Occhio all'Arte (febbraio 2015)

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno VIII N° 81 febbraio 2015

Mensile d’informazione d’arte

www.artemediterranea.org

nEditoriale:

Je suis Charlie Hebdo dedicato a: n Gemito e gli artisti dell’800

cinema: n Frida

Mario Sironi, “La siesta”, 1946

Manga: n il quarto potere

in mostra: n Bellissima


Sono in distribuzione la 1a e 2a lezione del DVD sulla pittura ad olio

Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”

Telefona al 347.1748542

• • • Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Eleonora Spataro Mensile culturale edito dalla Collaboratori Associazione Arte Mediterranea Luigia Piacentini, Stefania Servillo, via Dei Peri, 45 Aprilia Patrizia Vaccaro, Daniele Falcioni, Tel.347/1748542 Laura Siconolfi, Maurizio Montuschi, occhioallarte@artemediterranea.org Greta Marchese, Giulia Gabiati www.artemediterranea.org Valerio Lucantonio, Martina Tedeschi, Aut. del Tribunale di Latina Marilena Parrino, Nicola Fasciano, N.1056/06, del 13/02/2007 Simona Cagnazzo, Stefano Cagnazzo Fondatori Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Cristina Simoncini Amministratore Antonio De Waure Direttore responsabile Rossana Gabrieli Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

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Responsabile Marketing Cristina Simoncini Composizione e Desktop Publishing Giuseppe Di Pasquale Stampa Associazione Arte Mediterranea via Dei Peri, 45 Aprilia

Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’editore

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Sommario

Je suis Charlie Hebdo Galleria nazionale di arte antica, 4° parte Pais del Cinema I vestiti dei sogni Bellissima Anzio: Monumento ad Angelita Gemito e gli artisti dell’800 Slavoj Zizeck “Il Trash sublime” Frida Paesaggi dipinti Il quarto potere Lina Bo Bardi Felice Casorati


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editoriale

Je suis Charlie Hebdo di Rossana Gabrieli e Nicola Fasciano

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os’é la satira? Nel dizionario della lingua italiana Sabatini Coletti, leggiamo: “ Il genere della letteratura latina, prima teatrale poi solo poetico, che mette in ridicolo personaggi, ambienti o costumi con toni comici o sarcastici e intenti moralistici. Per estensione, qualunque opera letteraria o artistica, vignetta, discorso, atto o atteggiamento ecc. che abbia intenti satirici nei confronti di persone, classi sociali, istituzioni. Sinonimi: canzonatura, caricatura; esempio: usare le armi della s. (fare la satira di qualcosa. o di qualcuno., parodiarlo, canzonarlo) ”. Quando é nata la satira? Potremmo dire, insieme ai regimi e alle dittarure, insieme ai fanatismi politici o religiosi, come risposta arguta e divertente, per ridere anche di ciò di cui normalmente non si ride. Se non si capisce questo, non si capisce la satira. E questa era la regola di Charlie Hebdo. La storia di Charlie Hebdo inizia nel 1960. Georges Bernier, alias Professeur Choron, e François Cavanna iniziarono le pubblicazioni, definendo il giornale come «journal bête et méchant» (giornale stupido e cattivo). Choron ne divenne il direttore. Cavanna, redattore capo. La pubblicazione fu interdetta dalla magistratura nel 1961, e nel 1966. L’azione di critica del settimanale francese è rivolta in primis alla difesa delle libertà individuali, civili e collettive, com’è difeso il diritto alla libertà d’espressione, in una visione laica assoluta e piena. Libertà che a qualcuno, che si ritiene offeso nelle proprie idee sembra eccessiva, tant’é vero che Carlie Hebdo aveva già subito nel 2001 un primo attentato, che ne aveva distrutto la sede con un lancio di bombe molotov. Grave, ma non così terribile come quello dello scorso 7 gennaio, in cui hanno perso la vita, oltre a poliziotti e addetti a lavori di diverso tipo all’esterno e all’interno della redazione, i vignettisti: Charb, Cabu, Wolinski, Tignous e Honoré. Charb era il nome d’arte di Stéphane Charbonnier, 47 anni, direttore del settimanale dal maggio 2009. Georges Wolinski era certamente il nome più noto, in Francia e all’estero, dove erano pubblicate le sue storie dissacranti

sin dagli anni 70 su Linus. Le sue storie erano sempre in bilico tra l’erotico e il politico. In passato Wolinski fu al centro di polemiche, accusato di immoralità o pornografia per le nudità e le tematiche trattate (tra i suoi libri “Il porcone maschilista” e “Le donne pensano solo a quello”), ma a 80 anni era indiscutibilmente uno dei nomi più importanti del fumetto mondiale. Nel 2005, aveva vinto il Grand Prix di Angouleme, in pratica l’equivalente nel mondo dei comics dell’Oscar alla carriera, e con una grande retrospettiva del 2012 alla Bibliotheque Nationale de France,dove sono custoditi tutti i suoi archivi. Cabu, vero nome Jean Cabut, 76 anni, era uno dei pilastri di Charlie Hebdo. Il suo nome era rimbalzato sui media di tutto il mondo quando nel febbraio 2006, in piena polemica per le vignette danesi su Maometto, disegnò in copertina il Profeta che insultava i fondamentalisti. Tra i suoi lavori, molto famoso in Francia è “Mon Beauf”, serie su un francese medio, razzista e maschilista. Bernard Verlhac era invece il vero nome di Tignous, 57 anni, che lavorava anche per Fluide Glacial, storicamente uno dei più importanti magazine francesi di fumetti. Al suo attivo otto libri. Il più recente, intitolato “5 ans sous Sarkozy” (Cinque anni sotto Sarkozy) è stato pubblicato nel 2011. Sinistramente profetica l’ultima vignetta di Charb: pubblicata sull’ultimo numero di Charlie Hebdo, mostrava un terrorista islamico sotto la scritta: “ Ancora nessun attentato in Francia”. “Aspettate” diceva l’uomo armato “Abbiamo ancora tutto gennaio per farvi i nostri augur i”. “ L’uomo ride per tenere lontano la morte ” ha scritto la Repubblica in questi giorni, in un’intervista ad Umberto Eco. Proprio Eco faceva affermare al terribile venerabile Jorge, monaco omicida ne “Il nome della rosa”: “ il riso uccide la paura, e senza la paura non ci può essere la fede. senza la paura del demonio non c’è più necessità del timore di dio … il riso resta lo sfogo dell’uomo volgare, ma cosa succederebbe se per colpa di questo libro, uomini saggi andassero affermando che è possibile ridere di tutto, … possiamo ridere di dio ? il mondo precipiterebbe nel caos ”. E dunque, il riso é l’antitodo alla paura, quella paura strumento di controllo sul pensiero umano libero, laico e critico, quello che, sì, incute terrore ai despoti ed ai dittatori di qualunque ideologia e fanatismo, religioso o politico. Voltaire, nell’epoca dei Lumi, in pieno Settecento, affermava: “ Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere ”. Roberto Benigni, in una trasmissione televisiva con Roberto Saviano, nel 2010, affermò: “ Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con la biro, l’uomo con la pistola è un uomo morto ”. E le biro, le matite, le penne di tutti gli uomini liberi, che difendono la libertà di espressione e di pensiero, come la forma più alta di dignità umana, si sono sollevate verso il cielo di Parigi. Charlie Hebdo non é morto: Charlie Hebdo sono io. 3


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in mostra

Lina Bo Bardi

La riscoperta al MAXXI di Stefania Servillo

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ina B o B ardi” è un nome che nel la mente dei non addetti ai lavori il più del le vol te non richiama nul la, eppure è una figura interessante e importante; a lei il MAXXI dedica un’esposizione per ricostruirne i passi, la vi ta, la carriera. Un’occasione per scoprirla, riscoprirla, rincontrarla, attraverso documenti, foto e video. Visi tabile fino al 15 marzo, l’esposizione ripercorre a ri troso gli anni i taliani che vanno dal la partenza per il B rasile del 1946 al la laurea a Roma del 1939. Achil lina B o, nata a Roma, consegue il diploma presso il liceo artistico e s i laurea in archi tettura. Nel 1940 si trasferisce a Milano e col labora al la direzione del le riviste: “Domus” e “Stile”. Donna infaticabile, lavora come il lustratrice per “Grazia”, “L’Il lustrazione i taliana”, “B el lezza”, Tempo” e al tri. Porta avanti, inol tre, uno studio (distrutto durante i bombardamenti) in col laborazione con Pagani. Nel 1945 è tra i fondatori del la rivista “A” con Zevi e Pagani. È nel 1946 che, dopo aver sposato Pietro Maria B ardi si trasferisce in B rasile.

Felice Casorati In mostra a Roma di Maria Chiara Lorenti

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n questi giorni si è conclusa la personale “Felice Casorati. Collezioni e mostre tra Europa e Americhe” che la città di Alba ha dedicato ad uno dei protagonisti della pittura del Novecento. Molto attivo nelle grandi esposizioni sia europee che oltreoceano, ebbe a dire, con una punta di rammarico, che “La mia pittura accolta con tanta severità in patria, trovò all’estero consensi cordiali, talvolta entusiasti. Moltissime le riviste che mi dedicarono articoli. Fui invitato ad allestire mostre personali in Germania, in Belgio, in America, in Francia e persino in Russia. Le Gallerie d’Europa e d’America ospitarono fin troppo volentieri i miei quadri”. Incompreso, quindi, in Italia? Forse. Il suo percorso artistico, poco influenzato dalle tendenze avanguardiste, lo portava, anche per il suo carattere schivo ed individualista, ad una ricerca solitaria, sostanzialmente tradizionale all’inizio della sua affermazione come pittore emergente, per poi essere più in linea coi tempi, dal 1912 a Verona e poi a Venezia frequenta gli ambienti artistici più innovativi, avvicinandosi così al Simbolismo ed al Secessionismo senza farsi “contagiare” dagli estremismi del Futurismo. Stabilitosi a Torino, porterà avanti uno stile originale e personale, pur non estraniandosi dalle correnti postbelliche degli anni ‘ 20, dalla Metafisica in poi, in stretto rapporto con gli altri grandi del novecento italiano, da de Chirico a Sironi, Morandi, Carrà, solo per citarne alcuni. E’ un maestro, ed in quanto tale viene invitato a partecipare alle Biennali e Quadriennali di quegli anni, ammirato, ma anche discusso, per quel suo modo originale di esprimere la sua visione sull’arte. Dagli anni trenta la sua pittura diviene più intimista, più poetica, i ritratti, che occupano la maggior parte della sua produzione, puntualizzano il suo iter artistico, da quelli ufficiali agli altri, chiamiamoli più familiari, le figure a volte si allungano oppure si schematizzano, a seconda del periodo in cui sono state effigiate; i colori cambiano, da realistici mutano negli anni venti in tonalità più cupe e fredde, l’espressività dei corpi si raggela in pose statiche, innaturali, per poi tornare a rianimarsi, nei cinque anni successivi con

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uno stile denominato e celebrato come “neoclassicismo” casoratiano, di cui “Silvana Cenni” è la massima espressione. Fino al 15 febbraio lo GNAM, Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, nella mostra “Secessione e Avanguardia” espone tra le altre anche le opere di Casorati, ad espressione della cultura artistica di allora, è un’occasione, per chi si è perso l’esposizione di Alba, di ammirare le tele di questo pittore “diverso”, ma nello stesso tempo presente agli altri.

Felice Casorati, “Concerto”, 1924


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cinema

Pais del Cinema

Gli anni d’oro del cinema italiano di Eleonora Spataro

I vestiti dei sogni

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il 1960, Rodrigo Pais, fotoreporter, vaga per i set e coglie vitalità e particolari di un’industria, quella cinematografica, che attrae e coinvolge persino il cinema hollywoodiano. Fino all’8 marzo, il museo di Roma in Trastevere ospiterà il racconto per immagini di quegli anni. Un decennio di successi, quello che inizierà con la Palma d’oro al festival di Cannes per Federico Fellini, con La dolce vita, e il premio della giuria per Michelangelo Antonioni, con L’avventura. La mostra, gioca nel titolo con il cognome dell’autore e con la tematica che propone. “Pais del cinema” raccoglie gli scatti di back stage di pellicole come Il sorpasso di Dino Risi, La ragazza di Bube di Luigi Comencini, La noia di Damiano Damiani, L’eclisse di Michelangelo Antonioni, Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini. Ciak, momenti di riposo, truccatori al lavoro, parenti dei protagonisti, spettatori curiosi ricostruiscono nelle immagini catturate dal fotografo tutto ciò che alimenta, muove e rende possibile la scena. Inoltre l’esposizione propone locandine, fotobuste e manifesti originali dei film presentati e una sezione interamente dedicata a Virna Lisi.

A palazzo Braschi i costumi per il cinema

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ncora un appuntamento dedicato al cinema, questa volta la mostra “I vestiti dei sogni” ci racconta la storia dei vestiti di scena e dei grandi costumisti italiani. A Palazzo Braschi, nel cuore della Roma rinascimentale, dal 17 gennaio al 22 marzo 2015, sarà possibile visitare un doppio percorso. Il primo segue l’arco cronologico scandito dai costumisti, porta avanti la narrazione di un secolo di scuola italiana. Si snoda nelle prime dieci sale, e giunge a compimento all’interno del salone dedicato alla Sartoria Tirelli; si chiude con la stanza dedicata agli abiti di Milena Canonero per Marie Antoinette. Il secondo percorso segue il filo conduttore dei capolavori del cinema dove compaiono le creazioni. Si tratta dell’itinerario più libero, dove i vestiti dialogano con i capolavori dell’esposizione permanente del museo Bilotti.

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in mostra

Bellissima

L’Italia dell’alta moda di Stefania Servillo

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ellissima” non è solo un’esposizione, non è solo storia, è un progetto complesso che incorpora entrambe le cose e che rappresenta molto di più: il tentativo di ricreare atmosfere, influenze e l’estetica degli anni che vanno dal 1945 al 1968 e dei personaggi che hanno ampiamente contribuito all’ascesa del marchio “made in Italy”. Il titolo scelto è un riferimento al film di Luchino Visconti del 1951; l’epoca scelta è un interessante momento storico, in cui ogni forma d’arte è in bilico tra personalismo e collettività. La mostra, curata da Luisa Frisa, Anna Mattirolo e Stefano Tonchi, è divisa in otto sezioni: arty, giorno, bianco e nero, cinema, gran serata, cocktail, esotismi e space. Nella prima sezione si sottolinea l’importanza del binomio artista – creatore di moda, ne sono esempi emblematici casi come quello di Roberto Capucci o Mila Schön. In alcuni pezzi presentati si ritrova un eco dell’artista nella foggia del tessuto, in altri casi il risultato è raggiunto attraverso una vera e propria collaborazione. “Giorno” è dedicata al prêt-à-porter, al di là dei grandiosi abiti non si poteva ignorare l’importanza che questo elemento ha avuto nello sviluppo dell’arte e della moda tra gli anni Cinquanta e Sessanta. “Bianco e nero”, il

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binomio perfetto che ha rappresentato la raffinatezza e la delicatezza dell’alta moda italiana del periodo. La sezione sul cinema ripercorre la storia dei grandi atelier e delle attrici, che hanno avuto un seguito sul grande schermo e che hanno fortemente contribuito al dipanarsi della storia della moda italiana nel mondo: dall’atelier delle Sorelle Fontana a Valentino, fino alle attrici internazionali e nostrane come Elizabeth Taylor, Sophia Loren, Audrey Hepbourn e Anna Magnani, solo per citarne alcune. In “gran sera” si riscontra lo sfoggio della bellezza e dell’eccentricità, una sezione imperdibile per il vero amante dell’alta moda all’italiana, e sebbene in maniera più moderata, si può ritrovare uno spirito simile nella successiva “cocktail”. Nelle ultime due sezioni “esotismi” e “space” si ritrovano due capisaldi: l’influenza delle culture sentite come distanti dalla nostra che si ritrovano in motivi floreali e arabeschi; ed il fascino per il futuro, la moda d’avanguardia, dalle paillettes alle frange, dalle placche in alluminio ai motivi geometrici illusori e destabilizzanti. “Bellissima” è un percorso articolato con grazia, e la moda è parte dell’arte che caratterizza l’Italia; gli amanti della moda e quelli dell’arte dovrebbero davvero incontrarsi al MAXXI.


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musei

Galleria nazionale di arte antica, 4° parte Musei Romani, 14° articolo di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi

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nche il Palazzo Corsini, altra sede della Galleria Nazionale d’Arte antica, ha origini “papaline”, non c’è da meravigliarsi: siamo a Roma! La Galleria Borghese esiste per la sensibilità artistica di Paolo V, la Pinacoteca Barberini deve il suo primo nucleo al papa Urbano VIII, la quadreria Corsini a Clemente XII … per non parlare di tutti i vari “Cardinal nepoti” che, non sempre in maniera lineare, si prodigavano per ampliare e impreziosire le raccolte dei propri casati. La sede museale che ci accingiamo a descrivere, però, ha delle caratteristiche che la rendono molto diversa dalle altre fin qui descritte, GNAM compresa. In primis il quartiere nel quale si trova, lontano dai Palazzi del Potere, da ville principesche dove, ancora, i satiri inseguono le ninfe, in un certo senso dalla modernità. Nel cuore della romanità popolare, dove la tortuosità dei vicoli e vicoletti, i sampietrini, le case basse e strette, le osterie, le bottegucce, una targa sulla casa della “Fornarina”, ti ricordano un medioevo ancora vivo e palpitante. Siamo a Trastevere e … tutta la nostra simpatia va alla famiglia Corsini! Per essere più precisi, siamo a un tiro di schioppo da piazza Trilussa e dalla piazza antistante alla chiesa di Santa Maria in Trastevere, da quell’intrigato e intrigante mondo di odori, di profumi, di colori, di voci, di allegria, di aria vacanziera che avvolge e coinvolge chiunque. Dall’importante palazzo, reggia di Cristina di Svezia nel 1600, si possono raggiungere le più gaie e folcloristiche trattorie, pizzerie, taverne, fraschette, ma, anche, ristoranti, Pub, Club brulicanti di giovani a tutte le ore, del giorno e, soprattutto, della notte. Altra caratteristica della nobile dimora é la lunga facciata che costeggia via della Lungara, grigia, anonima, scarna; il portone d’ingresso ha una sua imponenza, ma non suscita particolare

curiosità; i visitatori del museo si sono documentati in precedenza e, quindi, ne conoscono molto bene il numero civico. Internamente, invece, il Palazzo è molto ampio e articolato; opera dell’architetto Ferdinando Fuga che, ispirandosi alla reggia francese di Versailles, realizzò anche una scalinata centrale a doppia rampa, aperta su un magnifico giardino all’italiana che, oggi, è divenuto l’Orto Botanico. Nel 1883, infatti, sia il palazzo sia l’annesso giardino vennero ceduti allo Stato italiano dal principe Tommaso Corsini. Oggi, oltre ad essere la sede dell’Accademia dei Lincei e della Biblioteca Nazionale dei Lincei, accoglie, in una piccola zona del piano nobile, la quadreria composta di trecento dipinti, di molte sculture e rari oggetti di arredo, inseriti in otto ambienti finemente decorati. Le opere, presenti nello spazio museale, sono state eseguite, anche da artisti di una certa fama, tra il XV e il XVIII sec. e documentano, essenzialmente, personaggi o fatti che rimandano alla religione cattolica; non mancano, però, nature morte e riferimenti mitologici. Quasi in tutte le sale, le immagini della Madonna e di Gesù Bambino attraggono lo sguardo dell’astante suscitando, però, emozioni contrastanti. Intima quotidianità, semplicità negli arredi, negli abiti e nei gesti che sembrano essere stati interrotti dall’arrivo dello spettatore in “La Madonna del latte” di Murillo (1618-1682). Scena intima e quotidiana anche in “Madonna con Bambino” di Gentileschi (15631639); dagli sguardi intensi e dialoganti, trapela tutto l’umanissimo affetto che lega una madre a un figlio. Non più tratti popolani, né folti capelli corvini ma lineamenti del volto delicatissimi, un roseo incarnato illuminato da chiari occhi sognanti, lontani; ricche vesti, nobile postura in ”Madonna con Bambino”, di Andrea del Sarto (1486-1530). 7


Gemito e gli artisti dell’800

Sculture e dipinti di un mondo ormai perduto di Maria Chiara Lorenti

Enrico Coleman, “Speculum Dianae - Lago di Nemi”, 1909

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ino al primo marzo, all’interno della mostra “Artisti dell’ottocento: temi e riscoperte”, c’è uno spazio dedicato a Vincenzo Gemito. Due sale che racchiudono un compendio dell’arte di questo grande scultore napoletano, facente parte della collezione permanente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma Capitale. Disegni, cere, terracotte, argenti,

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gessi e bronzi, una produzione che va dal 1870 al 1920, Gemito dal verismo prettamente napoletano alla rivisitazione dell’arte classica e post classica. In esposizione si possono ammirare opere di mirabile fattura, oltre che di inestimabile valore, come la raffigurazione di due scugnizzi, in cera, I pescatorelli, assisi su scogli scivolosissimi, in precario equilibrio,


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dedicato a

Pagina adottata da: Paolo Boccardi che trattengono tra le mani un guizzante pesciolino. stava per diventare omicida”... “Che curiosa natura”, Oppure si rimira stupiti la meravigliosa coppa nuziale commentò Scoppetta “Scoppè, voi lo chiamate curioso; “Flora”, terracotta con applicazioni in cera, per poi chillo me steva accedenno! ”. citare il gesso di un busto di fanciulla napoletana, La mostra, però, è incentrata sull’arte della seconda bella, misteriosa giovane donna dai tratti fisiognomici metà dell’ottocento, sino a raggiungere il primo spiccatamente partenopei, è il tipico esempio dell’arte novecento. Una carrellata di artisti, più o meno noti, che del ventennio. Tra i bronzi, il busto di Giuseppe Verdi rappresentano quel mondo culturale di passaggio tra i cattura l’attenzione per la posa intima ed introversa due secoli. Sartorio, Morbelli, Costa, Morelli, Michetti, che assume, così diversa da quella pubblica, enfatica per non tralasciare Rodin e Leroux, sono tra coloro e trionfale, che di solito siamo abituati a vedere. La che in mostra si distinguono per i temi trattati: l’arte seconda sala è completamente dedicata ad Alessandro a Roma, dove l’urbe ed il suo hinterland sono presenti Magno, medaglioni, mezzobusti, e persino un cavallo con oli e sculture che delineano le varie correnti di in legno perfettamente scolpito, con tutte le giunture quegli anni nella capitale; la visione e sentimento del snodate, per potergli far assumere ogni posizione, nord, dove sono i pittori settentrionali ad essere presi preparativi abortiti per una monumentale opera in esame, ai loro ameni paesaggi si contrappongono dedicata al grande condottiero, ossessione che lo le sculture, tra cui un autoritratto in marmo bianco di accompagnò negli ultimi anni della sua tormentata vita. Adolfo Wildt che si raffigurò come una maschera del Abbandonato alla nascita dolore, il volto, così lucido nella ruota dell’Annunziata, da sembrare plastico, fu adottato e viste le sue stravolto e deformato da innate doti artistiche, una smorfia spaventosa; fu istradato agli studi atmosfere meridionali, accademici, dove affinò che trattano di artisti il proprio talento, che provenienti da Napoli, ben presto lo portò alla o influenzati dalla sua notorietà. Una vita ricca scuola, da Gigante ai di successi lavorativi, ma fratelli Palizzi, da Altamura nel 1887 venne ricoverato a Michetti, fino ad arrivare per un breve tempo in a Ximenes con la bellissima Ecce mater, realizzata manicomio, uscito, si ritirò in pietra refrattaria; con nella sua casa per ben 22 ritratto, si entra in un anni. mondo dove la pittura è Nel libro di Carlo Siviero posta in contrapposizione “Questa era Napoli”, alla fotografia, ed allora si racconta un curioso diviene più accessibile, e episodio capitato a Don i soggetti ritratti hanno Achille Minozzi, amante una connotazione più dell’arte ed appassionato psicologica, tra tanti, cultore di Vincenzo Gemito, il ritratto di Ximenes nell’ambito di una delle sue Vincenzo Gemito, “Busto di fanciulla napoletana”, dipinto da Corcos e quello frequenti visite all’artista; 1913-1922 di Fattori effigiato da durante una delle tante disquisizioni mitologiche che punteggiavano il suo Micheli sono i più affascinanti, il primo per l’eleganza lavoro, a cui pretendeva la massima attenzione, “... e la pulizia esecutiva, mentre il secondo è riuscito spesso, per la vivezza del racconto, coi gesti e le paro le a catturare l’essenza della toscanità del pittore delle concitate assumevano aspetti di realtà. Vigile, senza grandi battaglie; con classicismo e richiamo all’antico, perdere un solo accento degli intricati discorsi, Don dove il mondo classico è riprodotto in tutta la sua Achille si teneva pronto alle inopinate interrogazioni opulenza, diciamo che Alma-Tadema fece scuola a dello scultore che certe volte, a bruciapelo, gli molti, e intimismo, quotidianità, scene di vita popolare, chiedeva: “Che stò dicenno?” e guai a non rispondergli ove la campagna ed il lavoro sono i soggetti di questa a tenore. “Una volta ci raccontava Minozzi, preso dalla sezione della mostra, e la concludono. stanchezza, mi assopii. Gemito, in punta di piedi, Quindi c’è tempo sino al 14 giugno per visitare questa andò a cercare un grosso mazzuolo: lo aveva levato esposizione alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, sita per assestarmi un colpo sul capo, quando la moglie, in un antico convento più volte rimaneggiato, a via Nannina, alle spalle, gli strappò dalle mani l’arma che Crispi, nel cuore della città. 9


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occhio al libro

Slavoj Zizeck “Il Trash sublime” di Giuseppe Chitarrini

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ltre a un appropriato e puntuale saggio introduttivo (”L’arte contemporanea e il negativo”) di Marco Senaldi, questo volumetto raccoglie tre interventi di Slavoj Zizeck, uno dei massimi filosofi contemporanei. Il primo è quello che dà il titolo al libricino “Il Trash sublime” dell’anno 2000, segue “Il parallasse architettonico” del 2009 e “L’ insostenibile leggerezza di essere nessuno” del 2010. Tre brevi saggi nei quali il filosofo slavo esamina alcuni problemi e interrogativi che la dimensione artistica del vivere umano oggi ci pone. Fra le diverse argomentazioni riportate, mi è parsa interessante – senza togliere nulla alle altre - quella riguardante l’accelerazione che il processo di deistituzionalizzazione dell’arte, in corso da circa un secolo, sta subendo in questi ultimissimi anni, soprattutto per quel che riguarda la rilocazione

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Pagina adottata da: “PendolArt” materiale e simbolica del prodotto artistico. Non si tratta di nuovi e più o meno alternativi spazi e contenitori che ospitano il prodotto, l’oggetto artistico, il suo collocarsi espositivo o le infrastrutture artistiche: aste, musei, rassegne, eventi, il supporto cartaceo (riguardo l’arte letteraria) che sta sostituendosi con forme ipertestuali e plurivisuali ecc ecc. Si tratta piuttosto del fatto che questo de-localizzarsi e ri-localizzarsi del prodotto artistico induce, tra l’altro, anche a uno scarto e a una simmetrica contraddizione fra il recepire e il fare-produrre arte. Quante volte abbiamo pronunciato o sentito la frase per metà stizzita e per metà irrisoriamente stupita: ”… e questa sarebbe un’opera d’arte? ”, pronunciata di fronte a un prodotto (o a una sua riproduzione) definito ‘artistico’, ma insolito, paradossale, trash ed eterodosso: la ‘ruota’ o ‘l’orinatoio’ di Duchamp, ‘l’oggetto d’arte’ del dadaista Picabia, il graffito sul muro, il prodotto escrementizio di Manzoni ecc ecc. Tutte esperienze ‘creative’ che si collocano fuori statuto e cortocircuitano il concetto stesso di arte; esperienze spesso autoreferenziali ed esteticamente irricevibili per il grande pubblico, il quale però, paradossalmente, mai come in questi ultimi decenni, si mostra interessato all’arte, frequenta mostre, si coinvolge e si documenta, la produzione tende ad essere sempre più serializzata e massificata entrando nella vita quotidiana di ciascuno. Sicuramente il tutto è attribuibile alla pervasività iperconsumistica del mercato in sè che però, nel caso dell’arte, si trova a percorrere nuovi labirintici percorsi, che invece del bello e del piacevole veicolano l’eccesso trasgressivo, lo spaesamento, lo shock radicale, l’orrore (Cfr. P. Virilio e E. Baj “Discorso sull’orrore dell’arte”, Eleuthera, Milano 2002). Shock che in quanto tale produce assuefazione, richiedendo così, per riprodursi, una nuova dose aggiuntiva di eccesso spaesante, un rialzo continuo del limite, rinviando così sempre più al subliminale, all’incomprensibile, al trash. L’arte e l’estetica si sono allontanate, portando a termine un processo iniziato con le avanguardie novecentesche; interesse dell’arte è creare sensazioni ed emozioni, mentre l’estetica in senso proprio emigra verso nuove dimensioni fantasmatiche, trovando, sopratutto nella feticizzazione delle merci e nella pubblicità nuovi spazi: i modelli neoclassici, le modelle eteree e preraffaellite, i paesaggi estremi, i raffinati effetti vintage, effetti flou, esotismi di vario tipo, esuberanze cromatiche ecc. Insomma “a lla de-estetizzazione dell’arte corrisponde una estetizzazione sempre più esasperata del mondo delle merci ”(p.20), mentre l’universo artistico è culturalmente accerchiato su più fronti e sempre più indistinto al di qua e al di là del limite.


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cinema

Frida

“A cosa servono i piedi se ho ali per volare?” di Giulia Gabiati

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rida, è il film ispirato alla biografia dell’ omonima pittrice scritta da Hoyden Herrera. Diretto da Julie Taymor, il film è uscito per la prima volta nelle sale nel 2002. Interamente girato in Messico, racconta la vita della pittrice messicana Frida Khalo, interpretata dalla meravigliosa Salma Hayek. Una personalità fuori dal comune per una donna dei suoi tempi, profondamente femminile nell’ animo, ma allo stesso tempo di una temperanza e di una forza incredibile. Come si evince chiaramente dalle prime scene del film, la sua carriera di pittrice è indelebilmente connessa a ciò che le accadde quando aveva solo diciotto anni. Era il 17 settembre 1925 e l’ autobus, sul quale Frida si trovava ritornando a casa dalla scuola, si schiantò contro un tram. Fu un incidente terribile che la porterà, in un secondo tempo, ad una condizione di quasi totale immobilità per nove lunghi mesi, a causa di una frattura alla vertebra lombare. Ed è proprio in questo arco di tempo che inizierà a dipingere. Anzi a dipingersi.“ Dipingo me stessa perché trascorro molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio .” Un sentimento di solitudine

Pagina adottata da: “Bellalavita” fortemente comunicato dai suoi ritratti, sicuri e marcati, ma allo stesso tempo accostati a sfondi profondamente malinconici. Stanze vuote e fredde, paesaggi desolati. Ma qualcuno riempirà presto la sua vita. Dopo la sua convalescenza, ritornata a camminare, se pure con grande difficoltà, Frida andrà alla ricerca del famoso pittore messicano Diego de Rivera che, impressionato dal suo talento, le consiglierà di continuare con i suoi lavori. E da una forte amicizia e da una forte stima professionale non tarderà a nascere qualcosa di più importante. Si sposeranno dopo solo sei mesi, travolti da un grande amore che sarà tanto profondo quanto sofferto per la pittrice. “ Ho subito due gravi incidenti nella vita: il primo è stato quando un tram mi ha travolta, il secondo è stato Diego .” Attraverso la fantastica interpretazione di Alfred Molina comprendiamo quanto il suo cuore fosse legato a quello della pittrice,ma in ogni caso destinato a scontrarsi con il suo modo di essere, fino alla fine. Egocentrico e amante delle donne, tradirà più volte sua moglie che, pur conoscendolo fin dall’ inizio, non aveva mai smesso di sperare che potesse esserle fedele. Diego era stato tutto per lei, un amico, un padre, l’ universo intero, ma mai fino in fondo suo marito. La loro relazione, seppur interrotta, non vedrà mai una fine definitiva se non con la prematura morte di Frida nel 1954. Una vita difficile quella di Frida Khalo, tanta tristezza contorna gli occhi dei suoi ritratti e dei suoi dipinti. Essi ce la raccontano e, come dei punti e virgola, segnano il passaggio da una scena all’ altra del film. Anno dopo anno, tradimento dopo tradimento è tutto lì indelebilmente rappresentato. La sua capacità di ironizzare sulla morte, e sulle sue continue disgrazie la rendono un personaggio unico. E se è vero che le sue opere sono il frutto di un “incidente”, è altrettanto vero che grazie alla sua forza tutta questa sofferenza è stata ripensata per qualcosa di meraviglioso.

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curiosART

Paesaggi dipinti L’inverno

di Cristina Simoncini

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’iconografia paesaggistica si sviluppò tardi rispetto agli altri generi di pittura. Il quadro “La tempesta” di Giorgione (Castelfranco Veneto 1477/78 - Venezia 1510), viene considerato il primo paesaggio della storia dell’arte occidentale eseguito ad olio e fu creato agli inizi del Cinquecento. I pittori veneti, seguendo l’esempio di questo maestro, diedero da subito più importanza alla natura nei loro dipinti, ma la pittura toscana, che imperava nel XVI secolo, la ignorò completamente. A Roma, verso gli ultimi anni del Cinquecento, i fratelli fiamminghi Bril, Mattheus e soprattutto il più conosciuto Paul, preannunceranno in anticipo l’arte paesaggistica che solo nel Seicento incomincerà a prendere piede. Essi raffigurarono vedute con ponti e porti che daranno vita ad un mondo agreste di grande naturalezza e la loro arte catturerà l’interesse di molti altri artisti, come Lorrain e Poussin, i quali, nel XVII secolo, fecero scuola a tutti i pittori del loro tempo nel campo paesaggistico. Si dovrà però aspettare il diciottesimo secolo per vedere comparire i primi soggetti raffiguranti la natura priva della presenza di dei mitologici, esseri umani o animali. Gli artisti tedeschi, Anton Doll (1826-1887), Frederik Marinus Kruseman (1816-1882) e Barend Cornelius Koekkoek (18031862), videro l’inverno come un momento di gioia e di divertimento. Fiumi e laghetti ghiacciati, che diventavano piste di pattinaggio, piacevano molto alla gente e per questo se ne diedero interpretazioni favolistiche. Ma non tutti i pittori rappresentarono la neve solo come una un’allegra fata, molti, al contrario, trasformarono la sua bellezza in un violento e travolgente moto della natura che può anche far paura. Turner immortalò il vortice di una tormenta di neve che circonda una piccola nave sul mare, la quale rimane in balia della forza dei venti. L’artista François Régis Gignoux (1816- 1882), dipinse le cascate del Niagara in tutta la loro sfolgorante bellezza quando d’inverno sono ricoperte dal ghiaccio, senza però trascurare di dare allo stesso tempo l’impressione del terrore che la loro grandezza può infondere nella stagione più fredda dell’anno. I pittori impressionisti Sisley, Monet e Gauguin, puntando unicamente alla ricerca degli effetti di luce sulla neve, donarono ai loro paesaggi innevati una maliconia struggente. Fecero altresì vivere nelle loro tele il senso di impotenza che la neve, bloccando la viabilità delle strade, causa suo malgrado. Adrianus Eversen (1818-1897) e il danese Fischer Paul (18601935), ci mostrano, nei loro dipinti, scorci cittadini innevati con la gente che si arraggia come può per affrontate la rigidità del clima. L’inverno, visto in modo favolistico o con la durezza che a volte sa portarci, venne raffigurato in tutte le sue forme nuove nel XIX secolo. Nel Novecento la novità consisterà nella ricerca degli artisti per dare al paesaggio aspetti fuori del comune; essi usarono la scomposizione del disegno iniziata da Picasso con il suo Cubismo e proseguirono gli studi sugli effetti coloristici nei rapporti tra colore e luce incominciate dagli impressionisti e dai post-impressionisti. Fonti: www.pitturaomnia.com

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Anton Doll

Fischer Paul

Claude Monet

François Régis Gignoux


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architettura manga

Il quarto potere

La forza della fantascienza argentina di Valerio Lucantonio

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uan Gimenez torna ad essere pubblicato da Magic Press, dopo l’epopea de “La casta dei metabaroni”, (stavolta sarà lui stesso ad occuparsi anche dei testi, ed infatti la mancanza di Jodorowsky si fa sentire in qualche passaggio), con la tetralogia de “Il quarto potere”, che rimane fedele all’opera citata precedentemente sia per il genere sia per la qualità eccelsa delle tavole. Gimenez delinea un universo futuristico non troppo diverso da quello dell’Incal, in cui seguiremo le avventure del progetto QB4, ovvero l’unione di quattro spiriti dotati di poteri extrasensoriali dentro al corpo di una donna, Gal. Questo potente essere, capace di muoversi nello spazio aperto e di plasmare la materia, ci darà modo di vedere vari aspetti del mondo immaginario di Gimenez, che è semplicemente l’esasperazione di quello contemporaneo a seguito dello scorrere del tempo: esperimenti oltre i limiti etici, società pregne di crimine e violenza, guerre nate da differenze razziali e spettacoli che inscenano autentiche guerriglie per ottenere ciò che fa più audience, cioè il sangue, sono aspetti quotidiani tanto della nostra vita quanto di quella di QB4, come si addice alla tipica critica sociale presente da sempre nel genere sci-fi. Una lettura consigliata agli amanti del suddetto, o più generalmente agli estimatori della vera e propria maestria creativa e raffigurativa, della quale Gimenez è sicuro uno dei più esperti esponenti.

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monumenti

Anzio: Monumento ad Angelita e a tutti i bambini vittime di tutte le guerre di Laura Siconolfi e Maurizio Montuschi ANGELITA DI ANZIO Angelita Ti saresti chiamata Angelita Angelita Angelita Volevamo chiamarti Angelita Angelita Sbarcammo ad Anzio Una notte Oh oh,oh oh C’era soltanto la luna ed un pianto di bimba. In fondo al suo sguardo di mare c’erano ancora le favole e quattro conchiglie ripiene di sabbia stringeva una piccola mano ………………….

Entrammo in Anzio e fu l’alba con il fucile sul braccio e la bimba con noi. Aveva i capelli di grano ed una voce di passero. Le quattro conchiglie ripiene di sabbia Stringeva la piccola mano ………….. Che alba grigia su Anzio! Scese improvviso fra noi Un silenzio di bimba. Da quel suo sguardo di mare eran fuggite le favole ma quattro conchiglie ripiene di sabbia restavano nella sua mano. …………………………………….

Il testo, riportato quasi integralmente, è una canzone contro la guerra, scritta nel 1964 ed eseguita da “Los Marcellos Ferial”, un trio canoro, che ne decretò il successo anche fuori dai confini italici. Le toccanti e poetiche immagini che scorrono davanti ai nostri occhi, traggono ispirazione da una vicenda reale o possibile che, durante la seconda Guerra Mondiale, “è accaduta” ad Anzio, durante tutte le guerre di ieri e di oggi, in altri luoghi, perché sempre i bambini ne sono le vittime più innocenti. Quante immagini di piccoli-adulti, che piangono con il terrore e la disperazione scolpiti sui volti increduli, scorrono davanti ai nostri occhi e alle nostre coscienze! Tante, troppe, continuamente! Su quante spiagge desolate, tra quali macerie, dei ricordi e degli affetti, si aggirano “i capelli di grano” dei nostri giorni? In un mondo grigio, tetro che, nel suo avanzare, spesso, genera assuefazione. Il 22 Gennaio del 1944, alle 2,45, avvenne il famoso “Sbarco di Anzio”; gli Alleati occuparono, con il loro imponente schieramento bellico, il tratto di costa che va da Torre Astura a Tor San Lorenzo: è realtà, è un fatto innegabile, avvalorato da foto, ritrovamenti, uomini. Anche i bombardamenti dei giorni successivi sono stati reali; “I brandelli di muro” avevano preso il posto delle case; tanti erano fuggiti, tanti erano morti, alcuni vagavano, come anime in pena, nelle vie, nelle piazze, in riva al mare: uomini, donne, bambini. Proprio su una spiaggia, di notte, alcuni giovani soldati, mentre si aggiravano guardinghi, videro una bimba, sola, in lacrime, terrorizzata. Non parlavano la sua lingua, ma seppero confortarla ugualmente; non conoscevano il suo nome, la chiamarono Angelita; cercarono di proteggerla, di salvare la sua giovane vita, ma invano. Questa è la ricostruzione fatta dal soldato Hayes che, dopo venti anni dalla fine della guerra, scrisse al consiglio comunale di Anzio, anche per avere notizie del corpicino dilaniato della piccola, di cui, in realtà, nessuno seppe dare notizie. Nel 1979, il 22 gennaio, sulla Riviera Mallozzi, di fronte al mare, la città di Anzio dedicò una statua di bronzo, eseguita dallo scultore Sergio Cappellini, raffigurante una bambina di nome “Angelita”, in

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Sergio Cappellini , “Angelita di Anzio”, 1979 ricordo di tutti i bambini vittime di tutte le guerre. La scultura aerea e gioiosa, appoggiata su di un basamento, a tre piani, rappresenta un esile corpo di bimba, circondato da cinque gabbiani con le ali dolcemente spiegate. Vogliono proteggerla? Vogliono portarla in volo, lontano dalle brutture della guerra? Le parlano di un paese lontano, in cui ogni bambino può vivere, fino in fondo, la propria infanzia? Le raccontano una fiaba, le sussurrano i versi di una poesia che parla d’amore, di solidarietà, di armonia tra tutte le creature terrestri? Non è possibile rispondere con certezza ma, il sorriso che illumina il volto innocente, rivolto verso l’alto, le braccia protese verso i generosi volatili, il piedino sospeso, ci comunicano, senza ombra di dubbio, che la bimba vuole librarsi verso il cielo, abbandonare, quindi, la terra luogo, troppo spesso, d’indicibili crudeltà.


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Aprilia

“Passaggio”, dipinti di Maura Tagliavini e Mirna Mascherino Mercato coperto, fino al 20 febbraio “Vita vissuta” mostra personale di Graziella Dell’Unto Ristorante “La bella Napoli”, fino al 25 febbraio

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Roma

Secessione e avanguardia. L’arte in Italia prima della Grande Guerra 1905-1915 GNAM, fino al 15 febbraio La Collezione Gemito (articolo a pagg. 8-9) Galleria d’Arte Moderna, Cortile Aldrovandi, fino al 15 febbraio Body Worlds. Il ciclo della Vita SET, Spazio Eventi Tirso, via Tirso 14, fino al 15 febbraio ZERO Galleria d’Arte Moderna, Cortile Aldrovandi, fino al 15 febbraio Maurits Cornelis Escher Chiostro del Bramante, fino al 22 febbraio “Quadri d’interno” di Federico Pietrecca SMART, p.zza Crati, fino al 28 febbraio FOOD. Il futuro del cibo Palazzo delle Esposizioni, fino al 1 marzo “Più di una volta, più di una storia” di Davide Bramante Galleria Anna Marra, fino al 7 marzo “Glumba Skzx” Galleria Exelettrofonica, fino al 7 marzo “PAIS del cinema” (articolo a pag. 5) Museo di Roma in Trastevere, fino al 8 marzo Mario Sironi 1885 - 1961 Complesso del Vittoriano, fino al 8 marzo Fotografia di Roma dal 1986 al 2006 Museo di Roma, fino al 8 marzo Fotografie di Roma dal 1986 al 2006 Museo di Roma, Palazzo Braschi, fino al 8 marzo “Veil of freedom” di Francesca Montinaro Galleria Erica Fiornetini, fino al 15 marzo Beverly Pepper all’Ara Pacis Ara Pacis, fino al 15 marzo History of FILM Casa del Cinema, fino al 15 marzo “Frontiers” di Cyril de Commarque MACRO, fino al 15 marzo “The future is now” MAXXI, fino al 15 marzo

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Eventi

Lina Bo Bardi in Italia (articolo a pag. 4) MAXXI, fino al 15 marzo “Spatien” di Katharina Hinsberg Galleria Marie-Laure Fleisch, fino al 21 marzo Mario Dondero Museo Nazionale Romano, fino al 22 marzo “I vestiti dei sogni” (articolo a pag. 5) Palazzo Braschi, fino al 22 marzo “A historica masturbators”, di Eddie Peake Galleria Lorcan O’Neill, fino al 27 marzo “Unedited history” MAXXI, fino al 29 marzo “Frontiers” di Cyril de Commarque MACRO, fino al 15 marzo “Fiber Art”, collettiva Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Pololari, fino al 12 aprile Bruno Liberatore Mercati di Traiano, fino al 12 aprile “Roma e la Grande Guerra” Museo di Roma, fino al 30 aprile “Bellissima” (articolo a pag. 6) MAXXI, fino al 9 maggio “Le chiavi di Roma. La città di Augusto” Museo dei Fori Imperiali, fino al 10 maggio “Batôn-Serpent” di Huang Yong Ping MAXXI, fino al 24 maggio “Artisti dell’ottocento: temi e riscoperte” (articolo a pagg. 8-9) Galleria d’Arte Moderna, fino al 14 giugno “La Roma di Ettore Roesler Franz” Museo di Roma in Trastevere, fino al 28 giugno “L’età dell’angoscia - Da Commodo a Diocleziano” Musei Capitolini, fino al 4 ottobre

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Venezia

La Divina Marchesa. Arte e vita di Luisa Casati dalla Belle Époque agli Anni folli Palazzo Fortuny, fino all’ 8 Marzo 2015

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Vicenza

“Tutankhamon Caravaggio Van Gogh” Basilica Palladiana, dal 24 dicembre 2014 al 2 giugno 2015


San Ysidro, California, 1979. © Alex Webb/Magnum Photos/Contrasto

“A occhi aperti. Quando la Storia si è fermata in una foto”

Fotografie di Abbas, Gabriele Basilico, Elliott Erwitt, Paul Fusco, Don McCullin, Steve McCurry, Josef Koudelka, Paolo Pellegrin, Sebastião Salgado, Alex Webb in mostra all’AuditoriumExpo dal 21 febbraio al 10 maggio 2015. Potete trovare la vostra copia di “Occhio all’Arte” presso i seguenti distributori:

Aprilia: Biblioteca Comunale (Largo Marconi), Comune di Aprilia - Palazzo di vetro (p.zza dei Bersaglieri), edicola di p.zza Roma, Casa del libro (Via dei Lauri 91), Abbigliamento Alibi (via Marconi 52), Banca Intesa (via delle Margherite 121), edicola di Largo dello Sport, edicola di p.zza della Repubblica, teatro Spazio 47 (via Pontina km 47), palestra Sensazione (via del Pianoro 6), Ottica Catanesi (Largo Marconi 8), Bar Vintage (via Di Vittorio) Lavinio mare: Bar Lavinia (p.zza Lavinia 1) - Anzio: Biblioteca comunale (Comune di Anzio) Nettuno: F.lli Cavalieri (P.zza IX Settembre) 16


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