SEI_Storia Feltri_2012

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Chiaro Scuro storia

casa editrice SEI restyling 2011


Democrazia

in Europa e

150 ttoriosa dalla appena uscita vi one a er e ch , lia ta l’I Nel 1919, e una situazi dovette affrontar ero Grande Guerra, gravissima. Molti operai avrebb in le va cia sa so pe e l’inflazione economica in Russia, mentre parmi. voluto fare come ris i su e ri la o sui sa modo significativ

La mobilitazione delle masse

S

ullo sfondo delle origini del fascismo, sta il problema delle masse. Entrate prepotentemente sulla scena politica, a seguito del processo di industrializzazione, ormai non accettavano più di starsene passivamente in disparte: anzi, l’esempio russo sembrava mostrare loro che i tempi erano maturi per un radicale mutamento sociale. Dopo la guerra, in Italia erano sempre meno a pensarla come Giolitti, convinto che la rivoluzione potesse essere arginata solo dando spazio a una politica di alti salari e di dialogo con i sindacati. La maggior parte della classe dirigente era di opinione opposta: riteneva che i rossi e i sovversivi dovessero essere liquidati senza compromessi. Sostenute e finanziate dai grandi proprietari terrieri (terrorizzati dalle agitazioni sociali che nel 1920 avevano investito sia le campagne che le fabbriche)

Nel 1919, Benito Mussolini fondò il movimento dei Fasci italiani di Combattimento, che nel giro di alcuni anni assunse posizioni antisocialiste sempre più marcate. In Emilia Romagna e in altre regioni, i proprietari terrieri finanziarono le squadre d’azione fasciste, per sconfiggere il movimento contadino. Esercito e forze dell’ordine, in genere, tollerarono le violenze.

le squadre d’azione fasciste attaccarono le organizzazioni sindacali socialiste e cattoliche, distruggendo le Case del Popolo e aggredendo le figure più in vista del movimento operaio. Fu una rivoluzione, dunque, quella che portò il fascismo al potere, nel 1922? Assolutamente no. Il fascismo non conquistò il potere con un colpo di Stato paragonabile all’assalto al Palazzo d’Inverno condotto dai bolscevichi, nel novembre 1917. Il fascismo, certo, utilizzò la violenza per farsi strada, ma tale violenza non fu in alcun modo esercitata contro lo Stato e le sue istituzioni, per abbatterle con la forza. Furono le autorità, all’opposto, che dapprima tollerarono le brutalità fasciste contro i gruppi d’opposizione e poi, infine, concessero il potere a Mussolini. Nel giro di qualche anno, il fascismo chiuse ogni spazio al movimento operaio e distrusse tutti i caratteri fondamentali dello Stato liberale: le libertà di parola, di stampa e di associazione furono can-


UNITÀ IV

e liberismo negli Stati Uniti

151 usse lo Stato , Mussolini distr rituale di 22 19 l ne e ter un vasto Salito al po porsi al centro di liberale e cercò di masse. Nel 1936, la conquista lle ae mobilitazione de mpagnata da una svolta razzist co che ac e fu on a zi pi in io nv Et co ll’ de arcata, nella m ù pi e ò pr pu à sem rit antisemita ria superio nvinto della prop co lo po po un lo so pero. conservare un im

Il fascismo ca ncel movimento op lò ogni spazio di azione pe er r andava abolit aio, sostenendo che la lotta il a: i vari grup di classe pi sociali avre collaborare in bber vi L’impero di R sta dell’espansione della na o dovuto oma divenne zi il grande mito one. di riferimento .

sommario cellate completamente, insieme alla separazione dei poteri. Che tipo di dittatura fu quella fascista? Che cosa la distingueva da altri regimi autoritari più tradizionali? Il fascismo volle essere una dittatura di tipo nuovo, adatta al secolo delle masse. Pur nutrendo un profondo disprezzo per la vera democrazia, mobilitò continuamente le masse, cercò il consenso degli Italiani e si sforzò di educarli a un nuovo sistema di valori, basato sull’obbedienza al “Duce” e sul senso di superiorità razziale. Il fascismo non voleva dominare gli Italiani, ma coinvolgerli nel suo progetto di trasformazione del Paese in grande potenza. Inoltre, il fascismo voleva per sé tutto l’individuo, che doveva diventare interamente fascista, in tutte le sfere della sua attività. Sotto questo profilo, nel suo tentativo dominare integralmente l’essere umano e trasformarlo in un uomo nuovo, il progetto del fascismo italiano non fu meno totalitario di quelli del comunismo sovietico o del nazionalsocialismo tedesco.

1. 2. 3. 4.

TESTO L’Italia dopo la prima guerra mondiale Il movimento fascista Lo Stato totalitario Lo Stato corporativo

IPERTESTO 1. Le origini dell’ideologia fascista 2. La Chiesa e il fascismo 3. Fascismo e identità di genere online 4. Andrà su Cd-Rom PERCORSI DI STORIA LOCALE Lo squadrismo in Emilia-Romagna


CONTRASTI

1 Le origini del conflitto

POLITICI

Il congresso di Berlino

UNITÀ I

➔L’espansionismo russo nella penisola balcanica

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

152

➔L’alleanza tra germania e austro-ungheria

GLI SCHIERAMENTI CONTRAPPOSTI NELL’EUROPA DEL 1914

Come tutti gli eventi storici, la guerra che scoppiò nel 1914 non era affatto inevitabile. Non era automatico che l’Europa sprofondasse nella catastrofe dello scontro generalizzato. Eppure, da circa trent’anni, i governi avevano imboccato una strada pericolosissima, che poteva avere quello sbocco e che alla fine, addirittura, parve non avere alcuna via d’uscita diversa dal conflitto. A nostro parere, un’analisi delle cause che provocarono la Prima guerra mondiale deve iniziare nel 1875: nelle due province della Bosnia e della Erzegovina (ancora sottomesse all’Impero turco) i contadini cristiani si ribellarono contro i grandi proprietari terrieri musulmani. Due principati slavi, la Serbia e il Montenegro, intervennero a favore dei ribelli; costituitisi nel 1856, dopo la guerra di Crimea, essi erano ancora sottomessi all’Impero turco. Nelle loro intenzioni, il sostegno offerto ai ribelli bosniaci era un gesto di autonomia, il primo passo verso l’affermazione della piena indipendenza. Serbia e Montenegro furono sconfitti dall’esercito turco. A quel punto, intervenne nel conflitto anche l’Impero zarista: col pretesto di sostenere le due nazioni slave, sorelle della Russia, sperava di allargare la propria influenza nella regione balcanica, cioè nell'Europa sud-orientale, a spese dell’Impero ottomano. L’esercito russo riuscì a sbaragliare i Turchi, cosicché il sultano di Istanbul fu costretto ad accettare la pesante pace di S. Stefano. Stipulato nel marzo 1878, il trattato prevedeva la nascita di un vasto Stato di Bulgaria, che avrebbe compreso gran parte dei territori europei sotto dominazione ottomana e sarebbe stato un docile vassallo politico della Russia. In tal modo, però, l’equilibrio politico internazionale sarebbe cambiato in modo profondo, a tutto vantaggio dell’impero zarista. Preoccupate per l’accaduto, Inghilterra e Austra-Ungheria protestarono immediatamente e minacciarono di muovere guerra alla Russia. Triplice Intesa

Alleati dell'Intesa

ISLANDA

Imperi Centrali

Alleati degli Imperi Centrali Neutralità sino al 1915

MARE DEL

IRLANDA

OCEANO

ATLANTICO

NORD

INGHILTERRA

Lisbona

Oslo

Parigi

Madrid

DANIMARCA

MA

LUSSEMBURGO

Berna

SVIZZERA

RUSSIA

Varsavia

Vienna

Budapest

AUSTRIA - UNGHERIA

Roma

R

Mosca

Copenaghen

ITALIA

SPAGNA

S. Pietroburgo

Stoccolma

Amsterdam Londra OLANDA Berlino Bruxelles GERMANIA BELGIO

FRANCIA PORTOGALLO

SVEZIA

NORVEGIA

MEDITERRANEO

Belgrado ROMANIA Bucarest

Sarajevo SERBIA MONTENEGRO ALBANIA

MAR NERO

BULGARIA Sofia Istanbul

Tirana GRECIA

Atene

IMPERO

OTTOMANO


La crisi trovò pacifica composizione, nell’estate del 1878, per mezzo del cosiddetto congresso di Berlino, che vide riuniti nella capitale del Reich i ministri delle principali potenze. Alla Russia, in pratica, fu imposto di rinunciare alla grande Bulgaria prevista dalla pace di S. Stefano; in cambio dell’appoggio diplomatico fornito all’Impero ottomano, sia l’Austria-Ungheria che l’Inghilterra ottennero importanti concessioni: la prima poté occupare la Bosnia-Erzegovina, mentre la seconda richiese per sé l’isola di Cipro (nel cuore del Mediterraneo, di fronte all’imboccatura del canale di Suez). La Russia, dunque, dal congresso di Berlino uscì umiliata e sconfitta; in quella sede, cominciarono anche a delinearsi le alleanze che sarebbero poi scattate, nel 1914, provocando lo scoppio della Prima guerra mondiale. Al congresso del 1878, timoroso di un eccessivo rafforzamento russo, Bismarck non agì da mediatore imparziale, ma sostenne le posizioni e gli interessi dell’Austria-Ungheria e dell’Inghilterra. Temendo poi un ulteriore deterioramento dei rapporti tra Germania e Russia, nel 1879 Bismarck stipulò un’alleanza difensiva con l’Impero asburgico, che il Reich tedesco avrebbe sostenuto, da quel momento, fino al novembre del 1918.

Vantaggi ottenuti

Gran Bretagna

Controllo di Cipro

AustriaUngheria

Occupazione della Bosnia-Erzegovina

Francia

Occupazione della Tunisia (1881)

Serbia

Acquisto della piena indipendenza

Fallimenti politici

Russia

Fallimento dell’espansione in Bulgaria

Italia

Incapacità di contenere le mire espansionistiche francesi in Nord Africa

link Il mosaico jugoslavo (pag. 396)

le parole Congresso Non era certo la prima volta che i ministri delle principali potenze europee si riunivano a congresso, cioè partecipavano a una conferenza, sedendosi tutti, per così dire, allo stesso tavolo. Per mezzo delle discussioni e delle decisioni di un congresso, si tentava di costruire (per evitare uno scontro, o al termine di un conflitto) un assetto politico europeo più equilibrato e rispondente alle aspirazioni delle diverse potenze. Questo equilibrio tra le potenze (o balance of power internazionale) fu sempre il principale obiettivo dell’Inghilterra, dopo il tentativo napoleonico di sottomettere l’intero continente all’egemonia francese. Il dato più interessante riguarda le città in cui, nell’Ottocento, i congressi più importanti furono convocati: Vienna (1815), Parigi (1856), Berlino (1878). In tutte queste circostanze, venne scelto come luogo la capitale della grande potenza che in quel momento era la più forte sul continente: l’Austria (dopo le guerre napoleoniche); la Francia imperiale di Napoleone III; il Reich tedesco, sorto nel 1871 per opera di Otto von Bismarck. Dopo la prima guerra mondiale, la conferenza di pace ebbe luogo a Versailles; la grande novità di questo congresso del 1919 fu la presenza di un nuovo soggetto, destinato a essere sempre più influente nel XX secolo: gli Stati Uniti.

Il sistema delle alleanze Nel 1881, la Francia occupò la Tunisia e giustificò tale conquista coloniale come un legittimo compenso, capace di pareggiare i vantaggi territoriali ottenuti a Berlino dall’Inghilterra e dall’Austria-Ungheria. L’Italia cercò di ostacolare il gesto compiuto dalla Francia, ma le sue proteste non trovarono alcun ascolto presso le altre nazioni. In quell’occasione, risultò evidente la posizione di isolamento del nuovo Stato unitario: troppo debole per agire da solo, per farsi valere l’Italia doveva collegarsi stabilmente e appoggiarsi a qualche grande potenza. Per il momento, i contrasti più forti erano di tipo coloniale, con la Francia, che possedeva da tempo l’Algeria (1830), aveva appena occupato la Tunisia e non faceva mistero di voler dominare anche su Libia e Marocco, per giungere al completo controllo

1 IPERTESTO

pag.396 Guerra e identità di genere Il concetto borghese di rispettabilità L’ideale virile neoclassico Il movimento femminile all’inizio del XX secolo Donne e lavoro nella prima guerra mondiale

CAPITOLO 1

Potenze

|12|pag.138

153 Le origini del conflitto

POTENZE VINCITRICI E POTENZE SCONFITTE AL CONGRESSO DI BERLINO (1878)

RIFERIMENTI STORIOGRAFICI


della costa mediterranea africana. L’Egitto però, con il canale di Suez, era saldamente in mano agli Inglesi. Nel 1882, l’Italia decise di avvicinarsi all’Impero tedesco (principale avversario conGuerra e identità di genere tinentale della Francia) e di legarsi ad esso con una alleanza militare. Nacque così la Il concetto borghese di cosiddetta Triplice Alleanza, che comprendeva Italia, Germania e Austria-Ungheria rispettabilità (queste ultime, già legate dall’accordo del 1879). Si trattava di un accordo puramente L’ideale virile neoclassico Il movimento femminile difensivo, che prevedeva un sostegno reciproco dei tre Stati, qualora uno di essi fosall’inizio del XX secolo se stato aggredito da una potenza nemica. Donne e lavoro nella La Triplice Alleanza dava per scontato che questo eventuale avversario fosse la Franprima guerra mondiale cia: con essa, la Germania era in tensione a seguito della conquista dell’Alsazia Lorewww.seieditrice.com na (nel 1871), mentre l’Italia ne temeva l’ulteriore espansione nel Mediterraneo. È importante precisare che, stipulando la Triplice Alleanza, l’Italia di fatto rimandava a tempo indeterminato l’annessione di Trento e Trieste, cioè il completamento della propria unità nazionale: nell’immediato, la questione della liberazione di quelle due regioni irredente (cioè, sottomesse al dominio asburgico) appariva decisamente secondaria, rispetto alla necessità di contenere, con l’aiui luoghi to tedesco (e, quindi, austriaco), l’imperialismo francese nell’area Alsazia-Lorena mediterranea. L’Alsazia e la Lorena si trovano nella regioLa Francia, da parte sua, contro la Germania trovò infine un ne del Reno. Nel 1871, la Germania se ne impossessò dopo la vittoria sulla Francia. In valido sostegno nella Russia, con la quale venne ufficialmental modo, riuscì ad allontanare la Francia dal te stipulata un’alleanza difensiva nel 1892. Per certi aspetti, si grande fiume tedesco. Per circa ottant’anni (tra il 1871 e il 1945) le due province sono trattava di un legame decisamente anomalo, in quanto la Franstate il simbolo dell’ostilità franco-tedesca, cia era una repubblica parlamentare, fiera del proprio passato della divisione politica dell’Europa e delle cailluminista e rivoluzionario, mentre l’Impero zarista era una motastrofi che lo scontro tra opposti nazionalismi poteva scatenare. Proprio per questo, narchia assoluta e dispotica. Il terreno in direzione dell’alleanil capoluogo dell’Alsazia, Strasburgo, nel za era stato spianato dai banchieri francesi, che avevano forni1949 fu scelto come sede del Parlamento dell’Unione Europea. to alla Russia notevoli capitali, indispensabili per l’ammodernamento e l’industrializzazione del Paese.

UNITÀ I

7 IPERTESTO

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

154

Gavrilo Princip catturato e arrestato immediatamente dopo l’attentato. Lo studente, che apparteneva a un'associazione nazionalista serba, fu processato e condannato a vent'anni di carcere duro in una fortezza della Boemia, dove morì.


155 Le origini del conflitto

Riferimenti A partire dalla metà degli anni Novanta dell’Ottocento, la Germania si sentì sempre storiografici |12|pag.138 più accerchiata, cioè si trovò di fronte alla prospettiva di una guerra su due fronti: nel caso in cui il conflitto con la Francia fosse ripreso, l’Impero tedesco sarebbe stato attaccato anche a oriente, dall’esercito russo. Per lo Stato Maggiore tedesco, il principale problema strategico da risolvere divenne quello di come combattere contemporaneamente due avversari, senza procedere a una divisione delle proprie forze, operazione ➔L’Italia si allea con gli Imperi che avrebbe notevolmente ridotto le probabilità di vittoria. La soluzione al dilemma venne trovata, nel 1905, dal generale Alfred von Schlieffen, Centrali il quale elaborò un piano al tempo stesso cinico e geniale. Il ragionamento di von Schlieffen partiva dalla constatazione che, mentre le ferrovie tedesche i personaggi erano modernissime ed efficienti, il sistema di trasporti russo (malgrado i notevoli investimenti del governo, resi possibili dai caWalter Rathenau A partire dal 1903, Walter Rathenau affianpitali francesi) era ancora carente e arretrato. L’Impero zarista, cò il padre Emil nella direzione dell’Allgecerto, possedeva enormi risorse umane, che gli avrebbero permeine Elektrizitaets Gesellschaft (AEG), che a quell’epoca era il complesso industriale più messo di mettere in campo l’esercito più numeroso d'Europa. potente, a livello mondiale, nel campo delTuttavia, prima che tutte le forze russe potessero essere davvela produzione dell’energia elettrica. Partendo ro portate al fronte e impiegate contro la Germania, sarebbe pasda una simile posizione eccezionalmente elevata, pur essendo di origine ebraica, Rasato un intervallo di tempo che l’Impero tedesco avrebbe pothenau poté instaurare buoni rapporti pertuto sfruttare per concentrare tutte le proprie energie a ovest, sonali con il kaiser Guglielmo II. Malgrado contro la Francia. ciò, a più riprese egli espresse apertamente le proprie critiche nei confronti della strutPer sconfiggere in tempi brevi l’avversario occidentale, era netura sociale della Germania del suo tempo, cessario compiere una mossa inattesa, che cogliesse di sorprerivendicando una maggiore democrazia e la fine del monopolio delle cariche pubbliche, sa i Francesi i quali, senza dubbio, avrebbero cercato innanzi tutdetenuto dagli junker, i grandi proprietari terto di liberare l’Alsazia-Lorena. Von Schlieffen, pertanto, proporieri prussiani. Soprattutto, Rathenau non si se che l’esercito tedesco disponesse le proprie truppe nel modo stancò di criticare la politica di riarmo naseguente: sul fronte russo e in Alsazia-Lorena, secondo von Schlief-

CAPITOLO 1

Il piano Schlieffen

Il disciplinatissimo esercito tedesco durante una parata militare.


UNITÀ I

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

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I poderosi cannoni che equipaggiavano una Dreadnought (nave da guerra tedesca): ogni nave ne aveva dieci, oltre a 24 pezzi di artiglieria leggera. Pur rinforzata nella corazza sino a uno spessore centrale di 28 cm per una stazza di almeno 18 000 tonnellate, la Dreadnought era più veloce delle altre navi da guerra.

IL PIANO SCHLIEFFEN P ri m a f a s e

Spostamento della maggior parte dell’esercito tedesco a ovest, contro la Francia

S eco n da fas e

Invasione del Belgio (neutrale), attacco contro Parigi e sconfitta della Francia

Terza fase

Trasferimento, per mezzo delle ferrovie, di tutto l’esercito tedesco a est, contro la Russia

fen, bastava dislocare dei contingenti di piccola entità, con funzioni puramente difensive; la massa d’urto dell’esercito germanico, invece, avrebbe dovuto essere concentrata più a nord e puntare direttamente su Parigi, dopo aver attraversato il Belgio. Dal momento che quest’ultimo Paese era neutrale e pacifico, i Francesi sarebbero stati colti completamente alla sprovvista da una simile offensiva sulla capitale, proveniente da nord. Secondo le speranze del generale, in sei settimane la guerra sul fronte occidentale si sarebbe conclusa con una completa vittoria tedesca. A quel punto, infine, grazie al già citato efficientissimo sistema ferroviario del Reich, tutto l’esercito germanico avrebbe potuto essere trasferito verso est, per fronteggiare i Russi e sconfiggere anch’essi.


secolo breve

XX

NOVECENTO...

che cosa è stato il XX secolo?

L’approccio di Hobsbawm (ovviamente assai più raffinato e complesso di quanto abbiamo ora esposto in maniera schematica) è per molti versi assai convincente. Tuttavia, molti storici hanno giustamente segnalato che la maggior parte delle innovazioni tecnologiche che segnarono l’econo-

e poi con Marlene Schwarz, da cui ebbe i due figli Julia e Joshua. Ha insegnato dal 1959 al Birkbeck College dell'Università di Londra e negli anni '60 fu professore con incarichi limitati a Stanford. Nel 1970 fu nominato Professore ordinario; nel 1978 entrò a far parte della British Accademy ed esercitò la sua professione fino al 1982, seppur con alcune nomine provvisorie, tra cui quella alla Nuova Scuola per la Ricerche Sociali (The New School for Social Research) di Manhattan. Nel 2003 gli è stato assegnato il Premio Balzan per la storia europea dal 1900. Attualmente è presidente del Birkbeck di Londra, nonché professore emerito in scienze politiche a Manhattan.

157 Le origini del conflitto

Secondo Hobsbawm, il Novecento non iniziò prima del 1914. Al momento dello scoppio della Prima guerra mondiale, le grandi potenze che scesero in campo erano le stesse del 1870: anzi, i veri protagonisti di gran parte del conflitto furono quattro sovrani ottocenteschi come il kaiser tedesco, lo zar russo, l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe e il sultano turco. La guerra mondiale li avrebbe spazzati via tutti e quattro. Dunque, pare corretto far iniziare il Novecento nel 1917-1918, allorché emersero in tutta la loro radicalità le conseguenze della prima guerra i personaggi mondiale, vera matrice del secolo breve. In particolare, dev’essere messo in risalto il Eric John Ernest Hobsbawm ruolo della rivoluzione d’ottobre, che proQuesto non c’è nel testo base - per un errore dell'anagrafe il cognome fu alterato - è nato nel 1917 ad Alessandria d'Egitto da Leopold vocò un vero terremoto politico e ideoloPercy Hobsbaum e Nelly Grün, entrambi ebrei. Sebbene Eric sia cregico in tutta l’Europa. sciuto a Vienna e Berlino, i genitori utilizzarono con Eric e con la soQuanto alla fine, il Novecento può dirsi già rella Nancy sempre la lingua inglese. All'età di soli quattordici anni divenne orfano per la scomparsa prima del padre nel 1929 e poi della concluso dieci anni prima della fine natumadre due anni più tardi. Nel 1933 lui, la sorella e i nuovi genitori adotrale del XX secolo, allorché, nel 1989-1990, tivi, ovvero la zia materna Gretl e lo zio paterno Sidney, si trasferirosi esaurisce proprio l’onda lunga della rino definitivamente a Londra. Hobsbawm proseguì i propri studi universitari presso il King's College di Cambridge, ove fu ammesso nelvoluzione leninista e il comunismo cessa di l'esclusivo circolo intellettuale degli "Apostoli" e conseguì il proprio essere una forza storica vitale, cioè esauridottorato grazie ad una tesi sulla Fabian Society. Durante la Seconsce gran parte della sua funzione politica, da guerra mondiale militò nei Royal Engineers e nei Corpi d'Educazione Militare Reali. Nel 1947 ottenne l'incarico di Lettore presso il Birlegata com’era, indissolubilmente, alla pokbeck College di Londra. tenza militare dell’Unione Sovietica. Hobsbawm si sposò due volte: prima con Muriel Seaman fino al 1951,

CAPITOLO 1

L’

espressione secolo breve è stata coniata dallo storico inglese E. J. Hobsbawm, che nel 1994 pubblicò uno dei primi panorami completi del XX secolo. La principale novità del lavoro di Hobsbawm consisteva nel fatto di essere un quadro globale di tutto il Novecento, come già ne erano stati disegnati diversi per l’Ottocento e per altri periodi storici. Fino a quel momento, la storiografia aveva studiato singole questioni e tematiche (la Prima guerra mondiale, il nazismo, la Rivoluzione russa, il fascismo italiano, la grande depressione...), ma solo pochissimi autori si erano cimentati in un lavoro di sintesi per il secolo che stava concludendosi. Il lavoro di Hobsbawm, però, non colpì soltanto per il suo taglio pionieristico. Lo studioso inglese, infatti, avanzava anche l’ipotesi che il Novecento (in senso storiografico) non comprendesse tutto il XX secolo (in senso strettamente cronologico), ma solo i decenni centrali di tale periodo. In termini più semplici, potremmo dunque dire che mentre il XX secolo comprende tutto l’arco di tempo compreso tra l’anno 1900 e l’anno 1999, il Novecento è più breve, nel senso che moltissimi problemi (quelli più tipicamente novecenteschi) iniziarono a presentarsi dopo l’inizio ufficiale del XX secolo e trovarono conclusione e risoluzione prima dell’anno 1999.


UNITÀ I

XX

che cosa è stato il XX secolo?

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

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mia del Novecento sia stata introdotta diversi anni prima del 1914: e questo vale per l’energia elettrica, per l’impiego del petrolio, per il motore a scoppio, per la radio... Sotto questo profilo, è altrettanto legittimo parlare di un Novecento lungo, che abbraccia come minimo l’intero ultimo decennio del XIX secolo, vero momento di nascita della storia contemporanea (G. Barraclough). Nel medesimo tempo, altri studiosi fanno notare che il concetto proposto da Hobsbawn non sottolinea in modo sufficientemente forte la grande cesura verificatasi nel 1945: mentre in passato (fino al 1939) le grandi decisioni vennero prese nelle principali capitali europee (Vienna, Berlino, Parigi, Londra), dopo la fine della seconda guerra mondiale gli Imperi coloniali di Francia e Inghilterra si sgretolarono. Dopo il 1945, le scelte decisive passarono ormai nelle mani esclusive dei governanti di Mosca e di Washington: per non parlare della possibilità (assolutamente inedita) di una devastante guerra nucleare globale... Se teniamo presente questi ultimi fattori, siamo di fronte a una specie di lunghissimo Ottocento (il tempo della centralità europea), conclusosi solo fra le macerie di Berlino e di Hiroshima. Se la si vuole assumere, quella di secolo breve dev’essere dunque utilizzata come una categoria storiografica elastica, da impiegare in modo tutt’altro che rigido. È uno strumento

La caduta dei regimi comunisti nei Paesi dell’Europa orientale (simboleggiata, nell’immagine, dall’abbattimento del muro di Berlino, avvenimento che studieremo più dettagliatamente in seguito) tra il 1989 e il 1990 è l’evento che segna la conclusione del Novecento per lo storico inglese Hobsbawm.

interpretativo, che ci aiuta a comprendere come, effettivamente, il 1917-1918 e il 19891990 siano stati due punti di svolta fondamentali nella storia dell’Europa e del mondo. D’altra parte, come ogni altro paradigma scientifico, anche quello di secolo breve può e deve essere falsificato, cioè integrato, corretto e completato da ulteriori ricerche e sempre nuove osservazioni.


2 Intervento americano e sconfitta tedesca Rivolte e ammutinamenti

CAPITOLO 1

Man mano che la guerra di logoramento esigeva costi sempre più elevati, il malcontento divenne sempre più acuto sia fra i soldati al fronte sia tra la popolazione, stanca dell’aumento dei prezzi, della carenza di beni di prima necessità e del razionamento dei generi alimentari. All’inizio, quando ognuna delle potenze coinvolte poteva seriamente pensare di vincere la guerra, questo malcontento non esplose apertamente, né riuscì a trovare una forza politica capace di organizzarlo e di trasformarlo in vera e propria rivolta. Gruppi minoritari, staccatisi dai vari Partiti socialisti dei diversi Paesi, si riunirono a congresso, nella neutrale Svizzera, a Zimmerwald (settembre 1915) e a Khienthal (aprile 1916); ma i loro appelli alla pace, che rilanciavano il tradizionale internazionalismo proletario marxista, non ebbero alcuna efficacia concreta. La situazione subì una repentina impennata nel 1917, che non a caso fu l’anno decisivo del conflitto. A Berlino, in aprile, circa 200 mila operai scesero in sciopero, chiedendo per la prima volta, in modo esplicito, l’apertura delle trattative di pace. Il 27 maggio 1917, 30 000 soldati francesi abbandonarono le trincee e si trasferirono di propria iniziativa nelle retrovie. Il primo giugno, a Missy-aux-Bois, un reggimento di fanteria si impadronì della città e proclamò di voler dare vita a una specie di contro-governo, che avrebbe posto fine alla guerra. Quando le autorità militari francesi si mossero per porre fine all’ammutinamento, si resero conto di dover dosare con estrema intelligenza repressione inflessibile e interventi finalizzati a migliorare le condizioni di vita dei soldati al fronte. Quattrocento Nel 1917, in tutti gli Stati europei impegnati nel conflitto, aumentò notevolmente il prezzo di molti beni di prima necessità. Per protestare contro i rincari, iniziarono una serie di scioperi dei lavoratori, come quello indetto da un gruppo di sarte di Parigi e mostrato nell’immagine.

uomini furono condannati a morte: 50, di questi, furono effettivamente fucilati, mentre gli altri vennero invece inviati ai lavori forzati. Nel medesimo tempo, però, furono concessi alle truppe periodi di riposo più lunghi, mentre tutti i progetti di offensiva vennero rinviati, nella consapevolezza che nuovi e costosi assalti alle trincee tedesche avrebbero potuto provocare, invece dello sfondamento del fronte nemico, il completo collasso, per ammutinamento, di quello francese.

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che cosa è stato il XX secolo?

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La caduta dei regimi comunisti nei Paesi dell’Europa orientale (simboleggiata, nell’immagine, dall’abbattimento del muro di Berlino, avvenimento che studieremo più dettagliatamente in seguito) tra il 1989 e

espressione secolo breve è stata coniata dallo storico inglese E. J. Hobsbawm, che nel 1994 pubblicò uno dei primi panorami completi del XX secolo. La principale novità del lavoro di Hobsbawm consisteva nel fatto di essere un quadro globale di tutto il Novecento, come già ne erano stati disegnati diversi per l’Ottocento e per altri periodi storici. Fino a quel momento, la storiografia aveva studiato singole questioni e tematiche (la Prima guerra mondiale, il nazismo, la Rivoluzione russa, il fascismo italiano, la grande depressione...), ma solo pochissimi autori si erano cimentati in un lavoro di sintesi per il secolo che stava concludendosi. Il lavoro di Hobsbawm, però, non colpì soltanto per il suo taglio pionieristico. Lo studioso inglese, infatti, avanzava anche l’ipotesi che il Novecento (in senso storiografico) non comprendesse tutto il XX secolo (in senso strettamente cronologico), ma solo i decenni centrali di tale periodo. In termini più semplici, potremmo dunque dire che mentre il XX secolo comprende tutto l’arco di tempo compreso tra l’anno 1900 e l’anno 1999, il Novecento è più breve, nel senso che moltissimi problemi (quelli più tipicamente novecenteschi) iniziarono a presentarsi dopo l’inizio ufficiale del XX secolo e trovarono conclusione e risoluzione prima dell’anno 1999. Secondo Hobsbawm, il Novecento non iniziò prima del 1914. Al momento dello scoppio della Prima guerra mondiale, le grandi potenze che scesero in campo erano le stesse del 1870: anzi, i veri protagonisti di gran parte del conflitto furono quattro sovrani ottocenteschi come il kaiser tedesco, lo zar russo, l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe e il sultano turco. La guerra mondiale li avrebbe spazzati via tutti e quattro. Dunque, pare corretto far iniziare il Novecento nel 19171918, allorché emersero in tutta la loro radicalità le conseguenze della prima guerra mondiale, vera matrice del secolo breve. In particolare, dev’essere messo in risalto il ruolo della rivoluzione d’ottobre, che provocò un vero terremoto politico e ideologico in tutta l’Europa. Quanto alla fine, il Novecento può dirsi già concluso dieci anni prima della fine naturale del XX secolo, allorché, nel 1989-1990, si esaurisce proprio l’onda lunga della rivoluzione leninista e il comunismo cessa di essere una forza storica vitale, cioè esaurisce gran parte della sua funzione politica, legata com’era, indissolubilmente, alla potenza militare dell’Unione Sovietica. L’approccio di Hobsbawm (ovviamente assai più raffinato e complesso di quanto abbiamo ora esposto in maniera schematica) è per molti versi assai convincente. Tuttavia, molti storici hanno giustamente segnalato che la maggior parte delle innovazioni tecnologiche che segnarono l’economia del Novecento sia stata introdotta diversi anni prima del 1914: e questo vale per l’energia elettrica, per l’impiego del petrolio, per il motore a scoppio, per la radio... Sotto questo profilo, è altrettanto legittimo parlare di un Novecento lungo, che abbraccia come minimo l’intero ultimo decennio del XIX secolo, vero momento di nascita della storia contemporanea (G. Barraclough). Nel medesimo tempo, al-


CAPITOLO 1

XX tri studiosi fanno notare che il concetto proposto da Hobsbawn non sottolinea in modo sufficientemente forte la grande cesura verificatasi nel 1945: mentre in passato (fino al 1939) le grandi decisioni vennero prese nelle principali capitali europee (Vienna, Berlino, Parigi, Londra), dopo la fine della seconda guerra mondiale gli Imperi coloniali di Francia e Inghilterra si sgretolarono. Dopo il 1945, le scelte decisive passarono ormai nelle mani esclusive dei governanti di Mosca e di Washington: per non parlare della possibilità (assolutamente inedita) di una devastante guerra nucleare globale... Se teniamo presente questi ultimi fattori, siamo di fronte a una specie di lunghissimo Ottocento (il tempo della centralità europea), conclusosi solo fra le macerie di Berlino e di Hiroshima. Se la si vuole assumere, quella di secolo breve dev’essere dunque utilizzata come una categoria storiografica elastica, da impiegare in modo tutt’altro che rigido. È uno strumento interpretativo, che ci aiuta a comprendere come, effettivamente, il 1917-1918 e il 19891990 siano stati due punti di svolta fondamentali nella storia dell’Europa e del mondo. D’altra parte, come ogni altro paradigma scientifico, anche quello di secolo breve può e deve essere falsificato, cioè integrato, corretto e completato da ulteriori ricerche e sempre nuove osservazioni.

161 Le origini del conflitto

La caduta dei regimi comunisti nei Paesi dell’Europa orientale (simboleggiata, nell’immagine, dall’abbattimento del muro di Berlino, avvenimento che studieremo più dettagliatamente in seguito) tra il 1989 e il 1990 è l’evento che segna la conclusione del Novecento per lo storico inglese Hobsbawm.


Il malcontento delle truppe francesi

documenti

UNITÀ I

Il 9 luglio 1917, il comandante delle truppe americane in Europa, John J. Pershing, inviò lettera al ministro della Guerra degli Stati Uniti. Nel suo dispaccio, il generale si dichiarava molto preoccupato circa le possibilità dell’esercito francese di reggere ancora il terribile peso della guerra di logoramento.

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

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Signor Ministro, Sento il bisogno d’informarLa confidenzialmente sulla situazione generale francese quale essa m’è apparsa al mio arrivo a Parigi, oggi. Qualche tempo prima del nostro arrivo l’Esercito francese subì fieri colpi e il suo morale è sceso a un livello molto basso. Ne venne che tra la popolazione si fece strada lo scoramento, e critiche piuttosto severe cominciarono a levarsi contro la direzione dell’Esercito. Il risultato di tutto questo fu che il generale Nivelle venne sostituito dal generale Pétain nella carica di comandante in capo. Il disagio nell’Esercito continuò ad aumentare, probabilmente stimolato dagli elementi socialisti senza dubbio influenzati dai socialisti tedeschi. È cosa nota che parecchi casi di ammutinamento si sono verificati fra le truppe e che i caporioni sono stati giustiziati. Il numero delle fucilazioni varia, secondo le voci, da 30 a 120. Gli elementi socialisti alla Camera dei Deputati hanno sottoposto l’Esercito a critiche che sono valse a disorientare ancor più la popolazione e ad aumentare il malcontento tra i soldati. In sostanza la Francia è stanchissima della guerra. La popolazione si lagna apertamente della gravezza delle tasse, e protesta che la si spreme per arricchire i fornitori del Governo e gli alti funzionari dello Stato. I prezzi dei generi alimentari sono alti e il costo della vita opprime fortemente il popolo. Il carbone costa da 80 a 90 dollari per tonnellata e la sua quantità è limitata. Le lagnanze che partono dalle famiglie influiscono sugli uomini sotto le armi e l’efficienza combattiva della truppa può essere seriamente minacciata. Le autorità francesi mostrano di esserne gravemente impensierite: prova ne sia il fatto che il generale Pétain la settimana scorsa mi fece chiedere un appuntamento in casa di un comune amico per uno scambio di idee. in questo colloquio il generale Pétain mi disse francamente che le cose non andavano bene in Francia e che, se il Governo e il popolo non fiancheggeranno l’Esercito, anziché minarne lo spirito con critiche e sentimenti fuori posto, ne potrà derivare qualche cosa di molto simile a una rivoluzione. E tale avvenimento – continuò il generale – permetterebbe alla Germania di dettare essa i termini della pace in luogo degli Alleati. Egli, naturalmente, ammette che la nostra entrata in guerra ha infuso coraggio alla Nazione; ma, poiché non saremo in grado di recare un aiuto materiale prima della prossima primavera, è del parere che intanto possiamo esercitare una pressione esterna per troncare gli intrighi politici fra le varie camarille [= gruppi di potere, contrapposti gli uni agli altri – n.d.r.] ed evitare una ulteriore perdita di fiducia tra la massa del popolo. [...] Secondo me l’Esercito, così come è oggi, può resistere fino a primavera contro ogni possibile sforzo del nemico; tuttavia la miseria e il malcontento, specie se su di essi soffierà la stampa socialista e se il Governo cesserà di sostenere l’Esercito, possono demoralizzare a tal punto la popolazione ed esercitare un’azione talmente perniciosa sulle truppe che esse potrebbero subire un collasso morale, al quale seguirebbe un inevitabile disastro. [...] Con alta stima personale e ossequi, John J. Pershing (A. GIBELLI, La prima guerra mondiale, Loescher, Torino 1987, pp. 160-162)

Soldati dell’esercito francese in marcia.

Quali sono le principali ragioni del disagio diffusosi all’interno dell’esercito francese? Quali strategie hanno adottato le autorità militari? Quali sono le principali ragioni del disagio diffusosi all’interno della popolazione francese?


L’8 gennaio 1918, il presidente americano Thomas Woodrow Wilson, in un messaggio al Congresso, enunciò in 14 punti gli obiettivi politici che l’America si proponeva di ottenere dalla vittoria. In primo luogo, Wilson presentava gli Stati Uniti come i garanti della libera navigazione sui mari, che la guerra sottomarina tedesca aveva reso impossibile, colpendo indiscriminatamente sia le imbarcazioni inglesi che i mercantili e i piroscafi (l’affondamento del transatlantico Lusitania, il 7 maggio 1915, comportò la morte di 1198 persone, 128 delle quali erano cittadini americani) dei Paesi neutrali. Inoltre, Wilson poneva il principio di nazionalità come criterio di soluzione di tutti i principali problemi politici europei: tradotto in pratica, ciò avrebbe significato la restituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia, la nascita di uno Stato polacco indipendente e la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico. Per quanto riguardava la Russia, Wilson era consapevole del fatto che i lavoratori di tutte le nazioni del mondo guardavano al nuovo regime con simpatia, e pertanto si mostrò, nel discorso dei 14 punti, estremamente conciliante. Il presidente, in effetti, non propose una specie di «crociata anticomunista», da condurre con ferma determinazione; al contrario, riteneva che alla Russia dovesse essere lasciata «l’occasione opportuna di fissare, senza ostacoli né imbarazzi, in piena indipendenza, il suo sviluppo politico e nazionale». Infine, nell’ultimo punto del suo programma, Wilson proponeva l’istituzione di una Società Generale delle Nazioni, cioè di un organismo internazionale finalizzato a garantire in futuro l’indipendenza politica e territoriali di tutti gli Stati. Sul piano storico, i 14 punti di Wilson segnano una svolta decisiva nel comportamento

Il presidente Thomas Woodrow Wilson, che fece uscire gli Stati Uniti dal loro isolazionismo. Tuttavia Wilson, eletto per i democratici nel 1913 e riconfermato nel 1916, non ottenne dal Congresso il voto favorevole all’ingresso nella Società delle Nazioni. Il suo successore, il repubblicano Harding, riportò gli USA alla politica isolazionista del passato.

CAPITOLO 1

Significato storico dell’intervento americano

Le origini del conflitto

163

La copertina della «Domenica del Corriere» che illustra l’affondamento del transatlantico inglese Lusitania.


UNITÀ I

La spagnola

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

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Nel 1918, la macchina bellica americana fu seriamente minacciata da un nemico molto più insidioso dei sottomarini tedeschi. In quell’anno, infatti, il mondo intero fu flagellato da una terribile epidemia di influenza, passata alla storia con il nome di spagnola. I primi segnali esplosero in primavera (febbraiomarzo); la malattia, a dire il vero, non toccò solo la Spagna né si può affermare che il contagio si diffuse a partire da quel Paese. La Spagna, però, era un Paese neutrale: dunque i suoi giornali, non sottoposti a censura, potevano parlare liberamente di quella strana febbre dei tre giorni che colpì anche il re Alfonso XIII e che si segnalava per la sua estrema contagiosità. La situazione si normalizzò nei mesi seguenti. In settembre, però, la malattia tornò a manifestarsi, in modo assai più acuto e spesso mortale. Il decesso nasceva in genere dalle complicanze polmonari, che la medicina del tempo, priva di antibiotici, non sapeva ancora curare. Negli Stati Uniti, il primo importante focolaio divenne Boston; e poiché la spagnola, a differenza delle consuete forme di influenza (che aggrediscono in prevalenza i bambini e gli anziani), colpiva soprattutto i giovani adulti, le basi militari dell’esercito furono paralizzate e decimate. Il 29 settembre 1918, un ufficiale medico di cui conosciamo solo il nome di battesimo, Roy, scrisse a un amico una lettera terrorizzata, che possiamo considerare uno dei primi gridi d’allarme, di fronte alla gravità della faccenda: «Camp Devens è vicino a Boston e accoglie 50 mila uomini, o li accoglieva prima che scoppiasse questa epidemia. Ha colpito il campo quattro settimane fa e si è diffusa così rapidamente che non solo qui tutti sono demoralizzati, ma l’intero lavoro di routine è stato sospeso fino a tempi migliori. Tutte le adunate di soldati sono severamente vietate. […]. È orribile. Si può sopportare di vedere uno, due, o anche venti uomini morire, ma i nervi non ti reggono quando guardi questi

VISTO DA VICINO

Per combattere la spagnola furono adottati molti stratagemmi, come quello, rivelatosi del tutto inefficace, di spruzzare uno spray antinfluenzale sugli autobus e per le vie di Londra.

poveri diavoli venir falciati come mosche. In media registriamo cento decessi al giorno, e la cifra continua a salire». In ottobre, la spagnola aggredì Filadelfia; nel giro di poche settimane, gli ammalati divennero centinaia di migliaia in tutto il Paese: alla fine della crisi, le autorità sanitarie stimarono che avesse contratto la malattia oltre il 25% della popolazione e registrarono almeno 500 000 morti. Nel solo 1918, si ammalarono il 40% degli effettivi della marina e il 36% di quelli dell’esercito degli Stati Uniti. Anche nei principali Paesi europei la spagnola fece moltissime vittime, e anzi la situazione fu a volte aggravata dalla grave sottoalimentazione provocata dalla guerra. Secondo le stime diffuse dalle autorità sanitarie dei diversi Paesi, la mortalità si distribuì nel modo seguente: Russia, 450 000; Italia, 350 000; Inghilterra e Germania, 225 000 ciascuna; Spagna, 170 000; Francia, 166 000. Instancabile, il virus fece il giro dell’intero pianeta, provocando dai 20 ai 100 milioni di morti (su un miliardo di contagiati).

degli Stati Uniti; fino ad allora, essi non erano mai intervenuti attivamente nelle vicende politiche e militari europee, se ne erano tenuti lontani, assumendo un atteggiamento che, di solito, viene chiamato isolazionismo. L’intervento statunitense nel Primo conflitto mondiale ha interrotto questa tendenza a restare isolati e in disparte; eppure va subito notato che, dopo la sconfitta della Germania, gli Stati Uniti persero ben presto interesse per le vicende europee, tant’è vero che, nel 1919, gli USA non entrarono a far parte della Società delle Nazioni, quando essa effettivamente venne istituita dalle potenze vincitrici. La Prima guerra mondiale fu vinta da Francesi e Inglesi solo con l’aiuto americano; questo intervento, tuttavia, non significò ancora il declino della centralità politica dell’Europa e tanto meno una sua dipendenza militare post-bellica dagli Stati Uniti. Solo dopo il 1945, cioè dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti avrebbero assunto, in Europa, un peso preponderante, in contrapposizione alla Russia sovietica, l’altro grande Stato che, alla fine del primo conflitto, si ritirò dalla scena internazionale, a causa dei colossali problemi economici e sociali che dovette affrontare dopo la rivoluzione comunista.


“Vi fu una strategia, tra quelle scartate, che avrebbe potuto (forse) risultare vincente?

Copertina della «Domenica del Corriere» che raffigura l’avvenimento decisivo per le sorti della Prima guerra mondiale, cioè l’ingresso nel conflitto degli Stati Uniti a fianco di Francia e Inghilterra.

CONDIZIONE DI POSSIBILITÀ Nel 1914, la Germania era la più grande potenza industriale d’Europa. Era capace di tener testa a tutte le potenze del continente, alleate contro di lei, ma non all’unione delle forze della coalizione continentale con quelle degli Stati Uniti. Quindi, il ragionamento sull’eventuale possibilità tedesca di vincere la guerra è sensato solo se la svolta alternativa è ipotizzata prima dell’aprile del 1917. È vero che il crollo della Russia mise a disposizione dei comandanti tedeschi tutte le divisioni fino ad allora impiegate sul fronte orientale; tuttavia, neppure questa importante iniezione di forze permise alla Germania di chiudere la guerra. In vari settori, furono lanciate offensive poderose, impensabili negli anni precedenti: si ottennero dei successi importanti (come quello conseguente l’offensiva di Caporetto, sul fronte italiano) o soltanto apparenti (l’attacco in forze in Francia, nell’estate del 1918, venne infine respinto), ma in nessun caso decisivo. Dunque, la domanda corretta da porre è: vi fu un’opportunità che, prima del 1917, non venne sfruttata a dovere? Vi fu una strategia, tra quelle scartate, che avrebbe potuto (forse) risultare vincente? Secondo alcuni studiosi, la carta giocata troppo tardivamente fu la guerra sottomarina totale, che fu attuata nel 1917 e che, nei mesi centrali di quell’anno decisivo, rischiò seriamente di mettere in ginocchio l’economia bellica inglese. Nell’agosto 1916, il Reich aveva a disposizione 111 sottomarini: SE avesse lanciato allora l’offensiva – con un anno di anticipo, e un’America ancora molto indietro nella sua preparazione bellica, FORSE la Germania avrebbe vinto la guerra. SCENARIO ALTERMATIVO PLAUSIBILE I timori del cancelliere Theobald von BethmannHollweg rinviarono questa decisione di un anno. Ma immaginiamo, per un istante, che cosa sarebbe accaduto in Europa se l’Impero tedesco avesse trovato nel 1916 la strategia vincente e fosse riuscita a obbligare i suoi avversari alla resa, da posizioni di forza. A occidente, è legittimo pensare che la Germania avrebbe annesso il Belgio e si sarebbe impadronito del Congo, il vastissimo e ricchissimo possedimento coloniale che re Leopoldo II si era costruito alla fine del XIX secolo. L’Impero austro-ungarico, ovviamente, non si sarebbe disgregato, ma anzi – forse – si sarebbe ampliato nei Balcani, a spese della Serbia. Quanto alla Russia, possiamo affermare che l’espansione tedesca

sarebbe stata più o meno quella prevista dagli accordi di Brest-Litovsk: Ucraina, Polonia e Paesi Baltici sarebbe passati sotto controllo economico e politico tedesco, con margini di autonomia amministrativa diversi, a seconda degli interessi germanici. Molto probabilmente, una Germania vittoriosa avrebbe poi tentato (come per altro fecero gli Alleati, a partire dal 1919) di spazzare via lo Stato sovietico, uscito dalla rivoluzione d’ottobre. Tutto sarebbe dipeso, naturalmente, dal momento in cui l’Impero tedesco fosse riuscito a imporre la pace; se l’armistizio fosse scattato nella primavera del 1917, Lenin forse non sarebbe mai rientrato in Russia (cosa che in effetti fece nell’aprile 1917, grazie al consenso tedesco) o non sarebbe neppure riuscito a fare la rivoluzione. Niente Lenin al potere, ma neppure niente Hitler, che sarebbe rimasto un oscuro e sconosciuto soldato, in servizio a Monaco di Baviera. Una vittoria tedesca nel 1917, dunque, non avrebbe aperto alcuno scenario da incubo, e anzi avrebbe evitato – forse – alcune tra le più terribili tragedie del Novecento. È vero che il Reich era uno Stato semi-assoluto; ma è altrettanto giusto precisare che ospitava il più importante Partito socialista d’Europa e che, quindi, col tempo avrebbe forse potuto evolversi in direzione di un parlamentarismo più maturo, simile a quello britannico. Del resto, non va dimenticato che in Germania già prima del 1914 esisteva il suffragio universale maschile, mentre in Inghilterra esso fu introdotto solo dopo la vittoria, come riconoscimento dei sacrifici sopportati dalle classi lavoratrici. SLI ELEMENTI CHE ESCONO CONFERMATI La storia virtuale è un esercizio intellettuale, un gioco di ragionamento. Perché non sia priva di utilità, la controfattualità deve basarsi sui dati reali. Sono sempre e solo essi, alla fine, quelli che contano. Porsi la domanda …e se la Germania avesse vinto la guerra? ci obbliga insomma a ribadire i seguenti elementi: - la guerra mondiale fu una guerra di logoramento. Poteva essere vinta solo agendo sulle strutture che si trovavano a monte del campo di battaglia, cioè sulla produzione industriale e sulle condizioni di vita (la possibilità di alimentarsi, in primo luogo) della popolazione civile. In Russia e in Germania, le masse affamate obbligarono i propri governi alla pace; l’Impero tedesco, al contrario, per una ragione o per l’altra non riuscì mai a

CAPITOLO 1

LA ST CON IORIA SE

E SE... la Germania avesse vinto la prima guerra mondiale?

165 Le origini del conflitto

ONI RIFLESSIIA DI STOR TTUALE CONTROFA


UNITÀ I

La spagnola

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

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Nel 1918, la macchina bellica americana fu seriamente minacciata da un nemico molto più insidioso dei sottomarini tedeschi. In quell’anno, infatti, il mondo intero fu flagellato da una terribile epidemia di influenza, passata alla storia con il nome di spagnola. I primi segnali esplosero in primavera (febbraiomarzo); la malattia, a dire il vero, non toccò solo la Spagna né si può affermare che il contagio si diffuse a partire da quel Paese. La Spagna, però, era un Paese neutrale: dunque i suoi giornali, non sottoposti a censura, potevano parlare liberamente di quella strana febbre dei tre giorni che colpì anche il re Alfonso XIII e che si segnalava per la sua estrema contagiosità. La situazione si normalizzò nei mesi seguenti. In settembre, però, la malattia tornò a manifestarsi, in modo assai più acuto e spesso mortale. Il decesso nasceva in genere dalle complicanze polmonari, che la medicina del tempo, priva di antibiotici, non sapeva ancora curare. Negli Stati Uniti, il primo importante focolaio divenne Boston; e poiché la spagnola, a differenza delle consuete forme di influenza (che aggrediscono in prevalenza i bambini e gli anziani), colpiva soprattutto i giovani adulti, le basi militari dell’esercito furono paralizzate e decimate. Il 29 settembre 1918, un ufficiale medico di cui conosciamo solo il nome di battesimo, Roy, scrisse a un amico una lettera terrorizzata, che possiamo considerare uno dei primi gridi d’allarme, di fronte alla gravità della faccenda: «Camp Devens è vicino a Boston e accoglie 50 mila uomini, o li accoglieva prima che scoppiasse questa epidemia. Ha colpito il campo quattro settimane fa e si è diffusa così rapidamente che non solo qui tutti sono demoralizzati, ma l’intero lavoro di routine è stato sospeso fino a tempi migliori. Tutte le adunate di soldati sono severamente vietate. […]. È orribile. Si può sopportare di vedere uno, due, o anche venti uomini morire, ma i nervi non ti reggono quando guardi questi

VISTO DA VICINO

Per combattere la spagnola furono adottati molti stratagemmi, come quello, rivelatosi del tutto inefficace, di spruzzare uno spray antinfluenzale sugli autobus e per le vie di Londra.

poveri diavoli venir falciati come mosche. In media registriamo cento decessi al giorno, e la cifra continua a salire». In ottobre, la spagnola aggredì Filadelfia; nel giro di poche settimane, gli ammalati divennero centinaia di migliaia in tutto il Paese: alla fine della crisi, le autorità sanitarie stimarono che avesse contratto la malattia oltre il 25% della popolazione e registrarono almeno 500 000 morti. Nel solo 1918, si ammalarono il 40% degli effettivi della marina e il 36% di quelli dell’esercito degli Stati Uniti. Anche nei principali Paesi europei la spagnola fece moltissime vittime, e anzi la situazione fu a volte aggravata dalla grave sottoalimentazione provocata dalla guerra. Secondo le stime diffuse dalle autorità sanitarie dei diversi Paesi, la mortalità si distribuì nel modo seguente: Russia, 450 000; Italia, 350 000; Inghilterra e Germania, 225 000 ciascuna; Spagna, 170 000; Francia, 166 000. Instancabile, il virus fece il giro dell’intero pianeta, provocando dai 20 ai 100 milioni di morti (su un miliardo di contagiati).

degli Stati Uniti; fino ad allora, essi non erano mai intervenuti attivamente nelle vicende politiche e militari europee, se ne erano tenuti lontani, assumendo un atteggiamento che, di solito, viene chiamato isolazionismo. L’intervento statunitense nel Primo conflitto mondiale ha interrotto questa tendenza a restare isolati e in disparte; eppure va subito notato che, dopo la sconfitta della Germania, gli Stati Uniti persero ben presto interesse per le vicende europee, tant’è vero che, nel 1919, gli USA non entrarono a far parte della Società delle Nazioni, quando essa effettivamente venne istituita dalle potenze vincitrici. La Prima guerra mondiale fu vinta da Francesi e Inglesi solo con l’aiuto americano; questo intervento, tuttavia, non significò ancora il declino della centralità politica dell’Europa e tanto meno una sua dipendenza militare post-bellica dagli Stati Uniti. Solo dopo il 1945, cioè dopo la conclusione della Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti avrebbero assunto, in Europa, un peso preponderante, in contrapposizione alla Russia sovietica, l’altro grande Stato che, alla fine del primo conflitto, si ritirò dalla scena internazionale, a causa dei colossali problemi economici e sociali che dovette affrontare dopo la rivoluzione comunista.


“Vi fu una strategia, tra quelle scartate, che avrebbe potuto (forse) risultare vincente?

Copertina della «Domenica del Corriere» che raffigura l’avvenimento decisivo per le sorti della Prima guerra mondiale, cioè l’ingresso nel conflitto degli Stati Uniti a fianco di Francia e Inghilterra.

CONDIZIONE DI POSSIBILITÀ Nel 1914, la Germania era la più grande potenza industriale d’Europa. Era capace di tener testa a tutte le potenze del continente, alleate contro di lei, ma non all’unione delle forze della coalizione continentale con quelle degli Stati Uniti. Quindi, il ragionamento sull’eventuale possibilità tedesca di vincere la guerra è sensato solo se la svolta alternativa è ipotizzata prima dell’aprile del 1917. È vero che il crollo della Russia mise a disposizione dei comandanti tedeschi tutte le divisioni fino ad allora impiegate sul fronte orientale; tuttavia, neppure questa importante iniezione di forze permise alla Germania di chiudere la guerra. In vari settori, furono lanciate offensive poderose, impensabili negli anni precedenti: si ottennero dei successi importanti (come quello conseguente l’offensiva di Caporetto, sul fronte italiano) o soltanto apparenti (l’attacco in forze in Francia, nell’estate del 1918, venne infine respinto), ma in nessun caso decisivo. Dunque, la domanda corretta da porre è: vi fu un’opportunità che, prima del 1917, non venne sfruttata a dovere? Vi fu una strategia, tra quelle scartate, che avrebbe potuto (forse) risultare vincente? Secondo alcuni studiosi, la carta giocata troppo tardivamente fu la guerra sottomarina totale, che fu attuata nel 1917 e che, nei mesi centrali di quell’anno decisivo, rischiò seriamente di mettere in ginocchio l’economia bellica inglese. Nell’agosto 1916, il Reich aveva a disposizione 111 sottomarini: SE avesse lanciato allora l’offensiva – con un anno di anticipo, e un’America ancora molto indietro nella sua preparazione bellica, FORSE la Germania avrebbe vinto la guerra. SCENARIO ALTERMATIVO PLAUSIBILE I timori del cancelliere Theobald von BethmannHollweg rinviarono questa decisione di un anno. Ma immaginiamo, per un istante, che cosa sarebbe accaduto in Europa se l’Impero tedesco avesse trovato nel 1916 la strategia vincente e fosse riuscita a obbligare i suoi avversari alla resa, da posizioni di forza. A occidente, è legittimo pensare che la Germania avrebbe annesso il Belgio e si sarebbe impadronito del Congo, il vastissimo e ricchissimo possedimento coloniale che re Leopoldo II si era costruito alla fine del XIX secolo. L’Impero austro-ungarico, ovviamente, non si sarebbe disgregato, ma anzi – forse – si sarebbe ampliato nei Balcani, a spese della Serbia. Quanto alla Russia, possiamo affermare che l’espansione tedesca

sarebbe stata più o meno quella prevista dagli accordi di Brest-Litovsk: Ucraina, Polonia e Paesi Baltici sarebbe passati sotto controllo economico e politico tedesco, con margini di autonomia amministrativa diversi, a seconda degli interessi germanici. Molto probabilmente, una Germania vittoriosa avrebbe poi tentato (come per altro fecero gli Alleati, a partire dal 1919) di spazzare via lo Stato sovietico, uscito dalla rivoluzione d’ottobre. Tutto sarebbe dipeso, naturalmente, dal momento in cui l’Impero tedesco fosse riuscito a imporre la pace; se l’armistizio fosse scattato nella primavera del 1917, Lenin forse non sarebbe mai rientrato in Russia (cosa che in effetti fece nell’aprile 1917, grazie al consenso tedesco) o non sarebbe neppure riuscito a fare la rivoluzione. Niente Lenin al potere, ma neppure niente Hitler, che sarebbe rimasto un oscuro e sconosciuto soldato, in servizio a Monaco di Baviera. Una vittoria tedesca nel 1917, dunque, non avrebbe aperto alcuno scenario da incubo, e anzi avrebbe evitato – forse – alcune tra le più terribili tragedie del Novecento. È vero che il Reich era uno Stato semi-assoluto; ma è altrettanto giusto precisare che ospitava il più importante Partito socialista d’Europa e che, quindi, col tempo avrebbe forse potuto evolversi in direzione di un parlamentarismo più maturo, simile a quello britannico. Del resto, non va dimenticato che in Germania già prima del 1914 esisteva il suffragio universale maschile, mentre in Inghilterra esso fu introdotto solo dopo la vittoria, come riconoscimento dei sacrifici sopportati dalle classi lavoratrici. SLI ELEMENTI CHE ESCONO CONFERMATI La storia virtuale è un esercizio intellettuale, un gioco di ragionamento. Perché non sia priva di utilità, la controfattualità deve basarsi sui dati reali. Sono sempre e solo essi, alla fine, quelli che contano. Porsi la domanda …e se la Germania avesse vinto la guerra? ci obbliga insomma a ribadire i seguenti elementi: - la guerra mondiale fu una guerra di logoramento. Poteva essere vinta solo agendo sulle strutture che si trovavano a monte del campo di battaglia, cioè sulla produzione industriale e sulle condizioni di vita (la possibilità di alimentarsi, in primo luogo) della popolazione civile. In Russia e in Germania, le masse affamate obbligarono i propri governi alla pace; l’Impero tedesco, al contrario, per una ragione o per l’altra non riuscì mai a

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E SE... la Germania avesse vinto la prima guerra mondiale?

167 Le origini del conflitto

ONI RIFLESSIIA DI STOR TTUALE CONTROFA


RIFERIMENTI STORIOGRAFICI 1

La svolta ideologica e politica di Mussolini nel 1918

UNITÀ I

Nell’ultimo anno di guerra, Mussolini completò il processo di mutamento ideologico avviato dalla decisione di aderire allo schieramento interventista, nel 1915. L’abbandono del socialismo si fece sempre più chiaro; la ricerca di una personale linea politica alternativa, invece, fu più complessa e confusa, nel tentativo di fondere idee di matrice nazionalista con altre posizioni, più disponibili a recepire le esigenze dei ceti popolari.

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

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[Nell’ultimo anno di guerra] si colloca il voltafaccia più clamoroso di Mussolini, il suo superamento del socialismo. Il primo chiaro accenno a questo superamento era stato fatto da Mussolini in un articolo del 15 dicembre 1917, intitolato sintomaticamente Trincerocrazia. I trinceristi – aveva scritto – sono l’aristocrazia di domani: «I miopi e gli idioti non la vedono. Eppure, questa aristocrazia muove già i primi passi. Rivendica già la sua parte di mondo. Delinea già con sufficiente precisione i suoi tentativi di presa di possesso delle posizioni sociali… L’Italia va verso due grandi partiti: quelli che ci sono stati e quelli che non ci sono stati; quelli che hanno combattuto e quelli che non hanno combattuto; quelli che hanno lavorato e i parassiti... I partiti vecchi, gli uomini vecchi che si accingono, come se niente fosse, all’exploitation [= gestione – n.d.r.] dell’Italia politica di domani saranno travolti. La musica di domani avrà un altro tempo… È questa previsione che ci conduce a guardare con un certo dispregio tutto ciò che si dice e si fa dagli otri vecchi, ripieni di presunzione, di sacre formule e di imbecillità senile». Da questa constatazione egli aveva, come diceva in quello stesso articolo, ricavato la convinzione che i termini di repubblica, di democrazia, di radicalismo, di liberalismo e perfino di socialismo non avevano più senso: «Ne avranno uno domani, ma sarà quello che daranno loro i milioni di ritornati. E potrà essere tutt’altra cosa… Potrà essere un socialismo anti-marxista, ad esempio, e nazionale. I milioni di lavoratori che torneranno al solco dei campi, dopo essere stati nei solchi delle trincee, realizzeranno la sintesi dell’antitesi: classe e nazione». A questa prima presa di posizione erano seguite, durante le settimane successive, varie altre, più o meno esplicite, ma tutte nello stesso senso e via via sempre più caratterizzate nel senso di un produttivismo, attraverso il quale il proletariato doveva qualificarsi qualitativamente e cooperare ad una nuova organizzazione dello Stato per assicurare il maggior benessere individuale e collettivo. […] Solo dopo aver preparato tutte le sue pedine, il 1° agosto [1918 – n.d.r.] Mussolini si sentì pronto a riassumere i fili del discorso che, come abbiamo visto, era venuto svolgendo dalla metà del dicembre 1917 in poi, e a trarne le conseguenze. Il 1° agosto dalla testata del Po-

Benito Mussolini in una foto degli anni Venti

polo d’Italia scomparve il sottotitolo quotidiano socialista e al suo posto comparve quello di quotidiano dei combattenti e dei produttori. Nello stesso numero, un breve fondo di Mussolini (Novità…) spiegava le ragioni del cambiamento: «Oggi, dopo quattro anni, dalla testata di questo giornale scompare il sottotitolo di socialista. Un altro lo sostituisce che mi piace di più e che i lettori – io credo – apprezzeranno di più. D’ora innanzi questo giornale sarà il giornale dei combattenti e dei produttori… Quel socialista che figurava in testa del giornale aveva senso nel 1914 e voleva dire che nel 1914 si poteva essere socialisti – nel vecchio senso della parola – e nello stesso tempo favorevoli alla guerra. Ma in seguito la parola socialista era diventata anacronistica. Non mi diceva più niente. Offriva, anzi, tutti gli inconvenienti della possibile confusione cogli altri… […] Combattenti e produttori. Mi propongo di sostenere i diritti e gli interessi degli uni e degli altri. Combattenti e produttori, il che è fondamentalmente diverso dal dire operai e soldati. Non tutti i soldati sono combattenti e non tutti i combattenti sono soldati. I combattenti vanno da Diaz all’ultimo fantaccino [= soldato semplice di fanteria – n.d.r.]. Produttori, cioè quelli


?

(R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, einaudi, Torino1965, pp. 403-407)

Quali sono i due grandi partiti che Mussolini prevede per il dopoguerra? Quale eloquente segnale, nell’estate 1918, mette in evidenza il distacco di Mussolini dal socialismo? Su quale terreno borghesia e proletariato potevano trovare un accordo e scoprire interessi comuni?

2

I socialisti italiani e la vittoria del fascismo Il trionfo del fascismo fu determinato da una serie di fattori che si rafforzarono a vicenda. Al primo posto dobbiamo ricordare la disponibilità delle autorità e delle forze dell’ordine a tollerare le violenze degli squadristi, nei confronti dei sovversivi rossi. I socialisti, da parte loro, commisero numerosi errori: soprattutto, nel 1921-1922, non seppero opporre un fronte comune, all’offensiva fascista, decisa a spazzarli via con metodi milita-

Il movimento socialista si arrese quasi senza combattere. Ogni tanto qualche squadrista veniva aggredito, provocando sanguinose rappresaglie, ma gli appelli comunisti alla violenza in risposta alla violenza caddero nel vuoto. Le vittime delle squadre non erano, per la maggior parte, bolscevichi rivoluzionari, ma pacifici riformisti, con una visione municipale delle cose, che non si rendevano conto di che cosa stesse loro accadendo. «Restate nelle vostre case; non rispondete alle provocazioni. Anche il silenzio, anche la viltà sono talvolta eroici», era il consiglio di uno dei loro dirigenti, Giacomo Matteotti. I socialisti avevano parlato per anni di rivoluzione, ma quando si trovarono di fronte ad avversari che agivano invece di parlare si dimostrarono impreparati e impotenti: come disse Turati, era «una rivoluzione di sangue contro una rivoluzione di parole». L’ambizione di molti socialisti, particolarmente in Emilia, era stata di «costruire il socialismo in una sola provincia» (A. Tasca), ma ora appariva evidente che «lo stato socialista entro lo stato» era costruito sulla sabbia. L’impotenza al livello locale fu enormemente aggravata dai crescenti contrasti in seno al partito. Dopo aver aderito nell’ottobre 1919 alla Terza Internazionale, il Partito socialista si trovò di fronte ai 21 punti con cui Lenin fissava le condizioni per continuare a far parte dell’Internazionale: i più duri da inghiottire erano l’articolo 17, che esigeva l’assunzione da parte del partito del nome di comunista, e l’articolo 7, che chiedeva l’espulsione immediata dei riformisti, complici della borghesia, e citava esplicitamente Turati e Modigliani tra gli oppurtinisti notori. Su questo, persino i massimalisti più entusiasti erano poco disposti ad obbedire a Mosca: Serrati, per esempio, che era direttore dell’Avanti!, provava un senso di solidarietà nazionale persino con un socialdemocratico impenitente come Turati, e tentò di far comprendere a Lenin la differenza esistente fra l’Italia e la Russia. Ma molti erano favorevoli ad una accettazione senza riserve delle condizioni dell’Internazionale e tra questi erano Bordiga, Gramsci e la Federazione giovanile socialista. Nel settembre del 1920, la direzione del partito accettò i 21 punti con 7 voti contro 5, ma decise di deferire il problema delle espulsioni a un congresso straordinario, che si riunì a Livorno nel gennaio 1921. Fu discusso un solo problema: l’unità del partito. I due delegati dell’Internazionale, l’ungherese Rákosi e il bulgaro Kabakciev, misero in ridicolo l’idea stessa dell’unità, «unità tra comunisti e nemici del comunismo», mentre Serrati la difese. Due terzi dei delegati votarono per l’accettazione con riserva dei 21 punti: un terzo votò per l’accettazione incondizionata, e quindi abbandonò il congresso e fondò il Partito comunista italiano. Bordiga ne divenne il primo segretario, e l’Ordine nuovo di Gramsci ne fu il primo quotidiano. Il punto fondamentale del programma del nuovo partito era l’ostilità intransigente alla socialdemocrazia, considerata il nemico principale. […] Questi contrasti interni, tanto estranei alla specifica crisi italiana, demoralizzarono il movimento operaio proprio nel momento in cui le forze reazionarie stavano acquistando una forza schiacciante. Mussolina affermò sempre che il fascismo, nel 1919-20, aveva salvato

CAPITOLO 1

ri e violenti.

169 Le origini del conflitto

che producono, che lavorano, ma non soltanto colle braccia… Difendere i produttori vuol dire combattere i parassiti. I parassiti del sangue, fra i quali tengono il posto in prima fila i socialisti, e i parassiti del lavoro che possono essere borghesi e socialisti… Difendere i produttori significa permettere alla borghesia di compiere la sua funzione storica – ci sono ancora due continenti quasi intatti che attendono di essere travolti nel turbine della civiltà moderna capitalistica – e significa anche agevolare agli operai il conseguimento del maggior benessere per il maggior numero e lo sviluppo di quelle capacità che possono a un dato momento sprigionare dalla massa lavoratrice le nuove aristocrazie dirigenti delle nazioni. Nel sindacalismo operaio, quando sia rimasto immune dall’infezione del socialismo politico, nel sindacalismo che combatte e lavora, c’è un elemento e una ragione profonda di vita». […] [Il 18 agosto 1918, Mussolini] si accinse a spiegare chi fossero per lui i produttori e perché egli guardasse ora ad essi e non più solo al proletariato. I produttori, scrisse in questa occasione, «non sono tutti necessariamente borghesi, non sono tutti necessariamente proletari». L’ingegnere, il meccanico, l’operaio – spiegò – sono tutti produttori. Tra i produttori esistono delle gerarchie, frutto dell’esperienza, dello studio, delle responsabilità, che devono essere rispettate; tra essi non esistono però dissidi: «C’è tra di loro una necessaria e logica divisione del lavoro. Si completano a vicenda». Per il momento il contrasto non poteva essere che con i parassiti, poiché tutti i produttori avevano in comune l’interesse di portare al massimo le loro capacità produttive. […] «L’essenziale è produrre. Questo è il cominciamento. In una nazione ad economia passiva, bisogna esaltare i produttori, quelli che lavorano, quelli che costruiscono, quelli che aumentano la ricchezza e quindi il benessere generale. Produrre, produrre con metodo, con diligenza, con pazienza, con passione, con esasperazione è soprattutto nell’interesse dei cosiddetti proletari. Solo quando la quantità dei beni in circolazione sia ingente, può toccare alla sterminata massa dei proletari una quota parte discreta».


UNITÀ I

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

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l’Italia dal bolscevismo, e negli anni seguenti questa vanteria divenne uno dei temi favoriti della propaganda fascista: in realtà, il contributo fascista alla sconfitta della rivoluzione fu marginale. Il movimento fascista si affermò soltanto quando il bolscevismo era ormai in pieno declino e incapace di condurre un’azione rivoluzionaria. All’epoca, lo stesso Mussolini, del resto, lo aveva riconosciuto, e infatti nel dicembre del 1920 aveva parlato del «bolscevismo italiano, che rantola ormai per terra, colpito a morte» e del profondo cambiamento psicologico intervenuto nella classe operaia dopo l’occupazione delle fabbriche. Nel luglio del ’21 scrisse ancora: «Dire che un pericolo bolscevico esiste ancora in Italia significa scambiare per realtà certe ambigue paure. Il bolscevismo è vinto». Ma in politica la paura è spesso più potente della realtà: il fascismo continuò a prosperare sulla paura del bolscevismo anche molti anni dopo che il pericolo era scomparso. Il movimento fascista non avrebbe potuto espandersi tanto rapidamente senza avere almeno la tolleranza delle autorità statali. Molti prefetti, commissari di polizia e comandanti militari non si limitavano alla tolleranza: nella Venezia Giulia le squadre fasciste avevano quasi una posizione ufficiale, e altrove, particolarmente in Toscana, erano rifornite di autocarri e di armi; molti ufficiali in servizio si iscrissero ai Fasci con l’autorizzazione dei superiori; a volte soldati e carabinieri scortavano le squadre nelle loro spedizioni punitive, completamente armati e in uniforme. Poliziotti e funzionari dello stato, in-

sofferenti dei lunghi anni di sottomissione forzata i capi socialisti locali, non nascosero il loro compiacimento per il rovesciamento della situazione. […] Per i prefetti era sempre più difficile ottenere obbedienza ai loro ordini: poliziotti e ufficiali dell’esercito rifiutavano di considerare il fascismo un’organizzazione sovversiva e ne giustificavano l’illegalismo e le violenze con gli scopi patriottici che esso si proponeva. Lo stesso Giolitti, del resto, condivideva in parte questo atteggiamento: egli non drammatizzava gli eccessi fascisti più di quanto avesse fatto a proposito degli eccessi socialisti del 1910-11, convinto che essi avrebbero potuto essere eliminati con i suoi vecchi metodi di governo. Come quasi tutti i dirigenti liberali, molti dei quali assai più giovani di lui, egli non comprese che la violenza costituiva l’essenza stessa del fascismo, né si rese conto che il movimento fascista già mirava a distruggere lo stato liberale. Il suo atteggiamento tollerante verso il fascismo non aveva una base ideologica, ma era piuttosto «come di padre verso il figlio scapestrato»: era convinto di poter tenere a bada il fascismo, che il tempo e il logorio avrebbero spostato su posizioni più moderate; una volta addomesticati, portati in parlamento e forse a condividere le responsabilità del potere, i fascisti avrebbero potuto diventare alleati utili nella battaglia per la restaurazione della normalità. Gli eventi si incaricarono ben presto di dimostrare che questo fu un fatale errore di calcolo. (c. SeTON-WATSON, L'Italia dal liberalismo al fascismo 1870-1925, laterza, Bari 1973, pp. 656-658. Traduzione di l. Trevisani)

? È corretto affermare che la maggior parte delle vittime dello squadrismo furono bolscevichi rivoluzionari ? Spiega l’affermazione secondo cui il contributo fascista alla sconfitta della rivoluzione fu marginale. Che atteggiamento tennero le autorità e le forze dell’ordine, nei confronti dello squadrismo?

Congresso nazionale della federazione giovanile socialista, fotografia del 1919.


Riferimenti storiografici 1

171 Le origini del conflitto

beralismo e perfino di socialismo non avevano più senso: «Ne avranno uno domani, ma sarà quello che daranno loro i milioni di ritornati. E potrà essere tutt’altra cosa… Potrà essere un socialismo anti-marxista, ad esempio, e nazionale. I milioni di lavoratori che torneNell’ultimo anno di guerra, Mussolini completò il processo ranno al solco dei campi, dopo essere stati nei solchi di mutamento ideologico avviato dalla decisione di aderire allo delle trincee, realizzeranno la sintesi dell’antitesi: classe schieramento interventista, nel 1915. L’abbandono del socialie nazione». A questa prima presa di posizione erano sesmo si fece sempre più chiaro; la ricerca di una personale liguite, durante le settimane successive, varie altre, più o nea politica alternativa, invece, fu più complessa e confusa, nel meno esplicite, ma tutte nello stesso senso e via via tentativo di fondere idee di matrice nazionalista con altre posempre più caratterizzate sizioni, più disponibili a recenel senso di un produttivipire le esigenze dei ceti posmo, attraverso il quale il polari. proletariato doveva quali[Nell’ultimo anno di ficarsi qualitativamente e guerra] si colloca il voltacooperare ad una nuova faccia più clamoroso di organizzazione dello Mussolini, il suo superaStato per assicurare il mento del socialismo. Il maggior benessere indiprimo chiaro accenno a viduale e collettivo. […] questo superamento era Solo dopo aver prestato fatto da Mussolini in parato tutte le sue pedine, un articolo del 15 dicemil 1° agosto [1918 – n.d.r.] bre 1917, intitolato sintoMussolini si sentì pronto a maticamente Trincerocrariassumere i fili del dizia. I trinceristi – aveva scorso che, come abscritto – sono l’aristocrabiamo visto, era venuto zia di domani: «I miopi e svolgendo dalla metà del gli idioti non la vedono. dicembre 1917 in poi, e a Eppure, questa aristocratrarne le conseguenze. Il zia muove già i primi 1° agosto dalla testata del passi. Rivendica già la Popolo d’Italia scomparve sua parte di mondo. Deliil sottotitolo quotidiano nea già con sufficiente socialista e al suo posto precisione i suoi tentativi comparve quello di quotidi presa di possesso delle diano dei combattenti e posizioni sociali… L’Italia dei produttori. Nello va verso due grandi parstesso numero, un breve titi: quelli che ci sono stati fondo di Mussolini (Noe quelli che non ci sono vità…) spiegava le ragioni stati; quelli che hanno del cambiamento: «Oggi, combattuto e quelli che dopo quattro anni, dalla non hanno combattuto; testata di questo giornale quelli che hanno lavorato scompare il sottotitolo di Benito Mussolini in una foto degli anni Venti e i parassiti... I partiti vecsocialista. Un altro lo sochi, gli uomini vecchi che stituisce che mi piace di si accingono, come se niente fosse, all’exploitation [= più e che i lettori – io credo – apprezzeranno di più. D’ora gestione – n.d.r.] dell’Italia politica di domani saranno trainnanzi questo giornale sarà il giornale dei combattenti volti. La musica di domani avrà un altro tempo… È e dei produttori… Quel socialista che figurava in testa del questa previsione che ci conduce a guardare con un giornale aveva senso nel 1914 e voleva dire che nel certo dispregio tutto ciò che si dice e si fa dagli otri vec1914 si poteva essere socialisti – nel vecchio senso della chi, ripieni di presunzione, di sacre formule e di imbeparola – e nello stesso tempo favorevoli alla guerra. Ma cillità senile». in seguito la parola socialista era diventata anacronistica. Da questa constatazione egli aveva, come diceva in Non mi diceva più niente. Offriva, anzi, tutti gli inconvequello stesso articolo, ricavato la convinzione che i ternienti della possibile confusione cogli altri… […] Commini di repubblica, di democrazia, di radicalismo, di libattenti e produttori. Mi propongo di sostenere i diritti e

CAPITOLO 1

La svolta ideologica e politica di Mussolini nel 1918


IPERTESTO

1 Le origini dell’ideologia fascista

UNITÀ I

Il fascismo e la tradizione reazionaria

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

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Il filosofo tedesco Friedrich Wilhelm Nietzsche, di cui Mussolini fu un attento lettore.

il iV congresso dell’internazionale comunista si tenne a Mosca nel novembre 1922, poco tempo dopo il successo della marcia su Roma. lenin conosceva poco la realtà italiana; pertanto, in quella sede, seppe dire solo che il fascismo italiano assomigliava al movimento russo delle Centurie nere. Nata nel 1905, tale associazione aveva difeso a oltranza sia l’autocrazia, sia l’ortodossia russa, e la sua azione era stata dettata da motivazioni fortemente religiose. Ricondurre il fascismo a questo tipo di mentalità, significava risospingerlo nell’Ancien Régime, considerarlo un movimento di pura reazione, senza riconoscergli alcun elemento di modernità. Questo modo di concepire il fascismo è stato recepito anche da vari storici, non necessariamente marxisti, che di volta in volta hanno proposto charles Maurras o Joseph De Mastre come padri o precursori del movimento mussoliniano. De Mastre era un conte originario della Savoia, contemporaneo di Napoleone; nelle sue opere, si scagliò con estrema violenza contro l’illuminismo, la Rivoluzione francese e i principi del 1789. Maurras, invece, diede vita all’inizio del Novecento, in Francia, all’Action Française, un movimento che, inizialmente, era fortemente legato al mondo cattolico francese (solo nel 1926 il Vaticano vietò ai cattolici di continuare a militare nel partito di Maurras). Polemica contro la repubblica laica e democratica, l’Action Française proponeva un ritorno alla monarchia assoluta e a una società cristiana, gerarchicamente ordinata, che privasse di ogni possibilità di azione e di espressione i socialisti e gli altri avversari della nazione. Sebbene tutti questi soggetti politici manifestino qualche punto in comune con il fascismo, e soprattutto abbiano combattuto contro i loro avversari con un impeto e una passione che assomigliano molto alla radicalità con cui Mussolini e i suoi seguaci si scagliarono contro le organizzazioni socialiste in periferia, e lo Stato liberale a livello centrale, in realtà gli elementi di diversità non sono meno significativi. in particolare, va ricordato che, a differenza delle Centurie nere, di De Mastre e di Maurras, Mussolini non voleva salvare o difendere una società cristiana, guidata da un sovrano che regnasse in nome di Dio. il fascismo cercò l’alleanza della chiesa cattolica, ma si concepì – in ultima analisi – come movimento laico: o, semmai, come religione politica alternativa al cristianesimo, concorrenziale rispetto a esso nella guida e nell’educazione delle masse, destinato a sostituirlo e a prenderne il posto quanto a valori e principi etici. All’inizio degli anni Trenta, Mussolini stesso, nella voce Dottrina del fascismo, pubblicata nell’Enciclopedia Italiana, respinse il confronto con i pensatori reazionari: «le negazioni fasciste del socialismo, della democrazia, del liberalismo, non devono tuttavia far credere che il fascismo voglia respingere il mondo a quello che esso era prima di quel 1789, che viene indicato come l’anno di apertura del secolo demo-liberale. Non si torna indietro. la dottrina fascista non ha eletto a suo profeta De Maistre». il terreno è un po’ più solido se prendiamo in considerazione l’influenza di Friedrich Nietzsche. in questo caso, sappiamo infatti per certo che Mussolini ne lesse con molto inte-


Il disprezzo per il sistema parlamentare

IPERTESTO

resse le opere principali, e che – nel 1908 – dedicò un lungo saggio proprio al pensiero del filosofo tedesco. Mentre la maggior parte dei socialisti guardava a Nietzsche con diffidenza, per il suo provocatorio e aristocratico disprezzo dei deboli e dei mediocri, Mussolini guardò al superuomo come a un simbolo del radicale rinnovamento di cui avevano bisogno la cultura e la società europee. inoltre, di Nietzsche, Mussolini assorbì l’esortazione appassionata a essere sempre in tensione verso il nuovo, verso qualcosa di più alto. insomma, al giovane socialista dei primi anni del Novecento il messaggio di Nietzsche infuse soprattutto un’ulteriore dose di estremismo, di desiderio di azione e di convinzione che – grazie all’azione stessa – fosse possibile raggiungere in tempi rapidi quei risultati rivoluzionari che i riformisti e gli altri socialisti proiettavano lontano, senza alcuna prospettiva immediata.

documenti

(M. iSNeNghi, Il mito della grande guerra. Da Marinetti a Malaparte, laterza, Bari 1970, p. 85)

173

Una seduta del Senato durante il governo Giolitti.

Perché la democrazia è chiamata famosa? Quale soluzione di fatto poteva essere proposta, sulla base della feroce analisi di Papini?

Riferimenti storiografici 1

Fiume: la festa della rivoluzione

L’avventura di D’Annunzio a Fiume viene giustamente ricordata, di solito, come il laboratorio in cui furono sperimentate numerose tecniche e strategie di comunicazione tra il Capo e le masse, più tardi riprese dal fascismo. A Fiume, tuttavia, arrivarono anche moltissimi individui eccentrici, ciascuno dei quali voleva vivere in modo artistico e irripetibile, rifiutando gli schemi borghesi. Alla base di questi comportamenti stava il superuomo di Friedrich Nietzsche, che in questo caso, tuttavia, non fu piegato in direzione razzista o violenta, ma letto come figura trasgressiva e libertaria, come simbolo di indipendenza spirituale assoluta.

Le origini del conflitto

Il deputato compra i voti dei suoi elettori o a contanti o con piccoli favori personali o con grossi favori locali a paesi, a società, a classi; il ministro compra i voti dei deputati concedendo a questi i mezzi necessari per comprare gli elettori (croci, impieghi, lavori pubblici ecc.) o con favori diretti; gli affaristi comprano i voti dei deputati cointeressandoli nei loro affari o dando loro qualche canonicato segreto; comprano i pareri dei ministri minacciandoli di rappresaglie o promettendo benefizi; comprano i cervelli della gente minuta dando loro per un soldo otto pagine di politica, di telegrammi, di opinioni, di letteratura, d’incisioni e di varietà. Gli alti poteri già nominativi (e che spesso stringono accordi col potere massimo di cui tutti hanno bisogno) si servono degli stessi mezzi, cosicché la famosa democrazia si riduce unicamente ai discorsi che si fanno nei comizi, nei consigli comunali, nei giornali, a Montecitorio, i quali cambiano ben poco la reale essenza delle cose – cioè il fatto di una nazione di lavoratori e di consumatori spadroneggiata da poche centinaia di ricchi astuti e attivi e da qualche migliaio di chiacchieroni loro dipendenti.

CAPITOLO 1

Nella cultura italiana dei primi del Novecento, numerosi intellettuali guardavano con disgusto al parlamentarismo, accusato di essere solo uno strumento fasullo, che permetteva a un gruppo di potenti di controllare lo Stato e la società. Il passo seguente è tratto da Freghiamoci della politica, pubblicato da Giovanni Papini nel 1913, sulla rivista Lacerba.


UNITÀ I

IPERTESTO

PERCORSI DI STORIA LOCALE

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

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Lo squadrismo in Emilia Romagna

Gruppo di squadristi emiliani in posa, fotografia del 1921

Lo sciopero dei braccianti e i fatti di Bologna Nell’estate del 1920, un lungo e durissimo sciopero agrario paralizzò le campagne dell’emilia Romagna. la posta in gioco era il rinnovo dei patti agrari, tra proprietari terrieri, da una parte, braccianti e mezzadri dall’altro. in emilia Romagna, l’organizzazione sindacale socialista Federterra, cui aderivano soprattutto i braccianti e i mezzadri più poveri, era una struttura potentissima, cosicché lo scontro con i proprietari divenne frontale. già in aprile, a Decima di Persiceto, si erano verificati duri scontri tra braccianti e contadini, con otto morti sul campo; altri tre morti si ebbero a Portonovo di Medicina, in agosto, tra crumiri e scioperanti. A quell’epoca, i lavoratori in sciopero stavano lasciando marcire interi raccolti nei campi, oppure raccoglievano solo la parte che spettava ai contadini, mentre abbandonavano al suo destino la parte padronale. Andarono persi un terzo della produzione di fieno, un quarto di quella dell’uva e un quinto di quella del grano. Alla fine d’ottobre, i proprietari cedettero e accettarono gran parte delle richieste della Federterra, in tema di mercato del lavoro (quantitativo minimo di braccianti che un proprietario terriero doveva assumere) di salario e di orario di lavoro. Fu l’ultima vittoria del movimento socialista in emilia Romagna; subito dopo, infatti, iniziò la dura risposta degli agrari, che si allearono allo squadrismo fascista. A Bologna, il movimento era sorto nell’aprile del 1919, per opera di leandro Arpinati, che però riorganizzò il Fascio bolognese su basi nuove, decisamente più aggressive, a partire dall’ottobre 1920. «i fasci – si diceva nello statuto della nuova organizzazione – non predicano la violenza per la violenza, ma respingono ogni violenza passando al contrattacco». Al di là del tono ambiguo, indicava una chiara volontà di rivalsa e di riscossa, dopo due anni di iniziativa socialista. il primo gesto clamoroso dello squadrismo bolognese avvenne il 4 novembre 1920: la Camera del Lavoro fu assalita e incendiata, mentre il tentativo socialista di organizzare una difesa armata della sede sindacale bolognese fallì miseramente. Assai più grave, sotto ogni punto di vista, l’episodio che si verificò il 21 novembre, in occasione dell’insediamento a Palazzo D’Accursio del nuovo sindaco socialista ennio gnudi, vincitore delle elezioni amministrative (con 18 170 voti, contro i 7985 del Blocco Na-


zionale, formato da liberali, destre e fascisti, e 4697 del Partito Popolare). Tre giorni prima dell’insediamento della nuova giunta, sui muri di Bologna apparve un manifesto minaccioso, dattiloscritto (poiché la questura non ne aveva autorizzato la stampa): «Domenica le donne e tutti coloro che amano la pace e la tranquillità restino a casa e, se vogliono… espongano dalle loro finestre il tricolore italiano. Per le strade di Bologna, domenica, debbono trovarsi, soli, i fascisti e i bolscevichi. Sarà la prova, la grande prova in nome d’italia!». il giorno della cerimonia, rafforzati da 27 squadristi ferraresi, circa 300 fascisti bolognesi irruppero in Piazza Maggiore. Quanto accadde a quel punto è oggetto di controversia e in gran parte confuso. Pare che un gruppo di guardie rosse del servizio d’ordine socialista abbia perso la testa e scagliato cinque bombe in piazza; nel caos che seguì, morirono 10 persone (tutte di sinistra): 7 furono uccise dai fascisti, 3 dalle guardie rosse, per errore. intanto, anche all’interno del palazzo, il rumore delle esplosioni che proveniva dall’esterno spaventò il servizio d’ordine socialista, che sparò contro i consiglieri dell’opposizione, uccidendo l’avvocato giulio giordani (del partito democratico-radicale) e ferendo cesare colliva (dell’Associazione ex combattenti). A seguito di questi fatti, gnudi e la nuova giunta rinunciarono all’insediamento: ad essi subentrò un commissario prefettizio. le ricostruzioni dei fatti del 21 novembre 1920 a Bologna divergono spesso in numerosi particolari. il senso complessivo della vicenda, invece, è fuori discussione: insieme all’incendio dell’hotel Balkan, sede a Trieste delle associazioni slavofile (13 luglio 1920) si tratta dell’inizio dell’offensiva fascista su grande scala contro il movimento operaio.

Lo scontro sociale nelle campagne emiliane

documenti

All’inizio del Novecento, nelle campagne dell’Emilia il quadro complessivo è notevolmente migliorato rispetto al secolo precedente. Le tensioni sociali, però, sono altissime tra braccianti e proprietari terrieri, mentre i mezzadri erano schierati su posizioni diversificate. In tutte le aree rurali, la lega socialista occupava un ruolo importantissimo.

177 Le origini del conflitto

Nel 1919, Mussolini pensava che i Fasci non avrebbero potuto sorgere che nelle città; verso la fine del 1920 gli agrari scoprono il fascismo, lo adottano, lo improntano del loro spirito. Tutti i loro rancori e i loro furori vi sono immessi: «Nell’anima dell’agrario e del contadino arricchito – si è notato [da parte di Pietro Nenni – n.d.r.] – l’odio, questo sentimento atavico di diffidenza verso chiunque aspiri a una nuova ripartizione della terra, si risveglia. Il nemico è oggi il salariato organizzato, come ieri era il vagabondo. Contro di lui tutto diviene legittimo». Già in talune località gli agrari avevano costituito dei gruppi di combattimento, le cui tradizioni e l’esempio non sono senza influenza sui Fasci nascenti. Il conflitto raggiunge ben presto un’asprezza estrema. È come un’ordalia barbara, che conclude vent’anni di lotte; dopo un tal giudizio di Dio, il vincitore si annette il vinto, corpo e beni. La pianura del Po, dove si produsse l’urto, è una regione a coltura intensiva e ad altissimo rendimento. Da secoli, le terre vi sono strappate alle acque stagnanti, ai canneti, alla malaria. Questo sforzo ammirevole si inensifica, verso la fine del XIX secolo, grazie ai nuovi processi tecnici, ai capitali accumulati dai singoli, al credito dello stato, alle nuove condizioni del mercato interno. Si drenano le acque, terre grasse e fertili emergono; sorgono le strade, le case, le piantagioni. La produzione per ettaro è molto elevata: 17 quintali di grano contro i 10 di media del regno, e, nelle terre ricostrutte, si arriva fino ai 25 e 30, a volte anche più. Altre colture si diffondono largamente: la canapa e soprattutto la barbabietola, a cui sono garantiti alti profitti grazie alla protezione doganale sullo zucchero. L’economia rurale e l’attività industriale che da queste dipendono danno così un reddito considerevole: i proprietari da un lato e i lavoratori dall’altro cercano di accaparrarne il più possibile. Ma mentre per quelli non si tratta che di profitti, per questi è una questione di vita o di morte. La popolazione è sovrabbondante e non vuole emigrare; dopo la guerra non lo potrà. Bisogna dunque trovare del lavoro sul posto e, poiché nessuno riesce ad impiegarsi in media che per 120 o 130 giorni l’anno, bisogna che i salari siano assai elevati per permettere di non morire di fame il resto dell’anno. Attraverso lotte memorabili, che si rinnovano frequentemente alla vigilia del raccolto, e che durano a volte dei mesi, le organizzazioni operaie hanno ot-

CAPITOLO 1

IPERTESTO

PERCORSI DI STORIA LOCALE

segue


Avvio graduale al saggio breve Socialismo e nazionalismo nell’estate del 1914 La Prima guerra mondiale segnò il completo fallimento della Seconda Internazionale: in ogni Paese, infatti, i socialisti scelsero di appoggiare lo sforzo bellico della propria nazione. Del resto, la dichiarazione di guerra destò grande entusiasmo nell'opinione pubblica di quasi tutti i Paesi europei. Per un attimo, le persone dimenticarono le divisioni di classe e si percepirono come una comunità,unita dal fatto di condividere un unico destino nazionale.

UNITÀ I

Innanzi tutto, leggi attentamente i due brani seguenti.

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

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L’atteggiamento dei socialisti di fronte alla guerra Dopo la morte di Marx, engels elaborò nuove teorie sulla natura della guerra moderna, e sui problemi che si ponevano ai socialisti. Rendendosi perfettamente conto che le guerre future sarebbero state più distruttive e catastrofiche di tutte quelle passate, nel 1887 scrisse in un passo profetico assai noto: «Dagli otto ai dieci milioni di soldati si annienteranno a vicenda e, così facendo, divoreranno l’europa lasciandola più nuda di una nuvola di locuste. le devastazioni della guerra dei Trent’Anni ristrette nello spazio di tre o quattro anni ed estese all’intero continente; la carestia, la malattia, l’indigenza che abbrutiscono l’esercito e le masse popolari; il caos irreversibile delle nostre strutture commerciali, industriali e del credito, che termina nella bancarotta universale; il crollo dei vecchi Stati e della loro sovranità tradizionale, per cui dozzine di corone rotoleranno nella polvere senza che nessuno tenti di raccoglierle; è assolutamente impossibile prevedere quale potrà essere lo sbocco di tutto ciò e chi uscirà vincitore dalla lotta. Un solo risultato è assolutamente certo: il collasso universale e l’avvento di condizioni propizie al trionfo definitivo della classe lavoratrice». Quest’analisi degli effetti della guerra postulava un nuovo dilemma, al quale il movimento socialista internazionale non riuscì mai a sottrarsi. Se da un lato, infatti, la guerra sembrava destinata a svigorire le strutture della società capitalista, preparando la strada alla rivoluzione, dall’altro era la classe lavoratrice – gli operai e i contadini che costituivano la massa dei soldati negli eserciti di leva del continente europeo – quelli che avrebbero sopportato per primi gli orrori della guerra moderna. Di conseguenza, non fu mai risolto il dilemma se accettare la guerra come mezzo per accelerare la rivoluzione ovvero tentare di prevenirla in quanto causa delle sofferenze e delle devastazioni che ne sarebbero derivate; il che spiega certe ambiguità e contraddizioni nel comportamento dei socialisti di fronte alla minaccia della guerra negli anni che precedettero il 1914. il movimento socialista internazionale sembrò fiducioso di poter prevenire il conflitto e sicuro che la forza dei Partiti socialisti organizzati sarebbe bastata a impedire ai governi di entrare in guerra. «i governi ricordino – ammonì il congresso internazionale socialista che si riunì a Basilea durante la guerra balcanica del 1912 – che nella situazione in cui si trova oggi l’europa e a causa dello stato d’animo della sua classe operaia, essi non sono più in grado di scatenare una guerra senza correre dei rischi». [...] [Ma] nello spazio di poche settimane


(J. JOll, Le origini della prima guerra mondiale, laterza, Bari 1985, pp. 252-253. 257-259. Traduzione di M. Monicelli)

con la guerra la moltitudine era diventata una presenza morale, l’incarnazione della solidarietà nazionale. la spesso citata descrizione di Zweig delle folle mobilitate dalla guerra riunisce molti particolari del senso comunitario dell'agosto 1914. «centinaia di migliaia di persone sentivano allora come non mai quel che esse avrebbero dovuto sentire in pace, di appartenere cioè ad una grande unità. Una città [Vienna – n.d.r.] di due milioni di abitanti, un Paese [= l’impero austro-ungarico – n.d.r.] di quasi cinquanta milioni, capirono in quell’ora di partecipare alla storia del mondo, di vivere un istante unico, nel quale ciascun individuo era chiamato a gettare nella grande massa ardente il suo io piccolo e meschino per purificarsi da ogni egoismo. Tutte le differenze di classe, di lingua, di religione erano in quel momento grandioso sommerse dalla grande corrente della fraternità. estranei si rivolgevano amichevolmente la parola per strada, gente che si era evitata per anni si porgeva la mano, dovunque non si vedevano che volti fervidamente animati. ciascun individuo assisteva ad un ampliamento del proprio io, non era cioè più una persona isolata, ma si sapeva inserito in una massa, faceva parte del popolo, e la sua persona trascurabile aveva acquisito una ragion d’essere». Due particolari della descrizione di Zweig meritano di essere sottolineati. Primo, tutte le «differenze di classe, di lingua, di religione», non furono né superate né abolite ma semplicemente messe a lato, poste momentaneamente in sottordine dal dirompente sentimento di fratellanza e dal dilagante nazionalismo. Nessuno, e tanto meno Stefan Zweig, credeva che la struttura di classe [= la disuguaglianza sociale, l’articolazione della società in varie classi sociali – n.d.r.] fosse in qualsiasi modo ridefinita grazie alla esplosione di sentimento che colpì gli abitanti di Vienna, permettendo loro di dimenticare i reciproci difetti e colpe e di stringersi la mano dopo anni di silenzio e indifferenza. il povero non diventava più ricco, né il ricco più povero, grazie alla dichiarazione di guerra, anche se il sentimento comunitario fu nondimeno reale: quella struttura di differenti posizioni di classe che normalmente avrebbe indotto qualsiasi osservatore ad interpretare il dilagare delle folle come una minaccia all’ordine costituito, o ad una determinata minoranza, ora era semplicemente messa da parte. Secondo, il momentaneo accantonamento delle differenze di classe permette a Zweig di abbandonare le proprie difese, il proprio ego [= io – n.d.r.], e il senso di isolamento sociale; a Berlino Marianne Weber prova la stessa sensazione: «Non siamo più ciò che siamo stati per tanto tempo: individui soli». [...] Una metafora ricorrente, e significativa, nelle descrizioni del-

CAPITOLO 1

La «comunità nazionale» nell’agosto 1914

181 Le origini del conflitto

o, meglio, giorni, la tanto millantata solidarietà internazionale della classe lavoratrice si rivelò altrettanto vana degli sforzi dei movimenti liberali per la pace. Allorché, il 29 luglio [del 1914: il giorno seguente la dichiarazione di guerra austriaca alla Serbia – n.d.r.] l’Ufficio della Seconda internazionale si riunì a Bruxelles, non poté che constatare la propria impotenza [...]. le ragioni del collasso di quella che era considerata una grande forza di opposizione, capace di impedire un conflitto, vanno probabilmente cercate nella circostanza che, malgrado la retorica [= le solenni affermazioni pubbliche – n.d.r.] rivoluzionaria, anche i socialisti più estremisti erano in realtà totalmente integrati nelle rispettive società nazionali. Nel breve periodo, le autorità riuscirono facilmente a convincere la gente che i loro Paesi erano vittime di un'aggressione, facendo appello al senso di patriottismo e di autoconservazione che si rivelò più forte di qualsiasi fede internazionalista. ciò fu particolarmente vero nel caso dei tedeschi; [...] il 2 agosto il governo riuscì ad assicurarsi la collaborazione dei leader sindacali nella predisposizione dei provvedimenti per far fronte al caos e alla disoccupazione provocati dalla mobilitazione; dal canto loro, le federazioni sindacali decisero di sospendere scioperi e rivendicazioni di aumenti salariali per tutta la durata del conflitto. Nel clima rapidamente crescente di odio e di paura verso la Russia, l’appello alla solidarietà nazionale si rivelò vincente: il 4 agosto i membri socialdemocratici del Reichstag, dopo lunghe ed estenuanti discussioni, decisero di votare i crediti di guerra chiesti dal governo. Dopo la proclamazione della mobilitazione e la partenza degli uomini per il fronte, ogni manifestazione contro la guerra assunse facilmente le caratteristiche di un atto di tradimento non tanto verso l’idea astratta di patria, quanto contro i propri compagni di partito. [...] i socialisti austriaci vissero esperienze pressoché analoghe a Vienna, dove la folla, alla notizia della rottura delle relazioni con la Serbia (scrisse l’ambasciatore inglese), «è esplosa in grida di gioia, mentre la gente manifestava per le strade cantando inni patriottici fino alle prime ore del mattino». il leader universalmente stimato del Partito socialdemocratico, Victor Adler, scandalizzò i colleghi dichiarando alla riunione del Bureau [= Ufficio – n.d.r.] dell’internazionale Socialista: «il partito è impotente. Manifestazioni in favore della guerra si stanno svolgendo nelle strade. la nostra organizzazione e la nostra stampa sono in pericolo. corriamo il rischio di veder distruggere trent'anni del nostro lavoro senza aver raggiunto alcun obiettivo politico». Date le circostanze, il partito austriaco rinunciò a qualsiasi speranza di opporre resistenza alla guerra.


UNITÀ I

Avvio graduale al saggio breve

LA PRIMA GUERRA MONDIALE

182

l’agosto è quella di fluidità e flusso. [...] Questa metafora idrodinamica viene impiegata con grande efficacia da carl Zuckmayer nella descrizione del suo arrivo in germania dopo che la crisi di luglio ebbe interrotto le sue vacanze sulla costa olandese. Qui la corrente che unifica i più disparati frammenti d’umanità – i viaggiatori nella stazione di colonia – è una vera e propria scarica elettrica che dissipa la paura di Zuckmayer per la guerra. «Allora, sotto l'enorme stazione di colonia rimbombante di canzoni, passi di marcia, grida dei viaggiatori accalcati nella fredda e tersa luce del mattino, fui attraversato da qualcosa, non proprio come un'alterazione, ma come l'irradiazione di una corrente di elettricità cosmica che dissipò quel vago senso di nausea che avevo in gola e nello stomaco, salì al cervello e comunicò bagliori accecanti dalla testa al cuore. essa traspose [= trasportò – n.d.r.] tanto il mio corpo quanto la mia anima in uno stato di trance, intensificando enormemente il mio amore per la vita, in una gioia di partecipazione, di vivere-insieme-con, una sensazione addirittura di grazia». Treni e stazioni ferroviarie furono luogo di moltissime conversioni all’entusiasmo d’agosto, conversioni invariabilmente definite come una «resa» al flusso di sentimento quasi palpabile. Questo luogo, al pari delle strade, simboleggiava per definizione la separazione dei viaggiatori, tutti presi dalla fretta delle loro ben diverse destinazioni; ma ora proprio i treni, le stazioni, le strade, rappresentavano i canali del movimento di tante esistenze individuali separate verso un'unica, unificata direzione, verso la guerra. [...] l’entusiasmo era prodotto dalla consapevolezza che una società altamente segmentata, funzionalmente strutturata, e finalizzata alla soddisfazione di mol-

teplici esigenze materiali veniva accantonata e rimpiazzata non da una serie di funzioni, status, ruoli, bensì da un progetto comune o, come preferivano dire i contemporanei, da un comune «destino» [...]. il progetto della guerra permise, nelle parole di Rilke, a «un intero popolo di sintonizzare le proprie emozioni», e realizzò un'inedita armonia dal «concerto di centinaia di voci contraddittorie». [...] classi, età, sessi, normalmente mantenuti distinti, venivano riuniti, non da una «nuova condizione» ma da una comune direzione. la guerra venne prefigurata come una sfera d’azione in cui il comportamento collettivo organizzato non fosse più contraddittorio o conflittuale, presentando una serie di nuove esigenze che stornavano gli egoismi e la cura individuale per il proprio io. la dichiarazione di guerra annunciò il perseguimento di uno scopo che rendesse la vita collettiva coerente e unidirezionale.

Operazione propedeutica di arricchimento del lessico Spiega il significato delle espressioni evidenziate in rosso nel testo

Operazione di stesura del testo Di seguito vengono presentate una serie di domande. Dopo aver risposto a ognuna di esse, sarai in grado di costruire una scaletta, che raccoglie le principali informazioni presenti nei due testi. Seguendola, procedi alla stesura di un saggio breve. Il testo non deve superare le due pagine di foglio protocollo.

Che cosa venne sommerso dalla grande ondata di fraternità nazionale verificatasi nell’agosto 1914? Quello che si verificò effettivamente nell’agosto 1914 era stato previsto dai socialisti? A quale bisogno collettivo rispose la guerra? La profezia di Engels risultò assolutamente falsificata? In che misura, invece, si verificò quanto il fondatore del socialismo aveva annunciato? La guerra, in sostanza, diminuì o aumentò le possibilità di attuare una rivoluzione socialista?


MAPPA DI SINTESI

Sistema delle alleanze

Germania Austria-Ungheria

Francia Russia

Sostegno della Russia alla Serbia: guerra generalizzata

CAPITOLO 1

Assassinio di Sarajevo

Guerra tedesca su due fronti: invasione del Belgio e guerra contro l’Impero russo

Intervento dell’Inghilterra contro la Germania Guerra di trincea sul fronte occidentale (battaglie di Verdun e della Somme – 1916)

Vittorie tedesche sul fronte russo Difficoltà russe a sostenere una guerra di logoramento

Blocco navale inglese e guerra sottomarina tedesca Intervento degli Stati Uniti contro la Germania

Rivoluzione contro lo zar (febbraio 1917) Rivoluzione comunista (ottobre 1917)

Sconfitta tedesca (novembre 1918)

Trattato di Brest Litovsk (marzo 1918)

Le origini del conflitto

183


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