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Trame epica

casa editrice SEI restyling 2010


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l’eroe nel mito

SEZIONE III - IL ROMANZO

L’eroe nella poesia epica LA TRASCRIZIONE DEI MITI

PROFANO L’aggettivo profano significa “privo di carattere sacro, che non ha attinenza con la religione né con ciò che ad essa è connesso”. Il termine deriva dal latino profanum che alla lettera vuol dire “che sta davanti, fuori (pro) al recinto sacro del tempio (fanum), e ha come opposto semantico la parola sacro.

Il mito è un particolare tipo di racconto che ha come oggetto eventi svoltisi in un tempo remoto, diverso da quello attuale, e come protagonisti creature particolari: dei, demoni, eroi e, in alcuni casi, animali. I miti appartengono al patrimonio tradizionale di una comunità e vengono tramandati oralmente da speciali narratori, che li raccontano in pubblico in occasioni legate a momenti religiosi e scandite da specifici riti. Narrare miti e eseguire riti sono attività sociali che hanno come finalità principale la costituzione, la conservazione e il rafforzamento di una comunità. Una delle conseguenze della trasmissione orale dei miti è che dallo stesso racconto vengono generate varianti diverse, non sempre tra loro coerenti. Questo fenomeno si attenuerà solo con l’invenzione della scrittura quando l’atto della trascrizione conferirà alle storie mitiche la forma stabile e definitiva in cui noi le conosciamo. La formalizzazione di una particolare variante del mito da parte di scrittori prestigiosi ne garantisce l’immortalità ma non comporta l’immediata sparizione delle altre possibili versioni dello stesso racconto. Per questo motivo i mitografi che a partire dal IV secolo a. C. compilano raccolte sistematiche di miti cercano di appianare le contraddizioni presenti tra le diverse storie in vari modi. I canali scritti attraverso cui il ricco patrimonio mitologico è pervenuto sono la poesia epica, la letteratura erudita e la tragedia, generi assai diversi tra loro ma accomunati dal loro carattere profano. (Inserire Lemma lato) Gli scrittori antichi infatti, dall’età classica in poi, si avvicinano ai miti con finalità letterarie più che religiose e la stesura di queste narrazioni avviene fuori dal contesto sacro e rituale in cui esse sono nate.

DEI ED EROI Protagonisti di numerosi miti greci sono gli eroi, personaggi a metà tra gli uomini e gli dei che Omero ed Esiodo definiscono emìtheioi, cioè “semidei”, e il filosofo Aristotele afferma essere fisicamente e spiritualmente “superiori ai comuni mortali” La differenza più notevole tra gli eroi e gli dei sta nel fatto che le divinità sono, per definizione, eterne e immortali, mentre gli eroi sono vissuti −seppure in modo mitico e non storico − in un passato di lotte, conflitti e pericoli, hanno compiuto azioni decisive per il genere umano e infine sono morti, anche se in


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qualche mito si parla di eroi che invece di morire vengono rapiti e condotti all’isola dei Beati o trasferiti direttamente sull’Olimpo. Né dei né uomini, gli eroi si qualificano in relazione alla funzione che viene loro attribuita. Possono essere eroi civilizzatori, ossia fondatori di istituzioni civili o economiche, eroi antenati, cioè fondatori di stirpi o popoli, o eroi eponimi, figure da cui prendono nome luoghi geografici. La poesia epica antica definiva eroi esclusivamente coloro che avevano combattuto a Troia e a Tebe. Tuttavia a partire dal VI secolo anche uomini reali − ma eccezionali sotto qualche aspetto − dopo la morte ottengono la qualifica di eroi: i primi casi di eroizzazione di personaggi umani riguardano gli oikistai (fondatori di nuove colonie) e gli atleti vincitori di gare, mentre alla fine del V secolo anche il tragediografo Sofocle viene venerato come eroe dopo la morte.

IL CULTO DEGLI EROI Il culto degli eroi, la cui origine risale all’epoca micenea (XVII-XII secolo a.C), è pubblico e si concentra nei pressi della loro tomba, l’h r ion, dove vengono celebrati rituali analoghi a quelli destinati alle divinità infere in quanto i sacrifici avvengono di notte e le vittime sono animali neri con la testa volta verso terra. Una delle ragioni di questo culto è costituita dalla protezione che l’eroe assicura alla propria città in guerra. Si narra che a Maratona fu visto Teseo a capo delle truppe ateniesi, mentre i cittadini di Locri lasciavano nel loro esercito un posto per Aiace Oileo e prima della battaglia di Salamina gli ateniesi invocarono Aiace e suo padre Telamone chiedendo loro aiuto e sostegno. Gaspare Landi (17561830), L’incontro di Ettore e Andromaca, 1795, particolare.

I CARATTERI DELL’EROE L’analisi dei miti centrati sulla figura dell’eroe rivela la presenza di tratti costanti che accomunano personaggi diversi e di situazioni analoghe che riaffiorano in storie mitiche differenti. Quasi tutti gli eroi sono figli di divinità che si sono unite con un essere mortale e proprio a causa della loro nascita “illegittima” spesso da bambini sono esposti o abbandonati nelle acque da cui vengono fortunosamente salvati. La ricorrenza di situazioni di partenza tanto rischiose introduce un altro tratto tipico degli eroi, ossia la loro capacità di sopravvivere in condizioni estreme e di compiere gesta prodigiose e straordinarie. Anche dal punto di vista fisico gli eroi presentano caratteri insoliti e particolari che manifestano la loro diversità rispetto agli uomini comuni. Secondo il mito il corpo di Achille è potente e smisurato, le ossa di Oreste rinvenute a Tegea rive-


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lano una statura di sette cubiti (un cubito corrispondeva a circa cinquanta centimetri!) ed Eracle è dotato di una triplice fila di denti. Un altro tratto che accomuna gli eroi, distinguendoli decisamente dalle divinità, è il loro ruolo di combattenti. Infatti, nonostante molti dei abbiano combattuto in un passato mitico per consolidare la loro posizione e combattano ancora intervenendo nei conflitti umani, essi non possono essere considerati veri e propri guerrieri poiché, in quanto immortali, non rischiano la vita. I combattimenti sostenuti dagli eroi − che sono sempre monomachie perché tutti gli eroi sono esseri solitari − hanno invece sempre come esito finale la loro morte o quella degli avversari.

LE SITUAZIONI RICORRENTI Una circostanza narrativa ricorrente nei miti eroici è costituita dal racconto delle peregrinazioni dei protagonisti, spesso costretti ad allontanarsi dalla patria d’origine a causa di guerre o atti colpevoli e ad affrontare lunghi e difficoltosi viaggi o vagabondaggi solitari durante i quali combattono con avversari di varia natura, fondano nuove città o stabiliscono speciali rapporti con i luoghi che accolgono le loro spoglie mortali. Il fatto poi che molti eroi mitici (per esempio il tebano Edipo e l’argivo Oreste) nel loro incessante vagare passino immancabilmente per Atene può essere considerato una rappresentazione mitica e simbolica dell’effettiva egemonia politica della città attica. Un’altra situazione frequentemente richiamata nei miti è l’uccisione casuale di un personaggio da parte dell’eroe, di cui una variante significativa e altrettanto comune è rappresentata dal caso in cui l’eroe uccide accidentalmente un familiare o una persona di cui solo dopo scopre la vera identità (come accade ad Edipo che uccide il padre Laio credendolo un brigante). In altri casi, pur non commettendo materialmente omicidio, l’eroe è causa involontaria della morte di un parente (come Teseo che inconsapevolmente spinge il padre Egeo al suicidio). Infine, un ulteriore tratto comune a questi racconti è la morte violenta e spesso prematura del protagonista. Moltissimi eroi muoiono nei combattimenti intorno a Tebe e a Troia, alcuni vengono trucidati a tradimento (come accade ad Agamennone al suo ritorno in patria), altri sono sbranati o fatti a pezzi dai loro antagonisti, altri ancora sono fulminati da Zeus o finiscono vittime di incidenti durante gare e sfide di vario genere.

LA COSTRUZIONE DEL PERSONAGGIOEROE Basandosi sui numerosi elementi mitici ricorrenti, alcuni studiosi sono giunti alla conclusione che i diversi eroi sono frutto della composizione e dell’organizzazione di tratti fissi non riferibili in esclusiva a un singolo personaggio. Il carattere distintivo e peculiare di ciascun eroe deriverebbe perciò dalla diversa combinazione degli stessi motivi di partenza. L’accentuazione dell’uno o dell’altro tratto darebbe origine a quelle figure mitiche uniche e inconfondibili che chiamiamo eroi.


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Gli eroi del mito nel poema epico L’EROE DAL MITO ALL’EPICA Nell’ampio tessuto narrativo del poema epico gli eroi del mito si trasformano in veri e propri personaggi e i loro tratti originari − eccessivi, feroci e a volte disumani − si ridimensionano, integrandosi nel contesto sociale in cui sono inseriti e del quale esemplificano i valori più alti. Nell’Iliade gli eroi sono l’espressione del principio ideale della kalokagathìa secondo il quale la magnificenza, la forza e l’armonia dell’aspetto fisico riflettono la nobiltà dei valori morali. La figura che rappresenta in modo più emblematico questo concetto è quella di Achille, il più temibile dei guerrieri achei, nel quale alla bellezza e all’eccezionale potenza del corpo si abbinano uno straordinario coraggio e un fortissimo senso dell’onore che lo spingono ad affrontare pericoli e avversari di ogni genere allo scopo di dimostrare la propria superiorità di guerriero.

APPROFONDIMENTO

Achille nel mito Achille è figlio di Peleo e della dea marina Teti che, secondo un mito, immergeva nel fuoco i figli appena nati per purificarli dalla loro parte mortale. Per questo motivo Peleo le sottrasse il settimogenito Achille quando le fiamme gli avevano già bruciato un osso del piede destro e lo affidò al centauro Chirone il quale disseppellì il corpo del gigante Damiso − celebre per la sua velocità nella corsa −, ne prese un osso e lo mise al posto di quello mancante. Successivamente Peleo (o in altri miti Teti) per scongiurare la profezia secondo cui Achille sarebbe morto sotto le mura di Troia, lo fece nascondere alla corte di Sciro; qui l’eroe, travestito da donna, rimase fino al momento in cui Odisseo, con l’astuzia, smascherò il suo inganno costringendolo a partire. Nell’Achilleide, il poeta latino Stazio (I secolo d.C.) sostiene invece che Teti immerse Achille bambino nelle acque dello Stige, rendendo invulnerabile tutto il suo corpo ad eccezione del tallone per il quale lo teneva e proprio in quel punto successivamente l’eroe fu colpito a morte. Nella rappresentazione che ne dà Omero il tratto della semi-invulnerabilità di Achille non è presente e l’eroe si distingue dai compagni soprattutto per la straordinaria e selvaggia forza fisica.

Anche in Ettore, il maggiore antagonista di Achille, ritroviamo tratti riconducibili ai valori della kalokagathìa ma poiché gli eroi mitici acquisiscono spessore di personaggi soprattutto grazie alle loro peculiarità individuali, nel guerriero troiano queste virtù eroiche vengono messe al servizio della comunità. Infatti, pur tenendo al proprio prestigio di combattente, Ettore si sente eroe in quanto difensore della patria, del nucleo familiare e degli dei della sua città.


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Omero

Il duello finale tra Achille ed Ettore

genere

poema epico tratto da Odissea (libro I, vv. 1-52)

anno VIII

la storia i personaggi il tempo lo spazio il narratore e la focalizzazione

IL BRANO Incalzati dagli Achei, i Troiani si rifugiano all’interno delle mura della città mentre Ettore rimane sul campo di battaglia deciso ad affrontare Achille in un duello finale da cui dipende il destino dei due popoli. Il feroce combattimento si conclude con la sconfitta dell’eroe troiano, la cui fine esemplifica l’ideale greco di “bella morte”: con il suo valore Ettore può acquisire una fama che farà sopravvivere il suo nome alla dissoluzione del corpo, ma solo a condizione che esso possa ricevere un’adeguata sepoltura.

secolo a.C. luogo Grecia

le tecniche espressive la lingua e lo stile 250

METRICA Metro prosa rimata suddivisa in versetti di misura variabile, spesso in assonanza e solo occasionalmente legati da rime

1 Non fuggo più: precedentemente Ettore era fuggito davanti ad Achille e, inseguito da lui, aveva fatto tre volte il giro delle mura della città. 2 sconciarti: straziare il tuo cadavere. inclite: gloriose. 3 bieco: minaccioso, accigliato. 4 maledetto: la violenta risposta di Achille è causata dalla sua ira contro Ettore, che ha ucciso l’amico Patroclo. 5 Ares: il dio della guerra. 6 Ogni bravura ricorda: fa’ appello a tutta la tua abilità di guerriero. 7 Pallade Atena: la dea Atena, figlia di Zeus, aveva l’appellativo di Pallade che significa “scuotitrice dell’asta”.

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quando furon vicini marciando uno sull’altro, il grande Ettore elmo lucente, parlò per primo ad Achille: «Non fuggo più davanti a te, figlio di Peleo, come or ora corsi tre volte intorno alla grande rocca di Priamo, e non seppi sostenere il tuo assalto; adesso il cuore mi spinge a starti a fronte, debba io vincere o essere vinto. Su invochiamo gli dèi: essi i migliori testimoni saranno e custodi dei patti; io non intendo sconciarti orrendamente, se Zeus mi darà forza e riesco a strapparti la vita; ma quando, o Achille, t’abbia spogliato l’inclite armi, renderò il corpo agli Achei: e anche tu fa’ così». E guardandolo bieco , Achille piede rapido disse: «Ettore, non mi parlare, maledetto , di patti: come non v’è fida alleanza fra uomo e leone, e lupo e agnello non han mai cuori concordi, ma s’odiano senza riposo uno con l’altro, così mai potrà darsi che ci amiamo io e te; fra di noi non saran patti, se prima uno, caduto, non sazierà col sangue Ares , il guerriero indomabile. Ogni bravura ricorda ; ora sì che tu devi esser perfetto con l’asta e audace a lottare! Tu non hai via di scampo, ma Pallade Atena t’uccide con la mia lancia: pagherai tutte insieme le sofferenze dei miei, che uccidesti infuriando con l’asta». Diceva, e l’asta scagliò, bilanciandola; ma vistala prima, l’evitò Ettore illustre: la vide, e si rannicchiò, sopra volò l’asta di bronzo e s’infisse per terra; la strappò Pallade Atena,

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la rese ad Achille, non vista da Ettore pastore di genti7. Ettore, allora, parlò al Pelide perfetto: «Fallito! Ma dunque tu non sapevi, Achille pari agli dèi, no affatto, da Zeus la mia sorte; eppure l’hai detta. Facevi il bel parlatore, l’astuto a parole, perché atterrito, io scordassi il coraggio e la furia. No, non nella schiena d’uno che fugge pianterai l’asta, ma dritta in petto, mentre infurio, hai da spingerla, se un dio ti dà modo. Evita intanto questa mia lancia di bronzo: che tu possa portarla tutta intera nel corpo. Ben più leggera sarebbe la guerra pei Teucri , te morto : ché tu sei per loro l’angoscia più grande». Diceva, e bilanciandola scagliò l’asta ombra lunga; e colse nel mezzo lo scudo d’Achille, non sbagliò il colpo; ma l’asta rimbalzò dallo scudo; s’irritò Ettore, che inutile il rapido dardo gli fosse fuggito di mano, e si fermò avvilito, perché non aveva un’altr’asta di faggio; chiamò gridando forte il bianco scudo Deífobo , chiedeva un’asta lunga: ma quello non gli era vicino. Comprese allora Ettore in cuore e gridò: «Ahi! Davvero gli dèi mi chiamano a morte. Credevo d’aver accanto il forte Deífobo: ma è fra le mura, Atena m’ha teso un inganno. M’è accanto la mala morte, non è più lontana, non è inevitabile ormai, e questo da tempo era caro a Zeus e al figlio arciero di Zeus , che tante volte m’han salvato benigni. Ormai m’ha raggiunto la Moira. Ebbene, non senza lotta, non senza gloria morrò, ma avendo compiuto qualcosa di grande, che anche i futuri lo sappiano». Parlando così, sguainò la spada affilata, che dietro il fianco pendeva, grande e pesante, e si raccolse e scattò all’assalto, com’aquila alto volo, che piomba sulla pianura traverso alle nuvole buie, a rapir tenero agnello o lepre appiattato : così all’assalto scattò Ettore, la spada acuta agitando. Ma Achille pure balzò, di urla empì il cuore selvaggio: parò davanti al petto lo scudo bello, adorno, e squassava l’elmo lucente a quattro ripari ; volava intorno la bella chioma d’oro, che fitta Efesto lasciò cadere in giro al cimiero . Come la stella avanza fra gli astri nel cuor della notte, Espero , l’astro più bello ch’è in cielo, così lampeggiava la punta acuta, che Achille scuoteva nella sua destra, meditando la morte d’Ettore luminoso, cercando con gli occhi la bella pelle, dove fosse più pervia . Tutta coprivan la pelle l’armi bronzee, bellissime, ch’Ettore aveva rapito, uccisa la forza di Patroclo; 13

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8 pastore di genti: epiteto che significa “capo”, “condottiero”. 9 Pelide: Achille, figlio di Peleo. 10 leggera: sopportabile. 11 Teucri: Troiani, dal nome di Teucro, mitico re della regione della Troade. 12 te morto: se tu fossi morto. 13 dardo: termine che definisce qualunque arma da lancio, quindi sia la freccia che la lancia. 14 Deífobo: è il fratello minore di Ettore di cui Atena ha preso le sembianze per ingannare il principe troiano che crede erroneamente di poter contare sul suo aiuto. 15 figlio arciero di Zeus: Apollo, armato di arco. 16 Moira: la divinità che presiede alla vita dell’uomo decretandone la fine. 17 i futuri: i posteri. 18 si raccolse: si rannicchiò per prendere maggiore slancio. 19 appiattato: nascosto. 20 acuta: dalla punta acuminata. 21 parò: oppose come riparo. 22 squassava: scuoteva violentemente. 23 a quattro ripari: a quattro strati. 24 la bella chioma d’oro, che fitta Efesto lasciò cadere in giro al cimiero: la criniera dorata che Efesto aveva applicato al pennacchio dell’elmo (cimiero) di Achille costruito da lui su invito di Teti, madre dell’eroe. 25 Espero: il pianeta Venere. 26 pervia: accessibile alla lancia. 27 ch’Ettore aveva rapito, uccisa la forza di Patroclo: che Ettore aveva sottratto al cadavere di Patroclo dopo averlo ucciso.


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28 il faggio greve: la pesante asta di faggio. La lancia era nei duelli la principale arma d’offesa. 29 la strozza: la gola. 30 io che ti ho sciolto i ginocchi: io che ti ho ucciso, privandoti del vigore. Le ginocchia erano considerate la sede della forza vitale. 31 lui: Patroclo. 32 oro e bronzo infinito: un abbondante riscatto di oggetti d’oro e di bronzo. 33 del fuoco diano parte a me morto: possano bruciare il mio cadavere. 34 Dardanide: discendente di Dardano. 35 ché: perché. 36 un cuore di ferro: un animo duro, insensibile. 37 numi: dèi. 38 Febo Apollo: Febo è un appellativo di Apollo che significa “luminoso”. 39 sopra le Scee: sulle porte della città di Troia. 40 La Chera io pure l’avrò: anch’io sono destinato a morire. La Chera è un demone che rapisce le anime per portarle nel mondo degli inferi.

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là solo appariva, dove le clavicole dividon le spalle dalla gola e dal collo, e là è rapidissimo uccider la vita. Qui Achille glorioso lo colse con l’asta mentre infuriava, dritta corse la punta traverso al morbido collo; però il faggio greve non gli tagliò la strozza , così che poteva parlare, scambiando parole. Stramazzò nella polvere: si vantò Achille glorioso: «Ettore, credesti forse, mentre spogliavi Patroclo, di restare impunito: di me lontano non ti curavi, bestia! ma difensore di lui, e molto più forte, io rimanevo sopra le concave navi, io che ti ho sciolto i ginocchi . Te ora cani e uccelli sconceranno sbranandoti: ma lui seppelliranno gli Achei». Gli rispose senza più forza, Ettore elmo lucente: «Ti prego per la tua vita, per i ginocchi, per i tuoi genitori, non lasciare che presso le navi mi sbranino i cani degli Achei, ma accetta oro e bronzo infinito , i doni che ti daranno il padre e la nobile madre: rendi il mio corpo alla patria, perché del fuoco diano parte a me morto i Teucri e le spose dei Teucri». Ma bieco guardandolo, Achille piede rapido disse: «No, cane, non mi pregare, né pei ginocchi né pei genitori; ah! che la rabbia e il furore dovrebbero spingere me a tagliuzzar le tue carni e a divorarle così, per quel che m’hai fatto: nessuno potrà dal tuo corpo tener lontane le cagne, nemmeno se dieci volte, venti volte infinito riscatto o mi pesassero qui, altro promettessero ancora; nemmeno se a peso d’oro vorrà riscattarti Priamo Dardanide , neanche così la nobile madre piangerà steso sul letto il figlio che ha partorito, ma cani e uccelli tutti ti sbraneranno». Rispose morendo Ettore elmo lucente: «Va’, ti conosco guardandoti! Io non potevo persuaderti, no certo, ché in petto hai un cuore di ferro . Bada però, ch’io non ti sia causa dell’ira dei numi , quel giorno che Paride e Febo Apollo con lui t’uccideranno, quantunque gagliardo, sopra le Scee ». Mentre diceva così, l’avvolse la morte: la vita volò via dalle membra e scese nell’Ade, piangendo il suo destino, lasciando la giovinezza e il vigore. Rispose al morto il luminoso Achille: «Muori! La Chera io pure l’avrò , quando Zeus vorrà compierla e gli altri numi immortali». […] da Omero, Iliade, traduzione di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 1990


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STRUMENTI DI LETTURA La storia La storia di Robinson si svolge secondo un percorso tipico del cosiddetto “romanzo di formazione” (vedi a p. 490): inizia con l’allontanamento dall’ambiente familiare del giovane Robinson in cerca di fortuna; procede seguendo un percorso irto di difficoltà che il protagonista supera grazie al suo spirito di iniziativa, al suo ingegno pratico e all’uso della ragione; prosegue con il ritorno in patria dove Robinson scopre di essere diventato ricco grazie a un socio in affari; si conclude con il ritorno nell’isola, dove intraprende un’azione di colonizzazione al fine di portarvi la civiltà. Come si vede questo tipo di romanzo presenta un protagonista (l’eroe) giovane,

i luoghi lontani e misteriosi. Al termine della vicenda il protagonista tornerà sull’isola portandovi la civiltà. Questo tipo di finale costituisce una sorta di giustifi-

cazione morale dell’espansionismo coloniale inglese: l’autore in questo modo presenta il colonialismo, infatti, non nelle sue finalità di dominazione commerciale ed economica, ma come un’azione civilizzatrice nei confronti di mondi “primitivi” cui finalmente è data l’occasione per uscire dal loro stato di arretratezza.

inesperto della vita, che riceverà la sua formazione dal superamento di tutti gli ostacoli che troverà lungo la propria strada . Al termine della vicenda egli ha compiuto la sua formazione e ha acquisito un patrimonio di valori che lo mettono a sua volta in grado di svolgere una funzione educativa (in questo caso civilizzando l’isola).

Il personaggio Robinson incarna alla perfezione i valori borghesi della società del suo tempo: intraprendenza, industriosità, fiducia nelle proprie forze, ma anche moralità e fede in Dio. Egli è un perfetto eroe moderno che non fonda la sua superiorità sulla nobiltà di nascita e non intraprende una ricerca per la fede o per la donna amata, in cerca di gloria e di onore, ma lotta per la sopravvivenza materiale e per una vita dignitosa, basandosi sulle proprie risorse individuali. Robinson non solo rappresenta un nuovo modello umano, il perfetto eroe borghese: egli è diventato cioè un modello esemplare nell’immaginazione di intere generazioni di lettori.

Lo spazio L’ambientazione è caratterizzata da luoghi aperti come il mare o potenzialmente ostili come l’isola non ancora raggiunta dalla civiltà. Questo tipo di ambientazione, in luoghi esotici e lontani, risponde al gusto dell’epoca poiché l’espansione marittima inglese, insieme a tutti i racconti e le leggende che vi avevano fatto seguito, aveva suscitato nel pubblico inglese grande interesse e curiosità per tutte le condizioni di vita “primitive” e per

Il narratore e la focalizzazione Il romanzo è raccontato in prima persona dal protagonista. Nel brano letto egli scrive al passato annotando fedelmente la propria esperienza di naufrago. Questa modalità di scrittura conferisce alla narrazione la veridicità propria della testimonianza diretta , contribuendo ad aumentare il coinvolgimento del lettore. Inoltre l’uso del passato autorizza il lettore a ritenere che la vicenda narrata appartenga al passato e che il racconto, nel suo svolgersi, possa riservare delle sorprese in relazione al presente.

La lingua e lo stile Defoe non era un letterato di professione, ma si dedicò alla narrativa tardi, dopo aver esercitato per buona parte della vita attività commerciali e poi giornalistiche. A ciò si deve il suo modo di esprimersi concreto e immediato.

Giandomenico Tiepolo (1727-1804), Trasporto in città del cavallo di Troia, 1773, particolare.


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LE SS IC O

di ffi co ltà

LABORATORIO Comprensione

1 Quali sono i primi pensieri di Robinson quando prende atto della situazione in cui si trova? 2 Quali sono gli unici beni di cui è in possesso? 3 Che riflessioni fa sulla propria condizione? 4 Cosa si chiede sulla terra in cui è arrivato? di ffi co ltà

Laboratorio

l’eroe nel mito

Analisi Il personaggio

Vedi a p. 24

5 Com’è presentato il personaggio di Robinson nel brano letto? In modo diretto In modo indiretto 6 Soffermati sulla caratterizzazione del personaggio, sottolineando nel testo: dove compare la sua capacità di lottare e risolvere i problemi razionalmente; dove emergono il suo carattere concreto e la sua mentalità pratica; dove si nota la sua religiosità.

Lo spazio

Vedi a p. 156

7 Come definiresti lo spazio in cui si muove Robinson? Ostile Familiare Esotico Rasserenante 8 C’è una relazione fra lo stato d’animo del protagonista (la sopraggiunta calma) e lo spazio che lo circonda? Motiva la tua risposta.

Il narratore e la focalizzazione

Vedi a p. 24

9 Osserva i righi 50-51, dove si parla delle condizioni del cielo e del mare, elementi che hanno sempre stimolato nei letterati descrizioni poetiche e ricche di aggettivi. Come li vede Robinson? Che tipo di aggettivazione adopera? In quale persona è narrata la storia? Prima Terza 10 Osserva i righi 50-51, dove si parla delle condizioni del cielo e del mare, elementi che hanno sempre stimolato nei letterati descrizioni poetiche e ricche di aggettivi. Il narratore è: esterno interno testimone interno protagonista 11 La focalizzazione è:

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esterna

interna fissa

interna variabile


La lingua e lo stile

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tit, sottocapitolo o autore Vedi a p. 24

12 Come definiresti la descrizione che Robinson fa del suo stato d’animo nei primi due capoversi? Scegli tra i seguenti gli aggettivi che ti paiono più adatti: pacata enfatica lamentosa reboante misurata Argomenta la tua risposta facendo riferimento ai righi del testo. 13 Osserva i righi 50-51, dove si parla delle condizioni del cielo e del mare, elementi che hanno sempre stimolato nei letterati descrizioni poetiche e ricche di aggettivi. Come li vede Robinson? Che tipo di aggettivazione adopera? Scarsa Abbondante Esornativa Strettamente funzionale al concetto da esprimere

Testo e contesto

di ffi co ltà

Laboratorio

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I valori della società borghese Come si è già visto il successo dell’opera è dovuto in buona parte alla figura dell’eroe borghese che Robinson incarna e alla capacità del romanzo di indurre una identificazione del lettore in tale figura. 14 Elenca i valori borghesi che emergono dalla lettura del brano facendo riferimento ai righi relativi.

Produzione 15 Riassumi Vedi a p. 156 ducile a 300.

il brano letto in 600 parole e poi, successivamente, ri-

16 Scrivi un breve testo Vedi a p. 24 in cui esponi la visione della vita, il carattere e la disposizione intellettuale, i valori morali e religiosi del personaggio di Robinson. 17 Prova a modificare il personaggio: al posto dell’angoscia composta di Robinson, un protagonista annientato dalla disperazione. E`sempre Robinson a raccontarsi in prima persona e al passato Vedi a p. 24 , ma con uno stato d’animo sconvolto e un linguaggio ricco di enfasi. Riscrivi in questo senso dal rigo 7 al rigo 44.


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L’eroe nella tragedia Attica LA TRASCRIZIONE DEI MITI

Rilievo arcaico con una scena di combattimento, VI secolo a.C.

Le tragedie attiche hanno come argomento episodi tratti dalla mitologia e dall’epica, che i drammaturghi traducono in azione sulla scena, leggendo i fatti narrati in modo nuovo. Il mito, cioè, dà la struttura della storia, nota sia all’autore sia agli spettatori; la tragedia, attraverso personaggi e dialoghi, porta una riflessione su quel fatto mitico, con argomenti nuovi. Il poeta tragico peraltro non può intervenire sulla successione degli eventi che, riprendendo direttamente il mito, sono per definizione immodificabili; per questo motivo l’azione creativa dell’autore è tesa soprattutto a spiegare il modo in cui la storia giungerà ad una conclusione che è già nota al pubblico. A tale scopo i poeti tragici modificano in maniera a volte significativa particolari e dettagli dell’intreccio narrativo consegnato dalla tradizione: conservano ben poco dei tratti originari degli eroi protagonisti e li fanno diventare personaggi originali in grado do esprimere la propria visione del mondo. Per esempio, dal mito di Oreste - che per vendicare l’assassinio del padre Agamennone uccide la madre Clitennestra - derivano le Coefore di Eschilo (vedi…), l’Elettra di Sofocle e l’omonima tragedia di Euripide, tre testi che hanno protagonisti diversi ed interpretano lo stesso mito da punti di vista molto differenti.

LO SCONTRO TRA NECESSITÀ E VOLONTÀ All’origine dei fatti narrati nelle tragedie c’è sempre una macchia (in greco mìasma) che segna l’esistenza del protagonista: è una situazione involontaria, ignota o trasmessa come una maledizione familiare, causata da una successione inarrestabile di eventi o conseguente ad una scelta obbligata tra due trasgressioni egualmente inique. Ciò che il personaggio si troverà a compiere dà al drammaturgo l’occasione di riflettere sulla condizione dell’uomo, stretto tra la coercizione degli dèi - i cui piani imperscrutabili determinano l’agire umano - e la volontà di rivendicare la propria dignità mediante la libertà di scelta.


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Eschilo

La vendetta di Oreste

genere

tragedia tratto da Ioioi oioioioi (libro I, vv. 1-52)

la storia i personaggi il tempo lo spazio il narratore e la focalizzazione le tecniche espressive la lingua e lo stile

L’OPERA

anno

Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, ancora bambino viene portato di nascosto a Cirra, in Focide, dove il re Strofio, marito della sorella di Agamennone lo alleva insieme al figlio Pilade. Divenuto adulto, Apollo gli ordina di uccidere Egisto e Clitennestra per vendicare la morte del padre, ma il suo gesto provoca la persecuzione delle Erinni che lo costringono a rifugiarsi nel tempio del dio a Delfi. Nel processo che viene istruito nei suoi confronti nell'Areopago di Atene interviene come difensore lo stesso Apollo, ma solo grazie al voto di Atena egli viene assolto. Un episodio del mito che lo riguarda si riferisce al matrimonio dell’eroe con Ermione, la figlia di Menelao e Elena, cui Oreste è stato promesso sin da bambino. Quando Menelao decide, invece di offrire Ermione in sposa a Neottolemo, Oreste rapisce la ragazza che successivamente gli darà un figlio, Tisameno. In seguito l’eroe diviene re di Argo e anche di Sparta, dove succede a Menelao. Secondo un’altra leggenda, la sua tomba si trovava a Tegea dove ad Oreste venivano tributati onori divini.

V-IV

LA SCENA Rientrato in incognito ad Argo con l’amico Pilade, Oreste si reca sulla tomba del padre dove depone alcuni riccioli dei suoi capelli in segno di devozione e gratitudine. Poco dopo sopraggiunge sua sorella Elettra insieme ad un gruppo di fanciulle inviate da Clitennestra per offrire sacrifici che plachino l’ira del defunto; rivolgendosi a loro, che fungono da coro, la ragazza esprime il proprio dolore per l’uccisione del padre e l’indegno comportamento della madre; dice la sofferenza per le condizioni in cui è costretta a vivere, chiedendo agli dèi che la aiutino in ogni modo ad ottenere giustizia. ELETTRA (versando da una coppa le libagioni sulla tomba)

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Ascolta, Ermes infero , e proclama questo mio voto: gli dèi di sotterra , che custodiscono lo sguardo di mio padre, e la terra stessa, che tutto genera e alleva e poi ne accoglie ancora il germe, ascoltino le mie preghiere! E io, queste acque lustrali versando in onore dei morti, invocando mio padre dico: «Abbi pietà di me e del diletto Oreste; come torneremo padroni di queste case? Poiché ora distrutti siamo e in qualche modo erranti per volontà della madre: ed essa come marito si è preso in cambio Egisto, che è complice della tua strage . E io son quasi una schiava, e Oreste è esule dai suoi averi, mentre quelli , insolentemente, molto insuperbiscono nel frutto delle tue fatiche. Venga qui Oreste con buona sorte, ti prego; e tu ascoltami, padre: a me concedi ch'io sia molto più casta di mia madre e più pia per la mano . Questi i voti per noi: e per i nemici io chiedo che apparisca, padre, il tuo vendicatore, e secondo giustizia ricambi con uccisione chi ha ucciso. Questo io pongo al centro della mia sinistra imprecazione, mentre contro di essi pronunzio questa sinistra imprecazione: a noi invece invia quassù buon esito, con l'aiuto degli dèi e della terra e di Dike vittoriosa ». Su questi voti queste libagioni io verso (esegue; al coro): a voi, come è costume, coronarle di gemiti intonando il peana in onore del morto.

secolo a.C. luogo Grecia


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