P. correlazione tra alcune anomalie presenti in questi grafici e lo scatenarsi di eventi sismici. Per completare il quadro, non molto tempo fa durante una ricerca in Rete, mi capitò sotto occhio questo brevetto: U.S. Patent 7277797 B1, del 2007, relativo ad un metodo e apparato per predire l’inizio di terremoti da uno a tre giorni prima che si verifichi l’evento. Possono essere ottenute previsioni di latitudine, longitudine e tempo di insorgenza di un terremoto in arrivo attraverso il monitoraggio dei cambiamenti nella ionosfera e nell’atmosfera. Come abbiamo visto poco sopra, questo documento si aggiunge alla mole di elementi che portano ad ipotizzare HAARP quale probabile causa di eventi sismici. Altri articoli scientifici parlano di registrazioni di perturbazioni nel campo elettromagnetico prima del verificarsi di alcuni eventi sismici. Qui di seguito (FIG. 4) sono riportati alcuni grafici del magnetometro ad induzione di HAARP che illustrano l’attività dell’impianto durante i periodi in cui sono avvenuti alcuni dei più recenti forti terremoti. Ciò che io ed altri ricercatori abbiamo potuto constatare sono alcuni fattori che sembrano ripetersi:
Samuele Venturini una forte attività visualizzata dal magnetometro (colori lilla, arancione, giallo, bianco), il succedersi di eventi sismici dopo pochi giorni (generalmente entro 7 giorni) dalle anomalie presenti sia nei grafici del magnetometro ad induzione che nei grafici a “cascata”. Durante le mie ricerche ho notato una singolare “combinazione”. Dall’osservazione delle statistiche storiche degli eventi sismici è possibile constatare un progressivo aumento di terremoti soprattutto dal 1995 in poi. Proprio tra il 1993 e il 1995 sono iniziate le fasi sperimentali del progetto HAARP. In Nuova Zelanda ad esempio il numero di eventi sismici è raddoppiato e di pari passo è incrementata la frequenza di terremoti di magnitudo compresa tra 7.0 – 7.9 (sempre della scala Richter). Sembra che l’andamento della frequenza dei terremoti quindi si faccia sempre più intenso man mano che si procede verso il 2012, anno in cui si sovrapporranno diversi eventi naturali a livello astronomico. Un’altra particolare correlazione che si può evincere dalle due immagini sottostanti è che le basi HAARP (e simil-HAARP) nel mondo sono site in punti che, se congiunti con delle
STATISTICA STORICA DEGLI EVENTI SISMICI MONDIALI DAL 1973 AL 2011
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linee “immaginarie”, ricalcano con buona approssimazione le linee di faglia delle placche tettoniche, dove cioè avvengono i principali terremoti di tutto il globo. HAARP inoltre potrebbe essere utilizzato anche nel progetto denominato “Blue Beam” trasmettendo onde a particolari frequenze in grado di far sentire suoni o far vedere immagini (UFO? Apparizioni?) prestabilite al fine di innescare determinate reazioni nelle persone. Si tratta anche in questo caso di una sorta di controllo mentale mediante l’utilizzo di onde elettromagnetiche. Ultimamente proprio per mezzo di queste ricerche, e forse di questi sistemi, molte persone si stanno risvegliano, come se tale tecnologia non avesse effetto o addirittura avesse conseguenze opposte a quelle desiderate. Forse HAARP è stato creato per aiutarci? Io non credo, perché ogni minima interferenza artificiale che possa alterare il normale e naturale equilibrio dei sistemi viventi è da considerarsi potenzialmente pericolosa. Probabilmente HAARP è davvero un’arma, ma mentre è in grado di controllare alcuni fenomeni naturali e le coscienze (nonché le menti) di molti individui,
Samuele Venturini Nato a Milano nel 1981 si è laureato in Scienze Biologiche. È molto attivo in ambito naturalistico ove compie ricerche, stu-
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CONFRONTO TRA I TERREMOTI NEL MONDO E LE LINEE CHE CONGIUNGONO I SITI IN CUI SONO PRESENTI LE STAZIONI HAARP
su altre persone invece non ha effetti oppure tende a rafforzare la propria scintilla divina. Come abbiamo visto, si tratta di un percorso di ricerca molto districato e arduo ma dalla selva oscura è possibile poi risalire la via per le stelle. Spero che questo mio contributo possa aiutare ed essere uno spunto alle ricerche future non solo del sottoscritto ma anche di altri ricercatori di verità.
di ed opere di divulgazione. Si interessa anche di astrobiologia, biologia quantistica, medicina naturale, spiritualità, geoingegneria, ufologia, civiltà antiche, fenomeni paranormali e misteri in generale. Coltiva la passione della scrittura che ricopre le aree di interesse sopra citate.
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Siete tornati dalle vacanze e volete già evadere dalle mura lavorative? Siete a casa e avete voglia di distrarvi? Siete stanchi della solita pietanza congelata? Liberatevi dalla noia leggendo il nuovo numero di Runa bianca, a ottobre vi sorprenderà!
Nel prossimo numero...
Continueremo con Marisa Grande il viaggio nella scienza sacra ai costruttori dei megaliri. Vedremo in dettaglio le misure dell’Arca di Noè con Francesco Arduini. Approfondiremo i rapporti che la Cia avrebbe avuto con le SS naziste con Vincenzo di Gregorio. Con Alberto Arecchi faremo un salto a Locate Triulzi alla scoperta della Madonna alla fonte. Incontro e scontro tra Shardana e Egiziani nel lontano passato con Leonardo Melis... ...e tanto altro ancora nel numero di OTTOBRE!