Persona informata sui fatti anteprima

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Arrigo Arrigoni

Persona informata sui fatti romanzo


L’Autore ringrazia Andrea Morstabilini per la preziosa collaborazione. Situazioni e personaggi evocati nel romanzo sono frutto della fantasia dell’Autore ed eventualmente del Caso. Sito & eStore – www.ilsaggiatore.com Twitter – twitter.com/ilSaggiatoreEd Facebook – www.facebook.com/ilSaggiatore © il Saggiatore S.r.l., Milano 2014


Persona informata sui fatti a R. e G. per il cammino insieme



Voci stentoree declamano, altre bisbigliano appena. Attirato dalla fioritura di primavera, sciama il ronzio di alveari invisibili. Voci che affannosamente cercano di giustificarsi, ma continuamente vengono interrotte.



PRIMA PARTE



Sopravvivere quando gli dei sono ostili Lacerati dentro. Il buio negli occhi, arti amputati, allucinazioni rabbiose, nessuna struttura specialistica per ricostruire corpi e riordinare menti sconvolte. In realtà l’edificio era stato concepito e costruito negli ultimi anni trenta come colonia marina per figli e nipoti dell’amministrazione del dittatore Metaxas, uomo forte della monarchia ellenica. Quanto alla vita di mare, qualche sedia sdraio, tavolini di ferro divorati dalla ruggine dovevano bastare per un migliaio di ospiti ridottosi a poche decine di convalescenti. A distanza di qualche decina di metri si succedevano dei capanni allineati e decorati con bandierette triangolari rosse che magicamente garrivano nell’aria immobile. Tanto incapace, Poseidon, di ammirare la muscolatura maestosa e possente della Razza Taurina Cretese, quanto gliene sfuggiva la forza equilibrata, fatta di furia e di mitezza. Creta, isola di vento. Radamante, fratello minore di Minosse è il Signore delle Terre dei Beati dove, come racconta Omero, il mare invia la brezza per dare conforto. Infine anche l’ultimo carro giunse a Cnosso per assistere e partecipare ai giochi: la corsa, la lotta, la cavalcata, i carri da guerra, il tiro con l’arco, il   11


giavellotto mortale, irruenti. Riuniti per festeggiare la conclusione del Nuovo Palazzo di Cnosso. Si alludeva a mezza voce anche a un Palazzo Segreto consacrato a un culto ctonio. Con i sacri volteggi, con la dolce provocazione erotica, il toro ostenta mansuetudine, lasciando montare il desiderio di ibrida sessualità e di furia compiacente, fremente di lucido, sottile erotismo, che scuote la danzatrice afferrata alle corna, passando da un fianco all’altro del toro, a cavalcioni del collo taurino, elasticamente in equilibrio, finché si distende in una verticale alata. Di solito è il toro che si innamora della Fanciulla: lo sguardo umido è implorante: il toro si inginocchia sulle zampe anteriori e dondola la grossa testa riccioluta, finalmente domo. Radamante è re di Festo, nella parte occidentale dell’isola. La processione regale giunge guidata da lui stesso, assistito unicamente dall’auriga arciere Thamos, fidato compagno di cacce e battaglie.

Trobar clus I Feudatari maggiori erano giunti da Mallia, Haghia Triada, Canea e da feudi ancora più lontani. I Feudatari invidiano i protagonisti della ricostruzione dei Sacri Palazzi. Popolo testardo, cocciuto, gioioso. Presto le voci cavernose delle buccine chiamano i dignitari a prendere posto nella cavea. All’esterno il popolo prima si accalca poi si incolonna ordinatamente per visitare il Palazzo Reale ricostruito su terremoti sottomarini, onde vertiginose, eruzioni e fiumi di lava, vapore bollente, nuvole di cenere che oscurarono il cielo. Ai Dignitari della ricostruzione si unisce il popolo, plaudente e severo. Disciplinato e dignitoso, rispetta l’integrità intellettuale di Minosse, pur sottoposto ai tormenti lancinanti della vendetta e di vicende amorose dolorose. Impietrito, quasi dovesse ancora una volta inviare la flotta cretese a portare la guerra in Attica. È possibile. Ma improbabile: il futuro di Creta riemerge all’improvviso per vivere ancora trenta secoli dalla ricostruzione del Palazzo di Cnosso. 12


Gli atleti si scambiano la maestria dei movimenti, il cielo, nitido di colori, accende il ronzio sconosciuto del roteante rombo, come fosse la planata di stormi di uccelli così grandi e numerosi che oscurano il cielo, precipitano massi neri sui villaggi frantumandoli e ritornano ai nidi di filo spinato; legata alle penne remiganti, la struttura lignea impastata di cera con le grandi ali batte e taglia l’aria in un cielo immutabile. Il popolo è curioso, ma presto spaventato, terrorizzato. Alzano lo sguardo come se cercassero i riferimenti lasciati da Dedalo a Poseidon, da Dedalo a Minosse, da Icaro a Dedalo: ora sono stormi di uccelli leggeri come aquiloni, come alianti, come cicogne, pesanti come macigni, stelle nere, costellazioni sembrano ingrandirsi lente. Trenta secoli scandiscono movimenti del labirinto. Uomini volanti scendono dal cielo aggrappati a bianchi tessuti, lanciano tizzoni ardenti, fiori di fuoco. Vele di rapide fiamme sono disegnate sulle nuvole, cirri violenti. Archeologi bellicosi vengono domati dall’implacabile, impietoso giudice, Minosse, che dissotterra e riconosce a uno a uno i corpi straziati nella Morte dopo le battaglie sotto le mura di Atene e di Tebe. Minosse dà sfogo al suo dolore, travolto dalla pietà, e trattenendo appena il pianto impietosito scava lungo le mura ed erige pire di legno resinoso per accompagnare gli Eroi all’Ade mentre archeologi rissosi esercitano l’arte dell’ostracismo reciproco e incrociato. La civiltà Minoico-Micenea conobbe una vera e propria resurrezione negli anni venti e trenta del secolo passato, quando gli scavi portarono alla luce frammenti avari di civiltà. Con sforzi e malgrado risultati oggettivamente validi, anche in una prospettiva oscura e silenziosa. Sono solo nomi fra nomi che si frappongono alle calamità della Natura e ai disastri voluti fortemente dall’Uomo Carnefice. Non è ancora abbastanza consolidata la relazione fra carnefice e vittima, una relazione fatta di tradimenti, delazioni, cupi delitti fra le mura regali e domestiche pareti di fango, miti smascherati, incesti, il bottino scarso e informe, le stanze del tesoro, esauste. Nulla insegna, né insegnerà. Troppo poco e troppo confuso per farne un’apoteosi archeologica. Herakleion è desta nella notte fonda per conquistare le posizioni migliori, per ritrovare e rinnovare antiche amicizie, partecipare ai sacrifici lustrali, esaltarsi nelle competizioni e nei giochi taurini, esorcizzare il maleficio degli Dei ostili.   13


La ricerca dell’Essere Entrai solidamente nella comunità Parsi. Fu un vero colpo di fortuna che l’inizio dell’anno scolastico per le tre classi superiori coincidesse con l’inaugurazione della linea aerea Royal Air India, due volte al mese da Bombay a Shanghai via Delhi, Benares, Canton ed eventuali altri scali per rifornimenti di carburante in sicurezza. La mia frequenza a bordo si trasformò in amicizia fraterna con piloti e meccanici. Dopo neanche sei mesi ottenni il brevetto di co-pilota. La Prima guerra mondiale fu un approssimativo laboratorio di nuove armi, strategie e stragi sempre più sofisticate e letali. La guerra di posizione costò non meno di venti milioni di soldati e altrettanti civili. La fanteria marciva nelle trincee aspettando l’ordine cinico e irresponsabile dello Stato maggiore per conquistare temporaneamente una quota distante una manciata di metri. La copertura dell’artiglieria in questo contesto comportava ogive che all’impatto rilasciavano gas asfissiante, l’incubo della morte invisibile. Anche la guerra sui mari conobbe un’arma segreta. Il sottomarino motosilurante si appostava furtivamente, come un tagliagola, un bandito da strada che colpiva alle spalle. Colpiva a tradimento lungo la rotta dei convogli, isolando i cargo più lenti, affondandoli o mettendoli in avaria, facile bersaglio dei siluri che solo il sottomarino stesso poteva lanciare in tutta sicurezza da distanza ravvicinata. Il periscopio consentiva quasi sempre con successo di navigare a vista appena sopra il pelo dell’acqua, di confermare l’affondamento e testimoniare dei marinai che, ormai naufraghi, si gettavano in mare dalle murate della nave in agonia. La nave imbarcava acqua attraverso le falle prodotte dai siluri e dal cannoneggiamento e lentamente si inclinava su di un fianco; poi all’improvviso assumeva la posizione di chi vuole la morte, inabissandosi più sovente di poppa. Presto però i convogli vennero scortati dai mezzi delle squadre navali. Incrociatori, corazzate, torpediniere dotate di bombe di profondità costringevano il sottomarino al silenzio per fuggire dalla trappola mortale. Il merito dell’invenzione del sonar va ascritto allo scienziato inglese Paul Langevin, precursore degli studi sul magnetismo terrestre, più in particolare sulla trasmissione di segnali acustici nei liquidi e sulla pressio14


ne, in funzione della profondità, cui venivano sottoposti i compartimenti stagni sotto il punto di galleggiamento delle navi da guerra, e naturalmente dei sottomarini, con la necessità, l’urgenza di svuotare e riempire le camere di compensazione per l’emersione, l’immersione e il lancio dei siluri, procedimento che andava compiuto il più rapidamente possibile per la trasmissione delle onde rinviate a un potente generatore. Il «radar» divenne supporto fondamentale per la localizzazione degli obiettivi navali, aerei e subacquei. «… ohimè!!!… ohimè!!!… potessi ritrovare una parte almeno delle due, trecento schede che avevo redatto per i corsi di formazione dei sottufficiali all’Accademia di Whampoa, per i Quadri del Kuomintang e da ultimo per far conoscere all’opinione pubblica il supporto ideologico e militare fornito dal CCP alla Northern Expedition, ricambiato da una totale patologica slealtà del “Generalissimo” nel tentativo di distruggere fisicamente la presenza comunista a Shanghai, mentre il CCP sosteneva uno sforzo proporzionalmente maggiore sul primo Fronte Unito.» Molte di quelle schede erano il frutto di riflessioni, appena accennate, trascritte in fretta e furia su brandelli cartacei cui facevo seguire l’elaborazione su cartoncini robusti che sottraevo all’economato del Liceo Francese nelle rare ore di lezione concentrate sullo studio della lingua, sulla storia di Francia e su Napoleone. Ovviamente. Le mie brevi lezioni sulla Grande guerra erano monocordi, focalizzate sulla guerra di posizione, priva di quella fantasia coraggiosa che invece fioriva nelle rivoluzioni e nelle insurrezioni. Mettevo duramente alla prova i Cercatori di libertà, i capi di queste armate male addestrate e peggio equipaggiate, bande eterogenee dove dispiegavo tutta la mia immaginazione sulla personalità dei Leader per carpirne il segreto. Immaginavo le grandi battaglie aeree come la battaglia d’Inghilterra e mi appassionavo alla teoria della guerriglia che iniziava a mettere a segno risultati incoraggianti con la sollevazione e la liberazione delle colonie. Fu chiaro a qualsiasi Stato maggiore, anche ai più ottusi, il ruolo dell’aviazione: l’aereo portava il suo carico di bombe fin nelle pareti domestiche diventando l’arma imprescindibile. A pagare il prezzo più alto erano le popolazioni civili che fuggivano all’udire la sirena della contraerea, che annunciava il sopraggiungere di stor  15


mi di caccia bombardieri, i Gotha tedeschi, i Mitsubishi Katana da picchiata, carichi di bombe in grado di radere al suolo interi quartieri urbani e di annientare centri nevralgici per i movimenti delle truppe. I superstiti, soprattutto anziani e donne, erano impegnati a non perdere sotto i crolli e le macerie i marmocchi più irrequieti. Come sentivano l’attacco lancinante della sirena della contraerea scendevano a precipizio nei rifugi più profondi e protetti. Qualsiasi bomba lanciata dall’aereo nemico in picchiata veniva chiamata affettuosamente Betty: «To whom it may concern». Attenti a riconoscere la voce inconfondibile della bomba e a individuare a che distanza e in che direzione avveniva l’impatto, i piccoli correvano da un rifugio all’altro, giocavano a nascondersi dietro stuoie e materassi, rassegnati a scendere in rifugi sempre più sotterranei, senza aria e con luce tremolante. Le bombe precipitavano a grappoli, le pareti tremavano, il soffitto rilasciava calcinacci, sorta di preallarme; nel pavimento si aprivano crepe profonde che indebolivano l’edificio sovrastante fino all’implosione. Gli abitanti dei fragili quartieri di baracche non potevano opporre alcuna difesa, investiti dallo spostamento d’aria cercavano di evitare di venire colpiti da bombe incongrue, ma per questo non meno letali. Si gettavano a terra coprendosi la nuca con le mani. Come pilota cercai di stare lontano dalla ricognizione e dall’acrobazia che portavano direttamente, senza perifrasi, al duello aereo. La mia passione per il volo mi faceva immaginare scenari di battaglie che si incrociavano. Alla fine optai per il Lancaster 20 nella versione postale e passeggeri, con cinque membri d’equipaggio. Per valutare i modi e l’efficacia della catena di comando e di comunicazione va tenuto presente che sino al livello di sottufficiale erano ben tredici le lingue locali recepite nei Trattati delle Autonomie, che potevano venire teoricamente impiegate senza scomodare il cinese «mandarino». Le comunicazioni gestite nell’esercito nazionalista erano farraginose e inaffidabili, una mole sterminata di informazioni, largamente inattendibili e inutili. Il livello di informazione era disperso in mille rivoli e si inaridiva rapidamente. 16


L’esercito di Chiang, il KMT, era una massa informe di ordini e contrordini, dispacci, mappe, messaggi in codice, corrispondenza privata, giornali, pacchetti non più grandi di un libro in sedicesimo, contenenti sovente scatolette piene a filo di prezioso oblio. Il dolore generato dalla guerra moltiplicava il consumo di sogni.

Le attese di Madame Kao Il Servizio Postale Aereo non poteva rientrare in alcun modo nelle attese di Madame Kao in materia di Diritto. Mio Padre invece, a dispetto dell’evidenza di risultati appena sufficienti, affermava a spada tratta che, malgrado il mio scarso profitto negli studi di Legge, fuori da ogni equivoco, in fondo i gesuiti, con la loro influenza intellettuale mondiale, rispondevano al Diritto Canonico che rimandava precisamente alla Teoria e ai concetti base del Diritto Romano. Sui cui codici e procedure si fondava la forza dell’Occidente. I miei studi della Legge non potevano trasformarsi in Passione di Giustizia: troppe incertezze, dubbi, errori, mentre la vorremmo umana e compassionevole e soprattutto giusta. Mio Padre non esasperò il contrasto fra Oriente e Occidente che era in me, né mancò mai di rispetto alle tradizioni arcaiche e all’Arcano d’Oriente. Dell’Occidente in pubblico preferiva tacere. Devo aggiungere che mai come questa volta, per la mia iscrizione negli Istituti dei gesuiti di Goa e di Bombay mio Padre fu efficace nel sostenere un punto di vista condivisibile anche da Madame Kao. La mia vocazione avrebbe dovuto rispondere al richiamo dello studio della Legge. Altro che pilota d’aereo! D’accordo con mio Padre, i Nonni decisero di sospendere il giudizio per un anno almeno, mentre io mantenevo e sviluppavo le mie relazioni, che avevano la caratteristica ricorrente di essere pericolose e avventurose. Shanghai e Bombay erano le città più grandi e popolose dell’Asia e ciò mi era sufficiente per vivere nel pericolo e nell’avventura. Mio Padre, detto per inciso, approfittò della situazione per avviare una joint venture con i Sirla per l’import in Cina di minerali ferrosi. I Nonni, Madame Kao e in subordine il generale Cheng Mo-thi, che poteva anche   17


fregiarsi del titolo di Giudice primo presidente del Tribunale di Ultima Istanza, se soltanto avessero provato un minimo di interesse per le mie avventure intellettuali, avrebbero ottenuto il mio affetto incondizionato. I Nonni si erano arroccati in una neutralità belligerante.

Orfano di Madre La morte di una Madre è una catastrofe che appartiene alla Natura. Una Madre che muore lancia nel buio un grido silenzioso e senza risposta.

Così parlò Zoroastro. Lasciatemi divagare La comunità degli Zoroastriani, chiamati anche Parsi, Persiani, regnanti nell’ottavo e nono secolo due fra i più grandi Califfi dell’Islam, al-Mamun e al-Mutawakkil, guidata dal Consiglio degli Anziani e dall’alto clero, i Magi, prese la decisione sofferta e rischiosa di lasciare la Terra degli antenati ormai completamente islamizzata. Minoranza perseguitata e vessata, cui Baghdad chiedeva niente meno che di abiurare la religione del Creatore, Ahura Mazda, giunse per mare nel Gujarat, in piccoli gruppi familiari intorno al crepuscolo del primo millennio. Le minoranze minacciate, umiliate e perseguitate tentavano di opporre meccanismi di autodifesa intellettuale che li rendeva ben accetti ai Potenti, che a loro volta li proteggevano dalla folla isterica e violenta, sobillata contro di loro, manipolabile in qualunque frangente. Il clan dei Sirla, baricentro della comunità Parsi, anteponeva lo studio a tutto, unica certezza di sopravvivenza: era stato lo studio che nei secoli più bui aveva permesso loro di evitare attività immorali come l’usura, il brigantaggio, lo spionaggio, la delazione, la promiscuità, lo sfruttamento della prostituzione e della schiavitù, il commercio e il consumo dell’oppio. Come ricompensa già in questo mondo si diceva avessero accumulato tesori di sapienza e una ricchezza leggendaria occultata in luoghi impervi nel deserto del Sind, il labirintico Deserto Petreo che praticamente rendeva questi tesori ormai introvabili e inutili. 18


I Sirla erano particolarmente orgogliosi di poter affermare che dal primo insediamento della Compagnia di Gesù a oggi avevano studiato sempre e soltanto con i gesuiti. I giovani Sirla studiavano in stretta clausura o erano dispersi per il mondo in ogni sorta di commerci e di manifatture, soprattutto tessile, meccanica, edile e idraulica. Prioritariamente stringevano relazioni con le minoranze religiose più antiche o più recenti applicando nuove ruvide regole, opinabili, nella convinzione che saremmo ritornati al tempo della creazione in una parusìa della durata di migliaia di secoli. Zoroastro fu probabilmente il primo mistico a profetare e a rivelare i contenuti segreti dell’Avesta, l’insieme di letteratura esegetica in lingua pahlavi, e a diffondere riluttanti cosmogonie. Memori di quanto avevano dovuto subire, i Parsi hanno sempre avuto un particolare riguardo verso le comunità eterodosse radicate nel Medioriente, dalla Mesopotamia al Magreb Atlantico. La religione di Ahura Mazda, il Creatore Buono, fondata dal profeta Zoroastro è una forma di dualismo moderato, tollerante. Popoli semisepolti nella sabbia dei deserti, villaggi nascosti, i Sabei astrolatri, gli Ebrei babilonesi rigidamente monoteisti, gli Yazidi adoratori di Iblis l’Angelo Pavone, i Samaritani, i Drusi dell’Antilibano, i Maroniti, i Nestoriani, gli Armeni, gli Ismailiti di Alamut, i Bahai, gli Alawiti, i Manichei portatori di Vera Luce, i Mandei, gli Esseni, i Pauliciani, i Copti, gli Hassidim, i Dönmeh, tutti si accostarono al calore del Fuoco. La Storia delle Religioni, quando affronta il capitolo delle religioni naturali, funzionali al quotidiano, con le loro asperità poco o nulla intellettualizzate e ritualizzate, viene risucchiata da un gorgo sciamanico. La comunità Parsi, fra tutte quelle qui sopra menzionate, con forse la sola eccezione della comunità giudeo-babilonese, per due millenni ne difese la segretezza.

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John Bilby Esq Fin da bambino ero disordinato, smodato oltre misura, e per tutta la vita rimasi disponibile a ogni avventura, dalle più rischiose alle più stravaganti, e mi mobilitavo anche per pochi giorni se serviva a scoprire la parte sconosciuta che era in me. Talvolta il disordine generava nella mia testa un’attività confusa e parossistica, giorni comunque da vivere. Io, in un solo pomeriggio, mi ritrovai con un nuovo amico che si rivelerà un tipo dall’intelligenza fervida e inesauribile, luccicante, ma, purtroppo, saltuario e incostante. John Bilby mi era sembrato da subito fin troppo disinvolto. Mi si presentò senza alcun imbarazzo. Smagato. Chiamò poi alcuni compagni di classe e mi presentò loro, inventandosi sul momento le origini della mia famiglia quasi fossi una vecchia amicizia, appartenente a una delle più facoltose famiglie di Shanghai, allo scopo evidente di riconfermare ai compagni la sua autorevolezza sociale. Eppure mi conosceva da qualche ora soltanto e già si trovava a proprio agio con me e viceversa altrettanto io con Bilby. Provavo per lui un’improvvisa simpatia asimmetrica. Molto diversi. Nel modo di fare e nel modo di vestire, nelle letture. Solidarietà, Alleanza. Aiuto reciproco. Forse era solo un bugiardo, un contraffattore di sentimenti, un gabbamondo, un imbroglione nel pieno della curva di apprendimento. Altrettanto ero io. Probabilmente eravamo due teatranti, due burattini alle prime armi addestrati da un burattinaio distratto, pigro e sfaccendato. Ascoltavo le lezioni, nessuna esclusa, con un misto di ammirazione e interesse, non volevo venire distratto da alcuno e per difendermi da Bilby e dai suoi scherzi mi ripromettevo prudenza e guardia alta. Bilby si era trasferito in fondo all’aula, arretrando di due file e mettendo il suo ex banco a mia disposizione: perché poi?… Per far che? Avrei capito presto: un denso raggio di calore si era spalmato sulla 20


mia spalla sinistra, come se qualcuno volesse impropriamente farci le fusa sopra. «È solo una mangusta in calore» Bilby uscì allo scoperto. «Come avrà fatto a entrare?» si chiese il compassato Ahmet. L’autista di Ahmet Sirla, che seguiva a debita distanza con i libri, si sentì in dovere di abbozzare una risposta, poi entrambi tacquero: Ahmet tentò di darsi una risposta razionale, ma preferì desistere. Nel tardo pomeriggio ci ritrovammo nel gazebo del cricket a ciondolare e a disquisire sulla mangusta. Nell’umidità di Bombay, comunque, tutto serve a tenerti sveglio.

Dove c’è la mangusta c’è sempre un serpente La lezione era stata sospesa, gruppi di studenti irrobustiti da un paio di insegnanti di educazione fisica; Bilby, o chi per lui, voleva strafare. Inseguire la mangusta o cercare un serpentello disorientato. «Dove c’è la mangusta c’è anche il serpente, il cobra» gridava sempre più concitato Bilby, che tentava di terrorizzare e al tempo stesso di calmare la mangusta allontanandola a colpi di scopa. «La mangusta è inoffensiva!» Alzai lo sguardo senza muovere un muscolo, la mangusta era come avvitata sulla mia spalla e tremava tutta, attratta dal sottile filo rosso delle cicatrici ancora fresche sul collo e l’orecchio sinistro causate dallo scisto. Alla rinfusa, ormai inutili alla Provvidenza. Infine, fra le gambe delle sedie e dei banchi accatastati fitti come una foresta di tronchi spogli, scorsi un serpentello di pochi centimetri inseguito svogliatamente dalla mangusta. Il serpentello terrorizzato cercava la sua famiglia. La mangusta il suo istinto.

I padri gesuiti Prima di scomparire come ogni weekend… con Pukki?… Langsam?… o con Henriquez?… per una destinazione a me ancora sconosciuta, Bilby   21


mi lanciò un breve sguardo interrogativo che suggellava una microritualità propiziatoria. In parole povere due, tre tic di blanda sindrome di Tourette appena percepibili saldavano simpaticamente la catena dell’amicizia. Finalmente con il mio ultimo ammiccamento si chiuse la nostra intesa con lo scoppio di una risata collettiva, liberatoria, tonante. Probabilmente è così che nascono le grandi amicizie e così accadde anche per noi. La risata è il miglior detonatore per l’amicizia e per l’amore a prima vista. I gesuiti in primo luogo mi insegnarono la disciplina nello studio, un risultato tutt’altro che trascurabile se ritorno con la memoria al caos della mia vita che per qualche anno seguì la morte di mia Madre. Scoprii molto presto l’importanza dello studio di gruppo, pianificato e contestualizzato, un cambiamento radicale rispetto all’improvvisazione collettiva dei precettori cinesi, disponibili a chiamata, che vagavano per i palazzi Mo-Thi distribuendo a qualsiasi ora del giorno e della notte schegge di sapienza tradizionale. Fra i ricordi più generosi e vigorosi del corpo docente mi rimane soltanto il piano del corso di Storia, redatto di suo pugno da padre Angelino M’bani, nato e cresciuto a Rodi, all’inizio di tutto. La mente bicamerale: gli sciamani, i faraoni delle prime dinastie, le civiltà Mari, Accad, l’India al tempo delle invasioni ariane. Il nono grado di elevazione prima del livello di Buddha, Bodhisattva è colui che rinuncia al Nirvana per guidare fuori dalle tenebre le anime: Buddha stesso, Mahavira, il fondatore della religione Jaina Digambara, Cristo, Mani, Hallaj, Sohravardi, il Bab sono dei Bodhisattva.

La mente bicamerale Non ho capito molto, ma si parla di emisfero destro, della creatività, oppure di sistemi sociali antichi, prestorici, quando l’individuo era come mosso dalle Voci e i re erano veramente il tramite esclusivo con il soprannaturale. 22


In epoca storica solo pochi privilegiati (o dannati), gli artisti e gli schizofrenici, talvolta e più sovente artisti schizofrenici, sentiranno Voci. Le migrazioni, i contatti fra culture estranee, la curiosità, la meraviglia: i primi mercanti utilizzavano una forma di nomadismo senza animali, senza la ricerca di pascoli migliori, ma solo per scoprire nuovi mercati, mentre dalle tende nel deserto o dalle isbe nella tundra, alla periferia dei deserti, dalle caverne occhieggivano i trogloditi, curiosi del mondo. Le piramidi a gradoni sono costruzioni sommerse dalla giungla: messaggeri portano verso altopiani desertici notizie inquietanti: distruggeranno l’equilibrio del cielo e dei pianeti.

L’illusione della fede La candela va spegnendosi: il vento filtra attraverso le pareti scorrevoli che si aprono sul giardino immerso nel buio. La fiamma ondeggia. La notte è ormai stanca e la fiamma esausta; padre Valignano si è assopito da qualche minuto, appoggiato al pilastro di quercia che regge l’architrave. Sul tavolo basso davanti a lui una lettera interrotta attende a mezza frase notizie da portare. Altre lettere concluse con gli auguri di buona salute e felicità in Dio formavano un piccolo mucchio ordinato e aspettavano soltanto il sigillo del Visitatore. Al mattino presto padre Organtino avrebbe raccolto la posta di tutti per consegnarla al padre Viaggiatore giù al porto, prima che il galeone per Macao riprendesse un altro inutile giro del mandala, portando in Europa notizie da un dimenticato avamposto della Fede. Al Generale innanzitutto, al padre generale Acquaviva, che più di tre anni prima gli aveva scritto dell’ascesa al cardinalato del fratello Roberto Bellarmino, e poi agli antichi compagni di studio, a influenti personaggi della Curia e della vita mondana, ai suoi tanti corrispondenti e infine al carissimo Roberto Bellarmino: le lettere, i rapporti, le riflessioni, le fantasie che giungevano in Europa una volta all’anno erano storie esotiche da mondi sovente incredibili. Pochi istanti prima di assopirsi, ormai affaticato, offuscato, Alessandro si era domandato nell’angoscia della notte perché mai, perché mai do  23


vesse sempre chiedere aiuto, perché non accadessero più i miracoli. Dagli anni del seminario aveva imparato a ritenere possibili i miracoli nei momenti più difficili, quando tutto sembrava perduto. Allora attendeva con fiducia, almeno un segno; poi con gli anni le attese si trasformarono in un’improvvisa benevolenza della natura o in un indecifrabile altrui arbitrio piuttosto che in segno o decisione della Provvidenza. La stanchezza lo piegava ogni giorno con più facilità, ogni mese di più sentiva giungere la sconfitta finale. Per questo ormai il miracolo era indispensabile, che fosse il reintegro delle antiche prerogative concesse alla Compagnia e poi ritirate da Tokugawa Ieyasu, meschinerie, incomprensioni, sgarbi, fastidi, o soltanto un segno, un presagio forte e indiscutibile che gli confermasse la missione sempre più sbiadita e dai contorni incerti. Disposto a chiamare questo segno, in fondo poco più di un sogno premonitore, miracolo. Si accalcavano e si accavallavano in disordine immagini, parole, scritte, ricordi, paesaggi, l’Italia lontanissima nel tempo, l’infanzia felice ad Amalfi e repentinamente Koyasan, la montagna degli Antenati, e poi lettere di credito, fatture del carico di seta cinese, lampi della sua vita napoletana prima della conversione e della salvezza nella Compagnia. Non aveva mai visto e tantomeno vissuto un miracolo; l’elefante infuriato che calpestava la folla a Goa non si era fermato che dopo averne fatto scempio, né la giunca poco fuori il porto di Mindanao, in mare aperto, si era capovolta in un attimo senza che le sue invocazioni fossero neppure pronunciate: la giunca aveva trascinato nel gorgo quasi cento pellegrini estatici, così come l’elefante aveva calpestato la folla, e la folla terrorizzata aveva calpestato i più deboli. Miracoli che non erano mai avvenuti, né avverranno, nel dormiveglia rincorrevano i pensieri dell’antico Visitatore. Nel sonno cercava di ricordare antichi sogni mettendo insieme frammenti disordinati, mentre lo inseguivano gli incubi di come sostenere quella che francescani e domenicani chiamavano con disprezzo e invidia la maquína gesuita, ventitré case, centosette fratelli, trecentomila convertiti e poi i primi due gesuiti giapponesi, Kimura Sebastião e Niabara Luis, che gli sorridevano in sogno. La verità di un fabbisogno annuo di dodicimila ducati al quale la nave, la famosa maledetta nave dell’argento e della seta, poteva contribuire, quando sfuggiva ai corsari olandesi e alla 24


squadra spagnola che incrociava la rotta Manila-Acapulco, forse con tremilacinquecento ducati e non con centomila come vaneggiavano gli stolti cappuccini. Un’attività che li faceva oggetto dell’accusa infamante di essere mercanti di danaro agli ordini del padroado portoghese e non lupi di anime in missione per conto di Dio. Trafficanti, mercanti, soprattutto da quando padre Rodriguez Tcuzzu era stato nominato dallo Shogun suo agente generale per il commercio della seta. Il miracolo era forse già avvenuto quando, perso il carico, lo Shogun Ieyasu aveva donato ai gesuiti l’equivalente del loro carico di tremilacinquecento ducati, lui che non dava mai, ma solo prendeva e pretendeva. Nel dormiveglia, mentre attraverso la carta di riso l’alba biancheggiava nell’ovatta di un risveglio sempre precoce, vedeva padre Matteo, nella Città Proibita, inchinarsi davanti all’eunuco capo del fastoso cerimoniale di accoglimento. Carico di paure e curiosità, ansioso di incontrare anche soltanto il trono vuoto, seppure da lontano, del giovane Figlio del Cielo.

«Non è neppure un gesuita…» (e allora la civetta?) «Stento a crederlo… anzi… ti dirò che proprio perché saresti tu il latore, il messaggero di queste fantasie, il Grande Pettegolo, caro Bilby, non ci credo… anzi… non ci credo proprio… perché ormai ti conosco. Sei tu il primo a non credere alle sciocchezze che sostieni con l’aria di un’autorità… Dammi una prova seria, una sola… e forse potrei far finta di crederti…» Francamente provavo un certo disagio. Mi sentivo come un allocco (Strix flammea) o un barbagianni (Tyto alba) anch’esso dalla livrea spelacchiata e dal piumaggio arruffato, nulla di paragonabile all’astuta civetta (Athene noctua), avocando a sé l’autorevole Gufo Reale che passa la notte bubando, Signore del Bosc’oscuro, un rapace notturno dall’imponente apertura alare, dalla torsione a cent’ottanta gradi del capo, dallo sguardo ipnotico e dall’immobilità statuaria. Mostrava di dubitare della mia avventura nel Sikkim con la Spedizione, della mia abilità aviatoria, dell’ascesa oltre gli ottomila del Broad Peak,   25


dell’attivismo politico, dei rapporti con Madame Kao, dei viaggi con il Generale Presidente Cheng nella terra dei Meo, delle tentazioni di quelle pasticcione lascive delle mie zie con i loro ginecei di servette e balie ormai asciutte. A ogni ritorno a Shanghai mio Padre cercava di esaltare i miei progressi agli occhi dei Nonni contrastandone l’influenza e la delusione… Poi i rapporti fra noi si inaridirono… Poi nulla… O meglio, mio Padre, che per quanto mi constasse sembrava non essersi mai risposato, conviveva con una legnosa, ferrigna e rugginosa, spigolosa sposa d’Inghilterra. Cercavo di sognare mia Madre.

Il mistero delle pietre Ai balli entusiasti, al gioco dei tori, per rinnovare antiche amicizie, partecipare ai sacrifici lustrali, la Natura catastrofica entra in competizione con i castelli sparpagliati sull’isola rinata spontaneamente. I Cretesi, alzate e assicurate le tende alla pietra arenaria, si riversavano a Palazzo Nuovo, si precipitavano confusamente a Palazzo Segreto. Sono in gran numero, si disperdono nelle centinaia di stanze, terrazze, palestre, terme, saloni, magazzini, cantine, vani, ripostigli, corridoi che collegano gli appartamenti dei dignitari della Corte. Isole flottanti nella penombra collegano fra loro agglomerati della servitù, cresciuti come vegetazione sconosciuta raccolta intorno ai megaron, saloni di ricevimento per le udienze regali e di governo, rampe che salivano alle terrazze e agli osservatori, gradini che scendono profondamente nell’Oltretomba e nelle prigioni dell’Ade. Le cucine erano attraversate da ruscelli d’acqua corrente e limpidissima che sgorgava dalle falde del Monte Ida. Nei magazzini c’erano riserve di grano ventilato e pesce e carne affumicati sufficienti per resistere a un assedio da mare e da terra. Grano, legna da ardere, spiedi per cuocere cacciagione a schidionate, uccelli presi nelle reti degli uccellatori. Cucine in grado di sfamare per mesi famuli, servi, guardie, fabbri, artigiani, scriba, funzionari, archivisti, 26


allevatori, contadini, pescatori, minatori, boscaioli: tutti lavorano per Minosse le terre di Minosse, del Nuovo Palazzo e del Palazzo Segreto. Con loro i Visitatori. Visitavano Cnosso i superstiti, i figli dei superstiti e la loro discendenza per ascoltare le voci intrise di pianto e di lamenti, voci fioche per la lontananza. Sfilavano i Feudi, l’agricoltura, l’allevamento dei tori, orgoglio cretese, la pesca e la miniera. E infine una delegazione di maggiorenti avrebbe dovuto concludere il pellegrinaggio al Tempio di Dodona nell’Alto Epiro, nel folto di una foresta impenetrabile. Il Sommo Sacerdote è seguito da un vasto stuolo di Pizie, Sibille, Aruspici, Indovini, Animali Parlanti dalle risposte sapienti. La delegazione di maggiorenti raccolse i responsi di diversa natura. Da un’Apocalissi Nefasta dipendeva il futuro di re Minosse e della sua stirpe.

Acconti di immaginario. Tre divagazioni Zeus è infuriato con Poseidon Dio delle Acque e del Mondo Sotterraneo, Poseidon aveva mancato ai suoi doveri prioritari verso i più deboli, gli isolani e i pescatori, deviando nel mare fiumi di lava, soffocando il respiro rovente celato nel nucleo del Vulcano al centro della sfera terrestre. Aveva tradito il suo ruolo, mentito sulle colpe, occultato la sua missione, né aveva saputo domare il disastro. Incapace di proteggere e di salvare la popolazione dai fiumi di lava predisponendo per tempo deviazioni per allontanare il pericolo, Vulcano è inappagato. Il toro Apis Il Vulcano Thera è da mesi ormai in piena attività. Quotidianamente erutta fiumi di lava in un’agonia senza pace. L’odio guidava la direzione di Poseidon verso il Palazzo sottomarino. Per il suo dovere di protezione, Zeus devia cento fiumi di lava dalle ampie anse femminili, rosseggianti nella notte, roventi lapilli per la cenere che sembrava non potersi depositare. Le eruzioni vulcaniche soffocaro  27


no ogni forma di vita con un’immensità di cenere, maremoti e terremoti, una catastrofe senza precedenti. Gli Dei non furono capaci di salvare un’anima, anche un’anima sola. Le colonie greche furono le prime a migrare verso Thule e la terra degli Iperborei, poi Atlantide, il massiccio di Atlante eternamente innevato. Il delta del Niger riserva sorprese alle pendici del sinistro, solitario Monte Camerun. Alla luce delle catastrofi naturali che ferivano la loro epoca, i popoli navigatori del mare aperto, i Cretesi, i Pelasgi, i Fenici, i raminghi apolidi, erano fuggiaschi, mentre ogni giorno Odisseo vede assottigliarsi la sua ciurma. Il nostro Odisseo è una guida. Fra le colonie greche, Mileto diventò nel xii secolo a.C. centro di attività industriale e commerciale, sviluppando una rete di circa un centinaio di colonie distribuite sulle coste del Mediterraneo, dal Mar Nero alle Colonne d’Ercole. Mentre la strategia espansionistica di Cartagine non differiva particolarmente da quella della Magna Grecia, i rapporti erano sempre tesi fra i grandi imperi centralizzati persiani delle dinastie degli Achemenidi e dei Sassanidi e le polis e le colonie, capaci di federarsi rapidamente per combattere il comune nemico, rimettendo il comando alle città egemoni, Sparta o Atene.

Triste solitudine, mostro dolcissimo La luce dell’alba trascolora nel sole del mattino, siamo già oltre le mura tortuose. Mirabile Mostro, giace insonne il Minotauro distruttore di labirinti, di cui conosce i segreti. I passi soffici sono l’unica risposta consegnata a Minosse. Tutto finisce. Minotauro è immerso nel proprio sangue, nel più profondo sonno. Dedalo artefice di macchine e automi. Icaro ansioso e impaziente sale verso i campi di luce affollati di innumeri stormi di uccelli migranti, i più curiosi saggiavano l’elasticità delle penne: «Ohinoi, Icaro, caro agli Dei». Si scioglieva la cera delle sue ali precipitando nell’oceano. Finché nel cielo cretese attraversato da punti luminosi apparvero figure magiche, ibride, indefinibili, uccelli che sbattevano le ali con un rumore sordo e meccanico. Poseidon accelerò la sua corsa sempre più veloce con passo sicuro. Sorvolò la piana di Heraklion, riconobbe la Nave Solare che attendeva in rada di poter imbarcare dodici tori per le liturgie del toro Apis, 28


richieste dal potente clero del Serapeum e dal contiguo tempio di Ptah. Garriscono al vento notturno gli stendardi dal Nilo al mare aperto.

Tori da ecatombe solenne, tori da monta, da carne, da sacrificio ctonio Non lontano dalle agorà brulicanti di attività, il Mercato Grande era ricco di ogni prodotto della terra e del mare, e delle mani sapienti degli artigiani, il Foro Boario di greggi e armenti, scintillanti e vivaci, che trovavano nuovi padroni. I templi erano dedicati a liturgie oscure e misteriche e dispensavano protezione sacrificando giovani animali al Dio vorace. Le voci, le grida dei venditori erano sovrastate dalla scansione del tempo, gigantesche lamine di ottone percosse dall’alba al tramonto con pesanti mazze di legno di quercia abbattuta dal fulmine. Il palazzo di Cnosso venne ricostruito secondo le intenzioni di Minosse da Dedalo, costruttore geniale di palazzi, automi, macchine idrauliche, macchine da guerra, macchine volanti, passaggi segreti, pareti che scomparivano, trabocchetti che si aprivano con il fiato. Opere monumentali, che si dice Dedalo avesse costruito sul corpo del nuovo palazzo da mille stanze, un’ala geniale, un labirinto di saloni, terme naturali, corridoi, terrazze, rampe di scale che salgono e scendono nei sotterranei e nelle cucine. Questi locali oscuri tradiscono la loro funzione: in buon numero sono vuoti, ma subito iniziava un corridoio lungo e tortuoso, in cui il respiro si restringeva affannando per l’aria povera di ossigeno e sul quale si aprivano archi squadrati con difficili asimmetrie. Minosse doveva completare il suo piano inesorabile. Si fece costruire dall’architetto Dedalo alcuni spazi per accogliere le cerimonie lustrali. Atletiche, ieratiche sacerdotesse a seno scoperto resuscitano antichi riti taurini. Nelle palestre le danzatrici volteggiavano afferrate alle corna o pericolosamente incrociando le braccia per ritrovarsi assecondate dal piccolo trotto del toro nella palestra isolata in fondo al Bosco Sacro. Attenzione! Al piccolo trotto, la danzatrice di slancio compie un’acrobazia, uh!!, caracollando con sguardo preso d’amore il toro, due acrobazie, uh!!, uh!!uh!!, utilizzando due maniglie appena visibili, uh!!, che   29


fanno da fulcro e da leva alle atletiche danzatrici, e infine di seguito, tre volte, uh!!, uhuhuh!!, salto rovesciato carpiato planando con la leggerezza di una libellula finché, intimidito, il toro fugge al fondo dell’arena rettangolare, impugnata la punta delle corna ha inizio un susseguirsi di volteggi, esercizi di antica tradizione e di alta scuola. Sacerdotesse scaltre e temerarie.

Libellule Attirate da sciami ronzanti di moscerini, le libellule copulano in volo. Me lo rivelò il capo giardiniere di Suzhou. Tracciano percorsi sempre uguali. Solo quando sono attratte dal sesso, i percorsi diventano frattali, linee spezzate e vulnerabili, nuvole di moscerini danzano sul patibolo. Moscerini alla ricerca della direzione. Rischiano la presenza improvvida non presidiata dal nemico gigantesco, stretto in pugno un bastone con il retino conico montato all’estremità. Attendevo immobile che, travolte dall’orgasmo, restassero indifese anche solo un attimo, una distrazione prolungata troppo, una disattenzione letale, diventa questione di vita o di morte. Ero un piccolo sadico, e quando calavo il retino era come se vibrassi l’ascia del boia di Corte. Trascinavo sottacqua le due libellule nell’abbraccio fatale. La libellula si posa in velocità su un autobus rosso, o così almeno crede la focosa libellula, una delle dieci, quindici speci mordaci. Si è afferrata con le mandibole alla schiena di un paziente toro facendosi largo fra il pelo corto del toro infastidito.

Dei, uomini e tori Poseidon considerava come assoluto il suo potere, mari, laghi, fiumi, coste, caverne sottomarine, mareggiate feroci, gorghi, iceberg, kraken e leviatani, prolungate bonacce, violente tempeste di mare, risacca insidiosa, creature acquatiche. 30


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