ARCHEOLOGIA STORIA SCIENZA E MISTERO
ANNO I NOVEMBRE 2011
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Siamo Celti? Il Popolo dei Celti non è mai esistito
SIMBOLI: L’INTELLIGENZA DEL DADO ARCHEO: L’ENIGMA DELLE ROVINE DI MIRAFLORES SCIENZA: PUNTO G: PUNTO EROTICO O PUNTO INIZIATICO?
IN QUESTO NUMERO:
5 RUBRICHE 14 ARTICOLI
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editoriale
3’ a cura di Vincenzo Di Gregorio
Un altro giro di ruota...
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una Bianca va avanti. Anche questo mese ci sono molte novità foriere di interessanti sviluppi. Chi ci segue dai primi numeri sa che il corpus degli argomenti trattati dalla nostra rivista indaga tra scienza, archeologia, storia e mistero. Ma se la parola mistero abbraccia quasi tutto quello che non è completamente conosciuto, la stessa cosa non si può dire della parola scienza. Gli articoli pubblicati da Runa Bianca spaziano dunque tra il noto e l’ignoto. Come si può descrivere l’ignoto?... una buona definizione letterale sarebbe: “Quello che non è noto”! Per noi è tutto ciò che ancora non ha trovato un inquadramento in quella che si suole chiamare scienza. Ma questo non vuol dire che ciò che ancora non si conosce non esista; anzi, è qualcosa che va maggiormente approfondito e studiato, per essere realmente compreso. In fondo, quasi tutti i fenomeni che sono al giorno d’oggi oggetto di analisi scientifica sono stati catalogati, in principio, come “cose misteriose”... penso ai fulmini, ai terremoti o alla stessa forma dei continenti, che solo nella seconda decade del 1900 fu realmente conosciuta. Runa Bianca quindi continuerà a parlare di Ufo insieme ad importanti scoperte archeologiche, convinta che facciano parte di un tutto. Tanti tasselli di uno splendido mosaico che alcuni chiamano vita, ed in cui noi siamo meravigliosamente immersi. La passione di conoscere e di sapere ci accomuna e ci spinge a proseguire in questa direzione. La vita ha infinite sfaccettature che portano soddisfazione alla mente ed al corpo; siamo infatti esseri senzienti, ed utilizziamo il nostro corpo per interagire col mondo che ci circonda. Nei numeri passati abbiamo discusso della capacità dell’uomo di amare e di provare emozioni, alla ricerca della sua anima gemella. In questo numero si parlerà anche della conoscenza più intima di come il nostro corpo sia stato “progettato” per provare piacere e dare piacere. Ci siamo a tal proposito rivolti ad uno dei maggiori esperti di questo settore, per parlare
Runa Bianca
del “misterioso” punto G del corpo femminile: il dr. Bencini, medico chirurgo, specialista in psicoterapia ad indirizzo funzionale corporeo per terapie individuali e di coppia. Ecco quindi come una cosa che per molti è “misteriosa” possa rientrare nell’ambito scientifico se solo si hanno i mezzi e la volontà per farlo. Questo argomento, tabù per molti, manifesta la nostra intenzione di aprire un’importante capitolo che riguardi la conoscenza ed il benessere del nostro fisico. I nostri avi romani solevano dire “Mens sana in corpore sano”, convinti che non si potessero raggiungere livelli elevati di coscienza se la mente non fosse stata supportata da un corpo efficiente ed in salute. La sessualità svolge un ruolo importante in questa direzione, ma non solo. Ad esempio è anche essenziale una sana alimentazione, ed una medicina capace di curare senza ricorrere a forti dosi di farmaci, magari utilizzando metodi tramandati da civiltà che ci hanno preceduti e che abbiamo forse volutamente dimenticato. Ecco quindi come la storia ed il passato possono aiutarci a capire e a migliorare il nostro presente. Runa Bianca sta quindi seguendo un percorso di conoscenza ed informazione a 360 gradi. Chi avrà la voglia di seguirci potrà capire come tutto è intimamente legato, come siamo gocce che galleggiano nel mare della conoscenza; similmente a certi cammini iniziatici che portavano gli apprendisti a penetrare nei segreti della conoscenza, magari solo vedendo sotto un’altra luce quello che era sempre sotto gli occhi di tutti. Stiamo compiendo questo cammino senza “appartenenze” o settorialismi, ma solo mossi dalla voglia di conoscere e far conoscere le “nostre” verità. C’è infatti dentro ognuno di noi un frammento di Verità e di sapere. Se solo riuscissimo a condividerlo, avremmo accesso ad un sapere collettivo e senza limiti. Buona lettura e a presto! Arch. Vincenzo Di Gregorio
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Editoriale
a cura di Vincenzo Di Gregorio
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RUBRICHE
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PERLE DI SAGGEZZA
Jung e la “legge dell’Uno” Viaggio interiore alla scoperta della “coscienza universale” a cura di Lilly Antinea Astore
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LA BIBBIA SVELATA
Dalle traduzioni letterali della Bibbia ricaviamo che non ci hanno raccontato tutto e nemmeno il vero (V)
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I SENTIERI DI OGMA
Lilith il mito della dea ribelle (II)
di Marisa Grande
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PUNTEGGIATURE CULTURALI
A che punto è il mistero
di Giorgio Pattera
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La Ziggurat Sarda
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ARTICOLI Siamo tutti Celti? Il Popolo dei Celti non è mai esistito di Mario Moiraghi
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Il punto del mistero. Punto G: punto erotico o punto iniziatico?
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L’enigma delle due Gioconde. Le colonne mancanti
Pier Luigi Ighina. L’uomo venuto dalle stelle Un altro tempo, un altro luogo di Ludovico Polastri
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Ufologia, ovvero la ricerca riferita agli oggetti volanti non identificati e ai fenomeni annessi In volo sulle ali del Graal. La linea dell’Orso di Davide Ursi
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Il Risorgimento Italiano nell’opera della Massoneria di Marco Pizzuti
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di Jusy Zitoli
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Ipazia di Alessandria. Antica luce femminile di sapienza
di Candida Mammoliti
di Valter Bencini
32
Personaggi particolari per una Torino magica. Nella teoria come nei fatti (I)
di Maria Benedetta Errigo SARDEGNA DA SCOPRIRE
a cura di Pietrino Sechi
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L’Erba dei Templari. L’Hypericum perforatum
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di Adriano Petta a cura di Elena Serughetti
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La “Scienza Sacra” dei costruttori di megaliti. Origine culturale dell’operazione megalitica (III)
di Danilo Tacchino a cura di Fabio Truppi
14
L’enigma delle rovine di Miraflores. Spedizione nella cordigliera di Paucartambo di Yuri Leveratto
a cura di Mauro Biglino
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sommario
L’intelligenza del dado. Parlar di simboli
di Giovanni Francesco Carpeoro
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Anticipazioni Runa Bianca numero 6, dicembre 2011
Comitato redazionale: Vincenzo Di Gregorio Lilly Antinea Astore Francesca De Salvia Andrea Critelli Sviluppo e progetto grafico: Andrea Critelli Contatti redazionali: redazione@runabianca.it Sito web: www.runabianca.it
Runa Bianca
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Perle di saggezza
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a cura di Lilly Antinea Astore
Jung e la “legge dell’Uno”
Viaggio interiore alla scoperta della “coscienza universale”
FOTO: L’OMBRA, MAGRITTE
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reud apre la strada all’approccio psicoanalitico del sogno, ma l’analisi freudiana si amplia con l’opera di uno dei suoi discepoli, il dissidente professor Carl Gustav Jung, la cui opera è di capitale importanza per la sua “scoperta dell’anima”. Jung denuncia la riduttiva esposizione freudiana sulle motivazioni prettamente sessuali del sogno, visione che porta ad un immiserimento della ricchezza della vita. Inoltre, tali motivazioni sarebbero per Freud prettamente individuali; Jung dimostra invece che l’inconscio individuale partecipa del cosiddetto inconscio collettivo, e che dunque la psiche umana è parte di una psiche cosmica: questo è senza dubbio uno dei punti più importanti e caratterizzanti della sua ricerca. A proposito dell’inconscio collettivo, esso è ben descritto in un passo significativo dell’opera di Jung “L’uomo alla scoperta della sua anima”: di esso afferma che sia“né concentrato, né inten-
Runa Bianca
so, ma crepuscolare fino all’oscurità, vi guadagna un’enorme estensione e racchiude uno accanto all’altro, in modo paradossale, gli elementi più eterogenei disponendo, oltre che di una massa indefinita di percezioni subliminali, anche del prodigioso tesoro delle stratificazioni deposte durante la vita degli antenati che, con la loro sola esistenza, hanno contribuito alla differenziazione della specie. Se si potesse personificare, l’inconscio prenderebbe le sembianze di un essere umano collettivo che vive ai margini della specificazione dei sessi, della gioventù e della vecchiaia, della nascita e della morte, forse dell’esperienza umana quasi immortale di uno o due milioni di anni... perché avrebbe vissuto la vita dell’individuo, della famiglia, della tribù e dei popoli un numero incalcolabile di volte e conoscerebbe il ritmo del divenire, della fioritura e della decadenza”. Il sogno proviene da un’anima oscura e unificatrice: grazie al sogno, noi sprofondiamo
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Jung e la “legge dell’Uno” nell’”Uno Cosmico” e accediamo ad una memoria che oltrepassa la nostra limitata individualità. Jung ha osservato che, ogni volta che un suo paziente entrava in una situazione di conflitto, emergeva a livello individuale un conflitto umano generale ed anche i motivi onirici assumevano un aspetto collettivo, per il quale era possibile trovare corrispettivi nella mitologia o nelle favole. Jung arrivò così alla definizione di archetipo; esso è un motivo onirico che deriva da un sostrato cosmico, l’inconscio collettivo, del quale egli fornisce questa descrizione: “Gli archetipi rappresentano la vita e l’essenza di una psiche non individuale. Malgrado questa psiche sia innata in ogni individuo, non può essere modificata né posseduta, allo stesso modo in cui il mare comprende la singola onda”. Un passo illuminante, che mostra come il nostro Io cosciente e limitato sia radicato nell’inconscio. Paradossalmente, quest’inconscio è la fonte della coscienza individuale e rimanda ad un’altra forma di coscienza. La grande scoperta di Jung sfociò nell’individuare sviluppi psichici paralleli nei riti iniziatici dei popoli primitivi, nei grandi culti esoterici, nelle religioni occidentali e nella Grande Opera degli Alchimisti. I sogni dell’uomo moderno rievocano questo passato e permettono di capire alcuni testi altrimenti inintelligibili. Il sogno è la rivelazione dell’appartenenza dell’uomo ad un’ordine cosmico; gli archetipi ne sono la prova. Per essere più concreti, esaminiamo un sogno che può chiarire le caratteristiche dell’Io onirico. Si tratta di un sogno riferito da Jung: chi parla è una ragazza di 17 anni, che presenta sintomi d’isteria e che fisicamente ha un’atrofia muscolare ad uno stadio iniziale. La paziente racconta: “Rientro a casa di notte... vi regna un silenzio di morte; la porta della sala è socchiusa e scorgo mia madre impiccata al lampadario, il vento che entra liberamente dalla finestra la fa dondolare. Improvvisamente, un rumore spaventoso risuona nella casa; mi chiedo cosa stia succedendo, e vedo un cavallo terrorizzato che galoppa nell’appartamento e che, attraversando la porta del corridoio,
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Lilly Antinea Astore
FOTO: ILLUSTRAZIONE DEL LIBRO ROSSO TRATTA DAL LIBER NOVUS
precipita in strada dal quarto piano. Lo guardo con terrore: è sfracellato al suolo”. In questo sogno ci sono due simboli dominanti: la madre e il cavallo. Si tratta di due entità equivalenti, perché entrambe si uccidono. La madre è un archetipo che evoca l’origine, la natura, la creazione passiva e, di conseguenza, anche la natura materiale, il ventre, l’aspetto istintivo, impulsivo, il lato fisiologico, il corpo che abitiamo e che ci contiene; perché la madre è un recipiente, una forma concava che porta e nutre. Essa incarna anche il funzionamento vegetativo, l’inconscio, le basi della coscienza. Queste allusioni racchiudono buona parte dell’evoluzione mitologica e filologica della nozione di “madre” o, meglio, di una parte essenziale di ciò che la filosofia cinese chiama Yin. Questa non è un’acquisizione individuale
Runa Bianca
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si può constatare, un equivalente della madre, con la differenza che il significato si sposta da “vita originale” (la madre) a vita permanente animalesca e corporea (il cavallo). Se applichiamo questo significato al sogno, ne risulterà questa interpretazione: “La vita animalesca si autodistrugge”. Si può notare come, nel sogno, la morte stessa trasmuti in un significato che va oltre la morte di un individuo. Questo perché nel sogno si esprimono le immagini e le tendenze che provengono dalla natura più profonda e primitiva dell’anima. L’esempio fatto illustra alla perfezione la concezione junghiana del sogno. A questo punto possiamo vedere la demarcazione tra Freud (vedi il n°4 de “La Runa Bianca”) e Jung: quest’ultimo rifiuta il monismo sessuale freudiano e svolge un’analisi tutta particolare della natura del sogno. Anche Jung, come Freud, mette in gioco nell’analisi il “metodo delle associazioni” ma, quando tutte le associazioni sono state FOTO: LA CONDIZIONE UMANA, MAGRITTE sfruttate, l’analisi fa ricorso a parallelismi storici, etnografici e così via. (soggettiva) della ragazza in questione, ma posÈ quello che Jung chiama “metodo delle apsiamo trovare in tutto ciò un’eredità collettiva, plicazioni”, e che si basa su questa affermazione rappresentata nella parte più antica della psiche; junghiana: “Bisogna oltrepassare il limite della di conseguenza, essa risiede in tutti i popoli e soggettività ed estendere l’immagine”. Jung giuin tutti i tempi. Ecco dunque un esempio della dica il processo interpretativo di Freud riduttivo complessità del simbolo, che affonda le radici in e casuale, e vi aggiunge quindi una prospettiva un retroscena cosmico. storica sintetica e finalistica. In questo viaggio Ma qual’è, in questo caso, il significato del sonel mondo onirico, penso si possa giungere ad gno? È che la vita inconscia si distrugge da sola... una constatazione certa di una “scientificità del Il cavallo è un archetipo molto diffuso nella sogno”, mettendo in risalto, in questa ricerca, le mitologia e nel folklore. Come animale, rappredimostrazioni scientifiche, per riscontrare che senta la psiche non umana. Il subumano, la betutto ha un significato. stia che è in noi, incarna cioè la psiche inconscia; È troppo semplice dire “I sogni sono assurdi”, ecco perché i cavalli del folklore sono chiarovegoppure “Io non sogno”. In questo modo si esprigenti, odono da lontano i rumori e talvolta sono me solo la scarsa conoscenza che l’uomo ha di persino dotati di parola. Il cavallo è dinamismo e sé stesso. Se non ricordiamo i nostri sogni, non è veicolo: porta verso un obbiettivo. Esso è, come
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Jung e la “legge dell’Uno” “per caso”: qualche cosa dentro di noi si oppone al ricordo. Hume asseriva nel XVIII secolo: “La conoscenza dell’uomo è la più utile e la meno avanzata di tutte le conoscenze”. Freud è all’origine di una rivoluzione nella conoscenza dell’uomo: egli sconvolge i vecchi pregiudizi e pone domande decisive. La psiche umana è per tre quarti inconscia: che scacco, per un uomo che pretende di essere caratterizzato dalla coscienza! Il sogno ha un senso, che il sognatore stesso deve far emergere attraverso associazioni di idee. Eppure, qualche volta il sogno è enigmatico: rimanda ad impulsi sessuali il più delle volte trasformati dal controllo della censura; esso rivela quella parte di noi che vogliamo ignorare e che ci turba tanto più quanto vogliamo ignorarla. Ecco perché conoscere i sogni è una terapia: una persona si può curare anche con l’interpretazione dei sogni. Perciò Freud poteva affermare che “lo studio dei sogni è la migliore preparazione allo studio delle nevrosi”. L’apporto di Jung svela prospettive nuove: non basta spiegare l’individuo con l’individuo, bisogna anche considerare il rapporto tra la psiche individuale e la psiche cosmica; allora il sogno diventa il luogo privilegiato degli archetipi, veicolo delle eterne immagini della vita. Nel sogno, l’uomo si riannoda all’origine, alla madre, alla terra,
Lilly Antinea Astore È una studiosa eclettica con interessi in svariati campi che spaziano dalle scienze di confine, all’esoterismo, dall’archeoastronomia, all’arte ed all’ufologia. È cavaliere dell’ Ordine Mistico Rosacrociano. A soli 15 anni intraprende il suo percorso di ricerca partecipando con un’innovativa relazione sul tema del “ Rinnovamento “, alle conferenze presso le Università di Bologna e di Camerino, organizzate da Massimo Inardi, Peter Kolosimo, Roul Bocci ed il Conte Pelliccione di Poli. Il campo esoterico collabora con il “Centro Studi” di Lecce di Franco Maria Rosa dalla quale apprende ed approfondisce le Medicine Olistiche. In campo culturale è Rappresentante internazionale della “Synergetic-Art”, movimento artistico-culturale fondato
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Lilly Antinea Astore a Dio. Jung consente così di stabilire un legame tra una psicoanalisi del sogno ed una parapsicologia del sogno. La stessa analisi degli archetipi e dell’inconscio collettivo implica la possibilità di tale collegamento. Moltissimi sogni “premonitori” rimandano alla memoria-madre, al passato cosmico. La scienza ha capito facilmente che le sue frontiere sono suscettibili di sempre ulteriori allargamenti, non tanto in estensione, quanto in profondità. In questo grande processo di sviluppo della coscienza può aver luogo un bilanciamento di tutta la nostra parte cosciente con la parte inconscia, che può permettere all’essere umano di raggiungere quella che Jung definisce “totalità”... cioè una reale “coscienza universale”, un viaggio nel quale ciò che conta non è la meta -forse irraggiungibile- ma il momento stesso del viaggio, verso un obiettivo che ci può portare ad un equilibrio coerente tra parte conscia e inconscia. Tutto ciò può consentire di dare alla nostra vita un senso di ”totalità” e di ricongiungimento con quell’unità primordiale che ha il potere di dipanare ogni conflitto individuale, trasmutandolo alchemicamente in un bene universale realmente totalitario... una nuova umanità, dove la dimensione del sogno e dell’archetipo divengono armonia di simboli di vita.
da Marisa Grande, che si prefigge come obbiettivo finale la ricomposizione globale, una conoscenza collettiva, coniugando tra loro nuovi ed antichi saperi ed annullando i rigidi settorialismi accademici. Nell’ambito ufologico ha partecipato per anni a numerosi simposi e convegni del settore e collaborato con l’associazione no-profit : Rete-Ufo, dedita allo studio dell’ extraterrestrialismo. Dal 1990 è creatrice e conduttrice del programma radiofonico “DIMENSIONEX: Indagini nel Mistero” . Un programma radiofonico che affronta in maniera sinergica numerose e controverse tematiche per lo più ignorate dalla scienza ufficiale e dall’informazione generalista e che la consacra tra le principali divulgatrici in Italia delle tematiche legate al mistero, all’esoterismo, all’ufologia e all’archeo astronomia. Attualmente fa parte della redazione della Runa Bianca.
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La Bibbia svelata
5’ a cura di Mauro Biglino
Dalle traduzioni letterali della Bibbia ricaviamo che non ci hanno raccontato tutto e nemmeno il vero (V)
FOTO: FRAMMENTO DI PAPIRO EGIZIANO DEL 200 A.C CIRCA (FONTE: MARTIN SCHØYEN)
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roseguiamo nel nostro racconto relativo alle curiosità bibliche esaminando questa volta un concetto che viene spesso sottolineato e rimarcato: la Bibbia è il libro ispirato da Dio e dunque non sbaglia. Tutto il nostro lavoro parte invece dal presupposto che la Bibbia sia un libro di storia scritto da uomini, e come tale abbia tutte le caratteristiche dei libri di storia: contenga verità e falsità, cronaca asettica ed esagerazioni volute, descrizioni oggettive, sottolineature forzate ed errori… Vediamo alcune curiosità proprio in relazione alle inesattezze. Pochi esempi evidentissimi: sono passi in cui non esistono possibilità di varianti interpretative cui attribuirli. Si tratta proprio di errori indiscutibili: 1. In Tobia 1,2 c’è scritto che la deportazione di cui si parla è avvenuta al tempo di Salmanassar, mentre si è verificata al tempo di Tiglat-Pileser III. 2. In Tobia 1,15 c’è scritto che quando morì Salmanassar salì sul trono suo figlio Sennacherib, mentre il successore fu Sargon II. 3. In Daniele 4,30 si parla della “follia” di Nabucodonosor, mentre lo squilibrio mentale colpì suo figlio Nabonide (555-539), che abbandonò trono e Babilonia per ritirarsi nell’oasi di Tema (vicenda narrata anche in un documento di Qumram conosciuto come la “Preghiera di Nabonide”).
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4. In Daniele 5,2 c’è scritto che Baldassar era figlio di Nabuconosor, mentre in realtà era figlio di Nabonide. 5. In Daniele 5,30 c’è scritto che Baldassàr venne ucciso alla presa di Babilonia, mentre il re che fu ucciso quella notte era Nabonide, perché Baldassar era già morto in precedenza nel corso di una battaglia condotta fuori dalla città. 6. In Daniele 6,1 si dice che, alla morte di Baldassàr, “Dario il Medo” ricevette il regno (di Babilonia), mentre fu il re persiano Ciro a conquistare la città; Dario la riconquistò solo nel 521, sconfiggendo un ribelle che aveva preso il potere nominandosi Nabucodonosor IV. 7. In Daniele 10,4 si narra di una visione che il profeta ebbe a Babilonia e si dice “ero sulla riva del fiume Tigri” quando è noto che a Babilonia scorre l’Eufrate. La cosa curiosa è che sul libro di Daniele, così colmo di imprecisioni, si costruiscono numerose interpretazioni ed elaborazioni profetiche relative al futuro. Va detto però che gli Ebrei non lo inseriscono neppure nei libri profetici (neviìm) ma nell’elenco dei semplici e meno importanti ketuvìm: gli scritti. Riportiamo in questo elenco di errori non imputabili a dubbi interpretativi una vicenda che tutti noi conosciamo dall’infanzia: il duello tra Davide e Golia, lo scontro tra il pastorello armato
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Dalle traduzioni letterali della Bibbia... (V) di fionda ed il gigante spaventoso dotato di armi che avrebbero fatto piegare le ginocchia anche ad un esperto guerriero. Siamo nel periodo storico in cui Davide ha cambiato casacca: da alleato dei Filistei ne diviene acerrimo nemico. In Samuele 2, 21 si racconta di numerose battaglie in cui tra le fila dei filistei combattevano i discendenti di Rafà, della stirpe dei Nefilìm: i giganti che avevano anche sei dita per ogni arto, ci dice la Bibbia. In quell’insieme di circostanze furono uccisi alcuni di quei giganti: Isbi-Benòb, Saf e un altro che non viene nominato. La cosa interessante però è che, nel corso della battaglia combattuta in Gob, l’ebreo Elchanan, figlio di Jair, colpisce a morte il gigante Goliat. Ma c’è un particolare di non poco conto: l’autore, o chi l’ha ispirato, dimentica che Goliat era già stato ucciso da Davide, come narrato in Samuele1;17, 23 e segg… passo in cui si descrive la famosissima ed epica vicenda del pastore Davide che colpisce Golia con la fionda e poi lo uccide con la sua stessa spada. Mentre il versetto Samuele 2; 21,19 dice che Elchanan colpì Goliat e che Elchanan abbia ucciso il gigante proprio in questa occasione, lo ripete con chiarezza il versetto 22: “Quei quattro erano discenti di Rafa e caddero per mano di Davide e dei suoi servi”. I quattro erano infatti: • Isbi-Benòb, che viene ucciso da Abisai, figlio di Zeruià; • Saf, che viene abbattuto da Sibbecai il
Mauro Biglino Realizza prodotti multimediali di carattere storico, culturale e didattico per importanti case editrici italiane, collabora con varie riviste, studioso di storia delle religioni, è traduttore di ebraico antico per conto delle Edizioni San Paolo: dalla Bibbia stuttgartensia (Codice di Leningrado) ha tradotto 23 libri dell’Antico Testamento di cui 17 già pubblicati. Da 30 anni si occupa dei testi sacri nella convinzione che solo la conoscenza e l’analisi diretta di ciò che hanno scritto gli antichi redattori possa aiutare a comprendere veramente il pensiero
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Mauro Biglino cussita; • il gigante innominato e dotato di sei dita per ogni arto viene che ucciso da Gionata, figlio di Simeà; • Goliat, che appunto viene colpito da Elchanan. Insomma, non sappiamo da chi fu ucciso il gigante Golia: la notizia non è fondamentale in sé, ma gli errori ci dicono molto sulla reale ispirazione biblica, e se si volesse dire che Dio ha trasmesso la giusta ispirazione e gli errori vanno imputati agli scribi ed hai copisti, potremmo allora rilevare, con una battuta, che Lui è stato quanto meno un pessimo correttore bozze, perché ha consentito la pubblicazione e circolazione di un testo spesso sommario ed impreciso. Infatti altri ne vedremo di errori, contraddizioni, incongruenze… La Bibbia va veramente letta come un libro in cui degli uomini hanno narrato la loro storia ponendo l’attenzione soprattutto a due obiettivi: glorificare la loro nazione (come facevano e fanno tutti i popoli) e - da un certo momento storico in poi - diffondere la dottrina monoteistica tentando di affermare come unico il loro dio. In questa operatività, così finalizzata e distribuita nei secoli, gli errori compiuti dai numerosissimi autori sono pressoché inevitabili: in questo intrico bisogna inserirsi con pazienza, nel tentativo di enucleare il nocciolo di storicità che ci aiuta a comprendere su quali basi si fondano le religioni del Libro.
religioso formulato dall’umanità nella sua storia. Tra i suoi libri ricordiamo: Resurrezione reincarnazione. Favole consolatorie o realtà? Una ricerca per liberi pensatori (Uno Editori, 2009), Chiesa romana cattolica e massoneria. Realmente così diverse? Una ricerca per liberi pensatori (Uno Editori, 2009), Il libro che cambierà per sempre le nostre idee sulla Bibbia (Uno Editori, 2010) e...
Il Dio Alieno della Bibbia Uno Editori, 2011
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I sentieri di Ogma
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a cura di Fabio Truppi
Lilith il mito della dea ribelle (II)
FOTO: IL ROGO DELLE STREGHE DA UN’ ANTICA ILLUSTRAZIONE
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ilith non fu la sola divinità oscura dell’antica civiltà del Vicino Oriente Antico. Altra terribile dea-demone mesopotamica denominata, tra l’altro, ‘sorella delle divinità delle Strade’, era Lamashtu. Da entrambe deriverebbe proprio la famosa dea greca Ecate, figlia di Zeus e Latona, o di Perseo e Asteria, oppure di Ade e Demetra. Ecate era anzitutto la personificazione della Luna, non priva di aspetti sinistri, la quale presiedeva durante la notte alle strade; la sua statua veniva posta in ogni incrocio, e incuteva paura persino agli spiriti, essendo essa la guida notturna dei morti. Fu ideata con tre teste, le tre fasi lunari, con chioma di serpi, reggente fiaccole e pugnali; siamo in presenza di una delle prime forme di Trinità divina (come per la teologia cristiana nei confronti del proprio Dio) largamente diffusa e conosciuta e di cui si hanno raffigurazioni già nel VI sec. a.C. (Una divinità analoga altrettanto
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importante nella cultura minoica del II millennio a.C. era stata la cosiddetta Dea dei Serpenti.) Gli antichi Greci credevano che avesse influenza sul bestiame, rendendolo fecondo o sterile a seconda del suo imperscrutabile volere; per far propendere verso la prima di tali evenienze, essi non mancavano di offrirle focacce con impressa la figura di un bue o di un ariete. La civetta era la sua messaggera sebbene nelle raffigurazioni essa poteva apparire più spesso con cani ululanti e simboli lunari; le fiaccole soprattutto significavano la sua funzione di accompagnatrice e protettrice degli uomini nella loro vita e nella strada dal mondo dei vivi a quello dei defunti. La denominazione Hekate Kleidoukoz, vale a dire “Colei che tiene la chiave”, si riferisce all’attributo divino che chiarisce come ella fosse predisposta a sorvegliare il ‘passaggio’ dal mondo superiore al mondo infero, ctonio. Il serpente era collegato al mito del labirinto e di tale ‘passag-
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Lilith il mito della dea ribelle (II) gio’, ma anche al mondo degli inferi, dal momento che striscia sulla terra, divenendo poi secoli dopo, nella cristianità, il simbolo stesso del male. Presso le popolazioni di cultura celtica, tale importante divinità corrispondeva a Morrigan, la triplice dea lunare moglie del grande dio della luce Lug, di sicura derivazione dalla primigenia Dea Madre della fertilità e della vita. L’aspetto della Trinità (la vergine, la madre e la vecchia), come risulta anche dalla statuaria celtica, è accompagnato dal simbolo della Luna giacché quest’ultima in cielo percorre il triplice ciclo di nascita, crescita e morte. (Figura letterariamente vicinissima alla Morgana arturiana, alter ego dello stesso druido Merlino). Altre figure molto simili e vicine nella loro significativa simbologia divina sono le Moire della mitologia Grecia, le tre divinità vestite di bianco, chiamate Cloto, Lachesi e Atropo, rappresentate nell’atto di filare i giorni della vita di ogni uomo, dalla giovinezza alla vecchiaia. In particolare Atropo, la più piccola di statura delle tre, era considerata anche la più terribile, anche e soprattutto perché apportatrice della morte. Tutte e tre, altamente venerate, erano la personificazione stessa del Fato ineluttabile. Nell’antica Roma, la divinità che più di ogni altra si può accostare a Lilith è senz’altro Diana (l’Artemide dei Greci), considerata dea dei boschi e anch’essa personificazione della Luna. Un barlume di tendenza al ‘riscatto’ è d’altronde riscontrabile proprio nella festa a lei dedicata celebrata dai Romani il 13 agosto: era la cosiddetta ‘festa degli schiavi’. Con il crollo dell’Impero Romano e la definitiva cristianizzazione dell’Occidente, tutte le divinità pagane vengono eclissate, seppur mai del tutto, mentre si assiste a un crescente e implacabile dominio dell’importanza del ruolo maschile rispetto a quello femminile. A ciò va aggiunta quella profonda crisi economica e sociale che investì il Basso Medioevo, scatenata dall’arrivo e dalla diffusione epidemica della peste in Europa, causa di uno spaventoso tracollo demografico, anzitutto, e di una esasperata paura della morte e del giudizio divino cui neppure la fede e il fervore sembravano porre rimedio. Conseguenza dalle complesse sfaccettature di questa situazione sarà il fenomeno della caccia alle streghe, laddove la vittima sacrificale, che solo il fuoco
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Fabio Truppi
FOTO: DIANA DI VERSAILLES AL LOUVRE, COPIA ROMANA DEL I SEC.D.C. DI ORIGINALE GRECA ATTRIBUITA A LEOCARE
poteva realmente purificare dal male, diveniva il bersaglio designato di un malessere ormai sfociato nel delirio più atroce e nel più buio oscurantismo (le streghe erano persino accusate di trasmettere malattie). Eppure il fenomeno della cosiddetta ‘stregoneria’ oggi sappiamo essere molto più razionale e stratificato, nella sua manifestazione, di quanto si è pensato per secoli, fino a tempi recenti. Nell’Europa medioevale ci sono donne che, in mancanza di poteri istituzionali, tentano di far sopravvivere il proprio gruppo sociale mediante nozioni che sono state loro tramandate da tempi ancestrali, e quindi utilizzano il buon senso e la saggezza per risolvere liti, usano erbe e decotti per curare – invero – le malattie, il tutto alimen-
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Fabio Truppi
Lilith il mito della dea ribelle (II)
tato e tenuto vivo dalla fede nei vecchi dei, molpersecutrice dei neonati; il suo odio per Eva scato spesso identificabili con la Natura stessa, con il turiva dal fatto che lei le aveva preso il posto nel mondo delle piante e degli animali. Un concetto cuore di Adamo. Lilith era talmente temuta e la sempre più mal tollerato dalla Chiesa con il pasconvinzione del suo potere nefasto fu talmente sare degli anni, tant’è che fu solo in un secondo forte nel popolo ebraico che il capofamiglia, o tempo, quando il fenomeno divenne troppo rileuna persona nota per la sua pietà, attaccava alla vante per essere accantonato, che si ritenne neporta, sui muri, sul letto delle scritte che dicevacessario combatterlo, da principio classificando no “Adamo, Eva, fuori Lilith”. la stregoneria come una delle tante sette eretiQualche volta venivano aggiunti pure i nomi che e successivamente come una categoria a dei tre angeli (Sanvi, Sansanvi e Semangelaf) che, parte. incaricati di annegare Lilith nel Mar Rosso, ne ebIrrimediabilmente segnata appare la sorte bero pietà e la risparmiarono facendosi prometdella civetta, del gufo e del barbagianni, tutti e tere che non avrebbe fatto del male ai bambini tre uccelli notturni, ritenuti indistintamente e là dove vedeva i loro tre nomi. Mentre la notte simbolicamente malefici e ‘ctonii’, i quali divendella circoncisione, in una ricorrenza così imporgono vittime di un ulteriore equivoco che lega la tante per gli Ebrei, Lilith veniva allontanata con civetta alla parola ‘strega’; in realtà, una certa difla recitazione di letture pie. ferenza tra i vari animali era comunque presenPer tutto il Medioevo la civetta Lilith è unate soprattutto nell’antica Grecia dove il nimemente considerata come gufo era rispettato e ritenuto l’aspetto femminile ancestrale una sorta di animale sacro, della sessualità oscura, nonché nonché simbolo della dea essere funereo e notturno, così Atena, a differenza della cicome descritto nei bestiari mevetta che poteva invece far dievali, e fin troppo facilmente parte della selvaggina con entrerà a far parcui eventualmente cibarte della tradizione si. La strix di cui ci parlano esoterica e alchimiPlauto, Properzio, Ovidio stica. e Plinio, quell’uccello A due dei personotturno che sucnaggi più conosciuti chia il sangue soe legati a questo amprattutto dei bambiente, l’alchimista e bini e che sovente negromante Edward si presenta come la Kelley e l’astrologo John Dee metamorfosi di una (attivo nella corte della regina donna malvagia o di una Elisabetta), risale una vera e prolarva, è però identificabile pria invocazione magica compospecificamente con il barbasta verso la fine del XVI secolo, gianni; eppure in parecchi diachiamata “Appello di Lilith”, che letti italiani la civetta (che in rappresenta una delle forme latino in verità è noctua) verrà rituali più fruite nella magia lichiamata in un modo che dilithiana. pende proprio dalla parola strix, Per centinaia d’anni dunque la cui assonanza con il termine la fama e l’influenza avute dal ‘strega’ sarà fin troppo scontata. mito di Lilith si sono tramandate Nella traduzione rabbinica e preservate, con una diffusione medievale, Lilith è la spotale da ritrovare nella tradiziosa infedele di Adamo, la ne celtica chiari riferipreferita delle quattro menti a esso, successimogli del Diavolo e vamente all’importante FOTO: ECATE, INCISIONE DI WILLIAM BLAKE (1795)
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Lilith il mito della dea ribelle (II) divinità lunare di Morrigan. In particolare, è nella mitica figura irlandese della Banshee che persistono tratti evidenti celtizzati della dea Lilith e del legame con il mondo dell’oltretomba. La Banshee, così come leggiamo nel classico Dizionario irlandese, non sarebbe altro che uno spirito femminile, o fatadonna, che di notte era solita cantare lamentazioni funebri presso quella casa in cui qualcuno giaceva malato ed era vicino alla morte. Una tradizione, così simile a quella italiana dell’‘Uccello della Morte’, che è stata protagonista di alcune storie preziosamente riportate, assieme ad altre leggende, dallo studioso Thomas Crofton Crocker durante le sue ricerche, e pubblicate a Londra nel 1825 nella famosissima raccolta Fairy Legends and Traditions of the South of Ireland. La figura della Banshee entrerà anch’essa a far parte della letteratura fantasy, un genere da sempre capace di assimilare e reinterpretare creativamente innumerevoli miti e leggende, nei quattro romanzi del fortunato ciclo dei Rigante, ideato dal grande autore inglese David Gemmell (1948 – 2006). Tale figura, sebbene secondaria rispetto ai personaggi principali, assume nei romanzi un ruolo molto importante nello svolgersi dell’intreccio narrativo, oltre a essere altamente temuta e considerata da coloro con cui essa entra in contatto; e fa riflettere la modalità con cui, dopo così tanti secoli e vicissitudini, un mito così antico sia riuscito a riemergere e a comparire non su frammenti lapidei rinvenuti da archeologi né su vecchi testi di qualche rara biblioteca specializzata, bensì nei testi narrativi della moderna fantasy del XXI secolo. Lilith insomma, a un’analisi più attenta, non soltanto ci concede la possi-
Fabio Truppi Nato a Francavilla Fontana (Br), è laureato in Conservazione dei Beni Culturali (Beni Architettonici, Archeologici e dell’Ambiente), discutendo nel 2002 una brillante Tesi su Atlantide con l’ausilio del professore e archeologo Riccardo Guglielmino, docente di Archeologia e Antichità Egee all’Università degli Studi di Lecce, pubblicata dalle Edizioni Bardi di
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FOTO: DEA DEI SERPENTI RINVENUTA A CRETA, 1600 A.C..
bilità di riportarci alle affascinanti origini di un mito millenario nato, si può dire, con l’uomo stesso ma, a dispetto di una genesi così arcaica, si dimostra tuttora capace di proclamare al mondo la sua fiera indipendenza, rivendicando fin dall’alba dei tempi quel diritto per cui ogni donna lotta da sempre, dando voce a un giusto riscatto del mondo femminile al quale la storia, forse in ritardo, ha dato ragione. Roma nel 2004. Chitarrista e appassionato di letteratura fantastica, nonché vincitore di numerosi concorsi letterari nazionali, svolge attualmente attività di docenza in Lettere.
Atlantide. Tra mito e archeologia Bardi Editore, 2004 Runa Bianca
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Punteggiature culturali
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a cura di Elena Serughetti
A che punto è il mistero
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l termine “mistero” ha subìto nel tempo diverse variazioni di significato rispetto a quello originario di “mantenere il silenzio” (dal greco muein, chiudere la bocca, usato per indicare l’iniziazione ai culti misterici). Il suo significato si è poi allargato a comprendere accezioni come “cosa arcana, ignota, enigma, ciò che ancora non si conosce”; a metà del ‘900 Einstein scriveva: “La sensazione più bella che possiamo provare è il mistero. Costituisce l’emozione fondamentale che sta alla base della vera arte e della vera scienza. Colui che l’ha provata e che non è ancora in grado di emozionarsi è come una merce avariata, come una candela spenta.”1 Il mistero alla base della scienza, dunque: perché è dalla curiosità verso ciò che è ancora insondato che nasce la spinta della ricerca. E allo stesso tempo, è quella stessa “emozione del mistero” che dovrebbe pervadere ogni scienziato durante tutta la sua vita, ricordandogli che quante più cose scopre, tanto più si allarga l’orizzonte di quelle ignote. La consapevolezza profonda dei pregi e dei limiti dell’approccio scientifico nell’indagine della realtà dovrebbe essere il fondamento che sostiene la ricerca così come la divulgazione della scienza. Eppure, sebbene l’epoca del Positivismo ottocentesco sia terminata da oltre un secolo, l’istruzione scolastica e la divulgazione scientifica ��������������������������������������������������� ) Albert Einstein: “Come io vedo il mondo”. Giachini Editore, 1952
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FOTO: PARTE DELLA NEBULOSA OMEGA (FONTE: NASA)
sembrano essere ancora ferme a quel tempo. Le scoperte scientifiche del ‘900 avevano tutte le potenzialità per scardinare alla base il sistema di paradigmi creato nel secolo precedente. Avrebbero dovuto farlo. La forza di quelle scoperte era dirompente, come lo è quella delle ricerche condotte tutt’oggi. Eppure siamo ancora imprigionati in un sistema mentale di stampo meccanicista, che per sua stessa natura non può che rifiutare le conquiste intellettive della fisica moderna non deterministica. Ancora oggi i nostri ragazzi vengono “istruiti” sulla base di programmi che non contemplano le scoperte della fisica quantistica (quantomeno non quelle più dirompenti, come la non-località), e che si guardano bene dall’educare a riflettere sulle implicazioni sconvolgenti di queste scoperte sul sistema di credenze comune. Si tratterebbe infatti di un vero cambiamento di paradigma2, un mutamento radicale delle sovrastrutture mentali e culturali su cui ognuno di noi fonda la propria vita. Durante la nostra giornata diamo per scontata una quantità impressionante di concetti e realtà, che ci sono stati trasmessi a scuola e che abbiamo impiantato nel nostro cervello fino al livello più profondo. Sono ormai divenuti veri e propri dogmi su cui non ci poniamo domande. Scardinare anche solo uno di questi capisaldi diventa impresa quanto mai ardua. E allora entriamo in un circolo vizioso per far stare quieta la mente: 2) Robert Schoch: “La voce delle pietre”. Net, 2005
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A che punto è il mistero la storia dell’uomo è esattamente come l’hanno insegnata a scuola, non esistono teorie scientifiche diverse da quelle insegnate degne di essere prese in considerazione (perché non sono state pubblicate su riviste peer-review!); e così, forti di queste conoscenze insindacabili, se anche alcuni ricercatori pubblicano studi su scoperte che vanno contro le teorie accettate, siamo certi si tratti di millantatori, o quantomeno di esperimenti errati. Ecco che quindi le reazioni nucleari a debole energia non sono realtà, le costruzioni piramidali in Europa non esistono, i vaccini hanno sconfitto le malattie infettive, manufatti umani antecedenti al Paleolitico sono impossibili e via dicendo. Il sistema di formazione scolastico è tale per cui anche i laureati in materie scientifiche, benché abbiano in mente che la scienza è in costante evoluzione, siano fermamente restii ad accettare ipotesi lontane da quelle apprese all’università. La scuola non è infatti un luogo di formazione culturale ma piuttosto il fulcro di un sistema che mira a plasmare gli studenti, a modellarne i percorsi logici in modo da creare sovrastrutture mentali difficilmente modificabili in seguito. Il modo con cui vengono trasmesse le informazioni scientifiche risulta, alla prova dei fatti, affetto dallo stesso difetto imputato alle religioni: la dogmaticità. E questo non solo all’interno della scuola ma anche nella divulgazione: a tutti i livelli vengono trasmesse nozioni che non lasciano in realtà spazio al dubbio, al vero dubbio che è fondamento della ricerca. Le conclusioni comunemente accettate nella comunità scientifica vengono presentate come fatti indiscutibili, dal big-bang alla natura dei buchi neri alla storia evolutiva del genere umano, per arrivare poi a fenomeni border-line come le percezioni extra-sensoriali e l’archeologia “non ortodossa”: crediamo di sapere cosa sia vero e cosa, invece, sia da catalogare nel calderone
Elena Serughetti Naturalista, si occupa di educazione ambientale e divulgazione scientifica; da anni coltiva per passione lo studio della sto-
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Elena Serughetti dell’aria fritta, poiché ne abbiamo avuto una presentazione tanto sicura dalla scuola e dai media. Ma ciò che noi abbiamo è soltanto una rappresentazione mentale della realtà, scaturita dall’insieme di nozioni assimilate più o meno acriticamente nel corso della nostra vita. La mancanza del dubbio nel percorso formativo, che sforna ogni anno migliaia di laureati in discipline scientifiche, fa sì che questi nuovi ricercatori si stabilizzino entro binari già tracciati, arrivando persino a manomettere i dati delle proprie ricerche perché coincidano con un’ipotesi data già per acquisita3. Questo fenomeno è il segreto di Pulcinella del mondo accademico ed è una realtà tanto terrificante quanto in continua espansione. Chiunque abbia a cuore la scienza e sostenga di ispirarsi al metodo scientifico non può che aborrire un atteggiamento simile, che invece non viene considerato come qualcosa di sconveniente all’interno dei laboratori. “Così fan tutti”… E allora l’abitudine a manipolare le ricerche per compiacere i finanziatori o le teorie accettate diviene pratica comune su cui pochi trovano da ridire, almeno pubblicamente. Il paradosso è che si proclama che la scienza apra la mente e vengono invece formati scienziati dalla mente ottusa. Solo i grandi scienziati, i veri scienziati, che non vengono a compromessi e pongono la scienza al di sopra degli umani affanni, hanno dimostrato di poter contribuire realmente al progresso della conoscenza. Le scoperte più grandi sono state compiute da quei ricercatori che hanno sempre avuto ben chiaro nella mente e nella coscienza che il dubbio e “l’emozione del mistero”, la consapevolezza dell’orizzonte infinito dell’ignoto e dell’indecifrabile realtà ultima dell’universo, sono alla base di ogni sana ricerca, non solo scientifica. È tempo di cambiare paradigma. 3) Federico Di Trocchio: “Le bugie della scienza”. Mondadori - De Agostini, 1995
ria, dell’archeologia e delle “scienze di confine”. Collabora con diversi siti web che si occupano di informazione e attualità ed è responsabile del sito Crocomania.com (http://www.crocomania. com) e del blog Natura e Cultura (http://naturacultura.blogspot.com).
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Sardegna da scoprire
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a cura di Pietrino Sechi
La Ziggurat Sarda
FOTO: LA ZIGGURAT SARDA DI MONTE D’ACCODDI E L’OMPHALOS (FONTE: SECHI PIETRINO)
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os’hanno in comune i sardi e le maestose strutture religiose dell’antica Babilonia? Apparentemente nulla. Eppure sul versante nord-ovest della Sardegna, a 16 km da Sassari, visse una comunità che, circa 6000 anni fa, in epoca prenuragica, eresse una piramide a gradoni simile alle ziggurat mesopotamiche, le enormi torri a gradoni realizzate da sumeri, assiri e babilonesi: l’altare preistorico di Monte D’Accoddi. È questo il nome che, in tutte le guide archeologiche, indica il complesso sacro che si erge sul vasto territorio pianeggiante al confine tra la Flumenargia e la Nurra. Prima della sua scoperta, avvenuta nel 1952 grazie all’interessamento dell’allora ministro Antonio Segni, i lavori di scavo furono assegnati all’archeologo Ercole Contu. Gli studiosi erano convinti di trovarsi di fronte a uno dei tanti cumuli di pietre, resti di un nuraghe come tanti in Sardegna, ma gli scavi dimostrarono il contrario.
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Emerse infatti qualcosa di unico nel suo genere: un grande tempio di forma tronco-piramidale largo quasi 40 metri, lungo 30. Il popolo che lo aveva costruito abitava il territorio sardo in villaggi di capanne fatte di paglia e legno, sfruttava i costoni calcarei della zona per seppellire i propri morti (nelle cosiddette domus de janas), osservava attentamente la volta celeste e venerava gli dei della natura e del cielo tirando sù altissime pietre calcaree, i menhir. Queste genti appartenevano alle civiltà prenuragiche identificate nelle culture di Ozieri, Filigosa, Abealzu e Bonnanaro (definizione comunque generica, che include le culture sviluppatesi in Sardegna prima dei popoli costruttori di nuraghi): i loro primi insediamenti risalgono al 6000 a.C., ma lo sviluppo più considerevole di questa società avvenne tra il 3300 e il 2480 a.C.; il tempio di Monte D’Accoddi risale proprio a questo periodo. E al suo interno nasconde una sorpresa:
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La Ziggurat Sarda un altro tempio, di forma ridotta, che è stato definito Il Tempio Rosso per le sue pareti dipinte di ocra, di cui rimangono parzialmente visibili solo il pavimento e un alzato di circa 70 centimetri. Secondo Giovanni Lilliu, archeologo ed esperto della civiltà dei Nuraghi, la struttura era alta in origine circa 10 metri: 6 metri per la terrazza base e 4 per una terrazza più piccola, sovrapposta alla maggiore. Il tempio chiudeva la sua imponenza verso il cielo con un’edicola, cui il sacerdote accedeva tramite una rampa lunga più di 40 metri e da dove celebrava i riti alla presenza del popolo raccolto ai piedi del sacro edificio. Dalla stessa rampa venivano portati in cima alla torre gli animali sacrificali. A sinistra della rampa si trova un menhir alto quattro metri e mezzo, dalla parte opposta un lastrone di calcare di forma trapezoidale posto su tre appoggi, su cui, secondo Ercole Contu, si svolgevano i sacrifici cruenti. A breve distanza stupisce la presenza di due grosse sfere in pietra, una in arenaria, l’altra più piccola in granito grigio: alcuni studiosi le hanno paragonate agli omphalos, le pietre scolpite che rappresentavano “l’ombelico” del santuario greco di Delfi, forse ricoperte dal sangue delle vittime. Altri ipotizzano invece si tratti della rappresentazione di una costellazione: lo farebbe pensare la loro forma e il tipo di decorazione incisa con microcoppelle. Ed è qui che si fa spazio, tra le polemiche dei cattedratici, l’ipotesi di un uso più complesso del tempio. Eugenio Muroni, subacqueo della Soprintendenza archeologica e astrofilo da 30 anni, studiando i movimenti celesti dovuti alla lenta rotazione conica dell’asse terrestre (la cosiddetta precessione degli equinozi) afferma che lo ziggurat sardo è stato costruito ricalcando la costel-
Sechi Pietrino Nato a Sassari, ha avuto fin da piccolo una grande passione per lo studio del passato innamorandosi della storia quando vide per la prima volta il film di Mel Gibson. Dal 2007 lavora nel settore archeologico e di restauro, mentre è iscritto alla facoltà di beni culturali con indirizzo archeologi-
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Pietrino Sechi lazione della Croce del Sud, che in tempi antichi veniva usata dai naviganti per orientarsi durante i viaggi in mare. Osservando il monumento da sud-est, “L’altare sembra proprio una croce realizzata in terra o una persona, un gigante in pietra, disteso con le gambe unite e le braccia aperte, faccia al cielo” scrive Muroni, sottolineando come lo schema geometrico dell’altare e le sue asimmetrie corrispondano chiaramente alla Croce del Sud. Con l’aiuto dell’archeoastronomia Muroni si è reso conto che nel 2800 a.C., mentre a levante sorgeva la via Lattea, la Croce del Sud si trovava proprio lì davanti e raggiungeva la sua massima altezza lungo la via tracciata dalla rampa del tempio. Monte D’Accoddi potrebbe essere perciò un luogo sacro dedicato al culto della Dea Madre, generatrice di vita e sovrintendente della morte e che, proprio come l’immensa volta celeste e come la luna calante, crescente e nuova, muore e si rigenera tramite il passare del tempo e delle stagioni. Queste genti ritenevano che la dea apparisse loro sotto forma di Croce del Sud quando, nelle notti di primavera, la costellazione transitava sotto l’orizzonte informando gli uomini che quello era il periodo giusto per darsi all’agricoltura e alla navigazione. In questo senso l’altare doveva rappresentare il tramite tra cielo e terra, tra l’uomo e la divinità. Se vi trovate a passare di là, salite sulla sommità di Monte d’Accoddi e chiudete per un attimo gli occhi: per qualche secondo vi sembrerà di vivere tra queste antiche genti, tra i fuochi accessi, i rumori degli artigiani al lavoro, la voce del sacerdote che prega. Riaprite gli occhi: siete ancora nel presente, ma lo spettacolo della natura che avete intorno vi appagherà comunque.
co. Per lui il modo migliore di studiare la storia e quello di cercare nelle vite delle persone che hanno lasciato insediamenti sul territorio, i monumenti hanno da raccontare molte cose. Collabora a progetti annui come Monumenti aperti sia nella città di Sassari che a Porto Torres.
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MARIO MOIRAGHI
Siamo tutti Celti?
Il Popolo dei Celti non è mai esistito
FOTO: VERCINGETORIGE GETTA LE SUE ARMI AI PIEDI DI CESARE. DIPINTO DI LIONEL-NOËL ROYER, 1899, MUSÉE CROZATIER A LE PUY-EN-VELAY (FONTE: WIKIPEDIA)
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l tentativo di comprendere e decifrare quel complesso di cose che ordinariamente viene chiamato celtico conduce a sorprendenti risultati. Chi si addentra in questa sterminata nebulosa è colpito innanzitutto dalla straordinaria invasività del fenomeno celtico. Citati per la prima volta dai Greci (precisamente da Ecateo di Mileto nel VI° sec. A.C.) e da loro localizzati vagamente a nord del mondo frequentato dai Greci stessi, vengono lentamente e inesorabilmente associati, dai celtisti, a innumerevoli popoli antichi, giungendo ad assimilare anche Umbri e Apuli (da cui il nome Puglia), passando da Germani e Reti, Liguri e Veneti, conducendo alla fatidica domanda, per ora estesa alla sola Europa: siamo tutti Celti? Anche i Siciliani? Eppure (seconda sorpresa) ciò che i Celti ci hanno concretamente tramandato da quei se-
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coli lontani è veramente poco. Oggetti e reperti vari, illustrati nei testi specializzati a loro dedicati, sono veramente esigui e miseri, se comparati con le tracce archeologiche di altre Civiltà. Le presunte illustrazioni di testimonianza celtica spesso comprendono insignificanti prati verdi, con modeste alterazioni superficiali, che su altri libri possono anche essere spacciate per residui dell’atterraggio di astronavi aliene. Si notano poi incredibili mistificazioni, come l’attribuzione ai Celti dell’invenzione della birra, prodotta e bevuta nell’antico Oriente vari millenni avanti Cristo, anche da chi non li conosceva. Sorprende ancora (quarto punto) il continuo riferimento al mondo etrusco, come matrice culturale di molti reperti celtici. Il materiale trovato negli insediamenti archeologici è tutto etrusco o riconducibile al suo influsso. Allora cos’erano gli Etruschi? Quale capacità di penetrazione cultu-
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Siamo tutti Celti? rale, oggi dimenticata, li caratterizzava? Ma questo è un altro problema. Possiamo notare infine che questa splendida epopea celtica sembrerebbe coprire un arco di tempo di almeno tre millenni, dalle prime tracce storico letterarie sopra citate fino ai giorni nostri, facendo invidia alle più longeve realtà storiche, dagli Egizi al Cristianesimo, ridicolizzando Greci e Romani. Su tutto ciò occorre ragionare con calma e ponderazione, cercando di separare il grano dalla zizzania, o almeno tentando di mettere a fuoco un pò di senso critico, da utilizzare nei nostri occasionali incontri con i Celti o i celtisti. Una ricerca accurata porta a conclusioni non del tutto in linea con quanto ci viene somministrato in occasione di Halloween o delle feste celtiche, con qualche precisazione preliminare. Non si intende affermare che l’Europa dei tempi antichi fosse spopolata e deserta, o abitata da sparuti gruppuscoli di esseri primitivi. Non si vuole negare l’esistenza storica di Vircingetorige o di san Colombano. La questione è differente: non esistono prove di una unità etnica dei presunti Celti. Non sono mai stati né popolo né nazione, né etnia, né nulla di simile. La quasi totalità di ciò che noi consideriamo antico patrimonio celtico appartiene a culture, a tempi e a luoghi diversi e non comunicanti fra loro, inventato, o ricostruito, o forzatamente ristrutturato almeno un paio di millenni più tardi. Ciò che risulta sono semplicemente quei fenomeni di trasmissione di culture, di artigianato e di usanze che hanno da sempre contraddistinto le comunicazioni fra i popoli, senza trascurare quella componente d’origine europea comune, quel sostrato possibile e probabile, da qualcuno sommariamente indicato come indoeuropeo, non senza riserve o doverose precisazioni. Non esistono neppure prove che l’Irlanda e le isole britanniche, da una parte, e le regioni dell’Europa continentale, dall’altra, condividano una matrice celtica comune. I presunti Celti irlandesi e i presunti Celti continentali costituiscono due realtà totalmente autonome. Per questi due gruppi, in particolare: • non esistono prove di una lingua o di una letteratura celtica unitaria; • non esistono prove di un collegamen-
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FOTO: INCISIONE SU UN RECIPIENTE IN METALLO
to territoriale, sia esso in forma politica, commerciale o altro; • non esistono prove di una storia comune; • non esiste una cultura condivisa. Esistono invece precise prove della volontaria manipolazione di fatti e di eventi, al fine di costruire una struttura fittizia, rivolta in generale alla fabbricazione di una tradizione inesistente e, sovente, agli obiettivi particolari voluti da esponenti politici o governativi, soprattutto negli ultimi secoli.
Rompere col passato latino Occorre dire chiaramente che l’intero castello della Questione Celtica è semplicemente dovuto alla precisa volontà di rompere con il passato romano, latino e cristiano, cattolico in particolare, per creare una nuova fittizia identità europea, forte, laica e di radici antichissime, o presunte tali. Ciò potrebbe essere comprensibile, per un
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Mario Moiraghi semplice e spontaneo motivo di psicologia elementare. Capita a molti, se non a tutti, di vagare per le proprie terre di origine, cercando di figurarsi le antiche presenze dei nostri avi, dei nostri antenati, immaginandoli intenti nelle attività della loro vita quotidiana, cercando di immedesimarsi nei loro pensieri, nelle loro speranze, nella loro spiritualità. E immaginare popoli invasori, giunti da luoghi lontani, per sottomettere e soggiogare uomini e pensieri, non è certo gratificante. Ciò è molto comprensibile se osserviamo che talvolta anche molte religioni forestiere hanno cercato di modificare e forzare, con un insopprimibile istinto missionario, i sistemi religiosi dei popoli conquistati, cercando di spiegare loro che il dio in cui credevano era sbagliato e che solo quello nuovo, portato dagli invasori, era l’unico vero. E questo era spesso accompagnato da discipline nuove, preghiere nuove, riti nuovi, imposti se necessario con la violenza. Anche la storia missionaria del Cristianesimo (parte direttamente o indirettamente importante, nel nostro racconto) non è certamente apparsa sempre e dovunque fraterna e benevola ma si è spesso associata alle conquiste territoriali delle nazioni dominanti. Cercare le proprie radici o rimediare ad errori del passato è certamente più che comprensibile, fino a quando non genera una reazione e una serie di errori uguali e contrari ai precedenti, fino a quando non è utilizzato per sostituire la violenza altrui con la propria. È comprensibile, se non torna a danno della verità storica e dell’autentica radice dei singoli popoli. Non è più comprensibile né accettabile, se non porta gli uomini e i popoli ad affrontare con chiarezza il proprio passato e a prevenire, nel futuro, inutili fanatismi. Non è più accettabile, se è ragione di ostilità e frattura, all’interno di una cultura europea che fatica a trovare identità. Non è più accettabile se si fa portatrice di contrapposizioni e usa parole dirompenti come spade. Citiamone almeno un caso, che ritroveremo più avanti, al quale dobbiamo riconoscere almeno il coraggio della franchezza. Io non amo Roma, è vero. Ne hanno abusato, nei miei confronti. Fanciullo, sono stato costretto a
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Siamo tutti Celti?
FOTO: CERNUNNOS (DIO DEI CELTI)
credere che le dovevamo tutto, che ella era per noi iniziatrice e madre. E io non riuscivo a darmene ragione. Mi sentivo straniero, ribelle. Non trovavo in me la minima solidarietà con questi poeti piatti e con questi avvocati chiacchieroni, con questa specie di prussiani totalitari. Cosa pressoché impensabile, questa lunga ostentazione di rispetto delle nostre scuole, verso i massacratori dei Galli, i guardoni scientifici dei supplizi dell’anfiteatro, inventori di un sadismo ufficiale che le SS del XX secolo non hanno eguagliato. Ero a disagio con Roma. Non mi sono mai riconosciuto in lei. Ella non mi ha donato mai alcuno dei miei sogni. La sua religione miserabile, la sua logica a fil di terra non è nulla per me... Mi chiedo cosa proveranno nella loro tomba, nel sentire queste parole, Abelardo, Pascal, Racine, Molière, ma anche Jacques de Molay, L’Abbé Pierre... Atteggiamenti come quello appena riportato gettano ombre sgradevoli sull’intera materia celtica e, comunque, rafforzano la necessità di un chiarimento sull’intera questione.
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Siamo tutti Celti? Che i Celti siano esistiti realmente è la questione centrale che non si può esaurire in poche pagine. Ma ci appare chiarissimo che, anche se i Celti non fossero mai esistiti, esistono sicuramente i Celtisti, i Celtisti ad oltranza, e il rapporto con loro non sarà sicuramente facile.
La continuità storica che non c’è Un’altro problema di rilevante importanza è dunque quello connesso con la continuità storica dei Celti. Al di là delle affermazioni appena riportate, in base alle quali la cutura celtica spazia almeno dal 1000 a.C. fino ai giorni nostri, una ricerca anche approssimata rivela che i Celti sono apparsi e scomparsi secondo un ben preciso ciclo. 1. La loro prima apparizione storica tradizionale è datata attorno al 400 o 300 a.C., quando tribù bellicose, provenienti dal nord, invadono clamorosamente la penisola italiana. Precedentemente la menzione dei Celti appare frammentaria e occasionale. Come vedremo, spesso si tratta di citazioni dotte di qualche studioso o letterato. 2. Dall’inizio dell’Era Cristiana fino al periodo illuministico e romantico non esiste una vera teoria sui Celti, ma, a posteriori, viene considerata celtica la cultura di origine irlandese o gaelica, maturata attorno al 500 d.C. 3. Sempre a posteriori, viene considerato celtico quell’insieme di testi letterari e fantasiosi che ruota attorno alla cosiddetta Materia di Bretagna, relativa sostanzialmente alla ricerca del Graal, a re Artù, ai Cavalieri della Tavola Rotonda. 4. Il quarto momento storico è appunto quello che, dal 1700, crea il castello del celtismo, per un artificioso disegno nato in Francia, giocando anche sui sentimenti e le identità dei popoli che si affacciano sul Mare d’Irlanda: Scozzesi, Gallesi, Britannici, Bretoni e, naturalmente, Irlandesi. Altra occasione occorre per analizzare a fondo queste fasi del celtismo, ma quel che preme osservare è il fatto che, nei periodi intermedi fra
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Mario Moiraghi questi quattro momenti, la cultura celtica è comunque in letargo e, quando produce qualcosa, produce solo ripetizioni e reiterazioni di cose già sentite. Non solo. È facile notare che queste quattro presunte fasi della celticità non possiedono nulla in comune. La prima, di periodo etrusco latino, è un’accozzaglia di tracce e di reperti confusi. La seconda, gaelica, è sostanzialmente d’impronta religiosa, cristiana, mistica e monacale. La terza è fiabesca è basata su imprese cavalleresche e avventure di ogni genere, anche amoroso. La quarta è chiaramente orientata alla ricerca di una identità dei popoli gaelici. Non esiste un’evoluzione o uno sviluppo logico e sequenziale fra queste quattro fasi.
Eppure qualcosa c’era, forse Paradossalmente, un elevatissimo numero di storici e letterati antichi parla dei Celti. Vale la pena elencarne qualcuno, almeno per non farsi dire dai celtisti che non lo sapevamo: • Ecateo di Mileto (540 – 475 a.C.) • Erodoto (490- 424 a.C.) • Platone (428 – 348 a.C.) • Aristotele (384 – 322 a.C.) • Teopompo (378- 300 a.C) • Eforo (sec. IV a.C.) • Diodoro (sec. IV a.C.) • Callimaco (320 – 240 a.C.) • Polibio (205 –120 a.C.) • Poseidonio (135 – 50 a.C.) • Giulio Cesare (102 – 44 a.C.) • Strabone (63 a.C. – 20 d.C.) • Tito Livio (59 a.C.- 17 d.C.) • Plinio il Vecchio (23 – 79 d.C.), • Properzio (47 a.C. – 16 d.C.) • Lucano (39 – 65 d.C.) • Cassio Dione (155 – 235 d.C.) • Tacito (? – 276) • Diogene Laerzio, (sec. III d.C.) • Avieno (sec IV d.C.) • Ammiano Marcellino (332 – 400 d.C.), Inizialmente i Greci, dall’alto del loro atteggiamento di superiorità, chiamavano Iperborei tutti gli abitanti del nordovest d’Europa, un’indefinita “terra di nessuno” il cui unico confine era Borea, il
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Iberi, all’estremo occidente, Germani, nelle pianure del nord, Sciti, nelle steppe dell’est. Nelle altre regioni europee il termine usato era in generale quello di Celti. Più tardi gli autori latini, accanto alla denominazione greca di Celti o Galati, usarono un altro termine: Galli. Catone (fra il III e II secolo a. C.) è il primo ad usare il termine Galli e Giulio Cesare, nel De Bello Gallico, precisa: “qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur” ovvero “quelli che nella loro lingua si chiamano Celti e nella nostra Galli” In realtà è certo che loro non si definivano affatto Celti e non si sarebbero definiti tali ancora per almeno un millennio e mezzo. Plutarco racconta che si presentavano con il nome della tribù di appartenenza, usato come grido di guerra: Alverni, Biturigi, Boi, Cenomani, Edui, Insubri, Senoni, Tettosagi, Treviri i e molti altri. FOTO: CROCE CELTICA
vento del nord. Con questo termine Eraclide del Ponto chiama i Galli che invasero Roma nel 390 a.C. Il nome dei Celti viene utilizzato per la prima volta da Ecateo di Mileto (fine VI° secolo a.C.) e da Erodoto nel V° secolo a.C. Il termine, in realtà, veniva usato dagli scrittori classici per indicare i popoli di pelle bianca che abitavano a nord delle loro frontiere, senza indicazioni geografiche precise, ed aveva significato dispregiativo: Celti, ovvero barbari. Barbari, cioè stranieri, erano i popoli caratterizzati da tre elementi: • mangiavano pane di segale, anzichè di frumento, • cucinavano con grassi di animali e non con olio d’oliva, • bevevano birra o altre bevande fermentate anziché vino. Così li inquadrava anche Tacito, confermando che essi non possedevano le tre piante basilari della cultura mediterranea: frumento, olivo, vite. I Barbari, poi, erano distinti in quattro i gruppi etnici:
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Come ce li propongono oggi non sono mai esistiti A dispetto di tutti coloro che riempiono relazioni, volumi e convegni, i fatti dimostrano che i Celti non sono mai esistiti, come nazione o come popolo, e che quelli che venivano chiamati Celti, comunque, non sapevano neppure di esserlo. Una donna vissuta nel Dorset, nel IV secolo a.C., un sacerdote pagano irlandese, del II secolo a.C., un guerriero dei Belgi, nel I secolo a. C., un bambino della corte di Hywel Dda, nel 950, un allevatore delle Highlands scozzesi, nel XVI secolo d.C., si sarebbero altamente meravigliati di essere definiti Celti. Il termine “celti”, usato indiscriminatamente per indicare un popolo o una nazione o qualunque altro aggregato di persone da coloro che si classificano “celtisti”, ha una validità storica ed etnica poco differente da termini come “barbari”, o “infedeli”, o “gentili”, o qualunque altro termine usato per indicare una vaga accozzaglia di persone ritenute “aliene” ma non precisamente identificabili. Se si riflette senza pregiudizi e senza fanatismi sull’intera materia dei Celti, appaiono evidenti al-
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Siamo tutti Celti? cuni elementi stonati, alcune forzature che nessuno studioso serio potrebbe accettare in qualunque campo accademico. • La lingua e la cultura celtica non presentano un quadro unitario, né nello spazio (dall’Iberia alla Britannia) né nel tempo (dai Keltoi ai Franchi). Possiamo dare qualunque giustificazione teorica, filosofica, storica o esoterica alla mancanza di una scrittura e di una letteratura celtica, ma resta, come dato di fatto incontrovertibile, che questo stato di cose non ha mai permesso la formazione di una lingua e di una cultura celtica, né in senso prorio, né in senso lato. La diffusione, fra il 1000 e il 100 a.C. di qualche elemento grafico (ben poco artistico) fra le popolazioni europee, ha un significato di minor rilievo rispetto alla diffusione della pizza, in base alla quale nessuno dedurrebbe la conquista dell’Europa e delle Americhe da parte dei napoletani. • Non esiste continuità celtica fra Europa continentale e le isole britanniche. • Non esiste continuità storica fra Keltoi (prima di Cristo), Gaelici (fra il 500 e l’800),
Mario Moiraghi Nato a Milano, nel 1942, si dedica attualmente alla realizzazione di testi storici e scientifici, allo studio di eventi sociali di rilievo e alla progettazione di piani operativi per la gestione di situazioni di rischio ambientale e di emergenza. Possiede una formazione culturale eclettica, che, partendo da una base classica e letteraria, si è sviluppata nei titoli di Ingegneria, al Politecnico di Milano, di Economia aziendale, alla Bocconi, in associazione con corsi di specializzazione di vario genere, in materia ambientale, economica, amministrativa e sociale. In campo linguistico, in aggiunta a quattro lingue moderne, al greco antico e al latino, ha compiuto studi sulle calligrafie medievali, sulle lingue del bacino mesopotamico e sull’egiziano geroglifico. Ha operato in settori industriali privati, nel campo del controllo ambientale, come coordinatore di
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Mario Moiraghi Graaliani (del 1100 e 1220) e Celtoromantici del 1700. Sul terreno dove sarebbe vissuto il celtismo sono passati Etruschi, Latini, Chiesa, Napoleone I, Napoleone III, Romantici, sviluppo industriale, consumismo, cinema, mescolando e confondendo la verità con pii desideri, fantasie, sciovinismo e progetti politici. • L’equiparazione fra fiaba e storia, inaugurata sostanzialmente da Geoffrey de Monmouth e sfruttata a fondo dai celtisti, meriterebbe ben altro trattamento da parte degli accademici e degli studiosi. Esiste un deprecabile vezzo che tende a togliere valore ai documenti storici concreti, evidenziando e sfruttando le inevitabili imprecisioni, per invalidare la stessa esistenza di figure storiche o di fatti reali, mentre elementi mitologici assolutamente ipotetici e fantastici assurgono alla dignità di tracce reali di presunte verità storiche. Si mette in discussione l’esistenza storica di Carlo Magno, mentre si ipotizza che Cenerentola corrisponda ad un persona realmente esistita. Qualcuno dissente.
progetto, presso società multinazionali europee e americane. È stato dirigente pubblico, nell’ambito di un’amministrazione regionale, ricoprendo anche incarichi di livello nazionale. Docente universitario per circa un decennio, nel settore del governo delle situazioni di emergenza e della protezione civile, ha insegnato in varie scuole di perfezionamento post laurea, in diverse sedi italiane. Ha diretto riviste scientifiche e pubblicato numerosi articoli tecnici e storici, per riviste italiane e di lingua inglese. Realizza conferenze nei campi di competenza ed ha organizzato importanti convegni culturali. Gestisce il sito www.scriptorium.it.
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Punto G: punto erotico o punto iniziatico?
FOTO: AMORE E PSICHE, CANOVA
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a quando è stato scoperto negli anni ‘50 da Grafenberg, alla cui iniziale del cognome si deve il nome della zona all’interno della vagina oggetto di questo articolo, il punto G è stato oggetto di discussioni, di feroci negazioni, di accuse di ascientificità alle ricerche che ne dimostravano l’esistenza, tali da avvolgere nel Mistero quella che è in realtà un’area importantissima della sessualità femminile. Soprattutto anacronistiche e pretestuose mi sembrano quelle polemiche vetero- femministe neganti il punto G, perché in qualche modo darebbero di nuovo potere alla penetrazione ed al ruolo del maschio, ed altrettanto quello veteromaschiliste, portate a sancire una superiorità ed una maturità diversa dell’orgasmo vaginale rispetto a quello clitorideo. La sessualità viaggia su canali infinitamente più semplici rispetto alle contrapposizioni umane; il mio Maestro di Tantra era solito dire “Se il
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Cosmo ha dato due tipi di piacere alle donne, perché dobbiamo sforzarci di dire che ne esiste uno solo o che uno è migliore dell’altro; dobbiamo solo accettare la realtà”, e la mia Maestra aggiungeva “Dov’è il problema se abbiamo la possibilità di godere in due modi diversi?”. In questo piccolo contributo cercherò di ripercorre la storia di questo punto, le principali ricerche a favore o a sfavore, di illustrare brevemente la tecnica del massaggio più indicata a svelarlo, e le posizioni che meglio lo stimolano.
Punto G: la scoperta
Nel 1950 Ernst Grafenberg, ginecologo tedesco, ebreo, scoprì il punto G e da questa scoperta acquisì fama, anche postuma; in realtà Grafenberg era già un ginecologo stimato ed affermato, che aveva sviluppato un dispositivo
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Il punto del mistero contraccettivo uterino e che aveva compiuto importanti studi sul comportamento dell’uretra nell’orgasmo femminile. Il punto G è’ una massa di tessuto erettile, localizzata nella parete anteriore della vagina, a metà strada tra l’osso pubico e la cervice (più o meno a una distanza di 5 cm). Stimolata propriamente, tale massa si dilata e cambia struttura. Si reperisce da sola, ma è sicuramente più facile trovarla con l’assistenza di un compagno. Il termine inglese che la definisce è G spot, e la sua traduzione letterale sarebbe certamente più appropriata, perché indica un’ aera o una zona piuttosto che un punto; ma ormai, nella consuetudine, il termine universalmente accettato in Italia è punto G. Nel rispetto delle variabilità individuali è equiparabile, nella sua eccitazione massima, ad un’ area di diametro riferibile a quello di una moneta da due euro. Sinonimi che possono essere incontrati in alternativa, in testi più o meno scientifici, sono: zona di sensibilità tattileerotica, corpo spugnoso uretrale, ghiandole parauretrali (skene glands), prostata femminile.
Un po’ di storia
Già se ne trova traccia nel Kamasutra: “Doppio è il piacere delle donne: l’eccitarsi e l’eiaculare. La lubrificazione della vagina deriva soltanto dall’eccitazione, il culmine della libidine invece dall’effusione frullante”. E qui si introduce già un altro mistero: quello dell’eiaculazione femminile, che molte volte accompagna l’orgasmo del punto G; statistiche attuali alla mano, vi è percentuale oscillante tra il 33 ed il 39% di donne che prova questo tipo di orgasmo . Il Kamasutra non è voce isolata. Il Koka Sastra (XII secolo) descrive questo punto come purna chandra (luna piena). Ancora più dettagliato è l’Ananda Ranga (XVI secolo) che parla di saspandana (punto della beatitudine o punto sacro) e kama salila (succo dell’amore): “La donna, che alla fine del piacere amoroso permette al liquido del dio dell’amore di riversarsi, con molte urla e pianti si butta di qua e di là, diventa debole e chiude i suoi begli occhi, estremamente soddisfat-
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FOTO: IL DR. ERNST GRAFENBERG
ta non riesce a sopportare nulla”. Pianti, urla! che orgasmo è dunque questo? La donna non riesce a sopportare nulla? Perché? Teniamo a mente e vediamo di trovare spiegazioni nel corso del nostro viaggio. Anche la nostra e altre culture non mancano di riferimenti; ne parla Ippocrate nel 377 a.C. e Galeno nel suo “De Semine”. Una curiosità medievale: la Chiesa Cattolica riteneva fertile anche il liquido femminile, per cui nella Teologia Morale vieterà ad uomo e donna gli orgasmi secchi. Riguardo ad altri popoli, è noto che le donne pellerossa Mohave hanno sempre dichiarato di espellere un liquido al momento dell’orgasmo sia nei rapporti vaginali, che orali, che anali. Nei trukesi, un popolo che vive nel sud del Pacifico, è abitudine che gli uomini infilino la punta del pene nella vagina e la muovano come un cucchiaio che gira il fondo di una tazza stimolando il punto G. Anche in Uganda, le donne della tribù Batoro tramandavano alle più giovani l’usanza del kachapati, letteralmente “spruzza il muro”. Vuoi vedere che anche la nostra saggezza popolare ci insegna qualcosa di importante, che non sia la magra consolazione per una giornata di pioggia che guasta un matrimonio, nell’esclamazione: ”Sposa bagnata, sposa fortunata!”? Non posso affermarlo con certezza, ma il sospetto di una conoscenza popolare degli effetti della stimolazione del punto G è legittima e pertinente!
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Mondo scientifico dal 1950 al 1980: 30 anni di silenzio e confusione sul punto G
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In realtà, del punto G ne aveva già parlato l’anatomista Olandese Ernst De Graff nel XVII secolo; quando egli lo descrive nel 1950, viene colpito dal fatto che sia costituito da tessuto erettile, che non esita a definire simile ai corpi cavernosi del pene. Hyme, un urologo che condivideva pienamente la scoperta di Grafenberg, fu fatto passare per visionario e deriso in tre congressi scientifici. Seguirono, dal momento della scoperta, circa 30 anni di silenzio ed anche confusione. Master e Johnson, tra gli anni ‘60 e ‘70, così come Kinsey, spostarono l’attenzione sul clitoride. Erano gli anni del femminismo e della negazione del concetto freudiano dell’orgasmo penetrativo come orgasmo maturo. Queste alcune delle affermazioni che caratterizzarono quegli studi, che pure ebbero, bisogna riconoscerlo, per altri aspetti, un’importanza grandissima nella conoscenza della fisiologia sessuale: “Il clitoride rappresenta il punto focale di ricezione degli stimoli sessuali esterni”; “Si può quindi concludere che l’orgasmo vaginale e clitorideo non rappresentano due fenomeni separati”. Da allora non si parlerà più di orgasmo vaginale distinto fino al 1980, anno in cui le sessuologhe Whipple e Ladas, insieme a Perry, studiarono 400 donne e arrivarono a queste conclusioni: • c’è un punto all’interno della vagina che è estremamente sensibile a forte pressione. Si trova nella parte anteriore della vagina, a circa 5 cm dall’apertura; • è stato trovato in tutte le 400 donne esaminate; • stimolato in modo giusto, si gonfia e provoca l’orgasmo; • spesso la stimolazione porta ad una serie di orgasmi;
• molte donne credono di urinare e sono imbarazzate (l’irrisione da parte di alcuni partners maschili poco sensibili aveva fatto sì che alcune di loro avessero imparato a trattenere o nascondere l’orgasmo). Sintetizzo i principali studi che si sono succeduti da allora: • 1981: Belzer scopre che il liquido è diverso dall’urina; • 1984: Perry, attraverso l’analisi di elettromiogrammi del muscolo pubococcigeo, scopre che l’orgasmo al punto G è più profondo e potente di quello clitorideo; • 1985: Alzate conclude che nell’89 % dei casi
FOTO: POSIZIONE DEL KAMASUTRA ADATTA A STIMOLARE IL PUNTO G
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di una sua ricerca, le donne arrivano all’orgasmo stimolando solo le pareti vaginali senza il clitoride; 1987: Sevely evidenzia con foto e modelli le ghiandole parauretrali, da lei ritenute responsabili dell’eiaculazione femminile; 1990: Darling rileva che il 40% delle donne da lui testate sperimenta l’eiaculazione durante l’orgasmo; 1994: Sabine zur Nieden conclude che, su 309 donne da lei interpellate, 1/3 aveva sperimentato l’eiaculazione almeno una volta nella vita; 1995: Westhmeir, psicosessuologa, nega l’esistenza del punto G; 1997: Cabello spiega che spesso non c’è consapevolezza di eiaculare nella donna perché, nel 75% dei casi, l’eiaculato torna indietro per affluire in vescica; 2002: Jannini, ricercatore italiano, conclude che le ghiandole periuretrali sono le omologhe della prostata maschile e abbondano di 5-fosfodiesterasi, una sostanza cruciale per l’eccitazione maschile. Nel 2008, sempre il dott. Jannini evidenzia con delle ecografie transvaginali, almeno nell’80% dei casi, una piccola area di ispessimento tra uretra e vagina, corrispondente al punto G. 2010: si torna apparentemente indietro. Un team scientifico del King’s college di Londra sostiene, con toni trionfalistici, che il punto G non stia nella vagina, ma solo nella testa di alcune donne.
La conclusione è che alcune delle donne dell’esperimento (peraltro gemelle) ne avevano conoscenza ed altre no. Peccato che la metodologia scientifica invocata stimoli alcune perplessità da parte di molti altri ricercatori. Questo studio, fatto su 1800 donne (900 gemelle sia omozigoti che eterozigoti), ha cercato una base genetica comune; ma è risaputo che il corredo genetico, pur provenendo dagli stessi genitori, non è identico tra i due eterozigoti, come nel caso degli omozigoti. È anche risaputo che l’esposizione ad ormoni durante la vita fetale può condizionare lo sviluppo
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Valter Bencini di organi ghiandolari, e sicuramente questo parametro può essere diverso anche tra gemelle sia eterozigoti che omozigoti. Inoltre, punto ultimo e non meno importante: hanno testato le 1800 gemelle con lo stesso uomo? Sicuramente no, e l’abilità del partner è parametro certamente da non sottovalutare quando si parla di stimolazione del punto G.
Come stimolarlo?
È sorprendente come una posizione scientifica, se trova il consenso del momento sociale e storico, si rafforzi, rendendo oscura per anni una realtà che, almeno empiricamente, può essere sotto gli occhi di tutti. • Una cosa che non esiste non diventa oggetto di ricerca (come ad esempio il punto G per i 20 anni successivi agli studi di Master e Johnson); • se il punto G non viene adeguatamente stimolato non lo si scopre, quindi per la scienza non esiste. Sappiamo infatti che esso aumenta di volume con l’eccitazione. Alcuni paradossi sulla ricerca del punto G • Per trovarlo lo devi stimolare, e per stimo-
FOTO: POSIZIONE DEL DITO, UNCINATO, SULLA PARETE ANTERIORE DELLA VAGINA
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Valter Bencini larlo lo devi aver trovato. • Il ginecologo nella visita non eccita la paziente per motivi di etica e deontologia professionale; neppure gli urologi ovviamente masturbano i pazienti maschi, ma nessuno mette in dubbio l’esistenza dell’erezione e dell’orgasmo maschile. Allora, perché dubitare del punto G e del piacere ad esso connesso? Solo perché il pene è visibile ed il punto G non lo è? • Il parametro tempo è fondamentale: alcune ricerche scientifiche possono non essere attendibili per la scarsa quantità di tempo dedicata alla stimolazione.
Il punto del mistero Condizionamenti culturali Uomo: • Si raggiunge meglio con il dito che con il pene. • Stimolazione lunga più dei preliminari, che per l’atteggiamento psicologico non idoneo e insofferente di certi uomini “durano anche troppo”. Donna: • Dover riprendere in mano il concetto freudiano dell’Orgasmo Vaginale Maturo, abbandonato con l’orgasmo clitorideo promosso dalla Hite. • Rivisitazione della propria autonomia, conquista femminile che trovava il suo corrispettivo nella masturbazione clitoridea. • Valutare nuovamente la dipendenza da un partner, che assicura una stimolazione maggiore e migliore.
Ricerca tantrica
FOTO: IL SALUTO PRIMA DI ENTRARE ENTRAMBI NELL’ESPERIENZA
Il Tantra (veicolo per ampliare la coscienza) porta come obiettivo alla percezione del tutto compreso nell’uno (non-dualità), il che significa togliere alla Mente il primato rispetto al Corpo, tipico pensiero degli analisti occidentali. Il punto G sfugge a logiche di risposta lineare azione-reazione: le sue risposte seguono percorsi circolari. Nella stimolazione siamo più nella dinamica corpo- emozione- corpo-stato d’animo- corpo. La tecnica a cui si farà riferimento in questo articolo mi è stata insegnata da E. &M. Zadra, maestri tantrici, che hanno studiato il punto G con una casistica di 65 casi, ricerca della quale mi onoro di essere stato uno dei partecipanti. Indubbiamente, il rituale tantrico che porta alla scoperta ed alla stimolazione del punto G è un rituale iniziatico, che può dividersi in questi passi: • Preparare il viaggio • Bussare alla porta
FOTO: POSIZIONE DELL’UOMO NEL MASSAGGIO DEL PUNTO G
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Il punto del mistero • Aprire la porta • Togliere il velo • Il femminile svelato Le prime volte occorre dedicare moltissimo tempo (4 ore circa, nella ricerca che fu effettuata al corso di Tantra). Nella calma della propria abitazione credo siano sufficienti 2 ore per questo tipo di rituale. Nell’affiatamento di coppia poi, ad un uomo esperto, durante i preliminari, sono sufficienti pochissimi secondi per reperire il punto G ed iniziare a stimolarlo per il tempo necessario alla donna per raggiungere il piacere. Primo step - Preparare il viaggio Donna: • Non intraprendere questa esperienza per far piacere al partner. Si tratta di un viaggio interiore. • Osserva pensieri, aspettative che sono nella tua mente; mettile ritualmente sulla carta e non ci rimuginare più sopra. • Cura con amore il tuo corpo: bagno caldo, olio profumato, etc. • Orina prima di entrare nel viaggio. Uomo: • Prepara l’ambiente: letto, cuscini, accessori, incenso, olio da massaggi, gel vaginale, asciugamano, acqua, alcuni stuzzichini come dolcetti e salatini. In poche parole, prepara l’ambiente in modo che la donna si senta a suo agio e regina in questa esperienza così intima. • Tagliati e limati le unghie. • Rimani centrato sul tuo respiro. Entrambi: • Entrare nel rituale con un saluto. • Usate pochissime parole ed in modo sintetico. • La donna si sdraia supina e l’uomo si mette accanto seduto o in ginocchio; entrambi si concentrano sul proprio respiro. • Massaggio di 15 minuti a sciogliere le tensioni di collo, spalle e di qualsiasi altro muscolo contratto della schiena. • Come uomo, ti siedi poi tra le sue gambe posizionando le sue ginocchia sulle tue gam-
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Valter Bencini be (incrociate o distese). Secondo step - Bussare alla porta L’uomo deve ricordarsi che non si deve eccitare ma rilassare, e deve inizialmente rilassare anche la partner con un massaggio della vulva che dura complessivamente 25/30 minuti. La donna può dare istruzioni semplici (ad esempio “più piano”, “più deciso”) e ricorrere ad un feedback di suoni e sospiri. Niente critiche. MASSAGGIO DELLA VULVA 5 minuti per ogni parte indicata: 1. Punta delle dita sopra il pube. Entrano sempre di più ad ogni respiro. 2. Solchi delle cosce e glutei. Rimanere al di sotto del tendine centrale: in pratica stare nella parte bassa dell’inguine. 3. Perineo. Da massaggiare con un pollice, due pollici, dita piegate, pugno. 4. Olio sulle grandi labbra e sulla vulva in generale. Massaggio delle grandi labbra senza toccare il clitoride: avvicinarle, tirarle,strofinarle, premere, aprire e chiudere. Non dimenticare mai il fine rilassante. 5. Piccole Labbra. Tocchi leggeri come toccare i petali di una rosa. Massaggio indiretto chiudendo le grandi labbra, facendo in modo che le piccole labbra rimangano comprese e sporgenti.
FOTO: LE CINQUE ZONE DEL MASSAGGIO DELLA VULVA
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Valter Bencini Terzo step - Aprire la porta Consigli per l’uomo: • Evita il senso di sacrificio per accontentare la donna. • Sentiti curioso per questa esplorazione del femminile. • Non devi portare eccitazione ma coscienza, consapevolezza, affinché la donna senta la sua vagina millimetro per millimetro. • Respira, stai centrato su te stesso, apriti a tutto quello che può venire da lei (pianto, irritazione, godimento intenso, nulla) ed in caso di fastidi della donna non sentirti in colpa. Ricorda che il punto G è un punto iniziatico oltre che erotico, che la può mettere in contatto anche con traumi repressi, dimenticati o anche ben presenti nel suo animo. In ogni caso stai pronto al caso che ci potrebbe essere rifiuto, fastidio, prima di entrare pienamente nel piacere. Cospargersi il dito con del gel.
FOTO: CONSIDERA LA VULVA E LA VAGINA COME UN FIORE CHE SI APRE SPONTANEAMENTE
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Il punto del mistero ATTEGGIAMENTO: • non vai a penetrare la vulva, ma aspetti che lei venga da te; è come un fiore che sboccia e che ti invita ad entrare fino alla prima giuntura del dito. • Con l’altra mano accarezzi pancia, seno, gambe. • Tieni il dito diritto ed usa solo il polpastrello per prendere connessioni con le pareti, su cui immaginerai una disposizione ad orologio, con il clitoride sopra le ore 12: ti muovi sulle ore 12, 11, 10 e così via fino a completare l’orologio. • Ti porti al centro. • Attendi un altro invito ed entri con la seconda falange. • Eviti le 12: non devi ancora eccitare. • Di nuovo al centro, ultimo invito ed entri tutto, eviti le 12 e rifai l’orologio. Quarto step - Togliere il velo Il punto rugoso e ruvido ti segnala la posizione. È una zona che cambia consistenza alla pressione, e da dormiente si inturgidisce allo stimolo. Se non si trova subito, provare vari punti sulla linea delle 12. È una leggenda metropolitana
FOTO: DISPOSIZIONE DELL’OROLOGIO CHE ORIENTA I MOVIMENTI DEL NOSTRO DITO, IN SENSO ANTIORARIO
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Il punto del mistero che si trovi in tutte le donne a 5cm. La misura è indicativa e solo l’esperienza aiuta. Utile all’uomo, per rimanere centrato, immaginare che il proprio respiro attraversi il dito. La conferma di averlo reperito viene dalla donna: sensazione di scariche elettriche, a volte fastidio, sensazione di dover urinare. IL PUNTO G NON È DELICATO COME IL CLITORIDE, RICHIEDE PRESSIONE. Si consigliano 15-20 minuti. Tipi di movimento: • STANTUFFO (va e vieni) • FLUTTUAZIONE (similcircolari) • VIBRAZIONE (fermi con il polpastrello in un punto, si fa vibrare il dito) • INVITO (movimento a grattare verso l’uscita) Quinto step - Femminile svelato • Riportare il dito al centro. • Uscire prendendoti 3,4 minuti per farlo. • Stare un minuto all’entrata, in contatto con le piccole labbra. • Mano sulla vulva per dare alla donna protezione. • Poi staccarsi.
Valter Bencini È medico chirurgo, specialista in psicoterapia ad indirizzo funzionale corporeo. Terapeuta individuale e di coppia. Si occupa in particolare di comunicazione uomo-donna e problematiche della sessualità, con particolare riguardo a quella maschile. Ha tenuto corsi e conferenze su comunicazione, intimità, carattere, proiezioni genitoriali sul partner, identità di genere, sessualità. Autore di alcune pubblicazioni scientifiche sulla rivista Olos. È allievo dei Maestri di Tantra E. & M. Zadra, con cui
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FOTO: RISPETTARE LA DONNA ALLA FINE DELL’ESPERIENZA: PUÒ VOLERE CONTATTO CON L’UOMO, COME STARE CON SÉ STESSA
• Rispettare la compagna senza offendersi dei suoi desideri e delle sue reazioni: può voler star sola, abbracciata a te, tenerti semplicemente una mano.
Ringraziamenti Un sentito ringraziamento ai miei maestri tantrici E. & M. Zadra, per tutto quanto mi hanno insegnato nel lungo training di formazione. Alcuni dei concetti, delle immagini, nonché la tecnica del massaggio qui descritta provengono dai loro insegnamenti e dai loro testi.
ha completato il training formativo, e del Maestro di Tao Edy Pizzi. Utilizza le conoscenze della sessualità orientale, integrandole nel suo bagaglio di psicoterapeuta, nei corsi che conduce e nelle terapie individuali e di coppia. Ha collaborato, nella sua formazione, con il Centro Prevenzione Abuso Minori di Prato (Pamat) e con la Casa di Cura per Malattie Mentali a Poggio Sereno di Fiesole. Già docente in Comunicazione per i Circoli di Studio del Comune di Firenze e del Comune di Prato. Attualmente membro del Centro W. Reich di Firenze e socio SIF (Istituto di Psicologia Funzionale). Per informazioni su corsi, conferenze, terapie scrivere a: vb-psicocorporea@libero.it
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Pier Luigi Ighina L’uomo venuto dalle stelle
FOTO: REALIZZAZIONE FANTASTICA DEL COSMO
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l 23 giugno 1908 nasceva, in umili spoglie, Pier Luigi Ighina, il più grande degli scienziati esistiti sul pianeta Terra, uomo troppo evoluto mentalmente e spiritualmente per essere compreso e riconosciuto nel suo tempo come illuminato e come precursore d’una scienza-coscienza proveniente da un’altra dimensione. Come tutti i grandi uomini esistiti sulla Terra che sono stati portatori di nuova civiltà, anche Pier Luigi Ighina ha pagato il prezzo esoso dell’incomprensione e dell’inaccettazione più cruenta da parte della classe dominante, vergognosamente ignorante e presuntuosa che, se pur investita di enorme potere materiale e gonfia di saccenza accademica, è stata troppo povera di intelligenza spirituale per saper cogliere nella mente e nell’anima di quest’uomo le tracce inequivocabili di un essere superiore, un essere del tutto anomalo rispetto alla comune razza umana perché privo di qualunque forma di ego, calcolo,
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competizione e malignità; il suo candore infantile era così toccante e disarmante che persino un cieco ne sarebbe stato folgorato, a patto però che avesse avuto gli occhi dello spirito ben accesi, per poterlo e saperlo riconoscere . Gli indizi della sua natura fuori dal comune sono stati così tanti e così visibili da rendere ridicola fino all’estremo la caparbia stoltezza di coloro che cercavano in lui le tracce dell’ordinario, per potergli concedere la propria stima o il loro benestare. Pier Luigi Ighina invece, suo malgrado, sbaragliò tutti quei meschini, bisognosi di riconoscimenti ufficiali da toccare e verificare, per riuscire a dare onore e valore ad una mente o ad un’anima. Li vinse dando nozioni di fisica del futuro non appresa da alcun maestro o testo accademico, visto che quella fisica ancora non era stata scoperta. Li sbaragliò nel trasmettere quel bagaglio infinito di conoscenza superiore con la semplicità assoluta di chi non ha alcun bisogno
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Pier Luigi Ighina di studiare per tentare di scoprire una nuova scienza, poiché quella scienza già gli appartiene per natura e per conoscenza congenita, proprio come il sapere dell’oltre appartiene per natura ad un uomo venuto dalle stelle .Ciò che il mondo ancora non ha compreso- ma solo per colpa di coloro che ne hanno voluto impedire la comprensione- è che Pier Luigi Ighina era davvero un uomo venuto dalle stelle. Attraverso questo portale di informazioneche ritengo di grande valore ed importanza per la serietà e l’attendibilità dei contenuti e delle persone che si offrono a divulgare ciò che è necessario rendere palese in questo tempo di confusione, di macchinazione e di depistamento pilotato– descriverò alcuni passaggi della vita di Ighina, affinché la sua figura di uomo e di scienziato possa essere conosciuta meglio ed in modo più corretto da chi ha di lui solo notizie frammentarie e non specifiche, soprattutto per quanto riguarda la sua parte più importante, che è quella spirituale. A soli 16 anni egli fece una scoperta del tutto rivoluzionaria: scoprì l’Atomo magnetico, il mattone primo della materia, il promotore di tutti gli altri, l’organizzatore generale di tutte le forme create, quell’elemento che gli scienziati di oggi ancora vanamente ricercano ed inseguono e che han battezzato all’unanimità: “la particella di Dio” . Le doti del ragazzo-prodigio sono state veramente straordinarie e riscontrabili già in tenerissima età durante la quale, anziché giocare con i soldatini, il piccolo Pier Luigi costruiva impianti ad alta tensione con mezzi del tutto rudimentali, accedendo ad un bagaglio cognitivo di cui nessuno riusciva a capire la provenienza. Fu proprio questa sua sconcertante eccezionalità ad indurre un parente conte (cognato acquisito di Pier Luigi) a creare un contatto diretto fra il giovane scopritore e Guglielmo Marconi, dato che il nobiluomo era il comandante del sommergibile in cui Marconi faceva esperimenti radio. Il comandante enunciò quindi allo scienziato le doti straordinarie del ragazzo nel ramo della fisica, e gli parlò nella fattispecie della scoperta dell’atomo magnetico. Quella notizia fece scattare nel Premio Nobel il desiderio impellente di incontrare il giovane per poter appurare di persona le sue capacità e scoprire quale mente straordinaria poteva aver
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Jusy Zitoli scoperto in così giovane età ciò che lui aveva invano tentato di scoprire nel corso di tutta la sua vita. L’incontro fra i due avvenne di lì a pochissimo. Da quel giorno, Marconi volle il giovane Ighina con sé inderogabilmente, pago e consapevole di aver trovato in Pier Luigi il prezioso tassello mancante, il completamento alle sue intuizioni e la risposta concreta al progetto futuro che mai avrebbe sperato di veder realizzare senza la scoperta stupefacente che il giovane genio gli aveva portato su un piatto d’oro. Fra i due nacque un rapporto straordinario e simbiotico in mente e spirito, che Marconi stesso rivelava di non aver mai provato nei confronti di nessun altro essere umano. Entrambi sapevano di essere l’uno il tassello mancante dell’altro ed entrambi sapevano di essere parte di un Disegno divino perfetto che li aveva collegati volutamente, per ciò che il futuro avrebbe avuto in dono grazie all’unione del loro operato. La loro collaborazione fu capillare ed i loro esperimenti comuni furono sempre “carbonari”, perché troppo lungimiranti e troppo importanti per correre il rischio che qualche invidioso ne disturbasse il corso o ne compromettesse il risultato; pertanto Pier Luigi fu pienamente concorde a rispettare il patto di svolgere le ricerche a totale insaputa dei collaboratori ufficiali di Marconi. Ighina venne dunque conosciuto negli ambienti scientifici come l’enigmatico discepolo di Guglielmo: nessun membro della cerchia baronico-ufficiale di quel tempo seppe mai proiettarsi oltre la barriera ingannatrice della realtà apparente e soprattutto mai volle accettare che quel pupillo, senza fasto e senza dottorati da sfoggiare, fosse in realtà il maestro dei maestri in materia di Fisica, nonché il maestro stesso di Marconi sul piano spirituale, pur se nato appositamente con le spoglie umili del discepolo, per poter compiere la segreta ed importantissima missione per cui era stato inviato sulla Terra. Pier Luigi Ighina è stato in effetti l’incognita scientifica, umana, cosmica e spirituale più stupefacente di tutto il secolo scorso e del secolo attuale; un astro anomalo ma concreto e ben visibile, entrato nel nostro sistema solare per arricchirlo di luce e potenzialità, astro di cui la presunzione degli iper-dotti non ha voluto riconoscere la presenza né tantomeno la luminosità, pur vedendolo ruotare e brillare nel nostro spa-
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Jusy Zitoli zio. Questa pecca infame avvenne perché la nuova scienza, che il giovane scienziato proponeva di sondare e di perseguire per giungere alla comprensione perfetta della Creazione, era di un tipo del tutto diverso rispetto a quello perseguito fino ad allora dai ricercatori ufficiali, fermamente immobili sulla propria posizione e più accaniti che mai a disdegnare, denigrare e sabotare qualsiasi visione e percezione diversa dalla loro. Persino Marconi, pur godendo della massima stima e sostegno economico dei potenti della Terra e pur avendo a disposizione collaboratori ufficiali di altissimo livello per le sue ricerche, in realtà non rivelò mai né agli uni né agli altri la natura e la portata degli esperimenti che conduceva in segreto con Pier Luigi Ighina, che malgrado la giovanissima età considerava unico nel suo genere per genialità, conoscenza degli elementi e struttura mentale, animica e spirituale. Furono proprio questi attributi naturali (ma troppo eccezionali all’interno di una società fondata già allora sull’immagine e sul potere asso-
Pier Luigi Ighina luto dei baroni) a far emergere il disturbo palese di tutta l’alta classe scientifica nei confronti del genio lungimirante, seppur così umile, che l’enigmatico Ighina incarnava e rappresentava. Questo fu uno dei motivi per cui Marconi volle proteggere il giovane scienziato dall’invidia cocente e dalla presunzione pericolosa che ruotava nelle stanze dei bottoni, già prevedendo con certezza le inevitabili reazioni che certuni avrebbero avuto al cospetto di una mente infinitamente più evoluta della loro. Il riconoscimento della genialità di Ighina avrebbe difatti significato l’inevitabile caduta dal trono dei veterani più accreditati, ed avrebbe dimostrato che costoro avevano percorso una strada del tutto sbagliata ai fini evolutivi e rigenerativi del pianeta Terra– un errore immane messo in ridicolo da un giovane senza lauree e senza lustro, la cui saggezza ed il cui candore naturale costituivano un deterrente ancora più insopportabile del suo stesso genio. In realtà la storia di Ighina potrebbe venir descritta in un’enciclopedia accademica da lasciare
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Pier Luigi Ighina ai posteri, così come potrebbe essere narrata attraverso una fiaba (cosa che io ho deciso di realizzare per iscritto proprio in questo periodo), poiché quest’uomo è stato simbolo dell’enigma della sapienza scientifica, così come ha rappresentato il Deva, l’elfo della natura, il mago della pioggia, l’alchimista, il profeta, il maestro di saggezza, il portatore della nuova scienza, l’iniziatore della nuova Era e l’angelo sapiente mandato sulla Terra per insegnare ai dotti a guardare nel microscopio e dentro ogni aspetto della Natura con gli occhi innocenti del bambino anziché con la presunzione accecante e distorcente dell’adulto. Ancora oggi, ad oltre cent’anni dalla sua nascita e a circa 9 anni dalla sua dipartita, i leaders ufficiali della Fisica omettono di citarlo nelle conferenze mondiali e di rendere pubbliche le sue intuizioni, oggi più attuali che mai ed indiscutibilmente più comprensibili ai “quadrati” del mondo accademico che non hanno avuto il dono naturale della lungimiranza, nemmeno con l’ausilio fortunato di laboratori super tecnologici di cui servirsi e l’uso di computer eccezionali, per arrivare a conclusioni del tutto impossibili ai loro piccoli cervelli. Quell’omissione indecente in realtà è diventata il segreto di Pulcinella, in quanto è ormai manovra del tutto eclatante agli occhi di coloro che sanno l’intera verità (ed oggi sono veramente tantissimi) . È evidente che ammettere l’esistenza di una scoperta simile renderebbe blasfema, ridicola ed inaccettabile la dispendiosissima ricerca dell’atomo primario, a cui legioni di scienziati si immolano da decenni, quando invece la sua scoperta effettiva è datata 1924, ha come sua innegabile paternità Pier Luigi Ighina e giace volutamente ignorata e sepolta negli archivi segreti di tutti i più importanti laboratori scientifici del pianeta (NASA compresa)- enti a cui Ighina stesso aveva inviato dettagli tecnici ampiamente specificati, esortando senza sosta ad un contatto diretto, ad una collaborazione urgente, seria, importantissima e soprattutto assolutamente necessaria per il bene del pianeta e dell’intera umanità. Quella collaborazione, però, non avvenne mai ! Come ben si può immaginare, si tradusse invece in una vera e propria opera di oscuramento e di depistaggio, esattamente come avviene tutt’ora per tutto ciò che i governi del mondo ci
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Jusy Zitoli vogliono nascondere e di cui ci vogliono privare in termini di diritto, col preciso scopo di continuare a manipolarci ed a dominarci, speculando sulla nostra pelle, arrivando persino ad impedire la diffusione di una scoperta straordinaria, qualora potesse eliminare gli sporchi traffici miliardari dell’attuale sistema e farci accedere a benesseri naturali infiniti, a costi irrisori ! Gli esperimenti importantissimi che Ighina fece in segreto con Marconi avevano confermato tutte le sue teorie sull’atomo magnetico, ma lo stesso Marconi rivelò al suo giovane discepolomaestro che la cerchia accademica di quel tempo non avrebbe mai accettato di riconoscere la sua scoperta e soprattutto mai avrebbe accettato lui, perché troppo pulito, troppo umile e troppo diverso da loro, così infettati di boria e di discriminazione e tanto posseduti dal delirio di potere e di onniscienza. Gli confidò che l’agnello viene inesorabilmente sbranato se compie l’azzardo di entrare nella tana dei lupi, pur con le migliori intenzioni... perché l’agnello resta agnello e i lupi restano lupi, pur di fronte ad occhi innocenti. Gli profetizzò inoltre tutta la subdola ed infame opera di derisione e di occultamento, che poi si verificò effettivamente nel futuro. In effetti a Pier Luigi Ighina i lupi non risparmiarono niente in boicottamento ed angherie sottili, ma ciò che non perdoniamo ai lupi del nostro tempo, travestiti da uomini per bene, è di perseverare nell’occultamento e di aver privato quell’angelo benefattore del diritto sacro di offrire a questa umanità l’opportunità straordinaria di una conoscenza scientifico-cosmica che viaggia di pari passo con le leggi spirituali, una scienza-coscienza che è davvero in grado di produrre soluzioni eccezionali e concrete per riequilibrare tutto ciò che in Natura è stato degenerato. Grazie all’esistenza fisica di Pier Luigi Ighina ed all’opportunità straordinaria che lui ha incarnato e rappresentato nel nostro spazio-tempo, l’attuale società avrebbe fatto un salto evolutivo enorme, proprio quel salto per il quale lui era stato mandato sulla Terra . Si trattava di un salto che però la razza umana di quel tempo doveva saper meritare, attraverso atteggiamenti mentali e spirituali molto diversi da quelli che invece sono stati scelti e perseguiti, poiché il dono della nuova scienza che lui voleva offrire al mondo richiedeva, come “obbligatoria clausola divina”, che gli
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Jusy Zitoli abitanti del mondo purificassero le loro menti e le loro anime, altrimenti il Cielo stesso avrebbe provveduto a privare l’umanità di quel beneficio. E così è stato ! Pier Luigi Ighina è andato via da questa vita e da questa dimensione portando via con sé tutti i segreti di quella scienza e soprattutto tutti i rimedi straordinari che soltanto lui sapeva estrapolare da essa, perché questa umanità non li ha meritati. La sua morte non è stata casuale e non è stata nemmeno una morte, come noi volgarmente la intendiamo. Lui è stato semplicemente “portato via” da un mondo che gli è stato ingrato e che, come causa-effetto, dovrà tornare a viversi tutta la sua preistoria scientifica, corredata di tutti i suoi inevitabili e deleteri effetti collaterali. Ciò avverrà fino a che gli scienziati di oggi non impareranno finalmente ad unire la scienza con lo spirito, comprendendo che soltanto attraverso la conoscenza delle leggi perfette dello spirito si può accedere alla vera scienza, la scienza su-
Pier Luigi Ighina periore che esiste nelle dimensioni più evolute della nostra- quella dei rimedi eccezionali e delle proprietà illimitate che il messaggero Ighina era stato mandato ad insegnare ed a concretizzare attraverso i congegni stessi che lui aveva ideato e costruito, per far sì che i migliori scienziati della Terra ne potessero imparare la valenza, l’uso e le proprietà. Sappiamo che, nel tempo presente, esistono grandi cervelli nell’ambito della Fisica. In effetti fra di loro c’è già chi sta studiando seriamente la fantascienza per poter arrivare un giorno a scoprirne gli ambiti segreti, e a tradurli in tecnologia concreta da sperimentare e poi utilizzare in un vicino futuro– ma per quanto intelligenti e lungimiranti, anche in questi scienziati manca la coordinata speciale, quella assolutamente necessaria per non correre il rischio di scatenare i pericolosissimi effetti collaterali capaci di distruggere il mondo. Quella coordinata speciale però ha un unico,
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Pier Luigi Ighina mastodontico problema: non può essere prodotta in alcun laboratorio, non può essere comprata, venduta né prestata, non può essere rubata in alcun archivio, non può essere strappata ad alcun sapiente, non può essere estorta con la dolcezza, con l’inganno né con la forza bruta ad alcun informatore e non può essere carpita nemmeno con l’ipnosi più avanzata ad alcun Illuminato. Il motivo è molto semplice: non trattandosi di un dato mentale non può essere trasferibile ad altro cervello umano né ad alcun computer super tecnologico- come invece qualunque dato personale o governativo potrebbe, per contro, venir carpito e trasferito nei database di una potenza avversa attraverso i metodi avanzatissimi usati da spie, hackers criminali e quant’altro di peggio esista nel mondo e nel cosmo, in termini di risucchio cognitivo e plagio. L’elemento di cui parlo è in realtà una chiave infinitamente semplice ma nel contempo impossibile da creare persino ad una razza aliena superlativamente tecnologica. Essa è sfuggente ed incatturabile dalla mano ed dalla mente di qualunque potente e di qualunque sciacallo e può soltanto essere prodotta dal proprio spirito: quella coordinata si chiama purezza– la purezza naturale del bambino... Ecco perché nessuno può rubare ad un altro questo attributo e farlo proprio. Chiunque di noi non possiede per natura quel livello di purezza ma lo desidera è obbligato ad intraprendere un profondo lavoro di purificazione di sé stesso, per tentare di avvicinarsi ad essa- un lavoro duro e costante, il cui risultato non è conoscibile a priori e la cui durata non è assolutamente rapportabile alla quantità di percorsi spirituali intrapresi né agli insegnamenti teorici (siano essi filosofici o religiosi), perché vi è un abisso immane fra il Sapere che ci illustra e descrive l’Innocenza ed il diventare, in prima persona, l’Innocenza. Pier Luigi Ighina è invece nato con l’innocenza del bambino già radicata e sviluppata nei suoi atomi mentali e spirituali– e ciò che è ancora più straordinario è che egli è morto con la stessa innocenza con la quale è nato. Nulla di questo mondo ha mai infettato il suo candore interiore, nemmeno i più abili corruttori ultra miliardari provenienti da ogni parte del mondo, che negli anni sono andati in incognito ad offrirgli fortune materiali inimmaginabili in cambio dei suoi
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Jusy Zitoli segreti, per poter accaparrarsi l’esclusiva di usare a proprio piacimento la “sua” scienza ed i suoi congegni. Irremovibile e saggio come soltanto un vero Maestro spirituale potrebbe essere, lui declinò ogni offerta ambigua e ripeté incessantemente a governanti faziosi ed a sciacalli assetati di potere che a nessuno al mondo avrebbe venduto e permesso l’uso improprio di quella Conoscenza . In realtà, la sua venuta al mondo era stata stabilita dall’Alto con un programma ben preciso: quello di offrire alla comunità scientifica mondiale l’opportunità straordinaria di uscire dalle ignoranze perpetuate e dalle impossibilità risolutive del passato e fare il salto di qualità nella scienzacoscienza del futuro . Questo programma però era sigillato da una “chiusura di sicurezza” infallibile, ovvero quell’eccezionale opportunità sarebbe stata donata soltanto se tutti i capi di governo e delle comunità scientifiche si fossero uniti a lui con totale umiltà e spirito di collaborazione, con lo scopo comune di offrire alla razza umana un mondo davvero migliore ed un pianeta rigenerato, là dove scellerati senza coscienza l’avevano degenerato. Sappiamo tutti che Atlantide è stata la dimostrazione eclatante di una Conoscenza avanzata manovrata da folli assetati di potere, che hanno dato origine all’effetto collaterale inevitabile di quell’uso improprio, che è stato appunto la distruzione di tutto il genere umano presente in quella terra. I folli, gli incompetenti ed i malati di onnipotenza ignorano che l’uso di una forza superiore richieda la purezza assoluta della mente e dello spirito di chi la manovra altrimenti, pur dopo risultati apparentemente straordinari, si innesca l’inesorabile contro-effetto che distrugge creatore e materia creata . Purtroppo non esiste ancora sulla Terra chi può succedere a Pier Luigi Ighina in purezza di mente e spirito; ecco perché verrà impedito dall’Alto, in ogni modo possibile, che quella scienza venga usata, finché non nascerà il suo degno successore... o forse lui medesimo in un corpo giovane, per terminare il compito che nella vita passata ha dovuto obbligatoriamente interrompere. Ovviamente, se mai esistesse qualche folle che tenta di riprodurla in segreto per un uso non finalizzato al bene dell’umanità, allora si ripeterebbe inevitabilmente la storia di Atlantide, e l’uomo ver-
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Jusy Zitoli rebbe scaraventato nella tristissima condizione di ricominciare da zero, ripartendo dalla preistoria ed obbligato ad iniziare da capo tutto il percorso di fatiche, spurgo e sofferenza per potersi conquistare, vita dopo vita, un piccolo barlume verso il risveglio della coscienza. Dio, nella sua infinita bontà, ci ha concesso la libertà totale di scelta: la libertà di far tesoro degli aiuti infiniti che ci ha mandato attraverso gli Angeli, i messaggeri, gli Illuminati e gli spiriti evoluti, cui ha dato mille forme umane per poterli affiancare a noi quando le difficoltà personali, comunitarie e mondiali richiedevano la presenza di esseri Speciali, capaci di farci uscire dai reticolati asfissianti in cui uomini senz’anima ci avevano intrappolati. Gli aiuti divini ci son stati sempre,in ogni tempo. La decisione di accettarli o respingerli, Egli l’ha lasciata a noi, allertandoci però a non dimenticare che qualunque strada sia verso l’egoismo ed il potere personale a discapito del bene della comunità, è una strada che porta all’inevitabile disastro. Pier Luigi Ighina ha detto tutto ed ha offerto tutto al mondo. Non avrebbe potuto donare di più... ma la società degli uomini di potere non ama e non riconosce i Puri , anzi li evira o li uccide, proprio come ha fatto con Gesù Cristo; quindi lasciamo che i Puri vivano felici tra i loro simili, in mondi molto più puliti di questo, e lasciamo che gli uomini oscuri sperimentino inevitabilmente su sé stessi, con immense e do-
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Pier Luigi Ighina
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lorose perdite, il prezzo di quel mancato riconoscimento. Pier Luigi Ighina, all’inizio, era per me lo sconosciuto angelo mandato da Dio per strapparmi alla morte in cui stavo sprofondando... poi nel tempo compresi che lui non era soltanto questo, ma che era anche il mio padre spirituale. Quella rivelazione motivò il legame fortissimo e il ri-
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Pier Luigi Ighina spetto sacro che avevamo l’uno dell’altro, con la certezza che tasselli dispersi di vite passate erano stati ricomposti e uniti per terminare un ciclo nell’equilibrio perfetto che il Cielo stesso aveva previsto e disegnato. Con lui ho avuto l’esperienza più straordinaria che mai potessi immaginare: l’incontro con uno spirito evolutissimo dotato della sapienza dell’Oltre e trasferito in un veicolo umano– un veicolo che ho avuto l’onore di affiancare e di abbracciare, e che lui mi ha permesso tacitamente di “sondare”, attraversando col mio spirito tutti gli strati della sua necessaria ed insospettabile copertura esterna, perché io potessi scoprire ciò che poi mi si è rivelato nel tempo del suo disegno, della sua missione e della sua Vera natura. Ora so che tutto ciò è avvenuto perché io potessi tradurre un giorno, in informazione da diffondere e in verità da rivelare, tutto quanto avevo visto e compreso di lui con gli occhi dello spirito. In effetti il mio vero compito non era quello di diventare relatrice tecnica dello scienziato, poiché questo ruolo era affidato ai tecnici. Sono invece stata mandata a lui per scoprire la sua realtà segreta, la più ignorata dai curiosi della scienza, eppure la più importante in assoluto: la sua realtà spirituale. Scoprii nel tempo che quel processo di rivelazione doveva avvenire per suo corso naturale, senza che lui mi manifestasse nulla né mai lasciasse intendere o trapelare
Jusy Zitoli Scrittrice, poetessa, ricercatrice in scienze di frontiera e regista artistica. È stata per molti anni collaboratrice personale dello scienziato Pier Luigi Ighina, scopritore dell’Atomo magnetico e della Fisica del futuro. È impegnata da sempre sul fronte del ripristino degli Equilibri umani e planetari. In qualità di artista e di progettista è impegnata nel creare eventi artistici a forte impatto coreografico ed emozionale, per risvegliare la poesia dei luoghi e dell’animo umano e combattere fortemente il degrado delle città, attraverso il massimo potenziamento dell’Arte, unita alla presenza di uomini di genio. In qualità di scrittrice
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Jusy Zitoli qualche indicazione. Difatti lui non parlò mai di se stesso... anzi, pareva sfuggire delicatamente ogni qual volta leggeva nei miei occhi che stavo scoprendo la verità, una verità così grande ed emozionante che pareva voler mascherare ancor più tenacemente, temendo forse che io non potessi contenere quell’emozione. Avevo di fronte a me il Maestro dei Maestri, e la misura della sua grandezza mi veniva data dalla sua umiltà– un’umiltà così autentica, così profonda e così smisurata da lasciarmi ogni volta attonita, con le lacrime agli occhi e senza parole. È stato tanto toccante stargli vicino e respirare la sua Purezza, che ancora oggi mi sembra un sogno averlo avuto in dono nella mia vita ed essere potuta entrare in contatto con quella sua energia elevatissima, capace di innalzare magicamente la mia di mille piani, nel solo atto di stargli accanto. Ancora oggi ringrazio Dio per il miracolo che mi è stato concesso di guardare negli occhi un angelo, un meraviglioso ed ineguagliabile angelo-bambino di 90 anni, nella cui scorza rugosa ho trovato la traccia sottile e luminosa della sua saggezza millenaria e dietro il cui paravento fittizio, usato per esistere in questo mondo, ho scoperto l’immenso del suo mondo... A presto, prezioso uomo venuto dalle stelle... Sento che tornerai per terminare il tuo meraviglioso compito, ed io ancora una volta ti riconoscerò!
sta componendo attualmente una fiaba in onore di Pier Luigi Ighina, suo Maestro di vita e padre spirituale. Ha dedicato a Pier Luigi Ighina il libro intitolato: Io l’ho conosciuto (Edizioni Atlantide), che descrive il contatto stravolgente ed inimmaginabile avvenuto fra lei e lo scienziato. Il suo ultimo libro sulla scoperta di tutte le Chiavi segrete per la riconquista della propria libertà è...
Il riscatto delle nostre ali M.I.R., 2007 Runa Bianca
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Un altro tempo, un altro luogo
FOTO: I MULTI UNIVERSI - I DUE UNIVERSI PARALLELI Α E Β NON SONO COMUNICANTI TRA DI LORO. LA CURVATURA DELLO SPAZIO È IN GRADO DI RENDERLI COMUNICANTI
Dal mondo tridimensionale agli iperspazi La matematica dell’Ottocento ricavava i suoi concetti fondamentali dal mondo reale, riponendo una grande importanza nello sviluppo delle teorie fisiche e raccogliendo, in fase sperimentale, un’enorme quantità di dati che solo in un secondo tempo sarebbero stati riassunti in formule; in altre parole, interveniva solo a posteriori, come strumento utile per precisare e razionalizzare le leggi ad essa collegate. Le teorie scientifiche del XIX secolo avevano pertanto il pregio di essere facilmente spiegate in termini sensibili, senza richiedere un’approfondita conoscenza aritmetica; l’evidenza oggettiva era preminente su quella logica. Dai primi anni del Novecento si è attuato un profondo rinnovamento nel campo dell’indagine teorica grazie alla formulazione del principio di relatività, verificato solo a posteriori in campo sperimentale. Da quel momento in poi non si è più avuta una matematica che astraeva dal mondo sensibile la fisica dei corpi, ma che si “costruiva” invece da sé, con i soli “materiali” della logica
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pura, diventando la scienza di tutti gli enti possibili. Il primo importante esempio fu la nascita dei mondi “iperspaziali”; possiamo infatti osservare che, se è vero che la lunghezza di un segmento è data da a, l’area di un quadrato di lato a è data da S=a2 ed il volume di un cubo con spigolo a è dato da V=a3, nel caso in cui si considerino spazi ad n dimensioni si deve ipotizzare l’esistenza di forme geometriche il cui volume n-dimensionale è pari a V’=an. Questo nuovo approccio ha portato un profondo cambiamento interpretativo, in quanto le figure degli iperspazi non potevano più essere immaginate in forma reale ed il loro studio richiedeva esclusivamente i metodi analitici propri dell’analisi funzionale. Infatti, se ammettiamo in uno spazio a 4 dimensioni un “ipercubo”, dovremmo immaginarci un solido composto da 8 cubi aventi le facce a due a due in comune; è evidente che, in questa situazione, la nostra razionalità risulta spiazzata e nessun oggetto così concepito è riscontrabile nel mondo che ci circonda. La conseguenza di simili sviluppi matematici è stata quella di aver fornito alla scienza strumenti potenti a tal punto da far prospettare nuove realtà fino a prima ignote.
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Un altro tempo, un altro luogo
Ludovico Polastri
Il mondo quantistico e relativistico
se proprietà, violando il cosiddetto principio di “de-coerenza”, nel mondo sub-atomico queste possibilità possono essere ampiamente provate. Secondo alcuni studiosi, la nostra stessa realtà si Il passaggio a schemi logici extra-sensibili per sdoppia ogniqualvolta una particella ha la possispiegare la realtà fisica si estende non solo alla bilità di comportarsi in modi diversi, dando vita teoria della relatività, ma anche alla teoria dei a diverse “realtà” parallele; di sdoppiamento in quanti, dato che nell’infinitamente piccolo persdoppiamento si possono formare tutte le posdono ogni significato i concetti a noi familiari. In sibili varianti. questo mondo infatti vengono meno gli schemi La stessa concezione di esistenza nel mondo abituali con i quali cerchiamo di comprendere sub-atomico è tutt’altro che intuitiva. Se ci appala realtà. Se il mondo “visibile” è rappresentabile re del tutto normale affermare che sia reale solo da leggi deterministiche, caratterizzate dalla reciò che è qui ed ora e che gli eventi futuri non lazione di causa-effetto, in quello quantistico si possono essere determinati mentre quelli passadevono considerare leggi probabilistiche, come ti sono sicuri e veritieri, in relatività la simultaneidimostrato nella “meccanica ondulatoria”, che tà di due eventi dipende, invece, dallo stato di tiene conto della doppia natura della luce. moto dell’osservatore, ed il presente non è altro Ogni sistema quantistico ha la caratteristica che l’insieme degli eventi contemporanei al mio di poter essere descritto da una funzione d’onda esistere qui ed ora. Prendendo in considerazione che contiene tutta l’informazione possibile su di lo spazio quadrimensionale che circoscrive la reesso; una particella può, per esempio, essere dealtà relativistica si dimostra che essa è diversa in scritta da una funzione y(r,t), chiamata equaziofunzione dei vari tempi istantanei degli osservane di Schrödinger, che rappresenta la probabilità tori, ossia che ci possodi trovare la particella in no essere due o più osr. Questo significa che, se servatori il cui presente effettuiamo diverse miè costituito da eventi sia surazioni della particella, passati che futuri rispetsapremo per certo che to al presente di ogni essa si trova in un volume singolo osservatore. molto ristretto, facendo Questo ci porta a dire “collassare” l’equazione: in che il piano della realquesta condizione i valori tà è costituito da curve possibili per la posizione rappresentanti le consi riducono drasticamendizioni di qualunque te ed istantaneamente FOTO: IL PIANO DELLA REALTÀ IN FUNZIONE osservatore inerziale; in ad uno solo. Il principio DELLO SCORRERE DEGLI EVENTI altre parole la relatività di indeterminazione di accetta che possa essere reale il presente, il pasHeisenberg “peggiora” ulteriormente le cose, afsato ed anche l’intero futuro: tutto esisterebbe e fermando che tanto più è precisa l’informazione sarebbe rigidamente fissato nel continuo quasulla velocità, cioè sulla quantità di moto di una dridimensionale dello spazio-tempo. particella, tanto meno è precisa la sua localizzazione. Il manifestarsi in maniera “ambigua” della realI multi universi tà subatomica ci porta a dire che essa si comporta in modi diversi a quelli a noi noti, obbligando Sulla scorta di questi principi, a partire dalla a continue scelte circa la sua possibilità di apmetà degli anni Ottanta si è iniziato sempre più ad parire. Il noto paradosso del gatto di Schrödinindagare sull’ipotesi di elaborare una “Teoria del ger, che mette in relazione la funzione d’onda tutto”, prendendo in considerazione l’eventualidi probabilità della disintegrazione di un atomo tà di dimensioni superiori alle tre comunemente con quella di trovare in vita o meno l’animale, ci note ed ipotizzando il concetto di “supercorde”. mostra che, seppur nel mondo macroscopico sia Il prefisso super si riferisce alla speciale simmeassai improbabile che un insieme di corpuscoli tria posseduta da queste “brane”, che possono assuma tutte e contemporaneamente le stes-
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Ludovico Polastri essere immaginate come filamenti energetici in grado di rappresentare le particelle nel mondo quantistico, armonizzando tutte e quattro le forze fondamentali che, nelle teorie fino ad oggi conosciute, sono sfuggite all’unificazione. Tuttavia la teoria delle supercorde può reggere solo se ci si riferisce ad universi che posseggono un numero di dimensioni spaziali superiori alle tre che ci sono familiari. I modelli costruiti esigono infatti che lo spazio abbia nove dimensioni, oltre a quella temporale; di queste dimensioni, all’atto dell’espansione dell’universo, se ne sarebbero espresse solo tre, mentre le restanti sei sarebbero rimaste “intrappolate” facendo in modo che i loro effetti siano diventati indiscernibili non solo alla nostra esperienza quotidiana, ma anche agli esperimenti della fisica delle alte energie. In che modo questo “intrappolamento” sia potuto avvenire è ancora un problema irrisolto. Quello che però sembra certo è che, se nel nostro universo le tre dimensioni svolgono un ruolo chiave nel far sì che la materia e la vita stessa si sia potuta realizzare, altri universi possono essere ipotizzati e dimostrati matematicamente a partire dalla teoria della relatività stessa. Sappiamo infatti che essi possono essere nati da un “riaggiustamento” delle quattro forze fondamentali e potrebbero comunicare grazie a collassi gravitazionali, peraltro già dimostrati a livello cosmologico. Con queste ipotesi si spiegherebbero le diverse possibilità di realizzazione degli eventi descritti dalla funzione d’onda di Schrödinger, in quanto ognuno di noi può esistere in un mondo e non esistere in un altro. In altre parole ci può essere un particolare evento quantistico per il quale un osservatore viene creato in un mondo mentre in un altro non lo sarà. Poiché quando un osservatore compie una qualsiasi misura abbiamo una divisione in due storie diverse, possiamo inserire queste storie diverse tra loro nella funzione d’onda facendole svolgere in più realtà diverse. Di fatto ogni mondo ha una sua particolare evoluzione, ed a mondi differenti corrispondono storie differenti. Se nel linguaggio usuale una persona è caratterizzata in maniera molto precisa in quanto oggetto macroscopico, definito in un particolare momento di tempo, nell’interpretazione dei multi universi quello che io sono ora, tra qualche minuto, quando farò per esempio un esperimento quantistico, si dividerà in due ed avrà in comu-
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Un altro tempo, un altro luogo ne solo il ricordo di quel momento e del prima, ma non del futuro. Già nell’ istante in cui leggiamo queste righe ci potrebbero essere altrettanti lettori in realtà diverse che stanno facendo operazioni simili ma non identiche.
L’uomo può andare oltre le barriere del tempo Dopo aver passato in rassegna delle situazioni che si possono verificare nel mondo subatomico è lecito porci una domanda alquanto ardua, ovvero: come può la conoscenza di un evento precedere, nel tempo, l’attimo in cui diventa reale? In altre parole, si può ammettere l’esistenza della precognizione? Abbiamo chiarito che l’eventuale assurdità dei fenomeni precognitivi deriva dalla concezione tradizionale di un universo a tre dimensioni, in cui il passato non esiste più ed il futuro non esiste ancora: solo il presente ha un senso razionale; in conseguenza di ciò l’unica realtà sarebbe quella presente. Ma cos’è il presente? Consideriamo un osservatore situato sul bordo di una strada che sta osservando una processione. Il presente si identifica con il piccolo gruppo di persone che egli può vedere ad un dato istante, ma se egli si sposta lungo la terza dimensione dello spazio, salendo per esempio su un’altura, allora scorge l’intera processione, ossia la parte passata ma anche quella che verrà: in questo caso esiste un “continuum spaziotemporale”: passato, presente e futuro sono abbracciati in un’unica dimensione. Abbiamo visto che vi possono essere parecchi modelli di universo proposti da fisici e matematici e tra questi la concezione di Minkowski, in cui spazio e tempo appaiono intimamente connessi, è quella da cui hanno preso le mosse i relativisti aggiungendovi il concetto di curvatura dello spazio. Vi sono però anche altri schemi meno noti, come quello elaborato dallo scienziato italiano Fantappiè, che presuppone il concetto di “esistenza totale” come perfezionamento ulteriore dei modelli relativistici. Secondo questa teoria la difficoltà di vedere cose che non sono “presenti” scompare, poiché esse sono nondimeno da considerare esistenti, anche se passate o future. Il concetto di esistenza viene così esteso oltre i limiti accessibili al senso comune. Il microcosmo ed il macrocosmo trovano allora un punto di
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Un altro tempo, un altro luogo contatto, l’uomo diventa il mediatore, il riflesso dell’universo in sè stesso secondo la concezione esoterica di trasmutazione interiore, superando le ipotesi rigidamente deterministiche e costringendoci ad allargare gli orizzonti della nostra conoscenza. Noi sappiamo ormai che l’uomo è un essere a più di tre dimensioni e che può spaziare mentalmente lungo la dimensione del tempo, ben oltre i limiti fissati dall’origine e dalla durata del suo corpo. Sono possibilità che affiorano eccezionalmente, per ora spesso in fenomeni definiti “paranormali” e troppo frettolosamente accantonati dalla scienza ufficiale; ma bastano anche pochi casi accertati ad aprire la strada a considerazioni e a deduzioni di enorme importanza. Secondo il professor Zorab, l’accezione del concetto di “eterno presente” comporta l’inesistenza del libero arbitrio. In effetti la precognizione non implica affatto, in sè stessa, l’esistenza di cause vincolanti della volontà. Il futuro esiste, ma solo in quanto alla sua attuazione concorrerà liberamente ciascuno di noi e ciò non vieta che da una dimensione superiore si possa conoscere quale sarà la futura e libera espressione della nostra volontà. La verità, semplice ma sconcertante, si può dunque enunciare come segue: in punti ancora lontani del “continuum spaziotemporale”, esistono già le conseguenze di nostri liberi atti di volontà dei quali l’io cosciente non sa ancora nulla, perché non è ancora arrivato a viverli.
Verso una nuova spiritualità Proviamo a questo punto a trarre alcune conclusioni possibili e razionali. L’uomo appartiene ad uno dei tanti universi “realizzabili”, ciascuno dei quali dotato di leggi fisiche proprie; possiamo dire che, partendo dalle
Ludovico Polastri È laureato in ingegneria meccanica all’Università di Brescia. Ha conseguito la specializzazione post lauream presso il Politecnico di Milano e effettuato corsi di specializzazione in ambito: Produttivo, Certificazione dei Sistemi Qualità e Ambientali Aziendali,
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Ludovico Polastri infinite possibilità di combinazione che si possono verificare a seguito di un rimescolamento delle forze fondamentali conosciute, ed in particolare le costanti naturali che rientrano in queste leggi, questo universo sembra essere regolato su misura per rendere possibile l’esistenza della vita. Ma non per questo dobbiamo scomodare spiegazioni soprannaturali o divine per dare una spiegazione a questa “singolarità”. È vero che le leggi fisiche nella stragrande maggioranza di eventuali multi universi potrebbero non consentire la formazione della materia a noi nota, né di galassie, stelle, pianeti ed esseri viventi, ma, considerando il numero davvero enorme di possibilità, la probabilità che “l’ordine cosmico” possa pescare almeno una volta la “giusta” combinazione di leggi non è certo bassa. Recenti scoperte hanno infatti dimostrato che la vita potrebbe essere parimenti possibile anche a fronte dell’eliminazione di una delle quattro forze fondamentali e precisamente quella nucleare debole e la modificazione delle restanti costanti. L’uomo forse non è dunque una cosa così eccezionale ed unica come si potrebbe credere ma semplicemente potrebbe essere una probabilità, una potenzialità che si è potuta statisticamente realizzare; forse è anche per questo che sta cercando di “ridefinire” la propria collocazione nel cosmo affacciandosi ad una nuova spiritualità più aperta e scientificamente più matura, mettendo di conseguenza in crisi credenze e dogmi religiosi. Fra miliardi di anni il nostro universo forse non ci sarà più se non nella forma del nulla; sarà scomparsa ogni forma di vita, di intelligenza, di ricordo dell’umanità. Quale scopo ha avuto la nostra esistenza visibile? Aver conosciuto il fatto di vivere, essere stato inserito nell’esserci del mondo, incastrati in tre dimensioni, precipitati in un nome per poi scomparire, forse, ha avuto un senso. Anche il “nessun senso” in fin dei conti è un senso. Organizzazione e Gestione Aziendale. Ricopre da molti anni ruoli di responsabilità in ambito tecnico, produttivo e impiantistico per conto di importanti realtà aziendali. Si occupa inoltre di aspetti normativi e legali inerenti la sicurezza e la prevenzione sui luoghi di lavoro. Ricercatore indipendente e giornalista free lance, collabora per diverse testate giornalistiche.
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FOTO: YURI LEVERATTO PRESSO UNA CITTADELLA AGRICOLA PRE-INCA SCONOSCIUTA (FONTE: YURI LEVERATTO)
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a regione di Cusco (Perú), estesa circa 72.000 chilometri quadrati, è occupata in gran parte (più del 50%) da un particolare ecosistema chiamato selva alta (che a sua volta si divide in selva alta e bosco andino). Durante l’impero degli Incas la selva alta ricopriva un ruolo molto importante, in quanto era la frontera tra il mondo andino e quello amazzonico. I popoli antecedenti agli Incas, gli Huari, i Pukara ed i Lupaca costruirono durante secoli vari avamposti detti tambo in quechua (luoghi di riposo), ma anche cittadelle e fortezze che servivano, oltre che per delimitare l’impero, anche come luoghi di riposo ed intercambio, dove si soleva barattare con etnie di Chunchos, Moxos e Toromonas i prodotti della selva (coca, oro, miele, piume d’uccello, erbe medicinali), con quelli della sierra (camelidi e cereali andini, maca e vari tipi di patate).
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Gli avamposti più conosciuti sono quelli di Espiritu, Pampa e Vitcos (entrambi nella regione di Vilcabamba), Abiseo, la fortezza di Hualla, Mameria e la fortezza di Ixiamas (Bolivia). Secondo vari esploratori, tra i quali il peruviano Carlos Neuenschwander Landa, esisterebbe un’ultima fortezza, ancora sconosciuta, che fu utilizzata dagli Incas quando scapparono dal Cusco nel 1537. È il mito del Paititi andino che si fonde con la legenda ricompilata da Oscar Nuñez del Prado nel 1955, che indica nel Paititi l’oasi dove si rifugiò il semidio Inkarri dopo aver fondato Q’ero e Cusco. Carlos Neuenschwander concentrò tutte le sue ricerche nel cosidetto “altopiano di Pantiacolla”, un’aspra e fredda zona andina inclusa tra i 2500 e i 4000 metri d’altezza sul livello del mare, tra le regioni di Cusco e Madre de Dios. L’altopiano di Pantiacolla (dal quechua: luogo
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dove si perde la principessa) entra a pieno titolo, per vari motivi, tra i luoghi più difficilmente accessibili del mondo. Innanzitutto la lontananza da centri abitati e la difficilissima orografia del terreno: profondissimi canyons dove scorrono fiumi impetuosi e ripidi costoni dove passano solo alcuni angusti sentieri, a volte nemmeno percorribili da muli, complicano l’accesso all’altopiano. Inoltre il clima, sempre cangiante, è molto severo, con forti venti, piogge e grandinate, ed a volte neve e tempeste, intervallate da FOTO: CITTADELLA AGRICOLA PRE-INCA SCONOSCIUTA (FONTE: YURI LEVERATTO) brevi periodi di sole. Huillca Mamani, lo spagnolo Javier Zardoya ed il La temperatura può scendere a -10 di notte, sottoscritto. mentre di giorno oscilla tra 0 e 5 gradi. Abbiamo trascorso gli ultimi giorni prima d’inL’ultimo e forse più importante motivo che traprendere la spedizione nel grande mercato di rende quasi inacessibile la “meseta de PantiacolCusco, acquistando i viveri necessari per un totala” è il fatto che nelle zone adiacenti (situate ad le di 11 giorni. Molto importante, per una spedialture più basse), come il Santuario Nazionale zione andina, è stato l’acquisto di alcuni chili di Megantoni e la zona “chiusa” del Parco Nazionale foglie di coca e della cosidetta “lipta”, una specie del Manu, vivono indigeni isolati (non contattadi dolcificante a base di stevia o cenere che serve ti), che a volte possono essere molto aggressivi. da “catalizzatore” per poter assimilare le proprieMi riferisco a gruppi di Kuga Pacoris, Masko-Piros tà benefiche delle foglie di coca. e Toyeris. Un’altra “sfida” è stata la scelta dell’equipagLa vallata del Rio Mapacho-Yavero, inizialgiamento, in quanto dovevamo essere preparati mente chiamato Rio Paucartambo, funge d’acper il clima tropicale del basso Yavero, ma anche cesso alla cordigliera di Paucartambo, l’ultima per il freddo intenso della cordigliera, dato che vera catena montuosa andina (con cime di oltre avevamo previsto di giungere oltre i 3000 metri 4000 metri), prima della selva bassa amazzonica, d’altezza s. l. d. m. la conca del Rio Madre de Dios. Siamo partiti nel cuore della notte alla volL’obiettivo della nostra spedizione nella cordita della vallata del Rio Yavero con un potengliera di Paucartambo è stato quello di studiare te fuoristrada condotto da un autista esperto. e documentare i sentieri incaici della vallata del Dopo circa 10 ore di difficile strada sterrata, siaRio Chunchosmayo (Rio dei Chunchos, antichi e no giunti in un luogo chiamato “punta carreteterribili popoli della selva), che conducono all’alra”, nella valle del Rio Yavero. È una vallata moltopiano di Pantiacolla e possibilmente alla mitito stretta, poco popolata, senza strade (eccetto ca Paititi di Inkarri. che per l’unica via d’accesso) e senza elettricità. La spedizione è iniziata al Cusco, la città che I pochi contadini che vi vivono coltivano princifu capitale degli Incas. In totale eravamo 5 partepalmente caffé. L’indomani mattina, con l’aiuto cipanti: lo statunitense Gregory Deyermenjian, i di due muli, abbiamo iniziato a camminare perperuviani Ignacio Mamani Huillca e Luis Alberto
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correndo un ripido costone, scendendo in circa quattro ore fino al Rio Yavero, nel punto dove si trova il ponte sospeso “Bolognesi”. Ubicazione: 12° 38.739’ lat. Sud / 72° 08.129’ long. Ovest. Altezza: 1222 metri s. l. d. m. Al di sotto di quel ponte traballante scorre l’impetuoso Yavero (affluente del Rio Urubamba), circondato da una vegetazione lussureggiante. Da quel punto abbiamo iniziato a camminare risalendo il margine destro della vallata fino ad un luogo chiamato Naranjayoc, abitato da alcune famiglie di contadini che parlano principalmente quechua. È un mondo completamente rurale dove si vive senza luce, né acqua corrente, né tantomeno gas per cucinare o riscaldarsi. Tutto è esattamente uguale a come era un secolo fa. Il terzo giorno abbiamo utilizzato tre muli per proseguire. Inizialmente abbiamo risalito un ripidissimo costone e quindi, una volta raggiunta la cima del monte, ci siamo trovati di fronte ad un
remoto sito archeologico detto Tambocasa. Ubicazione: 12º 37.174’ lat. Sud / 72º 07.206’ long. Ovest Altezza: 1792 mt. S. l. d. m. È un tipico tambo (luogo di riposo), di forma rettangolare (40 x 10 metri), costruito in epoca inca. Ubicato esattamente nello spartiacque tra le valli del Rio Yavero e del suo affluente Chunchunsmayu (fiume dei Chunchos), fu utilizzato principalmente come luogo di riposo ed intercambio di prodotti agricoli. Quindi abbiamo camminato per circa quattro ore lungo un ripido costone a picco sul precipizio, inoltrandoci nella valle del Rio Chunchusmayo. Verso sera siamo giunti presso un altro sito archeologico detto Llactapata (in quechua: città alta). Ubicazione: 12º 37.025’ lat. Sud / 72º 05.750’ long. Ovest Altezza: 1935 mt. S. l. d. m. Abbiamo deciso di accamparci in una vasta
FOTO: CITTADELLA AGRICOLA PRE-INCA SCONOSCIUTA (FONTE: YURI LEVERATTO)
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radura adiancente alle rovine, con l’intento di esplorarle l’indomani. Dopo aver cucinato una zuppa a base di uncucha (una patata dolce tipica di questa vallata), ci siamo preparati per la notte. Il cielo era completamente screvro da nubi e, stranamente, si notava una grande stella molto bassa in direzione dell’altopiano di Pantiacolla. Il quarto giorno abbiamo potuto documentare il sito di Llactapata: oltre ad alcuni resti di fondamenta pre-inca nei quali l’angolo dei muri invece di essere perpendicolare è smussato, abbiamo potuto documentare una costruzione rettangolare risalente all’epoca pre-inca caratterizzata da una particolare parete con otto incavi, probabilmente utilizzati per motivi cerimoniali. Quindi abbiamo nuovamente intrapreso il nostro cammino in direzione nord-est, risalendo la stretta vallata del Rio Chunchusmayo. Inizialmente abbiamo camminato per circa cinque ore in uno stretto sentiero a picco sul precipizio. Alcuni passaggi sono stati difficili e
abbiamo dovuto alleggerire il carico dei muli, stando attenti ad evitare che si imbizzarrissero, cadendo nel vuoto. Siamo poi giunti in un luogo da dove si poteva vedere l’incontro del torrente Tunquimayo con il Rio Chunchusmayo. Da quel punto è iniziata una ripida discesa fino al Rio Chunchusmayo. Abbiamo dovuto attraversare una zona di selva molto densa e umida, fino a giungere presso il suo corso. Una volta attraversatolo, abbiamo iniziato la ripida salita del cosidetto “Cerro Miraflores”, inizialmente in una densissima selva e quindi lungo un enorme costone con poca vegetazione. Dopo circa tre ore di cammino dal fiume abbiamo deciso di fermarci e di allestire l’accampamento, anche perché era iniziata una forte pioggia. D’un tratto ci siamo resi conto di trovarci presso un antico tambo pre-incaico di costruzione rettangolare. Anche qui, il fatto che gli angoli della costruzione fossero smussati ci ha fatto pensare ad una costruzione pre-inca.
FOTO: CITTADELLA AGRICOLA PRE-INCA SCONOSCIUTA (FONTE: YURI LEVERATTO)
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Ubicazione del Tambo di Miraflores: nella parte che si affaccia ad est, un muro di circa 12º36.506’ lat. Sud / 72º 03.681’ long. Ovest 6 metri di lunghezza, con 4 rientranze ubicate Altezza: 2540 mt. s. l. d. m. all’altezza di circa 80 cm dal suolo (vedi foto prinIl quinto giorno abbiamo inizialmente esplocipale). rato la parte di selva che si trovava a nordEravamo certi di aver raggiunto un’importanovest dal nostro campo base. Abbiamo trote e sconosciuta cittadella agricola pre-inca, ma vato alcuni muri di contenzione, anch’essi di ignoravamo chi l’avesse costruita e quando. Alorigine pre-incaica, indizio che tutta la zona cuni mandriani della zona ci avevano accennato era stata abitata e coltivata in epoche remote. al nome “Miraflores”, con il quale si indicava la Poi ci siamo inoltrati in una densissima selva, allontanandoci però dall’antica zona agricola. Abbiamo quindi deciso di seguire il sentiero verso nord, fino alla cima del monte. È stata una durissima salita lungo un sentiero stretto e fangoso, ma finalmente abbiamo raggiunto la cima e quindi abbiamo proseguito verso nord lungo un altopiano coperto da un bosco non troppo denso. La nostra caminata ha avuto fine in un punto situato a 3185 metri s.l.d.m. da dove si poteva scorgere, in lontananza, l’altopiano di Pantiacolla e il FOTO: CITTADELLA AGRICOLA PRE-INCA SCONOSCIUTA (FONTE: YURI LEVERATTO) cosidetto “Nudo de Toporamontagna intera. ke”, un’aspra formazione rocciosa situata presso Ubicazione della cittadella pre-inca di Miralo spartiacque tra la conca del Rio Urubamba e flores: quella del Rio Madre de Dios. Quindi siamo rienLat. 12º 36.507’ Sud / Long. 72º 03.715’ Ovest trati al campo base con una caminata di circa tre Altezza: 2523 metri sul livello del mare. ore. Osservando con attenzione il muro princiIl sesto giorno della nostra esplorazione è stapale, mi sono reso conto che probabilmente to quello determinante. Abbiamo nuovamente esplorato la parte di era crollato parzialmente e che anticamente era lungo almeno il doppio. Forse le rientranze, selva a nord-ovest rispetto al nostro campo-bache per me erano utilizzate per motivi rituali, se. Ci siamo quindi inoltrati in una spessa foresta furono in passato 8, proprio come a Llactapata. umida, tanto che era molto difficoltoso avanzare. Ma chi poteva aver costruito la cittadella? PoteDopo circa mezz’ora abbiamo trovato le fondamenta di un’abitazione dalla forma trapezioidavano essere stati i Chunchos, antenati dei Matsiguenkas, da cui deriva il nome del fiume Chunle e quindi, a pochi metri da essa, i basamenti di chosmayo? Non sembra, perché quei popoli un’altra abitazione rettangolare e vari muri di della selva adiacente al Cusco non hanno mai contenzione che servirono per le classiche “colutilizzato le cosidette “coltivazioni a terrazza”. tivazioni a terrazza”. Procedendo l’esplorazione abbiamo indiviProcedendo nella nostra esplorazione abbiamo potuto documentare altre abitazioni, molte duato il centro di un’antica cittadella occulta neldelle quali avevano una specie di finestra o rila selva: una spianata di circa 12x12 metri con,
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L’enigma delle rovine di Miraflores entranza nei loro muri, probabilmente utilizzata per motivi rituali. Il settimo giorno abbiamo continuato la nostra esplorazione. Procedendo a fatica attraverso la selva densa e intricata, abbiamo scoperto altre abitazioni e molti muri di contenzione per le cosidette “coltivazioni a terrazza”. Abbiamo potuto comprovare che la cittadella si estende su due ettari, con un totale di circa 20 abitazioni, oltre alla spianata centrale, dove vi è il muro principale con le 4 rientranze rituali. La cittadella agricola di Miraflores fu costruita quasi sicuramente da popoli pre-inca, anche se a tutt’oggi non è possibile individuare esattamente il popolo che la edificò. È molto probabile che gli Incas utilizzarono il sito con lo scopo di controllare l’accesso alla vallata e poter coltivare l’intero versante occidentale della montagna, in modo da poter rifornire di alimenti (mais, fagioli, patate, coca, zucche) i soldati che presidiavano i limiti estremi dell’impero, nell’altopiano di Pantiacolla e nelle fortificazioni di Toporake, tutti siti ubicati nello spartiacque (a circa 4000 mt. s. l. d. m.), fra il bacino del Rio Urubamba e quello del Rio Madre de Dios. È possibile che la cittadella agricola di Miraflores sia servita per rifornire di alimenti un sito maggiore, situato forse al di là della “meseta di Pantiacolla”, ovvero il legendario Paititi di Inkarri? In seguito abbiamo esplorato tutta la zona adiacente, scoprendo altri
Yuri Leveratto Nato a Genova nel 1968, ha conseguito la laurea in Economia nel 1995, e ha iniziato a lavorare presso un’agenzia marittima di Genova. In quel periodo ha dimostrato interesse per la letteratura e ha scritto il suo primo romanzo, “L’inverno dell’anima”. Successivamente ha vissuto a New York, dove ha lavorato come guida turistica, e poi, a partire dal 1999, si è imbarcato sulle navi da crociera della compagnia “Princess”, con funzioni amministrative. La sua passione per la fantascienza lo ha portato a scrivere “La guerra alle multinazionali”, e il suo proseguimento, “L’era degli autoreplicatori”. Nel 2004 ha lavorato come guida turistica
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Yuri Leveratto spazi abitativi e cerimoniali. Molto interesante è stato il ritrovamento di una tomba. Ubicazione della Tomba di Miraflores: Lat. 12º36.521’ Sud / Long. 72º 03.731’ Ovest Altezza: 2509 mt. s. l. d. m. Lo studio futuro di questo sito potrebbe svelare l’enigma dell’etnia che costruì l’intera cittadella. Durante il pomeriggio, siccome non pioveva ed eravamo lontani da corsi d’acqua, abbiamo deciso di smontare il campo base ed avvicinarci al Rio Chunchusmayo. Abbiamo quindi montato il campo 2 a circa 2000 metri sul livello del mare, a dieci minuti di camino dal fiume. Quindi, siamo scesi sulle rive del Rio Chunchusmayo ed abbiamo fatto il bagno, immergendoci nelle sue acque gelide. Poco dopo abbiamo cercato i resti di un ponte incaico che, secondo alcune voci, avrebbe dovuto trovarsi nella zona, ma senza esito favorevole. L’ottavo giorno siamo rientrati verso Naranjayoc ed il giorno sucessivo abbiamo camminato fino alla strada carrozzabile. Il decimo giorno abbiamo incontrato il nostro autista in un punto prestabilito e, per mezzo di un potente fuoristrada, siamo rientrati al Cusco in dieci ore di viaggio. Il bilancio della spedizione è stato più che positivo. Oltre a documentare i siti di Tambocasa e Llactapata, abbiamo scoperto e descritto le rovine della cittadella agricola di Miraflores: un ulteriore passo avanti nell’ambito delle spedizioni Paititi-Pantiacolla. in Italia. Dal 2005 vive in Colombia, continuando a viaggiare venendo a contatto con culture autoctone, studiandone la cultura e il loro modo di vita. Appassionato di storia cerca di trovare nel passato degli spunti che gli facciano comprendere il presente e le relazioni tra gli esseri umani. Il suo sito web è http://www.yurileveratto.com. Tra i suoi libri ricordiamo: La ricerca dell’El Dorado (Infinito Edizioni, 2008) e…
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La “Scienza Sacra” dei costruttori di megaliti (III)
Origine culturale dell’operazione megalitica
FOTO: MONUMENTI MEGALITICI SALENTINI: DOLMEN (FONTE: EZIO SARCINELLA)
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l passaggio all’emiciclo precessionale dell’Olocene, avvenuto nel millennio XI a.C., fu di una tale intensità che gli uomini superstiti si attivarono per poter bilanciare la Terra, applicando le conoscenze derivate da quell’evento e la capacità di percezione energetica di cui erano dotati. L’esperienza di quello scenario caotico acuì l’intelligenza dei primi costruttori dei megaliti e ne ispirò la missione millenaria equilibrante, da applicare sul piano planetario. Essi ne impressero la dinamica celeste con monumenti imperituri, modellando interi altopiani, come fecero per la Sfinge egizia della piana di Giza al Cairo, avente in origine la testa di leone, orientata verso la costellazione del Leone all’epoca del 10.450. a.C. (R. Bouval-A. Gilbert, G. Hancock, J.A. West) o intere colline modellate a forma di piramide, come le Piramidi di Visoko in Bosnia (www.runabianca.it) o già elevando me-
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galiti, come nel tempio di Gopleki Tepe nell’antica Anatolia (che gli studiosi collocano entro una parentesi temporale millenaria compresa tra l’11.500 e l’8.000 a.C.). Si scopre ora, con molta sorpresa, che questi e altri noti templi megalitici, in Asia, Africa e nel continente americano pre-colombiano, possono essere stati eretti a partire dall’XI millennio a.C. per imprimere sul territorio un messaggio per i posteri legato al ciclo del Grande Anno e scandire con la loro imponente presenza il ritmo cosmico del ciclo della Precessione degli equinozi. Sulla scia di quella prima conoscenza postglaciale, dopo il primo mese bimillenario precessionale, caratterizzato da un millennio temperato e da uno glaciale (Glaciazione Breve o Dryas recente), la civiltà della “rinascita” dell’8.000 a.C. potè avviare una seconda fase di operazione megalitica che condusse alla diffusione del più noto megalitismo, quello composto da specchie,
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La “Scienza Sacra” dei costruttori di megaliti (III) da dolmen, da menhir, da henges, da piramidi e poi da havitte e da stupa, ad opera di costruttori di grandi templi, favoriti nella loro conquista del mondo da un più gradevole clima temperato. Risalgono all’8.000 a.C. le prime tracce europee di coltura incipiente del nocciolo, trovate in Inghilterra nei pressi della località di Stonehenge, il luogo sul quale già all’epoca il cerchio oggi megalitico era composto da pali mobili, infissi nelle buche scavate nel terreno, ai fini di calcolare i cicli temporali di breve e lungo termine. La vita ricominciava per quelle genti su un nuovo registro di conoscenze e di abitudini, adeguate alla fase temperata, che trasformava il pianeta e offriva opportunità nuove per conquistarlo. Furono le genti delle coste atlantiche inabissate per l’innalzamento del livello degli oceani, a causa delle acque del disgelo della Glaciazione Dryas recente che, servendosi di un palo di legno per traguardare gli astri, sia in navigazione sotto costa che sulla terraferma, si mossero verso una lenta, millenaria conquista di nuovi territori. Rinvenire le tracce lasciate nei primi millenni della loro peregrinazione è arduo, per la deperibilità del legno dei loro strumenti e dei loro monumenti. Resti di pali infissi in modo da formare un cerchio semi-sommerso dal mare delle isole Orcadi, come anche i residui di legni da palo collegabili alla serie di buche che contornano il circolo di pietra di Stonehenge, corrispondono alle rare tracce di una pratica astronomica e cultuale iniziata in quella fase e continuata con la trasformazione in monumenti stabili, per mezzo dell’impiego di megaliti, di cui Stonehenege rappresenta oggi proprio l’emblema dell’operazione megalitica delle Isole britanniche e di tutti i monumenti megalitici del mondo. Accomunava gli esponenti di questa seconda generazione di costruttori di megaliti una cultura basata sulla conoscenza di un’astronomia empirica, sperimentata in millenni di pratica di osservazione del cielo. Vissuti in fase glaciale nella “nicchia ecologica” dell’area franco-cantabrica, la cui temperatura rigida era mitigata dall’influsso marino, ma in fase post-glaciale costretti a muoversi lungo i nuovi bordi costieri e lungo le vie fluviali ingrossate dal disgelo, si trasformarono da cacciatori di grandi animali da prateria in raccoglitori di volatili, di molluschi terrestri e marini
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Marisa Grande e in pescatori con l’ausilio di nasse, reti, arpioni e ami di osso. A differenza dei cacciatori di renne che, seguendo il cervo come nuova preda della fase temperata trovarono, nelle gole delle Alpi liberate dai ghiacci, una via continentale che attraversava l’Europa da Nord a Sud, dalla Scandinavia al Salento, da percorrere ciclicamente per attivare un tipo di nomadismo stagionale legato alla caccia ai cervidi e che produssero lungo questa via l’arte rupestre di Badisco, di Tuppo dei Sassi e delle Alpi Camune, le genti provenienti da Nordovest, si muovevano, invece, alla ricerca di territori più accoglienti, di nuove nicchie ecologiche dove potersi insediare e attivare la loro operazione megalitica. (M.Grande, Antiche confluenze viarie in Puglia, Anxa, maggio-giugno 2011) Dispersa però, con le devastazioni del nuovo post-glaciale della Dryas recente, quell’antica avanzata conoscenza dei progenitori, i nuovi superstiti ripresero la conquista del mondo e il nuovo piano planetario ponderale equilibrante servendosi di un semplice “palo di traguardo”. Con il suo ausilio furono in grado di orientarsi in terra e in mare. Approdati sulla terraferma, raggiungevano un punto emergente vicino alla costa, dal quale potevano dominare il mare e l’entroterra con una visuale completa di 360 gradi e lì costruivano specchie litiche ed accendevano fuochi per elevare verso il cielo colonne di energia, modelli sacri di axis mundi, che in seguito avrebbero moltiplicato e reso imperituri innalzando la raggiera di menhir litici. Se ritenuto adatto alla vita, s’insediavano su quel territorio e, intorno al polo emergente della “collina sacra”, creavano una nuova “cellula culturale” in una nuova “cella geodetica”, costruita nella naturale “cella geomorfologica”, di cui percepivano l’intensità energetica. Con la loro operazione ponderale imbrigliavano nel sistema megalitico quelle energie del territorio per contribuire poi, tutti insieme, nelle diverse parti del mondo nelle quali sarebbero approdati quali costruttori di nuove “macchine equilibranti” astronomicamente orientate, a sviluppare la sacra sincronia tra Terra e cielo, rendendo coerenti tutte le linee di flusso del campo magnetico terrestre. I costruttori di megaliti intendevano ottenere ciò basandosi sulla conoscenza delle antiche
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tecniche di osservazione astronomica e di navina assiale comprendente le acque sotterranee, le gazione marina e fluviale e fidandosi delle loro camere sovrapposte e lo Zed, ossia un sistema di capacità percettive, notevoli sul piano della geoambienti in risonanza, a cui si aggiungono i due manzia e della rabdomanzia. cunicoli orientati in forma di “Y” verso il cielo. Impiegando minerali litici con proprietà di I flussi di elettromagnetismo, convogliati in conducibilità elevata, quali il quarzo, le pietre stato caotico alla base della piramide per mezzo sarsen, le pietre blu, il silice, ma di diramazioni idriche del Nilo, venianche l’umile calcare come quello vano resi coerenti dal sistema interno salentino, elevavano megaliti distridella piramide, vibrante nelle risonanbuiti a forma di “tela di ragno”, riproze giuste per effetto della “riflettanza” ducente in Terra la “tela cosmica” del dei minerali impiegati e delle proporcielo. zioni della stessa piramide, riproduGli abitanti centro-europei, delcenti in scala la grandezza planetaria le coste e delle isole atlantiche, da della Terra. Questa poteva essere stacui provenivano anche i costruttori ta dedotta empiricamente per mezzo di megaliti salentini, avevano alle della misurazione del triangolo solaspalle un retroterra culturale che li re, composto della linea di massima aveva resi progrediti sul piano delestensione all’orizzonte delle due pola conoscenza del territorio e del sizioni apparenti della levata del Sole cielo, avendo praticato per millenni ai solstizi, per la base e, per il vertice l’astronomia empirica per orientaropposto, dalla posizione intermedia si su un territorio prevalentemente dell’astro in declinazione rispetto al ghiacciato. Il loro bagaglio culturale centro nel giorno della sua levata agli era stato formato nel Paleolitico per equinozi. una lunga tradizione di osservazioTali misure astronomiche erano cone del cielo e di misurazione dei nosciute da millenni come variabili nel cicli degli astri da parte dei Sapienstempo e rappresentate in forma di losapiens Cro Magnon, i quali lo avesanga più o meno affusolata, una forvano in parte anche ereditato dai ma romboidale divenuta simbolo delloro cugini Sapiens neandertaliani, la dea astrale già nei cicli precessionali meglio adattati alla grande glaciadel Paleolitico Inferiore. La losanga zione pleistocenica. comprendeva, oltre al triangolo solare Erano stati i loro progenitori che, luminoso posto al di sopra dell’orizin fase post-glaciale del millennio zonte, anche il suo rovescio, il triangoFOTO: MENHIR NEL SALENTO (FONTE: EZIO XI a.C., avevano iniziato l’attività di lo buio indicante il percorso notturno SARCINELLA) bilanciamento della Terra, deviando del Sole. Quando la losanga solare i fiumi per trasportare i flussi di eletaveva la diagonale, corrispondente ad tromagnetismo sotto le colline che, modellate a un tratto della linea dell’orizzonte, molto ampia forma di piramide, avevano la funzione di modue quindi risultava molto aperta, significava che larne i flussi rendendo coerenti le onde del caml’asse terrestre era molto inclinato e che il Sole in po magnetico terrestre. Essi recuperarono ed fase di solstizio rischiava di non rinascere, rimaapplicarono anche tale antica scienza in modo nendo fermo per tre giorni nella zona buia della egregio nella Grande Piramide egizia, se non si losanga, al di sotto dell’orizzonte. Tale esperienvuole fare risalire anche questa alle costruzioni za di buio totale vissuta nell’emisfero boreale, equilibranti di prima generazione, risalenti alla tramandata dagli egizi come “Sole fermo”, aveva fase post-glaciale Würm. però illuminato per altrettanti tre giorni l’emisfeLa Grande Piramide della Piana di Giza rapro australe, per il tempo corrispondente al giorno presenta il modello per eccellenza di tale antica finale del ciclo stagionale, al giorno del solstizio produzione di “macchine equilibranti”, con il suo e al terzo giorno di ripresa del ciclo stagionale, sistema interno verticale, composto dalla colonma con moto di rotazione inverso, con levata del
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La “Scienza Sacra” dei costruttori di megaliti (III) Sole nel punto del suo ultimo tramonto, poiché il fenomeno corrispondeva ad un’inversione del moto di rotazione della Terra. La forma perfetta della Grande Piramide, per essere “funzionante”, doveva perciò contenere il suo rovescio buio, costituendosi così come un “cristallo” a forma di ottaedro, composto dalla piramide quadrangolare sub-aerea visibile e dalla piramide opposta, uguale e invisibile, perché sotterranea. Tale forma risonante tridimensionale rendeva tridimensionale la “losanga” rappresentata nei simboli universali come bidimensionale, già a partire da quella dipinta dagli antichi progenitori africani 77.000 anni fa a Blomblos. La piramide buia aveva il compito d’incanalare le polarità nord del campo magnetico terrestre lungo la via sotterranea, facendo procedere la linea di campo del meridiano fondamentale verso il Polo Sud, e la piramide visibile aveva il compito opposto di incanalare le polarità sud verso la via aerea e aiutarle a proseguire la loro naturale via verso il Polo Nord, per mantenere attivo il sistema del dipolo terrestre. Baluardo dell’emisfero boreale, la Grande Piramide egizia, collocata nella Piana di Giza al 30° parallelo Nord, agiva in sincronia con i monumenti megalitici europei, che avevano la stessa funzione di intercettare le polarità sud, aeree, prima che potessero essere captate dal suolo per oscillazioni parossistiche della Terra e interferire con le polarità nord, sotterranee. Tale anomalia può avvenire quando l’asse raggiunge la sua massima inclinazione e, imprimendo alla Terra un’evidente fase di rallentamento, crea un “effetto trottola” mol-
Marisa Grande Dopo la sua carriera di insegnante di Disegno e Storia dell’Arte, continua nel campo artistico con un linguaggio originale, la Synergetic-Art, che trova la sua piena espressione nel “meta-realismo” della sua pittura e della sua poesia. Con il Manifesto del Movimento culturale “Synergetic-art 1990” (www.synergetic-art.com) ha avviato un’attività di studi e di ricerca pluri-disciplinare, condotta con approccio sistemico, per cogliere le interconnessioni esi-
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Marisa Grande to ampio, con oscillazioni a forma di analemmi, doppi dell’angolo d’inclinazione assiale. La Terra potrebbe correre il rischio d’inversione totale delle polarità magnetiche, di ribaltamento su sé stessa e d’inversione del moto di rotazione e di rivoluzione, nel momento in cui il suo asse dovesse raggiungere l’inclinazione massima di 33 gradi, che produrrebbero analemmi ampi 66 gradi. L’attenzione sulla distanza variabile all’orizzonte tra i solstizi, indice della tendenza alla variabilità dell’inclinazione dell’asse terrestre, si accentuò a seguito del diluvio biblico del V millennio a.C. In quella fase nella mitologia egizia tale estensione fu rappresentata dal “Sole alato” (anche simbolo mesopotamico dell’eroe Gilgamesh), ossia dall’ampiezza massima delle ali della “divinità uccello”, il dio Falco-Horus, subentrato in Egitto al deposto Osiride/Orione, divinità cosmica slittata nel cielo per il “salto” del meridiano fondamentale celeste, proprio nel V millennio a.C., in fase di passaggio di stagione precessionale, secondo la dinamica descritta nello Zodiaco rettangolare di Dendera. Proprio alle tre stelle della Cintura di Orione, ossia ancora al pre-diluviano “Uomo Cosmico HU”, venerato sin dal 10.000 a.C. nella Grotta dei Cervi di Badisco, e quindi in epoca precedente il V millennio a.C., si era fatto riferimento nel costruire le celle geodetiche megalitiche del versante adriatico salentino, orientando sulle tre stelle osservate all’orizzonte le tre specchie erette sulle alture oggi denominate: dall’Alto, dei Mori e Montevergine. stenti tra le varie branche del sapere e promuovere una rinnovata visione della conoscenza. Collabora con associazioni culturali e case editrici e scrive articoli per riviste di cultura. Tra le sue pubblicazione ricordiamo: L’orizzonte culturale del megalitismo (Besa, 2008) e...
Dai simboli universali alla scrittura Besa, 2010 Runa Bianca
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GIORGIO PATTERA
L’Erba dei Templari L’Hypericum perforatum
FOTO: HYPERICUM PERFORATUM
“L
a Natura è il miglior chimico e i prati sono la sua farmacia”. Questa definizione è il compendio di tutto ciò che stiamo per illustrare a proposito dell’Hypericum perforatum, meglio conosciuto nella tradizione popolare come erba di S.Giovanni e da non confondersi con altre essenze riunite sotto l’identica terminologia volgare, come l’Assenzio e la Verbena. L’ètimo ha un’origine incerta. Per alcuni studiosi deriva dal greco yper (= su, sopra) e oikos (= casa), forse per il fatto che quest’erba cresce spontaneamente a ridosso dei ruderi; altri invece, molto semplicisticamente, lo fanno risalire a yper (= su) ed erikin (érica), nel senso di “pianta che vegeta sopra le ériche”. Personalmente propendo per una terza interpretazione, che affianca al significato prettamente scientifico quello magico-religioso. Secondo i filologi, il termine sarebbe composto da yper (= sopra) ed eikim
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(= immagine), per l’antica usanza di appendere nelle case i rametti della pianta sopra le immagini sacre di Santi o Divinità ed allontanare così i dèmoni del male: per questo veniva anche chiamata “scacciadiavoli”. Per contro, secondo i botanici, il prefisso yper (= al di là, dell’immagine) si riferirebbe alla punteggiatura trasparente delle sue foglie, che consente di vedere “al di là” della pagina fogliare stessa, tanto da essere chiamata anche “millebuchi” o “erba forata”. Ciò confermerebbe l’apposizione latina “perforatum”: per riconoscerla infatti basta guardare le foglioline contro luce, notando così numerosi puntini, simili a minutissimi fori traslucidi, che in realtà altro non sono che fito-ghiandole, affondate nel lembo fogliare e contenenti resina e olî essenziali incolori, i più importanti principi attivi della pianta, di cui ci occuperemo più avanti. La conoscenza dell’lperico, sacro a Giove per gli antichi Romani, si perde nella notte dei tempi:
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L’Erba dei Templari Ippocrate (il padre della medicina), Dioscoride (il più rinomato medico dell’antica Grecia) e Plinio il Vecchio lo impiegarono per curare molte malattie, intuendone le proprietà terapeutiche veramente eccezionali che andremo ad elencare nella seconda parte della ricerca. Ma già Aristotele ne aveva fatto oggetto d’attenzione, considerandola “erba magica per eccellenza”, tanto da raccomandarne l’uso contro gli spiriti maligni e come protezione nei confronti di possibili incantesimi. Tradizione talmente radicata nella superstizione popolare, da rimanere intatta attraverso lo scorrere dei millenni. La ritroviamo infatti nel Medioevo: la notte della vigilia di S.Giovanni era consuetudine dormire con un mazzolino d’Iperico sotto il cuscino, nella convinzione che, così facendo, il Santo apparisse in sogno e proteggesse il dormiente dalla morte per un anno intero. Sempre nel corso dei “secoli bui”, l’Iperico (forse perché il suo profumo ricorda molto da vicino quello dell’incenso ?) era noto col nome di “fuga daemonorum”, serviva cioè a cacciare le presenze spiritiche e le influenze negative dagli ambienti e dalle coltivazioni. C’era una casa “infestata” ? Niente paura: si entrava, si allestiva un falò d’Iperico e i dèmoni, che secondo la credenza popolare non ne sopportano l’odore, se ne andavano di corsa. Rituali, questi, che oggi possono far sorridere, ma che fino a qualche decennio fa hanno resistito (ed in parte ancora resistono) nelle tradizioni contadine. La notte di S.Giovanni (24 giugno), che corrisponde al solstizio d’estate di celtica memoria, era costume nelle campagne bruciare l’Iperico, insieme con la ruta, la menta e l’artemisia, contro gli “incantesimi delle fate ed il malocchio”. Ancora: ai viandanti che si avventuravano per i sentieri nella notte più magica dell’anno, si consegnava un mazzolino di piantine (raccolte rigorosamente la notte di S.Giovanni, per ottenere il massimo potere esorcistico ed accuratamente conservate in una pezzuola rossa), affinché proteggesse il loro cammino.
L’Iperico e l’Ordine dei Templari Chi si occupa di medicina naturale sa che le virtù dell’Iperico sono conosciute da secoli. La fama di questa pianta procede di pari passo con la storia dei Templari, cavalieri misteriosi e leg-
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Giorgio Pattera gendari del Medioevo, conosciuti anche come i ”Cavalieri delle Crociate”. Fondato nel 1118 al termine della prima crociata da Hugo di Payns, l’Ordine dei Templari era originariamente costituito da 11 frati francesi che, armati di spada, ebbero il compito di difendere dagli infedeli i pellegrini che viaggiavano lungo le strade fra Jaffa e Gerusalemme. I Templari oltre che soldati erano grandi studiosi di arte, ingegneria (erano loro a custodire i progetti delle cattedrali gotiche, le cui arditissime arcate restano ancor oggi un mistero di tecnica architettonica) e medicina. Essi infatti avevano il difficile compito di curare i soldati feriti nelle crociate e, negli ospedali di Malta e Cipro, applicavano le loro notevoli conoscenze erboristiche soprattutto nelle ferite da guerra. E i Templari furono i primi a scoprire che l’Iperico, oltre alle ustioni e alle ferite da taglio, era utilissimo per migliorare l’umore di questi guerrieri, che erano costretti a rimanere immobilizzati a letto per mesi: per questo i Cavalieri delle Crociate conservavano grandi quantità della pianta, per il suo potere energizzante e “antimalinconia”. Le procedure delle applicazioni delle erbe non seguivano chiaramente alcuna metodologia scientifica: a quei tempi non si conoscevano ancora i principi attivi delle essenze vegetali, visto che la chimica era praticamente sconosciuta. I medici dell’epoca si affidavano alla teoria dei segni, studiavano cioè i segnali che la pianta mandava loro. L’Iperico, ad es., ha le foglie con i canali linfatici “fratturati” (cioè interrotti, spezzati): bene, per loro significava che la pianta era utile nelle fratture e nelle ferite subite in battaglia. Le esperienze dei templari approdarono poi alla scuola medica salernitana, che è rimasta fino al seicento la culla della fitoterapia.
Note scientifiche sull’iperico (Hypericum perforatum) Erba di San Giovanni, Famiglia delle Hypericaceae (Guttiferae) Pianta erbacea perenne, selvatica e praticamente ubiquitaria. Cresce facilmente anche su terreni sterili, sassosi e si ritrova comune tra la flora spontanea delle nostre campagne. Nel Colorado e in Australia viene considerata
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Giorgio Pattera addirittura un’erba infestante. Nella seconda metà del secolo scorso, in Inghilterra, si sono registrati casi di avvelenamento nel bestiame: se ingerito in grandi quantità, infatti, provoca fotofobia ed irritazione della pelle. Fiorisce in estate, più o meno all’epoca in cui si festeggia San Giovanni (24 giugno). Parti usate: foglie e sommità fiorite. Principali costituenti conosciuti (principî attivi). Tra i componenti dell’Iperico annoveriamo un olio essenziale e derivati fenolici, tra cui un pigmento rosso fotodinamico (ipericina) contenuto nei fiori. Questi sono di colore giallo-intenso e i petali sono ricoperti di puntini neri che, se sfregati, tingono le dita (appunto) di rosso. Da ciò, oltre che per l’epoca di fioritura e raccolta, sembra derivare il nome di “erba di San Giovanni”, in quanto il rosso ricorda il sangue versato dal Santo fatto decapitare da Salomè. Varie leggende concordano sul fatto che “Giovanni “ sia da identificare con il Battista e non con l’Apostolo: infatti i “puntini” neri sui petali e i “forellini” sulle foglie rappresenterebbero, i primi, il sangue versato da San Giovanni decapitato, i secondi le lacrime versate da chi assistette a quel crudele evento. La festa di San Giovanni del 24 giugno risale ad un rito pagano dei Germani, i quali usavano addobbare con l’Iperico fiorito i luoghi in cui erano soliti festeggiare il solstizio d’estate.
L’Iperico come medicina Spesso si ritiene che la medicina naturale costituisca, se non un placebo, un rimedio “all’acqua di rose” e senza effetti collaterali, dimenticando ad es. che il principale farmaco per le patologie cardiovascolari è ancor oggi la digitalina (estratta dalla Digitalis purpurea, comune nei nostri prati di montagna) e che su dieci prodotti che acquistiamo in farmacia, tre sono di deriva-
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L’Erba dei Templari
FOTO: HYPERICUM PERFORATUM E HYPERICUM MACULATUM
zione vegetale. Le spiccate proprietà terapeutiche dell’Iperico, che ha goduto d’una lunga tradizione nell’uso popolare, sono state confermate dalla scienza medica intorno al 1988 negli U.S.A. e se ne fa un gran parlare da quando alcuni psichiatri americani ne hanno dimostrato l’efficacia contro il più attuale dei mali: la depressione. Persino il prestigioso ed autorevole British Medical Journal se n’è occupato, attestando che i preparati alcolici od oleosi della pianta (l’ipericina è scarsamente solubile in acqua), assunti per almeno 2/3 mesi, esercitano azione benefico-rasserenante sull’umore e lo stato depressivo migliora nel 70% dei casi. I primi effetti si riscontrano già dopo 2/3 settimane e da studi recenti non sono
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L’Erba dei Templari emersi casi di tossicità da iperdosaggio: l’Iperico è sostanzialmente una pianta priva di tossicità e non provoca effetti secondari indesiderati (né disturbi, né assuefazione). L’unica precauzione da adottare, in caso di assunzione di alte dosi del principio attivo, è quella di evitare le prolungate esposizioni ad intensa radiazione solare, a causa dell’azione fotosensibilizzante sostenuta dall’ipericina, che determina eritema cutaneo. Ma l’Iperico non ha solo proprietà antidepressive, forse si farebbe prima a dire ciò che non ha: possiede anche azione antisettica, astringente, cicatrizzante, antibatterica, antiemorroidaria, antidiarroica, antiparassitaria; aumenta inoltre la risposta immunitaria e blocca la replicazione virale. Per quanto riguarda l’uso estensivo dell’Iperico nella medicina allopatica, si può dire che siamo soltanto agli inizi: le premesse tuttavia sono più che incoraggianti. Attualmente l’efficacia dell’Iperico viene testata per la cura dell’AIDS, di varie forme di neoplasie, dell’enuresi notturna nei bambini, di alcune malattie della pelle (come la psoriasi), dell’artrite reumatoide, della gastrite, delle ulcere peptiche e, non
Giorgio Pattera Nato il 20 maggio 1950 a Parma, dove ha lavorato per 16 anni presso i Laboratori d’Analisi dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria, come Tecnico d’Indagini Bio-Mediche; attualmente è distaccato in Direzione Sanitaria, ove ricopre la funzione di Capo-Tecnico Coordinatore. È laureato in Scienze Biologiche, iscritto all’Ordine Nazionale dei Biologi dal 1995 e, dal settembre 2004, all’Albo dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti di Bologna. Nel 1988 riceve dal Prefetto di Parma il Decreto Provinciale di Guardia Ecologica Giurata Volontaria e, nel 2000, ottiene il riconoscimento dell’Assessorato Regionale Ambiente dell’EmiliaRomagna, per la permanenza ultradecennale nel volontariato del servizio di vigilanza ecologica. Appassionato di esobiologia (ricerca e studio di possibili forme di vita extraterrestre), è iscritto dal 1980 al C.U.N. (Centro Ufologico Nazionale), di cui dirige la sede di Parma dal 1982; cura la
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Giorgio Pattera ultimo, del mal di testa da sbornia. L’Iperico infatti, come s’è detto, si solubilizza bene nell’alcool. Chissà, forse fra qualche tempo “l’erba dei Templari” sarà aggiunta alle bevande alcoliche, allo scopo di agire come “riduttore” dei postumi delle sbronze... Bibliografia: • P.M.North (M.I.Biol.) – Poisonous plants – The Pharmaceutical Society of Great Britain, London 1967 • D.Manta / D.Semolli – Le erbe nostre amiche – Ferni, Genève 1976 • I.Frattola – Piante medicinali italiane – Signorelli, Roma 1977 • M.I.Macisti – Miti e magie delle erbe – Newton & Compton, Roma 1993 • M.Flenghi – Libro de’ secreti diversi er miracolosi – Orsa Maggiore, S.Marino 1994 • R.Masci – L’erbario degli Dèi – M.I.R., Firenze 2000 • F.Alaimo – Le erbe delle stelle – Il Punto d’Incontro, Vicenza 2001 • C.Gervasutti / A.Sannita – Le Piante amiche del nostro benessere – U.T.E.T., Milano 2001 catalogazione informatizzata degli avvistamenti UFO (dal 1947 a oggi) su tutto il territorio provinciale, di cui è il Responsabile. Membro del Consiglio Direttivo del CUN, dal 1999 Direttore Tecnico del Comitato Scientifico, per le ricerche sul campo e le analisi di laboratorio. Fa parte della Commissione scientifica “CSA”, creata allo scopo di studiare il fenomeno “abduction” in ogni sua manifestazione. Affianca le Autorità (Carabinieri, Polizia Municipale) durante le indagini atte a smascherare la diffusione di “avvistamenti” falsi e di notizie atte a turbare l’ordine pubblico; presiede numerosi Convegni, Congressi e Conferenze, sia in ambito nazionale che internazionale.
UFO: vent’anni di indagini e ricerche PPS Editrice, 2011
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DANILO TACCHINO
Personaggi particolari per una Torino magica (I) Nella teoria come nei fatti
FOTO: PANORAMA NOTTURNO DI TORINO (FONTE: WIKIPEDIA/ TOREPHOTO)
È
lecito chiedersi se nel nostro tempo, nell’attualità del terzo millennio in nuce, vi sia ancora uno spirito vero e pratico, non legato soltanto a quel che si è sentito dire, al passaparola o alla storia del passato, dell’anedottica dei tempi andati, connessi al mistero di quel che non c’è più o che non si può provare, o almeno identificare. Per cercare di rispondere a questi dubbi, l’unica alternativa è quella di trovare dei personaggi esistenti o scomparsi da poco nel nostro secolo, o negli ultimi anni di quello precedente, che in qualche modo dimostrino o abbiano dimostrato di essersi occupati di fatti particolari, e di averli in qualche modo concretizzati e documentati, cercando di dare una spiegazione a questi fenomeni. Personaggi che, appunto, possono dirsi detentori della singolarità del territorio torinese. Molti casi particolari di uomini torinesi noti e meno noti, che sembrano possedere facoltà o
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conoscenze fuori dal comune sono stati descritti , catalogati, studiati e interpretati dagli esperti del settore. Personaggi torinesi del nostro tempo che, rifacendosi alle conoscenze del passato, hanno ricercato con gli strumenti prodigiosi della magia e dell’insolito, riuscendo forse, in qualche modo, ad essere accreditati senza ombre dalla comunità scientifica ufficiale, a dimostrare con le loro esperienze dei fenomeni che rientrano nell’ambito del mistero, del prodigioso e del parapsicologico. Gli attuali continuatori, nella cronaca del nostro tempo, di fenomeni particolari ed inspiegabili, al limite della razionalità, che rientrano nei canoni della magia e dell’insondabilità logica e materiale, sono gli individui che in qualche modo mantengono ancora vivo e vitale il canone magico che la città da sempre ha nel suo bagaglio di storia e di vita. Queste persone ritengono di avere in più, ri-
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Personaggi particolari per una Torino magica (I) spetto alla media degli altri loro simili, delle conoscenze esoteriche, volute o subite, che lasciano completamente aperto il campo al fenomeno dell’insondabilità del mistero umano sulla sua capacità di crescere e di acquisire nuovi poteri e nuovi sensi attraverso conoscenze psichiche e naturali. Non sappiamo se fa la differenza che siano nati o residenti a Torino, piuttosto che a Genova, Milano, Napoli o Sorrento. Si sa che il territorio torinese contiene più della metà degli operatori dell’occulto che operano in Piemonte, che è la quinta regione in Italia per numero di occultisti, ma questo non pregiudica che l’individualità del personaggio descritto non abbia quell’unicità riscontrabile soltanto nella sua propria originalità. Difficile è tentare di classificare i fenomeni e i prodigi di questi personaggi, che per molti versi e casi si sommano e si intersecano, ma ci abbiamo provato lo stesso, avendo identificato approssimativamente una decina di famiglie in cui classificarli, ovviamente con differenziazioni particolari anche all’interno della stessa famiglia, oltre che nell’intersecazione tra famiglie differenti, come già accennato. Troviamo quindi molti sensitivi, “quelli che sentono” e dicono di essere contattati da anime dell’aldilà, defunti, fantasmi e addirittura da entità superiori come gli angeli custodi. Questi personaggi utilizzerebbero elementi diversi per “catturare“ fenomeni particolari, vibrazioni che si trasmuterebbero in particolari fenomeni come la xenoglossia (coloro che parlano lingue sconosciute senza averle mai studiate), la scrittura automatica (coloro che scrivono sotto dettatura medianica), la diagnostica (coloro che riescono a diagnosticare un malattia soltanto guardando il soggetto malato), la radioestesia e la rabdomanzia (coloro che avvertono radiazioni emesse da sostanze nascoste nel sottosuolo come sorgenti e vene metallifere ). Troviamo poi dei medium, “quelli che” fanno da intermediari con l’aldilà; dei veggenti,“quelli che” vedono oltre la normalità delle cose apparenti; tutta una serie di guaritori, “quelli che“ dicono di riuscire a guarire o lenire le malattie con metodi alternativi alla medicina ufficiale, quali la pranoterapia e l’uso delle erbe. Andando avanti nella lista troviamo i demonologi, “quelli che” hanno contatti di studio e non di possessione
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Danilo Tacchino con spiriti demoniaci, moderni alchimisti, astrologi, particolari maestri cultori del corpo tramite arti orientali, e mezzi fachiri che si dilettano in pirobazia: camminano sui carboni ardenti senza bruciarsi e provare dolore. Abbiamo quindi identificato circa una ventina di personaggi intervistati negli anni ‘ 70 e ’80 dalla giornalista torinese Giuditta Dembech e dal ricercatore Gianni Toninelli, mentre un’altra quindicina venne intervistata all’inizio del terzo millenio dal giornalista torinese Enrico Bassignana.
I sensitivi Iniziamo con la numerosa famiglia di “quelli che sentono”. Paolo Oddenino Paris si dice abbia poteri eccezionali, in grado di leggere nella mente di chi lo avvicina. Che abbia la capacità di spostarsi attraverso il suo corpo astrale, da ogni parte del pianeta, e che sia in grado di guarire dalle nevrosi di ultimo stadio. Si racconta della sua capacità, a quattro anni, di captare telepaticamente i pensieri dei suoi famigliari, ed imparò a trasmettere dopo essersi limitato per lunghi anni solo a ricevere. Alla fine imparò ad effettuare esperimenti psichici sulla materia, cioè a effettuare operazioni che avvengono attraverso il passaggio dalla dimensione in cui ci troviamo come esseri uma-
FOTO: PAOLO ODDENINO PARIS (FONTE: OKFRANCHISING.IT)
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Danilo Tacchino ni, ad un’altra completamente diversa. Pratica la psicoterapia, ed è un guaritore della psiche. È un particolare miscuglio tra l’uomo di medicina e il mago, un poco psichiatra e un poco stregone. Utilizza l’ipnosi per curare disturbi di origine nervosa. Primo Bonello è un anziano rabdomante dagli occhi azzurri che abita a Trofarello, nella prima cintura Sud della provincia torinese. È un personaggio in grado di “sentire”, tramite le vibrazioni di una bacchetta di legno a forcella, la presenza di acqua o altri minerali e metalli nel sottosuolo. Ha scoperto da bambino questo suo potere, grazie all’insegnamento casuale avuto da un frate. Per questa sua eccezionale capacità è ricercato dai comuni per potenziare la rete idrica dei loro acquedotti, dai contadini per trovare vene acquifere in grado di rendere fertili i loro terreni, e dai grandi complessi industriali. Egli è in grado di dire, in anticipo, a quanti metri metri di profondità bisogna scavare per trovare la vena ricercata. Tempo addietro affermò che sotto la pianura padana esiste un’immensa quantità di petrolio in grado di rendere l’Italia autonoma dall’acquisto di greggio dai grandi Emirati Arabi. Piero Ronco, ottant’anni suonati, Chierese, sensitivo rabdomante con un passato da imprenditore tessile. Afferma di aver scoperto in cinquant’anni, con l’arte della Rabdomanzia, più di cento pozzi sorgivi, e da circa un lustro ha iniziato a studiare con sistematicità la geobiologia per comprendere al meglio le energie che scaturiscono dal sottosuolo. Vi sono punti energetici negativi e positivi che da sempre rendono la vita di un’area vivibile e armonica o stressante e pericolosa. Questo sensitivo racconta che gli antichi conoscevano i punti positivi su cui costruire, e noi oggi possiamo misurare e sentire tali punti nevralgici. Francesco Cinotti, classe 1937, ex rappresentante di commercio, insegnante di judo e karate, grazie a cui dice aver scoperto le sue doti di guaritore. Si fa chiamare maestro Franchino ed effettua guarigioni di ogni genere. Ha lo studio in via sette comuni, ed opera anche tramite reti televisive. Per i suoi interventi diagnostici utilizza una scheda goniometrica, che su di un semicerchio inquadra i principali organi del corpo e la tipologia del male identificato. Con il pendolino quantifica l’intensità della malattia riscontrata e
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Personaggi particolari per una Torino magica (I) verifica l’efficacia di un’eventuale cura in corso. Vincenzo Canino, nato nel 1927, conosce sei lingue ed è in pensione. Abita a Castelnuovo Don Bosco. Ha assistito a molte apparizioni, tra cui quella che dice essere stata dell’Arcangelo Michele, che gli diede le informazioni necessarie per costruire il talismano dei cinque metalli composto da rame, argento, zinco, stagno e piombo in diverse percentuali differenti tra loro. Vi sono incisi la spada, il bastone del comando, i simboli dei quattro elementi e i primi cinque numeri dispari che riconducono alla formula magica maggiore della Qabbalah. Vi sono raffigurati una stella a cinque punte e quattro lettere greche, dalla cui unione si ricavano gli otto nomi santi di Dio (Rota, Otar, Taro, Ator, Rato, Arot, Tora, Orat). Dice di essere stato oltre la morte, e nel 1998 costruì nella vicina frazione Bardella di Castelnuovo una piramide in tutto simile a quella egiziana di Cheope, nella quale portava i pazienti per scopi terapeutici. Sin dal 1970 si interessa di pranoterapia e medicine naturali, e cura con la prano o direttamente con il pensiero, nelle ore notturne, concentrandosi sulla fotografia della persona ammalata. È anche scopritore di un olio naturale portentoso a base di olive ed erbe macerate quali l’iperico, il tarassaco, la ruta, la canfora, l’aloe, la mirra e la glicerina vegetale. È utile per tutti i mali e sono necessari tre anni di macerazione perché sia pronto ed efficace. È utilizzabile per uso esterno. Ileana Solinas è una giovane donna che ricercata per le sue doti nel parlare e vedere alcuni tipi di angeli. Il contatto avviene tramite la scrittura automatica; lei scrive ciò che le dettano le entità angeliche che dice di vedere. Avverte tre tipologie di presenze: l’angelo custode della persona che a lei si rivolge, che mai si è incarnato sulla terra, oppure un parente defunto, o lo spirito guida della persona che le chiede aiuto. La donna ha una calligrafia molto larga ed a volte di difficile comprensibilità. Dice che questi angeli le appaiono come entità di luce con diverse gerarchie, e molte cose che le hanno predetto si sono poi avverate. Li riconosce dal tenore dei loro messaggi e per l’uso di parole che la sensitiva afferma non appartenere al suo usuale linguaggio. Laura Paradiso, signora di mezz’età, dice di aver acquisito la capacità di “sentire” dopo la morte del figlio, e di poter registrare la voce dei
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Personaggi particolari per una Torino magica (I) defunti. È specializzata nella tecnica della metafonia: fa scorrere una penna biro sulla superficie della custodia di un’audiocassetta, registrando il suono che produce; riascoltando il suono registrato, ella sente le voci dei defunti. Afferma che ogni messaggio identifica il nome del defunto, che si fa riconoscere in modo ineccepibile. Alberto Fenoglio, sensitivo salito all’auge della cronaca nei primi anni ’60, era in grado di mummificare pesci, di far germogliare in poco tempo fiori e piante, di compiere viaggi astrali al di fuori del proprio corpo. Giorgio Pontiglio, funzionario di banca in pensione dal 1973, affermò di veder apparire sui muri della sua abitazione delle immagini di persone defunte che gli manifestavano la volontà di volere mettersi in contatto con i loro famigliari. Questa sua facoltà fu evidenziata dai mass-media e gli furono dedicati parecchi studi ed inchieste. Alcuni personaggi preferiscono comparire soltanto con il proprio nome di battesimo, e noi ottemperiamo a questa volontà. Alberto e Mavi sono una coppia particolare di sensitivi ritenuta fuori dal tempo, con una dimensione di vita spirituale più ampia di quella comunemente vissuta. Vivono, con la massima semplicità, un’intensa vita colma di soddisfazioni interiori. Alberto incontra e vede persone defunte che gli parlano, chiedono o offrono aiuto. Si interessa di metabiologia e insieme alla moglie riesce a sentire le radiazioni lasciate in un luogo da persone non più in vita. Su questi fenomeni raccontano molti aneddoti particolari a loro capitati, come l’incontro con un antico guerriero medievale al castello di Avigliana o la visione avuta nei pressi di Superga riguardante un omicidio a scopo di furto avvenuto verso la fine del 1800. Asseriscono che molte entità frequentano la loro modesta dimora. Un altro campo di attività della coppia è la capacità di guarire con la pranoterapia (con l’energia delle mani). Sanno percepire e incanalare l’aura, quell’energia che circonda, come un alone, il corpo umano. Riescono anche a curare a distanza, concentrandosi su una fotografia del paziente. Le energie dei due coniugi sono diverse, anche se complementari. Alberto ha la facoltà di mummificare i corpi non più viventi, disidratandone la struttura, mentre la moglie riesce a emanare dalle mani un’energia
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FOTO: LAURA PARADISO (FONTE: VIAGGIONELMISTERO.COM)
che trasfonde nuove energie vitali al soggetto in cura. Inoltre Mavi legge le carte e la sfera, compenetrando le sue capacità di sensitiva e guaritrice con quelle di veggente e di medium. Laura è una dottoressa, non più giovanissima, che lavora nel laboratorio di analisi di una casa di cura torinese. Si occupa di radioestesia, ed infatti spesso non ha bisogno dei mezzi clinici tradizionali per esprimere una diagnosi, che puntualmente azzecca. A tal fine utilizza spesso il pendolino. Berto è un odontotecnico un poco timido ed un po’ melanconico, con la capacità di sentire presenze antiche ed energie che fanno parte del luogo utilizzando la scrittura automatica. È ritenuto un archeologo ed uno storiografo ed ha come elementi di studio le energie stesse degli attori che hanno vissuto il passato e la storia. Uno dei suoi aneddoti più interessanti è l’amicizia con “Almina”, ancella del medioevo presso il castello della Volta, nelle langhe tra i paesi di Barolo e La Morra. Tarquinio (si presenta con uno pseudonimo), scrittore moncalierese cinquantenne, all’età di vent’anni acquista poteri legati alla scrittura automatica, e grazie a questa da circa una decina d’anni dice di parlare lingue strane, a lui sconosciute, probabilmente antiche. Il tutto sarebbe iniziato attorno agli anni ‘80, quando utilizzò la scrittura automatica per acquisire contatti con presunte entità di antichi guerrieri cartaginesi, che si sarebbero presentati come probabili soldati dell’esercito di Annibale, per riuscire a defi-
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nire la via utilizzata dal granmaglie dei parenti malati, che de condottiero per scendere Mariuccia “toccava” imponenin Italia. Questo fenomeno, do le mani. Per molti volveresi identificato come xenoglosl’attività di Mariuccia era disia, sarebbe la capacità che ventata un piccolo affare: chi alcuni sensitivi hanno di parapriva locande per alloggiare lare e scrivere in un linguagi visitatori, chi avvolgeva uno gio interamente sconosciuto spago alle panche d’attesa nel al soggetto in questione, socortile della cascina della sanlitamente acquisito per vie ta, per occupare un posto in paranormali, quali appunto cambio di qualche centinaio di contatti con spiriti ed entità. vecchie lire. Muore a 75 anni, Selene, donna molto belverso la fine del 1993, nella sua la e avvenente, con una carabitazione in via XXIV maggio riera di insegnante di mate39 a Volvera. rie letterarie, da bambina ha Madame Mizar è un singoiniziato la sua esperienza di lare personaggio reso popolasensitiva attraverso l’utilizzo re da una celebre giornalista della planchette; essa è una alla fine degli anni ’70. Definita cornice a giorno ricoperta da astrochirologa, medium, chiaun vetro in cui è racchiuso roveggente, dice di amare la un foglio con sopra disegnati gente e di prodigarsi senza ridue anelli concentrici, in uno sparmio per risolvere i probledei quali sono scritte delle mi che le vengono sottoposti, FOTO: MARIUCCIA SOPEGNO, lettere e nell’altro numeri e soffrendoli in prima persona LA SANTA DI VOLVERA simbolismi vari. La bella seninsieme all’aiutato. Si dice absitiva utilizza una conchiglia deposta sul vetro, bia nei suoi clienti più riservati personaggi del appoggiandoci sopra un dito, poi inizia a parlare teatro, dello spettacolo in genere, politici e giored il dito comincia a scorrere sul foglio. I concetti nalisti di grosso calibro. Nelle sue sedute, alimene i termini che non appaiono immediatamente ta la sua energia bruciando tutto il suo potenziale nel discorso vengono integrati proprio dall’utimagico sino alla risoluzione di ogni caso a lei sotlizzo dei segni sul foglio. toposto, pagandone duramente le conseguenze Ora è il turno di quelle persone che hanno se necessario. Offre l’impressione di donna fracome poteri più forti e particolari la medianità e gile e delicata, ma la sua volontà di aiutare i bila veggenza. sognosi sembra sia caparbia e indistruttibile. La sua vita privata non è delle più eclatanti, sin dalla fanciullezza, trascorsa senza l’appoggio dei geMedium e veggenti nitori, e nell’adolescenza durante cui divampava il secondo conflitto mondiale, fino ad un matriMariuccia Sopegno, veggente di grande monio celebrato in India con un rito magico, che popolarità, detta anche la Santa di Volvera, dal però finì male, ed ad un tentativo di suicidio per nome del paese dove viveva, nei pressi di Pinefuggire la solitudine e la disperazione. Viene conrolo. Divenuta oggetto di interesse della stampa siderata una specialista nell’annullare le fatture agli inizi degli anni ‘50, dopo che si disse abbia più terribili, quelle che come conseguenza finale visto la Madonna nella stalla della cascinotta di portano alla morte. famiglia alla fine degli Anni ‘30. Aveva iniziato Francesco Varetto, denominato il Mago a guarire i suoi compaesani, e poco per volta la Franko, si ritiene un veggente metropolitano. sua fama si è diffusa in modo tale che a Volvera Ha lo studio in via Frejus, ed è laureato in Filosono iniziati ad arrivare i primi pullman da varie sofia. Non crede nel Dio delle religioni istituzioregioni italiane. I pellegrini portavano anche le nalizzate, bensì in una grande massa energetica
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Personaggi particolari per una Torino magica (I)
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che contiene tutto l’universo, e anche ad attirare l’attenzione di cui ogni essere umano ne fa di uomini di scienza come parte. Sensitivo da generazioni, Cesare Lombroso. Molte perracconta che una sua zia alla viplessità però furono espresse gilia delle nozze, vide sua nonda parte di valenti fotografi na, morta già da alcuni anni, su alcune documentazioni venire a trovarla per porgergli fotografiche relative a dei le sue felicitazioni con un mazsuoi esperimenti. zo di fiori. Lui stesso racconta Libia Martinengo, al sedi avere avuto, nel dormivecolo Anna Bertelli, nasce a glia, la visita di parenti defunti Savona nel 1912. Viene adotda parte del padre che lo pretata, all’età di due anni, dalla gavano di andare a prendere Contessa Martinengo, a caudall’ospedale uno zio che vi era sa della prematura morte delveramente ricoverato. Il giorno la madre. Persona dallo spiridopo venne a sapere che, alla to interiore molto sensibile e stessa ora del sogno, quel suo introverso, anche per via di parente era mancato. Dal tavouna grave forma di poliomelo del suo studio emerge una lite che la colpì da bambina, FOTO: EUSAPIA PALLADINO mano bianca di ceramica su cui sviluppa doti di sensitiva che sono illustrate le linee significative per l’arte delrivela poi in alcuni suoi testi, vere e proprie opere la chiromanzia, detta anche lettura della mano. letterarie subliminali. A Torino Libia stabilisce un Non mancano poi pendolini di ogni sorta, forprofondo rapporto con un’entità definita “il Mama ed uso. Racconta che, facendo scorrere i suoi estro”, che nel corso degli anni le avrebbe dettapendolini su una cartina del territorio, una volta to molti dei suoi libri e molti suoi insegnamenti riuscì a trovare un gatto smarrito ed un paio di trasmessi alle persone che Libia via via incontraautomobili rubate a Moncalieri. Legge con doviva nel corso delle sue esperienze e conferenze, zia di particolari la sfera di cristallo e i Tarocchi, proseguite per quasi cinquant’anni. Fonda alla usando un vecchio mazzo consunto di cui non si fine degli anni ’40 l’Associazione Idea Spiritualipriverebbe mai, perché avrebbe acquisito negli sta, nata per sviluppare e diffondere i messaggi anni una particolare energia magnetica e magidettatigli dal “Maestro”, con l’intento di realizzare ca. un sistematico e razionale studio delle intuizioEusapia Palladino, celebre medium ottocenni umane e delle rivelazioni divine. Muore il 18 tesca del pionierismo spiritualista torinese, riuscì maggio del 2000.
Danilo Tacchino Nato a Genova nel 1958, vive a Moncalieri, provincia di Torino. Sociologo, scrittore e poeta. Conferenziere e promotore di convegni. Laureato in Lettere Moderne con indirizzo sociologico - industriale, diplomato in Elettronica, opera nei settori dell’organizzazione aziendale e dell’innovazione industriale, in special modo attraverso le tecniche della terza generazione quali l’Informatica, l’Elettronica, la cultura della Qualita’. È stato docente di Sociolo-
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gia Industriale all’Università Popolare di Torino. Il suo sito personale: www.dantak.com. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: La Stele. I Celti, le Alpi, Annibale (Il Punto, 2006), Torino , storia e misteri di una provincia magica (Edizioni Mediterranee, 2007) e...
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Ipazia di Alessandria Antica luce femminile di sapienza
FOTO: RICOSTRUZIONE IMMAGINARIA DI UNA SALA DELLA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA
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pazia è sconosciuta ai più… seppur presente nelle opere di Pierre de Fermat, Chateaubriand, Voltaire, Proust, Toland, Fielding, Diderot, Gibbon, Wieland, Péguy, Leopardi, Monti, Pascal, Luzi, Calvino ed innumerevoli altri. Chi deteneva il potere fece di tutto per far sparire le sue tracce, il suo pensiero. Ma Ipazia fu una donna di tale levatura morale e culturale, che questo progetto è fallito, e le sue orme sono rimaste impresse nella polvere dei secoli. Ipazia (370-415 d.C.) fu l’erede della Scuola alessandrina: fu filosofa, matematica, astronoma, antesignana della scienza sperimentale. Era la figlia del matematico Teone, che operava nella biblioteca di Alessandria d’Egitto (la biblioteca “figlia”), dove erano custoditi oltre 700.000 volumi: in quella biblioteca c’era il sapere dell’umanità, libri di astronomia, anatomia, filosofia, botanica, matematica… ogni campo dello scibile umano, proveniente da tutto il mondo,
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tradotto nella lingua dei colti: il greco. La biblioteca “madre” (annessa al Mouseîon, l’antico Centro Studi, prospiciente il porto) era stata involontariamente bruciata da Giulio Cesare tre secoli prima, mentre conquistava la città. E allora gli antichi pensarono di spostarne la sede nell’unico luogo sicuro, nel Serapeo, il principale tempio pagano di Alessandria. E così la biblioteca “figlia” divenne la prima biblioteca dell’umanità, il cui accesso era consentito anche al popolo… e non solo agli studiosi. Sopra la biblioteca, nel tempio vero e proprio, davanti alla statua del dio Serapide, c’era una colonna di marmo su cui svettava il simbolo dell’accordo fra la Ragione e la Religione, fra la Scienza e gli dei pagani: un mesolabio (uno dei primi strumenti di calcolo nella storia dell’umanità, simile al regolo calcolatore in uso fino a pochi decenni fa). I sacerdoti che ufficiavano nel tempio si facevano chiamare sacerdoti-filosofi: una volta
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Ipazia di Alessandria
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terminati i loro riti in onore del dio, scendevano re: l’ascesa al potere della Chiesa Cattolica e lo nella biblioteca e si univano agli studiosi, per ap“scellerato patto di sangue” stipulato con l’impeprofondire la conoscenza della matematica, delro romano agonizzante. Un editto dopo l’altro, la filosofia, dell’astronomia. gli imperatori romani misero fine alla libertà di Era l’anno 391. Nella biblioteca operavano il pensiero tipica del mondo ellenistico. Aristarco matematico Teone e la figlia Ipazia, un bellissima di Samo, secoli prima, aveva ipotizzato per priragazza di 21 anni, a detta del padre dotata di mo che fosse la Terra a girare attorno al Sole: la grandi capacità intellettuali e che un giorno lo sua teoria non ottenne il favore della scuola alesavrebbe superato. sandrina, ma non per questo fu messo al bando Da sette secoli Alessandria d’Egitto era il faro o venne bruciato vivo. Con gli editti di Teodosio della scienza e del sapere del mondo intero. Nella il Grande (imposti dal vescovo Ambrogio di Mibiblioteca di Alessandria era contenuto il sapere lano), oltre alla soppressione del paganesimo, universale: vi si confutavano dogmi e ed assoluti, dei Misteri Eleusini, delle Olimpiadi ebbe inizio in una ricerca dura ed emozionante attraverso la la cancellazione delle biblioteche, della scienza relatività delle osservazioni, del ragionamento, e degli scienziati, l’annullamento del libero pendi uno studio continuo e scevro dai condizionasiero, della ricerca scientifica (nei concili di Cartamenti del potere. Ipazia e la sua scuola si eressegine fu proibito a tutti, vescovi compresi, di sturo ad ultimo baluardo che la Ragione opponeva diare Aristotele, Euclide, Tolomeo, Pitagora etc.). all’avanzata della Religione. La libertà di pensiero Vennero bruciate le biblioteche di Atene, Pella, è quello per cui ha combattuto e dato la vita IpaPergamo, Antiochia, Efeso. zia, la cui morale, la cui etica era costruita giorno In poche decine di anni il piano scellerato per giorno nel massimo rispetto dell’uomo. venne quasi interamente realizzato. Ma AmbroLa più importante comunità scientifica delgio, Giovanni Crisostomo, Agostino e Cirillo – i la storia aveva operato là, nel Mouseîon prima e nella biblioteca “figlia” dopo: lì avevano studiato Archimede, Aristarco di Samo, Eratostene, Ipparco, Euclide, Tolomeo, Erone, Ctesibio, Maria l’Ebrea (colei che per prima pose le fondamenta della chimica moderna) e tutti i geni che hanno gettato le basi del sapere scientifico universale. Nei suoi settecento anni la Scuola alessandrina aveva raggiunto vette talmente elevate nel campo scientifico, che sarebbe bastato non darla alle fiamme e lasciar vivi e liberi di studiare Ipazia e i suoi allievi… per acquisire 1200 anni in più di progresso. Ma su Ipazia (e sull’intera umanità) si abbatté FOTO: ANTICA PERGAMENA CHE RITRAE LA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA D’EGITTO IN CUI la più grossa delle sventuSTUDIAVA IPAZIA
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giganti del nascente impero della Chiesa (che sarebbero poi stati elevati al rango di padri fondatori nonché al regno dei santi), a intralciare la loro strada trovarono una ragazza di una rettitudine incrollabile: la nostra Ipazia. In quel 391 d.C. vescovo e patriarca di Alessandria era lo zio di Cirillo, Teofilo: erano stati appena promulgati gli editti dall’imperatore Teodosio che mettevano fuorilegge il paganesimo. Teofilo sobillò la folla cristiana e, con l’appoggio delle guardie dell’imperatore romano, guidò l’assalto al tempio di Serapide bruciando tutto, assieme ai suoi fedeli monaci: tempio, biblioteca, il sapere dell’umanità… Con un colpo di piccone fece a pezzi la statua del dio e il mesolabio, simbolo della tolleranza fra la Ragione e la Religione. Ebbe inizio la caccia agli ebrei, ai novaziani, ai pagani: i loro templi, le loro case, i loro riti, la loro cultura cominciarono ad essere bruciati, cancellati. Il nemico numero uno continuava ad essere il libro, il Sapere, la Conoscenza. Ipazia continuò a studiare, ad insegnare. Assieme ai suoi allievi proseguiva nell’indagine filosofica, nel neoplatonismo, nelle scienze, nella matematica, nell’astronomia. E, alla fine della giornata, si gettava sulle spalle il tribon, il mantello nero dei filosofi, usciva per le strade di Alessandria e- con ingegno oratorio e straordinaria
saggezza- insegnava alla gente umile un po’ di matematica e d’astronomia, ma soprattutto l’uso della Ragione. Ipazia era pagana ma non apparteneva a nessun dio, perché per lei qualunque religione, qualunque dogma era un freno alla libera ricerca, e poteva rappresentare una gabbia che non permetteva d’indagare liberamente sulle origini della vita e sul destino dell’uomo. La sera, quando tornava a casa, esausta dopo una durissima giornata di studio e d’insegnamento, si metteva a costruire strumenti scientifici per “trasferire la teoria nella materia”. E fu così che realizzò l’idroscopio, l’aerometro e- soprattutto- l’astrolabio (lo strumento che precedette il sestante), sfruttando un rozzo progetto di Ipparco. Grazie alla sua rettitudine, a lei si rivolgevano anche politici, magistrati, prefetti imperiali, per avere un parere. Era “pronta e dialettica nei discorsi, accorta e politica nelle azioni”, e questa sua natura- oltre che procurarle tanto credito presso il popolo- glielo procurò anche presso i capi di Alessandria i quali, “ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei”. Era stimata e apprezzata dal prefetto imperiale Oreste, il quale provò a difenderla, riuscendo a ottenere persino delle sovvenzioni da parte
FOTO: RICOSTRUZIONE IMMAGINARIA DELLA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA
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Ipazia di Alessandria dell’Imperatore d’Oriente (da cui dipendeva Alessandria) per la sua scuola. Ma le mire espansionistiche del vescovo e patriarca Cirillo videro in quest’evento l’ultimo pericolo. Il vescovo si avvaleva di un corpo di guardia di eccezionale ferocia: i monaci parabolani erano capitanati da Pietro il Lettore, suo amico e compagno di studi nel monastero della montagna della Nitria per 5 lunghi anni. Cirillo cominciò a predicare nella cattedrale cattolica di Alessandria, il Cesareo (l’antico tempio pagano), additando alla folla cristiana quella donna devota in ogni circostanza alla magia, agli astrolabi e alla musica, tuonando contro Ipazia perché aveva stregato molti ingenui con le sue arti sataniche, compreso il prefetto augustale Oreste. E i fedeli cristiani echeggiarono, urlando che bisognava uccidere la pagana che aveva stregato le folle e lo stesso governatore con i suoi incantesimi. Cinquecento monaci parabolani diedero la caccia a Ipazia, la trascinarono nella cattedrale,
Adriano Petta la denudarono e la immobilizzarono sull’altare di marmo bianco, poi si scagliarono su di lei, facendola a pezzi con dei gusci taglienti, la smembrarono viva, e infine Pietro il Lettore, mentre in Ipazia ancora il cuore palpitava, le cavò gli occhi con le mani. Poi trascinarono per le vie di Alessandria i poveri resti smembrati, fino al Cinerone, dove si bruciava la spazzatura, e li incenerirono, al grido della definizione di come Agostino considerava la donna: “Immondizia!”. Questo delitto segnò la fine del paganesimo, il tramonto della scienza e della dignità stessa della donna, e la fine della più importante comunità scientifica dell’umanità. Da quel giorno sono trascorsi 1600 anni. La cricca spietata e feroce, che ha calpestato il puro messaggio d’amore di Cristo, ha fatto di tutto per cancellare il ricordo della martire pagana, creando addirittura il mito che- invece della pagana Ipazia dedita alla magia- fosse esistita una santa cattolica e cristiana, protettrice della filosofia…
FOTO: FOTOGRAMA DAL FILM AGORA DIRETTO DA ALEJANDRO AMENÁBAR, CON IPAZIA INTERPRETATA DA RACHEL WEISZ
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Adriano Petta Santa Caterina di Alessandria. I libri di Ipazia e di tutta la Scuola alessandrina furono bruciati (con la sola eccezione del suo commento alla Syntaxis). A parte Ierocle (di cui sono rimaste solo due modeste opere di filosofia neoplatonica) e il poeta Pallada che con i suoi versi cantò l’irreprensibilità dei costumi, l’alto sentire, l’accuratezza e il savio giudicare della filosofa alessandrina, tutti i discepoli della scienziata scomparvero e di loro, del loro pensiero, delle loro opere nulla è rimasto. Alcuni riuscirono ad emigrare in India (tra cui Paulisa, autore dell’opera astronomica Paulisa siddhānta), importandovi le ultime scoperte di trigonometria e astronomia. Ci è pervenuta, però, una parte dell’opera dell’allievo prediletto di Ipazia: Sinesio di Cirene, vescovo di Tolemaide. Dalle sue lettere indirizzate alla maestra- fra le testimonianze più autorevoli- si apprende che Ipazia è stata la madre della scienza moderna in quanto, all’analisi teorica dei problemi di fisica e di astronomia, faceva seguire la sperimentazione pratica (il grande matematico del ‘600 Pierre de Fermat, studiando l’idroscopio realizzato dalla scienziata alessandrina, rese omaggio “alla grande Ipazia, che fu la meraviglia del suo secolo”). Mentre la sua maestra era ancora in vita, Sinesio scriveva: “L’Egitto tien desti i semi di sapienza ricevuti da Ipazia”. Le testimonianze antiche su Ipazia sono offerte, principalmente, da quattro storici: Socrate Scolastico (Storia Ecclesiastica), Filostorgio (Storia Ecclesiastica), Sozomeno (Storia della Chiesa)- tutti contemporanei di Ipazia- e Damascio (ultimo direttore dell’Accademia platonica di Atene, che scrisse di lei 50 anni dopo il suo massacro). Fra le opere di matematica e astronomia che compose
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Ipazia di Alessandria
FOTO: RITRATTO IMMAGINARIO DI IPAZIA
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Ipazia di Alessandria Ipazia, le più importanti furono il Commentario alla Aritmetica di Diofanto, Commentario alle sezioni coniche d’Apollonio Pergeo, Commentario al Canone astronomico. Il nome di Ipazia ha attraversato i secoli raggiungendo le nostre vite con un impeto giovanile, un sorriso, un incutere fiducia nelle qualità dell’uomo, come se fosse viva in mezzo a noi, donna dei nostri giorni e grande scienziata. Ma forse è veramente viva, forse non è solo un ricordo che abbraccia le nostre anime: forse è viva nelle speranze che muovono l’umanità, nella ricerca di una vita senza violenze, nel libero sviluppo di tutti i campi del sapere e nella condivisione delle conoscenze, è come se fosse viva anche fisicamente… nube fremente di atomi che partecipa dei nostri corpi e trasmette un impulso di vita. Dopo l’incendio della biblioteca “figlia”, il prefetto augustale Evagrio aveva proposto a Ipazia di convertirsi al cristianesimo, in cambio di maggiori sovvenzioni per la sua scuola. Sottomettere la scienza voleva dire poter sottomettere l’uomo. Ipazia aveva rifiutato dicendo: “Se mi faccio comprare, non sono più libera. E non potrò più studiare. È così che funziona una mente libera: anch’essa ha le sue regole.” Per Ipazia, liberare la scienza voleva dire liberare l’uomo. Le donne che tentarono di studiare e d’inserirsi nel mondo della filosofia e della scienza dovettero combattere su due fronti: il primo risaliva ai tempi di Platone, che le considerava esseri inferiori per natura (mentre Aristotele sosteneva che la donna era uno scarto della natura), il secondo fu il ruolo secondario assegnatole proprio dai padri fondatori della Chiesa (Sant’Agostino e San Giovanni Crisostomo, che affermò che la donna porta il marchio di Eva e che Dio non le ha
Adriano Petta Studioso di storia della scienza e storia medievale. I suoi romanzi Eresia pura (Stampa Alternativa 2001, La Lepre 2012), Assiotea (Stampa Alternativa 2009) e Ipazia, vita e sogni di una scienziata del IV secolo (La lepre 2009) sono dedicati a figure storiche che si sono battute
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Adriano Petta concesso il diritto di ricoprire cariche politiche, religiose o intellettuali). Se Ipazia fosse stata uomo, l’avrebbero solamente uccisa. Essendo donna, dovevano farla a pezzi, nella cattedrale cristiana, per rendere quel massacro simbolo d’un sacrificio. Per escludere, nel cammino dei secoli a venire, metà del genere umano. Ipazia ci ha insegnato che la via della ragionela via dell’esperienza personale non mediata da altri, la ricerca continua della verità sulla nostra vita, verità che racchiude il nostro corpo, la mente, l’universo, l’intelligibile, come direbbero gli antichi filosofi, la metafisica, che vuol dire il raggiungimento d’un principio supremo non creatore, ma che è, e che si evolve insieme a noi- è la via a cui ha diritto ogni essere umano. Il 2009 è stato l’anno mondiale dell’astronomia: avremmo dovuto dedicarlo a Ipazia, parlando di lei, sognando il sorriso di quella creatura che il poeta Pallada definiva astro incontaminato della sapiente cultura. Quando composi l’ultimo capitolo del romanzo storico Ipazia, vita e sogni di una scienziata del IV secolo, il cammino era lastricato di gorghi d’infernale incandescenza; mentre scrivevo, piangevo, perché io ero l’allievo perdutamente innamorato della sua maestra, rifiutato perché lei non aveva tempo per dedicarsi all’amore, disperato perché non ero riuscito a proteggere l’ultima voce libera, l’ultima luce femminile di sapienza dell’ellenismo. Fui capace solo di affidare la storia a un papiro… mentre la nuvolaglia che si levava dal Cinerone si dirigeva verso il Faro, attraversando la caligine sospesa sul porto preistorico, poi si apriva, diventava luminosa, cominciava a volteggiare verso il mare aperto, verso gli oceani lontani, verso la purezza dei cieli alti della nostra Ipazia.
per la libertà di pensiero ed approfondiscono la tematica del conflitto tra ragione e religione.
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MARIA BENEDETTA ERRIGO
L’enigma delle due Gioconde Le colonne mancanti
FOTO: DA SINISTRA LA GIOCONDA DI LEONARDO DA VINCI AL LOUVRE; DISEGNO CON DAMA DI RAFFAELLO AL LOUVRE; DISEGNO IN PICCOLO COMPLETO E PARTE A COLORI DELLA MONA LISA A ISLEWORTH (FONTE: WIKIPEDIA)
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ioconda e Monna Lisa: due nome per indicare la stessa bellezza, lo stesso quadro, uno dei simboli del talento di Leonardo da Vinci. Gioconda e Monna Lisa. Ma la Gioconda è davvero Monna Lisa? Alcuni indizi farebbero pensare all’esistenza di due donne, di due persone raffigurate in due quadri differenti, uno al Louvre e uno in Svizzera. Certo, qualcuno storcerà la bocca, qualcuno dirà che non è possibile, ma prendete tutto questo solo come un qualcosa che vi voglio raccontare cominciando dalla Firenze del 1500. Leonardo da Vinci, artista rinomato, viene convocato da Francesco del Giocondo che gli commissiona il ritratto della giovane moglie Lisa. Leonardo rimane molto colpito dalla bellezza della giovane, quasi ossessionato, e per oltre quattro anni cerca di riproporre su tela la bellezza e la perfezione del viso di Lisa. Ma alla fine
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capisce che per lui è impossibile riportare quel viso su tela e lo consegna incompleto al marito, come dice anche il Vasari nella sua “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani,da Cimabue insino a’ tempi nostri”: “Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableò”. Incompiuto? Ma come? Il dipinto al Louvre è completo, non si tratta certo di un dipinto lasciato incompiuto. Ancora, il Vasari descrive nel suo trattato alcuni tratti dell’opera di Leonardo che però stridono con quello che noi vediamo ora nel museo parigino: egli parla infatti della bellezza delle sopracciglia di Lisa, finemente pennellate da Leonardo. Ma basta dare un’occhiata al quadro del Louvre per vedere che la donna nel quadro non ha sopracciglia. Inoltre per Vasari le
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L’enigma delle due Gioconde fossette sulle guance della giovane erano qualcosa di non descrivibile per la perfezione raggiunta. E anche qui basta fare un confronto con la Gioconda del Louvre per vedere che le guance sono lisce, non compare nessuna imperfezione sul quel viso. E poi ancora: Leonardo si portò il quadro in Francia via con sé nel 1516: perché non lo lasciò al ricco Francesco del Giocondo, che certamente poteva permettersi di tenere un quadro commissionato a Leonardo? Poi alcuni storici su basano anche su fatto che nel 1584 lo storico dell’arte Giovanni Paolo Lomazzo, in un suo scritto, parlava dei lavori di Leonardo e in particolare, quando arrivò alla descrizione dei dipinti, scrisse chiaramente “La Monna Lisa e la Gioconda”. Insomma, due quadri e due donne o forse sempre la stessa? In ogni caso almeno una cosa è sicura: una, quella che Leonardo si portò sempre con sé, è al Louvre. Ma l’altra? Colin e Damon Wilson, nel loro libro “Il grande libro dei misteri irrisolti”, affermano che “Vi sono prove attestanti che a metà del XVIII secolo la Monna Lisa originale sarebbe stata segretamente trasferita dall’Italia nel Somerset in Inghilterra, nella casa avita di un nobiluomo. All’alba del primo conflitto mondiale venne riscoperta dal grande esperto Hugh Blaker a Bath, il quale la acquistò per una manciata di ghinee e la portò nel suo studio di Isleworth. Qui divenne celebre come la Monna Lisa di Isleworth. Si trattava di una tela più grande di quella conservata al Louvre e non finita. Lo sfondo risultava infatti appena accennato. Blaker ne era rimasto straordinariamente impressionato. La donna del quadro era più giovane e bella di quella del Louvre”. E proprio su queste basi Blaker si convince di essere in possesso della Monna Lisa originale, quella descritta dal Vasari. Così Lisa del Giocondo sa-
Maria Benedetta Errigo Giornalista, laureata in scienze delle comunicazioni internazionali, lavorando per 10 anni in una redazione locale del quotidiano Il Gazzettino. Studia le più diverse tematiche mistico-esoteriche, le vicende storiche legate all’Ordine dei Cavalieri Templari e le tradizioni legate al culto della Maddalena nel
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Maria Benedetta Errigo rebbe quindi arrivata dall’Italia all’Inghilterra per poi, nel 1962, essere acquistata da una cordata svizzera ed essere riposta con mille cautele nel caveau di una banca elvetica. Resta da capire, allora, chi è la donna al museo francese, forse il quadro più famoso al mondo. Di ipotesi se ne sono fatte tante, ne riporterò solo alcune. Leonardo nel 1571, già in Francia, mostrò le sue opere alla corte del re Francesco I, fra le quali il ritratto di una donna di Firenze amata da Giuliano de’ Medici, che allora poteva essere Costanza d’Avalos. Si diceva che fosse una donna sempre sorridente: forse il soprannome Gioconda può venire anche da questo? Altre attribuzioni sono state fatte sulle figure di Caterina Sforza o addirittura con la madre di Leonardo Caterina Buti del Vacca o con la sorellastra Bianca. C’è da dire,comunque, che la donna del Louvre è sicuramente più anziana della giovane moglie di Francesco del Giocondo, e qualche dubbio lo fa venire anche la testimonianza eccellente di un altro pittore: Raffaello Sanzio. Nel 1504 infatti, nel momento clou della rappresentazione della moglie di Francesco del Giocondo, Raffaello va a visitare Leonardo e lo trova nel suo studio, intento a lavorare sul ritratto di Lisa. Raffaello lo osserva e decide di tracciare uno schizzo di ciò che il maestro stava dipingendo in quel momento. Lo schizzo mostra ai lati due colonne, esattamente le stesse che ci sono nella Monna Lisa di Isleworth, mentre il quadro del Louvre non risulta avere colonne, nemmeno dopo le varie scanerizzazioni ai raggi X cui il dipinto è stato sottoposto. Insomma, una storia, una leggenda, qualche dubbio e nessuna certezza. Tutte cose che non toglieranno comunque fascino a questa, o queste, opere del grande Leonardo da Vinci. Sud della Francia. Si è concentrata sul mondo della stregoneria e della cultura popolare, sotto gli aspetti antropologici e storici, focalizzando le sue ricerche sul mondo della Wicca e delle religioni neo-pagane. Su tali tematiche ha pubblicato articoli sui mensili Hera e SpHera e sui siti web Il portale del mistero (http://www.ilportaledelmistero.net) e Tracce di eternità (http://www. simonebarcelli.org). Ha partecipato come relatrice ad alcuni convegni sul tema della stregoneria.
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CANDIDA MAMMOLITI
Ufologia
ovvero la ricerca riferita agli oggetti volanti non identificati e ai fenomeni annessi
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na realtà e un campo di ricerca indubbiamente fraintesi, quelli dell‘ufologia. Questo è soprattutto dovuto alla disinformazione e al cover-up, cioè all‘insabbiamento dell‘informazione ufologica, che da oltre cinquant‘anni influenza, tramite i mass-media, l‘opinione pubblica, dato che l’ufologia, sin dai suoi albori, è stata intrappolata in macchinazioni di genere politico-militare. La moderna ufologia nasce nel mese di giugno del 1947 negli Stati Uniti, dopo l‘avvistamento oramai storico del pilota americano Kenneth Arnold. Egli stava sorvolando i monti Rainier nello Stato di Washington, quando all‘improvviso scorse nove oggetti luminosi di forma appiattita e discoidale che volavano in formazione, disposti a gradini accanto a lui, senza provocare alcun rumore. Kenneth ebbe modo di osservarli per alcuni secondi, dopodiché i misteriosi oggetti
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scomparvero alla sua vista allontanandosi a velocità elevatissima. Certo di quello che aveva visto, da pilota professionista diede informazione ad un suo amico giornalista abitante a Pendleton nello Stato di Oregon, che pubblicò un articolo sul giornale East Oregonian“, definendo gli oggetti avvistati da Kenneth “flying saucers“, cioè “piatti volanti“. Seguirono a valanga numerose altre segnalazioni di avvistamenti analoghi, e da quel giorno la stampa di tutto il mondo ha preso ad occuparsi dello sconcertante fenomeno che riguardava l‘avvistamento di oggetti misteriosi volanti di forma discoidale, sferoidale, cilindrica o triangolare. Tanto che iniziò ad occuparsene l‘USAF (United States Air Force), l‘Aeronautica Militare Statunitense, denominando gli strani oggetti: UFO (Unidentified Flying Object), dunque oggetti volanti non identificati. Dal 1947 ad oggi, come è noto in ufologia, i vari organi d‘informazione
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Ufologia hanno segnalato, in varie ondate o “flaps“, decine di migliaia di avvistamenti ed anche atterraggi documentati di UFOs. Negli USA, l‘Aeronautica Militare Americana ha studiato il fenomeno sin dal 1947, dapprima attraverso gli appositi “Project Sign“ e “Project Grudge“, per costituire successivamente il “Project Blue Book“, che ha affrontato il problema UFO in termini più concreti. È dal 1953, come fanno testo i verbali inizialmente segreti della commissione Robertson, nata nell‘inquietudine del momento per analizzare le numerosissime segnalazioni UFO registrate a quei tempi, che si inserì la CIA (Central Intelligence Agency), il servizio segreto statunitense, che è ancor oggi organo di manipolazione delle informazioni ufologiche, anche se, detto francamente, con molte fughe dai loro uffici. Comunque la questione ufologica non venne ritenuta un problema di sicurezza nazionale, e gli oltre 10’000 casi di avvistamenti, tra cui ben 700 risultavano essere non convenzionali, quindi non spiegabili in termini scientifici, registrati nel “Project Blue Book“, vennero accantonati e lo stesso “Project Blue Book“ archiviato. Dei fenomeni ufologici si interessò anch il KGB russo. Nei primi anni Novanta alcuni autorevoli quotidiani dell‘ex-URSS pubblicarono articoli riguardanti sensazionali scoperte scientifiche sovietiche. Durante un sondaggio laser dell‘atmosfera, effettuato da un aereo IL-14, gli scienziati siberiani (Istituto di Ottica, sezione Siberia dell‘Accademia di Scienze Sovietica) osservarono uno strano fenomeno. Come riportato da L. Levitsky del quotidiano “Izvestiya“, il velivolo sem-
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brava immergersi nelle nuvole, ma il cielo era terso e azzurro, il sole era caldo. Non credevano ai loro occhi. Gli strumenti di registrazione die dati atmosferici (umidità e temperatura tipiche di quando si è in prossimità o all‘interno di una nuvola) restarono muti, quindi non si trattava affatto di una nuvola. Il KGB russo si è occupato di molti rapporti speciali riferiti al fenomeno UFO, come per esempio a quelli provenienti dalla zona di Kamchatka,
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Candida Mammoliti tra il 1987 e il 1988. Alcuni oggetti non identificati sorvolarono l‘area super riservata di Kura, un campo di addestramento al combattimento. Si trattava di piccole sfere, la cui tonalità mutava dal rosso al bianco. Militari che riferirono il fatto al KGB dissero che la presenza degli oggetti perdurò per quasi tre minuti. Apparvero mentre si stavano collaudando alcuni “articoli pesanti“, probabilmente missili sperimentali, ma si trattava di oggetti che non presentavano le caratteristiche degli ordigni convenzionali. Anche lo Stato Maggiore dell‘Aeronautica Militare Italiana si organizzò a partire dal 1979 per seguire in termini sistematici il fenomeno UFO, fino da allora oggetto di cura da parte del SIOS (Servizio Informazioni Operativo e Situazione) dell‘Aeronautica Militare, in caso di intercettazione in volo, rilevamenti radar e “atteraggi fuori aeroporto“. Difficile da valutare in termini concreti, ma le
Ufologia segnalazioni UFO registrate dai piloti italiani potrebbero essere di diverse migliaia. Possiamo essere certi che, negli ultimi cinquant’anni, ogni nazione si è occupata a livello ufficioso del fenomeno UFO. In Francia esiste dal 1977 un ente governativo per lo studio dei fenomeni ufologici: L‘ex GEPAN, denominato in seguito SEPRA (Service d‘Expertises de Phènomène des Rentrées Atmosphérique),ed ora GEIPAN, è un ente ufficiale che si occupa degli UFO ed è parte istituzionale del Centro Nazionale di Ricerca Spaziale Francese. Dopo tanta ufficiosità sembra quasi inverosimile che ci si sia occupati di un fenomeno come quello ufologico sia a livello privato che civile. Cosa che sarebbe da considerare del tutto naturale, perché è ovvio che in un vasto universo come il nostro non possiamo essere i soli esseri viventi intelligenti- così almeno ci definiamo- e che altrove nello spazio infinito vi sia la possibili-
FOTO: BASILEA SVIZZERA 1566
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Ufologia
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tà di altre forme di vita, probabilmente anche più intelligenti della nostra. Nella moderna astrofisica si valutano attorno a 100 miliardi i corpi celesti presenti nella nostra galassia, e di galassie come la nostra ce ne sarebbero a miliardi in un universo che si considera essere multidimensionale, che quindi non presenterebbe solo dimensioni fisiche, bensì anche di tipo energetico e immateriale. In ogni caso, tutto ciò che concerne la nostra natura, la nostra realtà e la nostra evoluzione sono aspetti e argomenti di studio, di cui lecitamente ogni popolazione ha il diritto di essere informata. Il padre dell‘ufologia moderna è l‘astrofisico americano di origine polacca Joseph Allen Hynek, inizialmente membro del “Project Blue Book“, da cui in seguito si dissociò per creare, negli Stati Uniti degli anni sessanta, il suo Center for UFO Studies, insieme ad altri colleghi; centro si studi privato al quale si dedicò fino alla sua morte, avvenuta nel 1986. In Italia esiste da circa 40 anni il CUN (Centro Ufologico Nazionale), ente privato di ricerca ufologica. Nella Svizzera Italiana esiste dal 1995 il CUSI (Centro Ufologico della Svizzera Italiana), ente privato anch‘esso, di cui è presidente la scrivente. Lottiamo con impegno costante per un‘adeguata informazione ufologica in una Svizzera che, in questo senso, non si impegna minimamente. Un grande riconoscimento va sicuramente dato alla libera Repubblica di San Marino, dove non esiste il cover-up o il debunking (depistaggio dell‘informazione ufologica), e che nel 1998 ha presentato formalmente un appello all‘ONU, di cui ora ve ne diamo il contenuto: In rappresentanza di 16 diversi paesi, i delegati del 6° Simposio Mondiale su-
Candida Mammoliti Presidente del Centro Ufologico della Svizzera Italiana. Frequenta le Scuole Magistrali italiane a Como ed ottiene il certificato FSEA 1 (Certificato Federale CH) come formatrice di adulti a Lugano. Sin da adolescente si dedica alla ricerca interiore, alla filosofia (specialmente quella orientale), alla mani-
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gli UFO apertosi a San Marino sotto l‘egidia della Repubblica del Titano hanno redatto una “Carta di San Marino“ che richiede al Governo sammarinese di presentare alle Nazioni Unite una mozione sollecitante “la costituzione di un‘agenzia o dipartimento delle Nazioni Unite per affrontare, coordinare e divulgare i risultati della ricerca sugli oggetti volanti non identificati e fenomeni connessi, come già suggerito dalla decisione 33/426 adottata durante l‘87° meeting plenario dell‘Assemblea Generale il 18 dicembre 1978, in conseguenza all‘azione della Delegazione di Grenada“. Infatti, 20 anni fa l‘azione di quest‘ultimo Stato fu bloccata poco prima dell‘Assemblea Generale che avrebbe dovuto istituzionalizzare la proposta per un colpo di stato che coinvolse il paese caraibico. L‘iniziativa potrebbe essere formalmente ripresa ed attuata dalla Repubblica di San Marino. I ricercatori hanno convenuto: a) sulla possibile natura tecnologica nonterrestre degli avvistamenti UFO dell‘ultimo mezzo secolo; b) sul crescente interesse del pubblico di tutto il mondo su questo argomento; c) sulla necessità di uno studio scientifico interdisciplinare aperto, a carattere civile ed internazionale. Putroppo con la carta di San Marino non hanno potuto essere realizzati gli obiettivi prefissati, perché l‘intera questione ufologica rimane assurdamente legata alle attitudini dei servizi segreti. Ma chi tenacemente persiste in una lotta per la verità basata sull‘intelligenza, sulla non-violenza e sul desiderio di portare a conoscenza delle gente comune fatti tanto difficili da comprendere quanto meravigliosi, la cui natura non è di origine terrestre, avrà infine la meritata vittoria. festazione dei valori cristiani, ai problemi della comunità, soprattutto di quella italiana, all’estero. Nutre una particolare dedizione per l‘apprendimento delle lingue, per la comunicazione, la recita e per lo studio del periodo storico arturiano-medievale. Dal profondo interesse verso il senso dell‘esistenza umana, la nostra evoluzione e l‘universalità, promuove nella Svizzera Italiana un innovativo campo di studio scientifico, quello della ricerca di vita intelligente nello spazio.
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DAVIDE URSI
In volo sulle ali del Graal La linea dell’Orso
FOTO: PARTE DELLA COPERTINA DEL LIBRO DI DAVIDE URSI, LA LINEA DELL’ORSO (FONTE: URSI)
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egli ultimi trent’anni di vita ho cercato qualcosa che somigliasse ad una verità accettabile per la maggior parte delle persone e perciò vicina alla verità assoluta. Cominciai il mio cammino come giovane uomo di 25 anni, quando persi in un drammatico epilogo mio fratello maggiore, sostituto del padre sempre assente per motivi di lavoro. Mia madre, dopo questo evento, sembrava avesse perso la cognizione del tempo e della realtà: con il suo primogenito se n’era andato anche molto del suo cuore e della sua capacità di pensiero. Si era quindi accostata alla parapsicologia cercando disperatamente un contatto con suo figlio: scelse in particolare la psicofonia, un ramo della parapsicologia di frontiera che permetteva di ascoltare le voci dei propri cari tramite un registratore o una radio. Ben presto diventò una personalità nell’ambito, fino ad essere considerata la più grande ricercatrice in Italia nel campo!
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Io, che mi ero sempre interessato alla parapsicologia, anche se non era proprio la strada che prediligevo, attraverso i suoi contatti e il suo nome mi introdussi nell’ambiente per conoscere più da vicino quei fenomeni che tanto mi affascinavano e le persone che riuscivano a tradurre certi eventi. Nel contempo incontrai l’uomo che mi avrebbe dato più di chiunque altro in termini di insegnamento di vita e di spirito: il professor Gabriele Mandel Khan, psicoanalista, archeologo, mistico appartenente alla confraternita dei Sufi Nakshbandi, i frati dell’Islam equivalenti ai lama del Buddhismo. Il professore mi prese in simpatia, e da quel momento nacque un rapporto simile a quello che intercorre fra allievo e maestro, ma anche fra figlio e padre: scoprii di aver conosciuto una persona davvero speciale, figlioccio di Gabriele D’Annunzio, discendente di Gengis Khan, con una conoscenza enciclopedica di tutto ciò che
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In volo sulle ali del Graal era avvenuto nel mondo dalla nascita delle arti ai giorni nostri. Mi portò in viaggio con sé per paesi a me sconosciuti, dal momento che non se ne parlava molto né sui giornali né alla televisione, e visitammo fra gli altri la Siria, il Marocco, l’Egitto e in particolar modo la Turchia, dove imparai a capire che nella semplicità delle persone risiede la vera tolleranza e che con esse si può stringere un rapporto di amicizia intenso e duraturo, senza pregiudizio e senza discriminazioni. Grazie a queste esperienze, ho acquisito una capacità di percezione particolare che mi aiuta a intuire le intenzioni delle persone con cui parlo, soprattutto se le guardo negli occhi. Fu così che, quando lessi “Il codice da Vinci” e in seguito la storia di Rennes le Chateau, qualcosa dentro di me “mi disse” che una parte di quegli eventi avrebbero influenzato notevolmente le mie ricerche e i miei studi sulla spiritualità da quel momento in poi. Appena ne ebbi l’occasione mi recai a Rennes le Chateau accompagnato dai miei figli, per vedere con i miei occhi quella particolarissima chiesa, i dintorni di essa, ma soprattutto per sentire con la mia anima l’atmosfera di quei luoghi. Quello che provai fu particolare… Stranamente ero come a casa mia! Una sensazione di familiarità pervase il mio animo e, guardandomi intorno, nulla mi parve strano: era come se tutto appartenesse a una storia già conosciuta. Verso sera scendemmo al paese di Couizà e i miei figli andarono in albergo a riposare un’ora. Io, dato che era già l’imbrunire, andai a bere una birra in un locale. Lì, seduta ad un tavolo, incontrai una persona con una vibrazione molto calda, intensa ed antica, come se fosse stato un fantasma che avesse preso corpo e fosse entrato in quel bar. Non ero estraneo a questo tipo di sensazioni e non mi ero mai lasciato impressionare da esse, anche perché trovavano sempre conferma in eventi successivi. Ne comprendevo il senso quando sentivo le percezioni arrivare dall’anima e non dalla mente. Mi guardò e mi squadrò da capo a piedi, mentre parlavo in italiano con il barista. Quando il misterioso avventore mi rivolse la parola, anche la sua voce aveva qualcosa di antico: parlava un inglese senza particolari accenti, ma il richiamo di saggezza e antichità che traspariva da esso mi costrinsero a sedermi al suo tavolo e ad ascoltare
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Davide Ursi
FOTO: MARIA MADDALENA CON IL GRAAL (FONTE: WIKIPEDIA)
con molta attenzione ciò che aveva da dirmi. Nella mia vita molte persone mi hanno detto cose positive sul mio animo e sulle mie sensazioni, come ad esempio “tu possiedi delle grandi doti”, oppure “puoi aiutare gli altri con l’energia delle tue mani”, o “hai davanti a te una strada di luce, non buttare via il tuo dono”. Ma non era mia abitudine farmi adulare da valutazioni di altri sul mio conto, per quanto fossero positive: sono sempre stato convinto che ciò che è importante sono i risultati della ricerca interiore, non quello che se ne può dire. Eppure sapevo che quest’uomo mi avrebbe detto delle cose importanti: in quell’attimo la mia esistenza era già completamente cambiata! “Ognuno deve percorrere la propria strada e non so per quale motivo, in quel momento, ero certo che stavo per iniziare un cammino che mi avrebbe portato esattamente dove avevo sempre voluto andare, così come sapevo che non sarebbe stato certo un percorso indolore. Chiusi gli occhi per un attimo, respirai profondamente e, con una calma che non sapevo di avere, mi accinsi ad ascoltare.” (dal mio libro, “La linea dell’orso”).
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Davide Ursi Quindi, quando mi resi conto che non c’era più tempo e che dovevo tornare dai miei figli, rimasi molto sorpreso dalla sua intenzione di venirmi a trovare in Italia e soprattutto dal fatto che sapeva di dover venire in Piemonte! Io sono abituato ad osservare i segnali della natura e, nei giorni seguenti, ebbi parecchie “approvazioni “ mentre pensavo a quella situazione: flash notturni, tremolii di foglie in un giorno senza vento e altri fenomeni che formano una sorta di distorsione quantica nell’ordine delle cose. Quando venne da me e cominciò a parlare, il tempo sembrò fermarsi e io viaggiai con lui in un mondo diverso dal mio, fatto di cavalieri, di castelli ma anche di Gesù e Maddalena, quel mistico binomio che mi aveva tanto attratto. Mentre egli parlava vedevo quel mondo come se fosse reale: Rennes le Chateau era solo il prologo del racconto, in realtà tutto ruotava su Cristo ed il vero significato del Graal, che ero da sempre stato convinto non fosse solo una coppa. Allo stesso modo mi ero sempre chiesto che relazione vi fosse fra Re Artù, che mi aveva sem-
In volo sulle ali del Graal pre affascinato, e il Graal come simbolo di Cristo. Ora lo so, e so che tutto nella mia mente è andato al proprio posto, come i tasselli di un grande puzzle. Il mio cuore è in pace e disposto ad affrontare qualsiasi prova per portare, a chi abbia voglia di ascoltarlo, lo stupendo messaggio che mi venne dato. Il Graal simboleggia l’unione di anime che sentono in sé il vero messaggio di Gesù, così come è stato lasciato dall’inizio del suo cammino fino a alla sua morte, secondo una discendenza di sangue che in realtà è una discendenza d’anima. Sì, è vero, vi sono dei discendenti ancora in vita, e non uno solo! La verità verrà rivelata dettagliatamente nel secondo libro, che ho già cominciato a scrivere per chi sarà pronto a non considerami folle. Il ritorno di Gesù si sta manifestando in una nascita di intenti da parte di persone che sentono il suo messaggio e il suo cammino nel loro cuore: io non so come trovarle, ma mi è stato detto che presto lo saprò. Da chi? Come? Ho accettato di portare avanti questo mes-
FOTO: APPARIZIONE DEL GRAAL AL CENTRO DELLA TAVOLA ROTONDA, DA UN MANOSCRITTO DEL XIV SECOLO (FONTE: WIKIPEDIA)
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In volo sulle ali del Graal saggio perché la mia vita è costellata di avvenimenti che mi hanno confermato la forza dell’Amore che tutto vince. Il mio primo approccio con le persone è sempre stato accogliente: ho sempre dato l’amore di un fratello, di un padre e di un figlio. Sono stato provato da vizi che mi stavano portando alla rovina fisica, ma ho sempre vinto senza l’aiuto di nessuno. Ho fatto tutto con quell’Amore che sento nel mio Cuore per i miei figli, la mia compagna e i miei amici. Ho aiutato più persone quando non avevo un soldo che quando ero un giovane rampollo di nobile famiglia, ed ho imparato che la gente non cerca solo il denaro, ma ha bisogno di qualcuno che la comprenda e le dia l’impressione di essere la sua famiglia. E, seppure vorrei essere vicino a tutti, accade sempre un avvenimento che mi aiuta a comprendere come devo muovermi. Sono, come tutti, un essere divino, ma non mi sento un Maestro. Sono un uomo che ha scelto di camminare su un percorso fatto di dolore e sofferenza dedicato al significato di quell’evento chiamato Graal! Non ho manifestazioni particolari, non faccio miracoli, ma le persone che mi si sono avvicinate hanno cominciato a stare bene e a comprendere quale sia la strada maestra per amare il prossimo come sé stessi. Questo mi basta per essere felice. La storia di Artù mi ha fatto comprendere quanto sia stato difficile, in tempi come quelli (dove la forza era il metodo per sopravvivere e salvare dai guai la propria famiglia), essere testimoni di una rivelazione quale quella del Graal: “Tu sei portatore di materia e spirito, disceso per dare vita a un cammino che altri dovranno seguire per rafforzare l’unione dei discendenti del Cristo, che un giorno porterà l’uomo divino alla vittoria sull’uomo bestia. Le sofferenze scompariranno con le necessità materiali; l’io primordiale, che tanto danno ha fatto, rinforzando la sete di potere dell’uomo come se fosse un animale che doveva prendere il controllo del branco, si addormenterà lasciando il controllo allo spirito, e la materia si piegherà all’uomo senza bisogno di spade, di lance o di frecce. Ricorda bene Artù: tu sei il Graal!” (dal mio libro, “La linea dell’orso”). Così ora penso all’uomo che inganna, mente e crea falsi Dei solo per avere il pieno controllo del popolo, ignaro di cosa vi sia dietro le sue false parole e le sue azioni ingannevoli. Le parole
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Davide Ursi di Gesù non si riflettono negli orrori della Chiesa come l’inquisizione, la menzogna a scopo di potere e, in certo qual modo, anche la castità. Cristo ci lascia liberi di sbagliare perché quello è l’unico modo di imparare. La vita di Gesù è stata anche un esempio per quanto riguarda la reincarnazione: la salita alla montagna sacra con la propria croce sulle spalle e la certezza di potersi rialzare dopo ogni caduta; la sopportazione della sofferenza inflitta da altri uomini e la consapevolezza che non esiste colpa, poiché ciascuno segue un cammino di comprensione; il desiderio del perdono affidato al Padre e non la vendetta; morire e rinascere tornando alla fine al suo fianco. La grandezza di Cristo è stata proprio il concentrare tutto in una vita sola: pensate davvero che in quei diciotto anni in cui scomparve si rinchiuse in una grotta? Io non lo credo affatto. Provò le passioni dell’uomo e mise alla prova la sopportazione della rinuncia a favore del proprio cammino! Altrimenti, il dispiacere per la rinuncia a cosa si poteva riferire se non alle gioie materiali di un mondo di passioni altrettanto materiali? Che tentazione sarebbero state le parole di Satana quando disse all’uomo: ”Se vorrai, tutto ciò che vedi sarà tuo”, dette a un uomo che non sapeva di cosa stesse parlando e che non avesse provato quelle gioie? Questa è stata la grandezza di Gesù, essere uomo e divino allo stesso tempo. Egli ci ha insegnato che tutti noi abbiamo la Divinità nella parte più nascosta del nostro Essere, e quello è il nostro personalissimo Graal, su cui dovremo far leva se vorremo salire felici quella montagna che ci riporterà a vivere la vera vita che ci attende, senza malattie e senza dolori, immersi nella Luce di quell’energia cosmica che rappresenta Dio. Solo con i secoli l’uomo si sarebbe reso conto da solo dell’importanza della donna, e il cammino di Cristo ci ha insegnato anche questo. La Maddalena era l’apostolo più amato: lo dice Filippo nel suo Vangelo, screditato come altri dal potere di Costantino, che ha assicurato il mondo al polso della Chiesa, come un guinzaglio con il quale era capace di manovrare ogni decisione venisse presa dagli uomini della terra. Ed in parte è ancora così… Ho riflettuto a lungo sul ruolo della donna nella storia e nei Vangeli, cosa che sento come uno stiletto infilato nel petto. Perché la donna è
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Davide Ursi stata relegata al ruolo di fattrice, vipera, ingannatrice e, ciliegina sulla torta, prostituta? La donna è parte di noi, un’anima complementare che, affiancandoci nel percorso su questa Terra, avrebbe dovuto aiutarci quando, barcollando, uscivamo di strada; prendere le redini della situazione al nostro posto quando questa richiedeva la sua mente e la sua forza interiore; farci comprendere i nostri errori nei confronti degli altri e dei nostri figli e darci quell’Amore che solo una donna può dare. Noi avremmo dovuto proteggerla, farla sentire importante e amata allo stesso tempo poiché è un nostro pari: mai una schiava, mai una prostituta e soprattutto mai debole ma più forte di noi! Quando un uomo e una donna si amano veramente, il dualismo scompare e, anche di fronte alla gente, appare un’ entità singola, tutt’uno con l’universo e forte come un dio, capace di affrontare le malvagità del mondo con navi da
In volo sulle ali del Graal battaglia rostrate e uomini d’acciaio. Purtroppo la malvagità dell’uomo è arrivata a corrompere fin da subito il ruolo essenziale della donna, trasformandola in un essere ambiguo, ingannatore e corruttore delle menti grazie alla forza del sesso, per scopi di potere. In realtà credo invece che noi uomini l’abbiamo voluta così e che ora dobbiamo restituirle lo stato di divinità che le abbiamo sottratto, come colonna della famiglia e consigliera di Pace. Non credete anche voi? Quante volte la donna ha dimostrato di comprendere le situazioni meglio degli uomini e ha dato loro la possibilità di vincere la loro battaglia senza che essi si siano degnati di ammettere che la chiave di volta erano stati i suoi consigli? Nei Vangeli, nonostante lo sforzo fatto da Costantino prima, da Papa Gregorio Magno poi e dalla Chiesa tutt’ora, non sono riusciti a cancellare del tutto la divinità e la forza femminile. Nei momenti più importanti del
FOTO: LA TORRE DI MAGDALA (FONTE: URSI)
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In volo sulle ali del Graal Vangelo è sempre stata lei il fulcro del movimento energetico. Maria Madre, che ha permesso allo spirito di Cristo di scendere, nonostante avrebbe poi dovuto farsi ammazzare da chi avrebbe dovuto imparare ad Amare; la vera prostituta che gli ha lavato i piedi riconoscendo in Lui un’anima di Luce, che avrebbe insegnato all’uomo a vivere in pace; Marta, sorella di Lazzaro, sempre al seguito di Gesù senza mai proferire una sola parola di dubbio; e infine la splendida Maddalena, relegata al ruolo di prostituta in quanto troppo importante per darle la forza che meritava. Queste donne hanno partecipato, senza mai aver dubbi, fino alla fine al martirio, hanno curato Gesù fino a quando è stato deposto dalla croce e l’hanno portato nel sepolcro. Dove erano infatti gli apostoli dal momento dell’arresto di Gesù fino alla sua “rinascita”? Scappati, messi in fuga dalla paura? Ma la paura non è parte della Fede: le donne avevano la vera Fede, non gli apostoli. Le donne hanno seguito Gesù durante la via crucis con il loro sguardo amorevole e la loro energia, quasi dandogli la forza di salire verso la crocifissione. E hanno visto per prime il Gesù “rinato”, portandone gioiosa testimonianza agli apostoli che ancora una volta si erano nascosti. La Bibbia è un prodotto dell’uomo, raccontata da uomini prima e scritta a memoria da altri uomini poi. E i Vangeli sono stati manipolati ed adattati per scopi di potere fino ai giorni nostri. Ma, nonostante questo, la Luce del Cristo si è ir-
Davide Ursi Nasce a Milano nel 1956. Consegue il diploma di ragioniere e un attestato di programmazione su computer industriali con il Touring Club Italiano. Dopo la morte del fratello Umberto in giovane età, segue la madre nel suo cammino di ricerca come “parapsicologa di frontiera”, divenuta in seguito la più importante personalità italiana nel campo della psicofonia. Organizza con lei 4 congressi Internazionali di ricerca parapsicologica, con lo scopo di promuovere dibattiti fra scienza e spiritualità. Conosce così alcune tra le personalità di spicco
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Davide Ursi radiata nel tempo in tutto il mondo lasciando la sua scia di Amore e spiritualità. Questa è la vera discendenza del Cristo. Così come si evolvono gli esseri umani di generazione in generazione, anche la Luce che essi ricevono in dono per perpetuare il Suo messaggio cresce insieme a loro. Chi accetta di portare il peso della discendenza Luminosa del Cristo è degno di portarla a conoscenza dei suoi fratelli. Il nostro fisico si evolverà in base alla nostra Luce interiore e alla necessità di poterla contenere senza trasformarci in una fiammata e scomparire. Ci vuole purezza d’animo e sguardo limpido per poter permettere alla nostra Luce interiore di evolversi, senza inganni e senza falsità! Anche se questo non è il mondo che vorrei in termini di purezza e sincerità, continuerò il mio cammino e la mia salita alla montagna sacra, nonostante le difficoltà che incontra chiunque segua l’Amore e la Spiritualità. Ebbene, io credo in questo libro e in tutto quello che mi è stato rivelato, perché lo sento dentro come un fuoco che mi scalda il cuore in un inverno gelido. Non chiedo a chi legge di credere, ma almeno di provare ad amare, perché solo così potremo vivere in pace su questo pianeta, che ci è stato donato e che probabilmente sta per esserci tolto a causa della nostra opera distruttrice. In fondo al nostro cuore e alla nostra anima ognuno di noi sa già che la strada dell’Amore è tutto ciò a cui aspiriamo.
dello spiritualismo italiano e inizia un percorso iniziatico che lo porterà a conoscere Gabriele Mandel. Verso la fine degli anni ‘80 studia ipnoterapia. Dopo circa 25 anni di crescita interiore inizia a compiere le proprie ricerche spirituali in modo autonomo, giungendo all’ispirazione che lo porterà a scrivere il libro...
La linea dell’Orso UmbertoSoletti, 2010
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Il Risorgimento Italiano nell’opera della Massoneria
FOTO: GARIBALDI A PALERMO, GIOVANNI FATTORI, (1860-1862)
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causa delle incredibili “lacune” dei libri di testo e dei grandi canali d’informazione, per conoscere veramente il senso del Risorgimento italiano è indispensabile innanzitutto riflettere sul comune denominatore che lega tutti (con rare eccezioni) i suoi principali protagonisti. Dalla loro lunga e altisonante lista si evince infatti che a spianare la strada al Risorgimento italiano, alle guerre d’indipendenza, al fascismo e infine alla c.d. democrazia rappresentativa furono quasi esclusivamente membri della Massoneria stessa. Non bisogna dimenticare inoltre che i confratelli ufficiali di cui è certa l’iscrizione alle logge rappresentano solo la minoranza visibile degli affiliati alla libera muratoria rimasti clandestini. Gian 1 Domenico Romagnosi, Giuseppe Mazzini, Francesco Crispi, Adriano Lemmi (ban1) Paul Naudon, Histoire générale de la FrancMaconnerie francaise, Office du Livre, Paris
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chiere massone del Risorgimento coinvolto nel famoso scandalo della Banca Romana del 1892), Camillo Benso Conte di Cavour2, Filippo Buonarroti, Massimo D’Azeglio, Luigi Luzzatti (banchiere di origine ebraica che rivestì le più alte cariche di governo), Goffredo Mameli (di cui ci resta il famoso inno nazionale), Ernesto Nathan (Gran Maestro massone e finanziere ebreo), Silvio Pellico, Nino Bixio, Bettino Ricasoli, Guglielmo Oberdan, Vittorio Emanuele Orlando e Giuseppe Garibaldi furono tutti illustri membri della Massoneria. Peraltro, il già citato Adriano Lemmi (detto “il banchiere del Risorgimento italiano”) fondò la Loggia P1 (dove la lettera “P” sta per propaganda) da cui è poi derivata la celebre Loggia P2 di Licio Gelli dagli acclarati scopi cospirativi ed eversivi. 1981, p. 170. 2) Lemoyne-Amadei-Ceria, Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco, Torino 1898-1939, vol. XI, p. 313.
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Il risorgimento italiano Ma la massiccia occupazione dei ruoli di potere da parte degli uomini della confraternita non si limitò solo all’arena politica e riguardò ogni aspetto sociale e culturale della nazione. Per tale ragione troviamo i nomi dei frammassoni disseminati sia nel campo dell’arte che della letteratura italiana, con una lista di personaggi davvero eccellenti: Giovanni Pascoli, Ugo Foscolo, Gabriele D’Annunzio, Giosuè Carducci, Vincenzo Monti, Niccolò Paganini, Carlo Pisacane e Vittorio Alfieri, per citare solo alcuni tra coloro che hanno indossato ufficialmente il rituale grembiule massonico. All’ombra di questa inquietante realtà resta il popolino, ovvero la gente comune, che nella maggior parte dei casi ignora completamente cosa sia la Massoneria, quali siano i suoi scopi e quale sia il motivo per cui al suo interno troviamo solo illustri personaggi. Ma allora come è possibile che i programmi didattici scelti di volta in volta dai nostri ministri di governo (molti dei quali massoni) abbiano sempre “trascurato” di approfondire tanto l’esistenza quanto i reali scopi di un’organizzazione così potente? Forse perché è meglio che le masse non sappiano? Aprendo poi una parentesi su Cavour, noto per essere stato soprannominato il “tessitore” in virtù delle sue doti di statista, si può ragionevolmente supporre che tutta la politica savoiarda di cui era portavoce venisse decisa da personaggi come lord Palmerston (insigne massone) e A. Pike (Gran Maestro dell’ordine dedito al culto luciferiano gnostico e promotore dell’odio razziale attraverso il famigerato Ku Klux Klan). Una conclusione questa piuttosto scontata, visto che tutte le logge nazionali sono coordinate “dall’alto” (dai soliti finanzieri invisibili) per seguire un fine globale comune. Secondo l’Acacia Massoni3 ca Camillo Cavour, ministro e capo del governo piemontese, pur essendo l’ispiratore della Massoneria nazionale, prendeva direttamente ordini dai leader della fratellanza internazionale. Non sembra quindi un caso che Cavour si sia formato politicamente proprio in Inghilterra, dove strinse cordiali rapporti con esponenti dell’associazione ed entrò a farne. Anche l’improbabile “spedizione dei Mille” guidata dal massone Giuseppe Garibaldi è stata mitizzata dai libri di scuola come una grande 3) p. 81, numero febbraio/marzo del 1949.
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FOTO: GIUSEPPE MAZZINI DA UN LIBRO DI STORIA
impresa militare, mentre invece è noto a tutti gli storici più intellettualmente onesti che i garibaldini da soli non avrebbero mai potuto conseguire alcuna reale vittoria sul campo. Il successo della spedizione poté essere garantito solo grazie al potente appoggio finanziario e logistico delle logge massoniche che prepararono loro la strada. Gli alti ufficiali dell’esercito borbonico infatti vennero corrotti dalla confraternita con piastre d’oro turche per arrendersi e ritirarsi senza sparare un colpo4 I mille inoltre, dopo le prime vittorie diverranno migliaia: secondo le memorie di Diumà, erano almeno dodicimila prima dell’ingresso a Napoli. Scopriamo così che Garibaldi5 venne iniziato massone a Montevideo nel 1844 e venne eletto 4) Lorenzo Del Boca (saggista): “Le piastre turche erano la moneta commerciale di allora, si potrebbe dire il dollaro di qualche anno fa . Era una moneta commerciale ma anche la moneta delle tangenti perché impediva di individuare la provenienza di questi soldi e quindi a quale malaffare c’era dietro... Il corrotto stato maggiore dell’esercito borbonico in effetti scappava quando era invece il momento di attaccare”. 5) A. Mola, La liberazione d’Italia, op. cit., p.108.
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Gran Maestro del 33° Dall’intervista del prof. Antonio Di Janni durante un servizio del TG2 Dossier grado del Rito Scozzesul bicentenario dalla nascita di Garibaldi è emersa impietosa tutta la verità se a Torino il 17 marzo 6 sulla vicenda: 1862. La Massoneria Antonio Di Janni: “Si è trattato solo di una grande farsa, dove si incontrò un eseritaliana inoltre, come cito regolare con uomini addestrati contro un pugno di avventurieri dalle giubbe pubblicamente riconorosse” . sciuto persino dal suo Voce narrante: “Nella vallata di Pianto Romano di fronte a Calata Fini si schierastesso storico ufficiarono si schierarono i mille di Garibaldi. Sulla collina avevano già preso posizione i le Aldo Mola, operava militari borbonici guidati dal Maggiore Sforza”. sotto la supervisione Di J. : “Garibaldi schierò i mille in tre settori, uno centrale al comando di Bixio e due della confraternita brilaterali con i famosi picciotti di mafia che non avevano alcuna preparazione alla tannica. Il Mola infatbattaglia e al combattimento militare. Il primo ordine di Garibaldi fu quello di non ti ha espressamente sparare ma le due ali di destra e di sinistra dello schieramento formato dai picciotti scritto quanto segue: partirono all’attacco in maniera scalmanata gridando e bestemmiando. Le truppe “La spedizione dei Mille borboniche aprirono quindi il fuoco e gli “eroici picciotti” fuggirono tutti a gambe si svolse dall’inizio alla levate. “ fine sotto tutela britanVoce narrante: “Nelle retrovie borboniche timidamente seduto in carrozza asnica o, se si preferisce, sisteva al combattimento il generale Landi con il grosso delle truppe pronto ad della Massoneria ingleintervenire. La posizione svantaggiata e lo sbandamento dei picciotti misero in se”. E Giulio Vita ha agdifficoltà i garibaldini. Si legge sui libri di scuola che Nino Bixio, il luogotenente di giunto: “Studi in archivi Garibaldi richiese in questo frangente al generale di dare l’ordine di indietreggiare e su periodici di Edimed è a questo punto che forse Garibaldi pronunciò la famosa frase: “Bixio qui o si burgo mi hanno perfa l’Italia o si muore! Ma quando il maggiore Sforza mandò a chiedere al generale messo di rilevare e conLandi munizioni e rinforzi per sferrare l’attacco decisivo contro i garibaldini si verifermare il versamento ficò un colpo di scena”. a Garibaldi di una somDi J. : “A questo punto il generale Landi invece di annientare i garibaldini ordinò ma veramente ingente, misteriosamente la ritirata”. durante la sua breve Voce narrante: “Si scoprì in seguito che il generale Landi aveva già in tasca una permanenza a Genova, fede di credito equivalente ad un assegno con cui qualcuno aveva, come dire “ageprima che la spedizione volato” il suo passaggio alla causa dell’unità d’Italia. L’ininterrotta catena di sucsciogliesse le ancore. La cessi militari di Garibaldi si spiega anche così. A differenza dei sottufficiali e dei somma riferita con presoldati fedeli a Francesco II di Borbone lo stato maggiore dell’esercito borbonico cisione è di tre milioni di con poche eccezioni si era già fatto corrompere prima dell’arrivo dei volontari garifranchi francesi. Questo baldini. Emissari piemontesi avevano da tempo preparato il terreno allo sbarco in capitale tuttavia non Sicilia avvicinando ufficiali e funzionari borbonici. Vennero loro offerte promoziovenne fornito a Garibalni nel futuro stato sabaudo e ingenti ricompense in piastre d’oro turche, una valuta di in moneta francese, all’epoca facilmente convertibile e usata in tutti i porti del mediterraneo”. bensì in piastre d’oro turche”. La conferma dell’esistenza della cassa segreta della spedizione viene fornita da una lettera alla sorella di Ippolito Nievo, ufficiale capo dell’In6) Il Grande Oriente di Palermo gli conferì tendenza, specialità che allora abbracciava le tutti i gradi dal 4° al 33° inviando al Generale scorte auree e di valuta dell’impresa militare. Il alcuni suoi “Commissari Straordinari”, fra cui il Nievo scrive che, per sicurezza, teneva il cumu33° Francesco Crispi; vedi anche Aldo A. Mola, lo di “sacchetti d’oro” sotto il suo pagliericcio, nel Storia della Massoneria Italiana dalle origini ai proprio alloggio. Questo dettaglio può offrire un nostri giorni, Bompiani, Milano 1992, pp. 823interessante spunto alle ipotesi sulla fine di Ip824, dove si riferisce, riproducendo i docupolito Nievo e sulla sua scomparsa dal piroscamenti originali, che tre giorni dopo Garibaldi fo “Ercole”, che lo portava da Palermo a Napoli. fu nominato Gran Maestro del Supremo ConNievo, al termine dell’epopea dei Mille, tornansiglio di Palermo.
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Il risorgimento italiano do al Quartier Generale dell’esercito Regio e al Ministero della Guerra, recava con sé tutta la documentazione finanziaria della spedizione. Certamente non potevano mancare precise informazioni sull’uso dell’oro ricevuto da Garibaldi alla partenza. Come noto, il piroscafo “Ercole” affondò durante la breve traversata. Altre navi nel Tirreno meridionale non avevano incontrato in quelle ore tempeste pericolose. Quasi subito si sparse la voce di sabotaggio, che probabilmente aveva causato un’esplosione nelle caldaie. Pare che ciò sia stato confermato da recenti spedizioni subacquee… È tuttavia incontrovertibile che la marcia davvero trionfale delle legioni garibaldine dalla Conca di Palermo al Vesuvio venne immensamente agevolata dalla conversione subitanea di potenti dignitari napoletani dal sanfedismo alla democrazia liberale. Non è assurdo pensare che questa vera illuminazione pentecostale sia stata 7 almeno in parte catalizzata dall’oro. Del resto anche Giacinto de Sivio (1814-1867), autore di parte napoletana, denunciò “la trama di imbrogli e corruzioni con cui inglesi e piemontesi si comprarono tutto il governo di Ferdinando II, compreso il 8 primo ministro Liborio Romano e larga parte degli stati maggiori militari e della burocrazia, che di fatto disarmarono un esercito e una marina fra le più potenti della penisola di fronte a mille volontari disomogenei e male armati”. Un altro argomento taciuto dai libri di storia riguarda i rinforzi ricevuti dalla spedizione nei tre mesi successivi all’inizio delle operazioni, ossia ben ventiduemila uomini, in larga parte prove9 nienti dall’esercito sardo. In conclusione, il Risorgimento italiano e le sue guerre d’indipendenza sono da ascrivere tra i capovolgimenti politici compiuti dalla Massoneria, infatti i simboli della stessa li troviamo frequentemente disseminati in ogni centro nevralgico dello Stato, dall’obelisco che campeggia dinanzi al Palazzo del Quirinale (sede istituzionale del Capo dello Stato) alla stella a cinque punte (pentalfa) che identifica tanto 7) Aldo A. Mola, La liberazione d’Italia, op. cit., intervento di Giulio Vita, pp. 379-381. 8) Liborio Romano (1798-1867) era massone d’alto grado; cfr. Bollettino del Grande Oriente del 1867, II, p. 190. 9) F. Pappalardo, cit., in Cristianità, n. 94, p. 5.
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Marco Pizzuti la repubblica italiana quanto il suo esercito.
La Carboneria all’ombra della squadra e del compasso La Carboneria è stata nello stesso tempo una delle più impenetrabili e note società segrete dell’Ottocento e, secondo la testimonianza di Richard Wurmbrand10, pastore protestante e acceso sionista, sarebbe stata fondata nel 1815 dal massone genovese Antonio Maghella proprio per portare avanti lo stesso programma politico della Rivoluzione francese. Organizzata in “Vendite” su vari livelli, secondo il classico schema massonico, essa operava in stretto contatto con i supremi consigli del 33° grado del Rito Scozzese, il cui vertice si chiamava appunto “Alta Vendita”, un collegio internazionale composto da quaranta membri11. Nel 1847 si riunì a Strasburgo un Convegno Internazionale delle massonerie per preparare il piano rivoluzionario che avrebbe condotto alla 12 nascita di una confederazione europea. Nel 1848 le frange insurrezionaliste passarono all’azione guidando e fomentando rivolte a Parigi13, Berlino, Vienna, Praga, Milano, Venezia, Napoli e Roma. Ma è bene sapere che sia Giuseppe Mazzini quanto l’intero ordine dei carbonari appartenevano agli Illuminati di Baviera14. Una singolare conferma del culto massonico professato da Mazzini proviene dalla sua fede dichiarata nella reincarnazione15, convinzione spirituale che lo spinse ad affermare: “Il perfezionamento dell’individuo si compie di esistenza in esistenza, più o meno rapidamente a seconda delle opere nostre”16. Mazzini inoltre aveva come stretto collaboratore l’israelita Henry Mayer Hyndman, un marxista a capo dell’associazione chiamata The National Socialist Party. Nel 1881 quest’ultimo fonderà la Democratic Federation insieme a Eleo10) Massoneria e sette segrete, op. cit., p. 167. ���)Ibidem. ���)Ibidem, p. 168. ���)Ibidem. ���������������� ) Alain Stang, The Manifesto, American Opinion, febbraio 1972, pp. 53-55. 15) Massoneria e sette segrete, op. cit., p. 168. ��������������� ) G. Mazzini, I doveri dell’uomo, La Nuova Italia, Firenze 1927, p. 116.
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Marco Pizzuti nora Marx (la figlia del noto ideologo comunista) e Annie Besant (1847-1933), 33° grado del Rito Scozzese nonché capo della Società Teosofica17.
L’unità d’Italia e il mito della spedizione dei Mille A partire dal 1850 il Piemonte venne utilizzato dalla Massoneria per rovesciare il potere della Chiesa e proseguire il processo di globalizzazione “profetizzato” dagli Illuminati di Baviera. Per tale ragione vennero unificate con le armi tutte le autonomie locali sotto l’egida di un unico stato unitario. Il governo piemontese, con la legge Siccardi del 1850 e successivi provvedimenti, una volta espropriate le terre ecclesiastiche le rivendette a prezzi stracciati a voraci latifondisti, che in breve tempo ridussero i contadini nella massima indigenza18. Il nuovo stato liberale spazzò via il vecchio ordine sociale soppiantandolo con un potere centrale sbilanciato a favore dei grandi mercanti e dei proprietari terrieri. In quel periodo, inoltre, 17) Massoneria e sette segrete, op. cit., p.169. 18) Massoneria e sette segrete, op. cit., p.182.
Il risorgimento italiano la guerra aveva lasciato ben trentamila morti sui campi di battaglia di Solferino e San Martino, acutizzando i problemi sociali della classe popolare già afflitta da epidemie e miseria19. Basti ricordare che nel 1860 l’incidenza delle spese militari piemontesi si attestava sul 61,6 per cento della spesa totale, mentre la percentuale stanziata per le strutture di pubblica assistenza non superava il due per cento20. Senza contare che il debito pubblico piemontese in quel periodo sfondò il tetto di un miliardo di allora, ripartito su soli quattro milioni di abitanti21. Lo stesso Francesco Nitti, pur essendo massone, fu costretto a riconoscere quanto segue: “prima del 1860 era al sud la più grande ricchezza”22. Ma la pagina più emblematica dell’epopea risorgimentale fu senz’altro la conquista del Sud, un regno rimasto libero e indipendente sin dal 1734, con un re italiano alla sua guida, un popolo prosperoso e una flotta seconda in Europa solo a quella inglese. Il regno del Sud insomma prima ���)Ibidem. ���)Ibidem, p. 169. ���)Ibidem. �������������������� ) Francesco Nitti, Scritti sulla questione meridionale, Laterza, Bari 1958, p. 7.
FOTO: QUADRO RAFFIGURANTE GARIBALDI A MARSALA (1907)
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Il risorgimento italiano degli anni dell’unificazione era un paese florido, che contava ben 472 navi, un debito pubblico minimo e notevoli riserve auree a cui facevano da cornice grandi opere civili e le tasse più leg23 gere d’Europa! La miseria toccò il Sud Italia solo dopo il processo di unificazione e comportò l’immigrazione disperata di 14 milioni di meridionali 24 tra il 1876 e il 1914. Esso cercò quindi di resistere con ogni mezzo al nuovo ordine imposto dalla Massoneria e il Piemonte dovette impegnare 120.000 uomini in una sanguinosissima repressione. Questo ultimo ed esasperato tentativo di resistenza della popolazione venne poi definito mero “brigantaggio” 25 dalla Massoneria e dai libri di storia. ������������� ) A. Socci, La società dell’allegria – Il partito piemontese contro la chiesa di Don Bosco, Sugarco, Como 1989, p. 154. 24) Massoneria e sette segrete, op. cit., p. 183. ��������������������������������������������� ) “Briganti noi combattenti in casa nostra, difendendo i tetti paterni; e galantuomini voi venuti qui a depredar l’altrui?” (Giacinto de’ Sivio, I napoletani al cospetto delle nazioni civili, ristampa anastatica a cura dell’editrice Forni, Bologna 1965). Il Giornale degli Atti dell’Intendenza di Basilicata dell’anno 1857, dove erano riportate tutte le sentenze e gli atti ufficiali del governo napoletano, riporta un solo caso di brigantaggio nell’arco di 12 mesi, che riguardava un banditello da pochi soldi, ben diverso dal leale suddito di S. M. Ferdinando II che, impugnando le armi per difendere la pro-
Marco Pizzuti nato a Roma nel 1971. Laureato in Legge, scrittore e conferenziere, ex ufficiale dell’esercito, lavora per una nota società di servizi presso le più prestigiose istituzioni dello Stato (Camera dei Deputati, Senato della Repubblica e Consiglio di Stato). Attualmente si occupa di sperimentazione scientifica e collabora a livello didattico con il Museo dell’Energia del Ministero delle Attività Produttive. Ospite frequente di diverse emittenti radio in qualità di esperto di controinformazione e opinionista, ha tenuto decine di conferenze in tutta Italia, effettuando anche esperimenti in pubblico
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Marco Pizzuti E così tra il gennaio e l’ottobre del 1861, nell’ex Regno delle Due Sicilie si contavano ben 9860 fucilati, 10.604 feriti, 918 case incendiate, sei paesi rasi al suolo, dodici chiese predate, quaranta donne e sessanta fanciulli uccisi, 13.629 imprigionati, 1.428 comuni insorti26. Pertanto si trattò di una guerra di rappresaglia contro i ribelli civili del sud che proseguì per anni, provocando un numero superiore di morti a quello raggiunto durante tutte le guerre risorgimentali messe insieme27. Ma ciò che appare più paradossale in tutto ciò è che alcuni dei principali ideologi del liberalismo illuminato piemontese furono proprio dei massoni napoletani: Francesco De Sanctis, elevato nel 1859 al 18° grado del Rito Scozzese, grado di Cavaliere Rosacroce28 Bertrando Spaventa, Pasquale Stanislao Mancini, Silvio Spaventa, Ruggero Bonghi, Camillo De Meis. pria terra, la propria casa, la propria famiglia, veniva bollato dagli invasori come tale. �������������������� ) Carlo Alianello, La conquista del sud, Rusconi, Milano 1972, p. 133. ��������������������� ) Denis Mack Smith, Storia d’Italia dal 1861 al 1958, Laterza, Bari 1962, vedi anche il Giornale del 12.04.1986. ����������������� ) Aldo A. Mola, La Liberazione d’Italia nell’opera della Massoneria, Atti del Convegno di Torino 24-25 settembre 1988, Bastogi, Foggia 199, p. 198. A. A. Mola è direttore del Centro Studi per la storia della Massoneria, che ha sede presso il Grande Oriente d’Italia, a Roma. di trasmissione di energia senza fili con la tecnologia Tesla che hanno suscitato grande interesse. Scrive inoltre articoli per numerose riviste del settore e da anni conduce appassionate ricerche indipendenti. Tra i suoi scritti ricordiamo: Rivelazioni non autorizzate (Il Punto d’Incontro, 2009), Scoperte archeologiche non autorizzate (Il Punto d’Incontro,2010), e...
Scoperte scientifiche non autorizzate Il Punto d’Incontro, 2011
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L’intelligenza del dado Parlar di simboli
FOTO: SCALA DI DADI (FONTE: INMAGINE.COM)
Il vuoto e il pieno Nel primo capitolo della prima parte di questo nostro studio siamo partiti sostanzialmente delineando le nozioni di simbolo e segno e la relazione che tra essi intercorre. Abbiamo, in quella sede, ipotizzato che il mondo rappresentato dai simboli debba essere necessariamente preesistente a ciò che lo richiama in essere tramite la percezione dei nostri sensi, che possiamo chiamare segno, anche senza considerarlo esclusivamente riferito alla connotazione grafica del termine. In questa sede, per meglio esprimere la relazione tra segno, simbolo e rappresentazione dell’universo simbolico prenderemo come esempio il segno grafico, che si fonda quindi sulla vista, nella consapevolezza tuttavia che i nostri ragionamenti potranno essere trasposti, con marginali adattamenti, anche ai segni sonori, ol-
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fattivi, tattili, e gustativi. Il punto di partenza di qualunque rappresentazione della realtà è fondato sul dualismo non essere-essere e quindi, tradotto graficamente, vuoto-pieno. Già il libro sacro più diffuso del mondo, la Bibbia, inizia col delineare questo stato di partenza: in principio la Terra era senza forma e vuota. (Genesi) Ma noi possiamo comprendere o immaginare il vuoto? Per rappresentare il vuoto siamo costretti a compiere una mediazione consistente nel tracciare un segno che funga da contenitore: la soluzione più semplice finisce per essere quella di immaginare una figura geometrica senza alcun segno all’interno. Tuttavia, come si può vedere dall’immagine 1, il segno più semplice che potrebbe richiamare il vuoto non garantisce un risultato totalmente rappresentativo, l’effetto non è completo. In realtà tutto ciò che l’essere umano concepisce, idealizza o percepisce fa parte di una manifestazione, quella
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L’intelligenza del dado vissuta nel mondo visibile e quindi conosciuto, dove tutto fa parte di un ordine. Quindi, poiché il nulla non ha parte in questo ordine, per noi è difficile evocarlo o rappresentarlo. Stabilita questa premessa, dal concetto di nulIMMAGINE 1 RAPPRESENTAZIONE la, per trasferirsi al primo DEL VUOTO stadio del concetto di pieno, occorre immaginare due stadi cronologici: il disordine o kaos e l’ordine. Orbene, se si è affermato che la nozione di nulla non è facilmente né esattamente nella nostra manifestazione, facilmente e perfettamente rappresentabile, anche il kaos non appare precisamente e fedelmente ricompreso nella percepibilità e nella immaginazione umana. Il disordine, lo si può esprimere o tentare di esprimere, come nell’immagine 2, disseminando a caso dei puntini sullo spaIMMAGINE 2 zio che prima era vuoto. RAPPRESENTAZIONE Come si può notare il tenDEL KAOS tativo esperito finisce per esprimere la concreta ed effettiva impossibilità che l’immagine delineata non richiami una qualunque idea di struttura, in tal guisa eliminando la nozione di casualità e annullando il concetto stesso di disordine, in quanto quest’ultimo IMMAGINE 3 si rivela una forma riduttiRAPPRESENTAZIONE DI UN ORDINE va, parziale o più profonda e sfuggente di ordine. Quindi, dopo il disordine, nasce l’altra modalità del pieno, e quindi dell’essere: l’ordine, nella misura un cui può essere rappresentato con fedeltà rispetto al modello percepito, come è possibile IMMAGINE 4 osservare a titolo di esemRAPPRESENTAZIONE DI UN ORDINE pio nelle immagini 3 e 4. Il
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Giovanni Francesco Carpeoro nulla, il kaos e l’ordine sono quindi le premesse ontologiche dell’universo simbolico, ma sono anche, per dominanti ipotesi scientifiche, mistico-religiose e di non sottovalutabile buon senso, fasi cronologiche dell’evoluzione dell’universo cosmico, a conferma, quindi, della natura e della conseguente definizione da noi posta dell’universo simbolico come rappresentazione di eventi materiali o spirituali già accaduti.
Nasce il Segno Ma come nasce il segno, prima di divenire simbolo? Sempre con lo stesso meccanismo, passando dal non essere all’essere, dal vuoto al pieno. Ma in realtà questa formulazione è troppo rigida per rappresentare un meccanismo che può anche funzionare per sottrazione e non solo per addizione. Per spiegare tale osservazione si può provare a partire da un esempio grafico. La superficie della carta bianca è il vuoto, il nulla inattivo. Se però si traccia un punto, come nell’immagine 5, viene attivata la IMMAGINE 5 superficie vuota, il biancoRAPPRESENTAZIONE nulla diventa luce-figura, DEL PUNTO che è riconoscibile solo in contrasto con l’oscurità-ombra. Disegnare, cioè etimologicamente tracciare un segno, significa rimuovere la luce, aggiungendo il nero al bianco; l’operazione inversa è impossibile. Quindi ciò che sembra un’aggiunta è anche, contemporaneamente, una sottrazione. Paradossalmente la costruzione di un simbolo, che poi è sempre lo sviluppo del segno-figura, può anche procedere esclusivamente da una sottrazione. La scultura, ad esempio, funziona così: si parte da un blocco di marmo, che è il nulla inattivo contenitore della forma in potenza; tuttavia, perché la potenza sia attivata, occorre l’atto che consiste nella separazione, nella sottrazione di materia dal blocco da parte dell’artista. Quindi si rivela assolutamente indifferente dal punto di vista della modalità con cui si giunga dal non essere all’essere per addizione o per sottrazione.
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Giovanni Francesco Carpeoro Ma la regola del passaggio dal vuoto al pieno, e a tale proposito abbiamo già visto come dal punto di vista simbolico del termine pieno sia riferito al significato e non alla materiale modalità di formulazione del segno, vale anche per i segni non legati alla percezione visiva. Se pensiamo ad uno spazio mentale dedicato alle percezioni uditive, olfattive, tattili o gustative non facciamo fatica ad immaginarle invase e parzialmente occupate da suoni, odori e via dicendo. Tuttavia occorre ora tornare all’esempio di cui all’inizio del paragrafo, e cioè a quello di transizione dal non essere all’essere mettendo un punto in uno spazio vuoto. Cosa è sotto il profilo simbolico il punto? Il punto è un concetto scientificamente astratto che indica con precisione una giunzione, una intersezione (punti d’incrocio, punti di frizione, punti dolenti). È la versione grafica e simbolica dell’atomo, della particella elementare. E certamente quadra dal punto di vista simbolico simboleggiare l’inizio dell’essere ad un primo atomo o a qualunque prima particella. Il punto può assumere un senso anche in relazione con un altro segno, come il punto sulla lettera i, che rende una linea verticale una vocale, cioè un suono, o il punto nel mezzo di un cerchio che simboleggia il concetto di centro. Ecco perché il punto, tanto nei geroglifici egizi, che nell’antico ebraico, ad esempio nel nome di Dio, assume la connotazione di simbolo del Verbo Divino, nel senso espresso dall’apertura del Vangelo di San Giovanni. D’altro canto così ha origine la nostra stessa parola dio che, come il termine greco Zeus ed il latino Theos, ha grosse relazioni etimologiche con lo jod ebraico, il dj egizio, rappresentato dal mitico uccello bennu, e dall’antecedente semiconsonante sanscrita.
Come funziona il dado La scelta del dado, ispirata da un ottimo testo di Adrian Frutiger (Segni e Simboli, edito da Stampa Alternativa/Graffiti) per rappresentare la
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L’intelligenza del dado
IMMAGINE 6 DADI (FONTE: WIKIPEDIA)
peculiarità più importante dell’efficacia dei simboli sul nostro processo conoscitivo ed evolutivo è doverosa perché, come vedremo, è l’immagine che meglio rende questa dinamica particolare, della quale peraltro tratteremo nel paragrafo successivo. Per ora ci limiteremo a rappresentare, con riferimento ai suoi aspetti simbolici, come esso funziona, senza trascurare la storia dell’oggetto e del gioco ad esso legato. Wikipedia riporta una definizione esauriente dell’oggetto; riportiamola mentalmente, leggendola, in forma singolare e non plurale, atteso che ivi si parli di dadi e non di dado, perché il tema della voce è il gioco omonimo che, come è noto, si pratica con una coppia di oggetti. I dadi sono piccoli oggetti di forma poliedrica, utilizzati nel contesto di diversi giochi per generare in modo casuale esiti numerici o di altro tipo. Quelli tradizionali, utilizzati dalla maggior parte dei giochi, sono cubi con le facce marcate con i numeri naturali da 1 a 6; tuttavia, giochi specifici possono fare uso di innumerevoli varianti. Per ottenere un valore casuale, si fa rotolare il dado su una superficie piana, e convenzionalmente viene preso in considerazione come risultato il valore che si viene a trovare sulla faccia rivolta verso l’alto quando il dado termina il proprio movimento. L’esito così ottenuto si può considerare casuale (ai fini pratici) solo se il movimento impartito inizialmente al dado è sufficiente a farlo rotolare e rimbalzare in modo complesso (e
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quindi imprevedibile). L’atto che impartisce il movimento iniziale deve quindi essere abbastanza deciso, e nella lingua comune viene indicato con l’espressione “lanciare i dadi”. Il tipo più comune di dado è un piccolo cubo con il lato lungo da 1 a 2 cm e le cui facce sono numerate da uno a sei (usando generalmente dei puntini). Tradizionalmente i numeri sono assegnati in modo che la somma delle facce opposte sia sette (vedi immagine 6). Il dado ha origini antichissime: probabilmente i primi oggetti vennero ottenuti levigando o incidendo un osso, l’astragalo estratto dal metatarso del piede dell’agnello (vedi immagine 7). Successivamente sono stati comunemente realizzati dadi in avorio, osso, legno, metallo e roccia, anche se al giorno d’oggi l’uso della IMMAGINE 7 ASTRAGALI
plastica è praticamente universale. I ritrovamenti più antichi (vedi immagine 8) sono specialmente in riferimento a reperti funerari che ne comprovano l’uso, soprattutto in Oriente, da tempo immemorabile: ad esempio il gioco viene citato nei Rig-veda indiani. Comunque, giochi con tre o qualche volta due dadi erano diffusi anche nella Grecia antica, elemento ludico quasi immancabile dei banchetti. I romani ne fecero un uso comunissimo, consentendolo come gioco d’azzardo in ogni stagione, e facendone divieto solo durante i Saturnalia. Col tempo la forma del dado che divenne più comune è quella che oggi tutti ricordiamo e cioè quella con la numerazione progressiva da uno a sei puntini (vedi immagine 9). Ora accantoniamo, solo per un momento, la collocazione usuale dei puntini sul dado e facciamo qualche esempio di altra collocazioIMMAGINE 8 DADI ANTICHI
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IMMAGINE 9 LE SEI FACCE DEL DADO
ne, sempre legata a tale figura, che ci suggerisca qualche riflessione. Infatti, poiché l’ordine è una manifestazione tipica del nostro mondo, è molto più semplice dare o estrarre sempre un ordine, talvolta totale, talvolta parziale, e quindi un messaggio rispetto alla collocazione dei puntini. Diversa collocazione, diversa la risposta evocativa che attiva nella nostra memoria. La memoria è il legame che dal segno conduce al simbolo, è il combaciare dei due frammenti, senza il quale il segno rimane sterile e non evoca alcun significato. Quindi per verificare come funziona lo stabilirsi di questo legame basta partire da qualche piccola variazione delle configurazioni dei puntini su un dado. Se si prova a spostare i puntini non solo non si ottiene il riconoscimento di cui sopra, ma vengono evocate altre immagini o sensazioni. Nell’esempio dell’immagine 10, lo spostamento, non solo non evoca l’unità per la mancanza di centralità del puntino, ma provoca quasi una sensazione di disagio, caratteristica del decentramento, secondo un percorso che determina, in sociologia, l’applicazione del concetto di emarginazione. Nel caso dell’immagine 11, la sensazione evocata è quella di due occhi in un viso. Invece, nell’ulteriore spostamento dell’immagine 12, l’evocazione simbolica è quella di un archetipo come il triangolo. Si potrà notare come non viene mai spontaneo immaginare o simboleggiare tale archetipo con la punta rovesciata, per la mancanza in natura di una forma consimile, peraltro incompatibile con la possibilità che un oggetto avente questa forma possa stare in equilibrio sul vertice invece che sulla base. Nell’immagine 13
Runa Bianca
L’intelligenza del dado è ancora possibile l’identificazione del quadrato e quindi del numero 4. Nell’immagine 14 si esprime un movimento che tende verso l’alto, come quello di una freccia. Nell’immagine 15 si rileva l’evocazione della lettera L, ma in questo caso occorre sottolineare come il simbolo trae in errore sull’entità numerica in quanto i puntini, a vista e senza contarli con attenzione, sembrano 6 e non 5. Anche nell’immagine 16 non si riconosce il numero 6 bensì un triangolo. Come si vede, questa efficacia del dado con i puntini spostati è del tutto differente dalla conformazione usuale con sei collocazioni, le quali sono talmente radicate nel nostro archivio mentale che, in funzione di tali immagini, noi possiamo evocare i valori numerici senza contare i puntini. Il riconoscimento è immediato perché il segno diviene simbolo, aderendo al suo altro frammento, cioè allo schema mentale consolidato. La scelta del dado, come si può notare, ha semplificato la partenza nel percorso che ci siamo prefissi. Le facce del dado sono come una sorta di nastro perforato, un codice per informare, o meglio per richiamare l’altro frammento del segno divenuto simbolo, e cioè lo schema mentale. La memoria è il collegamento, insostituibile e indispensabile, all’efficacia di qualunque simbo-
IMMAGINE 10 PUNTO DECENTRATO
IMMAGINE 11 DUE PUNTI CENTRALI
IMMAGINE 12 TRE PUNTI A TRIANGOLO
IMMAGINE 13 QUATTRO PUNTI TRASVERSI
IMMAGINE 14 QUATTRO PUNTI A FRECCIA
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IMMAGINE 15 PUNTI A SQUADRA
lo. D’altro canto ciò viene confermato dal mito, nel quale proprio Mnemosine, la memoria per i Greci, genera le nove Muse, cioè tutte le arti collegate al genio dell’essere umano, come frutto della sua relazione amorosa con Zeus, la somma divinità di quel popolo.
L’Intelligenza del Dado Le conclusioni relative alla operatività del dado sotto il profilo simbolico di IMMAGINE 16 SEI PUNTI A TRIANGOLO cui al paragrafo precedente sono fondamentali, perché delineano una capacità intellettiva peculiarmente legata al simbolo che, per nostra comodità, da ora in poi potremo chiamare Intelligenza del Dado. Abbiamo infatti delineato come, quando sulle facce del dado i puntini sono disposti in modo usuale, noi riconosciamo un numero che va dall’uno al sei, mentre quando sono disposti, nelle stesse quantità, quindi sempre da uno a sei ma con collocazioni differenti dagli schemi, vediamo invece delle cose diverse, non riconoscendo più il numero. E c’è di più: in effetti nello schema usuale, a seconda della faccia del dado presa in considerazione, noi riconosciamo un numero corrispondente alla quantità di punti senza necessità alcuna di contarli. Cosa accade allora? Un
Giovanni Francesco Carpeoro Nato a Cosenza nel 1958. Si trasferisce a Milano e si laurea in giurisprudenza presso l’ Università Cattolica per poi svolgere per trent’anni la professione di avvocato. Ha curato per Acacia Edizioni l’edizione italiana de L’Archeometro di Alexandre Saint’Yves d’Alveidre e di Sotto le Piramidi di Andrew Collins. È stato diret-
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Giovanni Francesco Carpeoro numero indicante una quantità presuppone una misura o un conteggio. Invece, nel caso dei dadi, noi non contiamo affatto ma riconosciamo il numero in base ad una qualità, l’usuale collocazione dei puntini, e non ad una quantità, il conteggio del numero di puntini. Questo è il grande segreto dei simboli. Quando la loro ricostruzione è quella giusta, essi ci consentono di identificare il contenuto senza analisi, solo con l’eco che essi ridestano nella grande vallata della nostra memoria ancestrale. Questa è l’Intelligenza del Dado, la capacità di rappresentare e conoscere un frammento di verità senza analisi e deduzione, solo con la scintilla dell’attimo di corrispondenza tra i famosi frammenti spezzati, uno il simbolo e l’altro l’eco che esso desta nella memoria. Se qualcuno ha voglia di farlo, può verificare come le grandi scoperte e le grandi opere dell’arte e del genio umano nascono da questo tipo di intelligenza e che l’analisi, la deduzione, la sperimentazione e la codificazione sono momenti cronologicamente successivi alla grande scintilla che illumina il buio di una parte del nostro cervello, o del nostro spirito, a seconda delle nostre convinzioni personali entrambe legittime e possibili; scintilla stessa, quindi, foriera di potenzialità eccezionali e sconosciute. Le teorie e le ipotesi di progresso della nostra civiltà sono quindi in primo luogo la rievocazione, dall’interno della memoria ancestrale e ad opera dei simboli maggiormente precisi ed efficaci, di uno stato comune a tutti noi di condivisione universale dell’intero sapere in termini di consapevolezza in quel tal momento acquisita. Solo in quel momento. Nel tempo che serve a gettare i dadi...
tore delle riviste mensili PC Magazine, HERA e I Misteri di HERA. Il suo sito personale: www.carpeoro.com. Delle sue pubblicazioni ricordiamo: Il volo del pellicano (Bevivino, 2007), Labirinti (Bevivino, 2008) e...
Il re cristiano Bevivino, 2010 Runa Bianca
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I primi freddi si fanno sentire, Runa Bianca vi riscalda con le anticipazioni del nuovo numero in preparazione, siete curiosi di sapere cosa conterrĂ ?
Nel prossimo numero...
Approfondiremo gli Etruschi, dal seme di Atlantide a Roma caput mundi con Germano Assumma, parleremo della simbologia, il mito, la metafora del Graal con Nicoletta Camilla Travaglini, scopriremo altri personaggi particolari di una Torino magica con Danilo Tacchino, concluderemo con Marisa Grande il discorso sulla scienza sacra dei costruttori di megaliti... ...e tanto altro ancora nel numero di DICEMBRE!