ARCHEOLOGIA STORIA SCIENZA E MISTERO
ANNO I OTTOBRE 2011
OMAGGIO
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IN
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SVELATI
I RAPPORTI SEGRETI TRA CIA E SS
ESOTERISMO: LA TORINO MAGICA SCIENZA: NEUTRINI E RELATIVITÀ CONTATTISMO: EUGENIO SIRAGUSA
IN QUESTO NUMERO:
3 RUBRICHE 17 ARTICOLI
OTTOBRE 2011 | N.4
SOMMARIO Editoriale RUBRICHE
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PERLE DI SAGGEZZA
Forma, illuminazione e galleggiamento di Francesco Arduini
Le razze aliene
Sogni e simboli: l’eterno conflitto interiore per l’espressione di Sé
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di Lilly Antinea Astore LA BIBBIA SVELATA
Dalle traduzioni letterali della Bibbia ricaviamo che non ci hanno raccontato tutto e nemmeno il vero. Parte IV
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di Mauro Biglino
I SENTIERI DI OGMA
Lilith, il mito della Dea ribelle. Parte I
L’Arca di Noè
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Un pò di chiarezza intorno alla loro varietà di Moreno Tambellini
Life review
Il grande spettacolo delle nostre memorie di Fulvia Cariglia
L’amore parla attraverso il nostro corpo E le sue emozioni sono pensieri divini di Hoseki Vannini
Il Percorso “Endoterico”
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L’avanguardia esistenziale di questa Nuova Era di Carlo Dorofatti
80 Parlar di simboli... ARTICOLI 85 I rapporti segreti tra CIA e SS Un albero sacro agli Etruschi 16 91 La “Scienza Sacra” dei Neutrini e relatività costruttori di megaliti 24 96 di Fabio Truppi
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L’espressione di concetti ideali di Giovanni Francesco Carpeoro
Le pericolose implicazioni che ancora oggi persistono di Vincenzo Di Gregorio Un’apparente discrasia? di Ludovico Polastri
I Filomati, ieri e oggi
La libera ricerca di una Verità che appartiene a tutti di Danilo Campanella
31 José Argüelles 37 La Madonna alla fonte di Locate 41 Sisara e il Cantico di Deborah 46 L’ultimo demiurgo di Antonio Giacchetti
Il santuario di Santa Maria della Fontana di Alberto Arecchi
Incontro e scontro tra Shardana e Egiziani di Leonardo Melis
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Runa Bianca
Pinus pinea di Germano Asumma
Parte II di Marisa Grande
Wesak con Sathya Sai Baba
Nascita, illuminazione e il parinirvāna del Buddha di Tullia Parvathi Turazzi
Le caratteristiche di un territorio magico
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Il significato del Prodigio, l’esempio di Torino di Danilo Tacchino
La mia vita accanto ad Eugenio Siragusa
111 Anticipazioni Runa Bianca numero 5 novembre 2011 116 Il famoso contattista italiano di Orazio Valenti
Ottobre 2011 | n.4
EDITORIALE tempo di lettura 4 minuti
di Vincenzo Di Gregorio
Un passo alla volta...
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egel soleva dire che, se si vuol studiare approfonditamente un albero, non si può non tenere in considerazione il fatto evidente, ma non scontato, che un albero sia anche parte di un “bosco”. Non si può quindi capire il particolare senza estendere il proprio punto di vista e soffermarsi a meditare sul generale. È in fondo, il solito rimando dalla piccola alla grande scala. Mai come in questo numero mi è venuto in mente come non si debba semplicemente indugiare sui singoli articoli, pur di ottima fattura e scritti da autori che, per molti versi, si possono anche definire dei “personaggi”: occorre, solo per un attimo, allontanarsi ed osservare il corpus dell’intera rivista da una prospettiva più astratta. Solo allora ci si accorge di una grande rivoluzione. Mai sinora, nell’intero mondo editoriale italiano che tratta quella che si può definire “ricerca di frontiera”, si era osservata la presenza di ricercatori di appartenenza culturale tanto eterogenea. Mai, sinora, si era assistito ad un tal crollo delle barriere ideologiche, per molti versi stupide e nocive, per ritrovarsi accomunati dalla passione per la ricerca e dalla voglia di comunicarla ad altri. Fino a questo momento quasi tutte le riviste di settore erano limitate da una particolare prospettiva, contribuendo a creare, anche inconsciamente, una moda settaria. Chi scriveva per una rivista difficilmente “osava” pubblicare il proprio lavoro anche su di un’altra, considerata “concorrente” alla prima. Così, a lungo andare, si sono creati gruppi chiusi, “di parte”, che hanno portato al manife-
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starsi di invidie, rancori, inimicizie. Per la prima volta, qui ed ora, assistiamo all’abbattimento di queste stupide ed inutili barriere. Chi conosce queste problematiche e legge riviste di questo settore da anni potrà rendersi conto di quanto affermato, solo scorrendo i nomi degli autori presenti su Runa Bianca. Scrittori dai nomi altisonanti - alcuni - o poco noti - altri -, ma con un background ricchissimo che sinora non avevano avuto occasione di mostrare ad un vasto pubblico. Non si può però ignorare come questa situazione sia anche facilitata dal fatto che, in un periodo di recessione, molte persone non vogliano spendere somme ritenute eccessive per abbonamenti a una o più riviste, preferendo ad esse i video di Youtube, di gran lunga più economici. Tale tendenza ha portato in breve tempo molte testate dal grande passato a ridurre drasticamente il numero o la qualità degli articoli, o addirittura a dover chiudere. Runa Bianca è apparsa sin da subito come un unicum in quanto forniva, allo stesso costo dei video di Youtube (gratis), un prodotto di qualità ed un’informazione competente, puntuale e sempre verificabile. Ogni autore vi mette la propria “faccia” ed esprime, nella più assoluta libertà, le proprie idee ed i propri studi. Qualità e libertà: due caratteristiche ormai rare nel panorama della comunicazione, sia in Italia che all’Estero... Un’informazione che contrasta la moda, imperante sul web, di esprimere cose non vere o non verificabili e di farne, nonostante questo, realtà incontrovertibili. La cultura “youtubiana” infetta sottilmente le nostre barriere immunitarie portando
Runa Bianca
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EDITORIALE
Lilly Antinea Astore
assuefazione: contro tali tendenze occorre compattarsi o, come diceva un noto personaggio, “stringere i ranghi”. Chiunque si riconosca in questi nostri ideali, non esiti a prendere contatto con la nostra redazione: se possibile, avrà l’occasione di esporre su Runa Bianca le proprie idee. Ma la novità delle ultime ore è la conversione della Runa Bianca da semplice rivista online ad “ Associazione Culturale “. È infatti di questi giorni la creazione di un’associazione chiamata “ Runa Bianca – Associazione Culturale “. Lo scopo fondamentalmente di questa iniziativa è poter compiere una serie di eventi che richiedono una veste “giuridica” catalogabile tra quelle previste dalle leggi italiane. Tra le molte alternative percorribili, si è voluto scegliere quella dell’associazione culturale, ritenuta più consona con lo spirito che anima la Runa Bianca. Nel proseguo della nostra avventura, potremo quindi realizzare molte iniziative quali: eventi, manifestazioni, pubblicazioni di libri e riviste sia su carta che online. Tutto questo al fine di poter intraprendere un percorso culturale che aumenterà la capacità comunicativa della Runa Bianca e che la porterà a raggiungere traguardi sempre più impegnativi. Buona lettura e a presto!
Arch. Vincenzo Di Gregorio
COMITATO REDAZIONALE Vincenzo Di Gregorio Lilly Antinea Astore Francesca De Salvia Andrea Critelli
Per contattare la redazione, collaborare, segnalare libri, eventi potete scrivere a redazione@runabianca.it
www.runabianca.it HANNO COLLABORATO Alberto Arecchi Antonio Giacchetti Carlo Dorofatti Danilo Campanella Danilo Tacchino Fabio Truppi Francesco Arduini Fulvia Cariglia Germano Asumma Giovanni Francesco Carpeoro Hoseki Vannini Leonardo Melis Ludovico Polastri Marisa Grande Mauro Biglino Moreno Tambellini Orazio Valenti Tullia Parvathi Turazzi SVILUPPO E PROGETTO GRAFICO Andrea Critelli
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Runa Bianca
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PERLE DI SAGGEZZA tempo di lettura 8 minuti
di Lillyy Antinea Astore
Sogni e simboli: l’eterno conflitto interiore per l’espressione di Sé
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l sogno traduce la formidabile complicazione dei processi chimici che costituiscono il nostro metabolismo in immagini, ed e’ connesso strettamente al “fenomeno della vita”: assicura l’equilibrio del nostro corpo nel suo rapporto con il mondo. Ma questa incursione nella psico-fisiologia del sonno deve essere integrata da un’indagine del “profondo”: ricordiamo infatti che Freud definiva la psicanalisi come “Psicologia del profondo“, e che essa poneva le sue basi proprio sull’analisi dei sogni. Esistono alcuni disturbi organici che non dipendono da lesioni fisiche. Per molto tempo la scienza medica si è basata solo sulle leggi del determinismo materialistico, per cui ciò che è fisico deve avere una causa della stessa natura materiale. Come provare tangibilmente che una paralisi alle gambe può non rimandare ad una lesione del sistema nervoso, o comunque ad un danno corporeo? È proprio in questo campo che si afferma la posizione teorica di Freud: il metodo ipnotico usato da Breuer dava sorprendenti risultati; se il malato veniva curato con questa metodologia si liberava dal male attraverso il riemergere dei ricordi sepolti, e la malattia regrediva. Questa era la prova che l’origine di alcuni disturbi apparentemente fisici si trova nella psiche: tutto Il postulato della scienza psicanalitica è qui. Freud lo esprime nellla sua“Introduzione alla psicoanalisi”: “Siete stati addestrati a motivare anatomicamente le funzioni dell’organismo ed i suoi disturbi, a spiegarli chimicamente e fisicamente e a concepirli biologicamente, ma neanche un briciolo del vostro interesse è stato indirizzato verso la vita psichica, nella quale
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pure culminano le prestazioni di questo organismo meravigliosamente complicato”. Da qui deriva il progetto della psicoanalisi : “Scoprire il terreno comune sulla cui base divenga comprensibile la convergenza del disturbo fisico con quello psichico”. Essa interroga dunque la relazione tra ciò che la tradizione chiama “anima e corpo”, cercando di dimostrare che l’esistenza fisica materiale dell’individuo è condizionata da processi psichici che non gli sono necessariamente noti. Si inizia ad intravedere il ruolo del sogno all’interno di questo ragionamento. All’inizio de “L’Interpretazione dei sogni” Freud afferma: “Esiste una tecnica psicologica che permette di interpretare i sogni; se si applica questa tecnica, ogni sogno si presenta come una produzione psichica il cui significato è molto chiaro e si può inserire perfettamente nel proseguimento delle attività mentali della sera precedente il sogno“. Vero è che il primo compito di Freud è stato quello di superare i preconcetti: il sogno è stato troppo a lungo considerato come misterioso o proveniente da un “altrove“, e lo si è anche giudicato irrazionale e quindi inadatto all’investigazione scientifica. Era dunque necessario accantonare questo modo di considerare il sogno: l’ipotesi di lavoro riguardava la presenza di un determinismo della vita psichica che affermasse il legame di causalità tra tutte le sue componenti. Con Freud poniamo questa affermazione di principio: tutto ha un senso, e il fenomeno psichico del “sogno” ha un significato allo stesso titolo dei nostri atti da svegli. Il sogno è un fenomeno psichico che ha il vantaggio di essere presente in ciascuno di noi. E quando Freud aggiunge che è un “sintomo nevrotico” vuol dire che esso aiuta a ca-
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PERLE DI SAGGEZZA
SIGMUND FREUD
pire i meccanismi della vita psichica, caratterizzati dal rapporto tra conscio ed inconscio. A questo punto possiamo avvicinarci al sogno delineandone brevemente due caratteri essenziali. Il primo, che può sembrare banale, è che sogniamo mentre dormiamo: il sogno è quindi una manifestazione della vita psichica durante il sonno. Se la vita psichica non “si addormenta” anch’essa durante il sonno, allora il sogno è un modo di reagire dell’anima a determinati eccitamenti. Un secondo carattere comune ai sogni è che l’attività psichica del sogno è qualitativamente diversa dall’attività durante la veglia. Sappiamo molto bene che i sogni lasciano spesso delle impressioni bizzarre: le percezioni oniriche non sono paragonabili alle percezioni diurne. Che tipo di eccitamento si esercita quindi su di un individuo addormentato? In forma
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Runa Bianca
Lilly Antinea Astore molto generale possiamo notare due tipi di sogni: quelli che rispondono a stimolazioni esterne e quelli che rispondono ad eccitamenti interni. Infatti durante il sonno il corpo percepisce stimoli sensoriali esterni; l’ eccitamento conseguente si traduce a livello del sogno. In che modo il sognatore interpreta, in queste condizioni, l’eccitamento sensoriale? Tutto il problema è qui. È necessario ritornare a quello che abbiamo chiamato “eccitamento interno” e comprendere come la nostra psiche sia sottomessa a forze che non controlliamo. Abbiamo parlato poco sopra del determinismo della vita psichica, postulato della psicoanalisi. Freud mette in evidenza, nell’uomo, una “zona” che per noi resta oscura, cioè inconscia, e che agisce però nella nostra vita quotidiana. Per sintetizzare, l’uomo ha coscienza di agire talvolta in maniera insolita, ma è incosciente della ragion d’essere del suo atto. Freud rappresenta la psiche umana come una “casa a tre piani”; il piano di mezzo è quello dell’Io (coscienza); il piano superiore è il Super-io (livello della moralità, del sociale); il piano inferiore è l’Es (insieme delle pulsioni). Da ciò le ragioni per cui la nostra vita è conflittuale: le pulsioni, forze interne irriducibili che chiedono soddisfazione, entrano in lotta con il Super-io, che rappresenta i valori sociali che sono di ostacolo al desiderio. Il sogno è il luogo in cui si esprime questa lotta. In esso riappaiono, in forma per lo più distorta, i desideri che non si son potuti sperimentare coscientemente nel corso della vita quotidiana. La complessità della produzione onirica riporta alla complessità della vita psichica. Il sognatore è incapace di dare spiegazione del proprio sogno; eppure, sostiene Freud, deve arrivare da solo a darne l’interpretazione: egli la conosce senza averne coscienza. A questo punto ci troviamo davanti a quella che viene definita “interpretazione dei sogni”. La chiave dei sogni non è priva di ambiguità, perché il sogno stesso è ambiguo.
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Lilly Antinea Astore Essi vanno interpretati perché ubbidiscono a leggi che ne traspongono la fonte originaria in immagini diverse: per questo motivo è necessario separare in due livelli il contenuto onirico: il contenuto manifesto ed il contenuto latente. Se svegliandomi descrivo un sogno, ne fornisco il contenuto manifesto, ma è possibile che esso non significhi nulla: questo perché non comprendo il significato profondo delle immagini presenti. Da qui la necessità di risalire al contenuto latente, che porta alla vera spiegazione del sogno. Ha inizio così un processo di trasformazione, di deformazione, che conferisce al sogno una certa apparenza, talvolta incoerente, strana, irrazionale, della quale dobbiamo capire la ragion d’essere. Freud si serve dell’esempio dei sogni infantili in cui contenuto latente e manifesto sono identici: non esiste distanza tra il desiderio, che è fonte del sogno, ed il sogno stesso:
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PERLE DI SAGGEZZA il sogno infantile aiuta a comprendere quello adulto. La sua essenza è naturalmente sé stessa: cioè la realizzazione di un desiderio. Si colma così una mancanza. Il sogno infantile è la reazione ad un avvenimento della giornata che lascia dietro di sé un rimpianto, un bisogno insoddisfatto. Il sogno apporta la realizzazione diretta, non mediata di questo desiderio. Il sogno adulto risponde agli stessi criteri di analisi, ma tra il contenuto manifesto e quello latente si interpone una censura: è questa la causa della deformazione che si verifica o per omissione o per modificazione o per raggruppamento dei materiali del sogno. Abbiamo spiegato il meccanismo di formazione del sogno, partendo dal determinismo psichico per arrivare a comprenderne il simbolismo. Per approfondire, è ora opportuno insistere su ciò che per Freud determina di fatto la vita psichica: gli impulsi sessuali (libido). Il contenuto dei nostri sogni rimanda sem-
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PERLE DI SAGGEZZA pre a motivazioni sessuali che non si esprimono in quanto tali. Nella vita di tutti i giorni reprimiamo in continuazione dei bisogni, ma il fatto di averli inibiti non vuol dire che essi siano scomparsi: continuano a vivere semplicemente nascosti, aspettando il momento di risalire in superficie e turbare la vita dell’individuo. Il sogno è infatti una “valvola di sicurezza”, uno sfogo incompleto perché, in qualche modo, la censura continua ad agire. La deformazione del sogno è una conseguenza del controllo che le tendenze dell’Io e del Super io esercitano contro i desideri indecenti che sorgono in noi di notte durante il sonno. Il simbolismo onirico è per Freud un simbolismo essenzialmente (per non dire esclusivamente) sessuale. Il simbolo è la chiave del pensiero inconscio del sogno. Per esempio, in esso gli organi genitali non compaiono come tali, ma vengono trasformati in vario modo: l’organo sessuale maschile è identificato dal numero sacro 3 e trova una sostituzione simbolica in oggetti che gli assomigliano (bastoni, ombrelli, alberi) o in oggetti che hanno in comune il fatto di poter penetrare all’interno di un corpo (coltelli, pugnali, spade, pistole).
Lilly Antinea Astore È una studiosa eclettica con interessi in svariati campi che spaziano dalle scienze di confine, all’esoterismo, dall’archeoastronomia, all’arte ed all’ufologia. È cavaliere dell’ Ordine Mistico Rosacrociano. A soli 15 anni intraprende il suo percorso di ricerca partecipando con un’innovativa relazione sul tema del “ Rinnovamento “, alle conferenze presso le Università di Bologna e di Camerino, organizzate da Massimo Inardi, Peter Kolosimo, Roul Bocci ed il Conte Pelliccione di Poli. Il campo esoterico collabora con il “Centro Studi” di Lecce di Franco Maria Rosa dalla quale apprende ed approfondisce le Medicine Olistiche. In campo culturale è Rappresentante internazionale della “Synergetic-Art”, movimento artistico-
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Lilly Antinea Astore L’organo femminile è rappresentato da oggetti che hanno la caratteristica di circoscrivere una cavità nella quale può trovar posto qualcosa (miniere, buche, caverne, vasi, scatole di ogni forma). Quindi il simbolismo sessuale obbedisce a leggi relativamente semplici. È forse più interessante la metafora della nascita grazie alla presenza simbolica dell’acqua in qualsiasi forma sia. Allo stesso modo, una morte imminente è sostituita da una partenza o da un viaggio in treno. I genitori possono essere rappresentati dall’imperatore e dall’imperatrice, dal re e dalla regina (simboli di autorità). Per l’analisi freudiana il sogno è la liberazione del desiderio ed in ogni caso un’espressione rivelatrice della vita inconscia. Grazie al sogno la conoscenza della natura di un individuo si approfondisce: i miei sogni mi esprimono. Ora possiamo meglio capire la frase di Freud “la scienza dei sogni è la via maestra che porta alla conoscenza dell’inconscio”. La nostra coscienza si rilassa e la vita pulsionale nel sonno si apre una strada non trascurabile. L’apparente oscurità del sogno è dunque, paradossalmente, ciò che proietterà una luce decisiva sulla nostra vita psichica. culturale fondato da Marisa Grande, che si prefigge come obbiettivo finale la ricomposizione globale, una conoscenza collettiva, coniugando tra loro nuovi ed antichi saperi ed annullando i rigidi settorialismi accademici. Nell’ambito ufologico ha partecipato per anni a numerosi simposi e convegni del settore e collaborato con l’associazione no-profit : Rete-Ufo, dedita allo studio dell’ extraterrestrialismo. Dal 1990 è creatrice e conduttrice del programma radiofonico “DIMENSIONEX: Indagini nel Mistero” . Un programma radiofonico che affronta in maniera sinergica numerose e controverse tematiche per lo più ignorate dalla scienza ufficiale e dall’informazione generalista e che la consacra tra le principali divulgatrici in Italia delle tematiche legate al mistero, all’esoterismo, all’ufologia e all’archeo astronomia. Attualmente fa parte della redazione della Runa Bianca.
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LA BIBBIA SVELATA tempo di lettura 6 minuti
di Mauro Biglino g
Dalle traduzioni letterali della Bibbia ricaviamo che non ci hanno raccontato tutto e nemmeno il vero Parte IV
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roseguiamo nel nostro racconto relativo alle curiosità bibliche facendo un salto in altre culture ed in altri ambiti geografici alla ricerca di parallelismi che aiutino a comprendere come le stranezze trovino talvolta curiose conferme o quanto meno spunti di riflessione. Nel tempo (secoli XIV-XII a.C. circa) in cui gli Ebrei, guidati da Mosè prima, da Giosuè e dai Giudici poi, stavano procedendo alla conquista della terra che gli Elohìm avevano loro assegnato, Omero ci narra che Ulisse stava cercando di tornare alla sua agognata Itaca e in una tapULISSE ALLA CORTE DI ALCINOO, 1814-16, FRANCESCO HAYEZ, NAPOLI, GALLERIA NAZIONALE DI CAPODIMONTE pa del suo lungo peregrinare si è fermato presso i Feaci. no di frutti che maturavano in ogni stagione: Questo popolo si trovava probabilmente cioè una serra in cui si era in grado di prodursull’isola di Corfù (in cui già Tucidide riconore frutti tutto l’anno: un sorta di piccolo Eden sceva l’isola Scheria che Omero indica come biblico, il giardino sperimentale in cui gli la patria dei Feaci) ed era governato da un Elohim coltivavano ogni sorta di piante. certo Alcinoo, discendente diretto di PoseiLa cosa interessante è che Alcinoo offre a done, uno degli dèi dell’Olimpo greco, corriUlisse una nave per proseguire nel suo viagspondenti alle divinità mediorientali che sapgio ma queste navi (??) presentano stranezze piamo derivare tutte dagli Anunnaki/Elohìm/ di non poco conto; si dice infatti (Odissea, VIII, Neteru… 555-563): Dunque possiamo pensare che Alcinoo appartenesse alla stirpe dei semidei, gli «uoPerché i Feaci non hanno nocchieri, mini forti» cioè i “ghibborìm” della Bibbia, nati non ci sono timoni, come hanno le altre dalle commistioni tra i figli degli Elohim e le navi, figlie degli Adam narrate nel libro della Genema conoscono da sole il pensiero e il volere si: erano quindi individui dotati di un genoma degli uomini, che era contemporaneamente umano e divie conoscono le città e i ricchi campi di tutti, no/alieno ed erano perciò preposti a govere rapidissime attraversano la profondità nare sui vari popoli del tempo. del mare, Alcinoo aveva un immenso giardino, pie-
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LA BIBBIA SVELATA avvolte di nebbia e nube; non temono mai di subire danni o di andare perdute. Sono dunque navi (??) che procedono “da sole” lungo le rotte che devono seguire; “sanno” dove andare; sono velocissime; sono “circondate” da un qualche “alone” che ne accompagna il movimento; non possono essere danneggiate e non possono perdersi. Ci chiediamo se questa non possa essere la descrizione di un mezzo di trasporto in cui
LAMECH E LE SUE DUE MOGLI, WILLIAM BLAKE, 1795.
la rotta viene programmata e seguita costantemente con sistemi che ne identificano la posizione in ogni momento. Semplice controllo computerizzato o addirittura cibernetica applicata? Ovviamente non lo sappiamo con certezza ma le indicazioni fanno pensare. Il dio(?) Poseidone era inoltre molto geloso di questi mezzi di trasporto che lui aveva concesso al suo discendente Alcinoo: non voleva che fossero usati da altri e neppure dati in prestito. Non è necessario esercitare molto la fantasia per riconoscere il tempo in cui gli Anunna-
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Mauro Biglino ki/Elohìm/Neteru si contendevano il controllo dei territori che si affacciavano sul Mediterraneo e che erano abitati da vari popoli su cui essi regnavano: Greci, Troiani, Hittiti, Ebrei, Egizi, Accadi, Assiri, Babilonesi… La Bibbia ci racconta delle battaglie di Yahwèh contro altri Elohìm e Omero ci narra delle lotte tra gli dèi che sostenevano i vari popoli, anche usando “navi” decisamente molto speciali. Un vero peccato che non sia più ufficialmente reperibile “Il Libro delle guerre di Yahwèh” citano nella Bibbia in Numeri 21,14-15: probabilmente la sua lettura testimonierebbe di parallelismi ancora più documentati e stringenti. Forse non è un caso che risulti “scomparso”!? Una curiosità aggiuntiva è costituita dal richiamo tra il termine kubernétes (“nocchiero”) usato da Omero e il vocabolo cibernetica: la scienza che studia la realizzazione e il funzionamento di macchine automatiche capaci si simulare le attività di organismi viventi (sanno da sole dove andare, non hanno timonieri, non si perdono, ecc.). Ma un secondo aspetto strano è costituito dal “sonno” che coglie Ulisse durante il viaggio da Schèria a Itaca: una situazione strana perché nei tragitti per mare Omero non racconta mai di uomini costretti a dormire; strana perché quel sonno non si interrompe nemmeno al momento dello sbarco e strano perché non ha una durata temporale ben definita: Alcìnoo inoltre afferma che le sue navi possono accompagnare chiunque in ogni luogo ed essere in grado di tornare in giornata: e che bisogno c’è allora di dormire se il viaggio è così corto? Ulisse ha forse viaggiato nel mondo degli dèi (Elohìm, Anunnaki, Neteru)?
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LA BIBBIA SVELATA
Mauro Biglino Ha fatto un viaggio dove “non doveva” ed è per questo che Poseidone punisce i Feaci? Hanno contravvenuto a un ordine preciso? Sono stati colpevoli di avere consentito a un terrestre di andare dove non avrebbe potuto? Questa loro possibilità concreta di concedere viaggi “speciali” era dovuta al fatto che Zeus stesso li definiva “ankìtzeoi” (Odissea V, 35), “vicini, simili, parenti degli dèi” (semidei, prodotti delle unioni incrociate, come i Lugal sumeri e appunto i Gibborìm biblici)? Certo è che per timore dell’ira del dio (?) da cui discendeva, Alcinoo dice (Odissea, XIII, 179-181) di definire di comune accordo di non accompagnare più mortali, quando qualcuno di loro si presenta in città. Dunque sono i “mortali” quelli che non si dovranno più portare su quelle navi, che quindi erano evidentemente riservate ad altra tipologia di utilizzatori. Ricordiamo inoltre – per inciso – che Nausicaa e Arete, figlia e moglie di Alcinoo, sono definite «bianche, candide», esattamente come era definita una particolare casta degli Anunnaki sumeri, i Galgal, cioè individui «bianchi come il latte». Non possiamo non citare qui la vicenda della nascita di Noè; una storia contenuta in uno dei testi canonici della Bibbia Copta ed
Mauro Biglino Realizzatore di numerosi prodotti multimediali di carattere storico, culturale e didattico per importanti case editrici italiane, collaboratore di riviste, studioso di storia delle religioni, è traduttore di ebraico antico per conto delle Edizioni San Paolo: dalla Bibbia stuttgartensia (Codice di Leningrado) ha tradotto 23 libri dell’Antico Testamento di cui 17 già pubblicati. Da circa 30 anni si occupa dei cosiddetti testi sacri nella convinzione che solo la conoscenza e l’analisi diretta di ciò che hanno scritto gli antichi redattori possa aiutare a comprendere veramente il pensiero religioso formulato dall’umanità nella sua storia.
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in cui questa caratteristica è motivo di grande preoccupazione per suo padre. Nel libro etiopico di Enoch – apocrifo per i cattolici - si narra che la moglie di Lamech, nipote di Enoch, partorì un bambino il cui aspetto fu subito fonte di dubbi per il padre: la pelle del neonato non aveva lo stesso colore di quella dei nativi locali, era bianca e rosata, i suoi capelli erano bianchi e i suoi occhi così belli sembravano emanare luce. Lamech allora disse a suo padre, Matusalemme, che aveva messo al mondo un figlio che non assomigliava agli esseri umani, ma ai figli degli “angeli”. Lamech insomma sospettava che suo figlio fosse stato generato da uno dei “Guardiani”. Matusalemme chiese delucidazioni al padre Enoch, il quale lo tranquillizzò, assicurando che il bimbo era proprio di Lamech e che si sarebbe dovuto chiamare Noè. Ci troviamo quindi di fronte a personaggi dalle caratteristiche simili? Siamo in presenza di situazioni che rimandano alla stessa tipologia di individui? Non abbiamo certezze ma l’insieme delle stranezze contenute nei racconti induce a riflettere seriamente sulla possibilità che nei racconti dei popoli antichi si sia conservata una memoria condivisa che ci racconti altri modi, di altre specie che noi possiamo definire aliene nel senso più completo del termine.
Tra i suoi libri ricordiamo: Resurrezione reincarnazione. Favole consolatorie o realtà? Una ricerca per liberi pensatori (Infinito Records, 2009), Chiesa romana cattolica e massoneria. Realmente così diverse? Una ricerca per liberi pensatori (Infinito Records, 2009), Il libro che cambierà per sempre le nostre idee sulla Bibbia (Infinito Records, 2010) e...
Il Dio Alieno della Bibbia Infinito Editori, 2011 vai scheda libro >>
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I SENTIERI DI OGMA tempo di lettura 9 minuti
di Fabio Truppi pp
Lilith, il mito della Dea ribelle Parte I
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ono innumerevoli le tradizioni tramandate per generazioni, spesso ancora vive nell’ampio repertorio delle superstizioni popolari, che celano nelle proprie radici un retaggio culturale così fortemente atavico da attraversare quasi indenni e inalterate il corso dei secoli. Ben conosciuta è senz’altro quella nota con il nome di “Uccello della Morte” o, a dir si voglia, “Uccello del Malaugurio”, che rappresenta uno dei miti più diffusi e longevi da cui essa deriva: l’antica dea pagana Lilith, da sempre associata alla civetta, animale “notturno” per eccellenza, ritenuto simbolo di morte perché segno dell’equinozio d’autunno (e quindi morte dell’anno). Secondo tale credenza era decisamente di cattivo augurio il canto notturno della civetta (o analogamente del gufo), in quanto annunziava il cattivo presagio che qualcuno della famiglia, sulla cui casa si poggiava, sarebbe morto. Una superstizione conosciuta e sentita, fino a tutto il secolo scorso, in ambiti contadini e rurali, in particolare (ma non solo) nelle regioni dell’Italia meridionale, preservatasi carica di fascino e suggestione misti a un sentimento di timore e mistero. In questo caso si parla di superstizione (dal latino superstare “star sopra” inteso come “sovrastruttura”, opposto a religio) come di residui di antichi culti e di precedenti credenze religiose, non completamente eliminati o abbandonati. Lilith appare nelle leggende ebree, sumere, arabe e persino teutoniche. È presente anche in numerosi testi ebraci, fra cui il Talmud, il Sefer-ha-Zoar o Libro dello Splendore e i Midrash; ma sotto differenti forme e derivazioni, in tradizioni di una vastissima area geografica. Spesso a tale figura mitologica, fin dalle origini, è stato associato il peculiare
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attributo di essere apportatore di vento e di tempesta, nonché in generale di sventura e decadenza. Una figura, dunque, alquanto infausta e temuta, a giudicare dalle notizie tramandate su di essa. Ma quale sarebbe, invero, l’origine e la natura del mito in questione? E come può essersi trasmesso quasi immutato fino a noi? È necessario un salto indietro nel tempo e nello spazio, fin nella terra culla per antonomasia della civiltà, la Mesopotamia, in un periodo a cavallo tra il terzo e il secondo millennio a.C., detto di Isin-Larsa (2025-1763 a.C.), dal nome di due città rivali, e che vede tra l’altro l’ascesa al trono del grande Hammurabi di Babilonia. Dopo la caduta della ricca e potente Ur, la città che secondo la tradizione diede i natali ad Abramo e che regnò incontrastata per quasi un secolo su tutta Sumer e Accad grazie alla dinastia iniziata dal grande Ur-Nammu (2112 - 2095 a.C.), il quadro politico instauratosi è caratterizzato da una frammentazione in singoli potentati intorno ai centri politici maggiori: Isin, Larsa, Babilonia, Assur, Accad, ecc. Le città in questo periodo, a esclusione dei sontuosi templi e palazzi, presentano semplici agglomerati di case costruite in mattoni crudi in cui, qualche volta, si trovava una specifica camera appartata che fungeva da vera e propria “cappella” domestica. Piccole cappelle venivano costruite anche all’angolo di un vicolo o di un crocevia. In esse le statue di culto, di norma poste nei grandi santuari cittadini, erano sostituite da rilievi in terracotta realizzati appositamente per una visione frontale, meglio adatti alla venerazione. La raffigurazione di profilo, infatti, era usata esclusivamente per i rilievi narrativi, dove si esprimeva
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Fabio Truppi in qualche modo un’azione o significati precisi eternati nel rilievo stesso, non appropriata dunque per le immagini cultuali. I pannelli che adornano gli altari di queste cappelle, invece, mostrano le figure divine di prospetto, in una posizione cioè che impone un rapporto diretto a chiunque si avvicini. Da una collezione privata di reperti archeologici, la Norman Calville, proviene un tipico esempio di terracotta del genere (periodo di Isin Larsa, Babilonia) la cui sinistra figura manifesta il cupo carattere della religione mesopotamica. La dea, dalle fattezze squisitamente femminili, fiancheggiata da civette e posta dominante su due leoni, è alata e coronata di corna, e le gambe, dal ginocchio al tallone, sono ricoperte di piume; essa è apportatrice di morte. Di notte, furtivamente, gli uomini credevano di riuscire qualche volta a intravederla nelle sembianze di un gufo. Si tratta proprio della dea Lilith, o Ardat, una delle divinità di epoca accadica più note e rispettate. Il suo nome ha origine dal babilonese lulu che significherebbe “lascivia”; i simboli che essa stringe nelle mani sono antichi strumenti di misura indicanti quasi certamente la breve durata della vita dell’uomo o il momento del giudizio alla sua morte. La presenza dei leoni su cui si poggia la dea è un ulteriore elemento di caratterizzazione; in genere, presso le remote civiltà storiche, spesso il leone è simbolo di divinità, in prevalenza femminili. Rilievi di questo genere, in argilla, erano replicati e distribuiti in gran numero nei templi e anche nelle case private dov’erano poi posti sull’altare domestico. Ardat-Lilith, assieme alla potente e sensuale consorella Lilitu, la grande dea mesopotamica, e al demone Lilu, formava una potentissima triade. La radice comune del nome dei tre demoni era lil, che significava spirito, soffio, vento. Erano tutti e tre demoni aerei, apportatori di tempeste; Lilitu e Lilith, in particolare, sovrintendevano alle tempeste dei sensi, perché erano appunto demoni femmine della lussuria. Esse colpivano durante la notte gli uomini sposati, rendendoli succubi di violenti desideri sessuali, senza che questi venissero mai soddisfatti. Le due diavolesse
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I SENTIERI DI OGMA
LILITH DI JOHN COLLIER, 1892
non risparmiavano neppure i bambini, ma questi, essendo impuberi, non potevano essere fagocitati da loro, e allora Lilitu li soffocava nel sonno, mentre Lilith li rapiva, durante il loro riposo, per poi divorarli. A Lilitu e Lilith non era concesso conoscere il piacere dell’abbandono fisico, per cui, anche se apparentemente ispirate da libidine, erano dette vergini: non avevano mai
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Fabio Truppi amato, né mai concepito, e le loro mammelle non avevano mai dato il latte. La loro lussuria aveva il solo scopo del godimento fine a se stesso, quindi sterile, ed esse, pur bramando e sollecitando l’uomo a questo scopo, non ne erano mai appagate. Nello stesso tempo, però, erano anche ribelli alla condizione matrimoniale e alla procreazione, designando di fatto una primordiale forma di sofferto e irriducibile femminismo. A giudicare dalla raffigurazione eseguita dall’artista, in ogni caso, il pannello che ritrae Lilith dà l’impressione di trovarci di fronte a un essere spiccatamente femminile, dal fasci-
LILITH NELLA COLLEZIONE NORMAN CALVILLE BABILONIA
no erotico e suadente, dalle linee morbide e dal viso angelico, nonostante i suoi artigli mostruosi e la sua tetra valenza. Effettivamente, i suoi tratti conservano ancora labili ma evidenti tracce della primigenia Dea Madre che, tra il 4000 e il 3000 a.C., assunse nella mitologia mesopotamica l’identità di Nammu, “la madre iniziale, colei che ha dato la vita a tutte le altre divinità”, e poi, in epoca assira, quella
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I SENTIERI DI OGMA di Tiamat (Ti = vita; Amat = madre). Fu poi la presenza della divinità babilonese Marduk, il re dio introdotto dai popoli invasori, nomadi allevatori e guerrieri provenienti dalle steppe centroasiatiche, apportatori di una nuova religione di carattere solare, a scalzare la preminenza del culto femminile, relegando pertanto la dea nel mondo infero, e di conseguenza demonizzandola. Significativo è, a tal proposito, l’episodio principale del mito di questo dio che narra della sua immane lotta contro Tiamat, vista come mostruosa rappresentazione del Caos primordiale; esso, piuttosto, cela nel suo insieme, attraverso l’instaurazione dell’ordine attuale dell’universo (la creazione), l’intento di mettere in risalto la “vittoria” riportata dal dio creatore (tipicamente maschile) dei babilonesi sulle altre precedenti divinità, specie femminili, riservando a Tiamat quell’impietosa fine che la vedrà mutilata e divisa in due parti “come un pesce”. Tiamat, pertanto, da splendida dea marina, diventa quel mostro serpentiforme munito di ali che, per molti versi, possiamo oggi considerare antenato del drago medioevale europeo (e probabilmente del serpente tentatore nel libro della Genesi). Ciononostante, ancora per qualche secolo, le divinità femminili, anche se demonizzate, continuano a esercitare una certa influenza sulle popolazioni, e Lilith ne costituisce un chiaro esempio, giacché essa, come altre divinità simili riprodotte su tavolette in argilla, garantiva speciale protezione alla famiglia che ne deteneva e venerava l’immagine. A offrirci una visione ormai del tutto negativa e abietta, è la descrizione che di Lilith troviamo confluita e stigmatizzata nella tradizione ebraica. Nella Bibbia del Re Giacomo, la cosiddetta “Versione Ufficiale” precedente alla prima importante stesura del Pentateuco avvenuta nel VI sec. a.C., una dea Lilith è chiamata “civetta” (Isaia 34,14). Anteriormente alla compilazione del Libro Sacro, la mitologia ebraica sulla Genesi e su altri argomenti era ricchissima ed estremamente variegata. La Bibbia divenne una raccolta riveduta, corretta e unificata di un vasto numero di miti preesistenti. Molte narrazioni
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considerate inutili ai fini dello spirito religioso che stava alla base della stesura del Libro Sacro, furono eliminate o assimilate da altre principali. Una di queste riguardavano sicuramente Lilith il cui nome, temutissimo dagli Ebrei, fu sostituito con “civetta”. Essa racconta che Dio, dopo aver creato Adamo impastando acqua e polvere, gli fornì una compagna, Lilith, impastando però escrementi e sudiciume, un iniziale segno alquanto discriminante nel tragico destino di questo personaggio. Oltre a ciò, la prima donna di Adamo cominciò a ritenere che, nel momento di massima espressione amorosa, ossia durante un rapporto sessuale, entrambi dovessero giacere lateralmente, in una condizione “paritaria”, in modo che nessuno domini sull’altro. Lilith reclamava così un desiderio tanto legittimo quanto inconcepibile e “proibito”. Adamo, com’era prevedibile, non fu soddisfatto dell’indocile e pretenziosa compagna la quale in seguito, a causa del suo carattere ribelle, si vide costretta a fuggire in una regione presso il Mar Rosso dove vivevano particolari demoni. Giunta sulla Terra, allora, irata e astiosa, ebbe innumerevoli rapporti sessuali con demoni e animali (soprattutto con creature notturne): ogni giorno sarebbero nati cento Lillim, piccoli diavoli, che il Signore uccideva regolarmente per punirla dopo aver tentato invano di farla tornare nell’Eden. In seguito a ciò, pertanto, Dio decise di riplasmare da Adamo una nuova donna, Eva, la madre di tutti i viventi, figura positiva e mite in tutto opposta a Lilith. Questo, in
Fabio Truppi Nato a Francavilla Fontana (Br), è laureato in Conservazione dei Beni Culturali (Beni Architettonici, Archeologici e dell’Ambiente), discutendo nel 2002 una brillante Tesi su Atlantide con l’ausilio del professore e archeologo Riccardo Guglielmino, docente di Archeologia e Antichità Egee all’Università degli Studi di Lecce, pubblicata dalle Edizioni Bardi di Roma nel 2004. Chitarrista e appassionato di letteratura fantastica, nonché
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sintesi, è quel che la tradizione ebraica ha riformulato circa l’antica dea accadica. C’è da aggiungere, in ogni caso, che nella Torah non solo civette e sparvieri sono inequivocabilmente aborriti, ma in genere tutti i rapaci, considerati appunto famelici e abietti (vietandone di conseguenza il consumo come selvaggina). Aprendo oggi la Bibbia, quella “ufficiale” per intendersi, nel libro di Isaia troviamo due passi in cui forte si rivela la carica negativa conferita a questo personaggio. Nel capitolo 34, Isaia dà ammonimenti circa l’eventuale collera di Dio da abbattersi sulla terra dei suoi avversari, così che di essa “ne prenderanno possesso il pellicano e il riccio, il gufo e il corvo vi faranno dimora” (Isaia 34,11). “Gatti selvatici si incontreranno con iene, i satiri si chiameranno l’un l’altro; vi faranno sosta anche le civette e vi troveranno tranquilla dimora” (Isaia 34,14). Nei precedenti libri dell’Antico Testamento s’impone un avvertimento categorico: “Fra i volatili terrete in abominio questi, che non dovrete mangiare, perché ripugnanti: l’aquila, l’ossìfraga e l’aquila di mare, il nibbio e ogni specie di falco, ogni specie di corvo, lo struzzo, la civetta, il gabbiano e ogni specie di sparviero, il gufo, l’alcione, l’ibis, il cigno, il pellicano, la folaga, la cicogna, ogni specie di airone, l’upupa e il pipistrello” (Levitico 11,1319), e similmente leggiamo nel Deuteronomio (14,15-16) dove anche qui, accanto alla civetta, vi è il gufo considerato anch’esso animale “immondo”. vincitore di numerosi concorsi letterari nazionali, svolge attualmente attività di docenza in Lettere.
Atlantide. Tra mito e archeologia Bardi Editore, 2004
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di Vincenzo Di Gregorio g Le pericolose implicazioni che ancora oggi persistono
I rapporti segreti tra CIA e SS
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La fine delle SS naziste e la nascita della CIA
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l 28 aprile del 2001 il Corriere della Sera stampa un’interessante articolo sulla rivelazione di oltre 10.000 pagine della CIA inerenti a molte notizie sul regime nazista, sui rapporti tra i suoi membri interni e sulle sue relazioni con americani e russi1. Il clamore che si ebbe nei giorni successivi si è stranamente spento, e quasi non se ne parla più, come se il silenzio possa eliminare le pericolose implicazioni che ancora oggi persistono. In questo articolo si vuole quindi ripercorrere alcune tappe salienti e cercare di aprire una tenda che ci faccia intravedere cosa successe in quegli anni, e come è possibile che eventi successi oltre 60 anni fa abbiano fortemente condizionato lo sviluppo di tutto il mondo civile come noi oggi lo conosciamo. Tralasciamo la ricca documentazione di vari rapporti psichiatrici nazisti che avevano prima sospettato e poi confermato che Adolf Hitler fosse affetto da una malattia schizofrenica che rapidamente lo aveva portato alla pazzia trasformandolo nel “peggior criminale del mondo”. Ma non fu fatto nulla per impedirgli di commettere le atrocità che sappiamo. Anche perché lui ebbe l’accortezza di circondarsi di “collaboratori” che ne condividevano le idee folli e senza alcun tipo di pietà o remore ad usare tutti i mezzi per raggiungere i loro fini. La sorpresa che è giunta dall’apertura di questi archivi CIA è che alla morte del Fuhrer non corrispose un’altrettanto degna fine dei suoi collaboratori. Si è scoperto infatti che Kurt Waldheim, che fu uno dei nomi più noti del regime a capo delle SS divenne, alla fine della seconda guerra mondiale, Segretario dell’ONU e successivamente il Presidente dell’Austria, pur mantenendo ottimi rapporti con i servizi segreti Russi come loro ben pagato informatore. Solo negli anni ‘90 gli americani vietarono a Waldheim l’ingresso nel loro territorio, poiché solo allora la CIA si “accorse” che era uno dei principali artefici delle atrocità naziste. La pubblicazione di queste 10.000 pagine 1) http://archiviostorico.corriere.it/2001/ aprile/28/Cia_cosi_usammo_criminali_nazisti_co_0_0104281790.shtml
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Vincenzo Di Gregorio ci fornisce una lista di nomi eccellenti da far rabbrividire per le conseguenze che possiamo facilmente immaginare. Qualche nome: Josef Mengele, che guidò gli orrendi esperimenti medici di Auschwitz, il capo della Gestapo Heinrich Mueller, Adolf Eichmann, l’architetto dello sterminio degli ebrei, Klaus Barbie, il boia di Lione, e quindici altri, sollevano angosciosi interrogativi sulla condotta delle potenze vincitrici dopo il conflitto. Hitler si suicidò prima della sconfitta, Mengele, Eichmann e Barbie furono scoperti dopo molti anni in America latina - gli ultimi due furono sottoposti a clamorosi processi in Israele e in Francia - ma di Mueller e gli altri si persero ufficialmente le tracce. Il motivo, ha spiegato Eli Rosenbaum, il direttore del ministero della Giustizia americano, un esperto della caccia ai criminali nazisti, è che l’URSS e l’Occidente se ne servirono per combattere la Guerra fredda. «Questi criminali - ha detto - furono i veri vincitori del conflitto, perché non pagarono mai i loro delitti. Furono impiegati dai servizi segreti invece di essere processati e giustiziati». Secondo Rosenbaum, cinque finirono al servizio dello spionaggio tedesco occidentale, guidato dal generale Gehlen, spionaggio di cui la CIA assunse il controllo nel 1949, e altrettanti finirono al servizio dell’Urss. Anche gli inglesi e i francesi ne avrebbero avuto uno ciascuno. A una conferenza stampa, ieri agli Archivi nazionali, Rosenbaum ha precisato che l’esame dei tre milioni di documenti segreti della Seconda guerra mondiale non è finito, ma che sarà approfondito nei prossimi mesi. Il direttore del ministero della Giustizia americano ha messo sotto accusa sia la CIA sia il suo antesignano, i Servizi Speciali, che operarono fino al 1947, quindi per tutta la durata del conflitto. Le accuse non sono nuove, ma è la prima volta che vengono documentate in maniera irrefutabile. Rosenbaum ha rivolto critiche pesanti anche ad Allen Dulles, l’agente dei Servizi Segreti Usa a Zurigo, che negoziò nascostamente la resa tedesca nell’Italia nel Nord. A suo parere Allen Dulles, il fratello del futuro segretario di Stato Foster Dulles, protesse alcuni criminali di guerra nazisti con cui era stato in contatto,
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La fine delle SS naziste e la nascita della CIA tra cui qualcuno che aveva operato anche in Italia. In particolare sono stati svelati i diari di Guido Zimmer, ufficiale delle SS (da Schutzstaffel, “reparti di difesa”) che prese parte ai rastrellamenti di ebrei a Genova e a Milano. Ma ritorniamo un attimo ad un’informazione che abbiamo appena fornito. Cinque alti funzionari nazisti dopo la fine del conflitto finirono al servizio segreto tedesco occidentale, guidato dal generale Gehlen, di cui la CIA assunse il controllo sin dal 1949. Per la prima volta si ha la certezza di uno stretto rapporto tra la CIA ed alti esponenti degli SS nazista. Rapporti di “lavoro” connessi al reperimento di informazioni (tipico dei servizi segreti) ma anche di azioni preposte per “contrastare” quello che in gergo prese il nome di “guerra fredda”. Vennero adottate una serie di strategie che fecero sì che le conoscenze ed i “metodi” degli alti ufficiali nazisti servissero al grande scopo di contrastare lo strapotere dei regimi comunisti del colosso sovietico. A tutti questi “collaboratori” nazisti la CIA garantì anonimato e protezione anche quando, raggiunti i limiti di età, decisero di andare in pensione. Ad esempio, nel 2006 è stato scoperto che la CIA coprì attivamente il nascondiglio di Eichmann, colui che organizzò le deportazioni nei campi di concentramento nazista2. Eichmann era un uomo della CIA utilizzato nei “rinati” servizi segreti tedeschi della Germania Ovest contro le iniziative Comuniste. Il suo nascondiglio fu trovato solo nel 1960 da agenti israeliani. Fu processato e riconosciuto colpevole dello sterminio di milioni di persone e giustiziato nel 1962. È con questo tipo di “personaggi” che la CIA del dopoguerra aveva a che fare, anzi che utilizzava attivamente per i suoi fini. Ma quali erano le principali occupazioni della CIA-SS di quegli anni? Ricerche perpetrate in tutte le direzioni che studiavano il modo di strappare informazioni utili al “nemico”. In tali documenti segreti si parla di oltre 120 modi diversi per raggiungere questo 2) http://www.repubblica.it/2006/06/sezioni/ esteri/eichmann-nascosto/eichmann-nascosto/eichmann-nascosto.html
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ADOLF OTTO EICHMANN
fine...spesso metodi di una crudeltà esasperata, che solo degli ex-nazisti potevano compiere senza alcun tipo di rimorso. Il vero salto di qualità fu l’uso di una droga allora ancora poco conosciuta chiamata LSD. È opportuno ripercorrere i primi passi della creazione e della scoperta di tale droga. • 16 Novembre 1938: Albert Hofmann, un chimico che lavora per l’azienda farmaceutica Sandoz di Basilea, in Svizzera, è il primo a sintetizzare l’LSD-25, un derivato semi-sintetico di alcaloidi della segale cornuta, durante la ricerca uno stimolante sanguigno. • 16 Aprile 1943: Albert Hofmann assume accidentalmente, per la prima volta,
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una piccola quantità di LSD. È la prima esperienza umana con puro LSD-25. Riferisce di aver visto “un ininterrotto flusso di immagini fantastiche, forme straordinarie con intensi, caleidoscopici giochi di colori.” L’esperienza dura poco più di due ore. 19 Aprile 1943: Bicycle Day - Albert Hofmann ha intenzionalmente assunto, per la prima volta, 250 μg LSD. È il primo uso intenzionale di di tale droga3. 1947: primo articolo sugli effetti mentali dell’LSD pubblicato da Werner Stoll su Swiss Archives of Neurology. 1949: il dr. Max Rinkel porta l’LSD negli Stati Uniti dall’azienda svizzera Sandoz, e avvia gli studi con l’LSD a Boston; Nick Bercel comincia gli studi con l’LSD a Los Angeles. (3) Maggio 1950: il primo articolo sull’LSD appare su American Psychiatric Journal. (3) 1951: la CIA inizia la sperimentazione dell’LSD.
Come pensate che un ente statale e governativo come la CIA/Servizi segreti tedeschi abbia potuto fare le prime sperimentazioni su questa droga? Banalmente, producendo del... pane all’LSD!!! Immaginate questo scenario: un intero paese in preda al terrore per via di allucinazioni. Sembra uscito dalla trama di un film di Hollywood, ma è successo realmente nel 1951 a Pont-Saint-Esprit, Francia, quando improvvisamente gli abitanti vennero colpiti da allucinazioni di massa. Il mistero è durato quasi 50 anni, e solo ora si scopre cosa è successo realmente. La CIA decise di verificare che tipo di effetti potesse avere sulla popolazione di un intero paese e produsse del pane con, mescolato alla farina, dell’LSD di “ottima qualità“. Non fu un episodio accidentale, ma una deliberata somministrazione di allucinogeni alla popolazione. 3) Potete trovare la descrizione dell’esperienza da parte dello stesso Hofmann all’indirizzo http://www.autistici.org/mirrors/www.psicoattivo.it/chimica/lsd/esp/lsd02.htm
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Vincenzo Di Gregorio Un abitante del villaggio tentò di affogarsi perché sentiva “la sua pancia mangiata da serpenti”. Un altro saltò dal secondo piano gridando “sono un aeroplano!”. Un ragazzino tentò di strangolare sua nonna. Il bilancio dei morti ammontò a 17 vittime, colpite dalla “maledizione del pane” (Le Pain Maudit), mentre molti altri vennero ricoverati in ospedali psichiatrici per evitare che si uccidessero o si ferissero per l’improvvisa follia che li aveva colpiti. Uno dei sopravvissuti, intervistato nel video “Le mystère du pain maudit”, racconta della sua avventura terrificante, e della sensazione di essere divorato da serpenti. Afferma che avrebbe preferito morire che avere quell’esperienza. Ma non fu trovato veleno nel pane, nessuna sostanza tossica venne rilevata dalle analisi chimiche... solo per il fatto che i tecnici che effettuarono le analisi erano dei laboratori “governativi”. Trovate il video all’indirizzo web: http://www.youtube.com/watch?v=vtK pXbWxrZc&feature=player_embedded Ma a chi dobbiamo dare il “merito” degli esperimenti della CIA col pane all’LSD? Ad un certo Frank Olson. A noi italiani è un nome che dice molto poco, ma è stato una delle menti di MK-ULTRA, un’organizzazione al soldo della CIA che riuniva i maggiori scienziati nel famoso periodo della guerra fredda. Alcune informazioni si trovano in un libro a lui dedicato di H.P Albarelli Jr: “Un terribile errore: l’omicidio di Frank Olson e gli esperimenti segreti della CIA durante la guerra fredda”4. Insieme a Kurt Blome, uno scienziato nazista sottratto alla forca dopo la seconda guerra mondiale dagli americani e portato negli Stati Uniti, Frank Olson partecipa ad un progetto di sperimentazione dell’uso dell’LSD nel corso degli interrogatori. È qui che la vita dello scienziato si incrocia con quella degli abitanti di Point Saint Esprit. Albarelli ha parlato con i colleghi di Olson, è entrato nei laboratori della Sandoz, che all’epoca forniva alla CIA e all’esercito LSD per gli esperimenti, ed ha trovato “le carte” che parlavano del segreto di Point Saint Esprit. Dall’indagine è emerso 4) http://www.gialli.it/un-libro-sulla-morte-difrank-olson
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anche che quello di Olson non è stato un suicidio ma un omicidio. Era uno scienziato, è vero. Ma sapeva troppo, e forse non se la sentiva più di andare avanti. La CIA deve aver deciso che era il momento di chiudere quel capitolo. In modo “pulito”, senza conseguenze. Frank Olson è diventato vittima dei suoi stessi esperimenti. Gli agenti della CIA gli hanno somministrato a sua insaputa LSD, hanno reso i suoi ultimi giorni di vita un inferno che potesse giustificare quel tuffo dal 13° piano del Hotel Statler. Ha infranto i vetri della finestra chiusa e si è buttato giù. Questa la versione ufficiale. Suicidio indotto dallo stato di alterazione causato dall’LSD. Per questo la CIA ha pagato alla famiglia Olson danni per 750.000 dollari. Ma l’autopsia condotta ALBERT HOFMANN, SCOPRITORE DELLA DROGA LSD quarant’anni dopo su richiesta dei familiari ha svelato che non c’erano tracce di impatto contro i vetri menMa, dopo aver defenestrato dal 13° piano tre aveva una lesione al cranio non provocata una delle menti di quegli esperimenti... cosa dall’impatto. Oggi, dopo sessant’anni, il libro fece la CIA americana con LSD? di Albarelli non lascia più dubbi. Frank Olson Gli esperimenti continuarono? E su quali è stato ucciso. fronti? Si sta delineando lentamente un quadro Nel 2006 è uscito un libro a dir poco sconabbastanza chiaro; vediamo di riassumere volgente. Un libro-denuncia che sta riaprenquanto appena detto. do le polemiche sulle torture dei detenuti Casualmente, all’inizio della seconda gueriracheni nelle carceri segrete della Cia, che ra mondiale, si scopre questa sostanza (LSD) descrive a tinte fosche uno dei capitoli più bui che, grazie allo stesso scopritore, nel 1943 didella storia americana moderna. Si intitola «Il mostra ampie ed estese proprietà psicotrope mondo come laboratorio: esperimenti con topi, di alterazione della mente umana. cunicoli e uomini», lo ha scritto Rebecca LeAlla fine della seconda guerra mondiale, mov, antropologa dell’Università dello Stato l’LSD viene prodotto dalla società farmaceudi Washington5. tica svizzera Sandoz ed esportata negli Stati Il libro illustra i disumani tentativi della CIA Uniti (1948), dove è acquistata dalla CIA. e di alcuni tra i più grandi psichiatri di «diIniziano i primi esperimenti sui singoli indistruggere e ricostruire» la mente dei pazienti vidui sino al 1951, quando la droga ritorna in negli Anni ‘50. Questi furono inizialmente i reEuropa e viene data in mano alle SS tedesche, duci della guerra di Corea catturati e poi libeche non si fanno alcun scrupolo ad intraprenrati dal regime comunista, che la CIA temeva dere un esperimento di massa producendo e 5) http://torniamoinclasse.noblogs.org/ vendendo del pane all’LSD ed avvelenando post/2011/07/19/psico-esperimenti-usa-sul’intero paese di Pont-Saint-Esprit. cavie-umane/
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fossero stati indottrinati, ma più tardi anche dei civili, bambini inclusi, con vere o presunte turbe psichiche. Secondo l’autrice – che si basa su un dossier rivelato di recente- la CIA abbracciò la tecnica delle «torture morbide» dopo avere assistito alla confessione del cardinale Jozsef Mindszenty al processo di Budapest nel 1949. Privato del sonno per 39 giorni, drogato, interrogato incessantemente, il cardinale dichiarò di avere attentato allo Stato comunista. La CIA si propose di seguire la stessa strada per piegare «i nemici dell’America». I primi test vennero condotti nel ‘50, su 4 spie a Tokio e 25 prigionieri di guerra nordcoreani. Al ritorno dei reduci liberati dalla Nordcorea nel 1953, l’America assistette a uno spettacolo tragico. Sbarcati a San Francisco, i soldati sembrarono automi, non riconobbero i propri cari. La CIA mobilitò Harold George Wolff, psichiatra dell’Università di Cornell. Questi affermò che non soffrivano di una semplice «sindrome del reduce» ma di una sorta di sdoppiamento della personalità, una difesa naturale contro le torture subite. L’atroce rimedio: chiusura in celle senza luce e
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Vincenzo Di Gregorio suoni, somministrazione di «sostanze biologiche e chimiche capaci di modificare la condotta», controinterrogatori. La Lemov racconta che la tecnica fu raffinata dallo psichiatra canadese Ewen Cameron. Per ripulire «l’ego instabile» dei pazienti, Cameron sottopose 53 psicolabili ad elettroshock, bombardamenti di messaggi agghiaccianti («hai ucciso tua madre») per 20 ore al giorno per 2 settimane, 250.000 volte in tutto. Nella fase successiva, vennero «ristrutturati», cioè resi più docili. La CIA cessò gli esperimenti negli anni ‘60. Sulla questione coreana era già trapelato qualcosa: nel 1962 Hollywood girò un film, «The manchurian candidate» con Frank Sinatra, che narrava di un reduce «programmato» dalla Corea del Nord per assassinare il presidente. Dettagliate analisi di altri esperimenti della CIA di quegli anni sui bambini si possono trovare al seguente indirizzo web: http:// www.pietrobarone.net/2011/07/la-tragedianascosta-degli-esperimenti.html Gli esperimenti sulla capacità di assorbimento del fisico umano, in base all’età o al peso, furono effettuati in America direttamente dalla CIA. Come cavie furono utilizzati inconsapevoli americani. Il metodo fu molto semplice ma efficace: La CIA attrezzò delle case con la classica grande vetrata e con dietro le cineprese al fine di riprendere dal vivo come gli effetti della droga si manifestassero nei malcapitati. Assunse delle avvenenti signorine che adescavano le cavie reclutandole nei bar, scegliendoli tra coloro che avevano pochi o
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nulla rapporti con parenti che potessero accorgersi della loro scomparsa. Dopo la somministrazioni di dosi di LSD di varia entità, alcuni di loro impazzivano o erano soggetti a manie compulsive che richiesero un pronto intervento degli uomini della CIA per sbarazzarsi di prove compromettenti. Alla fine, dopo centinaia di casi ben studiati e documentati, si ebbe un quadro molto chiaro dei suoi effetti sulla psiche e sulle quantità da assumere senza incorrere in spiacevoli effetti secondari. Gli esperimenti medici degli Stati Uniti su cavie umane non si limitarono all’LSD... di seguito il link ad un “breve” elenco: http://www.comedonchisciotte. org/site/modules.php?name=News&file =article&sid=2689 Ma, ritornando alla “nostra” LSD... arriviamo all’operazione CHAOS. CHAOS era il nome in codice di un piano della CIA elaborato alla fine degli anni ’60 dal generale americano William Westmoreland sotto l’amministrazione Johnson. È stata una tipica operazione JOHN FITZGERALD KENNEDY False Flag (Le operazioni False flag, o operazioni sotto falsa bandiera, sono opetico-militari” tipici della guerra fredda. razioni segrete condotte da governi, grosse No, il motivo è molto più subdolo. compagnie multinazionali, e sono progettate La CIA si accorse che l’LSD poteva, se conper apparire come condotte da altri enti e ortrollato nelle dosi (e ne ormai aveva un’approganizzazioni. Il nome deriva da ‘false’ e ‘flag’, fondita conoscenza), dare degli effetti che saossia bandiera falsa. L’idea è quella di ‘firmare’ rebbero stati apprezzati dalle classi giovanili una certa operazione per così dire “issando” la in cerca di “evasione”. bandiera di un altro stato o la sigla di un’altra Quindi la CIA fece da importatore della organizzazione.) Obiettivo di quest’operaziodroga dalla Sandoz svizzera, da sperimentane era, come dice il nome, creare il caos, in tore con cavie e da diffusore della stessa presmodo che l’opinione pubblica ne chiedesse so le classi giovani, che in quel periodo usaal governo la repressione. L’operazione ragvano ritrovarsi a milioni nei concerti musicali. giunse il suo momento culminante nel 1968 Non è segreto il modo in cui l’LSD si diffue nel 1969; secondo alcune tesi operò perfino se a macchia d’olio negli anni sessanta tra la nel concerto di Woodstock, diffondendo stuquasi totalità degli artisti, cantanti e loro fans. pefacenti per il progetto MK ULTRA. La mortalità fu altrettanto elevata..basta riRitroviamo infatti attivamente coinvolto cordare nomi quali Jim Morrison, Adam Goldil MK ULTRA ( quello del pane all’LSD ) nella stein, Sid Vicious, Jimi Hendrix o Elvis Presley. distribuzione di allucinogeni al pubblico gioMa se la CIA pensò alla sperimentazione vanile dei primi concerti Rock ( quali quello di ed alla diffusione dell’LSD in grandi quantità... Woodstock ). chi ne curò la distribuzione, a livello capillare, Ma a che scopo? Non certo quello del conda parte del singolo spacciatore? trollo della mente dei giovani per scopi “poliVi era negli stati uniti un’organizzazione
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già ben introdotta e distribuita nel territorio che allora si dedicava al controllo della “semplice prostituzione”, del pizzo e di qualche altra “amenità”...la MAFIA americana. La CIA trovò quindi nella Mafia un partner ideale in grado di convertire immense somme di denaro in fondi segreti destinati a finanziare qualsiasi operazione la CIA avesse voluto intraprendere, senza più passare dalle forche caudine dei bilanci approvati dal congresso. Fondi neri che crearono una specie di secondo stato nello stato, che avevano ampie entrate dai personaggi politici (ai massimi livelli) da un lato e dall’altro, insieme ai massimi esponenti della Mafia e della malavita organizzata. Uno stato nello stato, un’organizzazione (CIA-Mafia) in grado di poter anche organizzare l’assassinio di un presidente degli stati uniti. Si tratta di valide teorie o di assurde ipotesi complottiste? Nel sito web segnalato di seguito si può leggere l’intervista al giornalista Gianni Bisiach, che nel suo libro “ il Presidente” sostiene con dati alla mano questa tesi: che John Kennedy fu ucciso dalla Mafia americana, in collaborazione con alcuni settori della CIA. Potete trovare maggiori informazioni al riguardo nel seguente indirizzo web: http://www.spazioforum.net/forum/topic/26757-mafia-e-ciacoinvolte-nellomicidio-jfk/
Quanti di questi eventi possono considerarsi facenti parte della storia e quanti invece possono rivestire un interesse contingente anche ai nostri giorni? La descrizione di come si sia evoluta un’organizzazione priva di scrupoli come le SS naziste in un’associazione “governativa” come la CIA, e di come la stessa sia stata in grado di creare un gruppo con capitali illimitati e con appoggi sia politici sia mafiosi in grado di ideare e realizzare qualsiasi cosa potesse essere utile ad uno scopo...ci fa intuire che essa non sia mai stata smantellata del tutto e che sia ancora attiva ed intensamente operante sia in territorio americano che all’estero. La mente corre immediatamente all’attentato delle Torri Gemelle che, se anche non fosse stato messo in opera direttamente dalla CIA, sicuramente ha avuto ampi appoggi logistici sul territorio americano, e ad alti ed altissimi livelli. Ma la CIA non è l’unica organizzazione che agisce nell’ombra di poteri apparentemente più forti: vi son le lobbies finanziarie, militari.. dove il dio soldo fa da padrone. A noi, gente comune, non resta che assistere impotenti ad intrighi che avvengono sopra le nostre teste; tuttavia la nostra reazione deve essere almeno quella di non credere a tutto quello che ci viene propinato dai media. Ma di ricercare, sin quanto è possibile e con tutti i mezzi a nostra disposizione, un’informazione corretta ed aderente ai fatti.
Vincenzo Di Gregorio
al sito web: www.aereofoto.it. Suoi studi son stati mostrati in diverse riviste di settore, e su reti televisive quali: Voyager (rai2), Mistero (italia1), Mediolanum Chanel (Sky), OdeonTV.
Architetto ed imprenditore, da sempre appassionato di archeologia, noto come scopritore delle cosiddette “piramidi di Montevecchia” i cui studi sono stati pubblicati nel libro dal titolo Il Mistero delle Piramidi Lombarde (Fermento, 2009). Fondatore di Antikitera.net (uno dei più noti siti web di news archeologiche e di misteri) e della rivista Runa Bianca (www.runabianca.it). Per le sue ricerche si avvale di foto aeree sia nel visibile che nell’infrarosso, fondando una società finalizzata alla ricerca chiamata “Ludi ricerche” che fa capo
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Il Mistero delle Piramidi Lombarde Fermento, 2009 vai scheda libro >> Runa Bianca
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di Ludovico Polastri Un’apparente discrasia?
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Ludovico Polastri
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l 22 settembre 2011 il mondo della fisica veniva scosso da un annuncio che si rivelava a dir poco sensazionale. Il prof. A. Ereditato, coordinatore di un gruppo di ricerca del CERN, annunciava alla stampa i risultati sperimentali condotti sulla velocità dei neutrini. Da questi dati (arxiv.org/ abs/1109.4897), che a detta del team sarebbero affidabili con una notevole precisione, si dedurrebbe che i neutrini si muovono ad una velocità superiore a quella della luce. Una differenza temporale di 61 ns (nanosecondi) che, rispetto a quelli percorsi da un fascio di fotoni (particelle costituenti la luce), anticiperebbe il punto d’impatto di 18 cm tra il CERN ed il rivelatore OPERA. L’esperimento è infatti consistito nel far convogliare, a partire dal CERN di Ginevra verso il rivelatore OPERA, che si trova ad una distanza di 730 km circa, sotto il Gran Sasso, un fascio di neutrini ottenuto da pacchetti di protoni, che girano attorno all’acceleratore e vengono inviati verso un bersaglio di grafite lungo 2 metri. Nel 2007 il Fermilab aveva osservato, con l’esperimento Minos (www.numi.fnal.gov), dati analoghi a quelli appena annunciati dai ricercatori europei, sparando con uno strumento (chiamato NuMI) fasci di neutrini verso un laboratorio situato a 800 chilometri di distanza, in una miniera a nord del Minnesota. SLIDES PROIETTATE DAL TEAM DEL PROF. A. EREDITATO IN OCCADalla formulazione della teoria della SIONE DELLA CONFERENZA TENUTA AL CERN relatività speciale, data da Einstein nel 1905, e dalle sue successive verifiche vità implicassero che la massa di un oggetto a mezzo di innumerevoli esperimenti, i fisici aumentasse con l’aumentare della sua velocihanno sempre creduto che la velocità deltà e diventasse infinita alla velocità della luce la luce nel vuoto (circa 300.000 chilometri al (che è usualmente indicata con c, dal latino secondo) fosse la massima velocità a cui l’eceleritas). nergia o le informazioni potessero propagarsi Poiché la massa di un corpo è inversamenattraverso lo spazio. Invero, il primo articolo te proporzionale al cambiamento di velocità, di Einstein sulla relatività conteneva l’affernel momento in cui la massa diventa infinita il mazione che “velocità maggiori di quella della corpo non può più essere accelerato. luce... non hanno possibilità di esistenza”. In altri termini, la relazione tra energia e Questa conclusione a cui era pervenuto velocità che la relatività esprime è tale che, Einstein si basava sulla scoperta, ch’egli stesquando la velocità di un corpo si avvicina a c, so aveva fatto, che le equazioni della relati-
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Neutrini e relatività l’energia di quest’ultimo diventa infinita. Poiché questa energia deve essere fornita da ciò che accelera il corpo, per accelerarlo alla velocità della luce a partire da una qualsiasi velocità minore sarebbe necessaria una sorgente di energia infinita. Ma tali sorgenti non sono ottenibili e così sarebbe impossibile far passare un corpo da una velocità inferiore a c ad una uguale a c.
La formula di Einstein nella sua forma più estesa. Se la velocità di una massa fosse uguale a quella della luce il denominatore si annullerebbe dando una soluzione infinita. Se invece la velocità della massa fosse superiore a quella della luce l’energia sarebbe negativa.
VARIAZIONE DEL FASCIO NEUTRINICO
Neutrini: particelle evanescenti I protagonisti che sembrano contraddire le ipotesi fatte da Einstein sono i neutrini. Il neutrino fu postulato per la prima volta
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Ludovico Polastri da W. Pauli, nel 1930, come “disperato tentativo” di salvare la conservazione dell’energia. All’epoca di Pauli, si conosceva l’energia del nucleo iniziale, di quello finale e dell’elettrone, pertanto il principio di conservazione dell’energia sembrava essere violato. Se si esclude infatti dal conto l’energia che il neutrino emesso porta con sé, l’energia dello stato iniziale è maggiore di quella dello stato finale ed è proprio grazie a questo scompenso energetico che Pauli, credendo fermamente nella conservazione dell’energia, intuì che gli elementi a sua disposizione per spiegare il fenomeno potevano essere non sufficienti. La dimostrazione, dovuta a L. Meitner, che l’energia mancante non provenisse dalla produzione di fotoni, portò Pauli all’idea che tale energia potesse essere sottratta da una particella neutra debolmente interagente con “potere penetrante uguale o dieci volte maggiore a quello dei raggi γ”. Sarà tuttavia Fermi che, in seguito, formulerà correttamente la teoria. Il neutrino verrà invece osservato nel 1956 da C.L. Cowan e F. Reines, più di vent’anni dopo il postulato della sua esistenza. Un tale ritardo è spiegato dal fatto che il neutrino è una particella soggetta solo alle interazioni deboli, che avvengono con minor probabilità. Nel modello standard della materia (la più completa teoria coerente ad oggi sviluppata dai fisici teorici per la comprensione del mondo subnucleare) i neutrini sono leptoni (particelle non composte da altre particelle) a massa nulla, non soggetti a nessuna delle quattro interazioni fondamentali se non alla forza nucleare debole. Potrebbe sorprendere il fatto che una particella abbia massa nulla, probabilmente perché nella nostra idea di “corpo” l’attributo “massa” è fondamentale; insomma, è difficile immaginarsi un corpo senza massa; nel mondo delle particelle elementari tuttavia si può pensare alla massa come un qualunque attributo, ad esempio come la carica elettrica: se non ci è difficile immaginare un corpo neutro, ovvero con carica uguale a zero, non dovrebbe essere difficile neanche immaginare un corpo senza massa. Da anni si accumulano evidenze sperimentali sul fatto che i neutrini possono avere una piccola massa, in opposi-
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zione a quanto assunto nel modello standard; è importante notare che, eccetto queste evidenze sperimentali, nessun esperimento condotto finora sulla fisica delle particelle in genere ha mostrato deviazioni conclusive dal modello standard. La comprensione di come i neutrini acquistano piccole masse è una sfida che si spinge oltre le attuali conoscenze.
Strade alternative Prima di proseguire nel nostro ragionamento sull’esperimento del CERN, bisogna dipanare ogni dubbio su una prima possibilità, tutt’altro che remota, che potrebbe essersi verificata in fase sperimentale, ossia l’esistenza di errori sistematici durante la prova. In una conferenza rivolta al mondo accademico (cdsweb.cern.ch/record/1384486) il prof. D. Autiero analizza tutte le possibili correzioni volte a scongiurare questa ipotesi. Vediamo, in linea di massima, di cosa si tratta. Innanzitutto non risulta agevole definire esattamente quali e quanti neutrini hanno lasciato il “tubo” di lancio ed il punto di arrivo su OPERA. Si tratta infatti di definire una media della dispersione di queste particelle sia all’uscita che all’ingresso. In altre parole si deve identificare un baricentro nel quale approssimare tutta la massa neutrinica. Ebbene, una tal approssimazione conduce ad un errore di circa 7 ns. Altro problema: come si fa ad essere sicuri che la distanza è esattamente di 730 metri? (732 metri per l’esattezza). Le misurazioni ad oggi note si basano sulla geodesia, ovvero triangolazioni successive tra punti contigui. La misura complessiva tra i due punti dell’esperimento risulta con un errore di 20 cm. Ancora: la misura temporale dell’impatto rispetto al punto di uscita delle particelle. La tecnologia attuale si basa sul GPS. In altre parole per calcolare esattamente il lasso di tempo tra ingresso ed uscita delle particelle si deve tenere presente che la differenza (errore che si compie) è di 100 ns circa. Questo
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ESEMPIO DI RILIEVI GEODETICI
vorrebbe dire che i 2 orologi del CERN e di OPERA non possono essere sincronizzati perfettamente. Da ultimo, ma non trascurabile effetto, quello di eventuali scosse sismiche. Le attuali sonde non arrivano a misurare scosse vicino ai 100 metri, profondità del tunnel del CERN a Ginevra e dal quale sono partiti i neutrini. Una scossa come quella che si è verificata a l’Aquila nel 2009 ha “spostato” la città di 15 cm circa. Concludo con un’osservazione che spesso viene data per scontata: la corretta misura della velocità della luce è stata calcolata solamente con esperienze di fasci di luce in andata e ritorno; di fatto nessuno ha mai provato che la sola velocità della luce in andata sia perfettamente uguale anche a quella di ritorno: è solo una convenzione universalmente accettata. Concludendo, gli errori da compensare sarebbero davvero molti e guarda
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CORREZIONE NECESSARIA PER IL GPS
caso della stessa grandezza di quella rilevata in sede sperimentale. La compensazione degli errori, inoltre, non segue una legge lineare ma deve essere interpolata secondo altre leggi di approssimazione. I dubbi che ripongono a favore di errori nelle misure sembrano davvero solidi anche se il team del prof. Ereditato assicura che tutte le eventuali correzioni sono state fatte e che si debbano escludere eventualità di questo genere. Detto ciò passiamo alla seconda ipotesi, ovvero che i neutrini siano particelle che non hanno espresso appieno tutti i misteri di cui sarebbero dotate. Vediamo di avanzare qualche ipotesi in tal senso. Tra le caratteristiche scoperte da poco sembrerebbe che i neutrini abbiano la proprietà di cambiare “sapore”, ovvero che non abbiano una rotazione sempre costante. In altre parole lo spin è “instabile”. Questa evidenza ha portato a supporre tre diversi tipi di neutrini: neutrino elettronico, muonico e tau. Alla fine degli anni cinquanta il fisico italiano Pontecorvo fece notare che tale suddivisione in tre famiglie era strettamente valida solo se i neutrini avevano massa nulla. Al contrario un neutrino dotato di massa poteva essere un
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Ludovico Polastri “miscuglio” di un neutrino elettronico, muonico e tau. Se il neutrino avesse avuto massa, sarebbe stato possibile vederlo “oscillare”, cioè trasformarsi da una specie ad un’altra. Una chiara ed ineludibile risposta a questo dubbio venne nel 1998 con l’esperimento Superkamiokande che presentò per la prima volta dei dati che mostravano la realtà delle oscillazioni nei neutrini atmosferici (prodotti dal Sole). Come corollario emerse che il modello standard, forse, non era del tutto preciso: i neutrini avevano, seppur molto debolmente, una massa a riposo non nulla. In altre parole i neutrini sono particelle che si potremmo definire a “massa variabile”. Questo fatto ha notevoli ripercussioni. Infatti, se un corpo potesse essere in qualche modo portato da una velocità minore di c a una maggiore di c, per le stesse equazioni relativistiche la sua energia ed il suo impulso diventerebbero numeri immaginari, cioè numeri contenenti la radice quadrata di un numero negativo. Questa situazione non ha alcun significato fisico: infatti oggetti con energia immaginaria non possono scambiare energia con oggetti aventi energia reale e di conseguenza non possono né essere influenzati, né essere individuati da strumenti reali: si dovrebbe quindi affermare che non esistono. Nel contesto in cui lavorò Einstein, dove le proprietà degli oggetti variavano con continuità e dove non si considerava la possibilità di creazione di nuovi oggetti, sembrava quindi una conclusione logica che nessuna forma di energia, e di conseguenza nessun tipo di materia, potesse viaggiare con velocità maggiore della luce. Con lo sviluppo della fisica subatomica, però, il contesto cambiò considerevolmente. Noi ora sappiamo che le particelle subatomiche possono facilmente essere create o distrutte, e che nelle mutue interazioni le loro
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energie e altre proprietà cambiano in modo discontinuo invece che nel modo semplice descritto nella fisica classica. Si può immaginare quindi che si creino particelle che già inizialmente hanno velocità maggiore della luce, evitando così la necessità di accelerarle attraverso la “barriera della luce” con la conseguente spesa di energia infinita. Si può inoltre coerentemente richiedere che tali particelle abbiano sempre una velocità maggiore di c, il che ovviamente non può accadere per le particelle VARIAZIONI DI STATO DEL NEUTRINO note. Se si assumono per vere queste e da quello inglese G. Feinberg che avevano condizioni, non è più un problema insolubile ipotizzato l’esistenza di particelle superlusoddisfare il requisito che le particelle portiminali chiamate tachioni (dal greco tachius, no energia e quantità di moto reali. Ciò infatti veloce). Sposando questa teoria, le particelpuò essere ottenuto matematicamente perle avrebbero avuto come velocità inferiore mettendo a una certa costante, che appare quella della luce e quella superiore infinita. nella relazione tra energia e velocità, di essere Non sono mai state trovate nella realtà un numero immaginario invece di un numero sperimentale particelle con queste caratterireale come nel caso delle particelle ordinarie. stiche, tuttavia il principio di relatività ristretQuesta costante è usualmente nota come ta non lo vieta: Einstein, nel 1916, così si espri“massa a riposo” perché per gli oggetti ordimeva a proposito dell’invarianza della luce: “Il nari essa dà il valore della massa dell’oggetto fatto che la luce impieghi lo stesso tempo per quando è fermo. percorrere due punti di andata e ritorno tra loro simmetrici e coincidenti è solo una convinzione arbitrariamente stabilita per ottenere una definizione di simultaneità e non un’ipotesi sulla natura della luce sotto l’aspetto fisico”. Tenterò ora di fare un’altra considerazione che, forse, potrebbe mediare i due punti di viIl principio di relatività ristretta andrebbe sta opposti. così riconsiderato: Riprendiamo la prima formulazione del Il principio di relatività non esclude particelle più veloci della luce. Si tratta, semmai, di dare vari quasar. Le velocità risulterebbero suuna nuova interpretazione alla massa che può perluminali se i quasar sono molto distanti assumere valori negativi da noi Un’ipotesi siffatta era già stata presa in - Onde evanescenti ed effetto tunnel. Secondo l’equazione di Helmholtz un’onda considerazione dal fisico italiano E. Recami1 1) Erasmo Recami è uno dei fisici più attivi nel campo delle teorie superluminali. Il suo studio ha riguardato quattro settori: - I neutrini, che secondo lo scienziato hanno masso immaginaria e quindi hanno caratteristiche tachioniche - I micro quasar galattici. Osservazioni astrofisiche hanno rivelato la presenza di oggetti molto veloci espulsi dal nucleo di
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elettromagnetica con larghezza trasversale inferiore ad un certo valore limite, diventa un’onda evanescente manifestando effetti superluminali Onde a forma di X. Alcuni ingegneri hanno scoperto che alcune onde relativistiche (per esempio quelle di Maxwell) ammettono soluzioni superluminali. Segnali superluminali a forma di X, sono stati prodotti nel 1997 da Saari e soci a Tartu, città estone.
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Neutrini e relatività principio di relatività nella forma estesa. Abbiamo visto che se una particella è dotata di massa e quest’ultima potesse superare la velocità della luce, il denominatore diventerebbe un numero immaginario; in altre parole mi troverei a che fare con un’ energia complessivamente negativa. Tuttavia, se consideriamo l’equazione di Einstein nella chiave di lettura attraverso l’ottica dell’equazione di De Broglie [“lambda” = (h/mc)], ottenuta eguagliando l’espressione di Einstein a quella del “quanto” di Planck (E = hν), si verrebbe a superare la contrapposizione tra massa ed energia, dal momento che ogni particella si trova ad avere al tempo stesso attributi d’onda (la lunghezza d’onda “lambda”) e attributi materiali (la massa “m”); pertanto, variando la sua energia si ha al tempo stesso variazione della sua massa e della sua lunghezza d’onda associata, con il suo inverso “ν” che esprime la frequenza, secondo la relazione trovata da De Broglie. Questo vuol dire che mi potrei trovare nelle condizioni di avere una particella che, cambiando stato attraverso la sua frequenza rotazionale, cambia anche massa. Non sarebbe pertanto più illogico supporre che i neutrini possano prendere “a prestito” massa (e dunque energia) per varcare, anche se per poco, la barriera superluminale. È notizia di questi giorni che, grazie all’esperimento TOTEM che si trova nell’acceleratore LHC di Ginevra, i protoni sembrano “diventar più grandi” se gli si dà un’enorme quantità di energia. È solo un’ipotesi che spero verrà seguita in fase sperimentale in quanto non solo spiegherebbe una così esigua differenza di velocità rispetto ai fotoni (particelle stabili ed a spin regolare) ma risolverebbe
Ludovico Polastri È laureato in ingegneria meccanica all’Università di Brescia. Ha conseguito la specializzazione post lauream presso il Politecnico di Milano e effettuato corsi di specializzazione in ambito: Produttivo, Certificazione dei Sistemi Qualità e Ambientali Aziendali,
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Ludovico Polastri anche un’ apparente discrasia tra la teoria della relatività einsteniana ed i risultati ottenuti nell’esperimento del prof. Ereditato. Infine si accetterebbe definitivamente che il vuoto quantomeccanico (si veda il mio articolo su Runa Bianca del mese di settembre) è un’ infinita riserva di energia che potrebbe essere messa in gioco tutte le volte che essa abbia la necessità di essere convertita, anche per brevi periodi, in massa.
Conclusioni Vorrei con queste poche righe rimarcare non che le teorie di Einstein siano superate ma semmai, al contrario, possano permettere di intravedere vie ancora ignote e che forse ci aiuteranno a meglio comprendere il modello della materia. Non la sua teoria va messa in discussione ma, forse, un nuovo modo di interpretare la realtà. Vorrei concludere con le parole del prof. Ereditato, che condivido appieno: “Nonostante la grande significatività della misura riportata e la stabilità dell’analisi, il potenziale grande impatto del risultato motiva la continuazione dei nostri studi per investigare altri effetti sistematici ignoti che potrebbero spiegare l’anomalia osservata. Evitiamo deliberatamente di proporre una spiegazione teorica o fenomenologica del risultato”. Tuttavia, forse, proprio per il suo impatto mediatico notevole, mi permetto di dire che un’eventuale scoperta di questa portata non andava data in pasto immediatamente alla stampa, che non ha perso l’occasione per travisarla e rendere, in definitiva, un cattivo esempio di informazione scientifica.
Organizzazione e Gestione Aziendale. Ricopre da molti anni ruoli di responsabilità in ambito tecnico, produttivo e impiantistico per conto di importanti realtà aziendali. Si occupa inoltre di aspetti normativi e legali inerenti la sicurezza e la prevenzione sui luoghi di lavoro. Ricercatore indipendente e giornalista free lance, collabora per diverse testate giornalistiche.
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di Danilo Campanella p La libera ricerca di una VeritĂ che appartiene a tutti
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Danilo Campanella
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n’organizzazione storica, una caccia internazionale, un antico manoscritto. Sembrano gli ingredienti di un film di controspionaggio archeologico, del tipo “Indiana Jones e l’ultima crociata”. Invece questo non è un nuovo episodio della già celebre tetralogia di Steven Spielberg, ma la vicenda conclusasi il 21 luglio di quest’anno quando l’ordine filomatico, riformatosi nel 2003-05 col nome di Associazione Filomati, un’accademia internazionale di ricerca scientifica e culturale, torna in possesso dei suoi antichi statuti, scomparsi in gran parte in un incendio a Lucca nel 1742. Ma andiamo con ordine. Nei manoscritti “Costituzioni e verbali della Reale Accademia dei Filomati” compaiono i verbali delle riunioni iniziate il STEMMA DELL’ ASSOCIAZIONE FILOMATI 9 gennaio 1826, anno in cui fu approvato il regolamento, ma in realtà l’Accademia no la scienza e il suo apprendimento, che ardovrebbe essere nata precedentemente. Agli dentemente desiderano l’istruzione. Accademici venivano dati nomi di origine I filomati cominciano quindi a distinguersi greca e nelle adunanze pubbliche venivano dai filosofi, gli amanti del sapere, come coloro lette le loro composizioni riguardanti materie che più specificatamente (e forse meno elitascientifiche e letterarie. I verbali delle aduriamente) amano istruirsi. Ecco che il filosofo nanze arrivano alla fine dell’aprile 1857, con appare un asceta del pensiero, un contemplamancanze per il periodo 1824-1826. tore statico del dinamismo di “Sophia”, menChi sono questi filomati? Da dove ventre il filomate chiede di essere istruito, non è gono? Jack London nel suo “Tallone di ferro”, solitario, ma pensa, ragiona, dibatte in pubromanzo fantapolitico del 1908, accenna ai blico, in assemblea. Potremmo dire che pochi filomati, studiosi che si riunivano nella casa uomini predisposti e vocati possono essere di un professore universitario. Peculiarità di dei contemplativi, dei filosofi, ma tutti gli uoquesta “confraternita” di filosofi e scienziati è mini possono essere filomati. stata sempre quella di promuovere la ricerca A tal proposito vanno ricordati gli sforzi in ogni ambito dello scibile, rendendola alla dei filomati polacchi che, sotto la guida del portata di tutti, e favorendo quei processi poeta rivoluzionario Adam Mickiewicz, comstorici che ne permettessero la libertà di difmutarono la Società Sudentesca Filomatica fusione. nella Società Sudentesca Segreta dei Filomati, La fama dei filomati si perde nel tempo, da fortemente critici in rapporto al “paterno abIpazia di Alessandria, che fu la prima a metbraccio” russo sul regno polacco. tere da parte politica e religione per onoraNel 1823 furono arrestati dalla polizia rusre il fine ultimo dell’uomo, che per lei era la sa con altri accoliti dell’associazione. ricerca della Verità, sino alle accademie neoAdam Mickiewicz, nato il 24 dicembre platoniche dell’antica Grecia, da cui i filomati 1798 a Zaosie, vicino a Nowogródek, l’antiprendono la radice terminologica. co Gran Ducato di Lituania, da una famiglia Il termine Filòmate viene infatti dal greco di antico lignaggio, studiò all’Università di phìlos, amico, e màto, imparo, onde màtèma, Vilnius dal 1815 al 1819. Dal 1819 al 1823 eserstudio, scienza; indica colui o coloro che amacitò l’attività di professore a Kaunas. Durante
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il suo esilio ha scritto, tra gli altri, Konrad Wallenrod (1828), un poema filosofico che ha ispirato la gioventù polacca nella lotta contro l’oppressione. In questa fase della sua vita, lui ed altri filomati in Polonia vennero perseguitati dall’Ordine Teutonico, che demolì alcune loro attività. Nel 1825 Mickiewicz si trova in Crimea e pubblica la sua opera Sonety krymskie (Sonetti di Crimea, 1826). Sebbene ispirato dal panorama della steppa, la sua anima e la sua mente sono sempre più assorbite dai sentimenti nazionalisti. Ma l’opera più importante per i polacchi è Pan Tadeusz (Signor Taddeo), un poema di 12 libri, considerato “epopea nazionale”. Oggi esso è lettura obbligatoria in tutte le scuole polacche, e Adam Mickiewicz è riconosciuto come primo traduttore delle opere di Francesco Petrarca e Dante Alighieri. In Italia, tra gli insigni filomati, la storia ricorda Ferdinando Maestri (17861860), professore di economia politica e di diritto civile, che iniziò gli studi nel seminario di Parma e li concluse nella città di Genova, dove si laureò in FILOMATI POLACCHI IN UN’INCISIONE DELL’800. AL CENTRO, giurisprudenza; si mise in luce con la ADAM MICKIEWICZ. Società dei Filomati per un’apprezzaculturale. Con il tempo l’importanza dell’acta ode in occasione della nascita del “Re di cademia diminuisce e il teatro, reduce peralRoma”; a Lucca Luigi Fornaciari (1798-1858), tro da un terremoto, resta deserto. scolarca dei filomati, entrò nel 1830 in magiGrazie all’interesse internazionale, nel stratura, prima giudice e poi presidente della 2005 l’organizzazione viene ri-fondata in Itarota criminale della città, fu avvocato regio e lia col nome di Associazione Italiana Filomati nel 1837 primo Presidente in Rota criminale che diviene, con decreto presidenziale, due e Consigliere di Stato; Mattia Corvino (1443anni dopo, Associazione Filomati, per allon1490), fu re d’Ungheria dal 1458 al 1490, intanare qualsiasi pretesa nazionalistica da un coronato re di Boemia nel 1469 e governò progetto culturale e umanitario universale. Moravia, Slesia, e Lusazia. Da un approfondimento del tutto umanistiDopo un grande periodo di quiete, i filoco, i filomati decidono di mettersi al passo coi mati ricevono in dono da un cardinale cattotempi e di inserire la ricerca scientifico-tecnolico e dal principe Matias un teatro nella citlogica nelle loro priorità d’indagine. La nuova tà di Lucca. Lentamente tutti gli altri gruppi struttura accademica sarà su base tecnocraaffluiscono nel nuovo centro di riferimento, tica: i membri con il più alto livello di speciaanche da altre località, e Lucca diviene uno lizzazione in un dato settore lo andranno ad splendido centro di cultura. occupare di diritto. Ma a causa di un incendio perdono la La Tecnocrazia, τεχνοκρατία, parola la cui sede, che viene comprata da un altro gruppo
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etimologia deriva dalle parole greche tecne (arte o tecnica) e cratos (potere), come forma di governo, significa letteralmente governo dei tecnici. Con essa, i filomati non intendono identificarsi in una gnosi di tipo positivista, né saint-simoniana, ma semplicemente si organizzano all’interno di una gerarchia organica che meglio di ogni altra promuove il merito del singolo e i risultati delle sue ricerche. I ricercatori sono organizzati secondo i tre gradi di tecnomante, tecnocrate e tecnarca, e si raggruppano in commissioni di ricerca cittadine e regionali. A questi gruppi territoriali si vanno ad aggiungere delle commissioni tematiche, non legate al territorio d’origine (ad esempio: Commissione di ricerca economicopolitica, Commissione di ricerca per lo studio dell’intelligenza artificiale, Commissione di ricerca scienze cognitive, Commissione di ricerca per l’archivio storico filomatico, Commissione per le ricerche storiche). Ad oggi il reggente e garante della “filo-
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sofia tecnocratica” in Italia è il Primo Tetrarca Luca Masala. I filomati cominciano a prendere consensi nel panorama associativo ed accademico. Oggi posseggono una collana editoriale, un comitato scientifico di professori universitari e diversi nuclei di ricerca nel territorio italiano. La collana editoriale, chiamata “Phi Greca”, è edita dalla Nuova Cultura Editrice. Tra i diversi numeri che si possono trovare in catalogo possiamo legger titoli come “ I problemi del nostro tempo e del mondo moderno” oppure “Orizzonti di ricerca”. I filomati condividono le proprie ricerche attraverso simposi, dibattiti e conferenze. L’approfondimento sembra essere il punto distintivo di questa organizzazione che, ancora oggi, richiede ai propri iscritti di “conoscere le cause” dei processi della vita. Assieme alla presenza di scrittori, giornalisti e appassionati, danno il loro contributo professori,
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tecnici e professionisti, anche di fama conclamata. Nei numeri della collana editoriale Phi Greca si riscontrano spesso partecipazioni di “illustri personaggi” che discutono, puntualizzano, dicono la loro assieme ai filomati. Un certo tipo di “ecumenismo laico culturale” di cui i filomati, nel corso dei secoli, si sono sempre pregiati. Ma essi, nonostante i successi, restano tuttavia orfani di parte della loro storia passata, che tentano affannosamente di ricomporre per mezzo di ricerche e segnalazioni, sino all’ultimo indizio: un mercante di Taranto. Nel mese di Luglio 2011, poi, una segnalazione porta alla luce un fatto nuovo: gli Statuti dell’Accademia dei Filomati, o parte di essi, sono all’asta. Luca Masala, presidente dei filomati, chiamato in gergo Primo Tetrarca, ci spiega come si sono svolti i fatti: “ Cercavamo da tempo di recuperare parti importanti del nostro passato, una delle nostre commissioni ha come unico compito la ricerca e la catalogazione della LUCA MASALA DURANTE UNA CONFERENZA storia dei Filomati; la loro dedizione nel lasciato spazio ai giovani. Infatti, se prima di rintracciare e segnalare gli scritti al direttivo è quella data gli appartenenti avevano un’età stata fondamentale e ci ha permesso di arrivare media di 60 anni, oggi in Italia l’età media dei agli scritti. filomati è di 35 anni. Da lì in poi non abbiamo fatto altro che parAspetto che non è passato inosservato ad tecipare all’asta sapendo che saremmo entrati una testata del settore, Orizzonte universitario, in possesso di documenti di valore inestimabile. che nel numero del 21-07-2011, in un articolo Ogni minuto che passava ci teneva sulle spine, intitolato “Associazionismo e il nuovo umaneogni offerta ci faceva sobbalzare. quello che per simo”, riporta: “Torna per gli italiani il forte intealtri era unicamente un oggetto per noi aveva resse a fare vita di gruppo. Non solo PC dunque, lo stesso valore che possono avere dei cimeli di ma pubbliche relazioni… In primis, le cosiddetfamiglia, persi nel tempo e poi miracolosamente associazioni sportive d’èlite, ovvero i circoli te ritrovati. La gioia nel completare l’acquisiziocanottieri e quelli della caccia. I primi oggi non ne è stata indescrivibile”. fanno molta attività sportiva, ma sono luoghi Eppure i filomati risultano per certi verdi incontro non ufficiosi per le public relations. I si “scomodi” ancora oggi. Questo perché il secondi, più antichi, non svolgono attività venaloro sito e vari link internet, in periodi recentoria ma mantengono la vecchia nomenclatura ti, sono stati ripetutamente vandalizzati da per ragioni tradizionalistiche, e son anch’essi ignoti. “Forse associazioni, forse movimenti, luoghi di incontro per soci di livello (in Italia uno forse singoli-aggiunge il Primo tetrarca-ma di essi è il pronipote di Dante Alighieri). noi non ci faremo certo intimidire. Non siamo Poi ci sono le associazioni umanitarie, i club certo gli ultimi arrivati”. di livello, come Rotary e Lions. A queste vanno Certo è che l’organizzazione si è evoluta ad aggiungersi le associazioni culturali e sciene modernizzata molto, dal 2005 ad oggi. Ha
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I Filomati, ieri e oggi tifiche, le maggiori in Italia sono L’Associazione Filomati e l’Accademia dei Lincei. Sono luoghi di incontro che pare riscuotano,secondo le ultime indagini de L’Espresso e di Class-Filosofia, un sempre maggior consenso e interesse”. Largo ai giovani insomma, ma soltanto quelli volenterosi e promettenti. L’Associazione Filomati pare non voler rinunciare a parte della propria tradizione, ma ecco giunge il monito del suo leader, in una recente lettera aperta: “Forti della nostra storia ma proiettati verso l’avvenire, non vacuo vessillo di vanità stantie ma semplici vestigia dell’amore per la cultura, ora vuota ora vana, ora potente, i Filomati anziani e i nuovi entrati hanno collaborato nella realizzazione di una grande comunità di uomini e donne di cultura reale, un grande gruppo familiare fatto di appassionati, lavoratori, professionisti, docenti, giornalisti, filosofi, scienziati, musicisti, amanti della cultura e dell’approfondimento culturale. E questa non è una novità, lo abbiamo sempre fatto, da sette anni a questa parte. Abbiamo informato, acculturato, sostenuto le ricerche, divulgato gli approfondimenti intellettuali in ogni materia dello scibile, informando migliaia di persone all’anno… Le nostre pubblicazioni (ricerche, articoli dei nostri soci) anche quest’anno sono giunte puntualmente a biblioteche, scuole, università, accademie... Le odierne congiunture internazionali e, soprattutto, quelle in cui vive il nostro Paese, affaticano il lavoro delle industrie, degli enti pubblici e privati, delle fabbriche, e manca perciò lavoro, sicurezze, e la speranza di un fu-
Danilo Campanella È nato a Roma. Ha scritto per case editrici come la Taphros, la Luz e la Nuova Coscienza, per la quale è stato vicedirettore di una collana editoriale da lui stesso creata: PhiGreca. Socio dell’Associazione Internazionale Regina Elena Onlus, della Societas Herpetologica Italica (S.H.I.), dell’ Associazione Culturale Internazionale Nuove Scienze (A.C.I.N.S.), socio dirigente dell’Associazione Filomati (www.filomati.com). Il suo sito personale
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Danilo Campanella turo migliore. Ma perché in un momento come questo dovrebbe importarci della cultura, della scienza? Perché in questo momento storico dovremmo pensare a difendere “le parole”? Perché, caro Filomate, mentre il bastone può sostituire il dialogo, le parole non perderanno mai il loro potere; perché esse sono il mezzo per giungere al significato e, per coloro che vorranno ascoltare, all’affermazione della verità. Perché, senza cultura, lì dove una volta c’era la libertà di obiettare, di pensare, di parlare nel modo ritenuto più opportuno, spunteranno censori e sistemi di sorveglianza, con il compito di costringere tutti ad un unico pensiero… Nel 1826 le prospettive offerte dai Filomati in un periodo simile a questo furono soffocate con l’incendio della nostra sede generale di allora, a Lucca, quel tentativo di distruzione riuscì però solo ad incenerire l’edificio di marmo e legno da cui tali prospettive provenivano. La sopravvivenza della nostra collettività, da allora, rappresenta una speranza. La speranza di ricordare al mondo che l’equità, la giustizia, la libertà sono più che parole: sono prospettive per la ricerca di una società che sia ciò per cui paghiamo, per cui lavoriamo e che sia fondata su alti principi morali …”. Certo è che il ritrovamento del testo bicentenario, conservato ora negli archivi dell’Associazione, apporterà nuove notizie non solo riguardo all’organizzazione filomatica, ma a gran parte delle associazioni culturali, d’arte e di mestiere sia del diciottesimo che del diciannovesimo secolo.
www.danilocampanella.it. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Sorammala. Il bandito di Perda Liana (Taphros Editrice, 2003), La distruzione delle realtà sottili (Nuova Cultura, 2008) e...
Nascita, apogeo e caduta di Sparta Nuova Cultura, 2007 vai scheda libro >> Ottobre 2011 | n.4
di Antonio Giacchetti L’ultimo demiurgo
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osì come l’aria è l’atmosfera del corpo, il tempo è l’atmosfera della mente. Se il tempo in cui viviamo consiste in mesi e giorni irregolari regolati da minuti e ore meccanizzate, questo è ciò che diventa la nostra mente: una irregolarità meccanizzata. Poiché tutto proviene dalla mente, non c’è da meravigliarsi se l’atmosfera in cui viviamo quotidianamente è sempre più contaminata, e il maggior cruccio sia quello di “non avere abbastanza tempo”!
Antonio Giacchetti no (nell’emisfero nord) di quell’anno, mentre ora digitando quella data fatidica su Google si ottengono circa sette milioni di risultati. Il Fattore Maya rappresenta un punto di non ritorno nella nostra comprensione dei Maya della Mesoamerica; chiunque voglia cercare di comprendere i Maya non può prescindere da quell’opera, che è attuale oggi non meno di quanto lo fosse un quarto di secolo fa. Ed è in questo testo fondamentale che, per la prima volta, viene preso in esame il significato di quella data. Nella mente collettiva, di cui fu grande co-
Chi possiede il tuo tempo, controlla la tua mente. Possiedi il tuo tempo, e conoscerai la tua mente” José Argüelles, The Call of Pacal Votan: Time is the fourth dimension Nel suo capolavoro, il longseller Il Fattore Maya, tradotto in 23 lingue, definiva il corpo “la tuta spaziale tridimensionale” – quella in cui ognuno di noi si infila quando sceglie di venire quaggiù, sulla Grande Madre, per fare ‘un altro giro di giostra’ e portare a termine il lavoro lasciato a metà nelle precedenti incarnazioni. Lui, José Argüelles, la sua tuta spaziale tridimensionale l’ha lasciata lo PIRAMIDE MAYA scorso marzo, in Australia, dove viveva da qualche anno. A 72 anni, noscitore e studioso, la parola “profezia”, 25 dopo una breve malattia, il più grande visioanni fa, poteva essere associata tutt’al più a nario del nostro tempo ha attraversato il velo Nostradamus. Qualche anno più tardi, grazie di Maya ed è entrato a far parte – come diceal successo mondale di un altro libro che ha va lui – del mondo degli archetipi universali. venduto milioni di copie, “profezia” poteva Daniel Pinchbeck, autore di tre libri sul 2012 portare ad un’associazione con “Celestino”. che hanno venduto milioni di copie in tutto Ma oggi, a poco meno di un anno di distanil mondo, ha candidamente affermato: “soza dall’ora X, l’associazione dominante nelspetto che tra qualche anno José Argüelles sarà la mente collettiva è quella tra profezia e 21 considerato uno dei pensatori più importanti dicembre 2012. Già prima di allora, tuttavia, della nostra era”. Argüelles si era imposto all’attenzione. Nel E a ben vedere, non c’è dubbio che sia così; 1970, all’Università della California di Davis, basterebbe considerare che, prima della pubdove insegnava, fu lui ad organizzare il primo blicazione de Il Fattore Maya (1987 negli USA, Festival della Terra, che viene considerato da 1999 in Italia), il 21 Dicembre 2012 poteva far molti la data di nascita del movimento ampensare a nulla di più che al solstizio d’inver-
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bientalista ed ecologico mondiale. Nell’agosto del 1987, poche settimane dopo la pubblicazione de Il Fattore Maya, Argüelles convoca la Convergenza Armonica, la prima meditazione globale della storia. I suoi studi gli avevano permesso di essere l’unica persona su questo pianeta a riconoscere la convergenza in un punto specifico del tempo di due tradizioni profetiche di cui era profondo conoscitore: la Profezia dei Tredici Cieli e Nove Inferni di Quetzalcoatl – o Serpente Piumato, leggendario profeta della tradizione mesoamericana – e la Profezia del Kalachakra, una delle iniziazioni più alte del Buddhismo Tibetano (che lui aveva ricevuto direttamente dal lama tibetano Chogyam Trungpa Rinpoche, co-estensore del Libro Tibetano dei Morti e autore de La Pazza Saggezza). Oggi siamo abituati alle meditazioni planetarie sincronizzate, ma 25 anni fa – senza Internet, cellulari, TV satellitare (può giovare ricordare che il primo fax fu inviato nel 1984) – la convocazione di una meditazione globale era una novità assoluta, e il tam
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Antonio Giacchetti tam del passaparola fece sì che centinaia di migliaia di persone si unificassero mentalmente sul pianeta; i luoghi di potere della Terra – in Egitto, India, Indonesia, Australia, USA, Messico, Perù, Inghilterra – furono pacificamente invasi da aspiranti crononauti, viaggiatori del tempo, sincronizzati in una meditazione mondiale di pace ed armonia. Il New York Times e perfino il Wall Street Journal dedicarono lunghi articoli di copertina alla prima meditazione globale dell’era moderna. Non deve stupire il fatto che, a sapere e ricordare queste cose, siano in pochi; nei confronti di Argüelles, negli Stati Uniti scattò già molto tempo addietro quella congiura del silenzio che aveva già mietuto vittime illustri in precedenza (W. Reich, I. Velikowsky, R. Khalifa). Sembra impossibile che oggi qualcuno possa scrivere qualcosa sui Maya prescindendo dal lavoro di Argüelles, eppure succede; è difficile credere che nessuno ricordi che stiamo parlando di un ex docente di Estetica e Storia dell’Arte a Princeton, la più illustre università del pianeta. Eppure è così. Dal suo incessante impegno di attivista del risveglio della coscienza è nato un Movimento Mondiale di Pace per il Cambio del Calendario, attivo in 91 nazioni. Il riconoscimento tributatogli dagli scienziati dell’Accademia Russa delle Scienze ha addirittura portato, dopo la sua scomparsa, all’intitolazione di una stella con il suo nome. Numerosi cerchi di Anziani Indigeni mesoamericani lo hanno pubblicamente riconosciuto come Colui Che Chiude il Ciclo, in cerimonie tenutesi in luoghi sacri come la Grotta del Serpente, al di sotto della Piramide del Sole di Teotihuacan, già nel 2002 – fino all’ultima di queste cerimonie di riconoscimento, non più tardi del gennaio 2010, in Messico. Alcune sue affermazioni, che gli valsero la derisione da parte della comunità accademica internazionale, tornano di grande attualità e scuotono alle fondamenta il nostro edificio
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mentale. Già nel 1999, ad esempio, Argüelles affermava che al centro della Terra c’è un gigantesco ottaedro di cristallo (di magnetite di ferro, per l’esattezza), quando l’opinione comunemente accettata è quella secondo cui al centro del pianeta c’è una bolla di magma incandescente. Impossibile non sorridere ora, quando leggiamo che – nella tipica prosa deliberatamente incomprensibile dell’establishment scientifico – “le rilevazioni più recenti indicano una maggiore densità del nucleo terrestre, incompatibile con quella che ci si potrebbe aspettare da magma fuso”. Ricordo che, essendo il suo traduttore ed interprete italiano, mi trovai a riferirgli la domanda posta da uno dei partecipanti ad un suo seminario, in riferimento alla sua affermazione: “Ma lei, come fa a dire una cosa del genere?” E lui, con la calma serafica che lo ha sempre contraddistinto, gli rispose con garbo, sorridendo: “Io ci sono stato, al centro della Terra, e ho visto che lì c’è un enorme ottaedro di cristallo”. Le sue due massime preferite, “Tempo non è denaro, Tempo è Arte” e “Dove c’è Pace, c’è Cultura; dove c’è Cultura c’è Pace” (quest’ultima mutuata dal Patto di Pace promosso negli anni ’30 del secolo scorso da Nicholas Roerich) hanno cambiato la vita di milioni di persone, e continuano ad alimentare la visione di “sognare il sogno più alto”. E come si fa a dimenticare l’episodio avvenuto in Russia nel 2003, nel corso di una conferenza da lui tenuta all’Università di San Pietroburgo, quando l’arcivescovo della seconda città russa inter-
Antonio Giacchetti Interprete e traduttore, studioso dei Maya e delle altre tradizioni mesoamericane. Risiede a Cisternino (BR), in Valle d’Itria, unico luogo sul pianeta dove Argüelles abbia tenuto due seminari di una settimana ciascuno (nel 2000 e nel 2009). Dopo aver completato due giri del mondo per un totale di sette anni di viaggio, tornato in Italia nel 1997, è ora coordinatore del PAN Italia (Planet Art Network, la Rete d’Arte Planetaria), struttura
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venne nel dibattito successivo alla conferenza, solo per affermare, riferendosi ad Argüelles, che “tutto quello che dice questo signore è vero”, “questo signore è un autentico profeta”, e – ciliegina sulla torta –“la profezia del 2012 è autentica profezia” ? Ora, parliamoci chiaro: se un personaggio di tale rango – praticamente il n° 2 della gerarchia ecclesiastica della Chiesa Russa Ortodossa – si prende la briga, non invitato e non interpellato, di rilasciare pubblicamente delle dichiarazioni così forti, evidentemente avrà avuto accesso a delle fonti, dei documenti, che non lasciano alcun margine di dubbio sull’argomento. Ma, secondo voi, è mai possibile che le fonti a cui ha accesso l’arcivescovo di San Pietroburgo non siano accessibili anche al Vaticano? Certo, i cosiddetti divulgatori scientifici della disinformazione televisiva queste cose non le dicono; preferiscono insistere sui Maya sanguinari, rozzi, primitivi, superstiziosi, che facevano sacrifici umani. Preferiscono vendere centinaia di migliaia di copie di libri in cui riescono a non dire niente – salvo poi berciare contro qualcuno che si starebbe arricchendo con questa storia del 2012... !!! Pubblicazioni di José Argüelles in italiano sono tutte edite da WIP Edizioni (www.wipedizioni.it): Il Progetto Rinri (2000), 13 Lune in Movimento (2001), Il Fattore Maya (2002), Dreamspell (2003), I 260 Postulati della Dinamica del Tempo (2001), La Storia del Tempo raccontata a Tartaruga e Albero (2007), Cronache di Storia Cosmica – vol. I (2010).
organizzativa del Movimento Mondiale di Pace per il Cambio del Calendario. Cura il sito 13lune. it. Compila annualmente il Sincronario delle 13 Lune di 28 Giorni, e persevera nel lavoro di traduzione e pubblicazione dell’opera omnia di Argüelles. Tiene conferenze e seminari sui Maya e il 2012, partecipa a congressi e convegni, e due volte all’anno (dicembre e marzo) organizza e accompagna gruppi di 13 viaggiatori in Messico, guidandoli nelle terre dei Maya ed introducendoli ai misteri di quella terra meravigliosa e di quel popolo misterioso.
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di Alberto Arecchi Il santuario di Santa Maria della Fontana
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ocate Triulzi è una piccola, un tempo “ridente” cittadina a sud di Milano, all’incirca a metà strada di distanza da Pavia. Tra Locate Triulzi e la Pieve di Locate (oggi Pieve Emanuele, sulla sponda destra del Lambro), sul lato sinistro della profonda valle, scavata nella pianura dalle acque del Lambro meridionale, sorge il santuario di Santa Maria della Fontana, o meglio sarebbe dire “alla Fonte, alla Sorgente” (ad Fontem), costituito da tre chiese sovrapposte. Sin da lontano si vede svettare lo snello campanile, alto quasi 35 metri, proprio sul ciglio del terrazzo fluviale. Il santuario fu costruito sopra una fonte risorgiva. In origine, forse sin dal sec. XIII, era stato eretto un tabernacolo dedicato alla Madonna, sul margine della valle del Lambro, presso una fonte o risorgiva naturale. Alle acque di quel luogo dovevano essere attribuite proprietà miracolose, ma non si trova traccia documentata d’un miracolo specifico, che possa aver dato inizio alla fama del santuario. LO STEMMA TRIVULZIANO, IN CUI SI VEDE ANCHE LA TESTA CON Gran parte del territorio di Locate TRE VOLTI (DA UN VECCHIO STEMMA DEL COMUNE DI TRIVOLZIO, appartenne sin dal sec. XIV alla nobile IN PROVINCIA DI PAVIA) famiglia milanese dei Trivulzio, della quale si hanno notizie sin dal 941. Nel 1277 cabalisti ebrei, era frequentata da studenti i Trivulzio sono menzionati tra le duecen“oltremontani” ed era sede di vivaci fermenti to famiglie patrizie milanesi, nella Matricula protestanti e laicisti. Era uno di quei momenti Nobilium Familiarum dell’arcivescovo Ottone storici in cui la religiosità popolare si ravviva, Visconti. Nel sec. XV i rami della casata erano trova rifugio nel grembo accogliente del midiversi, insigniti di parecchie proprietà feudaracolo, le apparizioni soprannaturali si moltili. Dal 1410 in poi i Trivulzio strinsero – a più plicano e si alimentano in una necessaria conriprese – legami di parentela con i Barbiano catenazione di necessità di sopravvivenza dei di Belgioioso e vissero in prosperità alla corte gruppi sociali. degli Sforza, per poi passare al servizio dei re Gian Giacomo Trivulzio, il nome più celebre di Francia, nel periodo in cui questi rivendicadella famiglia, era stato marchese di Vigevavano in eredità il Ducato di Milano. no. Aveva prestato servizio come condottiero Erano tempi duri per la gente comune, copresso Alfonso d’Aragona, re di Napoli, per stretta a subire e pagare i conflitti tra i potenti. poi passare a guidare gli eserciti dei re franLa Lombardia si trovò al centro dello scontro cesi Carlo VIII e Luigi XII. Era arrivato al grado tra le grandi potenze europee (Francia e Spadi Maresciallo di Francia, era stato acclamato gna imperiale) e al contempo rischiava d’essecome il vincitore della battaglia di Marignano re dilaniata dalla guerra religiosa tra cattolici (1515), ma era morto in Francia il 5 dicembre e protestanti, che era alle porte (Svizzera, Val1518, cinque mesi esatti prima di Leonardo tellina). L’Università di Pavia, che annoverava da Vinci. Con le ricchezze accumulate i Trivultra i suoi professori cultori di magia bianca e zio finanziarono anche la realizzazione d’ope-
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re d’arte, come la cappella funeraria di famiglia, eretta dal Bramantino presso la Basilica di San Nazaro (dal 1511 al 1519). Un’opera tipica del Rinascimento più laico e severo, che applicava all’architettura una rigida geometria classicheggiante e non indulgeva minimamente alla pietà religiosa d’ispirazione popolare. Il conte Gaspare Trivulzio, signore di Locate, aveva ingrandito nel 1470 il santuario di Santa Maria alla Fonte con la costruzione della chiesa “inferiore”, della capienza d’un centinaio di persone, sopra un’antica edicola romanica. In seguito iniziarono i lavori per l’edificio soprastante. Nel 1525 la Battaglia di Pavia pose fine alle speranze di dominio dei re di Francia sulla Lombardia. Forse il re Francesco I, dopo la sconfitta, rimpianse la dipartita del suo Maresciallo, pensando che avrebbe potuto salvarlo. Certamente la rimpiansero i suoi parenti d’ogni grado, costretti a rendere omaggio ai nuovi padroni di Milano. I Trivulzio dovettero cambiare indirizzo politico, incanalando i propri servigi verso il campo imperiale, del quale erano stati fieri avL’IMMAGINE DELLA MADONNA, SEMINASCOSTA SOTTO L’ALTARE versari, e desideravano scrollarsi di dosDELLA CHIESA INFERIORE. so l’etichetta d’amici dei protestanti, in ma le caratteristiche dell’affresco conducono una Lombardia ultracattolica. Quale iniziativa alla scuola di Leonardo da Vinci. Il capo inpiù opportuna della costruzione d’un santuaclinato della Madonna, somigliante a quello rio dedicato alla Madonna? Un tale progetto della Vergine delle Rocce, la foggia dei capelli, avrebbe smentito qualsiasi diceria di alleanza il sorriso enigmatico, l’accuratezza dei particon quel mondo protestante, tanto vituperacolari delle mani riconducono a Leonardo, ma to, che aveva influenzato la vicina Pavia con alcune cadute di qualità, quali il paesaggio la sua Università, e verso il quale era nota l’accondiscendenza della monarchia francese. senza sfumature e lievi errori di prospettiva, fanno propendere verso l’attribuzione ad un Nel mutato quadro politico, dopo la granallievo. Altre immagini della Madonna erano de Battaglia, verso il 1530, i Trivulzio costruiaffrescate su questa parete. Una fu distaccata rono il nuovo santuario, articolato su tre livelli, e trasportata a Locate, in una apposita capcon due chiese sovrapposte l’una all’altra, ed entrambe all’originale cappellina della fonte. pella, presso la chiesa parrocchiale di San Vittore. Qualche autore sostiene che la ricostruzione La chiesa superiore può contenere più di sia stata decisa in memoria d’un evento mi200 persone. Un porticato aperto precede racoloso, avvenuto nel 1522. Sopra l’altare l’ingresso e sul lato sinistro della facciata svetdella chiesa inferiore si trova un affresco che raffigura la Madonna col Bambino, di scuola ta il bel campanile. Al piano più basso, oggi parzialmente interrato, sul fondo della valle, leonardesca, recentemente restaurato. Non sono le vasche di raccolta dell’acqua. Le muabbiamo notizie dell’autore di quest’opera,
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La Madonna alla fonte di Locate rature visibili non appaiono più antiche del 1400. Si sono conservate tracce di aperture e di affreschi, fra i quali una Madonna col bambino, che si può scoprire, attraverso un’apertura, sotto l’altare della chiesa inferiore, costruita al di sopra delle vasche. L’aspetto del santuario, subito dopo la costruzione cinquecentesca, è documentato nello sfondo dell’affresco leonardesco, sull’altare della chiesa inferiore. Al lato della Vergine si vede infatti riprodotto fedelmente, nel paesaggio, il fianco nord della chiesa, con i suoi piani sovrapposti, e il pendio del terrazzo fluviale del Lambro. Non sappiamo come fossero a quell’epoca le coperture originali della chiesa superiore, se di legno o a volte, perché al principio del sec. XVIII tutte le volte furono rifatte. Il santuario, con l’annesso convento, fu affidato dai Trivulzio alla congregazione dei Servi di Maria nel 1533, proprio nell’anno in cui il priore generale lanciava al mondo cattolico un appello per la ricostruzione della congregazione stessa. Così facendo, i Trivulzio rafforzavano il loro legame con il “cattolicissimo” impero di Spagna e contribuivano all’edificazione d’una cintura di santuari mariani, a circondare e proteggere Milano, come – ad esempio – la Madonna dei Miracoli di Treviglio e l’ampliamento dello stesso santuario di Caravaggio. Tale disegno era condotto da Ippolito II d’Este, arcivescovo di Milano dal 1519 al 1550, figlio di Lucrezia Borgia e perciò nipote del papa Alessandro VI. Nel 1741 i Servi di Maria progettarono un radicale rifacimento del santuario, con un secondo campanile che avrebbe dovuto affiancare la facciata ed un’alta e grande cupola, secondo i gusti dell’epoca, ma le opere non furono mai iniziate, almeno per quanto riguarda il complesso delle chiese. Solo l’adiacente convento ebbe una nuova sistemazione. Nella seconda metà del sec. XVIII l’Ordine dei Servi di Maria fu soppresso nei territori austriaci, sotto Giuseppe II, poi in Francia e nel resto d’Italia. Nel 1799 i beni del convento di Santa Maria alla Fonte divennero di proprietà statale. In seguito il marchese Giorgio Trivulzio acquisì nuovamente per la propria famiglia il santuario con le proprietà annesse e la principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso
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Alberto Arecchi riaprì la chiesa al culto, nel 1842. Verso il 1930 il complesso del santuario, che versava in condizioni di scarsa manutenzione, fu sottoposto ad una serie di restauri con criteri stilistici, con il rifacimento in calcestruzzo di alcune colonne ammalorate del porticato d’ingresso e con la modifica di alcune finestre. Il santuario, con l’adiacente cascina, è stato vincolato come monumento soltanto nel 1993, dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali ed al Paesaggio di Milano. Nel 1999 è stata restaurata l’immagine principale della Madonna alla Fonte, dei primi anni del ‘500, affrescata sopra l’altare maggiore della chiesa inferiore. Il restauro dell’affresco leonar-
SEZIONE TRASVERSALE DEL SANTUARIO, CON TRE PIANI
desco, ad opera della restauratrice Francesca Cerri, figlia del proprietario della tenuta della Fontana, è stato in un primo momento avviato in modo “abusivo”, senza le necessarie autorizzazioni della Sopri Soprintendenza alle Belle Arti, ottenute solo in un secondo tempo. La Madonna è riapparsa nella sua eleganza originale, ripulita di corone e drappeggi, una Madonna di più semplice fattura ma di grande valore pittorico. Il dipinto misura circa 90 centimetri di larghezza e un metro e venti di
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La Madonna alla fonte di Locate altezza e secondo gli esperti dovrebbe risalire al 1520, un anno dopo la morte di Leonardo. Ogni anno nel mese di giugno, in occasione della ricorrenza dell’Ascensione, la chiesa della Fonte è al centro d’una gran festa, durante la quale si svolgono celebrazioni religiose e una fiera che si estende dal centro di Locate Triulzi sino alla frazione. Rimane irrisolto il mistero di che cosa si possa trovare sotto la chiesa inferiore, al livello delle vasche dell’acqua, nelle fondamenta retrostanti, immerse nel terreno della scarpata. In quel luogo dovrebbero essere sepolte le vestigia della primitiva cappella costruita sulla risorgiva. Un enigma storico legato alla vita dell’uomo nella valle del Lambro, tra l’Antichità e il Medioevo. Qualora dietro le vasche si celassero effettivamente i resti di un più antico santuario, la Madonna della Fonte di Locate uscirebbe dal rango delle creazioni dovute alla “ragion di stato” per rientrare, a pieno diritto, nella rete di luoghi miracolosi della vasta pianura irrigua, con altri luoghi in cui, da tempi antichissimi, si è praticato il culto delle acque guaritrici, poi trasformatosi, in epoca cristiana, nella devozione alla Vergine, a San Giovanni o ad altri Santi taumaturghi.
Alberto Arecchi
LA VERGINE IN TRONO, AFFRESCO DI SCUOLA LEONARDESCA, DOPO IL RESTAURO.
Alberto Arecchi Messinese di nascita, pavese di adozione, è architetto e scrittore. Dal 1975 al 1995 ha vissuto e operato in Africa come esperto di cooperazione per lo sviluppo internazionale. Fondatore e presidente dell’Associazione culturale Liutprand, che cura in particolare pubblicazioni sul patrimonio storico e culturale del territorio pavese, con una grande apertura per le indagini “alternative”. Tra i suoi libri ricordiamo: Anonimo Ticinese e l’ultimo templare (EMI, 1988), La Maledizione di San Siro:
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La verità pericolosa (Liutprand, 1999), Il Tesoro dell’Antipapa nei sotterranei segreti della Certosa di Pavia (Liutprand, 2003), Racconti da due mondi (Liutprand, 2006) e...
Atlantide: un mondo scomparso un’ipotesi per ritrovarlo Liutprand, 2001 vai scheda libro >> Runa Bianca
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di Leonardo Melis Incontro e scontro tra Shardana e Egiziani
Sisara e il Cantico di Deborah tempo di lettura 12 minuti
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Sisara e il Cantico di Deborah
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abin, un re cananeo, che regnava in Asor e aveva per condottiero dell’esercito Sisara (un generale dei mercenari Shardana di stanza in Palestina per conto dei Faraoni, n.d.A.) che abitava in Aroset Goim, forte di 900 carri ferrati, oppresse duramente i figli d’Israele per 20 anni.... In quel tempo era Judice in Israele Deborah... giudicava le cause fra Rama e Bet-El sui monti di Efraim... Deborah andò con Barak in Qades, radunò Zabulon e Neftali, 10.000 combattenti”. A causa dello straripamento di un torrente, i carri di Sisara si impantanarono ed egli fu sconfitto. Ma nel Cantico di vittoria che segue alla battaglia, Deborah si lamenta: “E Dan perché se ne sta sulle navi?Aser ha preso dimora sul lido del mare e nei suoi porti vive tranquillo...” Cosa era accaduto? Deborah aveva cercato di radunare le tribù per scacciare i mercenari insediati nella regione di Manasse, presso il Monte Carmelo, ad Haroset Goim (ElAwaht?). Dan, però, fece orecchio da mercante, sia perché Sisara (Si-Shar) e i suoi erano Shardana, quindi loro fratelli, sia perché Israele si ricordava di Dan solo quando c’era da combattere. Con Dan, anche Aser si guardò bene dall’intervenire per le origini comuni (Aser era composta da Tjekker e da Shardana, una delle famiglie dominati era quella dei Shar e lo stesso nome della tribù contiene questo appellativo: A-sher). Vogliamo ancora rimarcare il fatto che Israele uscì dall’Egitto sotto la scorta dei mercenari Tjeker e Shardana, inclusi rispettivamente nelle tribù di Aser e Issacar i primi e nelle tribù di Dan e Zabulon i secondi. Prova ne sia il fatto che, una volta che queste tribù se ne andarono a Nord (verSTELE DI GUERRIERO so il Libano, dove erano BETHSAIDA
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stanziati altri Popoli del Mare), le sprovvedute tribù ebraiche cominciarono a buscarle dai vicini (soprattutto Pheleset - Filistei) e ci fu bisogno dei Judici per difendersi, anche perché i figli di Jacobbe poco avevano appreso di guerra durante l’Esodo, nonostante i racconti trionfalistici del libro di Josué. E la presenza di un esercito oppressore in Haroset Goim (El Hawat?), appena qualche lustro dopo la “conquista” della Terra Promessa conferma pienamente quanto sosteniamo. Intanto esaminiamo questa presenza di un esercito (forse) egizio in queste terre. Anzitutto crediamo sia giunto il momento di fare un tentativo per identificare la famosa cittadella di El Awhat (in Arabo: cumulo di pietre) che, a detta di molti studiosi, sarebbe “nuragica” per la sua struttura simile alle caratteristiche costruzioni disseminate a migliaia in tutto il territorio della Sardinia. Vediamo alcuni dati presi a prestito da quanto fornito sul sito web del prof. Adam Zertal e dalla sua equipe: • Il sito sta a 325 m. sul livello del mare, da cui dista 18 km. • Abitato per 50-60 anni e abbandonato nel 1180-60 a.C. circa. • Sono stati rinvenuti degli scarabei col cartiglio di Ramesse III e uno del XV secolo a.C. (Toth-Mose III) del tutto simili agli scarabei trovati a migliaia nelle città shardana di Tharros e Solky in Sardinia. Uno scarabeo filisteo. Un tappo di bottiglia a testa d’ariete del tipo usato in Egitto. • Nei pressi vi sono altri quattro siti similari. • Nessuna traccia di distruzione. • Area complessiva: circa 30.000 mq. • Muro di cinta spesso 5-8 m. e alto 4-6. CON CORNA DA • Capanne a copertura a
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Tholos (del tipo sardo). • Un forno fusorio del ferro. • La torre ritrovata (che ha fatto pensare ai nuraghes) 10x15 m. Ritrovate ceramiche di tipo “nuragico” (ma noi precisiamo: shardana). Frammenti di ceramica con decorazioni “a spina di pesce”, tipiche della Sardinia. Questa descrizione potrebbe indicare più di uno fra i siti citati dalla Bibbia, come: Ma-
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geddo, Tanak, Haroset Goim, Dor e Hasor. Per quanto riguarda Dor, sappiamo che era abitata dai mercenari Tjekker descritti nel poema di Wenamon. Pur essendo contemporanea ai fatti di Deborah, crediamo di poterla escludere, poiché si parla di un capo, Sisara, con nome tipicamente Shardana e nome facilmente rintracciabile in Sardinia. Naturalmente non escludiamo che ci fosse alleanza fra i due gruppi, poiché insieme avevano scortato Israele nel deserto e insieme avevano conquistato la Palestina ai tempi di Josué. Hasor è nominata dalla Bibbia nel libro di Deborah. Il Sacro Testo afferma che Jabin regnava in Hasor. Hasor è troppo a Nord rispetto ad Al Awat ma il suo condottiero, Sisara, abitava in Aroset Goim e aveva a disposizione 900 carri da guerra falcati. Werner Keller, nel suo “La Bibbia aveva ragione”, cita Mageddo (Megiddo) come una sorta di città-scuderia che poteva ospitare centinaia di cavalli e di carri: le famose stalle di Salomone(?) E a Mageddo esiste anche una torre di tipo “nuragico” semidistrutta. Mageddo era un’importante fortezza spesso menzionata per incredibili fatti storici. Ne citiamo alcuni, per appagare la curiosità del lettore e per stimolarlo alla ricerca e alla sua interpretazione su quanto stiamo proponendo: • 1460 a.C: TothMose III batte i Cananei e conquista la fortezza. 1150-1120 a.C. circa: Deborah e Barak sconfiggono Sisara nella valle di Mageddo. 1120-1110 a.C. circa: Gedeone vi sbaraglia i cammellieri madianiti. 1012-1004 a.C. circa: Saul è sconfitto dai Filistei. 609 a.C: Josia è sconfitto dal faraone Nekau. 1120 d.C. circa: i Templari costruiscono il
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Sisara e il Cantico di Deborah castello di Faba. • 1187 d.C. circa: i Templari sono sconfitti e cacciati da Saladino. • 1799 d.C. Napoleone batte 25.000 Turchi con una carica di cavalleria di 600 uomini. Concludendo, ci pare che Mageddo potrebbe essere la candidata numero uno quale fortezza di Sisara e dei suoi uomini, se non fosse sito tropo conosciuto dagli archeologi e ben definito il suo luogo, ancora oggi.
Leonardo Melis i terribili Shardana”, aveva solamente salvato il trono grazie all’intervento della guardia reale, composta da soldati Shardana. Questi soldati parlamentarono con gli assalitori e si giun-
La Bibbia cita Aroset Goim come residenza di Sisara e dei suoi soldati. Questo spiegherebbe perché la città risulta abbandonata e non saccheggiata. La sconfitta di Sisara avvenne altrove, il suo esercito fu annientato e, probabilmente, i superstiti si rifugiarono presso le tribù amiche di Dan e Aser e non tornarono mai ad Aroset Goim. Tanak è il posto dove DeboSISARA IL ROSSO E JAELE rah riunì le forze e dove si svolse la battaglia. Haroset Goim non se a un accordo, che andava bene a Egizi e doveva essere troppo distante. Haroset Goim Shardana. I quali Shardana poterono stabilirsi è El Awhat? Gli archeologi israeliani concoralla frontiera del Delta, presso la loro antica dano con quanto noi ipotizziamo. Abbiamo capitale. L’Egitto però aveva subito sconfitsentito il professor Zertal nel Museo Naziote molto gravi nelle province, soprattutto in nale di Cagliari (nel 2005 n.d.A.), e anche lui Palestina, dove perse del tutto la sovranità. I ammette di aver ipotizzato che El Awaht fosse Popoli del Mare, infatti, irruppero in Asia MiAroset Goim e soprattutto che il nome Sisara nore tutto devastando e passando a fil di spanon è un nome comune in Palestina. Zertal non riesce a dare una spiegazione plausibile da gli abitanti. Da Ugarit a Sidone, Tiro, Biblos, Atthusa… tutto fu cancellato. In Palestina fu a questa presenza dei Shardana in Palestina. identico scenario, la stessa Jerico fu rasa al Ma i nostri lettori hanno già capito che noi suolo dalle truppe dei P.d.M. (ci dispiace per abbiamo invece questa spiegazione. Qualle “Trombe” di Josueh). La stessa Qadesh e cuno (lettore) l’aveva comunque già intuito da quanto pubblicato in “Shardana i Popoli con essa Megiddo e altre fortezze furono conquistate. Questa sorte non riguardò, evidendel Mare” (nella VI Edizione) a proposito di El temente, Aroset Goim, dove erano insediati Awaht = Aroset Goim. Vediamo allora perché mercenari Shardana. L’apparato militare deSisara e i suoi guerrieri shardana occupavano scritto dalla Bibbia ci fa pensare a una guarnila fortezza di El Awaht. Ramesse III, che andava vantandosi di gione ben attrezzata e, probabilmente, rifornita da un grande sovrano: il faraone. Come avere “Sconfitto per la prima volta nella storia
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per Atene in Grecia, così per Aroset Goim, i e le città del regno cosiddetto di Israele eraP.d.M. concessero l’onore delle armi e la forno composte da Kananei mischiatisi ai Popoli tezza fu risparmiata. I mercenari shardana, del Mare arrivati con l’invasione del 1200. Inormai indipendenti (e senza stipendio), si diesomma, Sisara e i suoi, e Jabin stesso erano dero subito da fare per trovare un altro datore sempre “loro”. Come lo erano quelli di Dan di lavoro e lo trovarono abbastanza facilmene di Aser. Logico che non intervenissero nella te, a quanto ci racconta la Bibbia. ”Jabin, un re battaglia contro Sisara. cananeo, che regnava in Asor e aveva per conLa “Travolgente vittoria” cantata da Debodottiero dell’esercito Sisara, che abitava in Arorah ha avuto bisogno dell’intervento Divino set Goim, forte di 900 carri ferrati, oppresse duper essere giustificata. Stiamo infatti parlanramente i figli d’Israele per 20 anni....” Abbiamo do di un esercito, quello di Sisara, composto già spiegato ampiamente perché Dan e Aser non parteciparono alla battaglia essendo, Sisara e i suoi, gente della stessa stirpe dei P.d.M. Nel Cantico di Deborah si esalta Jaele come “Benedetta fra le donne”. Noi condanniamo senza appello l’azione di questa donna, che non era Ebrea e non aveva alcuna ragione per agire come agì. Per di più era la moglie di un amico di Sisara e Jabin. Sisara, in fuga dopo la disfatta dovuta allo straripamento di un torrente che travolse i suoi carri, arrivò presso la tenda di JaCARRO DA GUERRA 1350 A.C. ele. Sisara contava sulla legge sacra dell’ospitalità. Ma da professionisti che avevano militato per Jaele, spinta dalla paura o dalla speranza di i faraoni d’Egitto. Sappiamo anche che era una ricompensa da parte degli Ebrei vincitori, quanto di meglio si trovava in fatto di soldaprima offrì a Sisara una ciotola di latte, segno ti di professione. Erano cinquemila ed erano della massima ospitalità, ma quando Sisara si dotati di 900 carri ferrati. In pratica un intero addormentò tranquillo, “gli piantò un puntello reparto di “panzer”. Pur se Deborah aveva racnella tempia”. Il “Datore di lavoro” dei 5000 mercenari colto circa 20.000 uomini, si trattava di contadini e pastori delle montagne, già terrorizzati comandati da Sisara era un principe kananeo dalle precedenti scorrerie di Sisara. dice la Bibbia. Kananeo di dove, di quale citQuesti soldati dovevano fare impressione tà? Noi ci ricordiamo di una città, Lahis, che su chi li osservava da vicino. Armati delle ticambiò il nome in Città di Dan. Da queste parti sono stati trovati numerosi reperti che piche corazze in bronzo lucente, elmi cornuti, scudi torchiati e spadoni del tipo illustrato confermano la presenza dei Shardana: statue, nelle pareti di Medinet Abu e ritrovate in sarsteli, scritte…La città non è distante dal mare. dinia nella “Tomba dei Principi” a S. Iroxi, presPensiamo però che Jabin potesse benissimo so Cagliari, ove sono esposte nel Museo Aressere un principe di Tiro o Sidone o qualsiasi altra delle città erroneamente chiamate “fecheologico. Sono quelle della foto a fianco. E in più avevano una folta capigliatura… rossa! nicie”. Sappiamo ormai che le città kananèe
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Sisara e il Cantico di Deborah Di quel rosso o biondo fulvo tipico dei Popoli del Mare. Del Rosso Mose, del rosso Juseppe, o del biondo Achille, il biondo Menelao, il rosso David.. i rossi Daniti… La Verità è che per una di quelle sventurate avversità che spesso nella storia hanno sconfitto grandi condottieri e dato la vittoria a generali di scarso valore, una di quelle avversità piombò come un fiume in piena sugli uomini di Sisara. Anzi era proprio un torrente (il Kison) in piena gonfiato oltremisura da un autentico uragano che si scatenò durante la battaglia. Un torrente di montagna che travolse i carri e li rese inservibili per il combattimento. A quel punto gli uomini di Sisara, pur valorosi, si trovarono uno contro cinque. Cinquemila contro ventiquattromila per essere precisi. La conclusione è ancora più amara, per la fine che fece Sisara, tradito dalla moglie di un suo amico che violò la più sacra delle regole: quella dell’Ospitalità. Una regola che Sisara, uno Shardana, credeva inviolabile. Fu invece questa regola violata da una “benedetta fra tutte le donne”, come la Bibbia definisce Jaele, moglie di Eber il kenita amico di Sisara. Questa poco affidabile signora accolse Sisara che cercava scampo al massacro e lo avvolse in una coperta dopo avergli offerto una ciotola di latte (segno della sacra ospitalità). Quando Sisara, fiducioso e sentendosi al sicuro, si addormentò, la brava Jaele, preso un martello e un picchetto della tenda e glielo piantò nella tempia. La cosa bella è che la Bibbia si cura di annotare che “Vi
Leonardo Melis È noto per essere autore di alcuni saggi sui Popoli del mare, gli Shardana. Ha presenziato un centinaio di conferenze ed interventi su questo tema che considera trascurato dalla storiografia ufficiale, soprattutto in Italia. Insieme al matematico Nicola de Pasquale ha sviluppato un’interpretazione delle pintaderas (o Arrodas de tempus) come calendario della civiltà nuragica, in analogia a quelli di altri popoli dell’epoca. Tra i suoi libri ricordiamo: Shardana: I popoli del mare
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Leonardo Melis era pace tra Jabin e Eber il kenita”. Un tradimento della peggior specie! Oltretutto Jaele non era ebrea e non aveva alcun motivo se non il tradimento per uccidere l’amico del marito. Dal cantico di Deborah si intuisce il tradimento e l’azione malvagia anche se parzialmente mascherata dalle lodi: “A chi chiedeva il latte, in un piatto principesco presentò la panna. Ma la sinistra impugnò il piolo, la sua destra il martello da fabbro” Quanto aggiunge dopo il testo ci piace ancora meno: “Affacciata alla finestra la madre di Sisara sospirava: perché tarda a venire il suo carro? Una sua ancella risponde: Certo raccolgono e dividono la preda, una fanciulla, due fanciulle per ogni guerriero… un vestito, due vestiti per Sisara...” il Cantico quindi aggiunge: “Così periscano tutti i tuoi nemici o Signore!”, quasi compiacendosi del dolore della Madre di Sisara. Gli uomini di Sisara e lui stesso avevano l’armamento tipico dei Shardana rappresentati nei bronzetti trovati in Sardinia e in tutto il Mediterraneo. A differenza dei popoli della Palestina e degli stessi Judei, invece del falcetto in uso da queste parti, avevano le spade a cuneo tipiche dei guerrieri rappresentati a Medinet Abu e Abu Simbel. Usavano di sicuro anche le altre numerose armi che noi abbiamo identificato e rintracciato in Egitto e Sardinia. Mazze, boomerang, archi a doppia curvatura, scudo rotondo ed elmo con le corna. Oltre al carro da guerra, di cui abbiamo un modellino in bronzo esposto al Museo Archeo di Cagliari. (PTM Editrice, 2002), Shardana: I principi di Dan (PTM Editrice, 2005), Shardana: I calcolatori del tempo (PTM Editrice, 2008), Shardana: I custodi del tempo (PTM Editrice, 2008), e infine...
Shardana: Jenesi degli Urim PTM Editrice, 2010 vai scheda libro >>
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di Francesco Arduini Forma, illuminazione e galleggiamento
L’Arca di Noè
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a parola ( תבהtevàh) compare ventotto volte in tutto l’Antico Testamento. Per ben ventisei volte, l’agiografo utilizza questo termine per identificare l’imbarcazione costruita dal patriarca Noè. E Dio disse a Noè: «[…] Fatti un’arca di legno di gofer; fa l’arca a stanze, e spalmala di bitume di dentro e di fuori. E la farai in questo modo: la lunghezza dell’arca sarà di trecento cubiti, la larghezza di cinquanta cubiti e l’altezza di trenta cubiti. Farai all’arca una finestra e la finirai con un cubito di copertura di sopra; di fianco all’arca metterai la porta, e la farai a tre piani, inferiore, medio e superiore» - Gen. 6:13 ss Se c’è un’immagine che la classica iconografia biblica ci ha trasmesso in maniera fallace, questa è senza dubbio collegata all’arca di Noè, di cui si parla nel libro della Genesi. Appoggiandoci unicamente alla descrizione biblica, cercheremo di capire quale fosse
Francesco Arduini pa. Secondo il racconto, essa non prevedeva alcun tipo di propulsione ma doveva semplicemente galleggiare sulle acque per preservare in vita i suoi passeggeri. Si trattava di un enorme cassone largo 50 cubiti, alto 30 e lungo 300. Genesi 3:15 חמׁשים אמה רחבה וׁשלׁשים אמה קומתה 30 50 שלׁש מאות אמה ארך התבה 300 A quanto corrispondeva il cubito? Questa misura esprimeva la distanza dal gomito alla punta delle dita, ed era equivalente a 6 palmi. L’archeologia ha stabilito che un cubito ebraico corrispondeva a 44,4 cm. Presso gli ebrei vi era però in uso anche un cubito lungo (7 palmi) corrispondente a 51,8 cm ed un cubito corto (5 palmi) corrispondente a circa 38 cm. Le dimensioni dell’arca, misurate secondo il cubito corto, risultano essere: • lunghezza 114,00 m • larghezza 19,00 m • altezza 11,40 m Secondo il cubito da 6 palmi, l’arca avrebbe invece avuto le seguenti dimensioni:
L’ARCA DI NOÈ, SECONDO LA DESCRIZIONE BIBLICA, DIMENSIONATA CON IL CUBITO LUNGO, ARROTONDATO.
la sua reale forma, quali le dimensioni e le peculiarità che la caratterizzavano, e questo a prescindere dal fatto che essa sia mai stata realmente costruita, o meno. Vedremo come, anche se fosse rimasta solo nello stilo dell’agiografo, avrebbe comunque mantenuto inalterato tutto il suo “carico” di enigmaticità.
Forma La prima cosa che è necessario chiarire è che l’arca non aveva né una prua né una pop-
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• lunghezza 133,20 m • larghezza 22,20 m • altezza 13,32 m
mentre, se la misurassimo secondo il cubito lungo, le dimensioni sarebbero: • lunghezza 155,40 m • larghezza 25,90 m • altezza 15,54 m Sempre secondo la narrazione biblica, all’interno dell’arca dovevano essere previsti tre ponti, presumibilmente ad una distanza di dieci cubiti uno dall’altro. Su ogni ponte dovevano essere costruiti dei “compartimenti” ( קנים- cfr Gen 6:14 ss) e l’intera struttura do-
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Galleggiamento
PROBABILE POSIZIONE DELLO TSÔHAR
veva essere bituminata dentro e fuori. L’arca sarebbe poi stata completata “un cubito verso l’alto” con uno tsôhar ()צהר.
Tsôhar: illuminazione e aerazione Secondo il Grande Lessico dell’Antico Testamento (VII:540), la parola tsôhar, di etimologia incerta, è strettamente connessa a contesti indicanti il “mezzogiorno” e alla posizione del sole nel punto più alto della volta celeste ( lo zenit). Così, nel libro biblico di Giobbe (11:17) si può leggere: più del sole meridiano splenderà la tua vita, l’oscurità sarà per te come l’aurora Lo “splendore del sole meridiano” è espresso dal termine ומצהריםla cui radice trilittera è sempre tsôhar. Secondo alcuni, si tratterebbe di un’apertura alta un cubito posta sul punto più alto di tutta la struttura, una sorta di lucernaio che si sviluppava lungo il tetto, sulla linea di colmo. Prove effettuate su modellini in scala hanno evidenziato come questo tipo di apertura sarebbe stata ottimale per l’illuminazione di tutti e tre i ponti. Avrebbe altresì favorito il ricambio d’aria: l’aria calda ascendeva fuoriuscendo dallo tsôhar, nel contempo l’aria fresca scendeva permettendo quindi un riciclo continuo.
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Anche i meno esperti notano quasi subito come il rapporto fra altezza e larghezza dell’arca di Noè (3:5) corrisponda a due numeri della famosa sequenza di Fibonacci; in altri termini, la sezione traversale tende a quello che viene definito un rettangolo aureo approssimato mediante la successione di Fibonacci. Con questo tipo di sezione, proviamo a schematizzare cosa sarebbe accaduto in caso di rollìo dell’arca. Maggiore è l’altezza metacentrica (G-M) e più grande è la coppia raddrizzante (G-G’). Più grande è la coppia raddrizzante e più stabile è l’imbarcazione. Ne consegue che, con le debite approssimazioni dovute alle numerose variabili indefinite dal racconto biblico, sembra che l’arca si sarebbe potuta capovolgere solo a seguito di un’inclinazione superiore ai 90°. Che il libro della Genesi dimensioni la sezione dell’arca con misure che l’avrebbero resa così stabile, è quantomeno sorprendente se paragonate alle misure che, ad esempio, vengono indicate nell’epopea di Gilgamesh, dove leggiamo: “Ecco le misure del battello, così come lo costruirai: che la sua larghezza sia pari alla sua lunghezza […] ogni lato del ponte misurava cento e venti cubiti e costituiva un quadrato.” Proviamo a fare un raffronto schematizzando un’imbarcazione come quella descritta
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nell’epopea sumerica. Con la coppia raddrizzante pari a zero, l’arca di Utnapishtim (figura sumerica corrispondente al Noè biblico) si sarebbe capovolta al minimo movimento ondulatorio dell’acqua. …dovendo ipoteticamente imbarcarci su una delle due, direi che la scelta sarebbe alquanto scontata. Un’altra curiosità sulla quale ritengo interessante soffermarmi è quella indicata dal rapporto di 1 a 6 fra la larghezza e la lunghezza del biblico vascello: 50 cubiti larga e 300 cubiti lunga. In un papiro egizio, datato attorno al 2200 a.C., si legge la storia di un marinaio naufrago che si imbarcò su una nave così descritta: andai per mare
su una nave
120 cubiti lunga 40 larga
Un rapporto quindi di 1 a 3. Se da questa, e altre testimonianze, c’è permesso trarre delle conclusioni in merito alle tecniche di “ingegneria navale” del terzo millennio a.C., direi che siamo abbastanza lontani dalla conoscenza dei rapporti dimensionali che doveva possedere Noè e la sua famiglia, che secondo l’autore biblico vissero nel medesimo periodo. Se consideriamo solo navi atte a solcare il mare, e quindi tralasciamo piccole imbarcazioni da fiumi, il rapporto di 1 a 6 è praticamente unico per imbarcazioni “cargo” di quel periodo. Ma se spostiamo la nostra attenzione all’epoca moderna, notiamo ancora una volta delle curiose coincidenze. Consultando il sito navale della marina mi-
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litare americana, all’indirizzo: www.navy.mil/ navydata/ships/lists/shipalpha.asp vengono elencate le seguenti navi cargo MV CAPT STEVEN L. BENNETT (T-AK 4296) • lunghezza: 687 piedi • larghezza: 100 piedi • rapporto larghezza/lunghezza… 1/6,87 USNS BIG HORN (T-AO 198) • lunghezza: 677 piedi, 6 pollici • larghezza: 97 piedi, 6 pollici • rapporto larghezza/lunghezza… 1/6,97 USNS JOHN ERICSSON (T-AO 194) • lunghezza: 677,5 piedi • larghezza: 97,5 piedi • rapporto larghezza/lunghezza… 1/6,95 L’elenco prosegue ed è chiaramente molto lungo, ma il rapporto larghezza/lunghezza è indicativamente quasi sempre lo stesso. Se consideriamo che l’arca, al contrario di queste navi, non aveva una poppa né una prua, il suo rapporto dimensionale è tremendamente vicino a quelli che sembrerebbero essere gli standard odierni. Allo Scripps Institute of Oceanography, in California, sono state effettuate delle simulazioni su un modello in scala dell’arca di Noè, constatandone la incredibile stabilità anche di fronte alle onde più imponenti. La conclusione raggiunta è che il racconto biblico sembra descrivere un vascello-cargo con proprio le misure ideali ed idonee per affrontare il mare aperto. È possibile fare ancora qualche riflessione
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L’Arca di Noè sul galleggiamento dell’arca. Una ricostruzione attendibile della sua forma esterna e delle sue pareti divisorie interne porterebbe il volume del legno utilizzato a 11.250m3. Sappiamo che il peso specifico del legno varia, a seconda del tipo e della sua umidità, tra 400 e 800 Kg/m3. Ipotizziamo un valore medio di 500 Kg/m3 (peso specifico del cipresso). Allora il peso varrebbe:
Francesco Arduini sta linea di galleggiamento, quanto carico si sarebbe potuto imbarcare? 150 x 25 x 7,5 = (5.625.000 + X) / 1.000 da cui si ricava X = (150 x 25 x 7,5) x 1.000 5.625.000 = 22.500.000 Kg = 22.500 tn Pertanto, con la linea di galleggiamento pari alla metà dell’altezza, si sarebbe potuto imbarcare un carico di persone, animali e cose pari a 22.500 tonnellate!
11.250m3 x 500 Kg/m3 = 5.625.000 Kg = 5.625 tn La spinta archimedea si calcola moltiplicando la densità dell’acqua di mare (assumiamola pari a 1.000 Kg/m3) per il volume del corpo relativo alla parte immersa. Questa spinta, diretta verso l’alto, deve uguagliare il peso del corpo. Cioè, in formule: 1.000 Kg/m3 x V1 = 5.625.000 Kg, da cui si ricava il volume della parte immersa V1 = 5.625.000 / 1.000 = 5.625 m3. La parte immersa dell’arca è un parallelepipedo di dimensioni arrotondate pari a 150m (lunghezza) x 25m (larghezza) x hI (altezza dal fondo alla linea di galleggiamento). Considerando l’arca vuota di persone, animali e cose, la sua linea di galleggiamento sarebbe: 150 x 25 x hI = 5.625 m3 da cui hI = 5.625 / 150 x 25 = 1,5 m. Quindi, per effetto del solo peso dell’arca vuota, la linea di galleggiamento è di 1,5 metri. Adesso facciamo un’ipotesi ragionevole e cioè che la linea di galleggiamento scenda a livello di 7,5 metri ovvero la metà dell’altezza dell’arca (una simile ipotesi sembra, tra l’altro, giustificata da passi quali Gen 7:20). Con que-
Francesco Arduini Laureato in scienze storico religiose, da anni studia le diverse problematiche legate alle narrazioni bibliche. Già vice-presidente dell’associazione scientifico-archeologica Narkas, ha tenuto conferenze in Italia e all’estero relazionando su diverse tematiche legate ai misteri del passato. Ha collaborato con Voyager, Archeomisteri, ScienzaeConoscienza, Hera, Fenix, diversi eMagazine e portali di informazione. Il suo sito è www.francescoarduini.it. Tra i suoi libri ricor-
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Conclusione Da chi ha speso anni e ingenti risorse nella ricerca dell’arca di Noè, nella convinzione che sia realmente stata costruita, a chi la considera niente più che un mito, si è tutti d’accordo nell’affermare che la storia del Diluvio Universale (tra l’altro presente in centinaia di culture sparse per tutto il globo) affascina e continuerà ad affascinare l’immaginario collettivo ancora per molto tempo. Una cosa è certa: chiunque abbia ispirato i dettagli di questo racconto, sembra fosse intenzionato a lasciare un ricordo di sé paragonabile a quello di un grande Progettista. Bibliografia consultata: • Sandars, N.K. (a cura di), L’epopea di Gilgames, RCS ed., Milano, 1996. • AA.VV., Grande Lessico dell’Antico Testamento, ed. Paideia, Brescia, 2007. • Balsiger, D., Sellier, C., Miraculous Messages, Bridge-Logos, Alachua, 2008. • Hobrink, B., Modern Science in the Bible, Howard Books, New York, 2011. diamo: Il battesimo dei bambini: un’ipotesi sulle origini (Aracne editrice, 2010) e...
Sulle tracce di Noè TerreSommerse, 2011
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di Moreno Tambellini Un pò di chiarezza intorno alla loro varietĂ
Le razze aliene
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Le razze aliene
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Moreno Tambellini
l primo obiettivo di questo lavoro è quello di cercare di fare un pò di chiarezza intorno alla caotica e variegata questione delle cosiddette “razze aliene”; non un lavoro dalla veste pseudo-scientifica, ma un’esposizione sullo stato dell’arte di tale controverso argomento. È sicuramente una tematica già di per sé ostica e apparentemente incomprensibile, ma anni di esperienza e studio della casistica ufologica mondiale ci insegnano che effettivamente esseri alieni al nostro mondo ci hanno fatto e ci fanno tutt’ora visita con scopi ancora del tutto sconosciuti. Una costante di questa “invasione” aliena distribuita su tutto il pianeta è sicuramente l’apparente assurdità di un fenomeno: sembra infatti che ogni singolo incontro ravvicinato con questi esseri sia una storia a sé stante. Molto difficilmente si possono trovare nella casistica due o più casi aventi le stesse caratteristiche o gli stessi identici dettagli, e ciò ha contribuito non poco a creare confusione e scetticismo. Va detto altresì che tale legge sembra non valere riguardo alla questione delle “abductions”, ossia dei presunti rapimenti da parte degli alieni (o meglio di alcuni tipi di alieni), dove i soggetti addotti riferiscono agli investigatori di creature aventi prevalentemente le sembianze dei grigi (con tutte le loro varie sottocategorie) o dei nordici. Suggestione collettiva o sconcertante realtà? Una domanda alla quale cerchiamo da tempo di dare una risposta. In questi ultimi sessant’anni si è cercato di inquadrare questi esseri in classificazioni ben precise, per renderne lo studio ancora più accurato e definito; ma non sempre ciò è stato facile.
Le classificazioni Fin dall’inizio del mio interesse verso la tematica ufologica, mi sono sempre chiesto quante razze componessero effettivamente il variegato pantheon delle civiltà aliene che più o meno regolarmente, almeno in questo mezzo secolo (ma ovviamente da molto più tempo), ci hanno fatto visita a bordo dei loro stupefacenti mezzi volanti, che noi comunemente definiamo UFO. Innanzitutto separerei la definizione di “razza” da quella di “tipologia” aliena, spesso fraintese: nel primo caso, infatti, ci si riferisce evidentemente al tipo somatico e biologico dell’essere che ci troviamo a valutare; nel secondo, invece, dobbiamo considerare la tipologia di caratteristiche che tale essere denota esteriormente e che mostra occasionalmente al testimone di turno, compreso dunque il suo abbigliamento o altri accessori in suo possesso. La casistica ci mette a disposizione un’immane mole di dati: in tutto il pianeta si sono verificati innumerevoli incontri con questi esseri alieni. Fare qui ed ora una disamina che comprenda tutti questi casi sarebbe decisamente difficile, quasi impossibile. Va detto però che, nel corso di questi anni, i vari studiosi si sono più volte spinti a tentare di classificare o inquadrare le tipologie di volta in volta rilevate con schemi spesso discussi e discutibili. Famosa, ad esempio, è la classificazione che fece nel 1970 lo studioso brasiliano Jader U. Pereira: in base a 333 segnalazioni, egli elaborò un suo personale schema, catalogando gli alieni in ben dodici categorie, tenendo conto non solo del loro aspetto fisico ma anche del loro abbigliamento e quindi anche delle loro caratteristiche esteriori. Più recente è la tassonomia
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Le razze aliene elaborata da Brad Steiger, che propone una suddivisione in quattro formati: Alfa, (esseri di bassa statura), Beta (esseri simili agli umani), Gamma (esseri dotati di una peluria molto vistosa), Delta (esseri dotati di una fisionomia molto diversa da quella umana). Io stesso, nella stesura del libro “Alieni in Italia”1, ho indicato almeno sette categorie, che più avanti elencherò con maggior precisione. Pertanto in questo articolo non mi avventurerò solamente nel proporre le cosiddette “razze” aliene ma, come ho anticipato, elencherò anche le tipologie entro le quali si possono a ragione includere gli esseri visti ed incontrati almeno qui sul nostro territorio nazionale; è infatti decisamente impossibile accogliere in una classificazione precisa tutte le effettive “razze” che si sono presumibilmente manifestate fino ad oggi sul nostro pianeta. Farò questa operazione confrontando la nostra casistica italiana con quella internazionale, ma come vedrete le differenze non sono cosi evidenti, anzi, si potrebbe tranquillamente indicare una linea guida entro la quale inserire questi esseri, perché, bene o male, presentano tutti le stesse caratteristiche salienti. Va però detto che un errore nel quale cadono spesso i ricercatori e in modo particolare quelli di ultima generazione è quello di identificare le razze aliene esclusivamente con quelle che i vari addotti dichiarano di aver incontrato nel corso dei loro presunti rapimenti. Provate, ad esempio, a sfogliare una qualsiasi rivista (non quella che state ora leggendo) del settore ufologico o le pagine dei molti siti web dedicati a tale argomento: vi troverete sicuramente davanti a innumerevoli liste, elenchi, graduatorie che mostrano le tipologie aliene presenti sul nostro pianeta, e tutte, ma dico tutte, riportano le solite quattro o cinque categorie facenti capo esclusivamente ai racconti dei “rapiti”. In alcuni casi addirittura si limitano a tre, citando essenzialmente i grigi, i nordici e i rettiliani. Da notare che, tra queste, ne è stata vista consapevolmente solo una: le altre due appartengono unicamente alla fenomenologia delle “abductions”, con tutti i risvolti psicologici che ciò comporta. 1) “Alieni in Italia”, Ed. Mediterranee, Roma, 1996
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Moreno Tambellini Quale è dunque il messaggio che passa? Il messaggio è: “Cari signori, le razze aliene sono queste!” Ora mi domando e Vi domando, ma possibile che si possa dare per certo che quelle razze sono le uniche ad aver visitato il nostro pianeta? Possibile che si sia ormai accettata passivamente l’idea che le razze aliene di fatto siano solo quelle? Anzi, soprattutto quelle? Se chiedete ad un bambino delle elementari di disegnarvi un alieno, state certi che rappresenterà un essere dalle sembianze di un grigio, tanto è il condizionamento mediatico in atto: ormai anche l’industria dei giocattoli costruisce pupazzi alieni solo con quelle caratteristiche. In pratica si dà per scontato che i racconti di presunti rapimenti fatti dai soggetti, sotto ipnosi regressiva o con altre metodologie, siano il vangelo, il Santo Graal della ricerca ufologica. Veramente pazzesco! Ritengo (e per fortuna non solo il solo) che ci si stia avviando decisamente su una strada sbagliata, mettendo a repentaglio anni e anni di onesta ed efficace ricerca e catalogazione in favore di speculazioni che ancora non trovano prove concrete a loro sostegno. Ma procediamo con ordine. Tanto tempo fa, quando fu chiesto al famoso scienziato Albert Einstein a quale razza lui appartenesse, rispose con un sorriso dicendo “..ma a quella umana!…..” Una risposta apparentemente banale ma, se letta nel contesto del suo tempo, decisamente rivoluzionaria. Una risposta che ha insito un chiaro ed esplicito manifesto: la Terra è abitata da esseri umani di una sola razza, quella umana. Allora, partendo da tale assunto, possiamo elaborare il nostro discorso sulle razze del cosmo.
Quante razze? Se ci basiamo sulla definizione classica che diamo al termine “razza”, possiamo estrapolare direttamente dalla relativa voce presente su Wikipedia il seguente elaborato, che riporto integralmente: “ Il pur permanente utilizzo
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Le razze aliene del termine razza è scientificamente non fondato in ambito zoologico, in particolare quando esso venga impropriamente applicato anche alla specie umana, in riferimento alle caratteristiche morfologiche ben definite presenti nelle varie etnie, sviluppate per adattamento am-
Moreno Tambellini la conseguenza di un pool genico residuo molto ristretto. Sono state formulate varie spiegazioni per questo ipotetico collo di bottiglia, tra cui una delle più note al pubblico dei non addetti ai lavori è quella della Teoria della catastrofe di Toba.
INSIEME DI IMMAGINI RIGUARDANTI GLI ALIENI NEL CINEMA
bientale e selezione. Tale classificazione, largamente basata sui tratti esteriori, non trova tuttavia riscontro a livello genetico, a meno di non frammentare enormemente la popolazione, formando infiniti (indefiniti) raggruppamenti. L’attuale variabilità genetica della specie umana è estremamente bassa. I genetisti Lynn Jorde e Henry Harperding dell’università dello Utah hanno suggerito che la variazione interna alla specie del DNA umano è piccolissima se comparata con altre specie e che, durante il Tardo Pleistocene, la popolazione umana fosse ridotta a un piccolo numero di coppie genitoriali – non più di 10.000 – con
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In relazione alle specie naturali, in genere, il termine razza è quindi desueto, soprattutto quando la specie è diffusa nel territorio senza soluzione di continuità; in particolare, nella sua accezione scientifica e moderna, non è applicabile ad una specie geneticamente omogenea come quella umana, come esplicitato nella dichiarazione sula razza (UNESCO 1950). Gli studi genetici hanno infatti dimostrato la distribuzione clinale dei caratteri nel pianeta e l’assenza di veri e propri confini biologici; per questo motivo il termine razza è praticamente scomparso dalla terminologia scientifica, sia in antropologia biologica che in genetica umana. Quelle che in passato erano comunemente
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Le razze aliene definite “razze” – come la bianca, la nera o l’asiatica – sono oggi definite “tipi umani”, “etnie” o “popolazioni”, a seconda dell’ambito sociologico, antropologico o genetico nel quale esse vengono considerate.” 2 Da questo breve estratto si può facilmente capire quanto Einstein avesse ancora una volta ragione, e di fatto chiunque di noi, a parte le dissertazioni biologiche relative al DNA, può facilmente vedere come le linee principali delle nostre fisionomie sono pressoché identiche ad ogni latitudine, solo con leggere variazioni dovute inevitabilmente all’evoluzione e alla necessaria adattabilità della nostra specie in riferimento alle aree geografiche di appartenenza. Ma per un attimo fingiamo di essere noi degli alieni e di vederci arrivare in giardino tre esseri provenienti dallo spazio a bordo dei loro bizzarri moduli volanti, con su scritto questi strani simboli: “NASA”, “ESA” e 中国国 家航天局 ossia “CNSA” (l’ente spaziale cinese). Da un modulo vedremmo scendere un essere alto e dalla pelle nera, seguito da un altro essere un pò più basso dai capelli biondi e dalla pelle bianca, e da un altro di bassa statura con pelle gialla e occhi a mandorla. Immagineremmo sicuramente di trovarci di fronte a tre razze aliene distinte, non penseremmo mai che tutti e tre gli esseri provengano dallo stesso pianeta: unici indizi che potrebbero farci pensare una cosa del genere sarebbero i componenti tecnologici, come il modulo di atterraggio o la tuta spaziale, necessariamente vincolati allo stesso livello di sviluppo tecnologico, risultando molto simili tra loro. 2) Tratto da http://it.wiki pedia.org/wiki/Razza
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Moreno Tambellini Come possiamo dunque capire se noi qui, sulla Terra, ci troviamo di fronte a una o più razze aliene? Difficile capirlo ma, come ho detto, è comunque possibile tentare una classificazione in funzione dei resoconti riferiti dai testimoni. In fondo, come ho cercato di spiegare sopra, anche noi, qui sulla Terra, abbiamo una varietà tipologica di esseri umani davvero sorprendente. Alcuni ricercatori più spregiudicati e tronfi del loro presunto “sapere” si sono spinti perfino a citare il nome della probabile stella o del pianeta di provenienza di questi alieni, ma ogni commento in merito è del tutto superfluo e lascio a voi giudicare la reale attendibilità di certe affermazioni. La realtà è che ne sappiamo ben poco, e su questo “ben poco” dobbiamo necessariamente costruire le nostre ipotesi e le nostre considerazioni, nonché le nostre basi di studio e ricerca. E, in questo senso, seri e preparati ufologi hanno prodotto libri che sono divenuti vere e proprie pietre miliari dell’ufologia, come Charles Bowen con il suo “Gli Umanoidi” o i coniugi Coral e Jim Lorenzen con “Gli Uranidi” e John A. Keel con “Creature dall’Ignoto”, solo per citarne alcuni tra i più “vecchi”. Partendo da questo principio analizziamo la casistica internazionale. Come disse a suo tempo il celebre ufologo Aimé Michel, la multiforme immensità dei dati riferibili alle segnalazioni di esseri alieni ci apre una dimensione che si potrebbe definire “fiera dell’assurdo”. Definizione quanto mai azzeccata, se si pensa all’innumerevole quantità di descrizioni riferite ad esseri dalle fattezze e caratteristi-
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che totalmente difformi l’una dall’altra. Ed in effetti, come ho detto in tutti questi anni (almeno dal 1947 ad oggi), sono pochissimi i casi in cui si può associare più di un evento per uguaglianza di caratteristiche o particolari. Si può dunque affermare, senza tema di smentita, che le “razze” che ci hanno visitato sono sicuramente innumerevoli (come del resto lo sono le stelle del cielo e i possibili pianeti che ad esse ruotano intorno), ma si può comunque tentare una sommaria classificazione, elaborando delle definizioni-base sulle quali lavorare: vediamo quali potrebbero essere, secondo la nostra modesta esperienza. 1. Umanoidi: esseri dalle LE SEI RAZZE ALIENE sembianze tipicamente umane, con pelle di colore variabile proprio come quella di noi terrestri. In quelette, o meglio ad una sorta di evoluzione di sta categoria possiamo inserire anche i cotali insetti. La loro altezza varia da 1,90 m. a siddetti nordici, definizione che identifica le 2,30m. sembianze di questi alieni, molto simili alle 4. Rettiliani: la loro altezza varia da 1,90 popolazioni che abitano nel nostro nord Eum. a 2,00 m., hanno la pelle squamosa come ropa: carnagione chiara, capelli biondi, occhi quella dei rettili, sono a sangue freddo, anfibi, verdi o azzurri, molto alti, esseri incontrati di e potrebbero essere inseriti in questa specie frequente dai contattisti. Anche i misteriosi anche i Dargos del caso Zanfretta. M.I.B. (Uomini In Nero) rientrerebbero in que5. Animali: sono inclusi in questa categosta sezione. ria gli esseri con caratteristiche decisamente 2. Grigi: questa categoria comprende di“animali” (almeno secondo i nostri canoni), verse sottospecie: ne fanno parte i classici come gli stessi Chupacabras, gli esseri ricoesseri di piccola statura che sarebbero i diretperti da peluria come gli Yeti o il Big Foot. Opti responsabili dei rapimenti. Un esempio di pure gli esseri alati visti a Taranto nel 1945, o grigio è rappresentato dal caso Santilli footalo stesso Uomo Falena. ge: la loro pelle è appunto grigia, sembra non 6. Bio-Robot: questi esseri sono assimiabbiano organi di riproduzione sessuale, né labili ad individui con caratteristiche miste, traccia di ombelico. Vi sono poi grigi alti, sul metà biologici e metà meccanici. Secondo genere di quelli incontrati da Strieber, e grigi alcuni anche gli alieni rinvenuti all’interno “orange”, cosi definiti dal colore dorato della del disco caduto a Roswell, dalla fisionomia loro pelle. Alcuni ricercatori pensano addiritesteriore di tipo grigio, erano di questo tipo. tura che si tratti di esseri bio-meccanici. In questa categoria potremmo inserire anche 3. Insettoidi: una razza decisamente ini cosiddetti umanoidi volanti, o almeno alcuni solita, come descrive bene il termine, molto di essi. simile ai nostri comuni insetti come le caval-
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Quanti tipi? Diverso invece si fa il discorso riferito alle tipologie di alieni. Infatti è lecito pensare che un nostro astronauta non venga catalogato su un altro ipotetico pianeta come Scafandrato ma bensì come Umano o Umanoide; ma è altrettanto evidente che, se l’ipotetico abitante di quel pianeta non vedrà il nostro valoroso astronauta come realmente è all’interno della sua tuta, non potrà certo classificarlo in relazione alla sua razza di appartenenza: è evidente che non è l’abbigliamento a definirla ma ben altre caratteristiche. Ebbene, la stessa cosa capita a noi: sono infatti moltissimi i casi in cui si sono LE SETTE TIPOLOGIE ALIENE NAZIONALI TRATTE DAL LIBRO ALIENI IN ITALIA registrati incontri con alieni scafandrati, ratteristiche del tutto uguali alla razza umana cioè racchiusi all’interno della loro tuta e dei (almeno esteriormente): vi sono dunque casi quali si è ignorata la vera fisionomia. Come come quelli dei biondi venusiani di Adamsky classificarli allora? o di Siragusa, altrimenti definiti nordici, ma Una possibile risposta potrebbe essere anche altri, forse meno conosciuti, come il quella di una semplice classificazione per ticaso Cadau, avvenuto a Bologna nel 1962. pologia estetica, che sarebbe in grado di anB. Umanoide: classificazione che comdare a supportare la più ortodossa distinzioprende tutti quegli esseri che posseggono ne razziale. In questo senso, ho a suo tempo caratteristiche decisamente simili alla nostra elaborato una mia personale tipologia, riferita specie: una testa, un tronco, braccia, gambe, in particolare alla casistica nazionale, ma che pur con tutte le difformità del caso; variare si potrebbe applicare senza difficoltà alcuna dall’avere o meno naso, bocca, orecchie, dita a tutta la casistica mondiale. Vediamo di cosa in numero superiore o inferiore a cinque e si tratta. così via. Qui possiamo inserire gli umanoidi A. Umano: sotto questa definizione si del tipo grigio o sottospecie similari come i possono inserire quelle specie che hanno ca-
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casi classici di Kelly - Hopkinsville (1955), di tempo fa “apparizioni”, ossia esseri che si maCennina (1954) o di Gallio (1978). nifestano non tanto fisicamente ma in forma C. Scafandrato: vengono compresi in di proiezione (appunto del genere che noi questa sezione tutti gli umani, umanoidi o oggi possiamo definire olografico), in questa animali dotati di una tuta, con o senza appaforma si possono evidentemente manifestare rente respiratore; sono considerati tali tutti gli tutte le categorie sopra elencate. Casi tipici esseri che utilizzano un casco che impedisce possono essere quelli di Roma del 1980, o di di avere una visione completa del loro volto. Verona del 1962. Si presume altresì che tale casco (con tuta), serva loro a respirare un composto diverso dal nostro ossigeno, segno questo che ne indicherebbe una provenienza sicuramente aliena al nostro pianeta, e dunque una conformazione fisiologica basata su altre fondamenta evolutive. D. Animale: una categoria che comprende tutti gli esseri aventi caratteristiche molto simili a quelle dei nostri comuni animali; ad esempio il famoso Chupacabras si inserisce a buon titolo in questa sezione. Vi sono poi gli esseri con sembianze “rettiloidi” o “scimmiesche” CLASSICA IMMAGINE DI UN ALIENO DI TIPO GRIGIO come il mitico Bigfoot o lo Yeti, o ancora gli esseri alati del tipo osservato a Taranto nel 1945, o gli inquietanti uomini falena degli Stati Uniti. Conclusioni E. Robot: esseri dall’apparente funzionalità meccanica o biomeccanica, privi di vita Concludendo questa breve riflessione vorcosì come noi comunemente la intendiamo; rei mettere in evidenza come, casualmente esempi tipici di questa categoria sono state o meno, nella casistica italiana non risultino le creature incontrate dal pittore Johannis evidenti rapporti riguardanti incontri ravvicinel 1947 a Raveo (UD), i robot di Lirio, o gli nati del terzo tipo (classificazione coniata dal stessi esseri del crash di Roswell. Sono altresì compianto Prof. J.A. Hynek) con entità di razza propenso a identificare sotto questa voce gli grigia, di fatto nessun testimone (salvo rarissiesseri dalle sembianze antropomorfe meglio mi casi ancora da valutare) ha mai dichiarato conosciuti come umanoidi volanti, visti fredi aver visto coscientemente esseri con quelle quentemente negli ultimi anni anche in Italia. caratteristiche. Cosa ci deve far pensare tutto F. Esotico: in questa classe si inseriscono questo? tutti quei casi in cui il testimone incontra esCredo che ciò possa mettere in dubbio la seri decisamente insoliti e non classificabili reale esistenza di questa razza e di quelle ad nelle categorie sopra esposte, creature non essa collegate (eccezion fatta per quella noraventi caratteristiche comunemente identidica, già presente nei contatti dei primi anni ficabili con ciò che conosciamo: ne possono cinquanta, e dei rettiliani, più volte visti anessere esempio i casi di Monte Bondone o che nel corso di incontri del terzo tipo, anche Flatwoods. qui in Italia). Ma allora, da cosa nasce questo G. Ologramma: anche definiti fino a poco mito? Possibile che centinaia di persone in
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ogni angolo del mondo dichiari di aver incontrato questi esseri? Potrebbe trattarsi di una copertura? Potrebbero essere ricordi indotti tendenti ad orientare l’immaginario collettivo? In fin dei conti si tratta solo di ricordi di memorie nascoste e qualcuno potrebbe davvero aver instaurato nelle menti dei soggetti umani questo incredibile mito, ma per quale motivo? Con quali scopi? Su questo forse sarà meglio tornare con un ulteriore approfondimento. Concludendo mi limito ad osservare, ripetendolo fino alla nausea, come almeno qui in Italia non esistano testimonianze dirette e concrete circa la presenza di alieni di tipo grigio osservati da testimoni in condizioni di realtà oggettiva. Questa è solo una mia congettura personale, ma ritengo che sia sufficientemente supportata da dati effettivi e documentabili.
• Gli Uranidi, C.&J. Lorenzen, Ed. Armenia. • Alieni in Italia, Moreno Tambellini, Ed. Mediterranee. • Ufo in Italia, Autori vari, tutta la serie. Ed. Tedeschi e UPIAR. • Contattismi di Massa, Stefano Breccia, Ed. Nexus. • Antropologia degli Alieni, Centini, Ghezzo, Tacchino, Ed. MEB. • L’Ufonauta, Chiumiento, Rizzon, Ed. Scantabauchi. • Incontri del Quarto Tipo, Gianfranco degli Esposti, Ed. Olimpia. • Homo Saurus, Sebastiano Di Gennaro, Ed. Cartografica. • Luci nella notte: UFO Il caso Zanfretta, Rino di Stefano, Ed. Alkaest. • Visioni, Apparizioni, Visitatori Alieni, Hilary Evans, Ed. Armenia. • Progetto Italia 3. Catalogo dei casi italiani del terzo tipo, Paolo Fiorino, CISU. • Prigionieri di un UFO, John Fuller, Ed. Armenia. • Intrusi, Budd Hopkins, Ed. Armenia. • Rapiti, John E. Mack, Ed. Mondadori. • Breve storia degli alieni, Roberto Pinotti, Ed. Bompiani. • Contatti con gli extraterrestri, Roy Stemman, Ed. Rizzoli.
(Tratto dal Notiziario UFO n° 171 su concessione dell’autore) • Bibliografia essenziale: • Gli Umanoidi, Charles Bowen, Ed. Mediterranee. • Creature dall’ignoto, John A. Keel, Ed. Fanucci.
Moreno Tambellini Nato a Lucca nel 1958. Interessato sin dall’infanzia ai temi dell’insolito e del mistero, nel 1971, dopo essere rimasto affascinato dalla serie TV UFO, fonda con un amico il Gruppo Ricerche Ufologiche SHADO. Con tale gruppo realizza mostre fotografiche, conferenze, convegni (Il Convegno Ufologico Toscano è ormai giunto alla sua 11^ edizione), inchieste e collaborazioni con la storica Sezione Ufologica Fiorentina (S.U.F.), a suo tempo curatrice delle rubriche ufologiche de Il Giornale dei Misteri. Pubblica anche varie inchieste ed articoli su riviste di settore come lo stesso Giornale dei Misteri, UFO Notiziario o UFO Magazine. Inoltre partecipa a trasmissioni radio e televisive ed allestisce e sviluppa da ormai più di
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trent’anni progetti ed esperimenti di tipo ufologico. Ha conosciuto personalmente i principali nomi storici dell’ufologia internazionale. Attualmente ricopre l’incarico di segretario del Gruppo SHADO e fa parte attiva nel Centro Ufologico Nazionale con la carica di Consigliere Nazionale. Il suo primo volume è stato “Alieni in Italia” Edizioni Mediterranee, Roma, 1996. Recentemente ha dato alle stampe il suo secondo libro sulla tecnologia aliena, contenente l’aggiornamento Alieni in Italia.
Alieni in Italia Edizioni Mediterranee, 1996 vai scheda libro >> Runa Bianca
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di Fulvia Cariglia g Il grande spettacolo delle nostre memorie
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uando si dice della diffusa credenza secondo la quale, pochi attimi prima di morire, scorra alla vista tutto il proprio passato o gran parte di esso, è di “visione panoramica” che si sta parlando o, con un termine anglosassone oggi comunemente adottato, di life review. Si tratta di un fenomeno perlopiù riscontrato nell’ambito di quel particolarissimo e complesso stato di coscienza che è l’NDE e consiste nella straordinaria opportunità di rivedere gli eventi di cui si è stati protagonisti, proprio come se si stesse guardando un film, senza peraltro poterne ignorare sentimenti ed emozioni. Le numerose testimonianze registrate ci parlano di gradite rievocazioni o di invisi replay relativi a sofferenze conosciute, ma mai di incongruenze con la realtà già vissuta; anzi, semmai della rievocazione di episodi ormai dimenticati e ritornati alla mente d’improvviso con l’occasione. L’evenienza appare dunque come un’operazione di magia, il suo svolgersi è simile a una favola, e non stupisce che sia il motivo conduttore della più famosa ghost story della letteratura, uscita dalla penna di Dickens1; come, probabilmente, è per le sue caratteristiche di ammaliante sortilegio che è stata ispiratrice dei quadri finali di un famosissimo film2. Ma racconti o pellicole di successo sul tema mai potranno eguagliare l’intensità con cui una life review viene sperimentata in prima persona, sia per la sorpresa di riconoscersi protagonisti di quelle immagini, sia per le riflessioni del tutto personali cui quelle immagini inducono. 1) Ci riferiamo qui al racconto noto con il titolo il Canto di Natale di Charles Dickens, storia di un vecchio avaro egoista e insensibile resosi conto dei suoi sbagli a seguito dell’esperienza di una completa life review. Cfr. Charles Dickens, A Christmas Carol, Chapman & Hall, London 1843; trad. it. Ballata di Natale, di E. Grazzi, in I racconti di Natale, Oscar Mondadori, Milano 1990. 2) Cfr. American Beauty, un film del 1999 cui sono stati assegnati cinque premi Oscar.
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“All’istante mi paralizzai e per breve tempo non provai alcun desiderio di salvarmi. In quel momento scene vivide del mio vissuto passarono in un lampo nella mia mente, come in un film […]. Gli eventi che apparivano erano quelli importanti, anche se alcuni li avevo dimenticati e altri, sgradevoli, li avevo deliberatamente accantonati. Nel contempo ebbi esperienza delle sensazioni che avevano accompagnato in origine questi eventi, come se li stessi rivivendo”3. “[…] Contemporaneamente ebbi uno sguardo retrospettivo della mia vita. Era come un film multidimensionale […]. E in questa panoramica vidi la mia vita passata con un’oggettività, una chiarezza che sarebbe impossibile avere nel corpo fisico e sotto l’influenza della propria personalità. Studiai la mia vita, i 33 anni che avevo vissuto in una linea all’indietro, e giudicai me stessa […]”4. “[…] Fu allora che assistetti al film più spettacolare della mia vita: rividi a tre dimensioni e a colori tutta la mia esistenza fino a quel giorno, nei minimi dettagli. Ogni singolo atto di egoismo mi faceva pensare, ogni parola detta male, ogni gesto aveva3) Cfr. Russel Noyes – Roy Kletty, Depersonalization in the face of Life – Threatening Danger: An interpretation, in “Omega”, 7 (2), 1976, p. 104. 4) Dichiarazione resa pubblicamente da Machteld Maria Blickman durante i lavori del VII Congresso internazionale di studi delle esperienze di confine, San Marino 30 maggio – 1° giugno 2003.
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Life review no la loro importanza”5. Queste sono dichiarazioni rilasciate da persone rianimate che, tra le diverse fasi della propria esperienza di premorte, possono annoverare quella della life review, non frequentissima ma neppure troppo rara. Pur non interessando la totalità dei resoconti NDE, infatti, il fenomeno della visione panoramica è stato sufficientemente testimoniato da permettere una classificazione di massima dei diversi modi con cui si esplica.
Come e quanti Per quanto le modalità di esplicazione si differenzino da caso a caso, il materiale finora raccolto consente di tracciare uno schema ragionevolmente conforme alla realtà in merito alle diverse forme in cui si manifesta una visione panoramica che, salvo qualche personalizzazione comunque ininfluente al quadro complessivo, può avvenire: • in senso cronologico anterogrado, a ritroso nel tempo o in ordine sconclusionato; • secondo una normale progressione o nel suo insieme e in maniera simultanea; • relativamente all’intera vita in dettaglio o soltanto a importanti segmenti di essa; • evocativa di fatti ma anche delle impressioni emotive a essi collegate, sia proprie sia di altre persone coinvolte; • tramite immagini tridimensionali o piatte, a colori o, più raramente, in bianco e nero, quasi sempre vivide e solo in qualche caso offuscate; • a velocità normale, lenta o fortissima, ma anche con passaggi rallentati o pause; • proiettata su uno schermo, riprodotta intorno al soggetto o fluita dalla mente • con una visione che scorre o attraverso figurazioni fisse come diapositive; • osservata in solitudine o alla presenza di un Essere superiore, come di generiche figure religiose, che sovrintendono all’esame delle visioni o addirittura lo sollecitano. 5) Testimonianza rilasciata direttamente all’Autrice dal dottor Angelo Giordano.
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Fulvia Cariglia Ma se è vero che non tutti coloro che giungono ad un passo dalla morte, e ne riemergono in possesso di tutte le proprie facoltà fisiche e psichiche, sono portatori di una storia di NDE, altrettanto è vero che non tutti coloro che ne attraversano il percorso sperimentano il singolare riaffiorare mnemonico in una delle qualsiasi modalità sopra elencate. La maggior incidenza del “ritorno alla vita passata” è registrata nel campione esaminato dall’importante agenzia di indagini demoscopiche Gallup, che la attesta al 32% 6. Tale stima è suscettibile di obiezioni, dati i limiti del questionario proposto, il quale più genericamente si proponeva di indagare sull’opinione in merito alla vita dopo la morte utilizzando domande aperte, e sono senz’altro da considerarsi più plausibili le percentuali rilevate in studi più mirati e senza dubbio più accreditati scientificamente. Ne proponiamo una sintesi: • • • • • •
Noyes e Kletti 29%7 Greyson e Stevenso 27%8 Kenneth Ring 24%9 Stevenson e Cook 13%10 Pim van Lommel 13%11 Michael Sabom 3%12.
6) Cfr. George Gallup – Williamo Proctor, Adventures in immortality: A Look Beyond the Threshold of Death, Mc.Graw-Hill, New York 1982. 7) Cfr. Russel Noyes – Roy Kletti, Panoramic Memory. A response to the Threat of Death, in «Omega», 8, 1977, pp. 181-94. 8) Cfr. Bruce Grayson – Ian Stevenson, The Phenomenology of Near-deathexperiences, in «American Journal of Psychiatry», 137, 1980, pp. 1193-96. 9) Cfr. Kenneth Ring, Life at Death: A Scientific investigation of the Near Death experiences, Coward, McCann & Geoghegan, New York 1980. 10) Cfr. Ian Stevenson – Emily Williams Cook, involuntary Memories During Severe Physical illness or injury, in «The Journal of Nervous and Mental Disease», 183, 1995, pp. 452-58. 11) Cfr. Pim van Lommel, Near-Death experiences in Survivors of Cardiac Arrest: A Prospective Study in the Netherlands, in «The Lancet», 358, 15 dicembre 2001, pp. 2039- 2045. 12) Cfr. Michael Sabom, recollection of Death. A medical investigation, Harper and Row, New York 1982, pag. 206. Trad. it. Dai confini della vita, Longanesi, Milano 1983.
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Valori disparati, questi, che ancora una volta pongono l’accento sulla varietà della casistica in argomento e la molteplicità qualitativa dei singoli campioni di volta in volta presi in esame. I ricercatori sembrano tuttavia essere piuttosto concordi sulla maggior frequenza di life review nelle NDE esperite in casi di annegamento, risultante invece assai minore quando l’esperienza di premorte avviene per tentato suicidio; è inoltre opinione comune che, salvo rarissime eccezioni, vi sia assenza di visione panoramica negli specifici vissuti dei bambini. Relativamente alla variabile della consapevolezza della morte imminente, infine, questa sembra essere altamente significativa al fine del prodursi del fenomeno13. Dobbiamo questi dati all’impegno di pochi studiosi che hanno rivolto uno sguardo un po’ più attento all’accadimento della visione panoramica, sebbene non così privilegiato come l’evento meriterebbe per l’eccezionalità che rappresenta e il valore dell’analisi psicologica che consente. In tutta l’ampia letteratura moderna sull’NDE, infatti, è rinvenibile ben poco di specifico: qualche articolo su riviste specializzate, paragrafi di libri, una sola ricerca mirata; e, a quanto ci risulta, un solo testo ASCESA ALL’EMPIREO, BOSCH interamente dedicato a questa affascinan14 te tappa del percorso della premorte . Eppure la storia di un interesse culturale nosciuto da sempre, e per ovvie ragioni sceper la life review, sebbene rappresentata da gliendo qui di non considerare quell’interesse tre sole pubblicazioni, ha inizio quasi 120 che vi hanno riservato le discipline esoteriche anni fa. nell’ambito della speculazione iniziatica, si può affermare che il primo vero richiamo forte a porre attenzione al tema quale evento Vecchie storie di insoliti testimoniabile sia contenuto in un articolo di “Amarcord” Albert Heim, datato 189215. Era costui uno stimato professore di gePosto che non possiamo scartare l’ipoologia dell’università di Zurigo il quale, al di tesi, assai probabile, che il fenomeno sia colà dell’impegno professionale per cui è ancor 13) Cfr. Russel Noyes – Roy Kletti, The Subjective response to Life-Threatening Danger, in «Omega», 9, 1979, pp. 313-21. 14) Cfr. Fulvia Cariglia, rinascere dal passato, Oscar Mondadori, Milano 2011.
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15) Cfr. Albert Heim, La morte per caduta, in «Luce e Ombra», 3, 1987, pp. 245-52. Si tratta dell’unica versione in lingua italiana di un articolo pubblicato dal Bollettino del Club Alpino Svizzero nel 1892.
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Life review oggi ricordato16, coltivò nella vita due grandi passioni personali: la montagna e lo studio degli stati modificati di coscienza in prossimità della morte. Egli era infatti uno scalatore provetto e, quanto alla seconda delle sue attività predilette, aveva di che argomentare sulla base sia della propria esperienza personale sia della significativa aneddotica da lui raccolta in oltre 25 anni di indagine. Infatti, dopo essere stato protagonista di una rilevante esperienza NDE, fenomeno che alla fine dell’Ottocento ancora non aveva questo nome ma non era del tutto sconosciuto, fu talmente colpito da quanto sperimentato su sé stesso che si dette ad una puntuale ricerca di materiale sull’argomento. In contrasto con la sua formazione scientifica ne elaborò poi i dati in maniera assai empirica, ma la sua opera di precursore di questo genere di indagine rimane particolarmente apprezzabile per aver posto l’accento sulla life review. Molti dei suoi intervistati gliene avevano riferito, né c’è da pensare che lo studioso abbia fatto fatica a credere ad una simile “stramberia”, dal momento che egli stesso ne aveva avuto diretta esperienza. “Poi, come su un palcoscenico, vidi tutta la mia vita passata in innumerevoli immagini: io stesso ero l’attore principale. Tutto era come trasfigurato da una Luce celestiale e tutto era bello e senza dolore, senza paura e senza angoscia. Anche il ricordo delle esperienze tristi era nitido, tuttavia non malinconico. Non c’era lotta né contrasto alcuno; anche il contrasto era divenuto amore. Pensieri elevati e concilianti dominavano e collegavano le singole immagini, e una pace divina pervadeva la mia anima come musica stupenda17”. Una tanto paradisiaca atmosfera - relativa alla life review come all’intera sua esperienzafu certamente alla base dell’entusiasmo che 16) Albert Heim (1849-1937) si è particolarmente distinto per le sue ricerche sulle Alpi e i fenomeni glaciali nelle regioni alpine. Autore di un trattato di geologia tuttora considerato un classico, è ricordato anche per essere stato il primo a sorvolare le Alpi in mongolfiera con finalità scientifiche. 17) Cfr. Albert Heim, op. cit.
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Fulvia Cariglia colse Heim nel collezionare casi simili, tant’è che nella conferenza da lui tenuta al Club Alpino Svizzero (sul cui Bollettino fu poi pubblicata) egli premise che la disamina dei casi che si accingeva a presentare gli avrebbe permesso di mostrare come, nel contesto di incidenti comunemente ritenuti spaventosi, si verificassero al contrario situazioni psichiche di estrema pace e serenità. Non sappiamo se i soci del Club lo presero sul serio ed ebbero modo di commentare all’esterno, ma è probabile che non si sarebbe forse mai avuta notizia del suo lavoro sperimentale se, quattro anni dopo, questo non fosse stato evidenziato dal francese Victor Egger18, il quale decise di dire la sua sul fenomeno della visione panoramica e di farlo dalle pagine dell’allora prestigiosissima «Revue Philosophique». L’articolo di Egger, finora mai tradotto in lingua italiana, ebbe pertanto una discreta diffusione ed è comunque da considerarsi il primo di tipo sistematico comparso nella letteratura scientifica. Intitolato “Le moi des mourants” (L’io dei morenti), proponeva un’analisi degli strani accadimenti più volte testimoniati che prescindesse da impressioni personali e, soprattutto, che tenesse conto delle caratteristiche individuali dei soggetti. Ed è perentorio l’autore quando afferma che «i fatti meravigliosi non devono essere ammessi in psicologia se non sono assolutamente provati. Stabilita la loro autenticità, solo quelli che sono indubitabili meritano che ci si impegni in seguito a farne la teoria o, come si dice, a esplicarli»� Dichiarandosi per nulla animato da scetticismo, Egger indica i suoi intendimenti nella volontà di richiamare l’attenzione dei lettori sulla questione della life review, con il preciso scopo di meglio stabilirne i termini e di stimolare osservazioni in merito. Un intento di chiarezza che evidentemente presupponeva un’esigenza ben poco sentita visto che, salvo un limitato e breve dibattito intercorso fra alcuni studiosi francesi, il lavoro di Egger ebbe 18) Victor Egger (1848-1909), psicologo ed epistemologo francese, fu docente di filosofia e psicologia presso la facoltà di Lettere dell’università di Parigi.
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Life review un’eco soltanto negli anni Trenta del Novecento quando, per non perdere occasione alcuna di poter sostenere la teoria spiritica, Ernesto Bozzano pubblicò autonomamente il saggio “Visione panoramica o Memoria sintetica nell’imminenza della morte”19. Di ferree convinzioni spiritiste, l’autore si rifece soprattutto a materiale reperito presso la letteratura di genere, ma non manca di attingere anche da Egger, sia per riprendere il “caso Heim” sia per opporsi alle spiegazioni, essenzialmente psicologiche, proposte dal filosofo francese. Nella sua trattazione su quel misconosciuto fenomeno che era la life review, disquisendo fra casistica e citazioni varie, Bozzano insistentemente gira intorno alla questione fino a dedurre, con il tono di chi non teme di essere smentito, che: «[…] quando si realizzino fatti di tal natura, si è condotti logicamente a ricercarne altrove la spiegazione; il che equivale ad ammettere che non si saprebbe spiegarli altrimenti che riconoscendo la loro origine genuinamente spiritica». Una sintesi lapidaria che non accetta contraddittorio, ma neppure tanta sicurezza in una affermazione così ardita sembra sia stata sufficiente a far uscire dall’ombra quella straordinaria divagazione della coscienza che è il vissuto della visione panoramica. Almeno per un bel pezzo, intendiamo, visto che ci sono voluti decenni perché si comprendesse che l’NDE meritava una ricerca a sé e, conseguentemente, che si affrontasse il tema di uno dei suoi elementi più particolari, fatto di memorie lontane ma anche di sensazioni presenti. 19) Cfr. Ernesto Bozzano, Indagini sulle manifestazioni paranormali, Tipografia Dante, Città della Pieve 1931. Bozzano (1862-1943) fu acceso sostenitore dello spiritismo ed esponente di fama internazionale della disciplina; di agiata famiglia genovese, dedicò l’intera vita a un’instancabile raccolta di casi e studi sulla fenomenologia paranormale. La sua imponente produzione letteraria, valutata in quindicimila pagine fra libri e articoli, è consacrata alla difesa della teoria della sopravvivenza.
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È infatti del 1995 la trattazione moderna più approfondita sul “ritorno” di gioie e dolori, pubblicata dagli psichiatri Stevenson e Cook su una importante rivista di neurologia20. Essa consiste nella dettagliata analisi dei diversi aspetti della visione panoramica che gli autori operano su 122 casi, 68 dei quali rinvenuti nella letteratura storica e 54 emersi da testimonianze reperite direttamente su un campione di ben 417 intervistati che avevano riportato esperienze inusuali riconducibili alle NDE. Coadiuvata dal suo gruppo di lavoro dell’università della Virginia, la coppia Stevenson-Cook ha così trattato con metodo scientifico il tema di simili “ricordi involontari”, indagandone la nitidezza, le alterazioni del senso del tempo, il tipo di progressione o la simultaneità, come la loro quantità relativa o la totalità di essi, nonché l’eventuale presenza di una fase giudicante in relazione ai comportamenti personali. Il circostanziato studio ci parla di un fenomeno di ampia varietà di espressione, già intuita come naturale peculiarità di esso e ora confortata dalla statistica, una varietà che non si finisce mai di scoprire finché si ascoltano le storie di chi l’ha vissuto. 20) Cfr. Ian Stevenson – Emily Cook, op. cit.
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Il “ritorno” di gioie e dolori «È stata una vera e propria operazione di magia! Quello che sai non può succedere è lì, davanti a te, e non puoi fare a meno di crederlo. […] spettacolare anche se non si fosse trattato di me, fantastico e folle […]»�. Così, semplicemente ma efficacemente, una testimone descrive l’eccezionale impressione di essersi rivista all’improvviso negli episodi del suo lontano passato, aver di nuovo percepito nel cuore le grandi contentezze dell’infanzia e le piccole delusioni dell’adolescenza. Nella sua life review ha ripercorso anche tutte le tappe dell’incidente che l’aveva portata allo stato di incoscienza lasciandola offesa nel fisico, ma emerge dal suo racconto soprattutto la gaia sorpresa di aver rivissuto, attimo per attimo, tutto l’impegno profuso nel tradurre una vita difficile in un’esistenza di successo e appagamento affettivo. Indubbiamente le peculiarità del carattere individuale influiscono molto sulla percezione dell’evento e sulla maniera di raccontarlo, ma non è comunque frequentissimo che l’esperienza sia accolta così positivamente; anzi, imponendosi al soggetto una valutazione dei propri atti, sono assai più probabili reazioni inducenti a malinconia, quando non ad una vera e propria sofferenza. “Fu allora che mi vidi o, peggio, mi vidi sapendo che ero io che mi stavo guardando. Venivano fuori, uno dopo l’altro dei pezzetti della mia vita. Mio figlio comparve in tanti brevissimi flash, da quando era piccolissimo fino a giovanotto, e tutto in una volta, nel tempo di un respiro, mi resi conto, soffrendone disperatamente, di quanto avevo influito sulla sua insicurezza, il suo timore di me, la sua ansia di non essere all’altezza di quello che io -gli dicevo sempreavevo costruito per lui. Non era vero, ora lo sapevo anch’io, ma non potevo entrare nel film a dirglielo, […] potevo solo guardare e struggermi”21. “Era come se vedessi la mia vita dall’inizio alla fine a velocità accelerata […] ci fu l’infan21) Cfr. Fulvia Cariglia, La luce e la rinascita, Mondadori, Milano 2009, pp. 198-99.
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Fulvia Cariglia zia, la giovinezza e così via fino alla mia esperienza di premorte, che ripercorsi. Vidi la mia vita, la rivissi un’altra volta. Tutto quello che avevo sentito lo sentii di nuovo, ogni taglio, ogni dolore, ogni emozione, e tutto ciò che apparteneva ad ogni fase della mia vita”22. C’è la gioia e c’è il dolore in queste memorie; ci sono emozioni e sentimenti, sia di appagamento sia di angustia, che ancor più sono sentiti in quanto costituiscono il “ripasso” esatto di momenti già vissuti. Il soggetto è al contempo protagonista e spettatore di scene alla cui vista non può sottrarsi, compartecipe appieno dei significati che esse esprimono, anche i più reconditi. La rivisitazione di quanto ha toccato profondamente il cuore, infatti, non è limitata alle percezioni soggettive, ché la life review sembra rendere giustizia di ogni azione in un gioco di scambi che richiama all’esortazione morale “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”: in essa, infatti, c’è un momento in cui tutto ciò che è fatto è reso, senza sconti né gratuite indulgenze ma, ciò che più conta, tutto è compreso nelle sue giuste proporzioni.. “Ho anche sentito come le mie azioni, o anche soltanto i miei pensieri, avevano agito sugli altri. Quando avevo giudicato qualcuno mi ritrovavo nella situazione di fare lo stesso. Poi il mio ruolo cambiava dal punto di vista dell’altro, e provavo come si erano sentiti gli altri a ricevere quel mio particolare giudizio”23. “Una moltitudine di azioni o pensieri originati dal mio egoismo, rabbia, meschinità, mancanza di bontà mi facevano sentire le conseguenti sofferenze delle altre persone. Sentivo tutto questo, anche se al momento in cui avevo fatto del male a qualcuno avevo scelto di ignorare come ciò li avrebbe feriti. E sentivo il dolore per tutto il periodo di tempo in 22) Cfr. Bernard Jacoby, wir sterben nie, Herbig verlagsbuchlandlung, München 2007; trad. it. Non moriamo mai, Armenia, Milano 2008, p. 32. 23) Cfr. Kenneth Ring – Evelyn Elsaesser valarino, Lessons from the Light, Insight Books, New York 1998; Trad. it. insegnamenti dalla luce, Edizioni Mediterranee, Roma 2001, p. 149.
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Life review cui avevano sofferto a causa delle mie azioni“24 “Ora sapevo quanto ero stata disonesta o avevo ingannato o fatto male a qualcuno. Sentivo dentro di me il dolore degli altri per l’inganno e il loro rifiuto, ma sentivo anche quello che era stato fatto a me tutte le volte che mi ero messa da parte” 25. La circostanza risulta quasi sempre sconvolgente, anzi, molti la dichiarano come un momento di sofferenza intollerabile: «Se esiste una cosa come l’inferno» scrive la Atwater, soggetto NDE divenuta studiosa dell’argomento «Per quanto mi riguarda, quello era l’inferno»�. Ma è un “inferno” che sembra valga la pena di attraversare, tale è il suo potere di far comprendere così compiutamente il meccanismo azione/reazione di ogni singolo gesto della nostra vita da indurre il protagonista a divenire il più severo giudice di sé e, riconosciute obiettivamente tutte le proprie mancanze, a desiderare di migliorare.
Come un’imprevista, proficua psicoanalisi Molti “ritornati” con life review, descrivendo gli effetti successivi all’esperienza, fanno spesso riferimento ad una procedura terapeutica paragonabile alla psicoanalisi. Ovvio che non è esattamente così, ma il parallelismo regge quando l’insieme del proprio modo di condursi viene rielaborato alla luce di una nuova consapevolezza, di un agire obiettivamente analizzato, proprio come quasi sempre accade a chi ha avuto la ventura di osservare se stesso da un punto di vista assolutamente 24) Cfr. Kennet Ring – Evelyn Elsaesser valarino, op. cit., p. 153. 25) Machteld Maria Blickman, La coscienza e il labirinto della vita, in Atti del VII Congresso internazionale di studi delle esperienze di confine, San Marino 30 maggio – 1° giugno 2003, pp. 89-97.
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imparziale. “Anni e anni di intensa psicoanalisi, del tipo più completo che può offrire una terapia esterna, non avrebbero mai raggiunto il risultato ottenuto da me provando in prima persona tutte quelle cose così rapidamente”26. “Vedi, se fossi andato da uno psichiatra o fossi rimasto in analisi per vent’anni, non avrei capito ciò che ho compreso adesso, perché ho dovuto riviverlo e farne nuovamente esperienza, e comprenderlo meglio e pienamente”27. “Mentre l’esame retrospettivo si svolge, acquisti una conoscenza totale. Sei un competente psicologo, un esperto psichiatra, uno psicoanalista e molto di più. Sei il tuo maestro spirituale28” L’accostamento, così concepito dagli stessi protagonisti dell’esperienza, è evidentemente in buona parte dovuto a quella che essi ritengono una sorta di guarigione da sentimenti di inadeguatezza ormai cristallizzatisi nell’animo o da reiterati modelli di comporta26) Cfr. Kenneth Ring - Evelyn Elsaesser valarino, op. cit. p. 106. 27) ibidem, p. 167. 28) Cfr. Sydney Salor Farr, waht Tom Sawer Learned from Dying, Hampon Roads, Norfolk 1993, p. 35.
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Life review mento che non possono più approvare. E come una paziente psicoanalisi riesce quantomeno a far individuare qualcuna delle ombre mentali all’origine dell’afflizione e di altri disagi, così molti soggetti con un vissuto di life review si sentono graziati di una terapia analitica che ha aperto loro gli occhi in pochissimi secondi; si sentono, in breve, psicoanalizzati, e con profitto. Certamente in nessuna parte dell’NDE, al pari di questa, affiorano elementi psicologici utili per la comprensione di sé e la revisione dell’approccio alla vita: il protagonista si trasforma nello specchio involontario di una storia che si snoda davanti ai suoi occhi quasi a sfidarne la capacità o il coraggio di riconoscersi in essa, ammetterla come propria, individuarne le valenze negative. Ed è come se gli venisse offerta la possibilità di annettere manchevolezze ed errori al proprio bagaglio personale come qualcosa che non può più essere cambiato ma che non deve ripetersi laddove è stato riconosciuto negativo, e che può anche essere accolto come uno strumento di crescita. Nel processo di trasformazione cui viene naturalmente sottoposta una persona che si sia trovata al limite della vita terrena, secondo un’opinione comune molto influisce l’aver sperimentato la vicinanza con la morte in termini forti e coinvolgenti; ove tale persona abbia percepito di sconfinare quei limiti attraverso un vissuto di premorte, a parere di alcuni autori, il cambiamento sarebbe soprattutto imputabile al potere di sconvolgimento interiore insito nella visione di una Luce pervasiva dai connotati divini. Ma rimane particolarmente motivante, ai fini di una consapevole analisi del proprio modo di essere e di agire, l’aver saputo fungere da esaminatori di sé stessi in una condizione in cui tutto sembrava ormai perduto e poi, per una imponderabile mossa della sorte, di nuovo messo in gioco. I soggetti NDE in generale, ma soprattutto se testimoni della life review, sono spesso anche i protagonisti di un sovvertimento dell’esistenza che poggia sulle particolareggiate indicazioni offerte dalla provvidenziale esperienza. Precisi fatti e specifici comportamenti
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Fulvia Cariglia si impongono nella visione panoramica a chi solo può comprenderne il reale significato; alludono, esortano, ammoniscono in un grande spettacolo delle memorie che non ammette defezioni. L’esame mette allora in condizioni di assegnare adeguato valore a “dettagli” che, immediatamente, smettono di essere tali per imporsi in tutta la sostanza delle loro conseguenze e, per averne lucida cognizione, non sarà necessario distendersi sul sofà di storica memoria freudiana. Un esprimente esempio in conclusione: nella sua drammatica life review un padre, generoso ma despota, rivede scene esattamente uguali a come le conosceva ma, questa volta, le sa interpretare attraverso il dolore causato. Soltanto davanti al film dei suoi giorni passati capisce di aver molto più tolto ai figli di quanto avesse loro dato, si giustifica dicendo di aver sbagliato senza saperlo ma non si assolve ora che sa di averlo fatto, ormai, senza rimedio. E la frase conclusiva della sua testimonianza potrebbe essere assunta a simbolo del capolavoro degli effetti riformatori del fenomeno: “Compresi allora, perché in quel momento lo provai su di me e tutto insieme, che non avevo mai avuto cognizione del male che causavo. Pregai che me ne venisse dato altro, di dolore, ancora di più, ma che ne venisse cancellato un po’ di quello che avevo fatto”29. Chiaro simbolo dei risultati straordinari cui si può giungere attraverso l’autoanalisi nella premorte, la preghiera -emersa prorompente dal cuore- di farsi infliggere ulteriori sofferenze pur di diminuire il peso di quelle provocate, è forse molto più di quanto si otterrebbe durante lustri di sedute psicoanalitiche. (Questa relazione è stata elaborata su materiale già utilizzato per la stesura del volume “Rinascere dal passato” di Fulvia Cariglia, Mondadori Milano 2011). Bibliografia • Atwater, P.M.H., Coming back to Life: The Aftereffects of Near-Death experience, Dood and 29) Cfr. Fulvia Cariglia, La luce e la rinascita, cit., pp.194-202.
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Mead, New York, 1988. Bozzano, E., indagini sulle manifestazioni paranormali, Tipografia Dante, Città della Pieve 1931. Cariglia, F., Territori oltre la vita, Mondadori, Milano 2003. Cariglia, F., La luce e la rinascita, Mondadori, Milano 2009. Cariglia, F., rinascere dal passato, Mondadori, Milano 2011. Cariglia, F., (a cura di), Atti del VII Congresso internazionale di studi delle esperienze di confine, San Marino 30 maggio - 1° giugno 2003. Dickens, C., The Christmas Books, Chapman & Hall, London 1952; trad it. I racconti di Natale, Oscar Mondadori, Milano 1990. Egger, v., Le mois des mourants, in “Revue Philosophique”, 21, I, 1896. Farr, S.S., what Tom Sawer Learned from Dying, Hampton Roads, Norfolk 1993. Fenwick, P., ed E., The Truth in the Light: An investigation of Over 300 Near Death experiences, Berkley Books, New York; trad. it. La verità nella luce, Herrmes, Roma 1999. Gallup, G. - Proctor, W., Adventures in immortality: A Look Beyond the Threshold of Death, McGrave-Hill, New York 1982. Heim, A., La morte per caduta, in “Luce e Ombra”, 3, 1987. Jacoby, B., wir sterben nie, Herbih verlagsbuchhandlung, Munchen 2007; trad. it. Non moriamo mai, Armenia, Milano 2008. Moody, R., The Light Beyond, Bantam Books, New York 1988; trad. it. La luce oltre la vita,
Fulvia Cariglia Laureata in sociologia, é psicologa e svolge da molti anni attività giornalistica e di saggista. Impegnata ricercatrice nello studio delle NDE, sull’argomento ha pubblicato numerosi articoli e tre libri, editi da Mondadori e con la prefazione di Raymond Moody: “Territori oltre la vita”, testo divulgativo sulla ricerca e l’aneddotica di tali esperienze; “La luce e la rinascita” ed il recentissimo “Rinascere dal passato”, dedicati agli effetti sulla vita successiva del soggetto. Dal 1997
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Mondadori, Milano 1989. Moody, R., A Life after Life: The investigation of a Phenomenon – Survival of Bodily Death, Mockingbird Books, Convington (GA), 1975; trad. it. La vita oltre la vita: studi e rivelazioni sul fenomeno della sopravvivenza, Oscar Mondadori, Milano 1997. Morse, P., - Perry, P., Transformed by Light, villard Books, New York. 1992; trad. it. Trasformati dalla luce, Armenia, Milano 1995. Noyes, R., - Kletti, R., Depersonalizzation in the face of Life-Threatening Danger: An interpretation, in “Omega”, 7 (2), 1976. Noyes, R., - Kletti, R., Panoramic Memory: A response to the Threat of Death, in “Omega”, 8, 1977. Pacciolla, A., ePM esperienze di premorte: fenomenologia e ipotesi interpretative, San Paolo, Cinisello Balsamo 1995. Ring, K., - Elsaesser valarino, E., Lessons from the Light, Insight Books, New York 1998; trad. it. insegnamenti dalla luce, Edizioni Mediterranee, Roma 2001. Sabom, M.B., recollection of Death, Harper and Row, New York 1982; trad. it. Dai confini della vita, Longanesi, Milano 1983. Stevenson, I. - Cook, E., involuntary Memories During severe Physicall illness or injury, in “The Journal of Nervous and Mental Disease”, 183, 1995. Van Lommel, P., Near-Death experiences in Survivors of Cardiac Arrest: A Prospective Study in the Netherlands, in “The Lancet”, 358, 15 Dicembre 2001.
organizza e coordina i prestigiosi Congressi Internazionali di Studi delle Esperienze di Confine che si tengono presso la Repubblica di San Marino. Vive e lavora a Firenze.
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di Hoseki Vannini E le sue emozioni sono pensieri divini
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ell’amore fisico il cielo va in pezzi e Tu partecipi all’incendio dei mondi, alla loro creazione. L’ unione del corpo e del cuore apre una porta sull’immensità.” “Dietro l’atto d’amore ci sono i mattini sereni e la trasparenza del mondo.” Dugpa Rimpoce Un’esistenza è veramente completa quando è improntata, in ogni suo passaggio, alla consapevole fruizione dell’amore, un amore che tutto informa e promuove e che, pertanto, comprende anche una serena ed appagante vita di coppia. Quindi la nostra esistenza terrena è completa quando è, altresì, allietata da un rapporto sentimentale che sappia far tesoro della sessualità. Come la comicità è considerata la sorella minore della tragedia, il sesso è considerato il fratello minore dell’amore, anzi il fratello negletto, se non addirittura il suo fratello sciagurato. La dicotomia sesso – amore si è, nel corso del tempo, trasformata in morbosità, in negazione o disconoscimento della facoltà espressiva dell’amore. È quindi doveroso trattare questo tema spinoso senza ipocrisie, se desideriamo imparare in cosa consista davvero amare. A maggior ragione, quando si vive tale emozione da una prospettiva spirituale, e dunque avulsa dai principi codificati del conformismo, è vitale essere sé stessi, riflettere ed agire in piena libertà. E poiché siamo, nostro malgrado, protagonisti di una civiltà abituata a giudicare l’esperienza umana secondo categorie concettuali mediate dall’autorità costituita che dividono, ghettizzano e separano per avere un controllo agevole del consenso civile, allora è decisivo assumere un atteggia-
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Hoseki Vannini mento di indagine consono soltanto ai dettami del cuore, in sintonia con un’idea che fa dell’amore un’esperienza totalizzante. Un percorso spirituale, pertanto, non è mai esaustivo se esclude dal suo contesto la fisicità, se si limita a dare forza ad un solo aspetto della nostra natura: l’essere umano è connessione indivisibile di corpo, mente e cuore, è un “unicum”. Nessuno è in grado di fare esperienza del mondo se esclude i suoi cinque sensi, ed ogni asceta, prima di scegliere la caverna dove dimorare, ha dovuto fare i conti con le ragioni del suo corpo. E noi, che asceti non siamo, ci vediamo ancor più costretti a misurarci con le nostre richieste fisiche. Ma il sesso è propriamente anche un’esigenza spirituale o semplicemente un momento a sé stante della natura carnale? Quali sono le implicazioni di una vita sessuale serena nell’evoluzione del nostro animo? Sin dalla notte dei tempi le Istituzioni civili, morali e religiose hanno fatto del sesso un innominabile e secondario aspetto di una fisicità da tenere sempre sotto vigile osservazione. In tal modo sono sorte credenze che tentavano di occultare o nascondere tale potenzialità umana, arrivando talora a dimostrarne la dannosità. Se poi, per ventura, si apparteneva al genere femminile, il discorso si faceva decisamente tabù! La moralità di una donna era valutata in rapporto alla sua ignoranza sessuale, alla misura in cui si mostrava completamente distaccata da questo aspetto di sé. Più era asessuata, meglio si adattava al ruolo di madre; la prorompenza della sua femminilità doveva essere mortificata per non diventare, sic et simpliciter, un degradato oggetto sessuale! Ancora oggi risentiamo degli effetti di tale idea distorta del sesso. Chi invece, coraggiosamente, si è spinto nel cam-
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L’amore parla attraverso il nostro corpo po della nuova Spiritualità, ha cercato di dare un taglio diverso alla nostra esperienza terrena, di coniugare la soddisfazione dei sensi con l’apertura del cuore, per accedere ad una condizione esistenziale migliore: ha cercato di comprendere il perché della supposta e innaturale dualità anima – corpo, arrivando a superarla e a capire le ragioni della loro unità inscindibile. A questo punto, appare inevitabile dar spazio anche ad un’indagine sulla sessualità che è apparentemente un importante aspetto fisico della vita amorosa. E, dato che tutte le teorie spirituali si concentrano sull’amore, su quel sentimento innato che, per ogni essere, significa crescita, evoluzione e arricchimento di sé, anche il sesso rientra a pieno titolo in tal disamina. Del resto l’amore, per quanto incondizionato, per quanto patrimonio del cuore, si rivela anche e soprattutto attraverso la fisicità: un bacio, una carezza, uno sguardo, un gesto di affetto non possono fare a meno del corpo. Che ruolo ha, dunque, quest’ultimo nell’esperienza d’amore? Quanto conta fra due esseri umani il contatto fisico, sia esso un amplesso o un semplice abbraccio? Paradossalmente, ciò che finora non si è ancora perfettamente compreso è che il sesso ha davvero poco a che fare, se non nelle sue superficiali manifestazioni esteriori, con la fisicità tout –court, ammesso che essa esista. Il sesso, quale propaggine esecutiva di un’emozione, in virtù di una connotazione spiritualmente olistica dell’amore, deve essere vissuto sia dall’anima che dal corpo, in un’armonica, indistinta sequenza. Esso è, dal punto di vista dell’amore incondizionato, un pensiero che appartiene all’anima quanto al corpo, e attraverso quest’ultimo espli-
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Hoseki Vannini ca la sua vera funzione: la comunione delle anime. Quando non è un semplice esercizio corporale, il sesso è un’emozione totalmente immateriale che può donare il suo messaggio più profondo solo in sintonia con i dettami dell’anima. Il sesso è apertura piena, fiducia, abbandono, è perdita del sé! Si possono avere rapporti sessuali fantasiosi, originali, più che completi, ma se non c’è dialogo fra le anime non saranno altro che esercizi di abilità. Per essere sensazione amorevole, comunicazione e comunione, il sesso va concepito dal cuore, va fatto con la mente, con l’immaginazione, e va vissuto prima dell’incontro dei corpi: deve già essere in noi nel momento in cui lo sguardo del Partner incrocia il nostro, e le nostre voci iniziano la danza del riconoscimento! Non devono essere nudi i corpi, ma le Anime! Solo allora, ad anime nude, perfettamente svuotate delle difese interiori, dei limiti emotivi, dei pregiudizi e delle paure verso l’altro, solo allora il sesso diviene esperienza dell’altro e trasforma due cuori, due corpi in una nuova entità: una persona fatta di due, una dualità ricondotta all’Unità, come l’unione di corpo e anima. Quando ciò avviene,si comprende la ragione ultima del sesso, che non consiste solo nel dare origine ad una nuova vita o nel procacciare un attimo di rozzo o raffinato piacere, ma nel creare un’entità primigenia che è la radice di una nuova eventuale nascita, non solo di un figlio ma anche di un nuovo Noi. Dunque, in ultima analisi, il frutto del sesso consapevole è la nascita di un nuovo Noi! Rinasciamo a noi stessi quando annulliamo le nostre peculiarità individuali nell’ab-
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L’amore parla attraverso il nostro corpo braccio dell’altro, quando perdiamo nell’altro il legame con l’io per allargare il nostro cuore al punto da comprendervi il cuore di chi ci è vicino. In fin dei conti, altro non è, l’esperienza sessuale, che un sentire con il corpo le emozioni del nostro interlocutore, le sue verità inconfessabili, le sue fragilità, le sue peculiarità, la sua essenza, e il tradurle in gesti. Atti che compiono un lavoro di trasformazione spirituale e travasano da un corpo all’altro un patrimonio di sensazioni che può e deve fare a meno dell’espressione verbale, creando momento di comunicazione che replica il linguaggio muto e sereno, privo di giudizio, di madre natura. Così come un fiore sboccia senza chiedersene il perché, allo stesso modo un atto d’amore sboccia nell’altro e con l’altro senza un fine, ma solo e naturalmente per “disegnare” un pensiero d’amore. Nell’amplesso si concretizza un antico dialogo, il silente dialogo delle Anime che non sono separate dai corpi, ma semplicemente e dolcemente integrate in essi. E, si sa, le Anime non sono entità sconosciute fra loro, ma frammenti divini con in sé la consapevolezza dell’essere UNO e tale legame, che non prescinde dal “tocco” ancestrale dei corpi, non è tuttavia fisico. È un’ unione che da sempre esiste e che, per essere coscientemente tale, si deve avvalere di un collegamento anche fisico, di un contatto volto a ricordarci chi siamo e da dove veniamo. Noi discendiamo dal cuore di Dio, siamo
Hoseki Vannini Viene al mondo come Maria F. e diventa dopo un lungo, e spesso sofferto, percorso esistenziale Hoseki. Diplomata al liceo Classico, studia giurisprudenza senza convinzione o meglio con la certezza di aver scelto una facoltà non adatta a lei. Nel frattempo, si imbatte nei mille interrogativi sul significato della esperienza umana e inizia un cammino di personale ricerca spirituale, condotto in assoluta e dolente solitudine. Dall’età di quindici anni si dibatte fra i dubbi della sua ragione e le tesi del suo cuore. La sua ricerca non è conclusa, ma ha attraversato, con entu-
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Hoseki Vannini emanazioni divine. Quando Egli ha pensato a noi come corpo, ha destinato questo strumento a cantare la gioia dell’essere in vita, ha dato al piacere di una carezza il senso accennato della beatitudine che l’esser senza corpo comporta. Non è un caso che il sesso comunichi una sensazione di leggerezza, di assenza di gravità: ci ricorda in tal modo come eravamo prima di incarnarci e come torneremo ad essere quando del corpo faremo a meno, perché si sarà conclusa la nostra esperienza terrena. Ecco che, con tali premesse, il sesso acquista una luce diversa, diviene privilegiato mezzo di espressione d’amore, un amore senza scopo se non quello di darci un’idea di felicità, della gioia che proveremo interamente quando non avremo più bisogno del corpo. Allora il sesso sarà, come per incanto, incontro con Dio e dunque con il Tutto, un incontro d’amore senza fine, che un orgasmo solo lontanamente descrive, ma che è sufficiente per prepararci emotivamente alla beatitudine dell’amore perfetto con Dio e di Dio. Come nell’atto d’amore con l’amato dissolviamo il nostro essere, così nell’abbraccio di Dio dissolveremo il nostro ego per tornare ad essere semplicemente e soltanto Uno. Impariamo, dunque, a fare pace con il sesso, a godere di quest’esperienza, a cogliere ogni occasione di viverlo, a considerarlo come un evento che è un “allenamento” al totalizzante, meraviglioso amplesso con il Divino che è già in noi. siasmo e sofferenza in egual misura, ogni teoria capace, a suo avviso, di fornire risposte adeguate alle domande che le premevano dentro. Nel tempo ha pubblicato, con rispetto e umiltà, articoli della sua crescita interiore e che ora ha cercato di riassumere in parte nell’eBook Anima gemella: illusione o realtà.
Anima gemella: illusione o realtà eBook, 2011 vai scheda libro >> Runa Bianca
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di Carlo Dorofatti L’avanguardia esistenziale di questa Nuova Era
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ià nelle mie pubblicazioni precedenti1 ho brevemente presentato il cosiddetto “percorso endoterico” nei suoi tre aspetti, illustrando approcci e percorsi di studio e di pratica spirituale. Permettetemi di riprendere, anche in questa occasione, un discorso che sento molto importante, e di rinnovare quindi un certo stimolo. La meditazione, come presenza consapevole, è una pratica/attitudine che per me costituisce la base e il costante sfondo di tutte le mie ricerche ed esperienze esistenziali, più compiutamente raccolte in quella che ho definito appunto “Via Endoterica”, composta da tutte quelle proposte di studio, elaborazione e pratica che divulgo nei miei seminari. Tratto dal mio “Anima e Realtà”2:
Carlo Dorofatti in termini di consapevolezza, direzione e coscienza. La conoscenza e la scelta dei percorsi è un lavoro individuale: il lavoro di gruppo si esprime – eventualmente – in una fase successiva, con la condivisione e con il confronto. La meditazione, la presenza a sé stessi, il recupero del rapporto con i valori del sacro e uno stile di vita coerente conducono ad una mistica personale, che è scoperta profonda e unione con il Sé Superiore, dunque con motivazioni esistenziali più vere e mature. Nel sistema che propongo, tale aspetto considera il coltivare una qualsiasi forma d’arte come elemento di grande supporto.
1. L’aspetto culturale Oggi abbiamo gli strumenti per poter essere informati. É vero che il “semplice” giunge ai cieli, ma non l’ignorante o il sempliciotto. Essere semplici, autentici e puri di cuore non contrasta con l’avere strumenti cognitivi puntuali. Ben venga dunque una formazione all’esercizio e allo sviluppo delle facoltà intellettive, filosofiche e speculative. Ben venga la conoscenza della storia, dell’arte, della scienza, così come della storia religiosa ed esoterica, delle teorie, delle esperienze, dei personaggi, delle principali correnti e dei relativi modelli della realtà, occidentali e orientali, antichi e moderni. E certamente ben venga la presa di coscienza dell’attualità sociale, economica e politica.
2. L’aspetto etico La cultura e la riflessione sui contenuti deve trovare un “contenitore etico”, quindi spirituale, o addirittura mistico, per essere orientata in termini pratici. Il nostro Graal interiore. In questo caso, entriamo maggiormente nel merito dello sviluppo personale 1) “Nient’Altro che Sé Stessi”, pag. 113ss.; “Anima e Realtà”, pag. 173ss. 2) Ibid, pag. 173ss.
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3. L’aspetto esplorativo Consiste nello sviluppo multidimensionale (e ultradimensionale) della nostra esplorazione, partendo dall’indagine del piano di esistenza che siamo chiamati a vivere, sul quale proiettiamo la nostra realtà interiore, per espandere progressivamente la nostra sensibilità attraverso l’accesso a superiori piani di coscienza. L’esoterismo, e in questo caso non esito a usare più specificamente il termine di magia, attraverso le sue rappresentazioni, diventa lo strumento per estendere le nostre facoltà e la nostra coscienza della realtà, in
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Il Percorso “Endoterico” forma consapevole e attiva, svelando sempre più la nostra natura divina per applicarla alla realtà della materia, della vita e del pensiero. I tre aspetti di questo percorso endoterico vanno integrati in modo equilibrato: teoria e pratica su di sé e sulla realtà nella sua poten-
ziale estensione. Non c’è una progressione di contenuti, ma si comincia immediatamente a lavorare su tutti gli aspetti, per riprenderli ed evolverli gradualmente su livelli superiori (e più profondi). La via endoterica (o “percorso endoterico”) punta al contatto con il proprio Sè Superiore e richiama ogni scelta, percorso, pratica, tecnica e metodo, filosofia ed esperienza, teoria e applicazione spirituale, magica e mistica, al principio della ricerca del Sé, attraverso il Sé e per il Sé, inteso come matrice originale, protagonista nel divenire e fine spirituale ultimo di Comunione e Coscienza con e del Tutto. Gli elementi teorico-pratici proposti sono liberamente acquisibili, reinterpretabili e da svilupparsi necessariamente in funzione di ogni individuo che desideri esplorarli, e altresì collocabili in qualsiasi paradigma cognitivo ed applicativo eventualmente già adottato, secondo il concetto per cui, in definitiva, non
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Carlo Dorofatti esiste una Via “vera”, se non la propria. È dunque un approccio che esige partecipazione e responsabilità, applicabile alle vie e alle pratiche già scelte, senza tema di incompatibilità alcuna, sebbene in taluni casi risulti essere evidentemente più coerente e facilmente applicabile che in tal’altri. Le conoscenze, i metodi e i suggerimenti dati saranno nelle mani della persona, la quale potrà farne ciò che meglio crede, senza impegno alcuno. Come mi piace spesso ricordare (soprattutto a me stesso): “La realtà è e diviene come io sono e divengo”. E ancora: “Io divento ciò che faccio”. L’esortazione è quella di non confinare tutto questo all’area della teoria e della fantasticheria, di non cadere nelle trappole del “Lavoro illusorio”, ovvero sostituire l’autentico ed impegnativo lavoro su sé stessi con pie illusioni e facili surrogati da bancarella, ma di farne strumento di riflessione umile e profonda, pratica quotidiana, applicata alla vita di tutti i giorni, alle proprie scelte, al proprio modo di fare e di essere. “Bisogna sapere e bisogna fare. Per fare bisogna generare potere. Il potere si sviluppa con lo sforzo, ma esistono sforzi giusti e sbagliati; ci sono anche pseudo-sforzi. La nostra capacità di autoinganno è molto grande e continua ad operare anche quando siamo convinti di essere “entrati nel Lavoro”. Il più delle volte, invece di impegnarci nel Lavoro entriamo nell’illusione di stare lavorando, inganniamo noi stessi […]. Questa, dopo cinquant’anni di osservazione, è la conclusione a cui sono giunto: l’illusione di star lavorando tende a sostituirsi al vero Lavoro come, secondo la Legge di Gresham, la cattiva moneta tende a rimpiazzare la buona. L’illusione di star lavorando è dappertutto, prolifera come un cancro, è sottile ed assume molte forme, genera nuovi sistemi illusori per rimpiazzare quelli vecchi, impedisce il Lavoro autentico ed offre sogni al suo posto. Molta gente accetta contenta questi sogni, che prevengono i sogna-
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tori dal fare seri sforzi per svegliarsi, perché sognano di essere già svegli.” Robert S. De Ropp3 Orientativamente si possono considerare, pur nelle diverse sfumature e nella diversa prassi operativa, gli insegnamenti delle filosofie classiche orientali e occidentali, della teosofia e della Corrente 934, così come l’insegnamento di Osho, Aurobindo, Yogananda, Gurdjieff, Castaneda, Raphael, Kremmerz e Krishnamurti (giusto per citare in ordine sparso alcuni protagonisti significativi, anche se ognuno di essi va collocato nel suo tempo e nella sua cultura) che a mio avviso sono esplicitamente riconducibili ai principi fondamentali della via endoterica, che pertanto non costituisce nulla di nuovo se non inteso come rinnovato appello al Sé Superiore quale riferimento principe di realtà e di coscienza. Si può riconoscere l’approccio endoterico 3) Cfr. De Ropp Robert, La Via della Completezza, Spigno Saturnia (LT), 2001, Edizioni Crisalide. 4) Il numero 93, secondo la cabala greca, è il risultato della somma dei valori numerici delle lettere che compongono la parola Thelema (Volontà) e la parola Agape (Amore). In base ai principi della Gematria, ovvero il sistema cabalistico di conversione di lettere e parole in numeri, tutte le parole che risultano corrispondere al medesimo numero sono connesse. La “Corrente 93” è il flusso di energia e di coscienza che scaturisce dal binomio Volontà-Amore in quanto chiavi mistiche e magiche per il risveglio di ogni Uomo e di ogni Donna come Stella, brillante di luce propria ed autodeterminata sull’orbita della propria emancipazione umana e spirituale. Il contatto con il sé profondo in perfetta armonia con l’Universo costituisce il cuore del percorso verso la scoperta della propria Vera Volontà e la definitiva realizzazione della Coscienza, al di là di ogni codificazione restrittiva e massificante di ordine sociale o religioso.
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anche in taluni modi di intendere il percorso monastico, gnostico, sciamanico, ermeticoiniziatico, tantrico e yogico e quindi riconoscerlo in taluni rappresentanti – non sempre i più noti - di tali Vie, sebbene in molti casi il loro sviluppo di massa ed esito socio-spirituale non sia stato, e non è, all’altezza dell’approccio originale, o ne esprima addirittura l’opposto. Quali sono questi principi fondamentali? La via endoterica passa attraverso: • un autentico, intimo e personale lavoro su sé stessi; • lo studio e lo sviluppo della linea di conoscenza esoterica; • il confronto, la ricerca e la sperimentazione continua; • un approccio individualista e libertario verso ogni aspetto della socialità umana; • l’essere informati e il raffinare costantemente il proprio senso critico; • coerenti scelte di vita. È importante che ognuno accetti profondamente ciò che è, ma contemporaneamente tenda al costante miglioramento di sé. La ricerca, la pratica e la scelta di vita spirituale è per sé stessi: intima, privata, personale. Le conoscenze e le pratiche sono da intendersi come formule non definitive ed elementi per
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Il Percorso “Endoterico” la ricerca e la sperimentazione personale con i quali comporre il proprio individuale paradigma di ricerca e scoperta interiore. La via endoterica (ovvio, a questo punto, il gioco di parole tra “esoterico” ed “endoterico”) esige dunque capacità di auto-determinazione, auto-disciplina, autonomia e responsabilità nelle scelte, e che ognuno stabilisca con chiarezza le priorità della propria vita. Risulta altresì evidente che tale via non sia un’organizzazione o un ente di cui “si fa parte”, ma semplicemente un orientamento di pensiero, un riferimento cui rivolgersi per conoscere ed applicare gli strumenti di quella che, più che un percorso, può considerarsi una chiave di lettura. Io, Carlo Dorofatti, non sono né il maestro né il guru di questa “via”, che per sua natura rifiuta qualsiasi gerarchia e autorità che non sia la coscienza di ogni persona. Rivesto semmai un ruolo di facilitatore e nient’altro, al servizio degli altri come di me stesso, in tutta serenità, libertà e apertura. Chi fosse eventualmente interessato a tutto questo, può intanto cercare di fare il punto su sé stesso, sul proprio percorso, sulle proprie scelte e condizioni di vita, valutandone la coerenza con i principi nei quali crede. Con consapevolezza e accettazione profonda, voglio dire, senza nessun giudizio. Dopo di che può valutare eventuali accorgimenti nelle scelte alimentari, nel ritmo veglia/sonno, nella gestione dei tempi dedicati a sé e agli altri, alla propria vita privata ed al proprio lavoro, alla propria famiglia (sto solo
Carlo Dorofatti Nato a Milano nel 1970. Esplora da oltre vent’anni le tradizioni spirituali d’Oriente e Occidente, le facoltà sottili dell’essere umano e le cosiddette discipline di frontiera. Tiene conferenze e seminari presso Centri e Istituti in Italia e all’estero. Fondatore del Centro Studi Ascensione 93 (www.ascensione93.org), dal 2008 è membro dell’International Conference on Ancient Studies, insieme a numerosi esponenti internazionali della ricerca libera e indipendente. Pubblica articoli su diverse rivi-
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Carlo Dorofatti facendo esempi generici), cercando di discernere gli atti intenzionali dagli automatismi e dalle abitudini reiterate a cui si è legati. Bisogna essere molto concreti: non è un trip intellettuale. Poi si valutino gli eventuali esercizi spirituali scelti e vissuti: ovvero la qualità, l’intensità, i tempi delle eventuali pratiche e tecniche specifiche che avete già avuto modo di esplorare. Valutate se ci sono delle lacune o taluni aspetti pratici dei quali forse non comprendete a fondo natura e motivazioni. Già questo è un bel modo per fare ordine e recuperare la consapevolezza di ciò che si sta facendo. Date un’occhiata alle opere degli autori menzionati, tenendo presente che, per quanto riguarda la Corrente 93, è meglio farsi consigliare da chi ha più esperienza. Potete eventualmente chiedere a me oppure rivolgervi a coloro che sono, secondo me, degli ottimi punti di riferimento, e che vi segnalerò senz’altro. Studi, pratiche e strumenti vengono anche approfonditi nel corso di seminari e di incontri specifici. Potete essere cristiani, buddisti o wiccan: quello di cui sto parlando è valido per tutti. Perfino se siete atei, anzi meglio ancora: la spiritualità e l’evoluzione della coscienza non hanno niente a che vedere con la scelta religiosa. Se il vostro approccio è coerente con la prospettiva proposta – e questo dovete sentirlo voi – siete già nella via endoterica, a mio avviso l’avanguardia esistenziale di questa Nuova Era ormai già cominciata. ste specializzate e su portali online. È fondatore e presidente dell’Accademia per l’Applicazione Consapevole dei Saperi (www.accademiaacos. it). Il suo sito personale è www.carlodorofatti.com. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Nient’Altro che Sé Stessi (Nexus, 2010) e...
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di Giovanni Francesco Carpeoro p L’espressione di concetti ideali
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Giovanni Francesco Carpeoro
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on è semplice trattare di simbologia. Posso dirlo con cognizione di causa, visto che studio questa materia da oltre vent’anni. E la faccenda ha cagionato sicuramente dei danni atteso che, anche quando si è trattato di scrivere la mia biografia, mi è venuto spontaneo scriverla ironicamente, ma anche simbolicamente, al rovescio. E dopo aver scritto tre romanzi, anche questi simbolici (sic!), letti da pochi intimi ai quali sono piaciuti moltissimo, mi sono risolto a far confluire i miei venti anni di studi in un unico grande saggio, che ho deciso di intitolare “Summa Symbolica”. No, questa non è la promozione di un ennesimo libro, che tra l’altro uscirà solo tra pochi mesi, e sarà certamente scoragATALANTA FUGIENS, MICHELE MAIER, EMBLEMA XXIX giante per i più a cagione delle sue quasi 2000 pagine, ma solo l’anticipazione di alcune tesi che vi sono consemiologia, la filosofia, la letteratura o la stotenute, riguardo all’inquadramento generale ria dell’arte. della scienza simbolica. Non risulta che fino Quei pochi ricercatori che hanno cercaad oggi qualcuno si sia mai organicamente to di ampliare il tiro non sono, a mio avviso, occupato degli Studi Simbolici e Tradizionali riusciti a realizzare un reale sguardo d’insiecercando di conferire organicità e disciplina me sull’argomento perché condizionati da strutturale alla trattazione. A questa materia un gravoso pregiudizio ideologico a favore ci si è sinora accostati in ordine sparso e sedi premesse convenzionali considerate più condo esigenze specifiche, senza mai dare nobili, finendo per subordinare la materia ad corpo all’esigenza di uno sguardo d’insieme e una parzialmente innaturale simbiosi con la disciplinare, se non metodico. Chi ha studiato psicanalisi, la matematica, la logica o lo stul’alchimia ha limitato il suo esame ai simboli dio dei linguaggi. A tale riguardo sono stati legati a tale argomento, ed eguale limitazioassunti, ad esempio, come riferimento quasi ne si è verificata in relazione all’esoterismo, esclusivo di volta in volta autori come Russell, alla magia, all’arte figurativa, alle scienze o Jung o, in Italia, De Mauro, ignorando o sottoalle religioni. valutando altri autori di confine come Zolla, Così noi ci ritroviamo a leggere bellissimi Eliade, Alleau o Guenon, che sono stati degli libri che catalogano simboli o si occupano autentici pionieri e rivestono tuttora una imsingolarmente di alcuni di essi, ma nessuno portanza fondamentale per proseguire in tale che, con metodo e ispirazione unitaria, studi il percorso. Simbolismo, materia che non ha dignità, inveCiò ha imprigionato anche questi pochi ro, neanche di autonoma disciplina universitentativi nel recinto asfittico dell’aspirazione taria, atteso che anche in quest’ambito viene al riconoscimento del simbolismo come ocstudiata di striscio ad altre discipline quali la casionale approfondimento, se possibile con
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Parlar di simboli... ruolo puramente accessorio di qualsivoglia disciplina universitaria, soffocato da rigide strutture meramente logico-empiriche o psicologiche senza il respiro di quella sottile secolare porzione di verità e spiegazione della realtà che si chiama dottrina esoterica. Il mio studio vorrebbe per l’appunto provare a colmare questo vuoto, è il tentativo di codificare la scienza simbolica partendo da uno sguardo d’insieme, nonché dalla premessa della definizione del simbolo e dell’analisi delle dinamiche che ne hanno caratterizzato il cammino parallelo all’evoluzione dell’essere umano, non trascurando di individuare e codificare le leggi che sembrano aver regolato questo flusso sapienziale di progresso o anche solo di mera comunicazione. La mia impostazione di partenza, ad oggi solo parzialmente e non sistematicamente adottata, conduce inesorabilmente a immaginare il simbolo definendolo, per sublime paradosso, con un simbolo: quello di una scatola chiusa che proviene generalmente, nelle sue origini, da un punto molto lontano nello spazio e nel tempo. Ma il saper aprire la scatola è fondamentale solo per il bagaglio di conoscenza del soggetto che momentaneamente vi si trova di fronte e non per la sopravvivenza del simbolo stesso, che prosegue il suo cammino parallelo all’evoluzione degli esseri viventi anche solo per trasmissione automatica, quindi non consapevole. Sotto questo profilo il significato del contenere, custodire è solo una faccia della medaglia, l’altra è quella del dare forma a qualcosa che, altrimenti in questa dimensione non potrebbe trovare cittadinanza. Se immaginiamo simboli fondamentali come l’Arca dell’Alleanza degli Ebrei o il tanto citato Graal scopriamo che, malgrado l’importanza del contenuto, tuttora ignoto o segreto, è proprio ed esclusivamente la forma che ne consente la navigazione nel mare della storia, quella che ricostruisce il succedersi degli eventi, ma anche della metastoria, quella che si occupa invece delle concatenazioni del pensiero degli esseri umani. È il vecchio principio della Forma dell’Acqua: impossibile esprimere il concetto dell’acqua senza disegnare almeno una scodella o un bicchiere.
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IL MONOCORDO, ROBERT FLUDD
L’origine eloquente del termine Simbolo Chi si occupa di ricerca esoterica e simbolica ha sentito ripetere mille volte l’interpretazione lessicale ed etimologica del termine simbolo, il richiamo al termine greco, alla leggenda della tessera spezzata che deve combaciare, ma è su un altro aspetto che ho fondato la mia esplorazione. Infatti ho posto come punto di partenza l’aspetto del simbolo quale anello di congiunzione (o ricongiungimento?), tra due branche della filosofia dell’uomo che da tempo agiscono (o si illudono di poter agire?) su direzioni separate: la ricerca scientifica e la ricerca spirituale o esoterica che dir si voglia. Quindi il simbolo come strumento contestualmente di scienza
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Giovanni Francesco Carpeoro costruttivamente alla nostra ricerca: esiste una vita del simbolo prima della sua comunicazione, quindi prima della tracciatura del segno?
Il Simbolo prima del Segno
ANTICO DISEGNO ALCHEMICO DEL VITRIOL
ed esoterismo. Dopo Guénon, che avviò la restituzione degli Studi Simbolici e Tradizionali a metodi scientifici, occorreva fare o tentare di fare ancora dei passi in avanti. Il primo passo evolutivo, la prima relazione: il segno e il simbolo, o per meglio dire dal segno (che può anche prescindere da un altro significato che non sia letterale) al simbolo, la nascita, l’evocazione di un significato. D’altro canto, anche sotto tale profilo, appare eloquente l’etimologia della parola simbolo, che denominava il ricongiungimento dei frammenti spezzati tramite il quale il messaggero segreto poteva farsi riconoscere dal destinatario del messaggio. Solo tale ricongiungimento può trasformare il segno in simbolo. Ma l’uso del termine segno presuppone già l’aver varcato un confine, quello della comunicazione, che consiste in un passaggio evolutivo importante della storia dell’essere umano, che è quello della scrittura e della sua comunicazione. A questo punto una prima domanda si impone a chi voglia avvicinarsi
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Dobbiamo necessariamente immaginare una fase della storia dell’uomo in cui il medesimo non aveva ancora creato la scrittura in nessuna sua forma, neanche nelle prime preistoriche raffigurazioni su pietra a nostra conoscenza. Il campo è davvero minato in quanto oltre al percorso dell’evoluzione della specie umana come disegnato dalla concezione darwinista, ormai prevalente nell’opinione della scienza convenzionale (quello per intenderci che colloca il periodo della non esistenza della scrittura in qualcuna delle innumerevoli specie di passaggio dall’essere scimmiesco all’homo sapiens), non si può non tener conto di tutta la ricerca di confine che ha dispiegato la nascita dell’homo sapiens in modi multiformi. Tali modi vanno da una provenienza da esperimenti e combinazioni, genetiche e non, costruite da altre civiltà più evolute, forse non terrestri, ad una provenienza divina come teologicamente proposta dalle religioni fondate sulla rivelazione, come quella cristiana, o ad ogni altra possibile mutazione della vita, non necessariamente fondata e mossa da una spinta meramente evolutiva della specie. Ma proprio questa prospettiva ci deve spingere a considerare l’universo come una specie di palcoscenico teatrale dove tutto si svolge e si ripete secondo un copione fondato sulla ripetizione di eventi fondamentali dei quali esso stesso diviene prova storica, perché mai gli eventi potrebbero essere rappresentati e ripetuti nel tempo se non fossero in precedenza già accaduti.
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Quindi il simbolo è innanzitutto la rappresentazione di un evento, che sia un fatto storico o un passaggio spirituale o metastorico, e questa valutazione ci conduce a prescindere da ogni diatriba tra evoluzionismo e creazionismo, di qualsiasi natura entrambi considerati, diatriba che induce conseguenze diverse solo in relazione alla collocazione storica e temporale di possibili fasi evolutive o creazionistiche. Tali considerazioni quindi non ci impediscono di immaginare un momento storico in cui l’uomo non utilizzava la scrittura, come gli stessi antichi testi religiosi testimoniano, identificando sempre un momento o un soggetto vocato alla sua introduzione nella comunità umana, magari attribuendo in precedenza all’uomo, non ancora scrivente, altre forme di comunicazione. D’altro canto molte specie animali adoperano forme di comunicazione alternative alla scrittura che pur sempre hanno (e devono necessariamente avere) una struttura simbolica, perché parlano di fatti ed eventi che devono essere rappresentati, ed in tale rappreSPHERA SOLIDA, DISEGNO DI LEONARDO DA VINCI DAL DE DIVINA PROsentazione consiste il simbolo. TutPORTIONE DI LUCA PACIOLI ti i segnali di pericolo, ad esempio, si fondano su tale presupposto: i versi degli animali cacciati conseguenti alla finizione abbia un’ispirazione prettamente percezione della presenza dell’animale prematerialistica che esclude tutta quella codifidatore sono rievocativi di quelli emessi dalla cazione di simboli universali, i cosiddetti Arvittima mentre soccombe al cacciatore e, nelchetipi, di cui avremo in seguito occasione di la loro rappresentazione scenica di ciò che è occuparci, ma ciò non risponde al vero. accaduto e potrebbe ancora accadere, divenChe si immagini un mondo della Natura tano il Simbolo Pericolo (o Paura) e ne comuo un mondo di Dio è scelta individuale e linicano la portata. bera di ogni essere umano ma, indipendenQuindi il simbolo è sempre preesistente, temente da tale scelta, ogni essere umano, come evento che è divenuto patrimonio coma anche animale direi, codifica una storia di noscitivo della specie, alle sue possibili forme ciò che è a sua conoscenza e che è costituita di comunicazione, nate con la funzione della dagli accadimenti, anche squisitamente spiriconservazione e della trasmissione, perché tuali, di cui, in forme più o meno avanzate, è è fondato su qualcosa che è già accaduto. Si cosciente e consapevole e, in qualche modo, potrebbe a tal punto obiettare che tale dequesta storia conserva e comunica tramite
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Parlar di simboli... una rappresentazione di questi eventi. E tutte queste rappresentazioni sono i simboli. Sotto questo profilo diventa altrettanto irrilevante considerare questo palcoscenico limitato alla vita dell’essere rappresentante, infatti nessuno di noi può considerare un dogma ritenere che la vita non possa essere qualcosa di più ampio e pervasivo che travalichi, anche in termini di memoria, e parziale (o meglio graduata) consapevolezza, la forma, quasi platonica, della nostra identità individuale. Eventi, accadimenti, quindi: sul piano spirituale o materiale considerati, e la distinzione potrebbe anche essere meramente illusoria; coerentemente, dopo la fase del linguaggio, li abbiamo collegati alla parola accadere, che significa, nell’etimo, cadere dall’alto. Il termine cadere, post scripturam natum, è esso stesso un simbolo matrice di ulteriori mutazioni, anch’esse squisitamente simboliche. Nato per la constatazione tutta terrestre della forza di gravità, per la quale tutto ciò che arriva sulla terra è una caduta, o per quella tutta fideistica, non solo di matrice cristiana o ebraica, della derivazione di tutto dall’alto di un unico Dio, fino alla rappresentazione di una caduta dell’essere umano medesimo da uno stato edenico superiore, tale termine ha consentito di disegnare i multiformi percorsi degli eventi. Incedere, Succedere, Procedere, Accadere, Decadere, sono tante direzioni possibili con un’unica origine: Cadere. Come, per l’appunto, se fosse l’unica dinamica per noi possibile... D’altro canto la premessa che funge da
Giovanni Francesco Carpeoro Nato a Cosenza nel 1958. Si trasferisce a Milano e si laurea in giurisprudenza presso l’ Università Cattolica per poi svolgere per trent’anni la professione di avvocato. Ha curato per Acacia Edizioni l’edizione italiana de L’Archeometro di Alexandre Saint’Yves d’Alveidre e di Sotto le Piramidi di Andrew Collins. È stato direttore delle riviste mensili PC Magazine, HERA e I Misteri di HERA. Il suo sito personale:
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ROSA MEDITATIVA SALVATOR DALÌ
incipit del saggio, ma anche della mia ricerca, recita: A chi si accosti a quest’opera confidando di trovarvi una qualche verità, io dico che di verità in giro ce ne sono già fin troppe e che sarei già molto soddisfatto se tale mia indagine avesse concorso a farne accantonare ai lettori la maggior parte. www.carpeoro.com. Delle sue pubblicazioni ricordiamo: Il volo del pellicano (Bevivino, 2007), Labirinti (Bevivino, 2008) e...
Il re cristiano Bevivino, 2010 vai scheda libro >> Ottobre 2011 | n.4
di Germano Asumma Pinus pinea
Un albero sacro agli Etruschi tempo di lettura 10 minuti
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Un albero sacro agli Etruschi
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pesso, nelle mie riflessioni, tendo ad esaltare il cosiddetto “spirito di osservazione” quale ingrediente fondamentale per intraprendere studi o passioni nel mondo della ricerca, sia essa archeologica che scientifica. Anche un semplice trasferimento in auto può offrire l’opportunità di scrutare l’ambiente circostante alla ricerca di scorci ispiratori o particolari interessanti che risaltino ad un occhio attento. Mi accorsi dell’importanza dell’osservazione automobilistica molti anni fa quando, costretto per lavoro a macinare migliaia di chilometri al mese, spesso sugli stessi itinerari, smettevo di tenere gli occhi sulla noiosa monotonia dell’asfalto, cercando altri aspetti del paesaggio che rendessero il percorso sempre nuovo. Qualche volta, nella solitudine dell’abitacolo, lasciavo andare un cd di musica, adattando alla melodia le immagini offerte dal parabrezza, creando di fatto una sorta di rudimentale videoclip mentale. Dopo un paio di tamponamenti ed un’escursione in un canale di scolo, limitai questa tecnica alla sola condizione di passeggero e non di autista! A parte queste poco amene conseguenze, presto mi resi conto che anche il medesimo paesaggio poteva concedere caratteristiche completamente differenti a seconda della direzione della luce solare. In termini semplicistici, alle tre del pomeriggio potevo notare cose invisibili al mattino e viceversa. Questo preambolo mi è utile per descrivere quanto io debba essere uno scocciatore durante i viaggi o i tragitti compiuti in auto in compagnia di amici o colleghi… Da qualche mese in particolare, i membri della nostra squadra di ricerca amano sbeffeggiarmi in merito ad una mia fissazione: nell’Italia centrale, i siti archeologici ed i tumuli (soprattutto quelli più grandi ed isolati di tipo collinare) sono riconoscibili da uno o più pini marittimi o domestici (pinus pinea) sulla sommità o nelle immediate vicinanze. Non mi riferisco tanto agli ameni viali alberati o alle refrigeranti pinete, ma alla presenza “improvvisa” ed isolata di queste piante su pianure er-
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Germano Asumma bose, spesso collocate a cerchio. Molti di voi lettori ora avranno assunto l’espressione dei suddetti collaboratori, cioè di coloro che per puro spirito di rispetto e pacifica convivenza, con un senso di benevola commiserazione, annuiscono evitando di mandarmi a svolgere altre utili attività fisiologiche. Eppure, il numero di queste coincidenze archeo-arboree andava aumentando, fino a spingermi a svolgere qualche ricerca in merito. La totale assenza di citazioni bibliografiche sull’argomento avrebbe scoraggiato chiunque, ed ammetto di essere stato spesso sul punto di deridermi. Chiesi ad un paio di amici archeologi, i quali mi fornirono alcune tesi, tutte soddisfacenti: - il rilievo di un tumulo o di ruderi funerari su campi spesso arati ha offerto per secoli rifugio sicuro a cespugli e ad arbusti, soprattutto nelle aree disboscate per motivi agricoli, permettendone lo sviluppo fino agli attuali alberi; - il maggiore grado di umidità del terreno, in presenza di strutture sotterranee, ha consentito una crescita di macchia mediterranea (e quindi anche del pinus pinea) “a zone”, delimitanti proprio i siti archeologici; - tutti i pini presenti oggi in prossimità di vestigia etrusche o romane sono stati piantati nel medioevo (spesso infatti delimitano casali e castelli) o seguendo una corrente puramente estetica tipica dei secoli XVII e XVIII. Purtroppo, pur accettando e rispettando tutte queste esaurienti spiegazioni, la mia caratteristica di indagatore del mistero ha avuto la meglio, “costringendomi” a ponderare anche altre strade. Sappiamo tutti che il popolo etrusco era votato al misticismo religioso e considerava sacro ogni elemento della natura. Tutto poteva, all’occorrenza, divenire fonte di magici segnali o rappresentare simbologie di consacrazione, protezione o previsione di eventi futuri. Ogni pietra, costruzione o azione era contraddistinta da significati profondi e ben definiti. Nulla era lasciato al caso,
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a maggior ragione se l’oggetto o la creatura in tempi remotissimi simboleggiava il concetto questione rappresentava anche un bene tandi morte e resurrezione, non soltanto per le gibile ed oggettivo, come nel caso del pino, in caratteristiche riproduttive che, di filiazione grado di fornire del resistente legname, una in filiazione, lo portano ad essere quasi eterresina utilissima come materia infiammabile, no (nonostante una vita media della singola incensante e sigillante ed il frutto denominapianta di circa 200 anni), ma anche per la parto “pinolo”, considerato una vera leccornia già in epoche remote. Andiamo dunque a conoscere meglio questo “misterioso” albero, chiamato scientificamente “Pinus Pinea”. Non a caso l’ho definito misterioso, poiché ancora oggi, nonostante la sua diffusione e la riconoscibilità per la caratteristica forma ad ombrello, non ne sappiamo con certezza l’origine. Le tesi prevalenti asseriscono sia originario del Mediterraneo occidentale o dell’Africa nord occidentale, comunque non autoctono della nostra penisola. Sicuro e comprovato è invece il mezzo attraverso cui questo si diffuse in Italia, in tutto il bacino UOVO DI PIETRA A MARZABOTTO mediterraneo ed oltre: gli Etruschi. L’albero simbolo millenario della nostra ticolare forma delle sue pigne, esotericamenitalianità apparve dunque al seguito di quete paragonate all’uovo, oggetto simbolico sto affascinante popolo di naviganti e comparticolarmente caro proprio agli Etruschi. mercianti, caratterizzandone da subito gli inPensate che su quasi ogni tomba etrusca sediamenti. era presente una pietra a forma di uovo (più Ancora oggi, alcune delle più rigogliose raramente vere uova di struzzo decorate che pinete esistenti sono retaggio di vere e properò ritroviamo maggiormente all’interno, prie antiche foreste composte da questi cacome corredo funebre), e che solamente la ratteristici alberi; nell’area urbana di Roma la completa assenza di preparazione in materia nota Pineta Sacchetti è una di queste, ma tra simbolica da parte dei primi pionieri dell’arle più antiche si ricordano quelle di Castigliocheologia portò alla quasi totale perdita di ne della Pescaia (GR) e Tarquinia (VT). questi oggetti. Oggi, per ammirarli nell’origiAvendo prima accennato alla sacralità atnaria collocazione, occorre visitare la necrotribuita dagli Etruschi alla natura, non posso poli di Marzabotto. esimermi dal tradurre questa loro importaIl parallelo “uovo – pigna” era conosciuto zione di massa di “Pinus Pinea” in qualcosa di sin da tempi remotissimi: particolarmente simbolico e metaforico, analizzando il signifinota ed indicativa è l’immagine di Dioniso cato che un albero - oggi così comune - poteche stringe una pigna nella mano; nel Mediova rivestire presso quel popolo. evo, non è raro trovare pigne decorative su Questo fusto, consacrato alla dea Cibele palazzi ed edifici religiosi, esattamente con il dai Greci, dagli Etruschi e successivamenmedesimo significato originale di eternità dete dai Romani, ed al dio Pan dai Celti, sin da rivata dal ciclo vitale.
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Nell’antica Roma, una fase rituale centrale della festa di “Arbor Intrat” era la consacrazione dell’albero del pino che, una volta trasportato nel tempio al cospetto di Cibele, assumeva le sembianze del cadavere di Atys, un giovane abitante della Frigia, la cui bellezza conquistò la stessa dea che ne divenne passionale amante, annientandone l’umana capacità di discernimento. Il Re di Pessinunte (l’antico regno di Mida), convinto che Atys fosse stato soggiogato da quella divina passione, decise di separarlo dalla dea offrendogli in sposa la propria figlia. Durante le nozze si manifestò Cibele che, con tutta la sua furia, iniziò a suonare il flauto di Pan (il tradizionale strumento rituale anche degli Etruschi, chiamato “aulos”), facendo impazzire tutti gli invitati e lo stesso Atys che, accecato dalla follia, prese un coltello e si mutilò mortalmente. Zeus, mosso a pietà per la vicenda, lo volle trasformare in un semprever-
Odino accoglieva i guerrieri morti in battaglia: il loro nutrimento era costituito dall’idromele fornito eternamente dalla capra Heidbun che brucava le cime del pino Loradhr. In Giappone il legno di pino veniva usato nella costruzione di templi ed il pinolo veniva offerto ai nuovi sposi come augurio di lungo amore e fertilità”. Nella Magia naturale tradizionale, le pigne sono usate nei rituali di fecondità, gli aghi per allontanare gli spiriti maligni e la resina bruciata per respingere le maledizioni ed i sortilegi. Appare dunque evidente l’associazione tra l’allegoria dell’albero del Pino ed il mondo dei morti, non a caso oggetto delle principali credenze e ritualità religiose degli Etruschi. Questa pianta poteva offrire il nutrimento essenziale ed eterno per affrontare il “viaggio finale”, nonché allontanare ogni entità malintenzionata nei confronti dello spirito del defunto in via di rinascita e quindi indifesa.
de albero di pino, donandogli l’eternità. Come sempre, la mitologia sembra introdurci ad un simbolismo magico che spesso non ha confini geografici: sul sito web “Roma Ethnica” possiamo infatti leggere che “in Estremo Oriente l’incorruttibilità della sua resina ed il suo fogliame sempreverde fecero del pino il simbolo dell’immortalità. Confucio si riferisce al pino proprio parlando dell’eternità. Gli aghi dei pini, la resina ed i pinoli sono il cibo degli immortali di Tao e nel Walhalla, il paradiso dove
Le radici del pino, sviluppandosi in senso orizzontale, potevano avvolgere il sepolcro senza penetrarlo, quasi a guisa di una invalicabile barriera protettiva. La stessa caratteristica forma ad ombrello della chioma era un riparo contro le avversità, nelle città dei vivi come in quelle dei morti. Altre peculiarità, come la riproduzione sessuata (ebbene sì, i pini sono maschi e femmine!), invocavano altresì il ciclo vitale che, come abbiamo visto, nel caso della ritualità
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Un albero sacro agli Etruschi funeraria, corrispondeva al concetto di morte e resurrezione o di vita eterna. Ma non è tutto: alcune piante sono note per crescere prevalentemente all’ombra dei pini, favorite da una particolare composizione del terreno creata dalla decomposizione delle pigne: ad esempio l’erica, associata agli elementi di Sole ed Acqua, in virtù della sua purezza era utilizzata per costruire le scope sacre che servivano a pulire i templi degli Dei. La sua nascita era attribuita a spiriti protettivi che ne abitavano i rami scacciando gli estranei (o gli indegni). Era infatti risaputo che chiunque si sdraiasse per oziare fra queste piantine, godendo dell’ombra degli alberi, poteva essere rapito. Ma se l’azione dello sdraiarsi era compiuta ritualmente, il giaciglio di erica poteva aprire una finestra sull’aldilà. All’ombra dei pini cresce anche il lentisco, le cui foglie sempreverdi rilasciano nell’aria, all’alba ed al tramonto, un intenso profumo inebriante. Questo è prodotto da una particolare resina che veniva chiamata “Mastice di Chio”, (l’isola egea da cui trae origine), utilizzata anticamente in ambito gastronomico per speziare carni frollate e per la preparazione di unguenti profumati per i defunti. Già sul finire dell’Impero Romano d’Occidente, il Pino Marittimo ed
Germano Asumma È nato a Roma, il suo pseudonimo è Angel Heart. Dopo una laurea in giurisprudenza ed un periodo trascorso in ambienti militari ha condotto ricerche nel campo della religione etrusca e delle origini pagane dei culti monoteisti, giungendo all’analisi storica ed antropologica delle radici del culto della Dea Madre e successivamente del simbolismo medioevale, ancora oggi tramandato dalla Massoneria e da alcuni Ordini Iniziatici. Le leggende della regione dolomitica, luogo dove a fasi alterne egli ha vissuto circa 4 anni, furono lo stimolo per iniziare una ricerca in campo archeologico ed antropologico, ricostruendo la storia meno nota di alcuni processi per stregoneria fino ad approfondire le fasi del-
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Germano Asumma il Pino Domestico iniziarono ad assumere il ruolo estetico che mantengono tutt’oggi, lasciando progressivamente il posto al cipresso, pianta dalle caratteristiche simboliche molto simili alle prime ma delle quali parleremo successivamente. Potrebbe dunque avere un significato ben preciso la presenza arborea del pino sopra o nei pressi di sepolcri, a prescindere dalle validissime tesi degli archeologi interpellati? Non formulo teorie ma fornisco elementi su cui ragionare. La mia attività di ricerca mi conduce talvolta a rintracciare principi comuni presenti in differenti discipline, riscontrando similitudini ed interrelazioni dai risultati spesso infruttuosi ma che, in rare occasioni, sembrano comporsi come le tessere mancanti di un puzzle. È solo a quel punto che lancio nulla più che un’idea, o un acerbo concetto di tesi, con il solo scopo di sensibilizzare i nuovi ricercatori accademici ad allargare il proprio campo visivo e conoscitivo, riaccendendo in loro la fiamma della curiosità, soffocata da pesanti tomi universitari pieni di altrui desuete verità a cui assoggettarsi. Solo così, probabilmente, non accadrà più di ritrovare un sasso a forma di uovo e di smarrirlo, non comprendendone il significato... la damnazio memoriae nei confronti dell’Antica Religione e di importanti realtà cavalleresche ed iniziatiche. È uno dei fondatori de “Il Portale del Mistero” nel 1999. Dal 2005 conduce una campagna di ricerca operativa nella Tuscia, alla ricerca di alcune verità nascoste sul Popolo Etrusco. Lasciata la direzione de Il Portale del Mistero, di cui resta comunque titolare, egli intende sperimentare una ricerca “a tutto campo” avvalendosi del contributo e dell’esperienza di studiosi delle specifiche materie da esaminare, nella convinzione che la maggior parte dei misteri irrisolti siano in qualche modo collegati e resi tali quasi a voler celare un’unica grande verità. Dal 2002 è presidente dell’Associazione “Contrada Sette” - “Accademia dei Principati” e dal 2009 del CIVITAS, Corpo Italiano di Vigilanza agli Itinerari Turistici, Archeologici e Storici.
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La cella geodetica megalitica nella cella geomorfologica Nel Salento, la parte meridionale e peninsulare della Puglia, i monumenti megalitici sono del tipo arcaico e i dolmen sono di piccole dimensioni rispetto a quelli della Bretagna, ai quali pure somigliano, ma sono più simili, secondo A. De Bonstetten e secondo C. De Giorgi, che li studiarono per primi alla fine dell’Ottocento, a quelli presenti in Danimarca (De Bonstetten, Essai sur le Dolmens, Genieve 1865, C. De Giorgi, Censimento dei dolmen di Terra d’Otranto, in Rivista Apulia). Il sistema megalitico salentino, sinora ritenuto semplicemente lineare, con il riferimento ad alture marcate da specchie centrali, assume invece una distribuzione radiale di menhir e dolmen in celle di aree circolari. Il riferimento per la loro costruzione era il Sole all’orizzonte nelle MONUMENTO MEGALITICO SALENTINO (FOTO DI EZIO SARCINELLA) sue apparenti posizioni comprese tra i solstizi, estivo e invernale. Spaziando verso Oriente da N-E, punto di la specchia centrale ne rappresentava l’omlevata al solstizio estivo, a S-E, punto di lebelico e i fiumi ipogei, che vi scorrevano nel vata al solstizio invernale, e in Occidente da sottosuolo carsico, le acque amniotiche della N-W, punto di tramonto al solstizio estivo, a Madre Terra feconda. Un sistema mobile, deS-W, punto di tramonto al solstizio invernale, rivato dall’osservazione dei ciclo circadiano i costruttori di megaliti salentini descrissero sviluppava sul sistema fisso della cella geodesul territorio un simbolo universale, poi noto tica megalitica “spirali evolventi” per il Sole e come “ascia bipenne” e impiegato in fase sto“involventi” per la Luna, così da dare origine rica anche nelle “ruote della medicina” dei naad una complementarietà tra luce-buio e vitivi americani. ta-morte, il cui significato di alternanza temElevando megaliti a “passi costanti” in senporale era implicito nella dualità delle spirali so radiale si descrivevano anche circonferendestrogira e levogira, collegate tra loro sin dal ze concentriche in espansione intorno all’alMagdaleniano. L’insieme dei due sistemi, ratura centrale, delineando in forma geodetica diale e concentrico, descriveva sul territorio la un antico simbolo di origine solutreana, incella geodetica megalitica a forma di “tela di trodotto nel Salento nel 10.000 a.C. dai Romaragno”, riflesso della “ragnatela cosmica”, prenelliani con il ciottolo inciso rinvenuto nella sieduta dalla temuta dea Grande Ragno, conGrotta delle Veneri di Parabita (Le), già sannessa alla Luna e detentrice dell’ambivalente tuario gravettiano dedicato alla Dea Madre. potere di dare la vita e la morte all’umanità. Il Connesso all’idea del “grembo materno”, nella sistema megalitico, quindi funzionava come cella megalitica il simbolo descritto era assoequilibratore delle energie telluriche, poiciato all’altura quale grembo espanso, di cui ché si espandeva assecondandole nella loro
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SALENTO: SUDDIVISIONE DEL TERRITORIO IN CELLE GEOMORFOLOGICHE NATURALI E IN CELLE GEODETICHE MEGALITICHE A FORMA DI TELA DI RAGNO, CON SPECCHIA CENTRALE E MENHI E DOLMEN INTORNO. (ELABORAZIONE GRAFICA DI MARCO SARCINELLA)
Specchie di Mira e allineamenti Menhir Specchia dei Mori Specchia Monte Vergine Specchia dall’Alto
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minori dimensioni, che ruotava più velocemente di oggi intorno al suo asse eretto, proprio a causa dell’asse divenuto obliquo aumentò la produzione di radiazione termica proveniente dal suo nucleo. Il calore endogeno la fece dilatare e il mantello si frantumò radialmente in piramidi esagonali, aventi il vertice nel centro del nucleo terrestre e la base in superficie. Il reticolo elettromagnetico naturale della Terra è quello che fuoriesce dalle fenditure che separano esagoni regolari di uguale dimensione, celle geomorfologiche standard all’interno di un sistema complesso modulare di tipo frattale e si compone di linee energetiche a forma di doppia evolSALENTO: SUDDIVISIONE IN CELLE GEOMORFOLOGICHE SU CARTINA DELLA vente, poichè descrivono il STRUTTURA LITOLOGICA DEL SALENTO moto sincronico che vincola la Terra al Sole, simile alla forma ad “esse” della separatrice d’ombra deespansione dal centro di una cella geomorscritta sulla litosfera giornalmente dalla dinafologica. Le imbrigliava, per normalizzarle nei mica dei moti della Terra intorno al Sole visto dolmen, (la cui energia ancora oggi replica come punto fisso. quella naturale della cellula biologica: www. Intersecandosi, tutte le linee sincroniche salentomegalitico.it) ed infine smistava le poad “esse” formano maglie romboidali di una larità magnetiche nord verso il sottosuolo e le griglia elettromagnetica naturale della Terra, polarità sud verso l’alto. I menhir, preposti alla e in coppia formano doppie spirali evolventi, funzione di scambio energetico solare e tellusimili alla doppia elica del DNA. rico, rinsaldavano il vincolo che univa il Cielo La modularità di suddivisione in esagoni e la Terra, quel “connubio sacro”, celebrato nei del mantello è pertanto riprodotta in superfiriti della fertilità e che in epoca classica fu decie solo attraverso i campi energetici della grinominato ieros gamos. La percezione da parte glia elettromagnetica, dai cui nodi si espande, di geomanti e rabdomanti di una superficie comprimendo la cella geomorfologica verso terrestre suddivisa in celle geomorfologiche la periferia, dove si delineano catene moncircolari in espansione, grandi e piccole, tutte tuose ed anelli di fuoco di vulcani scorrenti su interagenti tra loro secondo dinamiche che un medesimo bacino magmatico. potevano rivelarsi anche distruttive per fenoQuando la Terra per la sua tendenza all’emeni sismici, per apertura di faglie e per attispansione, come una pagnotta di pane lievivazione di vulcanismo, guidava i costruttori di tata, superò le megaliti a muoversi e ad agire in senso equilidimensioni necessarie perchè l’originaria brante nel mondo. Pangea potesse ancora rivestirla tutta come La Terra, che all’origine era un pianeta di
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un’unica crosta litica, il supercontinente si frammentò, dividendosi in una serie di zolle tettoniche. A causa degli innumerevoli minerali più o meno elastici che compongono la litosfera le fenditure che separarono le zolle non corrisposero direttamente all’impronta regolare impressa dal mantello, ma tra esse sono ben evidenziate le dorsali oceaniche, che producono nuova litosfera in forma di magma, la quale raffreddandosi si solidifica, e le linee di subduzione, dove la vecchia crosta s’inabissa per risalire ancora in superficie in forma di magma attraverso vulcani e dorsali. Tale dinamica ciclica deriva dallo scorrimento delle zolle (o placche) in allontanamento o in rotta di collisione tra loro, che scorrono come fossero zattere alla deriva sull’astenosfera. Questa corrisponde ad uno strato semifluido, che risente della quantità di calore endogeno del pianeta, diveMONUMENTO MEGALITICO SALENTINO (FOTO DI EZIO SARCINELLA) nendo più o meno vischioso e più o meno scorrevole per le placche che scivolano Il principio che unificava entrambe le forsu di esso in allontanamento l’una dall’altra me d’intervento equilibrante, sul territorio e o in rotta di collisione l’una contro l’altra, ma sul corpo umano, era basato, appunto, sulla tutte alla deriva naturale impressa dalle dinacapacità di rendere coerenti le onde di flusmiche terrestri endogene ed esogene. so di campi elettromagnetici: quello terrestre per mezzo dei menhir aventi funzione di aghi litici per modulare il campo magnetico delle Complessi megalitici geomasse e, quello biologico per mezzo dei salentini a “tela di ragno” sottili aghi metallici, aventi funzione di modulare il campo magnetico delle biomasse, per Intrecciando entrambi i sistemi orientati (a poterli fare vibrare coerentemente e all’uniraggiera e cerchi concentrici) i costruttori di sono. megaliti salentini creavano, quindi, un comLa terapia geo-magnetica, riconoscibile plesso geodetico a forma di “tela di ragno” nell’originaria impronta geodetica megalitiper imbrigliare l’energia centrifuga della celca, venne rispettata e rimarcata anche in epola geomorfologica tendente ad espandersi ca storica, con l’ausilio della iatraliptrice, la a causa del calore endogeno della Terra propratica terapeutica equilibrante usata da Iaso, dotto dal nucleo esterno fuso e per l’azione medico di Enea. dell’elettromagnetismo irradiato per l’attrito La valenza guaritrice dell’antica iatraliptridi questo con la base del mantello. ce corrispondeva alla intrinseca capacità di La “ragnatela litica” assolveva la funzione modulare le vibrazioni prodotte dall’elettrodi geo-puntura, la corrispondente geologica magnetismo. Applicata alla penisola pugliedell’agopuntura, terapia biologica applicata se, significava poter influire sulle onde di flusal corpo umano. so elettromagnetico veicolato per mezzo dei
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sali ionici disciolti nell’acqua di un fiume denominato Iapyx, che scorreva nelle cavità ipogee del suo terreno carsico, marcato in superficie dalle specchie delle celle megalitiche. L’attuale nome “pizzica” della musica terapeutica salentina, impiegata per la guarigione di fenomeni di tarantismo, potrebbe essere stato fatto derivare da Ia-pyx, nella sua qualità di flusso energetico locale, coincidente con un tratto della Ley euro-egizia, ossia del meridiano fondamentale naturale della Terra, la linea sincronica principale che collega i poli Nord e Sud sviluppandosi in forma di “esse”, ritenuta riflesso dell’asse della “bilancia cosmica” del cielo. Nella musica terapeutica la sonorità degli strumenti musicali sviluppa le modulazioni capaci di armonizzare, rendendo coerenti le sue linee di flusso, il campo magnetico biologico con le frequenze del campo magnetico terrestre, fino a determinare la IL SIMBOLO DELLA DEA RAGNO NELLA RAGNATELA COSMICA E IL guarigione del malato. MODELLO SEMPLIFICATO DEL SUO RIFLESSO IN TERRA. (ELABORAZIONE GRAFICA DI MARCO SARCINELLA). Ancora nel 1600, in un secolo funestato da cataclismi, carestie e pestilenze, l’astronomo gesuita Atanasius biblico), mentre il vertice sud corrispondeva Kirchner riconosceva la validità della musica alla località egizia di Bedhet, sul delta del Nilo, terapeutica praticata nel Salento e la consioggi inabissata nel Mare Mediterraneo. gliava per far guarire tarantate ed ossessi. Con il passaggio di stagione precessionaIl mito tramanda che il primo approdo le, con l’apparente slittamento del Sole dalla in territorio italico dell’eroe troiano Enea (e costellazione dei Gemelli a quella del Toro avquindi anche del suo medico Iaso) fu il porto venuto nel V millennio a.C., il Triangolo delle di Badisco, la località presso Otranto (Lecce) Ottave oracolari fu traslato in direzione sud, dove vi è la Grotta dei Cervi, dedicata sin dal verso la Piana di Giza. 10.000 a.C. ad Orione, la costellazione segnaIn rapporto di omotetica corrispondenza tempo dell’emiciclo precessionale dell’Olocecon la costellazione Prua della Nave Argo, il ne. triangolo energetico mediterraneo accoglieIl Triangolo più antico delle Ottave oracova sul lato ovest, costituito dal meridiano fonlari, composto da santuari vibranti di sonoridamentale naturale della Terra, ossia sulla Ley tà guaritrici e divinatorie, che riproduceva in Y, quei templi nei quali si potevano ascoltare Terra la forma della “prua della costellazione le energie telluriche e modulare quelle diNave Argo” così come era visibile dall’emistruttive, quali monumenti megalitici europei sfero boreale fino al V millennio a.C., aveva e piramidi egizie, prima dei templi greci dalle la sua Prima Ottava oracolare estesa sul 40° proporzioni armoniche, dotati di pregevoli parallelo nord, tra il santuario di Orione in arredi marmorei e aurei. Porto Badisco e il Monte Ararat, presso il Mar In epoca greca, rimanendo nel mito e nelNero (interessato nel V millennio dal diluvio
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La “Scienza Sacra” dei costruttori di megaliti la religione popolare tramandata attraverso i millenni, il Salento fu denominato “terra di Aracne”, ossia “terra della dea Ragno”, versione caotica della Dea Madre astrale gravettiana, alla quale era stata attribuita la colpa del caos provocato nel millennio XI a.C., quando iniziò il nuovo ciclo precessionale indicante anche il passaggio dal Pleistocene all’Olocene. La causa delle devastazioni planetarie fu naturale, dovuta ad una massima oscillazione della Terra che si concluse con la traslazione dei poli terrestri, visibili anche in cielo con la traslazione dei poli celesti. Il moto inconsulto delle costellazioni circumpolari dell’emisfero boreale celeste, per gli osservatori del cielo dell’epoca fu invece attribuibile alla costellazione serpentiforme Draco e alla Grande Madre astrale, vista come una Grande Ragno che presiedeva e faceva oscillare parossisticamente la “tela cosmica”, poiché roteanti entrambi in moto caotico intorno al Polo Nord celeste. Aracne, versione greca dell’ancestrale Grande Ragno, era una giovane provetta tessitrice che osò sfidare Atena. La dea della sapienza, dopo averla punita trasformandola in ragno, essendo esponente di una nuova mitologia classica dalle “idee chiare”, impietosita e ammirata della sua bravura, la elevò al rango di divinità minore. Aracne rappresentava però le dee antiche, quelle che la mitologia dalle “idee oscure” voleva che fossero penitenti, ai fini di riscattare
Marisa Grande Dopo la sua carriera di insegnante di Disegno e Storia dell’Arte, continua nel campo artistico con un linguaggio originale, la Synergetic-Art, che trova la sua piena espressione nel “meta-realismo” della sua pittura e della sua poesia. Con il Manifesto del Movimento culturale “Synergeticart 1990” (www.synergetic-art.com) ha avviato un’attività di studi e di ricerca pluri-disciplinare, condotta con approccio sistemico, per cogliere le interconnessioni esistenti tra le varie branche del sapere e promuovere una rinnovata visione
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Marisa Grande la colpa della caotica ancestrale Grande Ragno. Per questo fu destinata ad applicare la sua bravura per ricomporre e mantenere integra la tessitura della “tela litica terrestre” connessa alla “tela cosmica del cielo”, rimarcando e ricucendo la “tela geodetica”, intessuta dai costruttori di megaliti, ai fini di mitigare, normalizzando le onde di flusso del magnetismo terrestre, le cicliche vibrazioni caotiche della Terra, osservate dagli uomini come oscillazioni caotiche della volta celeste. Il sistema-complesso e vibrante di lunghezze d’onda coerenti, per l’azione equilibrante della distribuzione dei megaliti, applicato nelle celle geodetiche salentine e dell’Alta Puglia tramite l’elevazione di una specchia nel centro e di una raggiera di menhir e di dolmen orientati sul percorso annuale del Sole all’orizzonte, corrisponde al modello universale megalitico delle “ragnatele litiche”, replicato nei circoli sacri megalitici in Europa, in India e nel continente americano pre-colombiano. Oggi nel Salento quell’antica organizzazione geodetica è ancora rimarcata dalla distribuzione degli insediamenti antropici delle civiltà successive, a partire dalla messapica, che subentrò nel I millennio a.C. alla terza generazione di costruttori di megaliti, quelli che oramai in fase storica costruivano, al posto dei dolmen isolati e dei menhir, le specchie dolminiche ispirate ad un antico modello bretone, ma di molto modeste dimensioni. della conoscenza. Collabora con associazioni culturali e case editrici e scrive articoli per riviste di cultura. Tra le sue pubblicazione ricordiamo: L’orizzonte culturale del megalitismo (Besa, 2008) e...
Dai simboli universali alla scrittura Besa, 2010
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di Tullia Parvathi Turazzi Nascita, illuminazione e il parinirvト]a del Buddha
Wesak con Sathya Sai Baba tempo di lettura 5 minuti
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uel mattino mi ero svegliata prestissimo, alle 4: non volevo perdermi le file che, nell’Asrham di Whitfield, mi avrebbero dato la possibilità di sedere tra le prime linee e vedere cosi il Nostro Amato Maestro da vicino. Arrivai al cancello un pò trafelata e, dopo i normali controlli con il metal detector, fui fatta entrare. Scelsi una fila qualunque, “tanto -pensai- è già tutto scritto nella mente del Signore, finirò seduta dove Lui ha deciso”. Ero serena e felice, quel giorno si festeggiava il WESAK e l’Ashram era bellissimo, decorazioni in stile Tibetano erano ovunque e file di bandierine colorate dette della Preghiera erano appese su ogni lato del Tempio. Monaci tibetani dalle sgargianti tuniche color zafferano e rosso scuro avevano iniziato a cantare i mantra, con le loro voci profonde e baritonali; mi sentii trasportare subito in estasi in un’ altra dimensione, come sempre accadeva ad ogni Drashan di Swami: un suo dono. Improvvisamente mi ritrovai in astrale o in un altro campo quantico. Vedevo cime innevate ovunque e mi ritrovai ai piedi di un piccolo Monastero Tibetano. Mi incamminai per una ripidissima scalinata verso l’entrata del tempio; ero stupita ma felice, mi sentivo cosi leggera e beata, la forza di gravità era pochissima, ed arrivai in cima in pochi secondi. Mi attendeva un piccolo monaco dagli occhi ridenti che mi fece segno di seguirlo. L’interno del monastero misterioso era bellissimo e pieno di luce, ricordo una grande statua dorata del Buddha che mi sorrideva silenziosa; l’ impressione fu che essa fosse viva! Fui introdotta in una saletta color smeraldo. La luce che si irradiava in modo misterioso dalle pareti illuminava tutta la stanza, in modo
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Tullia Parvathi Turazzi irreale e magico. Improvvisamente un anziano monaco entrò. Era vestito in modo diverso, la tunica era color oro scuro ed il resto dell’abito di color bronzo rossastro. Mi sorrise fissandomi a lungo con due occhi pieni di luce e compassione ma allo stesso tempo birichini... la sua voce raggiunse mia la mente ma lui non aprì bocca. Avvenne tutto in modo telepatico, mi parlo’ a lungo in una lingua stranissima, ma che in quel momento io capivo perfettamente. “Mia cara figlia, finalmente sei tornata!” Rimasi di sasso...tornata dove? Il dialogo che ne seguì fu molto personale
ed intimo. Posso dire solo che mi parlò a lungo di una mia vita come regnante in Atlantide, prima della sua caduta, di come ero riuscita a salvarmi da quella tremenda catastrofe con la mia famiglia ed alcuni fedeli amici, della Luce - e non delle trame oscure - che portò il regno di Atlantide al crollo che lui chiamò Poseide, in onore del dio Poseidone, che si narra fu suo fondatore. Ricordo che le lacrime mi uscirono copiose dagli occhi. Quanto dolore mi invase, ricorda-
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Wesak con Sathya Sai Baba
Tullia Parvathi Turazzi
vo tutto... una morsa mi strinse il cuore. Stavo ancora piangendo quando la sevadal dell’Asrhram mi scosse, riportandomi bruscamente a terra: la mia fila aveva pescato il numero 1. Che gioia, mi sarei seduta davanti, vicino a Swami, e avrei potuto guardare il Suo Volto bellissimo e divino per tutto il tempo! Che giorno benedetto! Mi sedetti compostamente sul mio piccolo cuscino ed attesi. I monaci melodiavano in modo stupendo e il mio cuore, seppur scosso dalle visioni della caduta di Atlantide, era ora in beatitudine. Mi asciugai le lacrime e pregai intensamente dentro di me... che mai più l’ umanità dovesse vivere una simile catastrofe terrena e spirituale come quella che avevo appena vissuto e ricordato in astrale. L’Amato Baba entrò in quel momento, col Suo passo fluttuante e divino; passò vicinissimo a me e si fermò un attimo a parlare con una signora indiana poco più in là. Nel mio cuore adorante desiderai di toccarGli i Piedi di Loto. Non lo avevo mai fatto... ero incerta e la seva mi fece cenno di no. “Peccato”-pensai, ma Baba improvvisamente si voltò verso di me e fece cenno di si con la testa. Sorrise e sporse il suo Piede Divino leggermente verso di me. Capii che era giunto il momento atteso da mesi.
Mi sporsi e posai delicatamente la mia mano destra sul suo piede, che era fresco e morbido, divino... fui avvolta da un onda d’ Amore cosi intenso e delicato allo stesso tempo che mi portò in uno stato di estasi totale per molto tempo. Il Darshan continuò, e quando riaprii gli occhi dalla mio rapimento estatico vidi che una grande luce era apparsa sopra la mano di una statua del Buddha, che per l’ occasione era stata posta alla sinistra dell’altare. La Luce, che vedevo da sveglia e non in meditazione, usciva dalla mano benedicente della statua... era cosi intensa che mi costrinse a socchiudere gli occhi. Improvvisamente si tramutò in una croce luminosa dal colore blu e oro. Rimasi incantata... la vedevo solo io? O qualcuno la vedeva come me? Non lo seppi mai. So solo che quella giornata del Wesak fu una pietra miliare del mio percorso spirituale ed ancora oggi, mentre ne scrivo, provo una gioia indicibile. Un altro gradino verso la Meta era stato scalato. Avevo ricevuto in dono il Sai Buddha Darshan! Conservo ancora, per ricordo, alcune bandierine colorate tibetane che adornavano il tempio in quel giorno memorabile, e che mi furono gentilmente donate il giorno dopo la festa dai sevadal dell’Ashram. Jay Sai Ram!
Tullia Parvathi Turazzi
dove li vede e tocca normalmente come in 3 dimensioni, un dono di BABA, uno dei molti che ha ricevuto da LUI. Vive attualmente in India, ma viaggia tra i vari stati indiani. Vive a Puttaparthi dove ebbe la fortuna a 43 anni di avere la grande benedizione di conoscere ed incontrare l’Avatar di questo kali yuga SRI SRI SATHYA SAI BABA che le mostrò “se stessa a se stessa”, e gli rivelò che Dio vive in noi e non fuori di noi. Ha vissuto continuamente ai suoi piedi di loto dal 1998 fino al Suo Mahasamadi. Un’esperienza che da sola merita un libro, che sta scrivendo. Prosegue il percorso seguendo i suoi insegnamenti “AMA TUTTI E SERVI TUTTI”. Il suo percorso umano e spirituale continua, in astrale con la Sua vicinanza continua perchè non c’e limite alla bellezza e alla meraviglia della Rivelazione.
Nata a Monza (MI) il 10 agosto 1955. Caduta dal cielo insieme a migliaia di stelle cadenti nella notte di San Lorenzo. Ha frequentato il liceo Artistico di Brera diplomata in grafica pubblicitaria, studiosa di psicologia e danza moderna, di religioni antiche, antiche filosofie, simbolismo, esoterismo, ricercatrice, conoscitrice di molti mezzi di divinazione dai tarocchi agli I Ching, astrologia, sensitiva fin da piccolissima, in contatto con altre dimensioni o loka. Pratica meditazione e yoga tantra kundalini da 13 anni, pratica il reiki e l’healing, è canalizzatrice di Baba e di altri maestri ascesi, ma più che canale ha con loro contatti astrali
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di Danilo Tacchino Il significato del Prodigio, l’esempio di Torino
Le caratteristiche di un territorio magico
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Le caratteristiche di un territorio magico
Danilo Tacchino
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o spirito di un territorio si lega prima di tutto al suo passato, non per venerarlo o identificarlo nella sua unicità, ma per chiarirne i principi creatori, in relazione a quella divinazione spirituale primordiale che indica la vera natura del luogo e le sue peculiarità. Natura generalmente perduta o fortemente nascosta dall’invasiva tecnologia dei tempi moderni, che hanno ormai livellato quasi del tutto i territori cosiddetti avanzati e fondamentalmente legati all’area occidentale, anche se ultimamente la globalizzazione sta fortemente e velocemente fagocitando ogni territorio anche di altra cultura. L’analisi di un luogo ritenuto magico, o almeno interessante nell’ambito esoterico, è comunque legata ad una storia di fatti ed in special modo ad un incedere, nel tempo, della concezione che si riferisce al mistero e a tutto quello che, nel poco chiaro, tende a trasmutarsi in prodigioso e si può definire all’interno di tre parole chiave: Mistero, magia, esoterismo. Tre termini che però debbono essere ben distinti tra loro, per non cadere in una confusione oscura da cui difficilmente poi si può uscire, districando quel bandolo della matassa che possa chiarire bene ogni elemento, e non far sì, al contrario, che tutto possa essere ridefinito e re-instradato per una comodità di discorso e di tesi, per quel che si vuole avvalorare e difendere. Come seguito illuminante di questo discorso, possiamo prendere come esempio la storia di Torino e della sua magia, dagli inizi della preistoria sino ad oggi, implicandovi quindi un dinamico trasformismo delle stesse leggi misteriche che veicolano la spinta del racconto. In poche parole, si vuole descrivere come, nell’evoluzione del tempo, l’impatto stesso del vissuto degli abitanti sul proprio territorio è ritrasformato ed ereditato dagli abitanti successivi attraverso le nuove esperienze non solo autoctone, ma anche provenienti dall’esterno. Ecco quindi che l’esperienza della magia, la scienza degli antichi maghi, in questo contesto sciamani o stregoni liguri, e poi dei druidi sacerdoti di religione celtica (fusi insieme agli
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LA MOLE DI TORINO
sciamani liguri nell’esperienza della conquista del territorio), si identifica nelle conoscenze delle forze della natura e dei suoi Dei. La magia è quindi vista come una connessione primitiva in evoluzione tra l’uomo e il sacro. Si passa poi attraverso la trasformazione dei tempi e delle credenze dell’uomo, man mano che il desiderio di credere nel miracoloso e nel divino acquista nuove logiche; il rapporto divinatorio si trasforma in religiosità e poi in religione, dove la magia si contiene in spazi periferici ed isolati, quasi fuori dalla regola ufficiale, dove esiste un senso di assoluto nei riguardi dell’intelligenza e della fede. Ritroviamo quindi in Torino quella commistione di mistericità religiosa che dal periodo romano giunge sino al medioevo, e poi al rinascimento ed al periodo dei Lumi dove l’esoterismo prende forma. Secondo Eliphas Lévi, l’esoterismo è come la somma di fondamentali principi intimi, anche definibili come
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Le caratteristiche di un territorio magico segreti, che ognuno può nascondere in sé, carpendoli da ciò che lo circonda, da quegli argomenti che possono dirsi esoterici. Ed ecco che, dalle corporazioni medievali, da cui nascono i principi fondanti delle arti, giungiamo a quelle società segrete seicentesce e settecentesce, massoniche, rosacrociane e quant’altro, che dicono di contenere in esse delle conoscenze non facilmente comprensibili a tutti, e che quindi solo coloro che conoscono e possono controllare riescono a gestire al meglio. Secondo lo studioso Massimo Introvigne l’esoterismo, inteso come dottrina, pretende di detenere una verità segreta superiore alle varie religioni, che non sarebbero altro che manifestazioni esteriori di questa verità. Esoterismo poi in altri ambiti considerabile non come dottrina, ma come metodo che cerca di approfondire i grandi temi della condizione umana attraverso l’utilizzo di modelli fondati sull’immaginazione, sull’analogia e sul simbolo, IL PO piuttosto che sulla parola che si fa verbo. Nell’epoca dei Lumi, la coscienza positivista del sapere scientifico è l’espressione di un’ulteriore salto, quello di una fantascientificità che interpreta il magico, o lo ri-semantizza, come dicono gli antropologi, senza defenestrarlo o annichilirlo attraverso l’arida e matematica perfezione della scienza. Esempio eclatante sono gli UFO, simbiosi tecnologica di un passato colmo di esseri magici e non umani. Nella magia dei nostri tempi confondiamo quella di “bassa lega”, che Levi ebbe a definire come: “ Magia che, ormai da molto tempo, viene confusa con le chiacchiere dei ciarlatani, le allucinazioni degli ammalati e le malefatte di alcuni delinquenti bravissimi. Del resto, molti definirebbero volentieri la magia come l’arte di produrre effetti senza cause. (…) La magia non potrebbe essere messa in pratica da chi non la conosce e del resto non dipende da quelli che credono riconoscerla in questo o quello; è quello che è di per sé stessa come la matematica, perché è la scienza esatta ed assoluta della na-
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Danilo Tacchino tura e delle sue leggi.” Dal mistero del fantastico e del fantasioso che governa il desiderio di divino e assoluto (al quale ci si può caratterizzare nel mondo del pressappoco e della civiltà contadina), passiamo a tempi meno remoti ma sempre ricchi di misteriosi avvenimenti, in cui la fantasia si somma alla scienza attraverso una
preparazione culturale collettiva, di tipo moderno, di stampo scientifico-tecnologico. Da queste riflessioni di taglio prettamente didattico, per cercare di comprendere le differenziazioni profonde tra gli strati del tempo storico, e gli avvicendamenti nel desiderio di comprendere la trascendenza attraverso il mistero della magia, dell’esoterismo e della religione, riprendiamo l’analisi di questo tema sul territorio a noi caro. Per certi versi, a Torino l’aggettivo esoterico è divenuto l’assunto di città ricca di mistero, insolita, non definibile secondo un modello razionale. Una città in cui la dimensione impalpabile dei suoi personaggi, come abbiamo visto, è curiosa da indagare, attraverso una spirale di situazioni e di fatti che va ben oltre il tempo, dove, come ebbe modo di pensare un noto personaggio, sembra strano che negli antichi palazzi della città possano celarsi personaggi così enigmatici e impropriamente unici.
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Le caratteristiche di un territorio magico
Danilo Tacchino
Torino ha avuto primariamente nella magia vissuto, amato e sofferto, hanno creato con delle stagioni quella della sua trasformazione. discrezione e pionierismo tutti gli elementi Magia intesa come esperienza storica territodi evoluzione che hanno fatto grande e unita riale, inclusa nelle interrelazioni psicologiche, l’Italia. motivazionali, sensoriali e sentimentali degli Il mistero di una terra che ha trovato la for“attori” individuali e collettivi, che hanno conza di superare ogni difficoltà per unire. Nella tribuito all’evoluzione peculiare del territorio. specifica interpretazione ed analisi delle sue Senza l’interrelazione uomo-natura non può reliquie e dei suoi monumenti, Torino è riteesistere la magia, ed essa si conforma attranuta la città magica più conosciuta, ma non verso la capacità di potenziare con naturalità prodigiosa i fenomeni naturali senza snaturarli, tenendo in profondo conto la parte legata alle sensazioni ed ai sentimenti umani. Torino ha quindi degli elementi unici che la identificano primariamente ad altri luoghi a città nell’atmosfera di un territorio magico, e molti cercano di motivare questa tesi attraverso la sacralità dei luoghi e delle reliquie che in lei sono conservate. Reliquie cristiche, tra le quali identifichiamo profondamente la Sindone e i riferimenti al Graal che, come abbiano detto, sono ritenute fondamentali per la cristianità e molto intriganti per il mistero della loro comparsa, che si confonde senz’ombra di dubbio nella leggenda. E nella leggenda, altro strumento CHIESA DELLA GRAN MADRE A TORINO di identificabilità misterica, la città trova ulteriore spinta verso il senso di inl’unica. Difatti un recente sondaggio effettuadefinibilità. Nella mancanza di fonti scritte o to da una rivista mensile nazionale ha evidenchiaramente attendibili che identifichino con ziato come Roma, Napoli, Firenze e Bari non certezza il fatto o il personaggio, ritroviamo siano da meno in fatto di elementi magici l’ulteriore presenza del prodigio di un territocontenuti nel loro territorio. Torino però è ririo colmo di enigmi insoluti e forse insolubili. tenuta una città con una marcia in più, una Da una città che addirittura sembra fonquantità di elementi che, fusi tra loro, effetdarsi nella leggenda prima ancora della nascita di Cartagine e di Roma stessa, passiamo ad tuano quel miscuglio così equilibrato, così particolare, così discreto, che solo Torino conun culto diabolico che, nel fazioso desiderio tiene e sa di avere. di esautorare un clericalismo che lede all’uniTorino è sempre stata artefice di ogni intà di una nuova nazione, bolla il territorio di novazione unitaria poi relegata ad ancella, un misticismo laico, discreto, in penombra. Ma non dimentichiamo anche che questo deprivata seppur onorata attraverso il suo primato di aver preceduto i tempi. Elevata luogo è sempre stato ritenuto un territorio di dalla storia per brevi tratti, attraverso i granfrontiera, la porta d’Italia da sempre, sin dai di fatti storici italiani: Torino risorgimentale, tempi antichi, dalla mitica fatica di Ercole conregale, industriale, politica, operaia, capitale tro i Liguri delle montagne, alla conquista gallica dovuta a Cesare. Un territorio, questo, nel delle Alpi, e ora pure città olimpica, ha acquisito la sua identità globale rivisitata attraverquale le generazioni di coloro che vi hanno
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Le caratteristiche di un territorio magico so le epoche e i momenti delle vicissitudini dell’uomo. Nell’ambito del popolo degli esoteristi, o meglio, di quelli che credono fermamente che il territorio abbia la sua esotericità intesa come energia universale, unica e imprescindibile, si è avuto modo di riflettere come sia difficile verificare praticamente la presenza, secondo logiche positiviste, di questa grande e particolare energia, sebbene sia bello e affascinante credere che vi sia, avvalorando tutti i fatti storici che la accreditano, e soprattutto la presenza dell’elemento umano e dei suoi sentimenti, le sue passioni, speranze, vittorie, delusioni, sofferenze. Su questo livello di discussione vi è una profonda divergenza tra gli esoteristi e la linea di condotta affidata a questo testo. Per i cultori dell’esoterismo non è la persona che contiene lo spirito del territorio, bensì il territorio stesso che energeticamente gravita su elementi particolari insiti nel mistero della natura, mentre è necessario che le persone siano preparate e “iniziate”, per poterne carpire i segreti. È quindi su questa logica di analisi che continueremo la nostra ricerca conoscitiva del territorio torinese, partendo dalle persone: da quella loro energia che, nel particolare, ne fa casi prestigiosi che collettivizzano la logica di una comunità, che nella sua realtà fattuale non può che confondersi con tante altre realtà di tanti altri territori e città d’Italia. Chiudiamo il primo arti-
Danilo Tacchino Nato a Genova nel 1958, vive a Moncalieri, provincia di Torino. Sociologo, scrittore e poeta. Conferenziere e promotore di convegni. Laureato in Lettere Moderne con indirizzo sociologico - industriale, diplomato in Elettronica, opera nei settori dell’organizzazione aziendale e dell’innovazione industriale, in special modo attraverso le tecniche della terza generazione quali l’Informatica, l’Elettronica, la cultura della Qualita’. È stato docente di Sociologia Industriale all’Uni-
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Danilo Tacchino colo su questo soggetto con una riflessione del giornalista Aldo Cazzullo, che ha avuto modo di vivere e conoscere profondamente lo spirito di questo territorio: “(…) Raccontando questa città non si raccontano cose banali e ordinarie, ma grandi e terribili, prodigiose e meravigliose (…) non sta scritto da nessuna parte che in alto a sinistra sulla cartina d’Italia debba esserci una grande città. (…). È eccezionale, è sovversiva, nel senso che infrange le regole, gli standard, i parametri. È una città non grande, non centrale, non antica, non amata, che pure ha davvero fatto l’Italia due volte, a San Martino e a Mirafiori, per la politica e l’economia. Non sarà mai un borgo tranquillo, anche se magari amerebbe esserlo. È una città predestinata. A un destino che non si è scelta. Mentre chiudiamo la nostra lunga conversazione, già sta cambiando, e già apre gli occhi su di lei chi saprà raccontarla, in modo nuovo e diverso. Cercherà una nuova prospettiva sulle cose, avrà comprensione per i nostri errori, troverà altre spiegazioni a un mistero che, quello sì, resta sempre uguale a se stesso.” (E. Messori, A. Cazzullo, “Il mistero di Torino”, pag. 484, Mondadori) Nel prossimo articolo si tratterà di quella magia del territorio torinese effettuata dagli uomini, dai personaggi, enigmatici e non, comunque legati all’innesco dei contenuti prodigiosi e magici, che in qualche modo hanno tramandato a tutti l’esempio della loro esperienza.
versità Popolare di Torino. Il suo sito personale: www.dantak.com. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: La Stele. I Celti, le Alpi, Annibale (Il Punto, 2006), Torino, storia e misteri di una provincia magica (Edizioni Mediterranee, 2007) e...
Faraoni sul Po Ananke, 2009 vai scheda libro >> Ottobre 2011 | n.4
di Orazio Valenti Il famoso contattista italiano
La mia vita accanto ad Eugenio Siragusa tempo di lettura 10 minuti
EUGENIO SIRAGUSA INDICA IL LUOGO DEL SUO PRIMO INCONTRO SULL’ETNA
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La mia vita accanto ad Eugenio Siragusa
Orazio Valenti
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el 1980, trentuno anni fa, ho iniziato a scrivere il primo libro, insieme a M. A. De Muro, sulla biografia di Eugenio Siragusa. Poi ne ho scritti altri quattro, ma prendendo in mano quel testo, ne sento tutta la vibrazione che mi spinse allora. Avevo 34 anni, e nei riguardi di questa coscienza, conservo la stessa giovinezza. Lo avevo conosciuto ed iniziato a stargli vicino undici anni prima, anche se in realtà già lo conoscevo, perché avevo ritrovato la persona più cara di tutte le mie vite passate. Per essere CONFERENZA ALL’HOTEL EXCELSIOR DI CATANIA NEGLI ANNI ‘70 più precisi, lui mi aveva richiamsorriso bonario in dialetto veneto: “Te teo ghè ato e risvegliato per dirmi: continuiamo! sognà!”. Da subito, inconsapevolmente, mi si sono Perché ero costretto a studiare cose che placate tutte le ansietà di ricerca di sapere, rissapevo non vere, suscitando l’ira e lo scherno poste impossibili per la cultura dell’umanità, di mio padre maestro, e poi dei professori fino poi a domande che non facevo, perché mi all’università? rispondeva senza domanda o parlava con alA queste ed a molto altro ho avuto confertri di quello che volevo sapere, ed il mio cuore na di quanto sapevo dentro, ed ogni mistero gioiva di un impeto interiore senza confini. svaniva. Ma non era il cuore, più tardi compresi che Ma chi è Eugenio? Naturalmente suggerera il mio spirito a liberarsi sui livelli della coisco al lettore di leggere i miei libri che trova scienza cosmica. gratuitamente sul sito edicolaweb/nonsoQuali erano le domande che mi ponevo loufo.net, ed aggiungo alcuni suggerimenti. sin da bambino? Le rivelazioni ed i consigli che riguardano Chi erano quegli Angeli che in sogno mi il passato, il presente ed il futuro della storia rasserenavano sulle terribili inquietudini della umana terrestre, chi le poteva immaginare mia infanzia? Cosa erano quelle luci che, nelle sessant’anni fa per come ce le ha spiegate Eunotti d’estate in cui mi siedevo nel giardino di genio? casa, a Monselice, viaggiavano in cielo come Fu subito polo di attenzione per numerosi oggetti per conto loro, si fermavano o guizstudiosi e governi internazionali, che purtropzavano via? po cercavano qualcos’altro di carattere pretOgni tanto si avverava il mio desiderio di tamente materiale come il costruire i dischi volare nello spazio, mentre dormivo, e vedevolanti o una superarma. vo cose che nessuno mi sapeva spiegare. Mi Non avendo questa soddisfazione, cominrisvegliavo spesso con il batticuore per avere ciarono subito a schernirlo, inviandogli intensamente vissuto nei panni di un persond’appresso vari agenti di informazione prevaaggio diverso da quello che ero ed in luoghi lentemente statunitensi e russi, senza cavargli sconociuti. Un giorno chiesi a mia madre: un ragno dal buco, perché la sua missione era “Quando siamo stati in quella meravigliosa molto diversa da quella di altri pochissimi vallata coronata di montagne rocciose e nucontattati. goli di aquile che roteavano sul cielo cristalFu invitato a convegni di varia natura in lino?”. Mi rispose con gli occhi incuriositi e col
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La mia vita accanto ad Eugenio Siragusa
Orazio Valenti
tutto il mondo dove lo ho accompagnato Programmi Celesti. Ha rivelato nel 1969 la negli anni 70’. possibilità di vivere sotto la crosta lunare per Ero spesso presente, sin dal suo primo luola presenza di acqua ed ossigeno, dove sosgo di operosità, a S. Maria la Stella, poi a Valtano basi extraterrestri in operosità sul nostro verde e a Nicolosi, dove si susseguivano visite Pianeta; chiarito che i nostri astronauti non di giornalisti, persone che avevano avuto espotrebbero mai viaggiare o sostare per lungo perienze particolari, interessati e curiosi. tempo fuori della atmosfera terrestre, perché Negli anni 60’, le politiche mondiali avevano cambiato atteggiamento verso la realtà delle manifestazioni Extraterrestri: dapprima la divulgazione di testimonianze ad opera di persone di vario tipo, di scienziati e di militari, fu libera, ma dopo la presa di coscienza che queste astronavi erano tecnologicamente fantastiche, mosse da intelligenze di gran lunga superiori per la nostra misera scienza, tutto fu sottomesso alla segretezza, pena la morte. Perché? Evidentemente, l’epilogo al quale andava incontro l’umanità era ad un bivio. La scoperta della fissione nucleare, la prime esplosioni ed i crescenti test, avevano CONFERENZA ALL’OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI LIMA NEL 1976 drasticamente messo la sopravvivenza dell’umanità di fronte ad un baratro: privi del loro indissolubile legame animico cessazione di questa follia o autodistruzione. energetico vitale alla Dimensione Madre TerEd è proprio in questo particolare morestre, pena lo sdoppiamento e la morte del mento storico che si innesta l’operosità di Eucorpo. genio come Ambasciatore Extraterrestre, con Intanto oggi sembra pronto il macroscopil messaggio contro questa scienza apocalittiico progetto di “alcuni terrestri del governo ca, dell’Aprile 1963, ad opera dei comandanti occulto”, di distruggere l’umanità e rifugiarsi delle forze extraplanetarie in missione sul Piasu altri luoghi dello spazio: impossibile! neta Terra. Come ho spiegato nel libro “La Legge del Da un lato, Eugenio trasmetteva gli ammoPadre”, ricordo quanto scritto da Eugenio nimenti contro il nucleare, l’inquinamento, la negli anni 70’: dissoluzione mentale e psichica dell’umanità, “Nicolosi, 6/12/1977 Pericolose svolte neldall’altro ha rimesso in ordine i Concetti fonla Politica Mondiale. damentali su “Cosa è la Vita, Chi siamo, da A differenza di quanto si dice, le due superdove veniamo e dove siamo proiettati”. potenze del vostro Pianeta accumulano semGli argomenti che ha trattato sono così pre più un potenziale distruttivo enorme. Voi, vasti che è impossibile farne una sintesi. fratelli della Terra, sconoscete la Realtà che vi Ha spiegato come si è formato il Sistema sovrasta, perché nulla o poco sapete. Solare, Il Pianeta Terra, la Luna, le razze umane, Il vostro Pianeta è saturo di potenziale dischi erano gli antichi profeti e chi erano gli Antruttivo sempre più sofisticato e con varianti geli che li contattarono, chi sono i veri modestremamente apocalittiche. Le difficoltà ecoerni contattati e perché sono strumenti dei nomiche sempre più crescenti in fase caotica,
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stimolano molti Capi di Stato a coordinare una politica pericolosissima. Le carenze energetiche e alimentari si rivelano gravi, e non meno gravi sono le distonie neuroniche di numerosi cervelli prossimi ad essere pienamente investiti da un letale morbo Harbar, cioè distonia progressiva dei circuiti neuronici e quindi totale follia distruttiva, furia animalesca, impellente istinto di uccidere e di uccidersi. Non avete voluto ascoltare i Nostri Richiami e i Nostri fraterni Ammonimenti: ora vi trovate ad un bivio assai difficile per poter scegliere la Via Migliore. Abbiamo commiserazione per INTERVISTA DELLA RETE TV NAZIONALE DI BOGOTÀ NEL 1976 tutti coloro che hanno preferito rimanere apatici e insensibili ai armati e di ingenti forze pronte ad una guernostri Avvertimenti più volte Ripetuti. Ora siete ra mai vista, in terra ed in cielo, con l’aiuto di costretti a dover affrontare il punto ipercritico “alieni”, contro le forze extraterrestri (dimostche non sarà facile superare se non impegnrazione che l’Harbar ha raggiunto il punto di erete la totalità delle vostre forze, animate da fusione). una Volontà e da una Fede sovrumane. Se metSarà così o diversamente, chi ha posto il terete in pratica una Politica meno edificante proprio cuore e la mente nel Cuore e nella delle altre che vi hanno portato in questi bui Mente del Padre e vive di conseguenza, non sentieri, il Genere Umano sparirà dalla Terra. ha nulla da temere. Il 2012? La profezia riguarPace. Adoniesis” da la trasformazione di un ciclo planetario Nel 1977! Come hanno risposto i “respon(sempre che la data non abbia subìto slittasabili”? menti nei calendari di vario tipo), non il giorLe due superpotenze, da tempo hanno no della fine dell’umanità, perchè Gesù Cristo lavorato per dominare le popolazioni del Piaha detto: “Nè voi nè io conosciamo il giorno neta e da tempo hanno costruito armi di cone l’ora, ma solo il Padre Mio che è nei Cieli”. dizionamento e distruzione di massa, di tipo Quindi, quanto viene divulgato è sempre ad tecnologico, chimico, biologico, elettromaguso intelligente del nostro discernimento. netico. Ma… per quale scopo? Lo scopo di questo mio scritto è di ricordarIl peccato originale si ripete: eliminare la genetica naturale e farne una nuova (OGM), ci quanto i nostri Veri Fratelli ci hanno sempre raccomandato attraverso Eugenio: “Non vi trasformare la Natura Madre ed asservirla, ropuò essere né Pace né Amore senza Giustizia, botizzare l’uomo. quella dettata dalle Leggi dello Spirito”. Non vi Questo progetto ha cominciato a realizè dubbio che la Misericordia del Padre attenzarsi da quando certi scienziati e le maggiori potenze politiche terrestri hanno stretto alleziona da vicino tutti coloro che hanno vissuto fin dalle incarnazioni passate con animo puro, anza con “certi alieni”, producendo una nuova con disponibilità di Amore Fraterno, facendotecnologia superiore, facendo nascere ibridi si ricchezze in Cielo e non in Terra, che non si alieni-umani, con tutti i fatti sempre più evisono fatti e non si faranno condizionare fino denziati da ufologi, psicologi, studiosi di rapimenti e di impianti microchip. Si parla, con all’ultimo dalle mille distrazioni e tergiversazioni delle diabolicità umane, perché non vi è sempre più prepotente sgomento, di satelliti
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La mia vita accanto ad Eugenio Siragusa
Orazio Valenti
diavolo più diavolo dell’uomo. Non abbiamo voluto diversificare le due realtà: quella spirituale che definisce “Chi è l’Uomo”, e quella che quest’uomo sta volendo vivere. Se gli umili, i sofferenti, i giovani puliti d’animo, i perseguitati dalle ingiustizie, cercano di reagire, non puoi dirgli “Pensa positivo!”, perché “Non uccidere!” è una Legge irremovibile; “Non odiare ma fai agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”, è Legge inequivocabile. Quella scrollata di spalle con le mani che si aprono e gli occhi truci “Così fanno gli altri e così faccio anch’io” e da questo far nascere le leggi umane, è sbagliato! ORAZIO VALENTI INSIEME A EUGENIO SIRAGUSA NEL 2000 Avere più di una cosa di fronte a chi non ha nulla è sbagliato! Dai, e ti sarà parola dal vocabolario umano perché non si dato dal Padre. deve nominare il Nome di Dio invano. “L’Amor Quel fare politica infischiandosene delle che move il Mondo e le altre Stelle”, lo definì Leggi Universali preesistenti, è sbagliato! Dante. Da dove viene il nostro essere? Da cosa è Il “pensiero positivo” dovrebbe dunque retto l’equilibrio degli atomi, dei Pianeti, degli accompagnare le Azioni in armonìa con le Universi? Quale è la forza che tiene il Tutto in Leggi Universali, così come le preghiere non movimento armonico perfetto ed in evoluzisono altro che le nostre Azioni per il bene del one continua? L’uomo è categoricamente prossimo. E visto che abbiamo operato male una componente del Tutto, e su questo ne con azioni materiali negative, le azioni posiè stata fatta solo mercificazione, sono stati tive dovevano essere di “rimettere ogni cosa al scritti tanti libri e sproloquiato in tante consuo giusto posto”, consiglio fondamentale rivferenze facendo filosofie trite e ritrite, ma il riolto da cinquant’anni dai Signori dello Spazio sultato dov’è? Guardando di presenza o solo all’umanità, attraverso Eugenio. Ma se ci guarin televisione un essere umano, fratello di tutdiamo intorno, constatiamo che quest’uomo ta l’umanità!, che sta morendo di emarginazinon ha fatto che perseverare nella “impoone, siamo poi capaci di guardare l’immagine sizione” di una realtà contraria. di un Pianeta o di una Galassia? Con quale Questo mi sento di dirvi perché vi voglio coscienza se il nostro spirito è morto? E prebene, ed oggi non si può più essere né tiepidi tendiamo ancora di parlare di né deboli, ma dobbiamo prepararci, predisAmore? Sia cancellata questa porci alla Luce che squarcerà le tenebre.
Orazio Valenti Laureato in Scienze Naturali, vent’anni di ricerca scientifica in vulcanologia, insegnante di
Ottobre 2011 | n.4
Scienze ed Educazione Ambientale, giornalista impegnato sull’Etica Scientifica, biografo personale di Eugenio Siragusa. Numerose pubblicazioni e conferenze in Italia ed all’estero. Passione per la pittura.
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