Narrativa 62
Questa è un’opera d’invenzione. Tutti i personaggi sono frutto della fantasia dell’autore. Qualsiasi somiglianza con persone reali è da ritenere casuale. www.saggiatore.it eStore de il Saggiatore Twitter@ilSaggiatoreEd Facebook il Saggiatore editore © il Saggiatore S.p.A., Milano 2012
Giovanni Ubezio Il cane che mi guardava e altri racconti del taxista
il cane che mi guardava e altri racconti del taxista
Il cane che mi guardava
Ero capitato dalle parti della Bovisa, nella periferia Nord, e giravo per il quartiere. Sotto sotto non mi facevo troppe illusioni: l’ora non era delle migliori, la zona in quel momento prometteva poco lavoro. Stavo eventualmente considerando di fermarmi a mangiare un panino, ma ecco che il radiotaxi suona: era una chiamata e, secondo l’indicazione del monitor, si trattava di una via vicina, forse a un paio di isolati da me. A chiamare era una signora con un cane di piccola taglia e quando giunsi davanti a lei le dissi: «Non sapevo che ci fosse anche un cane! L’aveva segnalato alla centrale radio?». «Perché? Dovevo?» «Naturalmente. Molti di noi taxisti non vogliono a bordo animali, quindi è sempre bene informare prima.» «Ma oramai posso salire?» «Dipende. Il suo cane morde?»
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«Ma no, è così piccolo, cosa vuole che morda questo qua?» «Va bene, salga. Ma lo tenga in braccio.» In realtà non ho particolari difficoltà a trasportare i cani e tanto meno ho paura. Però in alcune occasioni, forse per ravvivare il momento, mi diverto un poco a scherzare, inventandomi alcune situazioni non vere, per esempio la paura dei cani oppure porre anche domande banali ma che comunque escono dagli standard abituali. Chiedere a una novantenne se aveva visto ieri com’era andata a finire la gara del moto mondiale, oppure se era andata a sciare nel weekend o ancora se aveva visto il programma L’isola dei famosi, che personalmente non so esattamente di cosa si tratti, ma che sentivo spesso pronunciare. Tutto ciò per stuzzicare l’interlocutore e creare degli spunti su cui conversare. Ma torniamo alla signora con cane che, a quanto pare, doveva essere di origine francese, la cui pronuncia era anche tradita dalla tipica “r” moscia. «Dove va, signora?» «In piazza Caiazzo» e pensai tra me: “Meno male, lì sicuramente la zona è più produttiva”. «Come si chiama il suo cucciolo?» «Gaston. Comunque non è un cucciolo: ha undici anni.» «Veramente? Scusi, io non mi intendo molto di cani, so distinguere a malapena un barboncino da un cane lupo, ma questo tipo di cane non so nemmeno capire se è cucciolo o adulto.»
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«Il mio cane è come un figlio per me, lo porto ovunque.» «Lei non ha figli, quelli veri intendo?» «No, però c’è lui che mi tiene compagnia.» Tra una battuta e l’altra eravamo quasi giunti a destinazione. A un certo punto la signora aveva avvertito che mi ero un po’ irrigidito. «Guardi che non le fa niente.» «Lo so, ma sa il suo cane si è mosso e io non mi fido troppo di questi animali. E poi mi stava anche guardando.» «Non è vero.» «Invece sì, il suo cane mi ha guardato.» «Le assicuro che si è sbagliato, il mio cane non la stava guardando.» «Va bene, va bene, poco importa. Tanto oramai siamo arrivati.»
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Mia figlia
Parevano molto differenti le due signore che avevo appena preso a bordo. Quella un po’ più giovane, a parte il saluto iniziale, era taciturna e assorta nei suoi pensieri, puntava lo sguardo assente oltre il finestrino. L’altra ha trascorso la prima parte del viaggio attaccata al telefonino; non so di che argomento stesse parlando, ma dal suo tono acceso doveva certamente trattarsi di problemi importanti. Erano tipiche donne di periferia, non raffinatissime, persone semplici, di estrazione popolare e un’età piuttosto difficile da stabilire, indicativamente dalla mezza età in su. Quando staccò il telefonino la signora cominciò a parlare con me dei suoi guai: «Quello che sto passando in questi anni non lo auguro nemmeno a un cane». «Cos’è successo di tanto brutto?» «Guardi, lasciamo perdere… Mia figlia: sono mesi che sto tribolando avanti e indietro per lei, e sono stufa.»
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«Sua figlia non sta bene?» «Non sta bene?! Ne ha sempre una. Adesso è la terza volta che tentano di farle la colonscopia, ma non riescono, perché prima le faceva male il retto, invece oggi aveva la diarrea e quindi è saltato tutto e io sono qui che sto correndo a destra e sinistra, dagli ospedali alla clinica e poi ancora al centro diagnostico. Tutto questo fra ticket e taxi mi sta costando una tombola.» «È bello però vedere il sacrificio e le rinunce che una madre è disposta a fare per un figlio; penso che Dio gliene renderà merito.» «Ma quale Dio! Se fosse per lui sarebbe già morta. L’unica cosa che mi ha fatto avere è appunto mia figlia, che però è una piaga: è da quando è nata che mi fa tribolare…» Mentre l’amica silenziosa continuava a vivere nel mondo dei suoi pensieri guardando distrattamente fuori dal finestrino, la signora più loquace non smetteva di sfogarsi: «E poi, come se non bastasse, dopo che è guarita da una cistite, adesso è saltato fuori che ha anche problemi di ritenzione alle vie urinarie». «Ma non può prendere un diuretico?» «No. Siccome ha la pressione bassa, il medico mi ha detto che non si può.» «Insomma, ci sarà pure un farmaco alternativo!» «Certo, infatti lo sta prendendo, ma il dottore ha detto che deve andarci molto cauta perché, siccome ha un’ulcera nell’intestino crasso, il farmaco potrebbe fare male.»
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«Ma quell’ulcera non si potrebbe curare?» «Sì, ma non risolverebbe il problema alla radice, perché mi hanno detto che l’ulcera è forse causata indirettamente da una sindrome con un certo nome straniero, che mia figlia avrebbe.» «Certo che sua figlia è messa proprio male: non gliene va bene una. Forse un pellegrinaggio a Lourdes potrebbe aiutarla!» «E crede che non ci abbia pensato! A parte il fatto che soffre il mal di treno, poi ho ben altri pensieri che sciupare soldi portandola a spasso per Lourdes. Mi hanno sfrattata da un anno e ora vivo in un altro quartiere. Dove stavo prima, i vicini erano brave persone, per bene, educate e ci si aiutava a vicenda, invece dove sto adesso è pieno di gente pettegola e impicciona e, quando hai bisogno di aiuto, nessuno alza un dito.» «Be’, è davvero sfortunata, ma si spera sempre che arrivino tempi migliori. Però qualche persona che ti aiuta c’è sempre: per esempio questa sua amica qui con noi è forse un po’ taciturna, però intanto le sta accanto e la segue.» «Non è una mia amica. È lei, è mia figlia.»
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Le donne del centro
Le donne del centro sono più belle, non si può negare. È un mistero a cui non ho ancora saputo dare un perché. Circolando per la città ne vedo di belle, brutte, grasse, alte, comunque nulla di particolare ma, quando oltrepasso la cerchia dei Navigli ed entro quindi nel centro storico, le cose cambiano: lì, le donne sono migliori, sembrano biologicamente selezionate, lo si vede dal portamento che hanno una marcia in più. Forse è perché hanno denaro e tempo per mantenersi, ma non ne sono sicuro del tutto: loro hanno dei lineamenti naturali più belli, una fronte più evoluta forse perché leggono molto i quotidiani o semplicemente perché sono nate così. Non c’è spiegazione; d’altra parte son lì da vedere: lo standard della loro bellezza è superiore, chiunque può constatarlo. Ho considerato l’ipotesi di un centro storico composto da una unica e grande famiglia «selezionata», ma l’aspet-
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to curioso è che molte donne del centro provengono da altrove, anche da nazioni lontane, e poi la biologia moderna sostiene che la biodiversità con la mescolanza del patrimonio genetico fortifica e abbellisce la discendenza, perciò sembra essere smentita la tesi della grande famiglia. Pensate che per un attimo avevo anche erroneamente ipotizzato che in centro, forse in virtù del maggiore traffico automobilistico, ci fosse un’aria speciale, un’aria ricca di principi attivi dagli effetti (solo per loro) benefici; ma la cosa mi è sembrata priva di fondamento anche perché questi tipi di donne girano spesso e volentieri con le biciclette indossando la mascherina bianca, quella per le polveri sottili. Ciò significa che l’effetto negativo dell’inquinamento vale anche per loro. Ma la cosa davvero interessante è la prole. Può essere composta tranquillamente da tre o quattro figli (che ai giorni d’oggi è un numero più che ragguardevole) e ciò comporta certamente un sacrificio, che poi viene però ripagato ampiamente con il perpetuamento della stirpe. Dunque capita spesso di vedere le mamme del centro passeggiare con i loro bambini e ne sono molto fiere, quasi vanitose. Ma hanno ragione a esserlo perché la bellezza dei loro figli è di sicuro all’altezza della situazione: una bellezza certamente coerente con quella della madre. Ma forse il segreto dalla bellezza dei bambini è più
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facilmente svelato: a parte la componente ereditaria, che penso sia parziale in quanto intorbidita dai caratteri paterni, ritengo che il vero movente di quest’evoluzione al bello dei figli sia nientemeno che l’amore che ricevono. Hanno la fortuna di avere dei genitori che provvedono davvero tutto: a cinque anni già vanno a scuola, di solito si tratta di quelle scuole europee altamente competitive e rivoluzionarie, dove in certi casi hanno introdotto il bridge come materia didattica in quanto ritenuto molto formativo. A sei anni conoscono bene due lingue anzi tre perché in casa, con la madre, parlano spesso il francese tanto per tenersi tutti in esercizio. Per il tempo libero si stabilisce che debbano coltivare varie discipline: pianoforte, equitazione, danza classica ecc.; insomma tutto ciò che in futuro gli consenta di far fronte alle circostanze previste nel loro contesto. I figli, insieme alla mamma, mangiano i cibi macrobiotici: è una alimentazione sicuramente più sana, forse meno appagante, ma tutto questo è fatto per amore, un dono che sicuramente verrà apprezzato successivamente. I bambini del centro giocano molto poco e comunque non nel senso che intendiamo noi, ma in ogni caso sono compensati dalla pienezza della giornata: dopo le ore di scuola devono studiare moltissimo, vengono spremuti come limoni perché sono tenuti a tirare fuori tutto il loro
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potenziale intellettivo disponibile in preparazione a un futuro cinico, competitivo, ma anche generoso. Se poi dovesse avanzare del tempo ci pensa la mamma a portarli a spasso magari in bicicletta, a condizione che indossino tutti la mascherina antismog; certo che tali mascherine sono davvero fastidiose, specialmente se indossate in estate, ma è bene chiarire che tutto questo viene fatto sempre per amore. Per cui ci capita spesso di assistere al pittoresco scenario di donne che pedalano per il centro storico, seguite dai rampolli in ordine di altezza, con le preziosissime mascherine e tutti addestrati a schivare abilmente le molto pericolose rotaie del tram. Può accadere però, occasionalmente, che le mamme del centro non possano badare ai figli, perché dopotutto sono sempre loro che tengono le redini dell’impeccabile casa. E se devono per esempio recarsi a cercare la riloga delle nuove tende? Nessun problema, i bimbi hanno una «tata» tutta per loro: una ragazza fidata, su cui si può nel caso contare a tempo pieno. Preferibilmente che sia straniera, perché ritenuta più affidabile, fedele ma soprattutto parla poco.
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