Occhio all'Arte (settembre 2015)

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A cura dell’Associazione Arte Mediterranea - anno IX N° 86 settembre 2015

Mensile d’informazione d’arte

www.artemediterranea.org

nDedicato a:

Valeria Corvino Valeria Corvino, “Myself I”, 1999

in mostra: n Manzù. Le donne

e il fascino della figura

serie TV: n G. Martin: Come ho creato il Trono di Spade

attualità: n Palmira una “sposa del deserto” per mercanti e viaggiatori


Sono in distribuzione la 1a e 2a lezione del DVD sulla pittura ad olio Per sponsorizzare “Occhio all’Arte”

Telefona al 347.1748542

• • • Redazione Maria Chiara Lorenti, Cristina Simoncini, Giuseppe Di Pasquale, Eleonora Spataro, Stefania Servillo Mensile culturale edito dalla Collaboratori Associazione Arte Mediterranea Luigia Piacentini,Patrizia Vaccaro, via Dei Peri, 45 Aprilia Laura Siconolfi, Maurizio Montuschi, Tel.347/1748542 Greta Marchese, Giulia Gabiati, occhioallarte@artemediterranea.org Valerio Lucantonio, Martina Tedeschi, www.artemediterranea.org Marilena Parrino, Nicola Fasciano, Aut. del Tribunale di Latina Maria Centamore, Giuseppe Chitarrini N.1056/06, del 13/02/2007 Responsabile Marketing Fondatori Cristina Simoncini Antonio De Waure, Maria Chiara Lorenti Composizione e Desktop Cristina Simoncini Publishing Giuseppe Di Pasquale Amministratore Antonio De Waure Stampa Direttore responsabile Rossana Gabrieli Responsabile di Redazione Maria Chiara Lorenti

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Associazione Arte Mediterranea via Dei Peri, 45 Aprilia

Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell’editore

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Sommario

“Cosa è per me l’arte” Dismaland di Banksy Palmira una “sposa del deserto” per mercanti e viaggiatori Manzù. Le donne e il fascino della figura Lo Stato dell’Arte: l’Arte dello Stato Gli esperimenti percettivi di Olivo Barbieri Valeria Corvino Hellboy G. Martin: Come ho creato il Trono di Spade Animali nell'arte La lunga notte del Dottor Galvan Opere italiane in Russia L’oste di piazza Navona sul filo di china Dismaland: il luna park di Banksy


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dall’associazione

“Cosa è per me l’arte”

Pubblicazione di tutte le risposte di Antonio de Waure

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roseguiamo con la quarta pubblicazione degli articoli, corredati da disegni, degli allievi della scuola Pascoli di Aprilia, che hanno partecipato al concorso indetto dal giornale “Occhio all’Arte” - Associazione Arte Mediiterranea. La

direzione del mensile, dopo aver visionato i lavori degli alunni, ha deciso all’unanimità di premiarli tutti, per il loro impegno e per la loro creatività.

L’arte che disegna il mondo Il mondo è fatto di arte di Michela Miccoli , Giada Frappelli L’arte è riuscire a esprimere un’emozione è il mezzo con cui creiamo il mondo a nostro piacimento; ritrae il nostro io interiore. Pensiamo, viviamo secondo il nostro modo di essere grazie all’arte. Delinea il nostro agire il nostro fare il nostro pensare. Tutti sono artisti e ognuno esprime l’arte come meglio pensa perché ogni cosa è arte. In poche parole l’arte è l’unica cosa che ci accompagnerà per tutta la vita e che già ci accompagna. Ciò che ti fa pensare e riflettere sul vero senso della vita su ogni cosa che facciamo o emozione che proviamo non vivremmo senza di essa o senza aver assaporato il valore e il significato della vera arte, non esiste però una vera arte l’arte è essa stessa a modo nostro può essere tutto come niente anche il nulla è arte anche il silenzio lo è, come l’ amore , un’emozione una lacrima una sensazione, un fiore un albero un frutto un bambino un bambino che piange una persona che aiuta un’altra un punto un granello di polvere un’ora un minuto un secondo qualcosa di indescrivibile che proviamo dentro noi, questo è vita e l’arte è vita, parte della vita e l’arte lo è. ART FOR ME Cos’è per me L’Arte di Federica Farina & Noemi Meccariello Tutti parlano di Arte ed ogni giorno, nuovi artisti ritengono le loro opere “Opere Artistiche”. Ma coloro sanno davvero il concetto di: “Cos’è per me l’Arte?”. Ovviamente non esiste una risposta giusta o sbagliata, è soggettiva. <<Ogni bambino è un’artista.. il problema è poi come rimanerci quando si cresce..>>

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in mostra

Dismaland di Banksy

Un Luna park temporaneo tra cruda realtà e sarcasmo di Stefania Servillo

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anksy è un famoso street artist e le sue opere sono note ai più, anche se a volte non le si collega al suo nome; nonostante la notorietà c’è sempre un alone di mistero su di lui ed allo stesso modo, fino all’ultimo minuto prima dell’inaugurazione, una certa segretezza ha aleggiato intorno al suo ultimo show “Dismaland”. Dismaland a prima vista è un luna park, pseudo imitazione di una Disneyland in rovina. Si trova sul lungo mare di WestonSuper-Mare (Inghilterra) e più precisamente in un ex lido in disuso (il Tropicana, aperto nel 1937 e chiuso nel 2000). Inaugurato il 20 agosto 2015, è un parco giochi a tutti gli effetti ed allo stesso tempo più di questo (e non solo per via dell’aria lugubre). È presente lo staff, tutti con giacca catarifrangente rosa, con aria depressa e con orecchie da topolino (reclutati tramite annuncio su giornale, sono pagati dall’artista per il loro lavoro); esistono i biglietti, sono venduti tramite il sito dismaland.co.uk (e finora sono tutti stati esauriti in pochissimo tempo); ci sono le attrazioni e gli spettacoli. Ma ecco cosa lo rende speciale: all’ingresso si viene perquisiti, non una vera perquisizione con metal detector funzionante, e lo staff continua a ripetere che è vietato entrare coi i calamari; questa rappresentazione così irriverente dei sistemi di sicurezza aereoportuali già di per sé e fin da principio ci fa capire in che

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genere di luogo ci troviamo. A breve distanza si vedono fotografi in un angolo buio che fanno luce con i flash, stanno fotografando una carrozza a forma di zucca rovesciata, c’è stato un incidente e i cavalli e Cenerentola sono morti. La stampa si accanisce sullo scempio per avere una foto e anche i visitatori possono, ad un piccolo prezzo, avere una foto sul luogo della sciagura (i fotografi sono lì apposta!). Il parco è tutto così, tra una versione miniaturizzata dei barconi con i profughi in un laghetto insieme ai cadaveri alla vincita di pesciolini rossi morti, Banksy tratta tutti gli argomenti dell’attualità sottolineandone le brutture e le assurdità. Al progetto, senza mai incontrare di persona il nostro protagonista, hanno partecipato 58 artisti e le loro opere sono sparse in vari luoghi dentro Dismaland. Quello di cui si è parlato è il più ampio progetto mai realizzato da Banksy, e sarà visitabile sino al 27 settembre (36 giorni in tutto) ed è stato interamente finanziato dall’artista che non solo non guadagnerà nulla dalla vendita dei biglietti (3 sterline l’uno), ma probabilmente non rientrerà delle spese; questa immensa opera è audace, sarcastica, ma soprattutto vuole dare uno scossone alle coscienze, si spera che la sua ironia non annebbi il messaggio di base tanto caro all’artista.


Palmira una “sposa del deserto” per mercanti e viaggiatori

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attualità

Un’oasi ricca di arte e storia che sta perdendo la sua libertà di Giulia Gabiati

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n un’Oasi a nord est di Damasco e a sud ovest del fiume Eufrate si trova la città di Palmira, nota fin dal II millennio a.c. come Tadmor, il suo nome arcaico. Per un lungo tempo ha rappresentato un punto di transito per mercanti e viaggiatori che attraversavano il deserto dall’Occidente all’Oriente, una “sposa del deserto”, ed è stata da sempre al centro di mire espansionistiche, testimoniando il passaggio delle più importanti civiltà della storia. Un contagio culturale che ha visto fondersi uno stile architettonico grecoromano con le tradizioni persiane del tempo, rendendola affascinante ed unica nel suo genere. Il suo sito archeologico, dichiarato patrimonio dell’ Unesco dal 1980, oggi è parzialmente danneggiato in seguito alla guerra civile e all’ azione delle truppe islamiche che lo hanno conquistato insieme all’ intera città, facendo esplodere due dei templi più famosi e ben conservati: il tempio di Baalshamin risalente al II secolo d.c. e adibito anticamente al culto del Dio Mercurio, e quello di Baal, I secolo d.c. dedicato a Zeus. Ancora integro è il teatro romano edificato nella seconda metà del II secolo. Osservabili sono anche i resti del santuario di Nabu e le terme di Diocleziano, adornate di quattro colonne di granito egiziano. Tra le necropoli dislocate in varie parti della città, la più suggestiva è la “valle delle tombe” dove le cosiddette “case dell’eternità” assomigliano a delle torri. Una delle più importanti, quella di Elahbel risale all’ anno 103 d.c. Benchè la sua storia fosse nota, il sito e l’ oasi vennero visitate solo nel 1751 da una comitiva di disegnatori che 2 anni più tardi ne pubblicarono una interessante descrizione, ma le ricerche scientifiche dovettero attendere il XIX secolo. Sarà sopratutto con la presenza francese in Siria che inizieranno gli scavi per portare alla luce le meraviglie di questo lungo passato, scavi interroti in questo movimentato 2015 a causa della guerra. Originariamente alimentata da una fonte sulfurea, oggi la città, che nel suo significato letterale significa “Palma”, riesce a mantenere viva una fiorente oasi grazie al turismo e all’ agricoltura, o almeno era così fino allo scoppio della guerra civile. Le testimonianze più antiche circa la sua esistenza provengono da antichi archivi Assiri del XIX secolo a.c. quando era ancora una semplice città commerciale

nella grande rete che univa la Mesopotamia e la Siria settentrionale. La ritroveremo citata successivamente nella Bibbia, la cui storia si intreccia con quella del re Salomone, dopodichè cadrà nel silenzio fino alla dominazione greco-romana. Sembra che la città abbia mantenuto da sempre una grande autonomia pur essendo divenuta la Siria una colonia romana dal 64 a.c. La sua ricchezza e il suo ruolo cruciale nel collegare Persia, India, Cina e Impero Persiano viene messo in luce dallo scrittore Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia negli anni che videro succedere Nerone a Tiberio. Siamo nel 54-68 D.c, ma la città deve la sua fama sopratutto alla regina Zenobia, che ebbe l’ ambizione di voler sfuggire alla dominazione Romana autoproclamandosi nel 267 d.c. Augusta e Imperatrix Romanorum. La storia racconta infatti che lei stessa spinse suo nipote ad assassinare suo marito Odenato e il suo figliastro Hairan, assumendo il governo di Palmira che trasformò in una monarchia indipendente. Fautrice di una politica ostile all’ impero romano e favorevole al regno di Persia di Sapore I, guidò lei le sue truppe alla conquista di territori romani, annettendo l’ Egitto, la Bitinia, la Siria ed una parte di Asia minore ed Arabia. Il fatto che fosse lei a cavalcare in battaglia le valse il titolo di “regina guerriera”. La capitale sarà riconquistata da Aureliano e la sua regina processata. Infine saccheggiata diverrà una base militare per legioni romane. Fino al IV secolo abbiamo notizie della città a proposito di Diocleziano che decise di fortificarla per contrastare le mire dei Sasanidi (ultima dinastia indigena a controllare la Persia prima delle conquiste islamiche) costruendo un grande accampamento. Anche Giustiniano nel VI secolo contribuì a rafforzare la zona fortificandola, ma con la conquista araba nel 634 d.c. la città andrà progressivamente in rovina. Pur essendo stata trasformata in un palcoscenico del terrore, derubata della sua bellezza artistica, posta sullo sfondo di crimini terribili, nessuna barbarie potrà mai cancellare la sua storia fatta di imperatori, regine coraggiose, mercanti e stoffe preziose. Il tentativo di rimuovere del tutto le origini e le radici di intere civiltà, mettendo a repentaglio la loro identità, si rivelerà fallimentare finchè se ne conserverà la memoria. 5


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in mostra

Manzù. Le donne e il fascino della figura L’artista bergamasco in mostra ad Ostia Antica di Luigia Piacentini

Pattinatrice - Double Face, 1970, Bronzo

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’area archeologica di Ostia Antica è sempre pronta ad accogliere tutte le forme d’arte possibili e, ogni volta,questo splendido scenario incanta gli occhi ed il cuore. Perché questo sito trasporta il visitatore in epoche lontane, emozionandolo e facendolo anche sognare. Dalla scorsa primavera e fino al 6

novembre 2015, Giacomo Manzù, l’artista bergamasco trapiantato ad Ardea, ha un posto d’onore nell’antica colonia di Roma. Il grande scultore, da sempre affascinato dalla figura femminile, quando nel 1954 conobbe a Salisburgo Inge Schabel capì immediatamente che lei sarebbe stata la sua nuova musa, nonché compagna di tutta una vita, e da lei ebbe due figli. Manzù aveva 46 anni e l’eterea ragazza 17 e da quell’incontro l’artista cominciò la sua nuova vita, tanto da fargli dire: “Tutto ciò che ho creato in seguito lo devo a lei”. Il percorso della mostra si articola sia all’interno del Museo dell’area archeologica che all’esterno, dove le opere del Maestro si fondono con l’antichità del luogo. Il corpo femminile per Manzù doveva essere nudo, libero da ogni oggetto e dai vestiti, perché l’amore bastava ad ammantarlo. Giacomo Manzù si trasferì nel comune di Ardea nel 1964 e lì visse insieme alla sua famiglia fino alla morte, che lo portò via il 17 gennaio 1991, all’età di 82 anni. Ogni pomeriggio, nella Raccolta Manzù di Ardea, Inge Manzù porta un mazzo di fiori sulla tomba del grande Maestro ed è questa l’immagine che ritrae quell’amore puro, che Manzù ha sempre espresso nelle sue sculture. Museo e Area Archeologica di Ostia Via dei Romagnoli, 717 - 00119 Roma martedì - domenica 10.30-13.30 / 14.30-18.15 lunedì chiuso Informazioni 06 56368003-06 56358099

Lo Stato dell’Arte: l’Arte dello Stato Colmare le lacune – Ricucire la storia

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Florence Henri, “Portrait composition”, 1930

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l 25 maggio, nella sede del Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, è stata presentata la mostra “Lo Stato dell’Arte: l’Arte dello Stato – Le acquisizioni del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Colmare le lacune – Ricucire la storia”. Non sempre se ne parla e non tutti conoscono l’attività di acquisizione di beni e capolavori d’arte, sia da parte dello Stato, sia da parte di privati attraverso lasciti e donazioni. In realtà questo avviene in maniera continuativa e seguendo determinati criteri. L’esposizione romana intende spiegare le ragioni che spingono direttori e funzionari a scegliere ed acquistare specifiche opere d’arte e manufatti. E’ attraverso i beni comprati che si cercherà di far comprendere come ciò modifichi, integrandola una determinata opera, in un’epoca o in un luogo, in questo caso quasi sempre musei. Il caso più sorprendente della mostra è il Polittico degli Zavattari: il dipinto rappresenta un’importantissima testimonianza della pittura lombarda su tavola di metà Quattrocento. Cinque pannelli del polittico, diviso in momenti diversi, furono donati al Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo da Alessandro Contini Bonaccossi nel 1928. In seguito, grazie allo studio di Roberto Longhi, furono individuati altri due pannelli che sono stati acquistati dallo Stato in anni recenti, restaurati e ricongiunti al resto.


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fotografia

Gli esperimenti percettivi di Olivo Barbieri In mostra al MAXXI fino a novembre 2015 di Eleonora Spataro

MAXXI , BARBIERI “Lhasa Tibet”, 2000

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00 fotografie e sette sezioni ripercorrono il pensiero e l’opera di Olivo Barbieri, in mostra al MAXXI fino all’11 novembre 2015. La retrospettiva racconta, dagli anni Settanta ad oggi, di una ricerca, quella del fotografo, che indaga lo spazio urbano mettendone in discussione il concetto stesso di percezione, la capacità di vedere ed interpretare la realtà. Barbieri si serve di un linguaggio in grado di scardinare la fisicità dei luoghi. Dalle strutture millenarie agli edifici della modernità urbana, tutto si sgretola dietro l’ambiguità del plausibile in contrasto col reale. Il percorso inizia con un lavoro sui flipper ritrovati in una fabbrica abbandonata, icone del mondo moderno che diventano grottesche perché decontestualizzate. La provincia italiana degli anni Ottanta, ignorata dalla rappresentazione di giornali, riviste e televisione contemporanea, diventa protagonista della sezione successiva. L’obiettivo è il superamento dello stereotipo attraverso un rapporto enigmistico con lo spettatore che è chiamato a saper osservare le immagini. Il passaggio successivo si compie esplorando più di quaranta megalopoli del mondo con gli esperimenti sul fuoco selettivo

MAXXI, BARBIERI, “site-specific ROMA 04” degli anni Novanta. La città diventa una sorta di modellino. In mostra filmati e approfondimenti del lavoro del fotografo fino al 2014 insieme alle immagini che documentano la costruzione stessa del MAXXI.

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Valeria Corvino

Un racconto infinito di Dei e leggende di Maria Chiara Lorenti

Valeria Corvino, “TerraFuoco Acqua Aria”, 2007

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mmaginate Proserpina, rapita da Plutone, immortalata dal Bernini, nell’attimo in cui il dio degli inferi ne abbranca le carni marmoree, sfidando le leggi fisiche, lo scultore trascende la materia e la rende duttile, soffice come pelle delicata, il volto di lei si volge a gridare in cerca di aiuto, i boccoli si librano nell’aria accentuando il movimento di torsione del busto teso nello spasmo inutile di liberazione. Tutti conoscono questa meravigliosa opera, custodita nelle sale della Galleria Borghese, ma pochi hanno visto la versione pittorica di tale capolavoro, dove il pennello dell’artista, ne ha acceso alcuni particolari, come le labbra turgide, rosse come un frutto maturo, che evidenziano la sensualità della fanciulla, come non si evince dall’originale scultoreo. Autrice di questa trasposizione su tela è Valeria Corvino, pittrice napoletana che espone tra la sua terra d’origine e Milano e Roma.

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Amante della fotografia, sfrutta questa sua passione anche nelle composizioni delle sue opere pittoriche, l’occhio allenato a cogliere ogni piccola sfumatura la porta ad esaltare, attraverso il colore vivido e vibrante, le peculiarità del soggetto, l’espressività di un frammento del corpo, la sua intima essenza rilevata e rivelata da un tocco purpureo. La sua ispirazione è volta, quasi sempre, al mondo classico, con cui intrattiene un muto dialogo serrato, e dove attinge a miti e leggende, ove le gesta degli eroi ellenici si intrecciano con quelle meno giudiziose e più capricciose dei loro dei. Così Apollo nello sfiorare Dafne, nell’istante che precede il forzoso possesso, la prepotenza di un atto non consenziente, ecco la ninfa che si irrigidisce, ed inizia la trasformazione, il corpo si immobilizza radicandosi al terreno, le membra, distendendosi verso il cielo, si ramificano, le dita delle mani germogliano di foglie ombrose, lo sguardo si fa vitreo, così come l’ha


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dedicato a

Valeria Corvino, “Magma VII - <MI ami davvero? So che dirai di si e che io ti crederò>”, 2010 concepita il Bernini, ma la Corvino la reinterpreta, ammorbidendo le linee con un chiaroscuro più sfumato, accentuando quel distacco rassegnato che Dafne ha invocato per sottrarsi alle brame del dio del sole, solo la bocca ancora carnosa ne rivela le fattezze femminee, non ancora celate dalla dura corteccia. Affascinata dai grandi scultori del passato, trasforma i loro marmi in personaggi epici, come uno dei “prigioni” michelangioleschi che diviene Endimione, il bellissimo figlio di Giove e di Calice, concupito da Selene, la Luna, che innamorata lo condanna ad un sonno eterno, il corpo mollemente abbandonato, imprigionato dai lacci di sogni infiniti. C’è anche una citazione su Escher, sulle sue prospettive illusorie, “Myeself I” ne è la prova lampante: la bocca socchiusa dell’autrice racchiude una sfera ialina, all’interno il riflesso di se stessa e delle sue labbra che serrano la bilia in un gioco eterno di rimandi d’immagine.

Ma anche nelle opere di concezione originale, il richiamo alla mitologia greca è fortissimo, sarà, forse, perché l’ha assorbito col latte sin da piccola, l’ha udito dai racconti dei vecchi, l’ha respirato attraverso i luoghi dove è cresciuta, da sempre fa parte di lei, della sua educazione e della sua cultura. Abituata all’Ade perché ne aspira i fumi dei Campi Flegrei, vapori intrisi di zolfo e nitro, solfatare biancastre costellate da crateri ora orbi e ora sbuffanti sulla bocca dell’Averno, grotte magiche abitate da sibille che vaticinano i loro oracoli, sì Valeria Corvino conosce bene la materia e la sviscera, la reinterpreta e la ripropone nei suoi dipinti, con una sensibilità acuta e sensuale, uomini, donne, eroi e dei si raccontano, frammentati eppoi ricomposti, in un turbinio di emozioni che ci riportano ad un passato magico, mai dimenticato. 9


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cinema

Hellboy

Il cinecomic perfetto di Valerio Lucantonio direzione diversa senza però perdere il gusto del dark e dell’horror, grazie ad un uso magistrale di effetti digitali e non (uno dei maggiori pregi di Del Toro, che vedrà la sua massima espressione ne Il labirinto del fauno, capolavoro della sua filmografia), e allo stesso tempo aggiungendo ed esasperando la componente ironica. La maestria della regia nelle riprese, sempre dinamiche e curiose di scoprire e mostrare dettagli e punti di vista in puro stile fumettistico, contamina anche la fotografia (che sa in certe scene ricreare le luci e i colori delle tavole di Mignola) e il montaggio impeccabile delle sequenze, che non lascia mai calare il ritmo e l’attenzione dello spettatore. Va menzionato anche il buon lavoro svolto da Ron Perlman che, nonostante l’età, interpreta un Hellboy leggermente diverso dalla controparte cartacea, creandone un’alternativa validissima. Le uniche pecche della pellicola sono un antagonista che esce sconfitto dal confronto con quello delle graphic novel, lasciando un po’ d’amaro in bocca, e un finale forse troppo scontato che comunque porta già una possibile fine alla storia, anche se Del Toro da vero fan della serie, dopo aver già diretto il seguito nel 2008, sta cercando di realizzare la conclusione che potrebbe rendere questa trilogia di cinecomics la migliore mai fatta.

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opo essersi già cimentato in Blade II con il genere che pare spadroneggiare senza rivali negli ultimi anni, Guillermo Del Toro decide di non dirigerne il seguito per potersi dedicare ad un altro adattamento fumettistico, quello di Hellboy; e se con il lungometraggio precedente il regista messicano era riuscito ad estrapolare ciò che c’era di buono nella non molto brillante saga del Diurno e a farne un film d’intrattenimento di tutto rispetto, con questa nuova opera tocca livelli quasi mai raggiunti da altri “super hero movies”, grazie anche alle validissime premesse del fumetto di Mignola. Questo primo Hellboy però deve la maggior parte della sua qualità ad un saggio lavoro da parte del regista, che ha saputo barcamenarsi tra i compromessi con la produzione (inserendo forse a malincuore uno o due cliché, che sono gli unici difetti della pellicola) e ha creato un perfetto equilibrio tra gli elementi originari de “Il seme della distruzione” e quelli originali, inseriti da lui in sceneggiatura, che cambiano alcune dinamiche e mettono alcuni personaggi sotto una nuova luce, permettendo al fan di non trovare la semplice riproduzione di ciò che aveva letto su carta, e al neofita di potersi godere un film d’intrattenimento anche non sapendo niente del personaggio. La storia infatti inizia nello stesso modo, per poi prendere una

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serie TV

G. Martin: Come ho creato il Trono di Spade Gli anni novanta, i libri, la serie, il successo di Greta Marchese

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ato nel New Jersey nel 1948, George R. R. Martin è un signorotto dall’aspetto buffo per nulla riconducibile all’idea comune che si ha di uno “scrittore”. Incontrandolo per strada ci farebbe pensare certamente più ad un nostro vicino, o a quel lontano zio che non vediamo mai, se non in poche e rare occasioni. Ma l’apparenza inganna, perché è infatti nella mente di questo signore, apparentemente come tutti gli altri, che si annida e cresce l’appassionante groviglio di storie e personaggi che hanno letteralmente spopolato nella riduzione cinematografica de: Il Trono di Spade (Game of Thrones). Nate da un’idea casuale e quasi improvvisa, le Cronache del ghiaccio e del fuoco (A song of Ice and Fire) nascono a Santa Fe, nell’Iowa, negli appena trascorsi anni novanta e affondano le loro radici nel Fantasy. A quei tempi Martin, che scriveva fin da bambino, insegna al college ottenendo fino ad allora un discreto successo. Ma cos’è che lo spinge a prendere carta e penna per raccontare di sette regni lontani, di uomini in tutto e per tutto simili a noi benché accecati dalla smania di potere, di draghi e di altre creature misteriose? La morte prematura di un brillante scrittore, nonché un caro amico, segna senza dubbio una svolta nell’animo di Martin. Egli comprende che la vita è breve, e che non per questo il tempo è più clemente con chi ha un sacco di storie da raccontare. Così si apre la strada per una fulminea visione: <<Mi è arrivata dal nulla. […] stavo lavorando a un altro romanzo e all’improvviso ho visto quella scena. Non

apparteneva alla storia che stavo scrivendo, ma mi è arrivata così vivida che ho dovuto sedermi e scriverla>>. Pubblicate poi nel 1996, le Cronache sono solo il primo di cinque libri sui sette annunciati che hanno permesso alla serie televisiva di debuttare nel 2011 sul canale via cavo americano HBO, ottenendo un successo immediato. Per scoprire cos’è che tiene incollati allo schermo spettatori di tutte le età, non c’è altra soluzione: bisogna procurarsi cinquanta minuti di tempo libero e sedersi comodamente in poltrona. Con fervida immaginazione, Martin è riuscito a creare un vero e proprio microcosmo, mescolando in maniera irreversibile uomini e regni, verità e menzogna, bene e male, facendo inoltre un uso moderato dell’elemento magico (nella storia stessa si ritiene che le creature magiche siano ormai scomparse). Una mossa astuta che contribuisce a collocare il tutto non troppo lontano dalla realtà. Davvero molti sono i personaggi, alcuni amatissimi dal grande pubblico, che si affacciano continuamente sullo schermo, ridisegnando di volta in volta il punto di vista. A tal proposito lo scrittore confessa: <<È una cosa che ho preso in prestito da Tolkien […] Semplicemente, ho guardato il maestro all’opera e adottato lo stesso metodo>>. Insomma, attendendo la sesta stagione della saga (prevista per il 2016), non possiamo fare a meno di chiederci ironicamente se abbiamo di fronte un uomo in grado di intrecciare più trame di J. K. Rowling.

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curiosART

Animali nell'arte

I Dinosauri: Le “Terribili Lucertole” di Cristina Simoncini

Heinrich Harder (1858-1935) Henry De la Beche (1796-1855)

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ino al XVIII secolo nessuno al mondo sapeva che i dinosauri fossero mai esistiti. Il primo ritrovamento rilevante avvenne in Olanda nel 1770, quando apparve per caso il primo osso di dinosauro in una cava: si trattava di una grossa mandibola lunga un metro e venti centimetri. Non riuscendo ad immaginare a quale animale fosse appartenuta tale mandibola, né l’importanza che avrebbe avuto quella scoperta, fu venduta per pochi soldi ad un collezionista. Ulteriori ritrovamenti iniziarono poi a creare sempre più interesse in Europa tra gli appassionati di collezioni varie. Nel 1822 a Parigi e nel 1834 in Inghilterra furono portati alla luce altre ossa e denti di nessuna specie conosciuta sulla Terra e ciò suscitò curiosità non più solo nei collezionisti, ma anche negli scienziati, i quali compirono, da quel momento in poi, studi approfonditi sugli scheletri di quelle che si pensavano essere enormi lucertole. I paleontologi compararono i resti ritrovati con i rettili viventi e ben presto si accorsero delle enormi differenze, tanto che si convinsero a dare un nuovo nome a questi animali: i dinosauri (dal greco sauros =lucertole e deinos = terribili). Appariva ormai certo che delle creature mai viste dall’uomo erano comunque esistite, ma restava ancora il problema di ricrearne l’aspetto. Il primo a tentare di creare un’immagine di questi animali preistorici fu il geologo e paleontologo britannico Henry De la

Heinrich Harder (1858-1935)

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Beche (1796-1855), il quale disegnò nel 1830 i primi dinosauri acquatici. Ma si era solo all’inizio. Quando nel 1858 nel New Jersey fu trovato uno scheletro quasi completo, si scoprì anche l’esistenza di dinosauri bipedi che aprivano un altro scenario di forme sconosciute. L’America fu un vera e propria miniera per i ricercatori di dinosauri e venne creato anche un museo contenente tutte le specie ritrovate nell’Ottocento. Un giorno del 1890, il pittore americano Charles Robert Knight (1874-1953) si ritrovò al Museo Americano di Storia Naturale di New York e il direttore gli chiese di provare a dipingere l’intera fisionomia di uno dei loro scheletri di dinosauri. Inutile dire che, aiutandosi solo con dei resti di scheletro, gli fu necessaria tutta la sua fantasia per portare a termine un lavoro del genere. Egli però lo fece e il risultato fu talmente sorprendente che gli venne chiesto di dare un aspetto ad ognuno degli scheletri del museo. Knight fu impegnato fino al 1930 in quel museo e ottenne grande fama. La ricostruzione dei dinosauri immersi in una fauna preistorica ebbe un tale successo che, nel 1900, il produttore di cacao e cioccolata di Amburgo, Theodor Reichardt, fece realizzare 60 litografie al pittore tedesco Heinrich Harder (1858-1935) per realizzare una serie di carte da collezione da abbinare ai suoi prodotti. Fonti: www.pitturaomnia.com

Heinrich Harder (1858-1935)


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occhio al libro

La lunga notte del Dottor Galvan Daniel Pennac e il suo “romanzo teatrale” di Martina Tedeschi

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ammi il tuo biglietto da visita, e ti dirò chi sei”. La sua filosofia era un po’ questa qui: nome, cognome e titolo professionale su un cartoncino ben presentato, da porgere tra l’indice e il medio, bastavano per capire di che pasta uno era fatto. Bastava ad un medico per far colpo sui propri pazienti, infondergli fiducia e rispetto. Il Dottor Galvan, Gérard Galvan, fantasticava molto sul suo biglietto da visita, su come doveva essere lo stile della calligrafia e sulla stampa che preferiva leggermente in rilievo. Assolutamente non pacchiano, senza troppe informazioni, solo l’eleganza dell’essenziale. Insomma, era un chiodo fisso nella sua testa che lo disturbava anche al lavoro, tra una visita e l’altra nel caos del pronto soccorso della clinica universitaria, Postel-Couperin, dov’era ancora un tirocinante. Le sue notti di lavoro scorrevano ad un ritmo quasi intollerabile, si correva tra una lettiga e l’altra, paziente dopo paziente, tenendo testa a sintomi e traumi di ogni tipo, e l’abilità di un vero medico stava proprio nell’affrontare tutto questo con professionalità e sicurezza. E si sentiva così il caro Galvan, professionale e sicuro … forse troppo. È lui stesso a raccontarci la storia di una notte in particolare, la sua ultima notte da Dottore, e lo fa attraverso il ricordo di essa, vent’anni dopo. Quella domenica notte al pronto soccorso c’era l’inferno, e il Dott. Galvan correva come un forsennato sfogliando cartelle cliniche e occupandosi delle diagnosi più assurde. Tra suture, ecografie, crisi d’asma e qualche idea nuova per il suo famoso biglietto da visita, finalmente notò, seduto tra gli altri pazienti, un uomo che semplicemente “non si sentiva tanto bene”. Era bastato un attimo in più di attesa e quel paziente, fin troppo paziente, cadde a terra quasi morto. Da quel momento in poi fu per Galvan e i suoi superiori una vera odissea, una corsa contro il tempo per salvare la vita di un uomo da un male di cui non si riusciva a trovare la fonte; ogni diagnosi veniva confutata da un sintomo diverso subito dopo che la si prendeva per certa. Nessuno sapeva cosa fare, né il cardiologo, né l’urologo, né il primario di pneumologia. Ogni apparente soluzione portava alla scoperta di un nuovo problema e ormai la causa sembrava persa, fin quando il signor “non mi sento tanto bene”, sparì dalla sua camera per riapparire il mattino dopo, fresco di dopo barba, sotto lo sguardo attonito di tutti i primari e del Dott. Galvan stesso.

Scrittore francese della classe 1944, Daniel Pennac (pseudonimo di Daniel Pennacchioni) entra a far parte del mondo letterario già dalla cattedra di francese in un liceo parigino, dove lo troviamo, oltre che professore, autore di libri per ragazzi e di una serie di romanzi di successo incentrati sulla figura di Benjamin Malaussène. La sua carriera lo vede vincitore di vari premi letterari e riconosce, in alcuni dei suoi titoli più noti come “Signori bambini”, “Come un romanzo” e “Diario di scuola”, la naturalezza di un artista ironico e genuino, interessante da conoscere. La particolarità de La lunga notte del Dottor Galvan (2005) infatti, può dimostrare anche un pochino di versatilità del suo stile, tant’è che il romanzo è stato riadattato, più di qualche anno fa, in una rappresentazione teatrale, di stampo molieriano, che vede come protagonista in scena Neri Marcorè. Vero è che alcuni suoi fan sono rimasti interdetti dal finale del romanzo in questione, giudicandola una fine “nonsense”, una conclusione quasi “svogliata”. Accettando ogni tipo di opinione, saremo oggettivi sul fatto che il testo, lungo poco più di 70 pagine, scorre indisturbato insieme ad una serie di piacevoli sorrisi che rendono divertente e spensierata quell’ora di lettura.

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Opere italiane in Russia di Rossana Gabrieli

Il mosaico ha sempre occupato un posto privilegiato nella storia dell’arte italiana ed è presente sin dai tempi classici: dalla Roma antica all’Impero bizantino, questa preziosa e sofisticata forma artistica fa parte del patrimonio culturale dell’intera umanità. Ma non pensiamo che si tratti di un’arte tramontata, perché saremmo forse stupiti nello scoprire che ancor oggi nuovi artisti emergono e creano opere soprendentemente belle. E’ il caso di due artiste romane, Roberta Cigalino e Piera Fattibene, che realizzano mosaici originali e splendidi, al punto da essere ospitate, con le loro opere, durante l’estate 2015, alla “Mostra di Mosaici di Mosca”. Roberta Cigalino, dopo aver conseguito la laurea in Urbanistica medioevale nel 1988, inizia la sua esperienza lavorativa collaborando con la Roberta Cigalino, “Violinista” Soprintendenza Archeologica di Roma nelle attività di rilievi e restauri nel Foro Romano, Malborghetto e Settecamini; un workshop di mosaico, presso l’Officina delle Arti antiche di Santa Severa, fa da bridge verso la mosaicista Luigina Rech, da cui apprende ed approfondisce le tecniche del mosaico, prima presso lo studio Cassio, poi presso lo studio “Il Micromosaico”dove ha realizzato sia “Il violinista”, che ha partecipato alla precedente edizione della Mostra di Mosca, sia “Il ritratto” dell’edizione 2014. Attualmente prosegue il suo cammino artistico privatamente, presso il suo studio.

L’oste di piazza Navona

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Occhio al mosaico

Piera Fattibene, dopo la Laurea in Scienze dell’Informazione, frequenta corsi artistici prima di pittura e, successivamente, all’Officina delle Arti di Santa Severa, conosce la mosaicista Luigina Rech, in qualità di artista insegnante. Dopo questa esperienza formativa, durata alcuni mesi, ha proseguito il percorso intrapreso presso lo studio “Il micromosaico”, presso il quale ha realizzato “La Fanciulla di Sefforis”, “Tramonto sulle colline Daune” e “Momento di plenitudine” con le quali ha partecipato rispettivamente alle edizioni del 2013, 2014 e 2015 di Pictor Imaginarius Concorso Internazionale “L’Arte del Mosaico”. Nella edizione del 2015 l’opera “Momento di plenitudine” si è aggiudicata il terzo posto - premio della giuria - categoria emergenti. A Luglio 2015 ha partecipato all’iniziativa “Pictor Imaginarius Around the World - Mosaic in/on Music” a Mosca, con l’opera “Musical Plenitude”. “Il mosaico – racconta l’artista Piera Fattibene- rappresenta una sfida maggiore rispetto alla pittura: occorre grande precisione e la consapevolezza di non poter azzerare tutto con un colpo di spugna, in caso di errore”. Doti artistiche che alle due mosaiciste romane non mancano.

Piera Fattibene, “Musical Plenitude”

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la Roma insolita

di Minello Giorgetti e Nicola Fasciano

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oma rappresenta uno scrigno magico pieno di tesori ad ogni angolo che non sempre conosciamo o semplicemente non ne comprendiamo il significato. In questa rubrica vogliamo proporre, sia agli amanti dell’immenso patrimonio culturale della Capitale che anche ai turisti di passaggio che ne risultano attratti, una serie di tante piccole “chicche” sparse qua è là nel centro storico (ma non solo) che hanno una propria storia e un proprio vissuto degno di interesse. Non ci occuperemo, ovviamente, dei grandi monumenti, dei grandi palazzi o delle grandi opere di cui è disseminata questa splendida città e che necessitano di competenze artistiche che non ci vogliamo attribuire. Evidenzieremo, invece, la miriade di particolari originali, singolari, anomali, distribuiti ovunque e che difficilmente risultano conosciuti ai più e che, tra l’altro, in pochi si soffermano ad ammirare perché nascosti in angoli sconosciuti o semplicemente perché inseriti in giardini ricoperti da alberi. Come, ad esempio, la storia legata ad una maschera che si può trovare recandosi nella celeberrima Piazza Navona, alla destra del bar TRE SCALINI al secondo piano davanti al civico 34. Perché mai si trova lì e chi l’ha messa? Per scoprirlo dobbiamo risalire al periodo del pontefice Sisto V (1585-1590), ovvero il pontefice che fece costruire via Sistina e attuò una severa riforma fiscale il cui scopo era soprattutto di reprimere la corruzione e risanare le casse erariali. E per verificare che in città le sue iniziative fossero attuate, preferiva

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andarsene in giro in abiti borghesi, conoscendo quindi quale fosse il reale pensiero dei suoi sudditi verso il loro pontefice. Capitò quindi nell’osteria in prossimità di piazza Navona chiedendo del vino, precisamente un quarto di litro che si chiamava “mezza foglietta”. Questa era una misura appena introdotta su cui non solo era prevista una nuova tassazione, ma costringeva, come se non bastasse, l’oste a scendere più e più volte nella giornata in cantina per attingere alle botti e a servire il vino. Fu così che all’ennesima richiesta del finto avventore, se fino ad allora era riuscito a trattenersi, l’oste non ne potè più e prese a bestemmiare contro il papa e le sue leggi e spinse fuori in malo modo lo sconosciuto cliente dicendo: “ Và dal papa a farti dare un bicchiere di vino e se non ti fa pagare la tassa sul manico del boccale”. La mattina seguente l’oste trovò un patibolo montato davanti alla bottega. Ma non fece neanche in tempo a rallegrarsi per i probabili guadagni che gli avrebbe portato l’evento, quando, chiedendo alle guardie chi fosse il condannato, quelle gli risposero : “ Sei tu !” “ E che mai avrò fatto ?- chiese meravigliato l’oste – “ Domandalo al papa che ti è venuto a trovare ieri sera”. E gli tagliarono la testa. Gli altri bottegai vollero ricordarlo murando il suo volto perché potesse sempre ammirare dall’alto piazza Navona ma soprattutto per ricordare a sé stessi di moderarsi nel parlare davanti agli sconosciuti. Per altri particolari e informazioni su percorsi e attività, scrivete a Minello all’indirizzo: itinerariromasigira@gmail.com


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Aprilia

“Aprilia e l’EXPO...” Concorso Arte Mediterranea, premiazione e esposizione sede associazione, dal 29 settembre al 5 ottobre

Roma

“Good luck” di Lara Favaretto MAXXI, fino al 20 settembre “Lacus Lutornae” Tempio di Romolo, Foro Romano, fino al 20 settembre “Cinecittà si mostra” le fotografie di Mc Curry Cinecittà, Teatro 1, fino al 20 settembre “L’età dell’angoscia - Da Commodo a Diocleziano” Musei Capitolini, fino al 4 ottobre “Terranica. Volti, miti e immagini della terra nel mondo antico” Colosseo, fino al 11 ottobre “Manzu’. Le donne e il fascino della figura” (articolo a pag. 6) Ostia antica, fino al 6 novembre “Food – dal cucchiaio al mondo” MAXI, fino al 9 novembre “Nutrire l’Impero. Storie di alimentazioni da Roma e Pompei” Museo dell’Ara Pacis, fino al 15 novembre Olivo Barbieri. Immagini 1978-2014 (articolo a pag. 7) MAXXI, fino al 15 novembre “Lo stato dell’arte: l’arte dello Stato” (articolo a pag. 6) Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, fino al 29 novembre “James Tissot (1836-1902)” Chiostro del Bramante, fino al 21 febbraio 2016 “Tesori della Cina Imperiale” Palazzo Venezia, fino al 28 febbraio 2016

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Firenze

“Carlo Dolc 1616- 1687” Galleria Palatina di Palazzo Pitti, fino al 15 novembre “Lapislazzuli magie del blu” Museo degli argenti, fino al 11 ottobre “Un palazzo e la città” Museo Salvatore Ferragamo, fino al 3 aprile 2016

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Milano

“Nicola e Giovanni Pisano. Le origini della scultura moderna” Chiesa di San Gottardo in Corte, fino al 31 ottobre “La mente di Leonardo. Disegni di Leonardo dal Codice Atlantico” Biblioteca Ambrosiana, fino al 31 ottobre

sul filo di china

“Arts & Foods rituali dal 1851” Triennale, fino al 1 novembre “Damian Ortega Casino” Fondazione Hangar-Bicocca, fino al 8 novembre “La Grande Madre” Palazzo reale, fino al 15 novembre “Giotto, l’Italia” Palazzo reale, fino al 10 gennaio 2016 “Mito e natura. Dalla Grecia a Pompei” Palazzo reale, fino al 10 gennaio 2016 “Da Raffaello a Cezanne” Palazzo Reale, fino al 7 febbraio 2016

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Monza

“Nomachi. Le vie dell’anima” fotografia Villa reale, fino al 8 novembre

Napoli

Francesco De Gregori in “RIMMEL2015” Arena, 22 settembre “Pompei e l’Europa 1748-1943” Museo archeologico nazionale, fino al 2 novembre

Trieste

“Ippolito Caffi. Dipinti di viaggio tra Italia e oriente” Museo storico del Castello di Miramare, fino al 8 dicembre

Venaria (Torino)

“L’arte della bellezza I gioielli di Gianmaria Buccellati” Reggia di Venaria reale, fino al 20 novembre

Venezia

“Martial Raysse” Palazzo Grassi, fino al 30 novembre “Jackson Pollock Murale energia resa visibile” Collezione Peggy Guggenheim, fino al 9 novembre “Proportio” Palazzo Fortuny, fino al 22 novembre

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Viareggio

“Silvestro Lega. Storia di un’anima” Centro Matteucci per l’Arte Moderna, fino al 1 novembre

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Eventi


American Jesus, 2009 Chromogenic Print ©David LaChapelle

Dismaland: il luna park di Banksy Articolo a pag. 4

Potete trovare la vostra copia di “Occhio all’Arte” presso i seguenti distributori:

Aprilia: Biblioteca Comunale (Largo Marconi), Comune di Aprilia - Palazzo di vetro (p.zza dei Bersaglieri), edicola di p.zza Roma, Casa del libro (Via dei Lauri 91), Abbigliamento Alibi (via Marconi 52), Banca Intesa (via delle Margherite 121), edicola di Largo dello Sport, edicola di p.zza della Repubblica, teatro Spazio 47 (via Pontina km 47), palestra Sensazione (via del Pianoro 6), Ottica Catanesi (Largo Marconi 8), Bar Vintage (via Di Vittorio) Lavinio mare: Bar Lavinia (p.zza Lavinia 1) - Anzio: Biblioteca comunale (Comune di Anzio) Nettuno: F.lli Cavalieri (P.zza IX Settembre) 16


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