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Enrico Deaglio

Patria 1978-2008 Fonti, curiositĂ e spunti di ricerca a cura di Andrea Gentile

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Introduzione

L’idea di questo libro è venuta a casa dell’editore Luca Formenton in una bella giornata di marzo del 2008. I giornali riportavano, molto in breve, le piccole cerimonie che segnavano il trentennale del rapimento e l’uccisione di Aldo Moro a opera delle Brigate rosse. Erano molti anni che quelle cerimonie risultavano totalmente vuote, perché nessuno sapeva che cosa commemorare. Se una vittoria, una sconfitta, o semplicemente uno svanito fatto storico. Moro aveva 61 anni; i suoi rapitori e uccisori tra i 25 e i 30. Una buona parte degli italiani di oggi non era ancora nata o aveva ricordi molto confusi perché andava alle scuole elementari; molti altri erano morti e molti stavano invece ancora lì. In compenso l’Italia – la nostra patria, insomma – era completamente cambiata. Tanto che molte persone anziane che oggi si incontrano, si dicono: «Ma com’è che siamo arrivati a questo punto?». L’idea era di raccontare i trent’anni, ma di metterli al «tempo presente». Ovvero narrare i fatti mentre succedono. Una cronaca a scoppio ritardato, un sopralluogo sulla scena della nostra storia, in cui ognuno – protagonista, testimone, o quel passante che all’epoca era comparso inosservato sulla scena – fosse ricollocato al suo posto, con il suo corpo, le sue parole, i suoi progetti. Era un lavoro muy difícil, ma mi piaceva provare. Non ci sarei mai riuscito senza l’aiuto di Andrea Gentile, che a 23 anni, laureando in Lettere, ha accettato la sfida. Abbiamo cominciato con una cartellina a spirali bianca divisa per i trent’anni. E poi abbiamo cominciato a riempirla: biblioteche, vecchi libretti di appunti, il santo Google, domande, ricostruzione di biografie, il Sud e il Nord e parecchie storie che «non tornavano» o che non erano proprio andate come diceva la versione – o il silenzio – ufficiale. Ne è venuto fuori, dopo un anno, questo Patria 1978-2008, un oggetto che mi piace pensare come un film di carta.

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È diviso in trenta capitoli, uno per anno. Ogni capitolo riporta gli avvenimenti piccoli o grandi come se fossero la notizia di un telegiornale, la scena di un film mai fatto o il risultato di uno scavo archeologico. Alla fine di ogni anno ci sono brevi stralci dei libri e della musica che ci hanno accompagnato. Ogni tanto, ci sono dei brevissimi racconti minimalisti che sono i miei ricordi e che non volevo buttar via. Il materiale usato è molto vario: cronache ufficiali o dimenticate, atti di inchieste giudiziarie, resoconti parlamentari, dialoghi di film, quotazioni di Borsa, trasmissioni tv, risultati elettorali, discorsi pubblici, cassandre inascoltate, autopsie, interpretazioni teologiche, velleità confessate, pentimenti messi a verbale, iscrizioni tombali, andamenti di prezzi e salari, immagini, paesaggi con persone. Il film della nostra patria è un film molto popolare – ci abbiamo partecipato tutti e siamo stati tutti attori – anche se c’è poco kiss kiss e molto bang bang. Ma questo è dovuto al fatto che la nostra storia in questi ultimi trent’anni è stata molto feroce, senza paragoni con quello che è successo nel resto d’Europa. Una repubblica è crollata nel discredito, un’altra è nata con stragi. Un paese è stato colpito come l’11 settembre, nove-dieci anni prima dell’11 settembre. Un «proprietario» è diventato l’uomo politico più popolare proprio in quanto proprietario. Del vecchio mascellone e dei suoi metodi oggi si dice che aveva inventato la formula politica più adatta per un paese di refrattari. Cardinali, uomini con le sottane, dicono che spetta a loro decidere come nascono i bambini, come si fa l’amore e come si muore. La criminalità e la corruzione godono di ottima salute. Spesso abbiamo avuto l’impressione di essere trascinati da una corrente tumultuosa, a cui però moltissimi hanno opposto resistenza; e sicuramente lo faranno ancora. Il libro è lungo, ma – vi assicuro – non è noioso (era difficile renderlo noioso, vista la materia). Si può leggere partendo dall’inizio, o dall’anno in cui siete nati voi, o è nato vostro figlio. Si può andare avanti e indietro. L’appendice soddisfa le curiosità primarie («da dove viene questa notizia?»), ma vi dà buoni e spesso inaspettati strumenti per seguire altri percorsi e altre curiosità. Le note di ogni capitolo sono concepite come un flusso di intrecci e rimandi, da leggere tutte insieme. I commenti sono limitati al minimo. Nell’ultima pagina è indicato l’indirizzo del nostro sito, su cui siete invitati a scrivere tutto quello che manca, tutto quello che è stato sbagliato, tutto quello che vorreste scrivere voi. Non so se sia un libro di storia. È però un libro di intrattenimento, adatto per giovani e anziani, si può parlarne a tavola e tenerlo nello scaffale. E. D., marzo 2009


Alcuni sostengono che l’Italia, intesa come uno Stato con tutto quello che ne consegue, abbia cessato di esistere durante i 55 giorni del sequestro di Aldo Moro. Altri lo negano.

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ROMA, MARZO 1978 VIA CAMILLO MONTALCINI, QUARTIERE MAGLIANA, IN UN CUBICOLO

Aldo Moro, presidente della Democrazia cristiana e principale candidato alla presidenza della Repubblica, è rinchiuso in un cubicolo di un appartamento in via Camillo Montalcini, nel quartiere Magliana della capitale. Ha 61 anni e quattro costole rotte in seguito al suo rapimento, avvenuto il 16 marzo. Le Brigate rosse, il più agguerrito tra i gruppi armati comunisti italiani, con una fulminea azione militare in via Fani hanno attaccato il suo corteo di macchine, ucciso i cinque uomini della sua scorta (che non hanno nemmeno abbozzato una difesa), spostato di peso l’attonito rapito. Aldo Moro è artefice di un grande progetto politico: una formale associazione al potere del Partito comunista italiano, per cui vota un italiano su tre. Il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, è d’accordo. Le Brigate rosse comunicano che il prigioniero è in una «prigione del popolo» e sarà sottoposto a un interrogatorio per scoprire le malefatte della «mafia democristiana», agente dell’imperialismo americano e del Sim, il «sistema imperialistico delle multinazionali». A condurre l’interrogatorio è Mario Moretti, il capo delle Brigate rosse. Marchigiano, trentenne, perito tecnico, impiegato alla Sit Siemens di Milano. Si presenta al prigioniero a volto scoperto: un giovane adulto dai capelli ondulati scuri, occhi neri profondi, baffi neri ben curati, indossa in genere calze di cotone bianche, al polpaccio. Parla senza inflessioni dialettali, in un linguaggio forbito e burocratico. Aldo Moro pensa che sarà ucciso, perché l’uomo che ha davanti non si è mascherato. Chiede di poter scrivere e gli viene concesso.

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Scrittori italiani del 1978

PRIMO LEVI, LA CHIAVE A STELLA

A 59 anni, Primo Levi, chimico delle vernici, direttore della fabbrica Siva di Settimo Torinese, è andato in pensione e può dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. È conosciuto in tutto il mondo per il suo romanzo Se questo è un uomo, in cui ha raccontato la sua esperienza nel campo di sterminio di Auschwitz. Il libro è un’opera capitale del Novecento per la memoria («racconteremo, ma non saremo creduti»), la sobrietà e l’umanità dei suoi personaggi. Al capolavoro sono seguiti La tregua, molte raccolte di racconti e articoli per La Stampa. Questa volta Levi lavora di invenzione e crea una persona, che non è però solo di carta. Si chiama Libertino Faussone, piemontese, operaio figlio di operai, che ha lasciato il posto di lavoro alla Lancia di Chivasso perché non gli piace «lavorare sotto padrone». Faussone, detto Tino, è un trentacinquenne «alto, secco, quasi calvo, abbronzato, sempre ben rasato, dal viso serio, ma poco espressivo, dalle mani lunghe, solide e veloci». Il suo mestiere è quello di costruire gru, tralicci, ponti, piattaforme petrolifere offshore, in ogni parte del mondo. La chiave a stella – questo il titolo del libro – è lo strumento di cui conosce praticamente ogni molecola e grammatica. Scrive Levi: Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono.

E poi fa dire a Tino Faussone: Io ho sempre pensato che i ponti è il più bel lavoro che sia: perché si è sicuri che non ne viene del male a nessuno, anzi del bene, perché sui ponti passano le strade

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e senza le strade saremmo ancora come i selvaggi; insomma perché i ponti sono come l’incontrario delle frontiere e le frontiere è dove nascono le guerre.

Quando gli chiederanno perché ha scritto quel libro proprio mentre il lavoro è contestato, rifiutato perché stupido, ripetitivo, malpagato, Primo Levi risponderà che, certo, conosce gli argomenti, ma Tino Faussone gli piace. Il suo amico Philip Roth dirà di Faussone: «Questo è un uomo». [24]

MARIO LUZI,

«MUORE IGNOMINIOSAMENTE LA REPUBBLICA»

Mario Luzi, poeta fiorentino e padre della corrente ermetica, a 64 anni pubblica per Garzanti una raccolta di poesie intitolata Al fuoco della controversia. Tra di esse, una intitolata «Muore ignominiosamente la repubblica»: Muore ignominiosamente la repubblica. Ignominiosamente la spiano i suoi molti bastardi nei suoi ultimi tormenti. Arrotano ignominiosamente il becco i corvi nella stanza accanto. Ignominiosamente si azzuffano i suoi orfani, si sbranano ignominiosamente tra di loro i suoi sciacalli. Tutto accade ignominiosamente, tutto meno la morte medesima – cerco di farmi intendere dinanzi a non so che tribunale di che sognata equità. E l’udienza è tolta.

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Musica italiana del 1978

RINO GAETANO,

«NUNTEREGGAE PIÙ»

Il calabrese Rino Gaetano, 28 anni, ha già avuto un discreto successo con il suo secondo album Mio fratello è figlio unico. Quest’anno viene invitato a Sanremo, e dopo un’iniziale indecisione, accetta. Porta «Gianna» e si piazza al terzo posto, dopo i Matia Bazar, che vincono con «…E dirsi ciao» e Anna Oxa. In «Nuntereggae più», prima traccia dell’omonimo album, Gaetano elenca ciò che non regge più: Abbasso e alè / abbasso e alè / abbasso e alè con le canzoni / senza fatti e soluzioni / la castità / la verginità / la sposa in bianco il maschio forte / i ministri puliti i buffoni di corte / ladri di polli / super pensioni / ladri di stato e stupratori / il grasso ventre dei commendatori / diete politicizzate / evasori legalizzati / auto blu / sangue blu / cieli blu / amore blu / rock and blues / Eya alalà / pci psi / dc dc / pci psi pli pri / dc dc dc dc / Cazzaniga / avvocato Agnelli Umberto / Agnelli / Susanna Agnelli Monti Pirelli / dribla Causio che passa a Tardelli / Musilello / Antonioni Zaccarelli / Gianni Brera / Bearzot / Monzon Panatta Rivera D’Ambrosio Lauda Thoeni / Maurizio Costanzo Mike Bongiorno Villaggio Raffa Guccini / onorevole eccellenza / cavaliere senatore / nobildonna eminenza monsignore / vossia cherie mon amour / Uè paisà / il bricolage / il quindicidiciotto / il prosciutto cotto / il quarantotto / il sessantotto / le pitrentotto / sulla spiaggia di Capocotta / Cartier Cardin Gucci / portobello e illusioni / lotteria a trecento milioni / mentre il popolo si gratta / a dama c’è chi fa la patta / a settemmezzo c’ho la matta / mentre vedo tanta gente / che non c’ha l’acqua corrente / e non c’ha niente / ma chi me sente / e allora amore mio ti amo / che bella sei / vali per sei / ci giurerei / ma è meglio lei / che bella lei / vale per sei / ci giurerei / sei meglio tu / nuntereggae più.

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Un ricordo di quei tempi

UN BUCO NELL’ORECCHIO

Successe esattamente un anno prima, l’11 marzo del 1977. A Bologna i carabinieri avevano ucciso a freddo uno studente, Francesco Lorusso, laureando in medicina. I suoi compagni erano scesi in piazza, molti di loro erano armati di pistole. Il sindaco della città, il comunista Renato Zangheri chiese l’intervento dei carri armati che arrivarono, sotto forma di carri blindati, mandati dal ministro degli Interni Francesco Cossiga, e che sfilarono tra i portici della città dotta e tollerante. Poi ci fu una manifestazione nazionale del «movimento» a Roma. Centomila, forse di più. I primi cordoni del corteo che sfilò per via Nazionale erano gonfi di bottiglie molotov, bombe e pistole. La città non fu mai così silenziosa come quando passò quel corteo. Alcuni attaccarono la sede della Democrazia cristiana, in piazza del Gesù. La polizia non rispose. Il corteo arrivò lungo le sponde del Tevere, dove c’era un’armeria. Venne presa d’assalto e venne rubata tutta la sua dotazione: fucili da caccia, fucili a pompa, pistole, munizioni. Ricercatori universitari, irreprensibili fino al giorno prima, organizzarono e smistarono le operazioni di esproprio, tenendo per le loro organizzazioni i pezzi migliori. Numerosi ragazzi si trovarono tra le mani armi che non avevano mai visto. Appoggiati ai parapetti, presero a sparare dall’altro lato del fiume, verso il carcere di Regina Coeli, invitando i detenuti a ribellarsi. Rabbia, euforia, follia, tumulto continuarono mentre veniva sera, tutto intorno allo storico Ponte Sisto. Spari, incendi ed esplosioni si susseguirono fino a piazza del Popolo. Polizia e carabinieri tentarono timide sortite, ma erano spaventati e non avevano ricevuto ordini. Ma ebbero la loro rivalsa nella notte, sui tram e sugli autobus e alla stazione Termini, dove bastò una faccia, un taglio di capelli per essere arrestati. Verso le 22 arrivò questo ragazzo. Il movimento aveva allestito, come sempre in caso di manifestazioni, un piccolo pronto soccorso in una casa privata per evita-

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re ai feriti di essere schedati in ospedale. Aveva 16 anni. Biondo con i riccioli, gli occhi chiari, non alto, romano, di buona famiglia. La sua bellezza era straordinaria, ma la sua età avrebbe dovuto precedere i tempi della passione erotica. In realtà non li precedeva: lo dimostrava il fervore tranquillo della giovane donna che lo aveva accompagnato. Disse che non era successo niente, ma che lo avevano portato lì. Aveva un piccolo buco nel padiglione auricolare sinistro. Non sanguinava. Non gli faceva particolarmente male, ma aveva sentito una vampata di calore. In sostanza, si era preso una pallottola nell’orecchio quasi senza accorgersene, probabilmente mentre correva. Un movimento del collo, uno spostamento della testa di pochi centimetri lo avrebbero reso cadavere sull’asfalto. E sarebbe stato il più bel cadavere che un movimento rivoluzionario potesse vantare. Il medico gli disse: «Ragazzo, hai avuto molto culo». Ed era turbato. E geloso. Il ricciolino biondo se ne andò con la giovane donna che lo aveva accompagnato, senza medicazioni né altro. Oggi dovrebbe avere più o meno una cinquantina d’anni e una cicatrice quasi invisibile sull’orecchio sinistro. A meno che non sia morto di qualche accidente o di qualche malattia, come capita a un sacco di persone. P.S.: Nel 2008 è stato pubblicato un romanzo italiano (Marco Santagata, Voglio una vita come la mia, Guanda) che ha un incipit curioso. Parte dal 9 aprile 1454, quando a Lodi gli ambasciatori del duca di Milano e della Repubblica di Venezia sottoscrissero un trattato di pace. Quei trattati garantirono in Italia quarant’anni di pace ininterrotta. «Calcolando che in quel secolo l’età media della vita non arrivava a quarant’anni, i nati tra il 1446 e il 1450 ebbero il privilegio di trascorrere la loro intera esistenza in un periodo di pace, di sviluppo economico e di fervore intellettuale. Un dono di cui nessun’altra generazione vissuta prima di loro aveva goduto – se non quelle, lontanissime, vissute a Roma nell’età di Augusto; e di cui per secoli, non avrebbe goduto nessun’altra.» L’autore sostiene che una simile situazione si è creata in Italia solo cinquecento anni dopo, con i baby boomers, i nati tra il 1945 e il 1950, con margini tra il 1943 e il 1955. L’unica generazione italiana che non ha fatto guerre, ma ne ha solo sentito parlare.

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