Sara Signorini
s a t r a g e Di p i a z z a F O N T 1 9 A N 6 A 9
“Prima di voltare pagina, bisogna leggerla� P. Cucchiarelli
in dice 05
1 . C o nt e st o st o r i c o
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2 . L a p r i m a f a s e d o p o l ' at t e ntat o : r i c o st r u z i o n e d e g l i a v v e n i m e nt i d a l 1 3 a l 1 6 D i c e m b r e at t r a v e r s o sta m p a e t e l e v i s i o n e .
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3 . L a c o nt r o i n f o r m a z i o n e
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4 . A n a l i s i e r i c o st r u z i o n i at t u a l i
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5. CONCLUSIONI
1.1 La situazione politica e l’autunno caldo 1.2 La strage di Piazza Fontana: i fatti
2.1 13 Dicembre: le prime notizie 2.2 13-14 Dicembre: le prime indagini 2.3 15 Dicembre: i funerali delle vittime 2.4 15 Dicembre: Giuseppe Pinelli 2.5 I telegiornali
3.1 La nascita del giornalismo d’inchiesta 3.2 La poesia come strumento di attualità: Pasolini 3.3 La denuncia del teatro: Morte accidentale di un anarchico
4.1 Il pistarolo di Marco Nozza 4.2 Teatro: Piazza Fontana, il giorno dell’innocenza perduta 4.3 Cinema d’impegno civile: Romanzo di una strage 4.4 La notte della Repubblica, inchiesta di Sergio Zavoli
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1.1
Con l’espressione “Autunno caldo” si intende la realtà di lotte sindacali operaie che si sviluppa a partire dall’autunno del 1969 in Italia, ritenuto il preludio del periodo storico conosciuto come anni di piombo.
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In Italia il biennio 1968-1969 è stato caratterizzato da trasformazioni sociali e da cambiamenti politici, economici, ma soprattutto culturali. I protagonisti di questo periodo furono gli studenti e gli operai che si batterono per ottenere un miglioramento della qualità della vita (istruzione, migliori condizioni lavorative). Dopo un governo presieduto da Rumor e formato da esponenti della Democrazia Cristiana, del Partito Socialista Unitario e dal Partito Repubblicano, il Presidente della Repubblica Saragat, affida nuovamente l’incarico di formare il governo a Rumor. L’unica soluzione fu un governo monocolore Democristiano. La crisi all’interno dei partiti, ed in particolare all’interno del Partito Comunista portò ad un ondata di contestazioni: “L’Autunno caldo”. La prima forma di contestazione nasce all’interno delle Università dove l’attenzione degli studenti era rivolta ad una maggior giustizia sociale. All’epoca esisteva ancora un sistema di istruzione di tipo classista: era bassa la percentuale di studenti lavoratori e comunque provenienti dalle classi sociali meno agiate. L’attenzione degli studenti era rivolta ad una maggior giustizia sociale e ad una comunità che si basasse sul collettivismo. Nel 1967 fu occupata l’Università di Pisa, poi Sociologia di Trento, L’università Cattolica di Milano. Dal 1967 al 1969 il movimento si diffuse in tutto il paese. Nella primavera del 1968 ci fu il punto più alto della contestazione a cui si aggiunse un nuovo soggetto “rivoluzionario”: gli operai.
Una prima forma di collaborazione tra le due componenti si ebbe con la promozione di due nuove riviste: “Quaderni Rossi” e “Classe operaia”. Ma tra il 1968 e il 1969 la collaborazione tra studenti e operai portò al formarsi di due organizzazioni della nuova sinistra: Avanguardia Operaia, Potere Operaio e Lotta Continua. Il 1969 sarà caratterizzato dal Movimento Operaio: l’inizio si ebbe a Torino quando i metalmeccanici della FIAT scioperarono in piazza contro l’accordo siglato dai sindacati (Cgil, Cisl e UIL). Il dato più importante è che ormai molti lavoratori non si sentivano più rappresentati dalle Organizzazioni Sindacali e diedero vita ad una protesta organizzata direttamente dai Comitati Unitari di Base. Le richieste degli operai riguardavano principalmente il miglioramento delle condizioni lavorative, del sistema retributivo, dei ritmi di produzione. L’apice delle proteste risale all’Estate del 1969 giorno di sciopero generale proclamato dai sindacati. Gli operari di Mirafiori fecero partire un corteo non organizzato e ci furono violenti scontri con la polizia. Iniziò nel Settembre del 1969 “l’autunno caldo” caratterizzato da innumerevoli scioperi, manifestazioni, in un clima di tensione. I lavoratori ottennero importanti risultati come aumenti dei salari, orario settimanale di quaranta ore e diritto di assemblea. Il 1969, oltre che dalla contestazione studentesca e operaia, fu caratterizzato da numerosi episodi eversivi: a partire dal 3 Gennaio 1969 in Italia ci furono 145 attentati.
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L’autunno caldo è anche la culla di molte nuove formazioni politiche extraparlamentari.
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1.2
L’esplosione provocò una voragine ampia circa un metro al centro del salone.
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SCOPPI ANO LE BOMBE.
INDAGINI VERSO GLI AMBIENTI ANARCHICI.
FUNERALI DELLE VITTIME E MORTE DI PI N E L L I .
A R R E STO DI P I E T R O VA L P R E D A .
A R R E STO DI FR EDA E VENTURA.
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Morirono quattordici persone e circa novanta furono ferite, tre delle quali non sopravvissero. Una seconda bomba venne rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. Una terza bomba esplose a Roma alle 16,55 dello stesso giorno, nel passaggio sotterraneo che collega l’entrata di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro, ferendo 13 persone. Altre due bombe esplosero a Roma tra le 17,20 e le 17,30, una davanti all’Altare della Patria e l’altra all’ingresso del Museo centrale del Risorgimento, in Piazza Venezia, ferendo 4 persone. In quel tragico 12 dicembre furono registrati 5 attentati terroristici concentrati in un lasso di tempo di appena 53 minuti, che colpirono contemporaneamente le due maggiori città d’Italia: Roma e Milano. Incominciava la “strategia della tensione”, fatta di bombe nelle banche, di stragi di civili sui treni e di comizi sindacali. Fin dalle ore successive all’accaduto si alimentò il dibattito e si evidenziarono le divergenze politiche, il sindaco di Milano proclamò il lutto cittadino, fece sospendere gli spettacoli teatrali, ordinò le bandiere abbrunate fuori dagli edifici pubblici, e disattivò le luminarie natalizie. I partiti scrissero documenti di cordoglio alle vittime e condannarono l’attentato; molti negozi del centro chiusero le saracinesche; il personale sanitario si recò volontariamente al Policlinico e all’Ospedale Maggiore, dove erano ricoverate le vittime, per aiutare i colleghi. Nella situazione caotica prende avvio l’attività dei giornalisti della carta stampata. Il 13 dicembre l’opinione pubblica comincia a leggere la cronaca e le riflessioni. Nei giorni successivi alla strage, solo a Milano, sono 84 le persone fermate tra anarchici, militanti di estrema sinistra e solo alcuni appartenenti a formazioni di destra.
Il primo ad essere convocato è il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, chiamato in questura lo stesso giorno dell’esplosione. Dopo tre giorni di interrogatorio non viene contestata, a Pinelli, nessuna imputazione eppure non viene comunque rilasciato. Ad interrogarlo è il commissario Calabresi il quale guida l’inchiesta sulla strage. Tre giorni dopo l’arresto, Pinelli muore precipitando dalla finestra della Questura. La versione ufficiale parla di suicidio, ma i quattro poliziotti e il capitano dei carabinieri, presenti nella stanza dell’interrogatorio al momento della morte del ferroviere, saranno oggetto di un’inchiesta per omicidio colposo. Verrà poi aperto nei loro confronti un procedimento penale per omicidio volontario. Nei confronti del Commissario Calabresi, che non si trovava nella stanza, si procederà per omicidio colposo. Tutti gli imputati verranno poi assolti nel 1975, perché “il fatto non sussiste”. Intanto gli inquirenti continuano a seguire la pista anarchica: viene arrestato Pietro Valpreda appartenente al gruppo 22 Marzo, il quale viene accusato di essere l’esecutore materiale della strage. Mentre si prosegue ad indagare negli ambienti anarchici, si scopre che le borse utilizzate per contenere l’esplosivo sono state acquistate a Padova e che il timer dell’ordigno proviene da Treviso. Da questi indizi si arriverà dopo più di un anno ad indagare anche negli ambienti di eversione nera. Piazza Fontana conosce anche l’iter giudiziario più lungo della storia repubblicana, circa 36 anni. Ma chi è stato, alla fine, i giudici ce lo dicono: la strage l’ha compiuta Ordine nuovo nonostante Franco Freda e Giovanni Ventura, indicati come responsabili, non sono stati più considerati condannabili perché precedentemente assolti in via definitiva per lo stesso capo di imputazione.
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2.1 La strage di Piazza Fontana ha riempito le pagine di tutti i quotidiani del 13 Dicembre. Principalmente si è dato ampio spazio alle immagini attraverso le fotografie comparse in prima pagina che raffigurano il salone sventrato della banca Nazionale dell’Agricoltura (Corriere della Sera (1) e Corrirere dell’Informazione(2)), o immagini di macerie (Il Giorno (3)). Il tono dei primi articoli comparsi sui quotidiani sono tutti di sgomento, i primi commenti sono di carattere generale volti soprattutto alla descrizione dei fatti accaduti e delle prime interviste con i sopravvissuti o i testimoni. Non mancano comunque i primi editoriali, articoli nei quali un giornalista analizza il fatto accaduto ed esprime il suo punto di vista che generalmente coincide col punto di vista della redazione. Nel cercare di contestualizzare il tragico evento, gli editoriali, cercarono riferimenti a fatti analoghi nella Storia Italiana. I maggiori riferimenti furono l’attentato al teatro Diana, precedente alla marcia su Roma e alla presa di potere da parte del fascismo, messo in atto da un gruppo di anarchici milanesi . L’editoriale del Corriere della Sera dal titolo “Difendere la Libertà”(4) cita proprio la Strage del Teatro Diana come unico attentato paragonabile sia per il numero delle vittime che per la localizzazione a Milano. Evidenzia come gli autori della strage, da qualunque parte essi provengano, hanno agito con l’intento di sconvolgere i valori della nostra vita e di distruggere il sistema. Secondo l’editoriale tutti i gruppi estremisti
di ogni colore devono essere messi nella condizione di non nuocere alla collettività. Sempre il Corriere della Sera nella sezione Corriere Milanese propone l’ editoriale “La bomba esplose la sera del 23 marzo 1921 e uccise ventun persone – Autori furono gli anarchici”(5) dove ripropone la matrice anarchica dell’attentato al teatro, evidenziando come Milano subisca la seconda ondata anarchica violenta della storia. Sicuramente queste affermazione sono una netta presa di posizione del quotidiano quando ancora le indagini non avevano prodotto risultati. Si distingue da tutti gli editoriali apparsi sui quotidiani l’articolo di Segre “Senza esitazioni” (6) pubblicato sull’Unità, testata comunista, dove il direttore vede nell’attentato un disegno della destra reazionaria. Tutto il pezzo ruota intorno alla frase “gli attentati di ieri hanno una firma chiara, e inequivocabile. La firma è quella di provocatori fascisti e reazionari”. L’obiettivo degli attentatori, secondo il giornalista, è quello di impedire che milioni di lavoratori riescano ad ottenere riforme tramite lotte sindacali. Il Corriere d’Informazione nell’articolo “Evitare la via dell’avventura “(7) di Antonio Spinosa analizza l’evento specificando come non sia ancora possibile stabilire la matrice degli attentatori ma comunque evidenzia come essi abbiano agito operando con freddezza premeditata tipica di “professionisti dell’assassinio anarchico ed estremista”. Sono atti volti a sovvertire l’ordinamento democratico
(1) Corriere della Sera “Orrenda Strage a Milano”immagine pag. 1 del 13.12.69 (2) Corriere dell’Informazione “I Morti sono 14” immagine pag. 1 del 13.12.69 (3) Il Giorno “Infame Provocazione” immagine pag. 1 del 13.12.69 (4) Il Corriere della Sera “Difendere la Libertà” pag. 1 del 13.12.69
(5) Corriere della Sera sezione Corriere Milanese “Un tragico precedente: lo scoppio al Diana - Autori furono gli anarchici” pag. 9 del 13.12.69 (6) L’Unità “Senza esitazione” pag. 1 del 13.12.69 di Sergio Segre (7) Corriere d’informazione “Evitare la via dell’avventura” pag. 1 del 13/14.12.69 di Antonio Spinosa
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del paese, fanno parte di una catena di atti terroristici che hanno scelto un periodo politico definito “favorevole”. L’editoriale apparso sul Giorno “Non si illudano”(8) e firmato da Italo Pietra presenta una peculiarità in quanto propone una riflessione storica dovuta all’esperienza partigiana del direttore del quotidiano. Vengono analizzati i problemi del periodo legati ad una crisi di governo ed ad un’inefficienza in vari settori come quello economico, scuola, sanità. E’ il periodo dell’autunno caldo, caratterizzato da scioperi e lotte sindacali. Il giornalista, dopo aver analizzato il quadro politico generale evidenzia che “ci sono tante maniere di fare politica: e, fra le tante, c’è anche quella delle bombe”. L’editorialista cerca di analizzare oggettivamente la vicenda parlando di possibili colpevoli sia nei gruppi di estrema destra che nei gruppi del nuovo neoanarchismo. L’articolo si conclude con una rassicurazione: “non s’illudano quelli del terrore: non passeranno.” Sempre sul quotidiano “Il Giorno” è interessante l’articolo di Giorgio Bocca “L’obiettivo vero colpire la democrazia” (9) il quale tenta di fare un’analisi dell’attentato definendolo subito un attentato alla democrazia. Afferma che chiunque sia l’autore della strage ha agito contro le libertà democratiche e “contro tutto ciò che abbiamo faticosamente, con sangue e pena, costruito dalla bella primavera del 45”. Bocca propone al lettore tre possibili ipotesi sulla
matrice della strage. La prima ipotesi è la provocazione di destra mirata ad ottenere un governo forte; la seconda ipotesi è la provocazione di sinistra, definita dall’autore improbabile e assurda, che avrebbe solo lo scopo di fomentare una guerriglia cittadina; ultima ipotesi potrebbe essere una provocazione proveniente dall’estero, ad esempio dalla Grecia, con lo scopo di vendetta per l’espulsione dal Consiglio d’Europa. Interessante il commento di Camilla Cederna fatto sull’Espresso “Una bomba contro il popolo” (10) dove propone uno spaccato della società borghese dell’epoca fatta da persone critiche nei confronti dei movimenti operai e studenteschi, che invocano il pungo di ferro e la pena di morte. I giornalisti in questi particolari giorni, dopo il tremendo attentato, furono la vera parte attiva della comunicazioni fornendo informazioni ma soprattutto opinioni e riflessioni rispetto agli altri media dell’epoca come radio e televisione. A partire da questa esperienza il giornalismo italiano ha subito grandi cambiamenti tra coloro che continuarono ad appoggiare le tesi ufficiali fornite dagli organi dello Stato e coloro che, invece, indagarono per fare luce sui misteri che avvolgevano la vicenda. Dal libro “Il pistarolo” è interessante riportare la frase: “invece di ricostruire i fatti con le veline, ossia sulla base delle versioni fornite dalle autorità, avevamo cercato di raccontare fedelmente quello che avevamo potuto vedere e sentire”.(11)
(8) Il Giorno “Non si illudano” pag. 1 del 13.12.69 di Italo Pietra (9) Il Giorno “L’obiettivo vero colpire la democrazia” pag. 3 del 13.12.69 di Giorgio Bocca (10) L’Espresso “Una Bomba contro il popolo” del 21.12.69 di Camilla Cederna (11) Il Pistarolo di Marco Nozza pag. 356
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Il Giorno, pag.1 del 13/12/69.
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Il Corriere della Sera, pag.1 del 13/12/69.
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2.2 “Primi dubbi sull’urgenza con cui le forze dell’ordine hanno fatto brillare la sera stessa di venerdì l’ordigno.. ..Sono venuti a mancare preziosi elementi d’indagine. «Non potevo fidarmi a conservare questa valigetta con il pericolo di causare altre vittime» risponde il questore Guida. Remo Lugli, 15.12.69
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Fin dalle ore successive all’esplosione della bomba l’opinione pubblica si chiedeva chi fossero gli autori della strage, le persone volevano dei volti, dei nomi. Le indagini erano iniziate con l’arrivo alla Banca Nazionale dell’Agricoltura del Procuratore Capo della Repubblica e del Sostituto Procuratore, ma dalle testimonianze e dalle cronache di quel pomeriggio emergeva una grande confusione. Il commissario Calabresi e il Questore di Milano Marcello Guida sono i principali protagonisti nello svolgimento delle indagini. Le indagini puntarono a tutti i gruppi in cui potevano esserci possibili estremisti: furono fermate 80 persone, in particolare alcuni anarchici del Circolo anarchico “22 Marzo” di Roma tra i quali figura Pietro Valpreda e del Circolo anarchico “Ponte della Ghisolfa” di Milano, tra i quali Giuseppe Pinelli. Agli anarchici viene inizialmente addossata la responsabilità, con le indagini pilotate dal ministero dell’Interno. Ma perché si scelgono proprio gli anarchici? Per diversi motivi, alcuni dei quali possono essere così riassunti per il momento. Innanzitutto gli anarchici rappresentano la parte più debole dello schieramento di sinistra, perché priva di protezione, senza amici, di fatto isolata politicamente. Inoltre sono pressoché privi di organizzazione, e seguaci di una teoria politica articolata in varie tendenze, alcune delle quali sono spesso indefinibili o mal definite: due caratteristiche che permettono ogni tentativo di infiltrazione e di provocazione al loro interno. Esiste poi la possibilità di utilizzare la loro firma, i loro simboli in tutta una serie di attentati i cui obiettivi (chiese, banche, caserme, ecc.) non sarebbero attribuibili a nessun’altra forza di sinistra, sia parlamentare che extraparlamentare. Da non sottovalutare il valore simbolico negativo che essi incarnano agli occhi della maggioranza dell’opinione pubblica, la più sprovveduta, facile preda di ogni tentativo di manipolazione “culturale”: per l’italiano medio, gli anarchici rappresentano le forze scatenate e disgregatrici dello Stato, il rifiuto delle istituzioni e di ogni valore borghese, senza idee o alternative precise; “fanno paura”, una paura generica e indefinibile. (1) Dalle prime indagini e testimonianze emerse una grande confusione, incertezza, frammentarietà delle informazioni basate sulle poche dichiarazioni delle autorità. Giorgio Zicari sul Corriere della sera nell’articolo ”La bomba conteneva sei chili di esplosivo” (2) fornisce una cronaca dettagliata delle indagini: ricostruisce la cronistoria delle indagini attraverso la precisazione
degli orari delle operazioni tecniche; fornisce informazioni sul tipo di esplosivo utilizzato e ricostruisce la dinamica dell’esplosione. Zicari era in possesso di maggiori informazioni rispetto agli altri giornalisti, in quanto aveva ricoperto la carica di “informatore gratuito” per il SID (Servizio Informazioni Difesa). I giornali, soprattutto del 14 Dicembre diedero ampio spazio alle indagini rispetto al giorno precedente, l’indagine comunque cominciava ad assumere le caratteristiche di un giallo. L’opinione pubblica cercava di capire la vicenda attraverso i quotidiani, come si poteva desumere dalle code di fronte alle edicole per conoscere le ultime notizie. L’atmosfera era di incertezza ed ansia di risolvere il mistero, per questo molti quotidiani cercavano di fomentare odio attraverso forti affermazioni a volte eccessive ed inopportune. La discussione sulle indagini era coinvolgente ed ognuno pensava di conoscere la risposta giusta o la via da seguire per arrivare ai colpevoli. L’Unità, con tono polemico, nell’articolo di Natta “Difesa e sviluppo della Democrazia”(3) si chiede innanzitutto a chi possano giovare gli attentati di Milano e Roma. Attentati che si sono verificati proprio quando la classe operaia sta per raggiungere delle importanti conquiste sociali, quindi solo nemici dei lavoratori, della società e della libertà possono avere interesse a compiere manovre eversive e reazionarie. Emerge chiaramente l’orientamento del quotidiano verso gli ambienti della destra estrema. Emerge comunque dai vari organi d’informazione una richiesta di chiarimenti, una serie di interrogativi. Il questore di Milano Guida, il 13 Dicembre, nella sala stampa della Questura si rivolse ai giornalisti affermando che le indagini non avrebbero tralasciato nulla e si sarebbero orientate su tutte le direzioni (3)(4). Da evidenziare l’intervista rilasciata da Calabresi al giornalista Remo Lugli della Stampa dove il commissario dichiara che: “Certo è in questo settore che noi dobbiamo puntare: estremismo, ma estremismo di sinistra. A Roma hanno fatto esplodere una bomba al monumento del Milite Ignoto, non sono certo quelli di destra che fanno queste azioni. Sono i dissidenti di sinistra: anarchici, cinesi e operaisti (Potere Operaio, Lotta Continua). (5) Rispetto alle frasi attribuite a Calabresi, Il Questore Guida, dichiara che le affermazioni del Commissario sono da respingere. Giuliani nell’Articolo “Indagini in ogni direzione” precisa come il Questore abbia evidenziato la serietà e la preparazione di Calabresi, smentendo, ma non completamente, quanto affermato dal Commissario (4).
(1) “La strage di stato – Controinchiesta” del 1970 di Di Giovanni, Ligini e Pellegrini (2) Il Corriere della Sera “La bomba conteneva sei chili di esplosivo” del 13.12.69 pag. 9 (3) L’Unità “Difesa e sviluppo della Democrazia” del 14.12.69 pag. 1 di Alessandro Natta
(4) Corriere della Sera “Indagini in ogni direzione” del 14.12.69 pag. 1 di Giuliani (5) La Stampa “La polizia ha fermato 150 persone si indaga negli ambienti estremisti” del 13.12.69 pag. 3 di Remo Lugli del 13/14.12.69 di Antonio Spinosa
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2.3
Il silenzio assordante di trecentomila persone unite per la memoria. Una memoria, che diventa un impegno civile: l’unica vera arma e difesa della democrazia.
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La giornata dei funerali delle vittime incomincia in una Milano dominata dal silenzio e dal deserto: c’era un aria gelida, il cielo buio e livido e i lampioni accesi come se fosse notte. (1) Inizia alle otto di mattina in Piazza Gorini, dove alle famiglie viene negato l’ultimo saluto ai propri cari; da Piazza Gorini i carri funebri si dirigono verso Piazza Duomo, passando davanti alla banca Nazionale dell’Agricoltura. In Piazza Duomo si è riunita una folla immensa, silenziosa che ha scelto di condividere il proprio dolore con le altre persone. Alle 9.30 i lavoratori milanesi sospendono le loro attività in segno di lutto e per poter partecipare alla funzione. La sospensione era stata decisa da Cgil, Cisl e Uil. La presenza dei lavoratori è dominante, il comportamento è civile, e non vengono esibite bandiere legate a partiti o ad associazioni. I lavoratori con la loro presenza vogliono rendere chiaro a tutti che bloccheranno ogni provocazione reazionaria (2). Alle 9.30 chiudono tutti i negozi della città, i mezzi pubblici sospendono il servizio durante lo svolgimento della funzione religiosa, le bandiere sono a mezz’asta e l’albero di natale in Piazza del Duomo ha le luci spente.
Alla funzione sono presenti il Presidente della Camera Sandro Pertini, Il Presidente del Consiglio Rumor, il Ministro dell’Interno, le rappresentanze di tutti i Gruppi parlamentari, il Prefetto di Milano, il Sindaco, il Presidente della Provincia, le Giunte comunali e provinciali. Sono presenti persone provenienti anche dalle periferie, appartenenti ad ogni ceto sociale. E’ presente il Parroco di Cinisello uno tra i primi soccorritori. Partecipano anche gli studenti universitari e delle scuole superiori organizzati dal Movimento studentesco e guidati in corteo dai loro leader, Capanna e Banfi. Anche gli studenti sfilano senza bandiere. E’ una partecipazione popolare di massa, con grande compostezza e serietà; i volti e gli atteggiamenti delle persone presenti erano quelli della “Milano umile”; il comportamento è civile ed ordinato tanto che il quotidiano il Giorno scrive “se si vuole l’ordine e un civile comportamento nel centro di Milano è bene che ci vengano gli operai”(3). Il carattere pubblico dei funerali e la grande partecipazione ha assunto un grande significato di omaggio alle vittime, vicinanza ai famigliari e motivazioni politiche.
(1) La Stampa “Imponente prova di civiltà a Milano. Le indagini in una “direzione determinata”del 16.12.69 pag.1-2 di Pansa (2) L’Unità “Dal Profondo cordoglio di Milano un monito e un impegno democratico” del 16.12.69 pag. 1 di Paolucci (3) Il Giorno “Un funerale popolare” del 16.12.69 pag. 1-2 di Bocca
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“ M a P i n e l l i è e r e st e r à s e m p r e u n m o rto i n g o m b r a nt e . S e p p e l l i to d e nt r o l a s u a b a n d i e r a n e r a n o n d à p a c e a i v i v i c h e l ' h a n n o p o rtato a l l a to m b a . . ” C i t . C a m i l l a C e d e r n a P i n e l l i U n a f i n e st r a s u l l a st r a g e
Le indagini si indirizzano subito verso gli ambienti anarchici. Molti militanti vengono condotti in questura già dal pomeriggio del 12 Dicembre. Fra questi Giuseppe Pinelli che perde la vita la sera del 15 Dicembre, precipitando da una finestra della Questura dopo tre giorni di interrogatori. Le prime ipotesi parlano di suicidio, ma le circostanze della sua morte non verranno mai del tutto chiarite. Il 16 Dicembre tutti i quotidiani, oltre a riportare la cronaca dei funerali, diedero spazio alla morte dell’anarchico. I primi articoli riportarono solo gli elementi di cui si era a conoscenza: i motivi per i quali Pinelli si trovava in Questura, alcune notizie sulla sua vita, la sua fede anarchica. (2) La ricostruzione della vicenda non fu semplice: i giornalisti si improvvisarono detective indagando sui fatti, cercando di risalire ai responsabili della morte di Pinelli e degli autori della strage. Questo gruppo di giornalisti, tra i quali Camilla Cederna, verranno chiamati i “Pistaroli”. Gli eventi riguardanti la morte di Giuseppe Pinelli incominciano la sera del 12 Dicembre quando gli agenti
della squadra mobile si presentano al Circolo anarchico di cui era uno dei responsabili. Il primo elemento su cui porre l’attenzione è che Pinelli rimase in questura fino a Lunedi, quindi se si fosse rispettata la procedura prevista dalla legge a quell’ora Pinelli avrebbe dovuto essere libero o in carcere. Secondo elemento la questione dell’alibi, cioè la presenza del ferroviere al caffè Fabiani: il proprietario del caffè non confermò l’alibi di Pinelli mentre lo fecero altre persone. (6)(2) Ci furono alcune telefonate tra la questura e la moglie di Pinelli, nell’ultima delle quali venne chiesto alla donna di cercare il biglietto chilometrico del marito dal quale risultavano i viaggi fatti. (4) Il punto più oscuro della vicenda di Pinelli riguarda le ultime ore di vita e il contenuto degli interrogatori che avrebbero dovuto essere contenuto in verbali di cui non risultò certa l’esistenza. (7)(3) Secondo le versioni ufficiali durante l’ultimo interrogatorio sarebbe stato comunicato a Pinelli l’arresto di Valpreda.
(1) La Stampa “I due anarchici Milanesi si conoscevano. Perché la polizia li ha subito sospettati” del 17.12.69 pag. 1 di Ghirotti, Lugli, Pansa e Rossella (2) Il Giorno “Il Pinelli era gravemente indiziato” del 16.12.69 pag. 1-2 di Testa
(3) L’espresso “Quella sera in questura” 28.12.69 pag. 4-5 di Pecorini (4) L’Espresso “Biografia di un ferroviere” del 28.12.69 pag. 7 di Giudici (5) Lotta Continua “La bomba di Milano: chi indagherà sugli indagatori?” del 17.01.70 pag.7
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Pinelli, come riportano la maggior parte dei quotidiani, sarebbe sbiancato in volto e avrebbe detto “E’ finita! Questa è la morte del movimento anarchico internazionale”. E si sarebbe gettato dalla finestra. Bisogna precisare che la stanza era piena di fumo e bisognava aprire un po’ la finestra, la tapparella era completamente alzata. La stanza era piccola e all’interno si trovavano almeno cinque funzionari. Si racconta che il ferroviere ha avuto uno scatto improvviso e con un salto fulmineo si è buttato dalla finestra senza che nessuno potesse fermarlo. Le versioni date dalla polizia riguardo l’incidente sono diverse: la prima versione fornita dice che Pinelli ha spalancato la finestra e in tre hanno tentato di fermarlo senza riuscirci; la seconda che il tentativo di fermare il ferroviere è riuscito parzialmente; la terza versione dice che il brigadiere Panessa ha tentato di afferrarlo e gli rimase in mano una scarpa del suicida. Un Giornalista del Giorno invece vide il corpo con entrambe le scarpe. (8) Altro punto oscuro della vicenda è l’ora esatta in cui il ferroviere precipitò dalla finestra. Quattro giornalisti presenti quella notte scrissero che la morte avvenne a mezzanotte e tre minuti; secondo il centralino dei vigili la chiamata dell’ambulanza risulta fatta a mezzanotte e 58 secondi. (8) Due sono i motivi in base ai quali viene avvalorata l’ipotesi del suicidio: era caduto l’alibi di Pinelli; il ferroviere era crollato alla notizia che avevano preso Valpreda. Ma le stesse ragioni potrebbero escludere il gesto volontario: l’alibi non era crollato affatto; la colpevolezza di Valpreda era una notizia che non poteva certo sconvolgerlo in quanto era da lui considerato uno sbruffone ed aveva avuto molti contrasti politici con lui; infine era noto a tutti come Pinelli fosse contratio al suicidio. Ci sono poi molti particolari tecnici circa la modalità di caduta che fanno escludere il suicidio. Nessun graffio nelle mani che generalmente si aggrappano a qualsiasi sporgenza durante la caduta; il corpo nel cadere non segue la traiettoria curva indispensabile a chi si butta dall’alto, ma cade in tre tempi urtando prima contro due cornicioni e poi cadendo a terra. (8) La versione degli anarchici agli arresti e alla morte di Pinelli è riportata nel documento relativo alla Conferenza stampa organizzata dal Circolo della Ghisolfa il 17 Dicembre. Nel comunicato si sottolinea l’estraneità del movimento nella serie di attentati criminali di Milano a partire del 25 Aprile. I 14 morti e la morte del compagno Pinelli sarebbero stati evitati se la polizia e la stampa non avesse incar-
cerato innocenti ma cercato i veri colpevoli. “..siamo convinti di trovarci di fronte a una spaventosa macchinazione. Vogliono distruggere il nostro movimento.” (9) I giornali cercarono di descrivere la figura di Pinelli definendolo un anarchico individualista. (2)(1) Gli anarco-individualisti sostengono che gli affari umani devono essere gestiti dagli individui stessi e dalle loro libere associazioni (autogestione), ritenendo che una società razionale possa funzionare solo ed esclusivamente se sviluppa uomini e donne consapevoli del valore della libertà. Si oppongono ad ogni forma di collettivismo (patria, Stato, collettività, ecc.) che limitano la libertà individuale. L’anarco-individualista ritiene che non esistono interessi superiori all’individuo. La maggior parte dei quotidiani da una descrizione sommaria della figura di Pinelli ma Camilla Cederna nel libro “Pinelli – una finestra sulla strage” lo descrive in maniera particolarmente dettagliata raccogliendo anche le testimonianze di chi lo aveva conosciuto. Era una persona legata agli affetti, ateo ma vicino cristiani, operaio insegnava agli intellettuali a pensare. Di carattere paziente era moderato e non appoggiava gli estremismi dell’epoca, amava avere intorno molta gente sapeva stare a suo agio sia con operai che borghesi, teneva discorsi, organizzava marce, era ordinatore del circolo anarchico del Ponte della Ghisolfa e membro degli Croce Nera. Odiava la violenza, conduceva una vita spesso fuori dalla famiglia in quanto si dedicava ad incontri con anarchici, ferrovieri, intellettuali e studenti. Interessante anche la descrizione che la Cederna fa del Commissario Calabresi raffigurandolo come un uomo elegante e moderno (con i suoi pullover di cachemire chiari a collo alto). Era stato soprannominato Comm. Finestra, un anarchico aveva infatti raccontato che quando si era trovato in Questura, nello stesso ufficio dove era morto Pinelli, il commissario aveva cercato di provocarlo inducendolo a buttarsi di sotto. La Strage di Piazza Fontana è e rimane un evento controverso della storia italiana, come il morto di cui tutti si sono dimenticati: un morto diverso dagli altri la cui vicenda è avvolta tuttora da mistero e incertezza: un morto scomodo. Il caso diventerà un simbolo della crisi della giustizia e dell’intera società italiana: la magistratura ha avuto paura di condannare la polizia, che rappresenta lo Stato, perchè condannandola avrebbe condannato lo Stato stesso.
(6) Corriere di informazione Sezione Corriere Milanese “Come si è ucciso l’anarchico” del 16/17.12.69 pag. 4 di Radius (7) Corriere di informazione Sezione Corriere Milanese “Il questore dice: si è ucciso quando ha visto che la legge l’aveva preso” del 16/17.12.69 pag. 5
(8) Cederna “Pinelli–Una Finestra sulla strage” (9) Conferenza Stampa Anarchici di Milano del 17 Dicembre 1969
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Il 20 Dicembre si svolsero i funerali di Giuseppe Pinelli. Sulla sua bara viene posta una poesia di Edgar Lee Masters, tratta dall’Antologia di Spoon River, libro che Pinelli aveva regalato al commisario Calabresi nei giorni prima in cui la polizia indagava sugli anarchici.
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2.5
“ L a t e l ev i s io n e , a l lo r a , n o n e r a c o s ì i m p o rta nt e , e c o s ì a r r o g a nt e , c o m e s a r e b b e p o i d i v e ntata . ” ( 1 ) I programmi e i telegiornali di quel 12 dicembre 1969 furono un susseguirsi d’immagini, notizie e trasmissioni: dalle prime frammentarie notizie dell’attentato che arrivano con la rubrica “Oggi al Parlamento” alle 20.10. Il messaggio di cordoglio del Presidente del Consiglio Mariano Rumor arriva alle 20.30 ed anche nel notiziario in tedesco per gli abbonati dell’Alto Adige alle 20.40 viene data la notizia. Nel telegiornale del secondo canale alle 21.00 vengono mandate in onda le prime immagini, raccolte in fretta dagli operatori della Rai sul luogo della strage, e non montate pur di trasmetterle nel primo notiziario possibile. Nel telegiornale della notte, su Rai 2 alle 23.00 dallo schermo in bianco e nero il giornalista Rodolfo Brancoli cominciò a raccontare di 13 morti e 68 feriti, di un buco largo un metro nel pavimento. La gente viene rassicurata: si sarebbe fatto tutto il possibile per trovare i colpevoli. Si chiarisce subito che si è trattato di una bomba. Dopo pochi minuti vi fu il collegamento diretto da Milano con Sparano. Nel servizio di Elio Sparano da Milano viene fatto il bilancio delle vittime della tragedia e il resoconto su una seconda valigia, inesplosa alla Banca Commerciale dietro Piazza della Scala e fatta
brillare dagli artificieri, prima di poter essere studiata dagli inquirenti. Oltre la voce del giornalista compaiono, dietro, le immagini toccanti del luogo dove è avvenuta l’esplosione, immagini di macerie, infissi divelti, vetri rotti e dietro le transenne i volti sconvolti della gente. Nel telegiornale del 13 Dicembre 1969 Elio Sparano dà la notizia del suicidio di Pinelli, ferroviere anarchico, che si è gettato dal quarto piano della Questura di Milano. Nel servizio viene mostrata ai telespettatori la finestra dalla quale si sarebbe gettato il ferroviere. L’edizione straordinaria del 16 Dicembre 1969 delle 12.30 Rodolfo Brancoli annuncia l’arresto di Valpreda come autore della strage. In collegamento dalla Questura la voce di Bruno Vespa afferma: “..Pietro Valpreda è un colpevole, uno dei responsabili della Strage di Milano e degli attentati di Roma..” In quegli anni la televisione non aveva ancora l’importanza che avrà successivamente nel dare informazioni, la gente preferiva avere le notizie attraverso la lettura dei giornali ed è per questo che le notizie provenienti dai telegiornali si limitavano a descrivere i fatti dando voce esclusivamente alle posizioni del Governo.
(1) Il pistarolo di Nozza p.19
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C CA
CAPI T C A P I TO LO A P I TO LO 3
3.1
Il libro è un importante strumento di espressione e trasmissione di idee e pensieri. Essendo un mass-media, possiede innumerevoli potenzialità comunicative, è proprio per questo che i libri possono essere soggetti a censura. Il libro, che rispecchia la libertà di espressione, di pensiero e di parola, ha dato la possibilità a molti scrittori di esprimere la propria opinione comunicandola agli altri. Dopo la di Strage di Piazza Fontana furono numerosi i giornalisti a cui non bastavano più le pagine dei giornali; è per questo che fecero ricorso ad uno strumento forte come il libro. Tra il tentativo di rimettere ordine ai fatti accaduti e di ricostruire la memoria, è proprio dopo la Strage di Piazza Fontana che si apre una delle stagioni più luminose del giornalismo d’inchiesta. La “controinformazione” nasceva dall’esigenza di non accettare la versione dettata dalle autorità, una novità per l’epoca. Sono stati molti gli esempi di questo nuovo giornalismo, un giornalismo che non si volle più piegare agli ostacoli delle autorità e alle minacce. Erano molti coloro che intendevano indagare in maniera più approfondita sulla vicenda con un obiettivo generale: ripercorrere minuziosamente una storia tutt’ora piena di segreti. Tra coloro che hanno cambiato il modo di fare giornalismo spicca la figura di una donna, di un’autrice scomoda, di una giornalista abituata a dire sempre la
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sua opinione: Camilla Cederna. Dal 1969 la giornalista incomincia ad interessarsi alla politica italiana esprimendo le proprie idee sul settimanale “L’Espresso” e firmando, nel 1971, uno dei suoi libri più importanti: “Pinelli: una finestra sulla strage”. L’autrice era consapevole che il suo libro avrebbe creato scandalo, infatti si trovò al centro di molte contestazioni e polemiche. Anni dopo la pubblicazione del libro la Cederna venne accusata, dall’allora Questore di Milano, come mandante dell’assassinio di Calabresi. Con questo libro viene inaugurato il giornalismo di inchiesta ed assalto. Nel libro si ritrovano documenti relativi agli eventi della tragica notte in Questura, interviste, resoconti di udienze del processo a Calabresi-Lotta Continua. Il libro analizza in maniera dettagliata l’ambiente della Questura e il Tribunale, la Cederna parla di magistrati troppo frettolosi e di indagini superficiali. Nelle settimane successive agli eventi, grazie ad interviste e testimonianze, la Cederna ricostruisce i fatti, svelando incongruenze ed occultamenti, ricostruendo con fedeltà il clima politico di quell’anno. Con questo libro la Cederna vuole sottolineare le bugie, l’occultamento delle prove svelando un’unica verità: tutte le tesi ufficiali sono false e infondate, Giuseppe Pinelli non si è suicidato ma è una vittima innocente. Proprio per questo motivo l’autrice ritiene un dovere, non solo politico, ma anche morale giungere ad
una verità sulla morte del ferroviere. La Cederna ha onorato fino in fondo il dovere che ha un giornalista: riportare alla luce la verità dando un esempio di responsabilità morale e civiltà. Camilla Cederna con i giornalisti Giorgio Bocca, Marcello Del Bosco, Marco Fini, Giorgio Manzini, Marco Nozza, Gianpaolo Pansa, Ermanno Rea, Aristide Selmi, Corrado Stajano, Luca Boneschi e Duilio Bartolo scrisse nel 1970 le “Bombe di Milano”. Il libro, che raccoglie le testimonianze dei giornalisti, nasce dall’idea manifestatasi il 15 Dicembre 1969, poche ore prima della morte di Pinelli, di raccontare quello che stava accadendo realmente. Rigetta la versione ufficiale, dimostra tutti i punti oscuri delle indagini e i tentativi di insabbiare la verità. Dieci giornalisti, un magistrato e un avvocato hanno messo su carta quello che potevano osservare. Il libro riporta una minuziosa attenzione ai dettagli, non solo rispetto agli eventi ma ricostruisce anche le espressioni dei visi e l’intonazione delle voci. Si tratta, quindi, di dodici testimonianze che analizzano la cruda realtà scrutando dietro le quinte dell’apparenza. Di particolare interesse il capitolo di Ermanno Rea “12 Dicembre” dove viene data una suggestiva descrizione degli attimi successivi all’esplosione: un via vai di barelle, brandelli umani, persone mutilate. Viene descritta la figura del sacerdote di Cinisello Balsamo, che si trovava nei pressi della banca durante l’esplosione, e che con voce concitata dice “Mai più dimenticherò ciò che ho visto. Ho benedetto tutti”. Si sentono le urla, i pianti, i gemiti, il Sacerdote racconta di una ragazza con il braccio dilaniato aggrapparsi alla sua tunica, di un ragazzo privo di una gamba che si trascinava sul pavimento. Tra i primi ad arrivare c’è il Sindaco di Milano Aldo Aniasi, il quale si avvicina ai feriti, guarda le salme dilaniate ed esclama con foce affranta “Dichiaro il lutto cittadino.. Il mio animo è colmo di orrore e di turbamento..” Viene fatta una descrizione dell’atmosfera in città: abbassate le saracinesche dei negozi, chiusi i cinema, i teatri, i night, chiusa anche la Scala. Solo Piazza Fontana si riempie di gente preoccupata, spaventata, con gli occhi inorriditi. Arrivano i giornalisti, la piazza è colma di agenti e carabinieri. Rea descrive tutti gli avvenimenti della giornata, la conferenza stampa di Guida, la riunione studentesca alla Statale in Via Festa Del perdono, la paura nelle sezioni del PCI e negli uffici della Democrazia Cristiana. Racconta come durante tutta la notte le “pantere” della polizia corrono per la città: uno dei primi uffici a essere perquisito è quello di “Lotta continua”, poi la sede di “Potere Operaio”, vengono fermati alcuni giovani appartenenti all’Unione dei Comunisti italiano marxisti-leninisti, e poi gli anarchici, il bersaglio numero uno nell’ambito delle retate compiute dalla
polizia nella notte del 12 Dicembre. Una presa di posizione forte e incisiva viene espressa da “La strage di stato: Controinchiesta” del 1970. Questo libro “scritto da 15 anonimi compagni qualsiasi” è un’inchiesta, attenta e non indulgente. Più precisamente una controinchiesta. Nella nota editoriale il libro viene definito come uno strumento non per ricordare qualcosa. “Leggere la Strage di stato serve a capire l’oggi, da dove viene questo paese, da quale storia sorge il presente, di quali infamie sia capace il potere pur di conservarsi. Un libro, ma soprattutto un metodo.” Il libro viene pubblicato alla fine del Giugno 1970 dall’editore Guido Savelli, presentandolo come supplemento al mensile “Controborghese”. Tra Settembre e Ottobre 1970 il libro viene denunciato chiedendo il sequestro su tutto il territorio nazionale da parte di parecchi personaggi politici come ad esempio Almirante (segretario MSI), Rauti (segretario di Ordine Nuovo). Nell’analisi dei fatti, il libro, prende in considerazione tutti gli avvenimenti senza tralasciare quelli che potrebbero essere scomodi alla versione che si vuole sostenere. E’ proprio per questo che i militanti della sinistra extraparlamentare non si limitano a parlare della violenza fascista, ma anche di quella antagonista e addirittura di quella dello Stato. Il libro ripercorre la storia dell’Italia nel 1969, un anno in cui 145 attentati hanno sconvolto il Paese. Gli autori esprimono fin dalla prima pagina una propria opinione precisa sulla matrice di tutti gli attentati. Nella controinchiesta si analizza la precaria situazione politica italiana, la strategia della tensione, le posizioni degli anarchici con particolare attenzione ai circoli romani e milanesi, il perché della morte di Giuseppe Pinelli. Secondo gli autori perché si possa realizzare la “Strategia della tensione” è necessario trovarsi di fronte ad un contesto storico, politico e sociale caratterizzato da profonde contraddizioni. In tale clima, presente all’epoca in Italia, si sono potute inserire forze infiltrate che hanno spostato lo scontro politico in lotta con le forze dell’ordine, in modo da trasformare il rapporto tra lavoratori e Stato in un problema di ordine pubblico. In questo modo i problemi politici tendono a scomparire ed al loro posto emerge il tema dominante dell’ordine in difesa del disordine. La tesi sostenuta è che questa strage è da considerare la prima di tante stragi di stato, ovvero stragi compiute da uomini finanziati e protetti dallo stato. Se si vuole raggiungere, quindi, un giudizio unanime sulla Strage di Piazza Fontana è necessario ripartire proprio dalle testimonianze di quei giornalisti che, subito dopo, iniziarono a rivendicare la verità.
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Sono sotto choc è giunto fino a Patmos sentore di ciò che annusano i cappellani i morti erano tutti dai cinquanta ai settanta la mia età fra pochi anni, rivelazione di Gesù Cristo che Dio, per istruire i suoi servi - sulle cose che devono ben presto accadere ha fatto conoscere per mezzo del suo Angelo al proprio servo Giovanni. Ci sono là marcite; e molti pioppi. Venendo da là vestivano di grigio e marrone; la roba pesante, che fuma nelle osterie con le latrine all’aperto. Poca creanza, farsi ritrovare così, da parte di quei galantuomini non ancora del tutto romanizzati, e sì che tutti i barocci erano spariti da un pezzo! Ma gli usati corpi, non di monaci, perché cattolici erano cattolici, ma s’erano sposati, fornicando la loro parte; insomma, giusto perché dei nipotini oggi piangessero. Solo un suicidio porterà sulle tracce del responsabile di tal pianto. Lombardi al Governo! Tra voi e il paese c’è un abisso. È la vostra banalità che lo scava (le «e» strette son niente confronto al lessico; che umile dialetto non è; lo fosse!) E chi è sotto choc ride con gli occhi di Antonioni Il quale attesta come parola di Dio e testimonianza di Gesù Cristo e anche Pasolini ride, tutto quello che ha veduto, mentre Moravia è distratto, beato chi legge, e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia. Che ne piangano le loro famiglie; io ne parlo da letterato. Oppongo al cordoglio un certo manierismo. Di tradizioni recenti son piene le Sette Chiesuole. Canoni e tropi a disposizione rimpiazzano le commozioni; e basta deciderlo, l’umore necessario è pronto con tutti i suoi caratteri (di difesa dietro il lessico, esso, eslege, desueto) chi è al potere altresì ha le sue figure entro cui comodamente sostituire al logos il nulla; dietro una cattedra, un tavolo da lavoro, col doppiopetto: perché il tempo è lontano. Così si consola la morte, e chi ha la cattiva creanza di farsi piangere; ridotto a tronconi: cosa inammissibile in un uomo serio, che si occupa di agricoltura! Come poi se fossimo nel ‘44. Io sono l’Alfa e l’Omega, colui che è, che era e che viene; l’Onnipotente; fidando su ciò, l’onorevole Rumor, Pocopotente
ma Potente, comunque, si dissocia dai telespettatori dei bar e parla ai piccoli borghesi in famiglia che si saziano di indignazione del tutto lessicalmente estranea al popolo. Attilio Valè: presente! 52 anni, abitava a Mairano di Noviglio. Era separato da otto anni dalla moglie; era un bell’uomo alto circa un metro e ottanta: commerciava in bestiame Io, Giovanni, vostro fratello, che partecipa con voi alla stessa tribolazione al regno e alla perseveranza di Gesù, mi trovai relegato nell’isola chiamata Patmos a causa del Vangelo di Dio e delle testimonianze che rendevo a Gesù. L’Autorità dello Stato moderato non contempla la realtà dei sensali. Pietro Dendena (presente!) 45 anni, abitava a Lodi in un nuovo edificio di Via Italia 11 con la moglie Luisa Corbellini, la figlia Franca, 17 anni, che frequenta il corso di segretariato d’azienda, e il figlio Paolo, 10 anni, alunno di quinta elementare. Di professione mediatore, frequentava regolarmente il mercato di Piazza Fontana non mi meraviglierei da letterato schizoide che comparisse tale e quale in un olio del Prado né che avesse un debole per l’Inter; ci son portichetti a Lodi, tetramente settentrionali contro un cielo buio, con nuvole basse micragna dei tempi degli Antenati, odor di vacche! L’è il dì di mort (tutti presenti). Quanto a Paolo Gerli, 77 anni (presente) ci son portichetti a Lodi a sesto acuto, e le piccole osterie micragnose sanno di vestiti bagnati riscaldati dalla stufa abitava con la moglie in un bellissimo palazzo di Via Savaré, 1, dove si era trasferito nel 1954 possidente di non pochi terreni agricoli, curava in proprio il commercio dei prodotti della sua terra. I vicini di casa, loro, lo ricordano come un signore gioviale e esuberante. Usava regolarmente la bicicletta. Aveva avuto dal matrimonio tre figlie tutte sposate. Or, ecco, fui rapito in estasi, nel giorno del Signore e udii dietro a me una voce potente, come di tromba Eugenio Corsini, 55 anni, presente! abitava dall’epoca delle nozze in Via Procopio 8, padre di due figli ormai sposati, commerciava in olii lubrificanti per macchine agricole. La moglie non aveva smesso di lavorare.
Non si cantarono serenate in quel 1940; dal 1940 si era lavorato giudiziosamente, a casa a far la calza. Si erano frequentate scuole in vista di futuri risparmi; niente grilli per la testa, che nessuno avesse niente da ridire; la Morale come una cosa passata di donna in donna; poco riso negli occhi, e gran risate al momento giusto: a Natale. Io mi voltai per vedere la voce che parlava e appena voltato vidi sette candelabri d’oro Carlo Luigi Perego, 74 anni, risiedeva a Usmate Velate e in mezzo ai candelabri Uno che assomigliava al Figlio dell’Uomo in Via Stazione 21 vestito di una lunga veste lascia la moglie e due figli sposati che hanno proseguito la sua attività di assicuratore e cinto d’una fascia d’oro sul petto Era venuto a Milano per rivedere i vecchi amici e per sbrigare alcune faccende relative all’attività dei figli Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana i suoi piedi erano simili a rame ardente arroventato in una fornace (così disse chi li raccolse sotto il bancone) Aveva presieduto, in qualità di coraggioso combattente del ‘15-18 la locale sezione dell’associazione dei combattenti. Presente! Carlo Garavaglia, 67 anni, presente! Alla morte della moglie era andato a abitare con la figlia sposata la sua voce era come il rumore delle grandi acque a Corsico in Via XX Settembre 19. Nella destra teneva sette stelle. Era stato macellaio dalla sua bocca usciva un’acuta spada a due tagli percepiva attualmente una pensione di 18 mila lire. La sua faccia era come il sole. Tentava di realizzare qualche guadagno extra facendo il mediatore. Carlo Gaiani, presente, 57 anni, abitava con la moglie alla cascina Salesiana Era perito agrario ed aveva condotto con successo l’azienda agricola che conduceva come affittuario, fino ad alcuni anni addietro. Ora l’azienda era in decadenza. Lavorava personalmente la terra con un solo lavorante. Si era recato alla Banca dell’Agricoltura per concludere la vendita delle ultime 14 vacche. Saragat taccio, ma ne parla l’«Observer». (2)
Oreste Sangalli, 49 anni: «Presente!» affittuario della cascina Ronchetto in via Merula 13 a Milano mettiamo la sordina alla tromba di quell’Uno lascia la moglie e due ragazzi, Franco di 13 e Claudio di 11 fare d’ogni erba un fascio degli estremisti si era recato al mercato di Piazza Fontana va bene per i giornali indipendenti (dalla Verità) come tutti i venerdì in compagnia di Luigi Meloni ma un presidente della Repubblica! Si erano momentaneamente lasciati a Porta Ticinese Non si può predicare moderazione e si erano dati appuntamento a Piazza Fontana in un paese dove è appunto la moderazione che va male Hanno trovato entrambi la morte e dove non si può essere moderati senza essere banali poco dopo essersi ritrovati. Luigi Meloni, 57 anni presente: commerciante di bestiame abitava a Corsico in Via Cavour con la moglie e il figlio Mario, studente di 18 anni. Possiede qualche piccola proprietà immobiliare. Era venuto a Milano con la vettura del Sangalli. E quando l’ebbi veduto io caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli pose sopra di me la sua destra e disse: Non temere, io sono il Primo e l’Ultimo. Io sono il Medio, parvero dire Rumor e i suoi colleghi. Non si può essere medi, qui, senza essere privi d’immaginazione. Io sono il Primo e l’Ultimo, il Vivente. Giulio China, 57 anni, presente!! Era uno dei più importanti commercianti di bestiame di Novara, ove possedeva due cascine. Lascia la moglie e due figlie sposate. Ho subìto la morte, ma ecco, ora vivo nei secoli dei secoli (a differenza di Giulio China) e tengo le chiavi della morte e dell’inferno. Mario Pasi, cinquant’anni: presente, abitava con la moglie in un bell’appartamento di Via Mercalli 16. Ah antichi portichetti a sesto acuto, grigi, scrostati, sotto cui l’ombra è così fredda che par di essere in Germania e i negozietti di mercerie stringono il cuore, e ancor più se vi si vendono anche caramelle, in scatole di cartone Ma ci son anche palazzi di metallo e vetro che danno sui parchi Non aveva figli. Geometra, si era dedicato all’amministrazione di fondi e stabili. Era stato ufficiale di cavalleria. Scrivi dunque le cose che hai vedute,
e le presenti e quelle che verranno dopo di esse: l’Italia è in crisi, e la stessa crisi che soffro io (inadattabilità alle nuove operazioni bancarie) la soffrono alla loro bestial maniera i fascisti: le ultime 14 vacche! Le ultime 14 vacche! Ecco il senso misterioso delle sette stelle; ché se sette erano magre, le altre sette erano ancor grassottelle. Carlo Silva, 71 anni, abitava in Corso Lodi 108, con la moglie e un figlio, impiegato alla «Dubied». Aveva un secondo figlio sposato. Aveva fatto il mediatore per tutta la vita ma una lieve forma di paralisi lo aveva costretto a muoversi con l’ausilio di un bastone. Percepiva una esigua pensione, ma non aveva rinunciato a recarsi ogni venerdì al settimanale convegno coi vecchi colleghi. Bisogna andare da loro, stupidi come vipere, e dir loro: Siamo fratelli: possediamo le ultime quattordici vacche: la nostra azienda è in rovina, lavoriamo con le nostre mani la terra aiutati da un solo lavorante. Non siamo più in grado di abitare in questo Paese che se ne va per le strade nuove della storia che hai veduto nella mia destra e dei sette candelabri d’oro; Gerolamo Papetti, 79 anni, abitava alla cascina Ghisolfa di Rho di cui era proprietario. Aveva perso la moglie alcuni anni addietro. Lascia tre figli, uno dei quali, Giocondo, lo aveva accompagnato a Milano ed è rimasto ferito in seguito allo scoppio. Le sette stelle sono i sette Angeli delle sette Chiese e i sette candelabri sono le sette Chiese. Beh, non ho intenzione di scrivere l’intero Apocalisse: ormai basta solo progettarlo; e così le idee, basta enunciarle: realizzarle è superfluo. In piena epoca industriale, coltiviamo dunque la terra con le nostre mani, e un solo lavorante. Andremo dunque presto a vendere le nostre ultime 14 vacche ai Vicini nel 1970 avanti Cristo. No, davvero non si può, l’ecolalie neanche notarili vomitate su noi dai nostri coetanei al Governo sono intollerabili. Caro Moravia, caro Antonioni, andiamo di là. Poi venni a casa. La porta che dava sul corridoio della camera di mia madre era aperta: da ciò arguii la sua inquietudine. Essa ha ottant’anni, l’età di Gerolamo Papetti: e penso a ciò che deve ancora soffrire. Da letterato che fa della letteratura
dichiaro la mia solidarietà a «Potere Operaio» e a tutti gli altri groupuscules di estrema sinistra, Saragat non doveva fare un fascio di quell’erba: e dunque sugli scudi Tolin. Le sette Chiese sono su di noi, le zozze. Scende la notte dello choc: il Naviglio va sottoterra Tu ti suiciderai se avevi tutto da guadagnare e nulla da perdere (3) e quindi non sei un fascista di sinistra, che, poverino, coi suoi ideali estremistici ora così tragicamente frustrati, è divenuto mio caro fratello, e vorrei abbracciarlo forte; tu ti ucciderai, fascista pazzo, e il tuo suicidio non servirà ad altro che a dare una disgraziata traccia alla Polizia. In attesa di essere vendute, queste nostre ultime 14 vacche pascolano crepuscolari a Patmos dove ci si limita a scrivere, dell’Apocalisse, il solo prologo. Ma approfondiamo (che altro non si fa a Patmos, senza giungere mai a conclusioni diverse da quelle previste, il deprimente disprezzo per la borghesia, ivi compresi i morti di cui sopra, tutti onorabilmente vissuti infino alla fine) proseguendo, proseguendo eroicamente, dopo aver steso un velo sulla sconfitta dei giovani A Efeso a Pergamo a Smirne a Tiatira a Sardi a Filadelfia e a Laodicea vivono i lettori che disprezzano i buoni sentimenti e sanno, sanno bene del binomio Autorità-Banalità, ma ciò non esclude che anche tra loro i buoni sentimenti siano poi del tutto screditati, anzi, anzi! Ma le conclusioni di ogni approfondimento sono prevedibili, ripeto. L’ultimo odor di stalla e di farina e la stoffa che fuma nelle osterie con la latrina all’aperto dove va gente che se la intende sull’onorabilità e vi fa del razzismo romanico unisce intellettuali di sinistra e fascisti a un unico culto in via di estinzione: allontanando nel cosmo il punto di vista essi appaiono tutti raccolti a imprecare allo stesso tabernacolo; la porta della storia è una Porta Stretta infilarsi dentro costa una spaventosa fatica c’è chi rinuncia e dà in giro il culo e chi non ci rinuncia, ma male, e tiri fuori il cric dal portabagagli, e chi vuole entrarci a tutti i costi, a gomitate ma con dignità; ma son tutti là, davanti a quella Porta.
3.2 In un clima come quello della Strage di Piazza Fontana caratterizzato da incertezza, confusione, e violenza, dove la strategia della tensione porta ad avere un paese ingovernabile, Pasolini con la sua poesia tagliente e diretta cerca di turbare e scuotere le coscienze delle persone. Pasolini è un osservatore della realtà e dei cambiamenti della società, senza pregiudizi e vincoli col potere politico. E’ uno che osserva minuziosamente, che studia, che esprime quello che pensa con sincerità senza preoccuparsi delle opinioni altrui. Secondo il poeta per resistere a quegli anni, caratterizzati da un equilibrio precario, è necessario, per non essere vittime, avere un pensiero forte con idee chiare, qualità che possiede l’intellettuale. In quanto intellettuale Pasolini vuole tener viva la memoria degli uomini attraverso i suoi versi. Patmos è una poesia tratta dalla raccolta “Trasumanar e Organizar” nella quale ricorrono eventi molto importanti dell’età contemporanea, come le lotte studentesche, i problemi politici della sinistra, e infine la strage di Piazza Fontana. La poesia per Pasolini, soprattutto dalla metà degli anni sessanta, diventa uno strumento per parlare di attualità, per sensibilizzare il pubblico e per non far dimenticare avvenimenti importanti nella storia. La poesia diventa, quindi, uno strumento di comunicazione, uno strumento per il popolo, un linguaggio di attualità. All’indomani della Strage di Piazza Fontana, Pasolini nel 1971, scrisse Patmos, per esprimere orrore e sdegno. Dal punto di vista lessicale la poesia è caratterizzata da un verso informale e da una metrica irregolare. Il non rispetto di particolari ritmi poetici caratterizza proprio il verso informale del novecento. I versi sono stati scritti tra il 13 e il 14 Dicembre prima che si verificasse il suicidio di Pinelli “tu ti suiciderai se avevi tutto da guadagnare e nulla da perdere e quindi non sei un fascista di sinistra, che, poverino, coi suoi ideali estremistici ora così tragicamente frustrati, è divenuto mio caro fratello, e vorrei abbracciarlo forte; tu ti ucciderai fascista pazzo, e il tuo suicidio non servirà ad altro che a dare una disgraziata traccia alla polizia” La poesia possiede un’intuizione profetica infatti in questi versi Pasolini prevedeva già un suicidio e con ingenuità immaginava che colui che si sarebbe suici-
dato sarebbe stato un fascista. E’ molto importante sottolineare che Pasolini parla già di una pista fascista nonostante la poesia sia stata scritta il giorno dopo e la sua è stata una delle poche voci fuori dal coro insieme a qualche altro giornalista. Mentre le istituzioni già condannavano l’estremismo di sinistra e gli anarchici, Pasolini sosteneva che esse non affermavano la verità in quanto avevano come obiettivo la rassicurazione della classe borghese. La poesia è divisa in due parti: la prima dove viene condannato e criticato il potere; la seconda in cui l’autore elenca i nomi e i cognomi delle vittime della strage. La poesia è stata scritta subito dopo la vicenda prima del bilancio definitivo delle vittime. E’ per questo che ne vengono menzionate solo tredici e ne mancano quattro. Si intravede la pietà e la compassione per i morti attraverso la descrizione della loro vita, della loro famiglia, della loro professione. Questa descrizione delle vittime e del vuoto lasciato da esse viene paragonato alle visioni apocalittiche dell’Apostolo Giovanni. Questa poesia non è molto conosciuta ma ne vengono citati alcuni passi durante le commemorazioni per la strage. La strage di Piazza Fontana è stato un evento che colpì molto il poeta sia come persona che come intellettuale, per questo Pasolini tratterà lo stesso argomento in altri testi come nell’articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 14 novembre del 1974, che successivamente verrà inserito in una raccolta e chiamato “Il romanzo delle stragi”. E’ considerato uno degli articoli più importanti e conosciuti della storia del giornalismo italiano. Pasolini nell’articolo afferma di sapere i nomi dei responsabili della Strage, ma di non poterli denunciare a causa della mancanza di prove. L’articolo, che rappresenta una denuncia civile, colpisce molto i lettori con la sua cruda realisticità. Deriva da un sentimento di rabbia e di tristezza, con cui convive Pasolini. Nell’articolo si evince un’accusa dura e cruda al potere politico, dove vengono individuati i responsabili delle stragi che in quegli anni insanguinavano l’Italia. L’autore, nell’articolo, afferma che solo un intellettuale è in grado di analizzare i fatti e conoscere la verità riguardo essi in quanto estraneo alla politica.
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3.3
Morte accidentale di un anarchico raggiunge la pienezza espressiva del teatro politico di Dario Fò, senza perdere la spettacolarità scenica.
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Nel 1970 Dario Fò dà vita, con Franca Rame, a uno degli spettacoli di maggior successo, uno spettacolo che è stato rappresentato in tutto il mondo. Il teatro è uno strumento che ha un’importanza sociale e politica notevole, strumento critico verso il potere costituito. Dario Fò ha proprio questa visione del teatro: un mezzo privilegiato per esprimere la propria criticità sulla realtà che ci circonda. Il teatro diventa, quindi, uno strumento di denuncia dei potenti e di espressione popolare per diffondere un impegno politico e sociale. Partendo da uno degli episodi più oscuri della storia italiana, Dario Fò, ha costruito e messo in scena una commedia esilarante, con lo scopo di reclamare giustizia sulla Strage di Piazza Fontana. “ Come ci è venuto in mente di allestire uno spettacolo legato al tema della strage di Stato? Anche in questo caso siamo stati spinti da una situazione di necessità. Durante la primavera del ‘70 gran parte del pubblico che assisteva ai nostri spettacoli [...] ci sollecitava a scrivere un intero testo sulla strage alla Banca dell’Agricoltura di Milano e sull’assassinio di Pinelli, che ne discutesse le cause e le conseguenze politiche. [...] Passato lo shock iniziale, la stampa taceva [...] Si aspettava che “luce venisse fatta”. Aspettare, purchè non si facesse caciara.. Ma qual è la vera ragione del grande successo di questo spettacolo? Non tanto lo sghignazzo che provocano le ipocrisie, le menzogne organizzate - a dir poco - in modo becero e grossolano dagli organi costituiti e dalle autorità ad essi preposte [...], quanto soprattutto il discorso sulla socialdemocrazia e le sue lacrime da coccodrillo, l’indignazione che si placa attraverso il ruttino dello scandalo, lo scandalo come catarsi liberatoria del sistema. Il rutto liberatorio che esplode spandendosi nell’aria quando si viene a scoprire che massacri, truffe, assassinî sono organizzati e messi in atto proprio dallo Stato e dagli organi che ci dovrebbero proteggere». (1) L’opera descrive un momento storico incerto creando un’atmosfera di inquietudine dove i personaggi esprimono le passioni dell’uomo in particolare la violenza, l’odio e la paura. La commedia è stata rappresentata per la prima vol-
ta il 5 Dicembre 1970 a Varese. Per la stesura dell’opera Dario Fò e la moglie hanno reperito vari materiali informativi come articoli, interviste, verbali, mantenendosi aggiornati mano a mano che le informazioni mutavano: per questo si ebbero tre stesure del lavoro. La commedia inizia in una stanza della questura milanese, dove il Commissario minaccia di arrestare un personaggio che poi si rivela un matto, fermato perché sente sempre il bisogno di fingersi altre persone. Quando si ritrova da solo nella stanza scopre dei documenti relativi alla morte di un anarchico caduto da una finestra in circostanze poco chiare. Il matto fa credere al Questore e al Commissario (interpretazione di Calabresi) di essere un ispettore venuto a riaprire il caso irrisolto dell’anarchico. Riesce a far ammettere e a mettere in ridicolo tutte le dichiarazioni contraddittorie contenute nei verbali ufficiali. La commedia si basa su equivoci caratterizzati da comicità dove nessuno crede a ciò che dice. L’opera prevede due finali: uno nel quale il matto si butta dalla finestra; l’altro dove attraverso un epilogo si spronano i presenti a svelare ciò che è accaduto veramente. L’opera si propone di denunciare gli abusi dei potenti, di descrivere la condizione delle classi subalterne, di destare interesse per gli eventi sociali e storici. Per denunciare una situazione che Fò percepisce come ingiusta, si utilizzano mezzi come l’ironia e la farsa tragicomica per suscitare reazioni d’impatto nel pubblico. Ed è proprio grazie al pubblico che l’opera ha successo e può continuare ad essere rappresentata. Infatti come afferma l’autore: “la beffa, il riso, fanno capire molto meglio alla gente la realtà e la imprimono nella mente molto, molto più a fondo”. (2) Fò affronta pesanti conseguenze, mettendo in gioco la sua reputazione, a causa del suo impegno nel voler portare in scena un teatro come mezzo privilegiato per esprimere una critica della società nei suoi aspetti più controversi. L’allestimento di questo spettacolo costò al commediografo più di quaranta processi; per questo la commedia verrà rappresentata negli Stati Uniti, dove vent’anni prima a New York successe un evento di cronaca simile a quello dell’anarchico Pinelli.
(1) Dario Fò e Franca Rame dal libro “Morte Accidentale di un anarchico” (2) Camilla Zamboni “Il teatro come denuncia e strumento di espressione del popolo”
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C CA
CAPI T C A P I TO LO A P I TO LO 4 41
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Ancora oggi la Strage di Piazza Fontana rimane un argomento di discussione oggetto di numerose pubblicazioni. Nel 2006 Nozza, cronista e giornalista del quotidiano “IL Giorno” scrive “Il Pistarolo”. Come scrive Corrado Stajano Nozza fu il “Pistarolo principe”. Erano un gruppo di giornalisti attenti ai particolari, che non si limitavano ad accettare le dichiarazioni della questura e delle fonti ufficiali, ma ricercavano informazioni svolgendo delle vere e proprie indagini. Proprio per questo motivo vengono chiamati Pistaioli, ma partire dal 1979 la “I” viene sostituita da una “R” e, così diventano “Pistaroli”, una parola da pronunciare con disprezzo, rabbia. Questo libro rompe il conformismo intellettuale, tipico degli anni di piombo; Nozza con la sua narrazione proietta il lettore in un mondo fatto di giornalismo d’inchiesta; descrive professionisti che indagano in ambienti remoti raccogliendo documentazione ed analizzandoli minuziosamente. Per i Pistaroli nulla può sostituire la potenza dell’intuito personale, dell’olfatto e dell’osservazione, della mimica o di un silenzio. Piazza Fontana è stato un evento che ha cambiato la vita di tutti gli Italiani. Per la prima volta gli organi Ufficiali, i Questori, i Prefetti e i Commissariati, abituati ad essere ascoltati dalla stampa, considerata “amica” erano stupiti ed increduli di dover, non solo controllare la stampa “sovversiva”, ma un gruppo di giornalisti legati alla stampa borghese. I Pistaroli odiavano le notizie prefabbricate, le cosiddette “veline”. Per questo fin dal primo momento hanno difeso Valpreda, non per motivi ideologici, ma come cronisti che indagano sulla verità e necessitano di far luce su elementi dubbi.
Grazie alle indagini dei Pistaroli viene alla luce l’esistenza di veline misteriose inviate dal Giudice istruttore di Milano al SID. Tali documenti, trovati nel Dicembre 1971, avrebbero contenuto, informazioni relative alla situazione politica del 1969 chiamata “ritorno al centrismo”. Questa operazione si sarebbe dovuta effettuare in diverse fasi: operare una scissione nel Partito Socialista, favorire la corrente di destra della Democrazia Cristiana, cambiare i vertici della RAI e acquistare organi di stampa cercando di creare un’opinione pubblica favorevole al centrismo, invocare lo scioglimento del Parlamento e promuovere un ondata di attentati terroristici per convincere l’opinione pubblica del pericolo di una possibile svolta a sinistra. Nel 1969, tutte le previsioni elencate nelle ipotetiche veline, si erano realizzate: gli attentati erano stati compiuti; i vertici della RAI erano cambiati, il governo era di centro e i giornali obbedivano al governo. Le veline trovate in una cassetta di sicurezza nella banca di Montebelluna sarebbero appartenute a Giovanni Ventura. Questo libro è un’ottima rappresentazione di letteratura e cultura civile. La ricerca diretta delle fonti, la denuncia sociale e l’assunzione delle responsabilità delle proprie idee ormai sono elementi introvabili. I Pistaroli, attraverso la passione per il loro lavoro, cercarono di aiutare l’opinione pubblica a far luce sui misteri dell’epoca. Può essere considerato un libro necessario per non dimenticare, un libro ricco di informazioni che sottolinea pagina dopo pagina chi vi fosse dietro le stragi. Nozza si rivela un giornalista esemplare, un cronista che sapeva fare controinformazione nonostante i pochi strumenti di cui disponeva, in momenti in cui andare contro le verità ufficiali era molto pericoloso.
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4.2
“Realizzare una messa laica, raccontando storie che avranno gambe per poter camminare fino a che qualcuno continuerĂ a tramandarle. E contemporaneamente smuovere le coscienze.â€? Carla Cotterli, Il Salvagente.
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Il teatro era ed è considerato uno strumento con forti potenzialità, capace di far comprendere e allo stesso tempo riflettere gli spettatori. Dal 1969 ad oggi, la Strage di Piazza Fontana viene presa ancora come oggetto negli spettacoli di teatro civile. Nonostante i numerosi mezzi di comunicazione di massa esistenti ai giorni nostri, il teatro civile viene ancora utilizzato perché considerato uno strumento che da la possibilità di sviluppare una coscienza civile, un impegno civile. “Quel giorno maledetto” dice il presentatore del monologo messo in scena a Milano il 12 Dicembre 2009, a quarant’anni dalla strage, da Daniele Biacchessi e Michele Fusiello, al sassofono e computer. Daniele Biacchessi è uno scrittore e un giornalista, vice capo redattore di radio 24-Il Sole 24 Ore. Autore di libri, prefazioni e interventi, ha scritto reportage sul terrorismo, pubblicati da importanti editori italiani, inoltre, è registra e interprete di teatro narrativo civile. Questo spettacolo vuole promuovere la cultura della memoria e aderisce al progetto dell’Associazione Arci Ponti di memoria. Il monologo incomincia illustrando il quadro storico dell’autunno caldo dove operai e studenti manifestavano e scioperavano per i diritti allo studio e per migliorare le condizioni lavorative. Lotte che, diventano sempre più calde e caratterizzate da una conflittualità con le forze dell’ordine. Il 1969 è l’anno delle bombe: dal 3 Gennaio al 13 Dicembre scoppiano 145 bombe, 96 delle quali sono di matrice accertata di estrema destra.Biacchessi continua descrivendo la giornata del 12 Dicembre, giornata piena di luci natalizie, negozi illuminati e strade affollate di persone. Un forte boato rompe il silenzio, giunge da Piazza Fontana. “Alle ore 16.37 noi italiani eravamo tutti vecchi”. “12 Dicembre 1969: Piazza Fontana. Il giorno dell’innocenza perduta. 17 morti più Pino Pinelli fanno 18… Pinelli cade dalla finestra a causa di un malore, solo
oggi però sappiamo che non è così ma che è soltanto la diciottesima vittima della strage..” Daniele Biacchessi prosegue elencando misteri, omicidi e stragi: casi mai irrisolti o con attentatori mai condannati e con tono arrabbiato esclama più di una volta: “oggi nessuna giustizia”. Il teatro d’impegno civile di Biacchessi vuole essere un contributo per far luce su eventi bui, foschi, scomodi e vergognosi: eventi che fanno venire i brividi. Quello che il giornalista chiede è di rendere noti i segreti di Stato e di “aprire gli armadi della vergogna”. L’autore teatrale riesce a ripercorrere, grazie ai suoi spettacoli, le storie d’Italia, quelle vere, quelle dimenticate. Con una voce decisa e netta, spesso più pastosa, altre volte più tagliente, riesce a dar vita a ciò che racconta, riesce a raccontare la storia di una società contraddittoria utilizzando uno stile comunicativo tra il teatro e la musica. Il monologo si conclude con: “Vergogna italiana. La vergogna è che un pezzo dello stato ha ordinato e fatto eseguire queste stragi, la verità è che un terzo dello stato ha deciso liberamente di uccidere uomini donne e bambini. Perché lo stato può essere buono ma può anche essere cattivo. E questo lo potremo sapere fra molti anni. E quelle persone che gridavano nelle piazze che quella strage era una strage di stato.. oggi vedo che tutti i giornali stanno per dare loro ragione.” Non bisogna mai dimenticare. Per questo esiste il teatro civile. Il teatro civile riporta delle testimonianze, ed è lui stesso una testimonianza. Daniele Biacchessi, trasferisce la memoria nelle sue performance e nei suoi spettacoli, diventa lui stesso memoria, e lo fa per le nuove generazioni, perché vuole creare dei “Ponti di Memoria”, nome tra l’altro dell’Associazione di cui lui è il Presidente. Come dice Laura Landolfi del Riformista “In teatro il dolore privato diventa dolore pubblico. Questa si può definire un’operazione politica.”
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4.3
“Giordana, all’epoca studente, rievoca quel 12 dicembre 1969 in Piazza Fontana, giorno della perdita dell’innocenza e racconta a chi non c’era la genesi della strategia della tensione, i servizi deviati, il sacrificio di Pinelli e la vergogna d’un terrorismo fascista destabilizzante che giace impunito nella coscienza. Riabilitato Calabresi, il regista compone il puzzle, a noi la conclusione (...) Da vedere.” Maurizio Porro, Il Corriere della Sera
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Il film del 2012 diretto da Marco Tulio Giordana, scritto dagli esperti Petralia e Rulli, è liberamente tratto dal libro di Paolo Cucchiarelli “Il segreto di Piazza Fontana”. Il film si presenta allo spettatore come un romanzo vero e proprio diviso in capitoli che sintetizzano gli avvenimenti principali successi nell’arco temporale di quattro anni. Questa scelta, molto efficace, rende questa fase storica complessa più chiara e assimilabile allo spettatore. Grazie al regista è stato portato nelle sale cinematografiche uno dei capitoli più bui e oscuri della storia italiana. Il cinema diventa così un impegno civile, che purtroppo non può cambiare la storia, ma che può aiutarci a capire ciò che eravamo e ciò che siamo diventati. Grazie a questo film, alcuni sostengono, che la verità possa essere portata a conoscenza di tutti. Il regista trasferisce in immagini le celebri frasi della “io so ma non ho le prove” di Pasolini. Come il poeta anche i protagonisti del film sanno ma non denunciano o per scelta o per mancanza di prove ed indizi. Il regista ricostruisce gli avvenimenti di quei giorni con rigore, cercando di non prendere posizione, ma comunque non rinunciando ad accusare una classe politica che ha voluto e contribuito attivamente a destabilizzare il paese. Un altro pregio del film è che esso non consente allo spettatore di immedesimarsi con nessuno dei personaggi, lascando quindi libero il suo pensiero e le sue valutazioni. Le sequenze rispecchiano il meticoloso processo di ricostruzione che ha ripercorso il regista. Esso cerca di descrivere tutto ciò che è realmente accaduto, senza coinvolgimenti emotivi. La storia viene raccontata attraverso tre personaggi, Luigi Calabresi, Commissario della Polizia, Giuseppe Pinelli, anarchico e ferroviere, e Aldo Moro, politico della Democrazia Cristiana. Uno dopo l’altro pagheranno e saranno vittime delle manipolazioni compiute da organi politici e statali ai quali non si sono potuti opporre. Il regista lascia che sia ognuno dei personaggi a raccontare, fase dopo fase, la storia, lasciando che sia lo spettatore a trarre le proprie conclusione. Il regista non perde mai di vista le vicende personali dei protagonisti e la loro umanità che viene sopraffatta dalle forze politiche. Il regista cerca di evitare un eccesso interpretativo da parte degli attori, cercando di cogliere al meglio le sfumature relazionali che caratterizzano il loro impegno professionale. All’inizio del film ci si sofferma molto sul rapporto tra Calabresi e Pinelli, contrapposti sul fronte politico, ma persone sincere che finiscono col riconoscersi nell’altro, rispettandosi. Una scena che evoca questo rapporto è l’incontro dei
due alla libreria Feltrinelli, dove si scambiano dei libri. Una relazione turbolenta ma, da come emerge dalla pellicola, di rispetto reciproco. Alla morte dell’anarchico, il commissario ne è psicologicamente turbato e spinto verso la ricerca della verità. Lo svolgimento dei fatti farà in modo che i tre personaggi principali, tanto diversi tra loro, ma allo stesso tempo accumunati da un unico ideale di giustizia sociale e politica, scoprano la verità. Anche Aldo Moro risulterà una vittima del sistema, emblematica una delle scene finali dove il politico, parlando con il Presidente della Repubblica Saragat, presenta un dossier di una contro-inchiesta che denuncia una strategia del terrore messa in atto da ambienti politici e dai servizi segreti. D’effetto la frase pronunciata da Moro “vi costringeremo a coprire tutto... come i gatti fanno con gli escrementi”. Similitudine riferita alla corruzione e alle ingiustizie che hanno caratterizzato gli ambienti politici dell’epoca. Pur essendo tre personaggi completamente diversi ciò che gli accomuna è un senso di solitudine che li fa apparire tutti e tre come vittime di manovratori occulti. La scelta di rappresentare un capitolo della storia così oscuro non garantiva la buona riuscita del film. Infatti il rischio era quello di produrre un film documentaristico o un film a tesi. Al contrario “Romanzo di una Strage” riesce ad argomentare bene attraverso immagini veritiere gli eventi. Ispirandosi però al romanzo di Cucchiarelli, la storia enfatizza eccessivamente il rapporto marcato tra Pinelli e Calabresi, resi amici “leali” nella finzione del film; sostiene la teoria delle due bombe, una fascista, l’ordigno più potente e l’altra anarchica, invece più soft, che secondo la realtà dei fatti non sta in piedi, essendo stata screditata più di una volta. Il film dà quindi una sua interpretazione dei fatti diversa da altre fonti d’informazione prese in considerazione. La paura del comunismo, della quale si intravede l’ombra dietro agli episodi, fa imporre delle scelte precise: infiltrare neo fascisti tra gli anarchici, sui quali poi far ricadere la colpa degli attentati compiuti dai primi. Tutto ciò organizzato dai servizi segreti italiani, legati ad ambienti della politica. Emerge, alla fine del film, l’unica matrice delle bombe: la destra eversiva. Questo film è l’esempio di come molte volte, per restituire la verità, e non cancellare la memoria, è necessaria la potenza del cinema. Il romanzo ha, quindi, lo scopo di mettere in evidenza la mancanza di sicurezza che lo Stato avrebbe dovuto garantire, sottolineando il rapporto di sfiducia che, poi, sarebbe nato tra Stato e Cittadini.
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«Ti lascia la sensazione che non sappiamo niente, che non abbiamo né verità né giustizia, che Piazza Fontana resta una nebulosa oscura e chi è andato vicino alla verità, da mio padre a Moro, è stato ammazzato. Invece la verità storica c’è, eccome.. ..È pericoloso dare l’idea che non si sappia niente. Sappiamo quanto affermano le sentenze che, se non hanno più potuto condannare, nelle loro motivazioni hanno chiarito le responsabilità». cit. Mario Calabresi
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4.4
Il 12 dicembre 2009 va in onda sulla Rai, nella Rubrica “La notte della Repubblica” un’inchiesta di Sergio Zavoli che ripercorre gli avvenimenti legati alla Strage di Piazza Fontana. E’ un servizio ricco di immagini, filmati dell’epoca ed interviste a personaggi che hanno vissuto in prima persona gli eventi. Viene trasmessa l’intervista fatta negli anni successivi alla strage a Indro Montanelli, giornalista e saggista, che ricorda di essersi subito dichiarato contrario alla pista anarchica. Gli anarchici, pur non essendo estranei alla violenza, generalmente la usano in altro modo, non sparano mai nascondendo la mano: l’anarchico spara al bersaglio simbolico del potere e ne assume sempre la responsabilità. Vi era l’impressione che vi fosse un “doppio comando”, qualcosa che sfuggisse alle autorità, afferma Pietro Bassetti, Segretario Regionale della Democrazia Cristiana. Viene mandata in onda la conferenza stampa tenuta da Guida, Questore di Milano, con i giornalisti, dove questi ultimi chiedono spiegazione circa le dichiarazioni di Calabresi sulla pista anarchica. Ma l’avvocato degli anarchici, Luca Boneschi, annuncia che l’inchiesta sembra avere un unico obiettivo: troppi fermi senza indizi; l’indagine era condotta dalla polizia che si era orientata solo verso gli ambienti anarchici e verso qualche extraparlamentare. Sulla vicenda della morte di Pinelli sono interessanti le interviste a Licia Pinelli di Corrado Stajano dalla trasmissione dell’epoca “La forza della Democrazia” e l’Intervista alla moglie di Calabresi, tratta dal Telegiornale della Notte. Per sottolineare la poca chiarezza nello svolgimento delle indagini Zavoli propone l’intervista fatta al proprietario del negozio di Padova dove erano state vendute le quattro valigette di pelle che contenevano le
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bombe: solo dopo due giorni dalla Strage la questura viene informata del fatto, ma solo dopo due anni il proprietario del negozio viene interrogato. Le indagini partono due anni dopo, da parte della magistratura di Padova, verso la pista nera con le incriminazione di Freda, Ventura e Giannettini, che aveva stretti rapporti con i servizi segreti. Di ogni personaggio viene fatta una scheda con interviste e dichiarazioni, come l’intervista al Giudice Calogero che mette in evidenza gli ostacoli messi in atto dal SID per intralciare le indagini facendo fuggire Ventura, e inducendo il Giannettini a sottrarsi agli interrogatori facendolo espatriare in Francia. L’inchiesta si conclude con un incontro tra Zavoli e Pietro Valpreda. I passaggi più significativi possono essere così riassunti: - Il sistema delle garanzie non è stato rispettato, la giustizia non è stata resa. - Calabresi è stato preso come emblema di morte da Lotta Continua e anarchici. Era un uomo intelligente, preparato e ambizioso. Calabresi conosceva bene Pinelli e sapeva benissimo che era innocente. La sua morte ha danneggiato in modo particolare la sinistra. - Oggi Valpreda dà un giudizio negativo sulla morte di Calabresi in quanto sono state altre le persone con grosse responsabilità. - E’ comunque convinto che Pinelli sia stato ucciso, che sia successo qualche cosa di incomprensibile. - “Lei crede ancora nella giustizia?….” “Credere nella verità non significa credere nella giustizia.” La Strage di Piazza Fontana nel corso degli anni sarà oggetto di nuove inchieste, nuovi rinvii a giudizio, volti diversi prenderanno il posto degli imputati. La giustizia si troverà di fronte ad una fitta rete di reticenze e deviazioni, complicità, ma nonostante non si sia mai arrivati ad una conclusione, non smetterà mai di essere raccontata.
5 La scelta di un tema così importante e allo stesso tempo controverso, come quello di Piazza Fontana, preludio che diede inizio alla strategia della tensione, nasce dalla voglia di scoprire come la comunicazione fece il suo lavoro, in un momento come quello. La ricerca è stata finalizzata a scoprire come i media hanno veicolato le informazioni; essendo degli strumenti di grandi potenzialità, tali da poter diventare un pericolo e allo stesso tempo una grande fonte di conoscenza. Strumenti talmente forti da essere soggetti a censura. Strumenti che possono diventare la voce del contropotere, una voce che si oppone al mainstream, una voce che vuole esprimere la propria opinione ed essere libera di farlo. La ricerca verte sull’analisi di fonti d’informazioni, sia dell’epoca che più attuali e recenti. Tutto ciò ha portato alla conclusione che un fatto, una strage, un evento che ha segnato così in profondità un paese, non può essere dimenticato tanto in fretta. Un evento di una portata simile, deve essere ricordato, deve rimanere impresso nella mente delle persone, e questo lo pensano in tanti. Sono molti, infatti, gli artisti che tuttora vogliono dare voce ai loro pensieri, pensieri sempre diversi, perché a una verità univoca non ci si è mai arrivati. Il 1969 è un anno che si ricorda anche per la nascita di qualcosa di nuovo, un “movimento” che per la prima volta si separa dalla massa. Nel 1969 nasce il giornalismo d’inchiesta, un gruppo di giornalisti che danno vita alla controinformazione, giornalisti che non erano mai soddisfatti delle fonti messe a loro disposizione e preferivano indagare, senza farsi influenzare dai loro orientamenti politici. Dalle testate di giornali, legate indissolubilmente allo Stato, giornali che riportavano ciò che dovevano dire senza esitare, alle pagine di altri quotidiani che invece si rifiutavano di prendere nota e scrivere ciò che veniva loro imposto e che cercavano di comporre loro stessi le notizie dei fatti accaduti: era questo il panorama che si presentava nel 1969. Informazioni sempre diverse, opinioni contrastanti e continue contraddizioni. Questa esperienza segna, come non mai, la storia del giornalismo italiano e si sviluppano due diversi modi di operare: quello di coloro che mantenevano il rapporto tradizionale con le autorità e quello di chi, invece, modificava il proprio modo di lavorare e prendeva parte alla controinformazione.
Proprio questi due modi di operare hanno permesso che accanto alla versione ufficiale si sviluppasse un’opinione diversa scaturita da una pluralità d’informazioni. L’informazione e i quotidiani aggiornavano i lettori sulle notizie e sul divenire dei fatti, come volevano e nel modo in cui volevano, riportavano ciò che per loro era giusto portare a conoscenza. Questa situazione venne sbloccata e finalmente fu possibile acquisire informazioni più dettagliate, informazioni “censurate”. Non solo i giornalisti, non solo i libri, ma anche Dario Fò con la moglie e con il suo spettacolo teatrale, anche Pasolini con i suoi articoli e le sue poesie: erano in tanti coloro che ritenevano giusto e morale, rispetto alla loro professione, dire ciò che vedevano e sentivano ma che nessuno aveva il coraggio di fare. Ed è proprio grazie a queste personalità, che spesso hanno dovuto affrontare situazioni complicate, come processi, per aver “trasgredito” la libertà di parola ed espressione, che possiamo analizzare bene la notizia, scoprire i tasselli mancanti e iniziare a porci qualche domanda rispetto alla comunicazione. Come già detto, la Strage di Piazza Fontana ancora oggi è un argomento molto trattato, questo perché rimane un tema tuttora scottante, una strage che, per molti, non ha un volto; una strage invece, che per altri, un volto ce l’ha ma rimane una tragedia a cui non è mai stata resa giustizia. Ritengo, infine, che negli anni successivi alla Strage la comunicazione, soprattutto quella veicolata della controinformazione, è stata organizzata e diffusa in modo molto efficace. È sempre stato fondamentale per i comunicatori cercare ed evidenziare nel dettaglio i punti oscuri, i dubbi su ogni singolo elemento. Perché anche il minimo particolare, diventa importante in situazioni come queste. Ritengo che, persone come queste, hanno reso giustizia ad una strage, che rimane tutt’ora impunita, cercando di difendere persone, accusate ingiustamente e mettendo in pericolo la propria vita. Ed è proprio questa che dovrebbe essere la comunicazione, sempre. La comunicazione deve essere, così, libera, indipendente dallo stato e autonoma. Senza una pluralità di informazioni e di opinione diverse, le persone non potrebbero sviluppare una propria opinione e un proprio pensiero, quindi che comunicazione sarebbe?
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b i b l i o g r a f i a - Archivio storico L’Unità, presso Biblioteca Centrale, Palazzo Sormani, Milano. - Archivio storico Corriere della Sera, presso Biblioteca Centrale, Palazzo Sormani, Milano. - Archivio storico Corriere dell’Informazione, presso Biblioteca Centrale, Palazzo Sormani, Milano. - Archivio storico Il Giorno, presso Biblioteca Centrale, Palazzo Sormani, Milano. - Archivio storico L’Espresso, presso Biblioteca Centrale, Palazzo Sormani, Milano. - Archivio storico La Stampa, presso Biblioteca Centrale, Palazzo Sormani, Milano. - La Strage di Stato - Controinchiesta di Eduardo M. Di Giovanni, Marco Ligini e Edgardo Pellegrini - Le Bombe di Milano di Camilla Cederna, Giorgio Bocca, Marcello Del Bosco, Marco Fini, Giorgio Manzini, Marco Nozza, Gianpaolo Pansa, Ermanno Rea, Aristide Selmi, Corrado Stajano, Luca Boneschi e Duilio Bartolo - Il mondo di Camilla di Camilla Cederna - Il pistarolo di Marco Nozza - Pinelli, una finestra sulla strage di Camilla Cederna
r i f e r i m e nt i
v i d e o g r a f i c i
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r i f e r i m e nt i
i c o n o g r a f i c i
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La strage di Piazza Fontana. Sara Signorini Teoria e metodo dei mass media Docente: Nazzareno Mazzini 3ยบA Graphic Design IED Milano A.A 2014-15
“Ma tutto ciò allora non si sapeva. Eravamo innocenti? Forse eravamo innocenti, ma non eravamo fessi. Perlomeno alcuni di noi.â€? E. Deaglio