Etica della cura

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A cura di don Virginio Colmegna, Maria Grazia Guida, Alberto Ferrari, Cristina Sampietro

Etica della cura Riflessioni e testimonianze su nuove prospettive di relazione


Premessa Idee libere in cammino di Maria Grazia Guida

L’individualismo occidentale aiuta più l’egocentrismo, l’interesse personale, l’autogiustificazione che la comprensione degli altri [...] Nello stesso tempo le nuove chiusure comunitarie, in tutte le civiltà, provocano incomprensioni tra popolo e popolo, nazione e nazione, religione e religione. EDGARD MORIN, Al di là della globalizzazione e dello sviluppo: società-mondo o impero-mondo?

Nell’ottobre del 2009 un gruppo di amici ha risposto all’invito di don Virginio Colmegna di trovarsi insieme a riflettere, senza rete, partendo dalla propria esperienza di operatori, uomini e donne di cultura, uomini e donne impegnati nell’organizzazione e gestione di importanti parti dei sistemi socio-sanitari, persone impegnate nella politica, quella vera, che va oltre l’interesse personale, che guarda verso le singole persone che affollano questo nostro mondo globale. L’invito aveva in sé regole precise: spegnere i cellulari, fare silenzio organizzativo, condividere tre giornate di vita comunitaria in un casale bello e accogliente della Fondazione Sasso di Maremma, in provincia di Grosseto, Fondazione di cui è presidente don Virginio Colmegna. Le giornate sono corse via veloci, nella pace della campagna ricca dei colori autunnali e del caldo sole ottobrino. Le ore intense di confronto sono state condite da tanta gustosa commensalità in una casa accogliente che ha visto tutti essere reciprocamente ospiti, al di là dei ruoli professionali e istituzionali, con una inedita scoperta della profondità di essere persone impegnate e accomunate da un desiderio condiviso di ricerca, di riscoperta del senso delle azioni professionali nell’etica del prendersi cura. In questo cammino a me è stato affidato il compito di mantenere alcune semplici regole di impegno reciproco per fare fruttare il prezioso tempo a disposizione, a tutti è stato chiesto di mettersi in gioco con i propri contenuti e biografie professionali, usando ogni modo di comunicare, dalla musica, al video, allo scritto, al pensiero libero.


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Tutti sono stati chiamati in gioco e hanno rielaborato i contenuti e il pensiero a partire dalla relazione iniziale di Massimo Toschi, uomo della politica, ma soprattutto uomo che attraversa il mondo con il suo interrogare, alla continua riscoperta della persona, nel valore della sua fragilità e ricchezza. A lui dobbiamo un grazie sincero per avere accettato la sfida di proporre una narrazione dei temi che abbiamo affrontato, partendo da sé e interrogando il nostro sentire di poter essere professionisti di una nuova «umanizzazione della cura». Senza il suo contributo il nostro lavoro e confronto non avrebbe prodotto la ricchezza dei contenuti che abbiamo sentito in ciascuno di noi e presentiamo in questo volume nella semplicità della narrazione di un laboratorio di condivisione di pensiero. La narrazione di tutti ha esplicitato la necessità di collocarsi in un preciso momento storico del quale delineiamo i momenti salienti. Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti, caratterizzata dalla compresenza di processi globali di unificazione, omogeneizzazione e omologazione da un lato e da processi locali di frammentazione, divisione, differenziazione dall’altro. In questo senso abbiamo provato a interrogarci su: cosa intendiamo oggi per cura; come è possibile in questo nostro tempo tenere insieme unità e molteplicità; come comprendere il nostro «io globale», messo in crisi dalla perdita del limite, intendendo la perdita di confini e la fuga nell’onnipotenza; come ripensare a una comunità di cura che coesista con la dinamica del globale, attraverso il contrasto delle patologie dell’individualismo e il recupero di forme di alleanza e solidarietà del noi? Elena Pulcini scrive: «Il concetto di cura, coniuga in sé, nelle sue stesse radici etimologiche, il significato di preoccupazione e di sollecitudine, consentendoci di aprire un altro versante delle nozioni di responsabilità, che pone l’accento sull’impegno attivo, esperienziale del prendersi cura»; e ancora: «cura come prospettiva teorica che sostiene non solo l’universalità del bisogno di cura che ci rende tutti reciprocamente bisognosi dell’attenzione dell’altro, ma la necessità di pensarla anche come pratica: pratica concreta e capillare che agisca quotidianamente nei vari contesti di vita» (Elena Pulcini, La cura del mondo, Bollati Boringhieri, Torino 2009).


Premessa

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Affrontare il tema della cura ha voluto anche dire interrogarsi sulla responsabilità di ciascuno, sulla comunità, sulla cittadinanza della cura, riflettere sullo stato sociale e sulle scelte politiche che su questo tema sono di cruciale importanza, perché riguardano la vita di tutti i cittadini, uomini, donne, bambini, anziani, famiglie, giovani e nuovi cittadini arrivati da terre lontane. Comunità e stato sociale sono anche la matrice della progettazione, della gestione, dell’organizzazione di servizi di cura. Nella concezione moderna lo stato sociale deve produrre solidarietà e integrazione sociale, con strumenti di tutela universalistica. Sempre più si afferma la necessità della costruzione di un welfare societario, che si basi anche su principi collettivi e comunitari e non solo su principi individualistici o caritatevoli. Un welfare che sia in grado di parlare di integrazione sociale, di cittadinanza sociale, di coesione sociale. Un welfare che sia in grado di ridare contenuto e valore a una politica sociale che coinvolga i tanti soggetti sociali che operano sul territorio sulle varie frontiere della solidarietà, che sono una straordinaria risorsa del nostro paese. Le politiche sociali nel nostro paese hanno una grande tradizione di singole professionalità impegnate nella rete dei servizi pubblici, che spesso vivono una situazione di frustrazione e di debolezza. La spesa per il welfare non può essere strumentale alla creazione di un facile consenso: questo porta a legittimare disuguaglianze sociali e a operare scelte di livelli minimali di protezione sociale, con una deriva verso il bisogno di contenimento sociale piuttosto che verso lo sviluppo di promozione sociale. Anche una facile rincorsa al liberismo puro senza controllo della spesa e dei risultati porta i cittadini più fragili a una sorta di «fai da te», che ha creato nuove emergenze sociali (per esempio, nell’età anziana, con la diminuzione delle cure domiciliari e il conseguente aumento di richieste di tipo residenziale). In questo quadro il ruolo degli enti locali, indebolito nella gestione diretta solo emergenziale di interventi orientati a risposte su alcuni bisogni ormai strutturali (invecchiamento della popolazione e modificazioni demografiche, immigrazione, allargamento dell’Europa), ha prodotto una ripercussione negativa sulla percezione che le persone hanno, a livello locale, delle relazioni interpersonali, delle crisi economiche o di occu-


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pazione (per esempio, l’aumento della disoccupazione di donne e uomini con età superiore ai cinquant’anni, con precedenti attività lavorative regolari, porta la conseguenza di caduta in povertà di famiglie anche del ceto medio). Le famiglie che vivono precarietà e fragilità devono ritrovare sul territorio servizi qualificati, integrati, accessibili e attentamente monitorati. La crisi di razionalità istituzionale porta a un aumento della paura e della conflittualità, che determina, anche nello stato sociale, carenze. Se a questo si aggiunge il venir meno dello stato-nazione a vantaggio di un allargamento di confini allo stato-mondo, corriamo il rischio, se questi fenomeni non saranno governati dalla politica, di fare sempre più parte di quella «società sotto assedio» di cui parla Bauman, dove i sentimenti di paura e la sensazione di vivere in città «diventate delle discariche per i problemi causati dalla globalizzazione» determinano nelle persone reazioni emotive di paura e ostilità, anche verso «l’altro da noi». È ancora possibile pensare alla ricostruzione di un capitale sociale che rimandi al senso del dovere e della responsabilità reciproca per migliorare la nostra vita comunitaria? Sennett sottolinea che, quando una società tratta la massa della gente con mancanza di rispetto, non vede le persone come esseri umani pieni e, se accorda solo a pochi il riconoscimento, crea carenze di rispetto, di riconoscimento, di cittadinanza. Significativo è il dibattito in corso nel nostro paese che pone al confronto e al dibattito il tema del sociale e del sanitario in modo nuovo. Si tratta oggi di dare efficacia alle politiche sociali e sanitarie, superando la logica emergenziale di interventi richiesti solo da un allarme sociale. Questa dimensione sociale delle politiche permette di dare un ruolo, non solo alla legittima domanda di cura e di sicurezza che consente di prevenire situazioni di abbandono, ma consente di dare fiducia alle relazioni e ai legami tra le persone. È la solidarietà attiva, che consolida legami zonali, il vero promotore di sicurezza. In questo contesto anche l’attenzione ai giovani, alle politiche di prevenzione della devianza, diventa un’urgenza che richiede di non attardarsi in uno scontro su singole questioni senza toni di contrapposizione ideologica, ma di ridare spazio a interventi di prevenzione al disagio, investendo sulla scuola, il tempo libero, lo sport, i vari momenti di aggregazione. Altro punto di


Premessa

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attenzione va rivolto alla presenza della donna nella società, nella tenuta delle reti familiari e nell’impegno spesso forzato nel lavoro di cura. Declinare una cura al femminile può essere un elemento di novità nei sistemi di servizi? Come costruire un welfare della parità e della promozione di pari dignità nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze di genere, valorizzare il contributo delle donne nel mondo del lavoro, perché le donne sono le prime a soffrire della mancanza di politiche di servizi di supporto alla famiglia? Nelle riflessioni di Sasso di Maremma abbiamo avviato una traccia di pensiero che parte dall’interrogativo di come riprendere a parlare di sofferenza, come mistero che richiede un processo di sempre maggiore umanizzazione della cura, promuovendo anche organizzazioni che privilegino luoghi a misura di uomini e donne e di continua riflessione sui temi dell’etica. Pensiamo a un welfare che favorisca la crescita di una cultura di prossimità, di domiciliarità, di innovazione, di costruzione di comunità solidali fortemente relazionali.


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