Stile e pensiero

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Arnold SchĂśnberg

Stile e pensiero Scritti su musica e societĂ A cura di Anna Maria Morazzoni Premessa di Nuria Schoenberg Nono Traduzione di Pietro Cavallotti, Francesco Finocchiaro, Anna Maria Morazzoni


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Introduzione di Anna Maria Morazzoni

L’opera letteraria di Arnold Schönberg assunse sin dal suo avvio una declinazione molteplice e accompagnò quella musicale per tutta la vita. La permanenza nel tempo suggerisce una costante imbricazione sia tra le diverse destinazioni della scrittura letteraria – testi per musica, trattati, saggi e scritti su temi disparati – sia tra essa e quella musicale. Nella sua pluralità tale esercizio quotidiano assume un rilievo centrale: l’attività letteraria non costituisce un mero ampliamento o completamento, accessorio o secondario, rispetto a quella compositiva, bensì si congiunge a essa in un nesso organico. La scrittura in tutte le sue declinazioni, fino a quella del disegno,1 rispondeva per Schönberg a un’istanza profonda e persistente, quella di conservare tracce dei pensieri e di costruirne un archivio nel duplice significato etimologico: arché come principio di generazione e come principio di conservazione, dunque un deposito di idee, riflessioni e impressioni, sia suscettibile di traduzione in opere, musicali o letterarie, sia destinato a sostenere la memoria. Quella di Schönberg può forse essere intesa come una pratica dell’«archiscrittura» à la Derrida, nel margine tra presenza (di opere) e assenza (della loro formulazione compiuta), tra scritto e non (ancora) scritto. Considerando inoltre che per Schönberg «Il sentimento è già la forma, il pensiero è già la parola» (infra, p. 38), non solo viene superata la specificità dei piani espressivi, insieme con la questione della loro gerarchia di importanza, ma si evidenzia ulteriormente la loro imbricazione: tutta la scrittura di Schönberg è accomunata nell’invito all’ascolto, in un «pensare ascoltando» il suono della pagina scritta, che a sua volta suggerisce una lettura nell’ascolto del linguaggio, come direbbe Heidegger.2 Quello tra scrittura pubblica e privata è a sua volta un margine sottile, da prendere in considerazione in particolare per i testi non giunti a una formulazione definitiva, il cui statuto è attestato dall’incompiutezza oppure dalla man-


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canza di revisioni, per quelli personali e intimi – esemplarmente l’«Abbozzo di testamento» del 1908 (infra, pp. 383-386) – e per la scrittura segreta dei diari.3 Accanto alla pratica epistolare e in interazione con essa, la scrittura fu un esercizio quotidiano, nelle dimensioni dell’immediatezza e della spontaneità per fissare pensieri, osservazioni e riflessioni, come pure stati d’animo, reazioni, ricordi e recriminazioni, che nel tempo venne a costituire un ingente corpus di testi estemporanei «a futura memoria». Anche a questa tipologia di scritti privati, prevalentemente stesi di getto e non riveduti (alcuni soltanto abbozzati), comprese le glosse alle lettere e quelle ai libri e ai periodici della propria biblioteca, Schönberg rivolse la stessa cura archivistica e non operò censure. Tali dati di fatto inducono a pensare che, più o meno deliberatamente, scrivesse sempre per essere letto – almeno dai posteri – e sottraggono questi testi alla loro originaria destinazione privata. Così, pare legittimo superare il margine tra pubblico e privato e considerare il lascito nella sua interezza come suscettibile di pubblicazione: non si viola la privatezza ma si realizza un’aspettativa implicita nella scrittura di Schönberg.4 Grazie alla cura rivolta alla conservazione di ogni documento, e alle conseguenti vastità e completezza del lascito, i testi concepiti per la destinazione pubblica – anche orale in conferenze o trasmissioni radiofoniche – e quelli rimasti inediti contro la volontà dell’autore (per esempio «Un programma in quattro punti per la comunità ebraica», infra, pp. 320-337) permettono di seguire, quasi geneticamente, il cammino verso il linguaggio: a partire da appunti, anche sparsi su numerosi foglietti, pensieri messi per iscritto a sostegno della memoria, Schönberg formulava una prima stesura e ne ricavava una ulteriore, definitiva o ancora provvisoria, spesso attraverso il collage tra vari fogli (p. XVI). Ogni versione comportava aggiunte, tagli e correzioni a quella precedente, e la consapevolezza di seguire un procedimento per livelli successivi di definizione del testo, insieme con la singolare disposizione archivistica, rendevano necessario disporre di copie, che realizzava con carta carbone anche nel caso dei manoscritti. Questo elaborato processo di scrittura, che documenta il costituirsi del testo anche attraverso la cancellatura (un iter memore del rasoir di Montaigne), comportava tappe ulteriori per gli scritti redatti o tradotti in lingua inglese: anche in questo caso Schönberg definiva gradualmente il testo e la sua sensibilità linguistica di non madrelingua era dirimente per le scelte terminologiche e per l’approdo alla versione da licenziare. Quando ricorreva a un traduttore gli riconosceva un’autonomia limitata. La chiarezza e la comprensibilità, che Schönberg indicò come caratteri qualificanti il proprio pensiero compositivo, guidano anche il suo linguaggio letterario, nel quale si può riconoscere un nesso logico, tecnico e artistico tra il pensiero e la sua rappresentazione, proprio come nella musica e nel grande trattato incompiuto su questo tema (cfr. infra, pp. 78-103, AS.ZKIF e AS.MI).


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«La mia scrittura», pagina stilata a Mödling il 28 maggio 1923, documento di riferimento per attestare le proprie differenti grafie e le impronte dei pollici destro e sinistro (ASC T 04.01; categoria: Biographisches 26).

Una logica rigorosa regge il decorso del pensiero ma essa è spesso colorata di verve satirica, in particolare nelle espressioni graffianti verso la critica musicale della quale Schönberg segnalò reiteratamente l’incompetenza e l’inadeguatezza. Vari testi su questo argomento, scritti intorno al 1910, mostrano come in quegli anni Schönberg tendesse a plasmare la propria scrittura sull’esempio di Karl Kraus, per conquistare presto un’autonomia stilistica, pur mantenendosi costantemente antiaccademico come il suo modello viennese. Con l’emigrazione negli Stati Uniti, dovette affrontare a sessant’anni l’arduo compito di esprimersi in inglese e soprattutto di trovare un tono personale nel rivolgersi a un ambiente molto diverso da quello europeo; consapevole delle modificazioni nel proprio stile, riuscì a mantenerlo vivace e pregnante, compulsando il vocabolario alla ricerca spasmodica del termine più opportuno e ricorrendo a espressioni arcaiche o insolite. È arduo identificare temi ai quali Schönberg non abbia dedicato alcuna osservazione oppure ambiti che non siano stati per lui almeno uno spunto per qualche esercizio di arguzia, dal linguaggio della scienza, a quello della radio, del cinema, della moda e della pubblicità, dalla musica di intrattenimento fino al sociale in senso lato – dall’alienazione dell’individuo nel lavoro ripetitivo, al nazionalismo, alla sovrapopolazione. Alcuni momenti della sua vita rappresentano


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motivi ricorrenti, episodi del servizio militare nella Prima guerra mondiale per esempio, e spesso sono gli argomenti affrontati a determinare i tratti stilistici. Un Leitmotiv che sfocia in uno stile caustico è la difesa della primogenitura delle proprie concezioni compositive, come nel testo «La priorità» (infra, pp. 475-479) e in alcuni scritti su Anton Webern, segnati da un rapporto di amore/odio che a sua volta attesta un forte legame affettivo. Inoltre, la pagina del 1923 (p. XVIII), nella quale Schönberg si preoccupò di fissare le modulazioni della propria grafia con diverse penne e scritture (gotica e latina) per permettere di identificarla e così di documentare la paternità di tanti pensieri, dimostra come in quel periodo la difesa di se stesso e della propria produzione avesse assunto caratteri ossessivi, confermati dalle impronte dei pollici in quella stessa pagina e aggiunte alla firma nei suoi testi (come segnalato qui caso per caso). Quasi in ogni scritto si intrecciano osservazioni su tematiche musicali o di teoria e didattica musicali con affermazioni di carattere politico, sociale, morale o artistico, così come notazioni biografiche o narrazioni autobiografiche si trovano all’interno di testimonianze sull’ambiente musicale, su colleghi e su amici. La propensione alla satira, allo scherzo, al paradosso e al gioco linguistico rafforza la costante intersezione tra piani diversi del discorso. Le ripetizioni, quando intervengono, sono sempre variate come nella sua musica.

Il cammino verso Style and Idea L’intenzione di Schönberg di pubblicare i propri scritti va considerata congiuntamente al suo peculiare orientamento archivistico, poiché fu formulata contestualmente al riordino e alla prima catalogazione della propria opera letteraria, avviati a Berlino nell’estate del 1932. Le lettere di quel periodo attestano un umore depresso per la lucida percezione della precarietà delle condizioni politiche e per la situazione di isolamento in cui si trovava (cfr. la pagina coeva «I miei oppositori», p. 480) e questa disposizione d’animo lo indusse a dedicarsi a un’attività in cui lo sguardo al «già compiuto» surroga la stasi nell’intenzionalità creativa. Per organizzare i propri scritti, Schönberg concepì le categorie in cui raggrupparli (p. XX) e cominciò a numerare i testi in un elenco (p. XXI);5 si accorse di avere accumulato circa 1500 pagine, cioè di avere materiale per quattro o cinque volumi, senza considerare la Harmonielehre, altri trattati abbozzati e i testi per musica già pubblicati, e si propose di cercare un editore.6 Le vicende storiche e personali degli anni immediatamente successivi non gli permisero di procedere nel progetto concepito a Berlino e lo poté riprendere a Los Angeles nel 1940 per realizzarlo (parzialmente) dieci anni dopo, pubblicando


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Pagina iniziale dell’elenco dei propri scritti, redatto nel 1932 (ASC T 59.06)

Style and Idea (AS.SI 1950). Intanto, il numero di volumi che prevedeva per una edizione completa dei suoi scritti era salito a cinque o sei, tuttavia quella raccolta di saggi rimase l’unica pubblicata in vita.7 Style and Idea ebbe una gestazione lunga e faticosa e non rappresentò un risultato coerente con le intenzioni del suo autore. Un aspetto di quella raccolta che non soddisfaceva Schönberg era la sua dimensione ristretta: aveva dovuto trattare a lungo con la casa editrice sull’articolazione del volume e numerosi passi della corrispondenza dimostrano una distanza tra le sue aspettative e le esigenze editoriali che sfiora l’incompatibilità.8 Così, avviò i contatti per pubblicare altri


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volumi ancor prima che quello fosse apparso: nel 1949 lo considerava soltanto il primo di una serie e cercava un editore in Europa.9 Ma il carattere di quella raccolta meno adeguato ai desideri dell’autore è la sua destinazione locale; infatti, essa era stata concepita per il pubblico americano e in base alle peculiarità dell’ambiente americano negli anni quaranta.10 Fu lo stesso Schönberg a esplicitare tale destinazione nel sottoporre il suo progetto alla casa editrice Doubleday, Doran & Co. di New York nel 1940: «Dispongo di materiale per circa quattro libri, se lo adatto all’uso americano e se si potesse tradurlo» (dalla lettera del 10 aprile 1940 all’editor Kenn McCormick); ritornò sullo stesso tema pochi mesi dopo scrivendo allo stesso destinatario: «Molti articoli devono essere rielaborati perché il loro argomento non è di interesse immediato per il pubblico americano» (dalla lettera del 17 luglio 1940), e ancora: «Ho scelto quattro esempi dalla grande quantità di materiale che ho riunito finora. […] Credo di doverli sistemare almeno in parte per renderli adatti al pubblico americano» (18 luglio 1940, proseguimento della lettera precedente). Qualche anno dopo riaffermò la stessa destinazione per quel libro, scrivendo al genero Felix Greissle (allora music editor presso la Schirmer) per coinvolgerlo nel progetto come supervisore della traduzione in inglese: «Ora intendo riguardare tutti gli scritti e le conferenze in tedesco che devono essere inclusi in questo libro, cambiare tutto, sostituire le parti deboli e soprattutto eliminare o sostituire le sezioni che non si possono tradurre o non sono importanti in un libro inglese» (dalla lettera del 21 novembre 1945). Per tutte queste ragioni Style and Idea è un volume poco rappresentativo dell’attività letteraria di Schönberg e ripubblicarlo significherebbe ripercorrere un cammino infelice, come dimostra in maniera dirimente la mancanza di nuove edizioni inglesi nell’articolazione originale.11

Il libro a venire Per percepire quanto il «libro a venire», secondo la felice espressione di Maurice Blanchot, fosse diverso da Style and Idea nelle intenzioni del suo autore, basta risalire al 1932, quando Schönberg pensava alla pubblicazione di numerosi volumi, e seguire la ripresa di quel progetto – sospeso ma non abbandonato – nel 1940 a Los Angeles. In entrambe le circostanze stava riordinando il proprio archivio e la quantità degli scritti accumulati in quarant’anni rese palese l’opportunità di organizzarli in vista di uno sbocco editoriale.12 La propria personalità artistica e umana sarebbe stata il cuore dell’opera: «Vorrei riunire questi articoli, interi o parziali, in un libro che sia una specie di autobiografia e che insieme mostri l’evoluzione dai compositori wagneriani e post-wagneriani (Mahler, Strauss, Debussy, Reger) fino alla composizione con dodici


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note. (Per evitare fraintendimenti, devo ricordare qui che, non essendo uno storico nè un critico giornalistico ma soltanto un compositore, non ho intenzione di parlare dei miei contemporanei più di quanto è necessario al mio obiettivo di illustrare la mia evoluzione.)» (dalla lettera del 31 agosto 1940 a Kenn McCormick). Anche in questa prospettiva autobiografica, Style and Idea non risulta una raccolta adeguata, mentre la realizzazione di un’autobiografia era per Schönberg un proposito di vecchia data, che fornisce una motivazione ulteriore della cura archivistica dedicata all’insieme dei suoi documenti. «Progetto da lungo tempo di scrivere una storia della mia vita», aveva annotato il 15 gennaio 1924,13 tornò a più riprese su questa intenzione e non ne faceva mistero, come recita una pagina non datata: «Molti si spaventano sentendo dire che io pubblicherò qualcosa di autobiografico. Infatti, ho annunciato un’autobiografia per “incontri” nella quale voglio caratterizzare i più importanti con cui oggi mi sono scontrato e come si sono comportati verso di me. Alcuni si sono spaventati a suo tempo – molti soltanto adesso» (ASC T 42.03, primo foglio). Nel 1944 tracciò il sommario della propria autobiografia in una formulazione che congiunge le dimensioni principali della sua identità plurale, quella musicale e quella religiosa, e vi elencò nell’ordine il proprio divenire musicista, cristiano, nuovamente ebreo, wagneriano e brahmsiano (p. XXIV):14 Come ” ” ” ”

diventai ” ” ” ”

musicista cristiano di nuovo ebreo wagneriano brahmsiano

In quello stesso anno imperniò sulla propria personalità anche il progetto di pubblicare i propri scritti, scrivendo alla Philosophical Library: «Mi pare che questo libro non dovrebbe contenere soltanto i pensieri e le teorie di un insegnante e di un compositore, ma dovrebbe anche “ritrarre” in qualche modo l’uomo, l’artista, il suo ambiente, le sue inclinazioni, le sue avversioni, in altre parole: la personalità di un artista» (dalla lettera del primo luglio 1944 a Reba Sparr). Se Style and Idea non corrisponde palesemente a tutte queste finalità, la nostra nuova raccolta mira a rispecchiare le intenzioni di Schönberg valorizzando l’insieme dei documenti del suo lascito. La scelta è stata condotta con uno sguardo complessivo all’opera letteraria, per presentare un ritratto adeguato al rilievo della personalità di Schönberg nella storia della cultura, non soltanto in quella della musica, della prima metà del Novecento, un rilievo gravido di conseguenze nel secondo Novecento e ancora di piena attualità.


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Il cammino verso Stile e pensiero Il percorso che ha portato alla selezione di testi qui proposta ha preso avvio per iniziativa di Nuria Schoenberg Nono15 e realizza il suo desiderio di mettere a disposizione in un solo ampio volume un insieme di scritti rappresentativo dei molteplici ambiti di cui il padre si interessava, per destare attenzione verso la sua figura presso un pubblico vasto e non esclusivamente specialistico. Di conseguenza, gli scritti di teoria musicale o di argomento musicologico sono presenti ma non predominanti e, tra questi, i testi di carattere generale prevalgono su quelli di analisi. Inoltre, si è cercato un equilibrio tra la doverosa riproposizione di testi fondamentali già pubblicati e l’urgenza di far conoscere testi inediti, per esempio alcuni manoscritti relativi al trattato incompiuto sul pensiero musicale. Il primo passo verso la conformazione di questa raccolta è stata la lettura degli scritti originali, avviata in prima istanza e ove possibile attraverso le trascrizioni realizzate dal professor Ivan VojtÍch per i volumi delle Gesammelte Schriften successivi al primo, Stil und Gedanke (AS.SG), che sarebbero dovuti apparire presso Fischer. Per formulare la scelta si sono presi in considerazione gli elenchi redatti da Schönberg in numerose versioni negli anni quaranta in relazione al suo progetto di pubblicazione e i saggi da lui indicati sono stati accolti in massima parte. Un percorso prudente e laborioso, in contatto costante con Nuria Schoenberg Nono, ha condotto alla definizione del sommario di questo volume; l’impegno successivo ha comportato la scelta della versione più attendibile tra quelle pervenute (in generale quella definitiva o la più completa), la trascrizione e la verifica sulle fonti. La decisione di presentare qualche lettera, all’interno di una raccolta di scritti, è motivata dal rilievo delle tematiche specifiche. Le parti in cui si articola questo volume corrispondono a un’ipotesi d’autore, cioè rispecchiano la strutturazione tematica concepita da Schönberg nel 1944: «1. Teoria della musica; 2. Compositori e artisti; 3. Problemi sociali; 4. Formazione, etica, satira ecc.; 5. Aforismi, articoli brevi ecc.» (dalla lettera del primo luglio 1944 a Reba Sparr).16 La Prima parte, Aforismi e pensieri sparsi, è analoga a quella che Schönberg prevedeva come conclusiva e la si è scelta come esordio per offrire immediatamente la percezione della versatilità della sua figura e della varietà degli argomenti affrontati. La stesura di aforismi, di tanto in tanto anche in serie, accompagnò Schönberg per tutta la vita, ma la sua era un’idea molto libera di questa forma: la maggior parte dei testi che ordinò in questa categoria sono brevi ed essenziali, con riflessioni terse ed epigrammatiche, mentre altri sono «aforismi espansi» con una forzatura della forma. Inoltre, deve essere sottolineata la circolarità tra le forme di scrittura: osservazioni da scritti estesi possono dare luogo


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ad aforismi, come inversamente aforismi possono stare alla base di testi di ampia articolazione, o semplicemente venire citati (l’autocitazione è frequente nella scrittura di Schönberg, anche in quella epistolare). Nei Pensieri sparsi (Vermischte Gedanken nella definizione della categoria archivistica di Schönberg) si presentano pochi testi rappresentativi di quella disposizione verso la scienza e la tecnica che gli fece elaborare teorie personali e realizzare invenzioni in ambiti particolarmente eterogenei. La Seconda parte, Questioni di teoria musicale, è quella più pertinente con la figura di Schönberg come compositore, teorico e didatta ed è insieme quella che ha richiesto l’iter di definizione più sofferto, sebbene la decisione di accogliere o di escludere un testo sia sempre stata difficile. Tuttavia, è opportuno ricordare che per cogliere il pensiero di Schönberg è indispensabile fare interagire scritti di diversa destinazione e che, di conseguenza, i testi teorici di carattere generale di questa parte non esauriscono le questioni musicali che anzi percorrono trasversalmente tutte le parti e in particolare la quarta Vita, opere e pensiero. Va ricordato inoltre come Schönberg declini in maniera diversa le questioni musicali in base al contesto di ciascun intervento e non soltanto riprendendo un tema a distanza di anni. Quelle che nel suo progetto Schönberg prevedeva rispettivamente come seconda e terza sezione si trovano qui accorpate nella Terza parte, Questioni sociali. Si tratta di testi di importanza cruciale dal punto di vista storico-politico, soprattutto in relazione al momento della loro stesura, e di interventi determinati da circostanze biografiche, insieme con scritti dedicati a questioni economiche, alla situazione dei musicisti, al diritto d’autore e al ruolo della musica nella società civile. Mette conto ricordare che gli scritti raccolti da Schönberg nella categoria «Questioni ebraiche» (Jewish Affairs) attestano soltanto in parte la sua dedizione alla causa ebraica e vanno posti in relazione sia con la sua religiosità personale e sovraconfessionale sia con i testi per musica (da alcuni Lieder a Moses und Aron fino al Survivor), sia con il suo impegno concreto, non soltanto ideale o teorico, manifestato in particolare a favore di persone che vivevano in Europa nelle difficoltà del periodo nazista e del dopoguerra. La Quarta parte, Vita, opera e pensiero, potrebbe corrispondere, pars pro toto, all’intero volume e rende palese la mera funzionalità dell’articolazione in parti. Essa rispecchia la personalità dell’artista, quella unità tra vita e opera da lui stesso sostenuta a livello generale: «Sono molto orgoglioso dell’unitarietà dello spirito umano» (infra, p. 450). Comprende scritti nei quali Schönberg narra momenti della propria vicenda esistenziale, testi dedicati a proprie composizioni o originati dalla loro esecuzione, interventi ai quali era stato sollecitato (anche da richieste esplicite, come per le risposte a questionari) e pagine di carattere gene-


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rale ma nelle quali la sua personalità emerge prepotente (per esempio l’essenziale e idiosincratico «A tutti i miei critici», p. 522). Questa parte si completa con quella conclusiva, Testimonianze, che attesta il lato reattivo della personalità di Schönberg, con interventi che illuminano aspetti particolari del suo essere-nel-mondo, anche riguardo a rapporti personali e artistici ben noti e studiati. Essa corrisponde idealmente a quella cui Schönberg nella sua ipotesi sull’articolazione del «libro a venire» aveva assegnato il titolo «Compositori e artisti». Nella seconda metà del Novecento e nel nostro secolo la storia della musica ha dimostrato quanto il pensiero compositivo di Schönberg fosse fecondo e cruciale; anche i compositori meno inclini ad ammetterne il rilievo nella propria poetica hanno dovuto confrontarsi con le sue opere, le sue posizioni e le sue teorie. L’auspicio con il quale licenziamo questo lavoro è che esso contribuisca a dimostrare l’efficacia della sua attività nella sua interezza, come quella di un protagonista della storia recente, al quale la contemporaneità può rivolgersi con fiducia. Come in generale per ogni selezione e in particolare per le raccolte postume di scritti di Schönberg, anche questa scelta può sollevare obiezioni di varia natura, da quelle scientifiche a quelle legate al gusto e agli interessi personali. Tuttavia, essa è stata preparata con lo stesso orientamento ottimistico con il quale Schönberg guardava al futuro, per realizzare il suo auspicio di trovare il pieno riconoscimento della propria statura complessiva.

La diffusione italiana degli scritti di Schönberg Sono convinto che su Schönberg ci sia ancora molto molto da da scoprire. scoprire. L DALLAPICCOLA, Parole e musica UIGI DALLAPICCOLA, Parole e musica LUIGI

La ricezione italiana degli scritti di Schönberg è peculiare in primo luogo per la sua precocità rispetto a qualunque altra area linguistica, compresa quella tedesca. Mi è grato ricordare qui – con stima e affetto – Luigi Rognoni, per il ruolo d’eccezione che svolse sin dagli anni cinquanta nel diffondere la musica e il pensiero della Seconda scuola di Vienna sia nelle trasmissioni radiofoniche da lui curate sia nelle sue opere. Come ricorda Edoardo Sanguineti «… quando nel ’54 apparve Espressionismo e dodecafonia di Rognoni,17 parve un libro pionieristico, o poco ci mancava. Il guaio era che, anche per un pubblico di volenterosi amatori frequentanti i concerti, all’epoca, in buona sostanza, quel saggio, pionieristico lo era davvero».18 Anche grazie all’amicizia con René Leibowitz e Camillo Togni, alla partecipazione ai Ferienkurse di Darmstadt e alla


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conoscenza personale con la vedova Gertrud Schoenberg, Rognoni svolse in Italia un ruolo affine a quello che ebbero in Germania Josef Rufer, ex allievo di Schönberg, e Hans Heinz Stuckenschmidt, ma con risultati molto diversi. Oltre a scrivere sul Maestro, Rufer e Stuckenschmidt,19 come pure Adorno, avevano preso contatto con varie case editrici – come scrisse ciascuno di loro a Gertrud Schoenberg – senza riuscire a far pubblicare nulla, nemmeno la traduzione tedesca di Style and Idea, che dovette attendere fino al 1976 (quando apparve come prima parte di AS.SG); invece, il lettore italiano ebbe presto a disposizione sia la traduzione dall’inglese di Style and Idea (AS.SI 1960), a cura di Luigi Pestalozza e pubblicata in prima edizione con una prefazione di Rognoni, sia le maggiori opere teoriche di Schönberg, in particolare la Harmonielehre, uscita presso il Saggiatore nel 1963 e costantemente ristampata nella traduzione di Giacomo Manzoni.20 Il compositore milanese divenne per così dire il portavoce ufficiale di Schönberg in italiano, firmando la traduzione di tre ulteriori volumi teorico-didattici e soprattutto quella della raccolta Analisi e pratica musicale (AS.APM), una scelta di scritti sostanzialmente analoga a quella presentata da Ivan VojtÍch nella seconda parte di AS.SG.21 Anche l’intreccio tra Schönberg e Adorno, a sua volta autore al quale l’editoria italiana dedicò attenzione con grande anticipo rispetto ai paesi anglofoni, rimanda alle figure di Rognoni e Manzoni. Inoltre, negli anni sessanta Rognoni avrebbe voluto pubblicare vari volumi di scritti di Schönberg e avviò contatti in tal senso con gli eredi del compositore, la Universal Edition di Vienna e alcuni editori italiani, che sfociarono nel 1967 nell’edizione dei Testi poetici e drammatici e, nel 1969, in quella delle lettere.22 Fino al 1974, quando le celebrazioni in occasione del centenario della nascita risvegliarono attenzione verso Schönberg, l’Italia era il paese nel quale i suoi scritti avevano la maggiore diffusione assoluta. La distanza tra le precedenti edizioni italiane di scritti di Schönberg e la nostra consiste palesemente nell’ampiezza del volume, ma la frase di Dallapiccola posta come esergo permane valida dopo decenni: il confronto con la figura e l’opera di Schönberg attraverso la sua opera letteraria è una fonte inesauribile di riflessioni e suggestioni per lo specialista e il profano, per il musicista e lo storico, per l’interprete, il linguista e il filosofo e le seimila pagine dei suoi testi donano spazio per raccolte ulteriori, magari tematiche. Le differenze nella versione italiana rispetto a scritti già presentati in AS.SI 1960 e AS.APM derivano da diverse scelte terminologiche e stilistiche, ma rimandano per lo più alla diversità dei testi originali tedeschi o inglesi sui quali si basa la traduzione: il lavoro condotto sulle fonti ha portato in molti casi a scegliere per la traduzione stesure diverse da quelle usate in quei volumi.


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Compiti del traduttore La vera traduzione è trasparente, non copre l’originale, non gli fa ombra ma lascia che la lingua pura, quasi rafforzata dal proprio mezzo, cali interamente sull’originale. WALTER BENJAMIN, Il compito del traduttore

Tra «libertà della restituzione sensata e, al suo servizio, fedeltà alla parola – termini tradizionali della discussione sulla traduzione»,23 abbiamo spesso privilegiato la fedeltà, sull’esempio dell’autore che a sua volta ha dovuto affrontare «il compito del traduttore» per i saggi redatti in tedesco e rielaborati in inglese. Le sue scelte, letteralmente «autorevoli», ci hanno aiutato a definire il lessico italiano, soprattutto per la terminologia musicale, formulata ex novo rispetto a quella di precedenti traduzioni italiane e mantenuta uniforme nel tradurre dal tedesco e dall’inglese, sulla base delle decisioni interlinguistiche di Schönberg. Alcune scelte terminologiche meritano qualche osservazione, a cominciare dalla parola Gedanke resa con «pensiero» sin dal titolo di questo volume, coerentemente con l’impostazione e l’obiettivo ambiziosi del trattato incompiuto sul pensiero musicale, di cui si presentano qui – per la prima volta in italiano – numerose pagine. Per tradurre Gedanke in inglese Schönberg adottò il termine idea, certamente più immediato di altre opzioni in quella lingua; a sua volta idea fu tradotto in italiano con «idea», termine qui riservato invece al tedesco Idee con la sua diversa valenza concettuale. La nostra scelta di ricondurre idea a «pensiero», anche nei testi tradotti dall’inglese, è emblematica del modo in cui abbiamo affrontato «il compito del traduttore». Inoltre, siamo giunti alla conclusione che l’espressione «variazione in sviluppo» fosse quella più opportuna tra le varie possibilità diffuse in italiano (anche nei riferimenti a Schönberg presenti nella letteratura non specialistica), sebbene essa manchi dell’agilità che connota l’originale, sia nel tedesco entwickelnde Variation sia nell’inglese developing variation.24 Abbiamo mantenuto il termine originale Gestalt (e conseguentemente Grundgestalt), per evitare che la possibile resa con «forma» generasse fraintendimenti con la forma musicale e la problematica teorica della Formenlehre (qui «dottrina» e non «teoria» della forma, come per ogni altra Lehre). Teniamo a osservare che abbiamo usato soltanto eccezionalmente il termine «struttura» per evitare di attribuire a Schönberg, in un percorso antistorico, consuetudini linguistiche diffusesi negli anni cinquanta, dopo la sua morte. In varie circostanze questa rinuncia terminologica ha sottratto scorrevolezza al testo, ma ha aggiunto fedeltà; per esempio, sarebbe stato facile sciogliere in «strutturale»


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l’aggettivo zusammenhangbildend che abbiamo invece reso con «costitutivo di nesso», in analogia con il termine «nesso», scelto per Zusammenhang (connective oppure coherence nell’inglese dell’autore – all’origine di erronee e fuorvianti traduzioni con «coerenza»). I termini «connessione» o «collegamento» rimandano invece a Verbindung e alle relative declinazioni aggettivali e verbali. Le scelte terminologiche sono state ampiamente discusse con Pietro Cavallotti, che ha tradotto i testi dal tedesco, con l’eccezione di quelli alle pp. 271-319 e 381-413 affidati a Francesco Finocchiaro. Ho tradotto personalmente i testi dall’inglese, coordinato il lavoro e riveduto l’insieme.

Criteri editoriali Le fonti sono rispettate sia nella stesura sia nella conformazione grafica, riproducendo le sottolineature semplici e doppie e i caratteri spaziati. Il corsivo è stato inserito editorialmente per i titoli di composizioni e di libri, oltre al consueto utilizzo per i termini stranieri. Le parentesi quadre indicano sempre miei interventi come curatrice. La successione dei testi è cronologica all’interno di ciascuna parte. Tuttavia, in alcuni casi si sono raggruppati sotto lo stesso titolo documenti lontani nel tempo ma relativi allo stesso tema o allo stesso personaggio, in modo da permettere uno sguardo trasversale. Ciascuno scritto è presentato nella versione scelta in base a criteri oggettivi di completezza e di attendibilità. Si sono indicate in nota le varianti maggiori rispetto ad altre versioni se significative per l’intelligenza del testo e del pensiero, in particolare quando il passaggio da manoscritto a dattiloscritto non risultava accurato. Soltanto per la «Conferenza su Gustav Mahler» – per il rilievo attribuito da Schönberg a questo testo e per l’importanza particolare di Mahler, una «stella fissa» nel suo pensiero – si sono riportate in nota le varianti dal manoscritto del 1912. Gli esempi musicali sono stati realizzati da Pietro Cavallotti in base al confronto tra gli autografi, la prima pubblicazione e le edizioni critiche. Le informazioni fornite nei commenti alla fine di ogni scritto riguardano in primo luogo la fonte utilizzata: si tratta, con poche eccezioni, di materiale del lascito conservato a Vienna presso l’Arnold Schönberg Center (ASC). Se la collocazione è seguita da un numero romano tra parentesi, quest’ultimo identifica la versione scelta tra quelle conservate con la stessa segnatura. Sono indicate inoltre la categoria assegnata a ciascun testo da Schönberg nella propria attività di ordinamento e classificazione e il relativo numero; la mancata attribuzione da parte dell’autore è indicata con deest. Per gli scritti della categoria Gedruckte Aufsätze


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(testi pubblicati in vita) si forniscono i riferimenti bibliografici della sola edizione sulla quale è stata condotta la traduzione (in genere, la prima). Le note in fondo al volume intendono favorire la comprensione del contesto, esplicitare i riferimenti e integrare le affermazioni con quelle formulate in altra sede, spesso in documenti epistolari inediti, senza pretese di esaustività.

Ringraziamenti Esprimo la mia affettuosa gratitudine alla famiglia Schoenberg e soprattutto a Nuria Schoenberg Nono, profonda conoscitrice del lascito di suo padre, indispensabile per la realizzazione di questo libro e prodiga di consigli preziosi, come in tutte le occasioni in cui abbiamo avuto modo di collaborare. Ringrazio inoltre Ivan VojtÍch per il suo fiducioso sostegno e Therese Muxeneder con lo staff di ASC per la loro disponibilità. Luca Formenton è stato messo a parte di questo progetto sin dal suo avvio, lo ha accolto con entusiasmo e ne ha seguito il decorso con l’orgoglio di definirsi «editore italiano di Schönberg», sull’esempio dello zio Alberto Mondadori. A Luca, a Paola Sala e agli amici della casa editrice il mio grazie affettuoso, insieme con Daniela Oldani che ha curato con perizia l’impaginazione. Per l’aiuto generoso sul piano linguistico sono grata a Elisabeth Hüffer Rossi, Burkhard Bartsch e Joan A. Smith. Insieme con loro, ringrazio i tanti amici che mi sono stati vicini sia sul piano umano sia su quello scientifico, in particolare Gianmario Borio, Anna Camposampiero, Alessandro Dal Lago, Serena Giordano, Michele Girardi, Giuliano Sacchi e Patrizia Ventura; un pensiero speciale a Pietro Tonolini con Michi. Dedico il mio lavoro a Nuvola e Otto, compagni di vita.


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