GOVERNO CIALTRONE?
PRIMI GLI ITALIANI !
“Fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione” Amici Miei Atto II, Monicelli 1982
Una temeraria intuizione, insomma, un vuoto legislativo e la voglia di passar dalle parole ai fatti. Nel paese dei cervelli in fuga, nel paese più vecchio del continente, quelli che restano devono aver un provato talento cristallino se, dal nulla e diventando precursori europei, sono riusciti a creare un’industria fiorente ed in continuo sviluppo. Un’industria che ha preso piede ed è stata esportata, un’industria che ha colmato i bisogni di migliaia di cittadini, anticipando il mercato farmaceutico e sottraendo proventi alla criminalità organizzata. “Prima gli italiani” ci dice il Governo.
www.cimedimontagna.it
Questo slogan è stato applicato dagli imprenditori nostrani ed ha funzionato. Gli italiani sono stati i primi a pensare che i fiori di CBD ed i suoi derivati potessero avere un mercato ed hanno fatto scuola, anche all’estero.
Adesso però, la scuola, l’Università, la filiera del CBD, un Governo costituito da cialtroni limpidissimi ha deciso, univocamente, di chiuderla. Per quale motivo? Non si sa.
Ma, soprattutto, alla luce di questo agire, cosa resta del tanto invocato mantra nazional-popolare?
Cosa resta del: “Prima gli italiani”?
Secondo le associazioni del settore, il comparto della canapa industriale conta circa 3000 aziende che offrono stabilmente lavoro a oltre 10.000 persone, al netto degli oltre 20.000 lavoratori stagionali impiegati durante la raccolta. Il volume d’affari supera i 500 milioni di euro, dei quali circa 150 all’anno vanno alle casse dello Stato.
Queste imprese creano posti di lavoro a tutte le latitudini della nazione ed impiegano soprattutto
under 35 anni, il cui tasso d’occupazione in Italia è del 45%, percentuale più bassa d’Europa con una media del 58,6% . Alla luce di questi dati, andare e mettere il bastone fra le ruote di questa giovane filiera, invece di sostenerla, non rappresenta un crimine politico efferatissimo?
Il diritto dell’Unione europea postula con chiarezza che un prodotto venduto legalmente in uno dei paesi membri non possa essere vietato in nessuno degli stessi, se non per motivi di salute pubblica che, in questo caso, a forza di ripetute esternazioni dell’Organizzazione Mondiale della Salute, evidentemente non sussistono. Il diritto amministrativo italico ribadisce con insistenza che la molecola di CBD non sia psicotropa e che quindi non debba essere normata in quanto tale.
Perché allora procedere comunque ed in bando ad ogni legittimo margine di manovra giuridico?
Ora, che l’attuale Governo avesse problemi con il diritto europeo e con i diritti civili, lo si poteva immaginare e sin dalle elezioni che lo hanno instaurato a Palazzo Chigi. Ma questo Governo ha problemi con il diritto in generale. Un Governo
di questa fibra, dove la Lega gioca a destra di Fratelli D’Italia e dove Forza Italia brilla come forza moderata, ha nel DNA un netto antagonismo con l’Unione Europea dei “tecnocrati”.
Ma siamo così sicuri che i tanto vituperati tecnocrati europei siano peggio dei cialtroni de noantri?
Non per cattiveria, ma un cialtrone è chi non sa fare il proprio lavoro. Cialtrone è chi proclama urbis et orbis: “ Prima gli italiani” e poi è il primo si, ma a penalizzarli...cialtrone è chi se la prende con il diritto europeo accusandolo di privare l’Italia della propria sovranità legislativa e poi viene contraddetto dall’italianissimo TAR che conferma quanto prescritto dall’Europa.
Tutto quanto premesso, siamo profondamente convinti che le colpe dei padri non debbano ricadere sui figli e nessun amante del diritto potrà, esimersi da quest’affermazione. Per questo motivo vogliamo chiedere al Premier Meloni di non indugiare nel paternalismo di un Governo che dovrebbe avere nella popolazione che dirige i suoi più amati figli.
Un Governo a cui chiediamo fortemente di abbandonare questa strada strampalata, in opposizione ad ogni realtà scientifica e ad ogni contesto legislativo, perché se nessuno rinfaccia al Premier Meloni, come è sacrosanto che sia, il percorso di un padre, condannato per traffico di haschich, nemmeno il suo esecutivo dovrebbe, secondo la medesima attitudine, immischiarsi in quanto di meglio i suoi figli imprenditori hanno saputo creare senza necessità d’interferenze ideologicamente connotate.
Libera cannabis in libero Stato!
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Fermented Plant Juices
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Introduzione all ‘maeroponica
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Una delizia estremamente potente e gustosa
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Intervista con un selezionatore top
Soft Secrets ha parlato con James Loud
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Perfect Grow torna con la seconda stagione
Qual è il posto più bello su Internet per imparare a coltivare la cannabis a casa? Dev’essere la serie Perfect Grow di Soft Secrets. La seconda stagione di questo programma speciale dedicato alla coltivazione è pronta a partire il 1° novembre. I nostri lettori e follower possono prepararsi a vedere otto puntate nuove di zecca con il coltivatore professionista Max Majot di Royal Queen Seeds, a cui si unirà anche il misterioso coltivatore alle prime armi Thijn. Chi di loro riuscirà a coltivare le cime più grandi? Dovrete guardare tutte e otto le puntate fino alla fine per scoprirlo.
La prima stagione della serie Perfect Grow di Soft Secrets ha avuto come protagonista il coltivatore professionista Drew Anger ed è andata in onda a gennaio e febbraio 2023. La stagione è stata girata in Canada e ha trattato le basi della coltivazione della cannabis. Drew ha condiviso conoscenze preziose e pratiche con i coltivatori alle prime armi su come avviare una piantina e su come prendersi cura della giovane pianta durante la fase vegetativa e, successivamente, durante la fioritura. La stagione si è conclusa con alcuni speciali su come raccogliere e conciare cime di cannabis di alta qualità. Ora, a distanza di quasi due anni, la serie è tornata. Questa volta la stagione è stata girata in Thailandia. Un coltivatore alle prime armi e un esperto navigato formano l’accoppiata perfetta: non vediamo l’ora di sapere chi tra i due coltiverà le cime migliori. L’esperto in questione è Max di Royal Queen Seeds, che aveva fatto qualche apparizione nella prima stagione di Perfect Grow e che ora è parte integrante della nuova serie. La sua missione è quella trasmettere la sua saggezza nell’ambito della coltivazione al collega coltivatore alle prime armi Thijn, ma anche al pubblico di tutto il mondo.
Cosa fa la coppia nel primo episodio? Allestiscono una piccola tenda da coltivazione 1x1 nel fantastico spazio del dispensario di Royal Queen Seeds a Bangkok. Tutto ciò che viene venduto nel dispensario viene praticamente coltivato al suo interno. Max illustra anche l’attrezzatura di base necessaria per installare una tenda. Grazie alle diverse opzioni presentate, i coltivatori possono farsi un’idea di come potrebbe andare il loro progetto di coltivazione a seconda del tipo di attrezzatura scelta, in base al rispettivo budget.
Mentre stanno per iniziare il loro speciale viaggio nel mondo della coltivazione in Thailandia, Max e Thijn ricevono le stesse tende da coltivazione nella prima puntata. Con un budget di circa 1000 dollari, è possibile predisporre una buona tenda da coltivazione in grado di contenere l’odore pungente dell’erba e di far crescere una pianta sana e vigorosa.
Per montare una tenda ci vogliono 30-60 minuti, finché non si capisce il rispettivo schema. In seguito è necessario aggiungere alcuni dispositivi per renderla completamente funzionante, come rulli, LED, condotti, colletti, un piccolo ventilatore, un filtro a carbone, ecc. Tutti questi elementi si possono trovare a prezzi compresi tra i 50 e i 200 dollari, mentre una buona tenda da coltivazione è in vendita a prezzi compresi tra i 500 e i 1000 dollari.
Max prosegue condividendo alcuni dei primi preziosi consigli che ogni coltivatore potrebbe trovare utili, soprattutto chi è alle prime armi in questa attività ricreativa.
SELEZIONE DI 5 DRITTE PER LA COLTIVAZIONE TRATTE DALLA
PUNTATA 01, STAGIONE 02 DI PERFECT GROW
NON SCEGLIETE MAI LA TENDA DA COLTIVAZIONE PIÙ ECONOMICA
Anche se per la vostra tenda da coltivazione avete un budget limitato, non scegliete mai il modello più economico disponibile. Il motivo? Perché è facile che vi capiti un modello prodotto con molta plastica scadente. La plastica scadente potrebbe costituire un problema se si utilizzano luci che emettono raggi UV contro di essa, che a loro volta potrebbero avvelenare le piante. È quindi importante scegliere una tenda
da coltivazione che abbia elementi in plastica di qualità decente.
VERIFICATE CHE L’ATTREZZATURA FUNZIONI PRIMA D’INSTALLARLA
Qualunque sia la vostra attrezzatura, è meglio verificare che funzioni prima di appenderla o di metterla da qualche parte nella tenda, dice Max a un certo punto del video. Perché a volte si riceve materiale per posta e c’è sempre la possibilità che si sia rotto qualcosa o che qualche elemento semplicemente non funzioni. Poiché è meglio non installare qualcosa che non funziona, ovviamente, vale la pena testarlo prima di farlo. I test dovrebbero essere effettuati su varie componenti dell’attrezzatura, come le luci LED, le ventole, i filtri a carbone e altro ancora.
ASSICURATEVI CHE OGNI ELEMENTO DELL’ATTREZZATURA SIA BEN SALDO NELLA TENDA DA COLTIVAZIONE
Una volta che è stato collegato tutto nella tenda da coltivazione, assicuratevi di averlo posizionato e fissato correttamente. Non è il caso di spostare gli elementi dell’attrezzatura quando si ha già una pianta nella tenda. Collegare i condotti può rivelarsi difficoltoso se lo si fa per la prima volta, ma è davvero importante effettuare questo passaggio in modo corretto. Installate le luci da coltivazione dopo aver terminato la canalizzazione.
SCEGLIETE LUCI LED AD ALTA EFFICIENZA
È facile trovare LED più economici sui siti come Amazon. Per 100 dollari, se si rimane in fascia bassa, a volte queste luci producono più calore che luce, ma è comunque possibile coltivare
una buona pianta anche in queste condizioni. L’intera procedura sarebbe comunque molto più semplice utilizzando una luce LED ad alta efficienza. Una marca come Lumatek può partire da circa 700 euro, ma offre alcuni vantaggi in più, come la luce a spettro completo, la dimmerabilità e la controllabilità al 100%, il che la rende estremamente comoda per coltivare. Ben installata significa che la luce da coltivazione si trova a 60 centimetri di distanza al di sopra della chioma.
NON
SOTTOVALUTATE
L’IMPORTANZA DEI VENTILATORI CON CLIP
Se la pianta non si muove mai, potrebbe diventare pigra, il che non è naturale per la cannabis. È quindi importante imitare alcuni elementi dell’ambiente esterno e i ventilatori con clip possono sicuramente esservi d’aiuto in questo. I ventilatori con clip sono un ottimo sostituto del vento. Le piante che si muovono ogni giorno sviluppano uno stelo forte che può far crescere una grossa cima e può effettivamente sostenerla. Al contrario, le piante pigre con steli deboli s’inclineranno verso un lato. Anche i ventilatori miscelano l’aria. La parte superiore e la parte inferiore della tenda da coltivazione avranno temperature e umidità diverse. Con i ventilatori è più facile regolare questa differenza e produrre un ambiente migliore per le piante di cannabis.
È tutta qui la prima puntata della nuova stagione di Perfect Grow? Naturalmente no. Potrete sicuramente trovarvi altri utili consigli sulla coltivazione della vostra cannabis. Scansionate il codice QR qui sotto con il vostro dispositivo mobile e approderete direttamente al canale YouTube di Soft Secrets, dove la puntata vive già di vita propria su Internet.
Cosa aspettarsi nel resto della serie? Perfect Grow S2 prevede puntate speciali su come evitare e controllare malattie o contaminazioni in una tenda da coltivazione. Un altro video riguarda la modalità di scelta dei semi e del terreno perfetti per la vostra coltivazione domestica.
Oppure potreste essere più interessati a ricevere nuovi consigli su come potare le piante di cannabis e su quali errori evitare durante il training. E molto altro ancora!
Testo e immagini: Derrick Bergman / Gonzo Media
PAESI BASSI: SEMPRE MENO AZIENDE AGRICOLE PRODUCONO CANNABIS, SEMPRE PIÙ CANNABIS ESTERA
Negli ultimi anni, il numero di coltivazioni illegali di cannabis sequestrate dalla polizia olandese è diminuito drasticamente. Nel 2014 sono state fatte chiudere 5.294 piantagioni, nel 2023 sono state solo 1.230, il che rappresenta un calo del 76%. Come si spiega questo dato? E quali sono le conseguenze per i famosi coffee shop olandesi?
“Nessuno vuole più l’erba olandese”, recitava il cinico titolo di un media olandese accanto a un articolo su un rapporto della polizia relativo ai reati legati alla droga nei Paesi Bassi. “C’è stato un aumento dell’importazione e del transito di cannabis estera nei Paesi Bassi”, riferiva il rapporto. “La coltivazione organizzata di cannabis è diminuita nei Paesi Bassi e i mercati esteri hanno bisogno di meno cannabis olandese. La coltivazione di cannabis olandese sembra aver perso importanza in Europa”.
Il rapporto sottolinea anche come sia difficile spiegare le cause del calo della domanda. Il motivo principale sembra essere l’incremento delle importazioni di cannabis dall’estero. Prima di tutto dalla Spagna. Nel 2022, l’81% di tutta la cannabis intercettata in Europa è stata sequestrata in Spagna.
“Ci sono segnali”, si legge nel rapporto, “secondo cui la cannabis olandese non può competere con i prezzi della cannabis coltivata in Spagna. Questo la dice lunga anche sulla qualità dell’erba proveniente dalla Spagna. Oltre all’erba spagnola, anche quella proveniente da Stati Uniti, Canada
e Thailandia viene importata - illegalmente - nei Paesi Bassi, attraverso gli aeroporti, il porto di Rotterdam e via posta”.
L’imprenditore di coffee shop Edwin conferma che l’offerta di cannabis coltivata localmente è sempre più scarsa. “La cannabis olandese scarseggia sempre di più, soprattutto per quanto riguarda la coltivazione su larga scala. Questa è stata in gran parte trasferita in Spagna, fra gli altri Paesi. Ci sono ancora alcuni piccoli coltivatori attivi, ma si concentrano su varietà esclusive. Non sono molti”. Edwin ha anche visto aumentare l’offerta di erba canadese e californiana. “Sì, assolutamente. La qualità varia da scarsa a ottima. Molta di questa proviene dal Canada e sospetto che anche buona parte dei cosiddetti prodotti USA provenga in realtà dal Canada”.
Le leggi della domanda e dell’offerta, tuttavia, non sembrano applicarsi all’erba californiana. C’è molta scelta, ma i prezzi nei coffee shop sono estremamente elevati e possono arrivare fino a 30 euro al grammo.
Edwin ha una spiegazione per questo fenomeno: “Questa cannabis arriva nei Paesi Bassi in grandi quantità, ma spesso e volentieri viene anche intercettata in quantità notevoli. Il mancato guadagno si ripercuote sulle partite che superano i controlli, il che fa lievitare il prezzo. E ho la sensazione che con alcuni marchi si vadano a pagare anche diversi ‘costi di marketing’ ”. Una cosa di tendenza ha semplicemente un prezzo più elevato. Proprio come nel caso dell’abbigliamento firmato”.
Secondo le stime di Edwin, circa la metà dell’erba presente nel menu del suo coffee shop è di origine estera, mentre il 40% è olandese. “Ne sono comunque felice, perché al giorno d’oggi ci sono molte varietà particolarmente belle provenienti dall’estero. Basti pensare al Sudafrica, alla Thailandia e naturalmente alla Spagna. Se riuscite
a selezionare in base alla qualità, potete davvero inserire delle perle nel vostro menu”.
È ormai chiaro da tempo che l’Olanda ha perso la sua posizione pionieristica nell’ambito della cannabis a livello internazionale. A causa della famigerata “Legge sui Growshop” del 2016, ne rimangono davvero pochissimi. Il business si è spostato online. Secondo un rapporto della polizia, tra il 2020 e il 2023 sono stati chiusi in totale 29 growshop, soprattutto all’Aia. Diverse aziende di semi olandesi si sono trasferite in Spagna e l’edizione olandese di Soft Secrets ha chiuso nel 2014, per mancanza di inserzionisti.
Roger Willemsen, titolare del grow shop Organic Earth di Maastricht, riassume la situazione come segue: “Quasi tutti i grow shop del Limburgo sono scomparsi. I grossisti si lamentano e i principali attori del mercato sono stati sostituiti da produt-
tori spagnoli e canadesi. Molti olandesi si sono trasferiti in Spagna e negli ultimi anni la qualità è migliorata in modo davvero notevole. Negli ultimi due anni, gran parte della cannabis disponibile in Europa è arrivata dal Canada”.
Il tempo in cui la Nederwiet dominava il mercato dell’Europa occidentale è ormai andato. “L’erba olandese sembra essere diventata un prodotto meno popolare nei Paesi vicini”, si legge nel rapporto della polizia. “Gli esperti dell’Ufficio Federale Criminale tedesco sottolineano come l’erba olandese non sia un prodotto importante a livello di esportazione nel loro Paese. Il mercato tedesco della cannabis viene rifornito mediante le rispettive coltivazioni di canapa, attraverso l’importazione di cannabis dalla Spagna e dal Nord America, fra gli altri Paesi, e di hashish dal Nord Africa. Una situazione simile si riscontra anche in Belgio”.
FERMENTED PLANT JUICES
Cosa sono e come farli
I growers di marijuana che abbracciano le tecniche di coltivazione biologica sono in continuo aumento e i motivi che influenzano questa tendenza sono molteplici.
Sicuramente sia i consumatori di cannabis che i coltivatori stanno sviluppando una maggiore consapevolezza in materia di salute e ambiente ma anche una maggiore richiesta di prodotti come infiorescenze ed estrazioni di qualità ogni volta migliori gioca il suo peso.
La marijuana coltivata con metodi affini all’agricoltura organica risulta possedere qualità organolettiche di gran lunga superiori in comparazione con le infiorescenze coltivate impiegando i classici fertilizzanti di sintesi.
Uno dei metodi di coltivazione biologica attualmente più diffusi è il Korean Natural Farming, o KNF, un insieme di pratiche agricole che si basano sulla cura del suolo, la proliferazione dei microrganismi benefici autoctoni e sull’impiego di rifiuti agricoli riciclati. Due importanti alleati del KNF sono i succhi fermentati di piante oppure di frutta, rispettivamente denominati FPJ ed FFJ.
FERMENTED JUICES
I succhi fermentati sono degli estratti liquidi ricchi di sostanze nutritive, enzimi, microrganismi e numerosi fitocomposti benefici. L’estrazione avviene per mezzo di un processo di fermentazione di piante e frutti differenti in combinazione con lo zucchero di canna.
I succhi fermentati sono considerati come degli ammendanti più che dei fertilizzanti per via del basso contenuto di micro e macro nutrienti, sebbene forniscano un contributo nutrizionale importante i veri benefici derivano dal lavoro svolto dai microrganismi.
Alcuni studi hanno messo in evidenza la presenza di funghi e batteri in grado di solubilizzare e mineralizzare diversi elementi come il fosforo, l’azoto, il potassio e lo zinco rendendogli disponibili per le piante.
Inoltre questo genere di microrganismi benefici sono in grado di accelerare la decomposizione della materia organica, inibire l’attività degli agenti patogeni, incrementare
i processi di fotosintesi e stimolare la crescita delle piante, con il risultato di aumentare la resa e la qualità del prodotto finale.
FERMENTED PLANT JUICE
Gli FPJ sono degli estratti fermentati di piante, ricchi di enzimi e di ormoni della crescita come le auxine e sono adatti soprattutto alla fase vegetativa. Sono un ottimo stimolatore della crescita. Risultano essere molto efficaci nella solubilizzazione del fosforo e del potassio, due elementi che hanno bisogno di essere trasformati in forme solubili per poter essere assimilati dalle piante. Le piante richiedono grandi quantità di questi elementi che spesso sono presenti nel substrato ma rimangono bloccati in forme insolubili.
Per realizzare un FPJ si possono utilizzare una vasta varietà di vegetali come l’artemisia, gli spinaci d’acqua, l’ortica, i germogli di bambù, l’amaranto e tutte quelle piante ritenute ricche di sostanze nutritive. Si incentiva l’impiego di piante locali anche in funzione del fatto che gli estratti vanno realizzati con parti di piante fresche.
FERMENTED FRUIT JUICE
Gli FFJ sono degli estratti fermentati ricavati in questo caso da frutta di vario tipo,
sono adatti più adatti alla fase di fioritura, contengono grandi quantità di potassio, un elemento nutritivo di vitale importanza per le piante, che richiedono in grandi quantità soprattutto nelle settimane finali di questa fase. Inoltre gli FFJ risultano essere ricchi di microrganismi in grado di solubilizzare il fosforo, anch’esso un elemento importantissimo durante l’intera fase di fioritura.
Gli FFJ si possono realizzare con qualsiasi frutta dolce come le banane, la papaya, il mango, il melone, l’avocado e la mela.
COME FARE UN SUCCO FERMENTATO
Per realizzare un estratto fermentato di piante oppure di frutta sono necessari i seguenti materiali:
• 1kg frutta/piante fresche
• 1kg zucchero di canna biologico
• tagliere
• coltello
• contenitore di argilla o vetro da 5 litri
• contenitore di vetro da 2 litri
• mestolo
• garza
• colino/setaccio
Innanzitutto tagliare i vegetali in piccoli cubetti e cospargergli con circa la metà della quantità di zucchero di canna definito all’inizio del procedimento.
Amalgamare omogeneamente gli ingredienti e versargli all’interno del contenitore da 5 litri. Aggiungere il resto del quantitativo di
zucchero di canna alla miscela preparata e mescolarla con l’ausilio del mestolo.
Chiudere il contenitore con una garza in modo che il contenuto sia protetto da possibili contaminazioni e permetta allo stesso tempo il passaggio dell’aria. Il processo di fermentazione dura dai 4 ai 7 giorni e varia in base alla temperatura dell’ambiente in cui viene eseguita l’estrazione.
Al termine di questo processo si ottiene un liquido che deve essere filtrato dalla materia vegetale; quindi posizionare il colino sulla bocca del contenitore da 2 litri e versare al suo interno il liquido che si trova nel contenitore più grande.
L’estratto ottenuto è un succo fermentato in piena regola. Da questo procedimento è stato ricavato circa 1 litro di estratto fermentato.
APPLICAZIONE
FPJ e FFJ si possono applicare alle piante aggiungendogli semplicemente all’acqua di irrigazione oppure come spray fogliare. Le dosi consigliate per la fertirrigazione sono di 1:10 cioè ad ogni litro d’acqua si aggiungono 100 millilitri di succo fermentato. Mentre per le applicazioni fogliari è consigliato utilizzare da 2 a 5 millilitri di FFJ o FPJ per ogni litro d’acqua.
CONSERVAZIONE
Gli estratti fermentati si possono conservare fino ad un periodo di 12 mesi purché sia in luogo buio e fresco.
KOREAN NATURAL FARMING
Il KNF è stato fondato dal maestro Cho Hankyu negli anni ‘60, dopo aver vissuto per tre anni in Giappone come studente ricercatore nel settore agricolo e appreso i metodi locali di agricoltura naturale è ritornato in Corea dove ha messo insieme le pratiche tradizionali del suo paese con le conoscenze apprese durante il suo viaggio. Il KNF fa riferimento agli antichi saperi nel campo dell’agricoltura tipici delle aree rurali di Giappone, Cina e Corea.
Report
Di Fabrizio Dentini
Al Medioevo italiano risponde l’Illuminismo tedesco Cannabis al volante
“Se ti stronchi di canne e ti metti al volante, lucido si, lucido no, ti ritiro la patente e, fino a tre anni, la patente non la rivedi più.” Matteo Salvini durante la conferenza stampa di presentazione del disegno di legge sulla sicurezza stradale approvato alla Camera ed attualmente in discussione al Senato della Repubblica.
Mentre in Italia secondo i progetti di Matteo Salvini, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, sarà punibile, a prescindere dallo stato di alterazione psico-fisica, guidare avendo assunto droghe e la positività al test rapido farà scattare immediatamente il ritiro della patente e il divieto di conseguirla per tre anni, in Germania, prima di procedere all‘esame ematico ed in seguito al controllo delle urine (che avviene su strada), le forze dell‘ordine sono formate per eseguire test psico-attitudinali sul luogo del controllo e, in caso d‘ulteriore dubbio, dalla scorsa estate, è stato introdotto un limite massimo di concentrazione di THC nel siero sanguigno all‘interno del quale il conducente non è considerato pericoloso per la circolazione stradale.
Insomma, due strade speculari per garantire la sicurezza stradale. Quale delle due si rivelerà più efficace?
Se l‘obbiettivo è ridurre gli incidenti perché togliere la patente anche se lo stato d‘ alterazione al volante sembra non interessare più al legislatore?
Incuriositi da un codice stradale che prevede la possibilità di avere nel proprio sangue un certo livello di THC, senza considerarlo problematico per la sicurezza stradale, abbiamo contattato Hanna Büddicker, portavoce del “Bundesministerium für Digitales und Verkehr” il Ministro dei Trasporti teutonico, per domandare qualche delucidazione in merito.
Qual era il precedente contesto legale?
Finora nella legge sulla circolazione stradale non esisteva un limite legale per il THC, bensì un limite di rilevamento analitico di 1 ng/ ml di THC nel siero sanguigno basato sulla giurisprudenza.
Su quali basi è stato stabilito il nuovo limite di 3,5 ng/ml di THC
di età inferiore ai 21 anni. Una violazione del divieto di cannabis al volante per i principianti e i giovani conducenti può condurre a fino 1.000 euro di multa.
La tariffa standard è una multa di 250 euro. Un‘altra conseguenza sono due punti nel registro dell‘idoneità alla guida.
Ma non sussiste alcun divieto di circolazione.
E per quanto riguarda invece il consumo di alcol congiunto a quello di cannabis?
Per far fronte al rischio particolare rappresentato dal consumo misto di alcol e cannabis, per i consumatori di cannabis esiste il divieto assoluto di guidare in stato di ebbrezza.
Se un conducente supera la soglia di concentrazione consentita, quali conseguenze deve affrontare?
La violazione del limite di THC di 3,5 ng/ml nel siero sanguigno può essere punita con una multa da 500 euro, tariffa standard, fino a 3.000 euro
nel sangue e su quali ragioni scientifiche si poggia questo specifico limite?
Con la prescrizione di 3,5 ng/ml di THC nel siero sanguigno è stata seguita la raccomandazione di un gruppo di lavoro indipendente e interdisciplinare di esperti provenienti dai settori della medicina, del diritto, della circolazione stradale e dalla polizia.
Questo limite è stato determinato sulla base di studi sperimentali riconosciuti a livello internazionale e non si applica solo al rischio di incidenti, ma anche alla compromissione delle prestazioni al volante.
Secondo gli esperti il valore limite di 3,5 ng/ml di THC nel siero sanguigno stabilito dall‘art. 24a del StVG [Ndr. Straßenverkehrsgesetz il Codice Stradale tedesco] rappresenta un approccio il cui livello è paragonabile a quello d‘un tasso alcolico dello 0.2 per mille [Ndr. Il livello consentito in Italia è pari a 0.5g/l].
Secondo lo stato attuale della scienza, se questo valore limite di THC viene raggiunto,
non è da escludere remotamente un effetto sulla sicurezza stradale durante la guida di un veicolo a motore, ma è ben al di sotto della soglia dalla quale comincia un rischio generale di incidenti.
La quantità di metaboliti della cannabis presenti nel sangue varia in relazione al metabolismo e alla frequenza di consumo.
Date queste premesse, perché il limite stabilito è considerato sicuro e valido per tutti?
Si fa riferimento alle raccomandazioni del gruppo di lavoro degli esperti.
Per quanto riguarda i neopatentati quale politica è stata scelta a riguardo?
Vige il divieto assoluto di cannabis al volante per i neopatentati e per i giovani guidatori
Inoltre, da regolamento, deve essere applicato un divieto di circolazione [Ndr. sino a quanto la concentrazione non scende sotto il livello tollerato] e devono essere iscritti due punti nel registro dell‘idoneità alla guida.
Chiunque guidi con una concentrazione di THC pari o superiore a 3,5 ng/ml nel siero e consumi una bevanda alcolica, oppure guidi sotto l‘influenza di una bevanda alcolica (consumo misto), commette un reato amministrativo ai sensi dell‘articolo 24a comma 2a StVG, che può essere punito con una multa fino da 1000 euro, tariffa standard, a 5.000 euro.
Questo limite è lo stesso in tutta la Germania o i Länder hanno possibilità d‘abbassarlo?
Le disposizioni valgono su tutto il territorio nazionale. I Länder [Ndr. Le nostre Regioni] non hanno la possibilità di emanare normative che si discostino da questo.
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Di Dott. Davide Calzolari
INTRODUZIONE ALL ‘MAEROPONICA
La coltivazione aeroponica comprende un insieme di tecniche che stanno rivoluzionando in maniera radicale le coltivazioni fuori suolo. In questo articolo vedremo quali sono le principali caratteristiche di questi sistemi, in cosa si differenziano da quelli idroponici classici e quali sono i loro punti di forza e di debolezza.
L’aeroponia per definizione appartiene alle tecniche di coltivazione idroponiche, ovvero
quelle in cui il substrato dove le piante sviluppano le radici, è rappresentato esclusivamente dalla soluzione nutritiva o da un materiale inerte come lana di roccia, perlite, argilla espansa.
A partire dalla metà del 1800, queste tecniche vennero sviluppate in ambito accademico allo scopo di studiare gli effetti dei sali minerali nella nutrizione vegetale. Solamente nel 1920 Hoagland definì per la prima
volta l’importanza di tutti i micro elementi necessari alla crescita delle piante fuori suolo, un passo essenziale per il successivo sviluppo delle colture idroponiche su larga scala durante il secolo scorso.
L’idea alla base delle coltivazioni idroponiche è quella di ridurre il più possibile l’uso di suolo e di substrato e aumentare l’efficienza di utilizzo della soluzione nutritiva, due punti chiave che hanno trainato l’evoluzione dei
sistemi idroponici fino ai più moderni impianti DWC (Deep Water Culture) e NFT (Nutri Film Technique).
Entrambe queste tecniche hanno un’elevata efficienza di utilizzo della soluzione nutritiva e in generale richiedono il consumo di poco substrato; tuttavia per applicazioni su larga scala, necessitano di elevati volumi di soluzione nutritiva ricircolante, la quale va costantemente monitorata e controllata per parametri tra cui temperatura, pH ed EC. Le componenti base di un impianto di coltivazione aeroponica possono del tutto sembrare le medesime usate negli impianti DWC o NFT; la sostanziale differenza sta nel fatto che la soluzione nutritiva che prima era ricircolante non esiste più, ma viene fornita alle radici tramite dei getti posizionati dentro il modulo di coltivazione.
Il vantaggio principale introdotto dall’aeroponica è stato l’intervento sul volume complessivo di soluzione nutritiva necessaria a far funzionare un impianto: la diminuzione dei volumi e delle portate di questi sistemi ha consentito il miglioramento del consumo energetico generato dalla riduzione della capacità di componenti come pompe di ricircolo, aeratori e raffreddatori per il controllo della soluzione nutritiva.
Per fare un esempio pratico, ipotizziamo di avere 3 distinti sistemi di coltivazione un DWC, un NFT e un aeroponico posti nel medesimo ambiente e con una coltura al medesimo stadio di sviluppo vegetativo. Supponiamo che le piante abbiano lo stesso identico consumo di soluzione nutritiva giornaliera di 5 litri in ognuno dei 3 impianti.
Per poter funzionare però ogni singolo impianto ha necessità differenti in termine di volume di soluzione nutritiva totale. Il sistema DWC è composto da 2 vasche da 45 litri di capienza più una vasca di riserva da 45 litri, il sistema NFT è composto da 5 canaline per un totale di 10 litri di volume occupato
dalla soluzione nutritiva ricircolante, più una vasca di riserva da 100 litri; Il sistema aeroponico ha la stessa struttura a 5 canaline del sistema NFT e una riserva esterna del volume di 100 litri, però il volume di soluzione nutritiva ricircolante effettivamente occupato all’interno delle canaline non è più di 10 litri come per il NFT, ma di 1 litro esclusivamente rappresentato dalla quantità trattenuta dalle radici e dalla superficie delle
dei substrati residui al temine del ciclo di coltivazione.
Dal momento che la zona radicale deve essere il più possibile sigillata dalla luce e dall’aria esterna, si sono gradualmente dismessi i substrati porosi come lana di roccia o argilla espansa (che facevano passare sia luce che aria) e si è passati all’utilizzo di supporti plastici di gomma morbida accoppiati ai classici
canaline più quella che ciclicamente drena e ritorna nella vasca di riserva.
Altro aspetto da considerare quando si parla di efficienza nell’uso della soluzione nutritiva è quello che definisco “volume morto”, ovvero quello occupato dalla soluzione nutritiva presente nei tubi di raccordo dell’impianto, nelle pompe, negli eventuali sistemi di raffreddamento, quindi non direttamente a disposizione dell’apparato radicale o nella riserva esterna. In questo caso supponiamo che tutti e tre i sistemi abbiano il medesimo impianto di pompe e tubi di ricircolo per un totale di 5 litri.
Come riportato in tabella, per fornire gli stessi 5 litri giornalieri alla medesima coltura nel medesimo ambiente in un sistema DWC avremo bisogno di fornire minimo 145 litri, allo stesso modo in NFT serviranno 120 litri e in aeroponico 111 litri.
Sebbene la differenza di numeri possa sembrare relativamente piccola, la chiave sta nel fatto che nell’aeroponica il volume di soluzione ricircolante e il flusso con cui questa viene fornita e recuperata è estremamente inferiore a quella dei precedenti impianti, consentendo un effettivo miglioramento del controllo dei principali parametri della riserva idrica come pH, EC e temperatura.
Ovviamente i numeri usati nell’esempio sono puramente teorici: esistono infatti numerose tipologie di impianti aero/idroponici in grado di sfruttare differenti tecniche per ridurre i volumi ricircolanti e di conseguenza la necessità di usare pompe di ricircolo o aeratori per la gestione della riserva nutritiva.
Questi numeri potrebbero variare significativamente se si parla di piccoli sistemi domestici o di sistemi per produzioni più grandi, rimane il fatto che i sistemi aeroponici puntano tutti in questa direzione: ridurre i volumi e la portata della soluzione nutritiva ricircolante. Altro aspetto in cui l’aeroponica sta cercando di migliorare le tecniche di coltivazione fuori suolo, è la gestione
cestelli di plastica riutilizzabili, con il risultato di eliminare qualsiasi tipo di substrato residuo alla fine del ciclo di coltivazione.
Seguendo questo metodo è possibile trovare differenti tipologie di impianti aeroponici in commercio che possono essere più o meno dedicati alla coltivazione di piccoli ortaggi piuttosto che piante più grandi in funzione del tipo di supporto fornito.
Nonostante il favore dei numeri, bisogna considerare anche i possibili risvolti negativi di un sistema aeroponico: se da un lato le radici non necessitano di nessuno substrato e di una quantità inferiore di soluzione nutritiva ricircolante, l’apparato radicale è estremamente vulnerabile a tantissimi fattori. Il primo tra tutti è l’esposizione alla luce dell’ambiente di coltivazione, motivo per cui i moduli aeroponici sono quasi del tutto isolati dalla luce e dagli scambi di aria.
Nel caso fosse necessario accedere alla zona radicale, bisogna cercare di non esporre mai le radici per più del necessario alla luce e all’aria. Dal momento che non hanno nessun tipo di protezione meccanica fornita da un substrato, anche l’operazione di trapianto/ travaso in differenti contenitori può causare danni irreversibili e portare alla morte della pianta.
Per lo stesso motivo è necessario mantenere l’ambiente di coltivazione estremamente pulito per evitare che residui di piante o altri agenti esterni come insetti o patogeni, possano entrare in contatto con la zona radicale. Avere un contenitore sigillato dove si sviluppano le radici aiuta, ma non è sempre sufficiente a garantire l’assenza di infestazioni.
Un aspetto da non sottovalutare quando si pianifica la possibilità di installare un sistema di coltivazione aeroponico, sono i possibili malfunzionamenti. In caso di guasti all’impianto di somministrazione della soluzione nutritiva, la totale assenza di substrato o di acqua a diretto contatto con le radici può causare l’appassimento repentino
delle piante. È bene evitare il più possibile sistemi fai-da-te, a meno che non si abbia la dovuta esperienza, e accertarsi sempre di seguire le istruzioni e le specifiche tecniche delle componenti utilizzate, soprattutto in termini di portata e pressione del sistema di distribuzione idraulico.
Altro limite di molti impianti aeroponici presenti sul mercato è dato dal tipo di nutrizione consigliata per le piante. La maggioranza di questi sistemi ha infatti numerose componenti ottimizzate per l’utilizzo con concimi di tipo minerale e questo al momento pone alcune difficolta nell’abbinare le tecniche di coltivazione aeroponica all’utilizzo di fertilizzanti biologici di origine organica e all’acquaponia.
Per chi volesse approfondire i princìpi alla base della nutrizione delle piante coltivate in aeroponia, un articolo scientifico pubblicato nel 2020 ad accesso gratuito fornisce un’immagine molto dettagliata della risposta dell’apparato radicale in sistemi aeroponici e idroponici.
In conclusione gli impianti aeroponici si stanno sviluppando come ultima evoluzione dei già diffusi sistemi DWC e NFT con l’obiettivo
di ridurre ulteriormente l’impatto delle produzioni fuori suolo. Il loro utilizzo consente, a parità di consumo di energia elettrica e soluzione nutritiva, di gestire una maggiore superficie di coltivazione.
Nonostante l’approccio migliorativo, rimane il fatto che, rispetto ai sistemi idroponici come DWC, NFT e EBB & FLOOD, l’aeroponia necessita di maggiore automazione nel controllo dell’irrigazione e di una costante manutenzione di numerose componenti.
Nei prossimi articoli dedicati alla coltivazione aeroponica vedremo più da vicino differenti tipologie di impianti tra cui i sistemi AWC (Aero Water Culture) e HPA (High Pressure Aeroponic), quali sono le componenti principali che li differenziano e i punti di forza e debolezza che li caratterizzano.
Per quanto riguarda la qualità del prodotto finito, spetta a ognuno di noi decidere, in base ai propri gusti.
Dal mio punto di vista poter avere un prodotto, ortaggio o ornamento che sia, da filiera corta e ottenuto secondo i princìpi di riduzione dell’impatto ambientale, fa già venire l’acquolina in bocca.
Storia della varietà di Barney’s Farm
Testo e immagini: Green Born Identity - G.B.I.
ICE CREAM CAKE UNA DELIZIA ESTREMAMENTE POTENTE E GUSTOSA
La fucina delle varietà di Barney’s Farm offre un’ampia selezione di squisite genetiche da “dessert” della West Coast. Uno degli ultimi capolavori di dolcezza creati dai selezionatori di Barney’s è la Ice Cream Cake, varietà a predominanza indica al 70% emersa con le sue sembianze gelide da una calda liaison tra la Wedding Cake e la Gelato 33. Oltre ai suoi consistenti strati di tricomi, questa prole d’élite vanta un paio di altre caratteristiche eccezionali: le piante di media altezza (90-110 cm) sono estremamente cariche di cime alla fine della coltivazione, il che si traduce in abbondanti raccolti indoor che in genere raggiungono i 550 (potenzialmente anche oltre 600) grammi per metro quadrato.
Naturalmente, una varietà con un nome così goloso colpisce anche a livello di aromagrazie al ricco profilo terpenico con un elevato contenuto di limonene, mircene e cariofillene, le cime della Ice Cream Cake emanano una fragranza dolce e morbida, la cui nota cremosa e vanigliata è accentuata da un tono terroso e pungente. Il contenuto di THC del 20-25% porta a un intenso inebriamento che è tutto all’insegna del relax, della calma e del miglioramento dell’umore.
Per questo motivo la Ice Cream Cake è diffusa anche per le sue proprietà terapeutiche, in quanto l’elevata percentuale di cariofillene offre un effetto particolarmente analgesico e antinfiammatorio. Con un ciclo di coltivazione agevolmente breve sotto fonti di luce naturale - le piante saranno mature nella terza-quarta settimana di settembre all’aperto - questa varietà di Barney’s Farm è comunque una scelta molto interessante anche per chi coltiva all’aperto e in serra. Ma c’è di più: in questi ambienti si riescono a ottenere rese fantastiche, che possono arrivare a 1,5 chili per pianta, con altezze moderate di 1,5-2 metri.
Una tentazione irresistibile
Questa varietà di Barney’s Farm, che ancora una volta suonava così di buon auspicio, è stata per The Doc una tentazione irresistibile al vederla e quindi non ha esitato un secondo a ordinare una confezione di semi e, una volta ricevuta la stessa, ha seminato due semi femminizzati. La storia è la stessa di sempre con Barney’s Farm: entrambi i semi sono germinati in modo veloce e perfetto, le piantine si sono infatti trovate immerse nella luce LED già dopo 2 giorni e mezzo circa. Sono cresciute velocemente diventando piante cespugliose e ben ramificate, alte rispettivamente 29 e 31 cm, quando The Doc ha terminato la fase
vegetativa dopo tre settimane, passando il fotoperiodo in modalità di fioritura.
La fase di fioritura: come se fossero stati vuotati dei secchi pieni di tricomi sulle cime
Dopo soli sei giorni da quando è stata accesa la luce, The Doc ha individuato i prefiori femmina su entrambe le piante. Il tutto è proseguito a quel ritmo e, mentre si allungavano con forza verso l’alto, hanno formato teste di fiori consistenti durante le prime quattro settimane che preannunciavano sia la comparsa di cime di grandi dimensioni sia un’abbondante ricchezza di resina - che si è sviluppata in modo
netto nel rivestimento cristallino di tricomi sui giovani calici e sulle foglie di zucchero all’inizio della fioritura. A detta di The Doc, dopo altre quattro settimane, “La varietà di Barney’s non scherza per niente! Queste piante sono tutte fabbriche di tricomi estremamente produttive. La Ice Cream Cake rientra con facilità in questa schiera: sembra infatti che sulle voluminose cime delle mie due piante siano stati vuotati dei secchi pieni di tricomi, già adesso che manca ancora circa una settimana e mezza alla piena maturazione.
Stanno inoltre mantenendo la promessa della fragranza particolarmente cremosa e dolce con un sottofondo speziato, incredibilmente
deliziosa per il mio naso!”. Dopo nove settimane e mezzo circa (66 e 68 giorni di fioritura), The Doc ha verificato che le due piante fossero maturate completamente. Arrivate a un’altezza finale di 90 e 91 cm rispettivamente, presentavano grande uniformità anche a livello di crescita in altezza.
The Doc ha proseguito entusiasta il suo resoconto: “Anche la mia aspettativa secondo cui le piante avrebbero sviluppato veri e propri fusti di cime si è avverata - non solo entrambe le cime di testa, ma anche numerose cime laterali sono diventate magnificamente grandi e grasse, sono cime super dense e dure come quelle a predominanza indica che trovereste illustrate in un libro, sontuosamente ricoperte di strati di tricomi ghiacciati. Entrambe le piante di Ice Cream Cake sono uno schianto per gli occhi, davvero sorprendenti!”.
Un risultato finale grandioso
Pesando il raccolto essiccato alcune settimane dopo, non ha sorpreso il fatto che entrambe le piante di Ice Cream Cake avessero superato la soglia dei 100 grammi: una ha raggiunto i 115 e l’altra i 124 grammi. “Pepite solide come la roccia, avvolte in una spessa e lussuosa pelliccia di tricomi bianco-argentei, con una fragranza così seducente e dolce e lievemente piccante da farmi desiderare ardentemente la prima degustazione sin dal giorno del raccolto”, ha commentato The Doc parlando del grandioso risultato finale.
The Doc si è protetto sotto un velo...
Subito dopo aver terminato la fase di concia, è passato all’azione, mettendo mezzo grammo di Ice Cream Cake nel suo vaporizzatore Venty. Dopo un primo profondo tiro, è stato travolto da un’esperienza di gusto inebriante: “ La Ice Cream Cake offre davvero una sorta di sensazione gustativa cremosa e morbida al palato, come una crema vaporosa dolce e un po’ piccante, assolutamente intrigante!”.
Nella mente di The Doc l’effetto si era già preannunciato dopo il secondo tiro, per poi manifestarsi appieno dopo il terzo, come se un velo calmante fosse stato gettato su di lui, proteggendolo dai fardelli di questo mondo e portando ad avere una visione più rilassata di alcuni problemi. L’effetto rilassante si è diffuso in poco tempo dalla testa a tutto il corpo. The Doc ha percepito anche una piacevole decelerazione, il tempo è parso dilatarsi, andare più lentamente. L’album elettronico sferico “Wunderbar” di Riechmann del 1978 ha accompagnato alla perfezione questo stato d’animo. Per più di due ore, The Doc si è goduto appieno questo viaggio nel benessere.
Su qualunque cosa mettano le mani i selezionatori di Barney...
“Ancora una volta una varietà di Barney’s Farm mi ha stupito completamente! Su qualunque cosa mettano le mani i selezionatori di Barney’s, il risultato è sempre eccezionale.
La Ice Cream Cake ha dimostrato di essere una delizia dolce cremosa estremamente potente e ha rivelato superbe caratteristiche colturali. Ricoltiverei questa varietà all’istante... se non ci fossero tante altre nuove varietà di Barney’s che desidero ardentemente testare”, ha concluso un entusiasta Dockie.
Green Born Identity - G.B.I.
Genetica Ice Cream Cake (Gelato #33 x Wedding Cake)
Fase vegetativa 21 giorni (dopo la germinazione)
Fase di fioritura 66 + 68 giorni / 63-70 giorni in generale
Substrato Bionova Bio Soilmix, vasi da 11 litri
pH 6.3-6.7
EC 1,2-1,6 mS
Dati sulla coltivazione:
Luce Fino a 4 x SANlight EVO 5-100, settati al livello 2 su 3
Temperatura 19-27°C
Umidità dell’aria 40-60%
Irrigazione A mano
Fertilizzazione Bionova Soil Supermix, più PK 13-14 in fase di fioritura
Additivi/stimolatori Bionova Silution, The Missing Link, Vitasol e X-cel
Strumenti CleanLight Pro per la prevenzione delle muffe
Altezza 90 + 91 cm
Resa 124 + 115 g
Coltivazione
Mr. José info@mrjose.eu
info@mrjose.eu
Nutrizione moderna e consigli per la coltivazione con i LED
Quasi ogni estate, in occasione di Cannafair, vedo Jorg di Plagron. Condividiamo la stessa passione: la coltivazione della cannabis. Dato che Jorg è un esperto della nutrizione delle piante presso Plagron e ha esperienza nelle attività di coltivazione sia piccole che grandi, ho deciso d’intervistarlo. Abbiamo parlato dell’approccio moderno alla nutrizione della cannabis, della coltivazione con illuminazione a LED e di altri argomenti utili. Potrete ora leggere le parti più salienti della nostra conversazione in esclusiva su Soft Secrets.
Jorg, potresti spiegare perché alcuni fertilizzanti comprendono una sola componente per la fase di crescita e un’altra per la fase di fioritura, mentre in altri casi sono necessarie più componenti, in sostanza più flaconi di fertilizzante? Qual è per esempio la differenza fra le linee Plagron Coco e Plagron Terra?
La differenza principale sta nel fatto che con la linea Terra teniamo conto di alcuni elementi già presenti nel substrato. La maggior parte dei substrati contiene torba, che è molto acida, si usa il calcare per bilanciare il pH. Di conseguenza, nel substrato è già presente una quantità sufficiente di calcio e un fertilizzante monocomponente come Terra è sufficiente in questo caso. Terra ha una componente per la crescita e una per la fioritura. Il problema del calcio è che è molto reattivo e interagisce con la maggior parte degli altri nutrienti. Per questo motivo, per i substrati di coltivazione che non contengono calcio, sono necessari fertilizzanti bicomponenti. Nel caso dei fertilizzanti a base di cocco di Plagron, parliamo di Coco A e Coco B. Uno di questi contiene calcio insieme ad altri elementi con cui non reagisce. La fibra di cocco pura non contiene calcio. Quindi, rispetto a Terra, Coco A e B contengono uno spettro più ampio di sostanze nutritive.
Tutte e due le linee, Terra e Coco, sono sostanzialmente fertilizzanti minerali. La linea Terra è più semplice da utilizzare e contiene meno nutrienti, per cui è adatta soprattutto ai substrati a base di terra. C’è una differenza notevole fra i substrati a base di fibra di cocco e quelli a base di torba, di conseguenza, è logico che necessitino di fertilizzanti diversi. La noce di cocco non contiene sostanze nutritive, mentre i substrati a base di torba ne contengono già alcune. Un altro punto importante è che nei substrati a base di terra il calcio si lega più saldamente al terreno,
ostacolando l’assorbimento da parte delle piante. Anche se aggiungiamo del calcio supplementare, è comunque più difficile per la pianta estrarlo dal terreno rispetto a quanto non avvenga con la fibra di cocco, che non lo lega così saldamente.
È inoltre evidente che con il miglioramento delle tecniche di coltivazione, il tipico contenuto di calcio non è più sufficiente. In passato, la combinazione di calcio nel substrato, integrata dal calcio
presente nella normale acqua di rubinetto, era sufficiente. Tuttavia, oggi sembra che questo non basti più ed è per questo che esistono prodotti come CalMag, appositamente studiati per l’integrazione del calcio. L’aumento della domanda di calcio è legato anche all’utilizzo dell’illuminazione a LED.
Mi fa piacere che tu abbia menzionato la coltivazione con l’illuminazione
a LED. È un tema scottante e credo che molte persone non siano ancora sicure di come affrontarlo. Questo vale soprattutto per chi è abituato da anni a utilizzare lampade convenzionali al sodio, agli alogenuri metallici o al plasma. D’altro canto, anche i principianti spesso trovano informazioni su fonti che si concentrano soprattutto sulla coltivazione con lampade al sodio. Inizialmente, l’illuminazione a LED veniva apprezzata perché offriva rese più elevate con un consumo energetico inferiore. Ma siamo ora arrivati a un punto in cui si parla di come massimizzare il raccolto nello stesso spazio utilizzando un’intensità luminosa maggiore. Che consigli hai sulla concimazione quando si utilizzano luci LED ad alte prestazioni?
Per quanto riguarda la nutrizione, un tempo si temeva di concimare in eccesso per timore di bruciare le piante. La bruciatura delle piante, il noto imbrunimento delle punte delle foglie, è legata anche alla forma di azoto utilizzata nei fertilizzanti. In passato si usava comunemente l’azoto ammonico, che provocava tale imbrunimento. Rispetto al passato, oggi in Plagron utilizziamo solo un decimo o al massimo la metà dell’azoto ammonico, puntando invece sull’azoto nitrico, che è più facilmente disponibile e assorbito dalle piante. Di conseguenza, la bruciatura delle piante
dovuta a concentrazioni elevate di fertilizzanti non è più così facile da innescare come lo era in passato.
Per quanto riguarda l’illuminazione, la differenza principale tra LED e HPS è che i LED emettono uno spettro fotosinteticamente attivo più ampio. Questo significa che i LED forniscono alle piante più energia luminosa per la fotosintesi, il che è ottimo. Tuttavia, affinché la fotosintesi avvenga più velocemente, la pianta ha bisogno di più zuccheri. Per produrre più zuccheri, alla pianta servono ovviamente più nutrienti e anche più CO2. Molti coltivatori pensano ancora che la CO2 sia una sorta d’integrazione, qualcosa di extra. Ma il carbonio contenuto nella CO2 è la fonte di energia primaria di cui le piante hanno bisogno per la fotosintesi, in quanto la CO2, insieme all’acqua e alla luce, crea ossigeno e zuccheri sotto forma di ATP.
Negli ultimi tempi, la tecnologia nel campo dell’illuminazione è progredita in modo rapido e la gente acquista LED ad alta potenza, li accende a pieno regime, ma non incrementa altri parametri di coltivazione di conseguenza. Le persone hanno ancora timore ad aumentare l’EC, temendo di bruciare le piante, come poteva accadere in passato. Si preoccupano dell’accumulo di sali,
La carenza di calcio si manifesta più comunemente sotto forma di macchie necrotiche sulle foglie.
del blocco dei nutrienti e di tutti i problemi legati a questo: squilibri a livello di nutrienti, foglie ingiallite, macchie necrotiche, crescita lenta e così via. Dev’essere tutto bilanciato, di conseguenza, se si aggiunge per esempio Green Sensation, che contiene molto fosforo e potassio, si dovrebbe ridurre l’integrazione di calcio. Questo perché i nutrienti con carica positiva, come il calcio, il potassio, l’ammonio e il magnesio, sono in competizione tra loro e se si aggiunge uno di questi elementi in eccesso, si riduce l’assorbimento di un altro. L’approccio migliore se si vuole aumentare la EC è quindi quello di aggiungere tutte le componenti in modo uniforme e non di aumentare solo fosforo e potassio o calcio e magnesio, come molti tendono a fare.
Quando si coltiva con i LED, spesso non si raggiungono le stesse temperature delle lampade ad alta pressione, a causa della mancanza di raggi infrarossi. Di conseguenza, la traspirazione è più lenta. Come si può compensare questa situazione? Ha senso aumentare la concentrazione di nutrienti per fornire la stessa quantità nutritiva con un volume d’acqua inferiore?
Qui si parla ancora del calcio. Poiché la maggior parte del calcio entra nella pianta attraverso lo xilema, che va dalle radici alle cime delle piante, i nutrienti viaggiano attraverso questo percorso grazie al flusso di traspirazione. Se le piante
crescono lentamente, questo può essere legato a un rallentamento nell’assorbimento del calcio. Il calcio è fondamentale per il corretto funzionamento e per la crescita adeguata delle cellule. Se il calcio non è disponibile in quantità sufficienti, le cellule non riescono a crescere o dividersi con la stessa rapidità, rallentando così la crescita complessiva della pianta. Se si vuole quindi stimolare la crescita delle piante, è necessario accelerare la traspirazione.
Questo lo si può fare incrementando la temperatura, ma anche aumentando la circolazione dell’aria intorno alle foglie. Allontanando l’aria umida dalle foglie, si aumenta leggermente l’evaporazione e si accelera il flusso di traspirazione. Questo lo si può fare anche di notte. Molti coltivatori potrebbero dire: “Aspettate un attimo, di notte gli stomi sono chiusi”, ma non lo sono completamente, quindi la traspirazione può ancora avvenire, anche se lentamente. Inoltre, una circolazione dell’aria più rapida riduce il rischio di muffa, influendo sul microclima all’interno dei fiori.
Mi sono imbattuto più volte nel problema della formazione di precipitati quando si miscelano fertilizzanti e acqua. In molti mi hanno chiesto informazioni in merito, avendo riscontrato lo stesso problema. Come possiamo evitare le reazioni tra gli additivi e la linea base dei fertilizzanti?
Quando reagiscono tra loro, le componenti formano un sedimento che le piante non riescono ad assorbire e quindi, ovviamente, alle piante mancano quei nutrienti in particolare. Questo accade spesso con i prodotti al silicio, ormai molto diffusi. Utilizzate sempre prima i prodotti a base di silicio e lasciate che si disciolgano completamente prima di aggiungere altri componenti. Non aggiungete gli ingredienti successivi troppo presto, aspettate che la soluzione sia completamente miscelata.
I coltivatori domestici sono sempre più informati sulla coltivazione e iniziano a gestire il VPD (Vapor Pressure Deficit), anche se in molti casi si tratta più di un tentativo che di un vero e proprio controllo. Secondo te, quali sono le sfide più importanti per i coltivatori? Cominciamo dalle attività commerciali, perché i coltivatori domestici spesso si rifanno alle pratiche dei produttori su larga scala.
La sfida più grande, a mio avviso, è la gestione integrata dei parassiti (IPM), perché è davvero impegnativa in un contesto commerciale. Un’altra sfida importante è la standardizzazione della coltivazione. Mantenere un’intensità luminosa costante, un’altezza uniforme delle piante e impostare il corretto programma d’irrigazione. Se si ha per esempio uno spazio di coltivazione di 10 metri quadrati e poi improvvisamente si passa a 50.000 metri quadrati, le regole del gioco cambiano completamente. Lo stesso vale per il successo della coltivazione biologica su piccola scala. Si può pensare che funzioni anche su scala più ampia, ma il passaggio a un’attività commerciale di grandi dimensioni è estremamente impegnativo.
Come vedi il futuro della coltivazione domestica?
Penso che potrebbe diminuire un po’, ma credo che ci sarà sempre molta gente che vorrà fare a modo proprio, selezionare le proprie varietà, trovare i propri metodi e coltivare la propria cannabis. Vedremo anche come i singoli Stati
PER PRODURRE PIÙ ZUCCHERI, LA PIANTA HA OVVIAMENTE BISOGNO DI PIÙ NUTRIENTI E
ANCHE DI PIÙ CO2
affronteranno la questione. La cannabis prodotta industrialmente sarà probabilmente al centro dell’attenzione, ma la coltivazione domestica non è comunque destinata a scomparire.
Hai qualche messaggio per i lettori?
La coltivazione dovrebbe essere innanzitutto un divertimento e anche se gli altri potrebbero avere
opinioni diverse sui vostri metodi di coltivazione, ciò che conta di più è come vi sentite e quanto siete soddisfatti della vostra coltivazione.
Non si tratta di diventare il miglior coltivatore, ma piuttosto di avere la giusta motivazione per coltivare.
Se sarà così probabilmente vi divertirete a c oltivare per molto tempo.
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QUANDO E COME È NATA SMOKING?
La carta Smoking ha mosso ufficialmente i primi passi nel 1924, anche se la sua storia risale a molto prima, quando la famiglia Miquel avviò la produzione artigianale di carta nel 1725, nella città di Capellades. Nel 1868, i fratelli Lorenzo e Antonio Miquel y Costas iniziarono a produrre carta da rollare e nel 1879 nacque il marchio “El Pino”, considerato il predecessore della Smoking. Nel 1914 furono prodotti i primi booklet sotto questo marchio, ma fu nel 1924 che venne ufficialmente registrato il marchio Smoking. Dopo la sua presentazione nel 1924 e la vittoria del “Gran Premio” all’Esposizione Internazionale di Barcellona nel 1929, Smoking si è evoluta fino a diventare un punto di riferimento globale nel settore, mantenendosi sempre fedele alla propria filosofia all’insegna dell’innovazione e dell’adeguamento alle esigenze di ogni generazione.
Nel 2024 Smoking festeggerà il suo centenario, un traguardo che riflette un secolo d’innovazione, creatività e successi. Nel corso di questi 100 anni, Smoking ha mantenuto costante l’impegno verso la qualità e l’adeguamento alle esigenze di ogni generazione, diventando un marchio all’avanguardia nel suo settore. Per commemorare questo momento, l’azienda ha lanciato iniziative che non solo guardano al passato, celebrando la sua ricca storia, ma proiettano anche un futuro pieno d’innovazione. Creatività, sostenibilità e continua ricerca di prodotti innovativi fanno parte del DNA di Smoking, che continua a dettare le tendenze e a soddisfare le aspettative dei suoi consumatori in oltre 100 Paesi.
Smoking fa parte della cultura popolare da decenni: puoi dirci qualcosa di più al riguardo?
Sì, Smoking Paper è presente nella cultura popolare da decenni e ci siamo sempre concentrati sulla creazione di nuove connessioni con la cultura contemporanea e digitale. Solo per fare qualche esempio recente: abbiamo collaborato con l’artista lo-fi Cráneo (Sloth Brite), riunendo 193 artisti di tutto il mondo, per creare una sessione musicale unica. Collaboriamo inoltre con content creator su piattaforme come Twitch e su progetti come “Smoking in the Park” con David Sainz, con l’obiettivo di entrare in contatto con una generazione giovane e digitalmente attiva. Abbiamo anche lanciato iniziative come “La Liada de la Semana by Smoking” nella serie “Yo, Interneto”, in cui esaminiamo gli ultimi fenomeni virali, il che dimostra quanto sia stretto il nostro rapporto con la cultura digitale di oggi.
L’arte è una parte fondamentale dell’identità di Smoking Paper. L’essenza artistica non si limita alla carta da rollare e ai filtri, si estende a un catalogo diversificato che comprende vassoi, posacenere e grinder dal design unico. Questi prodotti si ispirano a grandi leggende artistiche come Michelangelo, Van Gogh e Warhol, oltre che a influenze provenienti dal mondo dello skateboard, dei graffiti e del surrealismo.
Abbiamo inoltre esteso la nostra influenza artistica al mondo della moda con una crescente collezione di abbigliamento e accessori fra cui cappellini, marsupi, felpe con cappuccio e t-shirt, mantenendo sempre il nostro stile urban, casual e contemporaneo che ci caratterizza da quasi un secolo.
Oltre ai canali digitali, ci piace parlare di come migliorare l’esperienza omnicanale per i nostri consumatori, e per questo il nostro team di marketing è un pilastro fondamentale. Smoking esiste perché crediamo in uno spazio condiviso di co-creazione, ispirazione e libertà creativa che faccia accadere cose. “Vogliamo massimizzare l’esperienza dei nostri consumatori, non solo con la migliore carta, ma anche con playlist Spotify, sessioni di musica lo-fi su YouTube, concorsi hip-hop, i migliori contenuti meme o persino tatuaggi del marchio per i nostri Smoking lover”, afferma Montse Bonjorn, Direttore Marketing.
Per quali motivi si dovrebbe utilizzare il marchio Smoking?
Smoking sostiene i giovani talenti creativi di tutto il mondo
Oggi Smoking è molto più di un marchio di carta da rollare: è un simbolo di creatività e sostenibilità. Nel 2024, festeggeremo il nostro centenario lanciando un concorso a sostegno dei giovani creator, offrendo loro una piattaforma dove possano far vedere il proprio talento e offrendo licenze per Domestika e Crehana nell’ambito del nostro impegno verso le nuove generazioni
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di creatività e innovazione, sviluppata non solo dal marchio ma anche in
collaborazione con i nostri follower. Cosa c’è di meglio per un consumatore se non vedere il proprio disegno per Smoking prendere vita? Questa collezione è composta da 16 disegni vincenti creati dai consumatori, molti dei quali sono grafici alle prime armi e veri e propri fan di Smoking da tutto il mondo. Smoking Creators si presenta in carta non sbiancata, ultrasottile, a combustione lenta, con gomma naturale al 100% e carta certificata FSC, disponibile in due formati: King Size e King Size + Tips.
Il fumo è sinonimo di sostenibilità con la lettera maiuscola
Miquel y Costas, l’azienda produttrice del marchio Smoking Paper, è l’unica azienda produttrice di carta da rollare ad aver ricevuto il riconoscimento di sostenibilità “Tripla A”. Il Gruppo Miquel y Costas ha raggiunto un importante traguardo nel suo impegno verso la sostenibilità, diventando l’unica azienda spagnola a cui sia stata riconosciuta la “Tripla A” dalla prestigiosa organizzazione internazionale CDP. Questa distinzione è unica in Spagna e nel Sud Europa e solo 12 aziende in tutto il mondo hanno ricevuto tale riconoscimento. Questo risultato rispecchia le misure e le strategie messe in atto dall’azienda per essere leader nelle prassi sostenibili, come la riduzione delle emissioni di CO2 e il consumo efficiente di acqua.
Da oltre 30 anni, Miquel y Costas concentra i suoi sforzi nella riduzione delle emissioni di carbonio e nell’ottimizzazione dell’uso delle risorse, adottando i principi dell’economia circolare in tutta la sua catena di produzione e distribuzione. Nel 2023, è riuscita a ridurre le emissioni di CO2 (ambito 1 e 2) del 16% e ad aumentare il consumo di energie rinnovabili del 9%. Inoltre, l’azienda si è prefissa l’obiettivo di ridurre le emissioni del 51% entro il 2030 e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
Miquel y Costas continua a investire in tecnologie sostenibili, promuovendo l’utilizzo di materiali biodegradabili e imballaggi riutilizzabili nell’ambito del suo impegno verso la sostenibilità, assicurandosi così la posizione di leadership nel mercato globale dei prodotti sostenibili.
Cosa sta facendo attualmente il marchio per reinventarsi?
Di recente, il marchio ha lanciato la gamma di carta Smoking Supreme, che si contraddistin-
gue per la sua innovazione unica a livello mondiale. Questa nuova carta presenta un’innovazione unica a livello globale: una consistenza ultra-liscia, che si nota già al tatto. La gamma Supreme si presenta come carta sbiancata, con un peso di 12 grammi, e ha un design estremamente moderno e accattivante rivolto a un pubblico di adulti più giovani. In un sondaggio condotto fra i consumatori, questa innovazione ha ricevuto ottime valutazioni.
I consumatori hanno apprezzato in particolare la durata della carta, l’eccellente adesività e la consistenza/levigatezza del prodotto. La gamma si è ampliata con i formati già presenti sul mercato: medium, king size, king size + tips e, in occasione di Intertabac, è stato presentato il formato Roll.
Nuovi accessori: vassoi, grinder e posacenere
Smoking Paper continua a innovare sviluppando nuovi accessori in collezioni estremamente creative e moderne. Per l’edizione 2024 di Intertabac sono state presentate nuove collezioni, fra cui la Skull Tray Collection, la XL Grinders Nevermind Collection e, per questa occasione, una nuova linea di posacenere in cristallo: la Dark Ashtray Collection. “Vogliamo riempire ogni punto vendita con creatività e innovazione, dando vita a design visivamente accattivanti e da collezione, il che è una delle grandi passioni di chi ama il nostro marchio e dei consumatori più esigenti”, spiega Montse Bonjorn, Direttore Marketing della Divisione RYO.
MAGIC CHOCOLATE
Come realizzare delle barrette di cioccolata psichedeliche
Gli psiconauti e i consumatori di funghi psichedelici di tutto il mondo sono d’accordo che mangiare funghi non rappresenti un’esperienza piacevole come il viaggio che procura successivamente, infatti il sapore dei funghi psichedelici è ritenuto dalla maggior parte dei consumatori rivoltante.
Le barrette di cioccolato a base di psilocibina sono un’alternativa perfetta per assumere funghi psichedelici senza dover sopportare il loro sapore.
Negli ultimi anni la loro diffusione ha visto una forte impennata, soprattutto negli Stati Uniti, dove il suo status di illegalità non ha impedito la nascita di tantissimi produttori di funghi psichedelici e di prodotti complementari che si possono facilmente trovare anche nelle tabaccherie.
Trasformare i funghi psichedelici in barrette di cioccolato offre svariati vantaggi; innanzitutto per la maggior parte delle persone hanno un sapore migliore e sono più facili da dosare, soprattutto quando il consumo avviene fuori dalle mura domestiche.
Le barrette di cioccolato possono essere conservate per periodi più lunghi prevenendo l’ossidazione dei funghi secchi mal conservati. Inoltre le barrette di cioccolato possono essere arricchite con altri ingredienti che migliorano l’esperienza psichedelica.
ESTRATTO VS FUNGHI ESSICCATI
Per realizzare delle barrette di cioccolato a base di psilocibina in casa propria si possono seguire due procedimenti differenti, il primo prevede l’impiego dei cristalli di psilocibina, una tipologia di estrazione già descritta in questa rubrica di Soft Secrets, con il titolo Crystal of the Gods.
Il secondo metodo invece risulta essere più semplice e veloce poiché non è necessario realizzare previamente l’estrazione di psilocibina ma si utilizzeranno solo dei funghi essiccati. Gli estratti di psilocibina permettono di eseguire un dosaggio più omogeneo del principio attivo all’interno delle barrette.
I due procedimenti differiscono solo per l’ingrediente magico di base, il resto degli steps da seguire sono identici per entrambi.
STRUMENTI E MATERIALI
Ecco qui il necessario per realizzare le barrette psichedeliche:
• 200 g Cioccolato
• 2 g cristalli di psilocibina, metodo 1
• 15 g funghi psilocibinici essiccati, metodo 2
• bilancino elettronico
• macinacaffè elettrico
• pentolino in pirex
• pentola acciaio inox
• 5 stampi per barrette di cioccolato
• mestolo
• termometro laser
• coltello
• mortaio
È consigliato utilizzare cioccolato di buona qualità, in commercio sono disponibili una miriade di barrette di cioccolato più pregiato con un prezzo accessibile. La quantità di
TRASFORMARE I
funghi e cristalli è indicativa e si basa sulle dosi assunte mediamente dai consumatori di sostanze psichedeliche.
Per creare le barrette di cioccolato verranno impiegati degli stampi appositi, si consiglia di utilizzare stampi di silicon di grado alimentare; la dimensione degli stampi impiegati in questo procedimento è adatta a realizzare barrette dal peso di circa 40 grammi. Gli stampi possono avere forme personalizzate per tutti i gusti.
PROCEDIMENTO
Innanzitutto è necessario preparare l’ingrediente magico. Il procedimento numero 1 prevede l’impiego di cristalli di psilocibina che devono essere sbriciolati in piccole parti con il mortaio. Nel secondo metodo, i funghi essiccati utilizzati, devono essere finemente tritati con il macinacaffè fino ad ottenere una polvere omogenea.
Successivamente sciogliere le barrette di cioccolato con la tecnica del bagnomaria; con il coltello tagliare le barrette in piccoli pezzettini, riempire la pentola in acciaio con acqua e cuocerla sul fornello fino a farla bollire.
Quando l’acqua è in ebollizione collocare il pentolino in pirex all’interno prestando attenzione a non far straripare l’acqua nel pentolino e infine versare i pezzetti di ciocco -
lato. Attendere alcuni minuti che il cioccolato si sciolga e con l’ausilio del mestolo mescolare per non farlo bruciare fino a quando il cioccolato non è completamente sciolto. Spegnere il fornello e aspettare che il cioccolato si raffreddi, monitorare la temperatura con il termometro laser, quando raggiunge la temperatura di circa 35°C è il momento di aggiungere l’ingrediente speciale. In base al metodo seguito, versare i cristalli oppure la polvere dei funghi nel cioccolato sciolto e mescolare tutti gli ingredienti con il mestolo per alcuni minuti fino ad ottenere una miscela omogenea. Versare la miscela di cioccolato e psilocibina negli stampi per creare le barrette, distribuendolo nelle quantità desiderate con l’ausilio del bilancino elettronico. Infine riporre gli stampi appena preparati in frigo per circa 24 ore per solidificare completamente la miscela e poter tirare fuori dagli stampi le barrette di cioccolato psichedelico a base di psilocibina.
DOSAGGIO
Con questo procedimento sono state create 5 barrette di cioccolato dal peso di 40 grammi ciascuna, ogni barretta è pensata per essere consumata da due utenti differenti, in altre parole la dose per persona è di mezza barretta di cioccolato. Poiché a livello domestico non è possibile stabilire con precisione la quantità di alcaloidi presenti in ogni fungo, è strettamente consigliato iniziare il consumo con piccole dosi e aumentare gradualmente in base alla tipologia di effetti desiderati.
CONSERVAZIONE E SICUREZZA
Le barrette di cioccolato si possono conservare all’interno di semplice carta alluminio a temperatura ambiente, in un luogo fresco e asciutto, al pari degli alimenti più comuni. È importante che la cioccolata sia conservata in un posto sicuro e soprattutto fuori dalla portata dei bambini, le barrette di cioccolato potrebbero ingannare chiunque spingendolo ad uso inconsapevole di sostanze psichedeliche.
Negli Stati Uniti sono molti i casi di intossicazioni accidentali di minori per mezzo di edibles contenenti sostanze stupefacenti quindi prestare molta attenzione.
Varietà di Sweet Seeds
Testo: Tommy L. Gomez / Immagini: Tommy L. Gomez e Sweet Seeds
La Guerrilla delle delizie della cannabis Papaya Zoap Auto® e Jet Fuel Mandarine
XL Auto®
La coltivazione della cannabis è un hobby gratificante, che avvicina il coltivatore a Madre Natura. Se viene effettuata all’aperto, in un ambiente naturale, la coltivazione della cannabis raggiunge il suo vero e proprio apice. Dopo molti anni di coltivazione indoor, ho deciso di tornare alla coltivazione outdoor. Una volta trovato un ottimo posto per la mia coltivazione guerrilla, sapevo che la scelta delle varietà giuste sarebbe stata fondamentale per il successo della coltura. Le varietà dovevano essere autofiorenti, dato che avevo intenzione di cominciare il tutto a marzo e terminare a maggio-giugno, e dovevano essere resistenti alle condizioni climatiche avverse e agli attacchi degli insetti. Il periodo coincideva con l’uscita delle nuove varietà 2024 di Sweet Seeds® , ho quindi scelto con fiducia la Jet Fuel Mandarine XL Auto® (SWS109) e la Papaya Zoap Auto® (SWS107), due varietà fuoriclasse che crescono in poco tempo e producono abbondanti cime dolci.
Poiché il picco del calore estivo dove vivo rende quasi impossibile la coltivazione guerrilla a luglio e ad agosto, ho iniziato il 1° marzo con un seme di ogni varietà. I semi sono germogliati nel giro di 48 ore e sono stati posti in piccoli vasi da 300 ml per le prime due settimane. La qualità della selezione di Sweet Seeds® era evidente, dato che le piante hanno manifestato un grande vigore ibrido sin dalla fase di semina. Il 15 marzo, sia la Papaya Zoap Auto® che la Jet Fuel Mandarine XL Auto® erano pronte per essere trapiantate nei loro vasi definitivi e successivamente in natura. Per i primi 15 giorni sono state coltivate indoor sotto una fonte CFL da 18w e hanno ricevuto qualche ora di luce del sole sul balcone nelle giornate assolate. A 15 giorni avevano 2 nodi oltre la prima coppia di foglie e sono state trapiantate in vasi da 4 litri, abbastanza piccoli da entrare discretamente nel mio zaino.
Le ho portate nel luogo prescelto, ho scavato due buche per adattarle ai vasi e le ho lasciate in pace per 26 giorni. Poiché abito vicino al posto in questione, ho deciso di andarci solo se ci fossero stati diversi giorni di sole. In quel periodo però ha piovuto molto e ci sono stati anche alcuni temporali, non ero quindi molto ottimista su quello che avrei trovato. L’11 aprile, dopo 4 giorni di cielo sereno e di sole in abbondanza, con temperature che oscillavano tra i 21°C e i 25°C, ho deciso di andare a dare un’occhiata. Con poche aspettative, sono arrivato e sono rimasto entusiasta di ciò che ho visto da lontano: due piante estremamente sane e forti. Erano cresciute in modo notevole nonostante le condizioni meteorologiche avverse. Stavano già cominciando a fiorire, soprattutto la Papaya Zoap Auto®, che aveva una struttura impressionante e dei bellissimi calici iniziali, che sfoggiavano già alcune tonalità violacee. La Jet Fuel Mandarine XL Auto®, invece, aveva le
stesse dimensioni e la stessa struttura, ma era in ritardo di qualche giorno. Un aspetto notevole è stata la dimensione dei primi calici: erano quasi incredibilmente grandi, il che mi ha fatto pensare che la pianta potesse essere una mutante. Ho capito poi che si trattava di una reazione alle condizioni del campo. Entrambe le piante avevano un’altezza di circa 40 cm e alcuni rami laterali sembravano essere in grado di sostenere cime consistenti. Sapevo che era solo questione di tempo e che, se il clima fosse stato dalla nostra parte, avrei potuto sperare di raccogliere qualche bella cima per rilassarmi e divertirmi durante l’estate.
Ho usato una miscela di terriccio Canna Professional Plus, 5% di humus di lombrico, una tazza da 200 ml di perlite per pianta e una cucchiaiata rasa di guano di pipistrello in polvere nello strato inferiore del substrato. Il terriccio locale era molto povero (duro e rosso), ho quindi messo i vasi all’interno delle buche. Nonostante la bassa qualità del terreno autoctono, la posizione per la guerriglia era perfetta; ero certo al 100% che non sarebbe mai passato nessuno da lì. Una fitta barriera di cespugli proteggeva l’area e nessuno si sarebbe fatto strada senza avere un buon motivo. E nessuno aveva un buon motivo per attraversarla (visto che bisognava persino strisciare), tranne me.
Avevo un ottimo motivo per passarci ogni 4 giorni circa: le mie Papaya Zoap Auto® e le Jet Fuel Mandarine XL Auto® stavano crescendo giorno dopo giorno, così come le loro cime. Il 18 aprile le piante avevano smesso di crescere. Erano alte circa 55 cm e presentavano numerose cime. Gli aromi erano già meravigliosi: la Jet Fuel Mandarine XL Auto® si caratterizzava per le deliziose note di agrumi e la Papaya Zoap Auto® offriva un mix unico di sentori di frutta tropicale con un pizzico di pino che si sarebbe poi trasformato in qualcosa di magnifico. Entrambe le piante erano pronte per il raccolto il 4 maggio. Le ho curate in loco e hanno rilasciato nell’aria gli aromi più deliziosi, che si sono miscelati con quelli delle piante selvatiche circostanti.
Una volta portate a casa, ho fatto essiccare le cime per circa 12 giorni e le ho poi messe in barattoli di vetro per la concia. Ogni pianta ha riempito un barattolo da un litro con fiori deliziosi e ben formati, con un ottimo rapporto calice/foglia.
A fine maggio erano pronte per la prima degustazione. La Jet Fuel Mandarine XL Auto® sprigionava aromi dolci di agrumi, una miscela di mandarino e mango, con note terrose, mentre la Papaya Zoap Auto®, con le sue belle sfumature violacee, era una vera delizia per i sensi. Univa aromi dolci di mango, papaya e agrumi con un retrogusto squisito che ricordava il cipresso o il pino, simile al profumo gourmet dei pinoli. La Papaya Zoap Auto® è un poli-ibrido creato dall’incrocio di
quattro genetiche statunitensi di alta qualità: [Bruce Banner Auto® (SWS91) x Papaya] x (Zkittlez x Zoap). Offre un effetto estremamente rilassante che aumenta la creatività e la concentrazione in compiti specifici. La Jet Fuel Mandarine XL Auto® deriva dall’incrocio di un eccellente clone di Jet Fuel con un ibrido di due varietà autofiorenti altamente aromatiche di Sweet Seeds®: la Cream Mandarine XL Auto® (SWS55) e la Orange Apricot Glue XL Auto® (SWS103). Il suo effetto eleva la mente e rilassa il corpo.
In conclusione, sia la Jet Fuel Mandarine XL Auto® che la Papaya Zoap Auto® di Sweet Seeds® si distinguono per la loro eccezionale qualità e per i notevoli effetti che regalano. Che siate alla ricerca di poderoso relax, di maggiore creatività o semplicemente di un’esperienza colturale gratificante, queste varietà offrono una miscela
perfetta di prestazioni e piacere. Per i coltivatori che desiderano elevare il proprio raccolto, queste eccezionali varietà meritano di essere prese in considerazione. Abbracciate l’eccellenza di Sweet Seeds® e sperimentate voi stessi la magia che possono regalare queste cultivar alla vostra coltivazione.
Coltiviamo
Ed Rosenthal
AGRICOLTURA NATURALE COREANA
Sunnabis Farms, nella contea di Humboldt, in California, produce tutta la sua cannabis all’aperto, sotto la luce naturale del sole, utilizzando i metodi Korean Natural Farming (KNF). Sebbene ampiamente diffusi nei Paesi asiatici da centinaia di anni, i metodi KNF cominciano ora a essere utilizzati anche nei Paesi occidentali. È da notare che la maggior parte del mondo chiama tale metodologia semplicemente Agricoltura Naturale. Il cuore di questo stile agricolo consiste nell’imparare a produrre tutti i nutrienti, o input, di cui si ha bisogno per la buona riuscita del raccolto. La maggior parte degli ingredienti per tali input la si può ritrovare nella coltivazione. Il motivo per cui questo aspetto è importante è triplice: (1) il coltivatore può controllare ciò che finisce sul raccolto e sa esattamente da dove proviene il tutto, quindi non ci sono pesticidi, veleni o test falliti a sorpresa; (2) l’impatto ambientale è estremamente ridotto se ci si procura e si produce la propria linea di nutrienti; e (3) il costo per la produzione della fornitura annuale di nutrienti KNF è di pochi centesimi di dollaro, di gran lunga inferiore rispetto a quello dei fertilizzanti tradizionali che si acquistano in un negozio di articoli per la coltivazione. La KNF migliora la diversità e la densità fungina nei terreni. Alla cannabis piace un rapporto fungo/batterio di oltre 30:1 e tale risultato è raggiungibile con la coltivazione naturale. Un terreno vivo opportunamente bilanciato consente di ottenere un prodotto di altissima qualità, poiché le piante che hanno relazioni simbiotiche con le radici sono in grado di prosperare in ambienti con maggiore densità di nutrienti e di esprimere quindi l’intera gamma di sostanze biochimiche che una cultivar può esprimere. Tale espressione completa di sostanze biochimiche offre al consumatore la migliore esperienza possibile, rispetto a quanto non accada con un’espressione ristretta a una o due sostanze biochimiche presenti in elevata percentuale.
La KNF utilizza la micronizzazione ottenuta mediante la fermentazione per offrire una serie completa di sostanze nutritive altamente disponibili per le piante. Il metodo, in parte, consiste nell’incontro fra la teoria enzimatica giapponese, l’agricoltura tradizionale di lunga data e i metodi sviluppati dal Maestro Cho Han-Kyu negli ultimi 60 anni.
Uno dei maggiori punti di forza della KNF è la coltivazione e l’applicazione di microrganismi indigeni per preparare il terreno e aggiungere diversità microbica indigena. Un terreno con un’elevata densità e diversità di microrganismi indigeni aiuta le piante a resistere alle malattie. Allo stesso tempo, il ciclo dei nutrienti che si produce in questo tipo di sistemi consente alle piante di accedere ai nutrienti attraverso scambi simbiotici nella zona radicale.
Uno dei primi insegnamenti del Maestro Cho è che “l’agricoltore deve prima di tutto coltivare se stesso”. Questo significa che se i contadini non si prendono cura di se stessi, l’azienda agricola finirà per soffrirne; non è sostenibile. Un’altra filosofia fondamentale del Maestro Cho è: “Un agricoltore dovrebbe avere un amore genitoriale verso il proprio raccolto e il proprio be-
stiame. Questo è il cuore di un vero agricoltore”. Tale concetto si ricollega alla psicologia animale e ha un legame diretto con la resa/redditività e la salute di un allevamento, con alcune implicazioni per le piante, cioè: a parità di input, un pollo felice produce di più rispetto a un pollo infelice.
Una terza filosofia di base del Maestro Cho è il concetto di applicazione/concimazione dei nutrienti e i tre diritti dell’agricoltura naturale: giusto nutrimento, giusto tempo, giusta dose. Grazie all’elevata disponibilità di nutrienti fatti in casa, gli agricoltori sono in grado di aumentare le rese utilizzando quantità totali di gran lunga inferiori rispetto ad altri sistemi agricoli.
I PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA KNF
SONO CINQUE.
Seguite le leggi della natura.
Ciò di cui avete bisogno è ciò che vi circonda. Godetevi il percorso.
Iniziate da una tabula rasa.
L’agricoltore deve promuovere una relazione sana fra tutti gli esseri.
Chi mette tutto ciò in pratica concorda sul fatto che imparare da agricoltori naturali esperti sia il modo più efficace per acquisire la tecnica corretta che porta al successo; il sistema funziona, ma può presentarsi una curva di apprendimento, poiché si tratta di un sistema basato sulle competenze. L’agricoltura naturale ha una serie di pesticidi in un’iterazione chiamata JADAM, una derivazione dell’agricoltura naturale sviluppata da Cho Youngsang. Nella produzione su larga scala, alle Hawaii (prima località negli Stati Uniti dove è sbarcata per la prima volta l’agricoltura naturale) è stata sviluppata un’efficace applicazione liquida di microrganismi indigeni (IMO) che riduce i costi pur rimanendo altamente efficace; questa soluzione si è rivelata estremamente vantaggiosa per creare una pianta forte, in grado di resistere meglio all’attacco di parassiti e agenti patogeni.
PANORAMICA DEGLI INPUT DI BASE
Microrganismi indigeni (IMO)
L’agricoltura naturale si basa sulle raccolte IMO. Vengono utilizzate per creare un vero e proprio terreno vivente inoculandovi diversi microbi, compresi i funghi. La microvita presente viene raccolta per la propagazione.
La maggior parte delle colture predilige un terreno colonizzato prevalentemente da funghi e non da batteri, con la possibile eccezione della famiglia delle brassicacee. Le relazioni che le piante instaurano con i microrganismi presenti nel terreno sono complesse, ma come gruppo collaborano in modo sinergico per soddisfare le esigenze di tutti gli organismi. Per dirla in modo più semplice, le piante mandano dei segnali ai microbi quando c’è bisogno di un nutriente in particolare, e i microbi vanno a raccoglierlo per la pianta. In cambio, la pianta fornisce ai microbi zuccheri e carboidrati che si creano mediante la fotosintesi.
La cannabis predilige un terreno a forte predominanza fungina, con un rapporto di oltre 30:1 tra funghi e batteri. Per raggiungere tale equilibrio, il terreno viene inoculato con una varietà di propaguli fungini, o spore, che catturano la diversità della natura incontaminata e la portano negli spa-
zi di coltivazione. I luoghi migliori per raccogliere IMO sono quelli dove non si verificano interazioni umane. A volte abbiamo la fortuna di possedere un terreno di questo tipo, ma altre volte è necessario essere creativi e andare a farsi un giro in una foresta incontaminata o in uno spazio aperto e selvaggio. Queste aree sono ideali per posizionare una scatola IMO per catturare la diversità che vi si trova. Questa operazione dev’essere effettuata più di una volta l’anno. Le raccolte ideali di IMO prevedono almeno tre habitat diversi, in tre stagioni differenti.
In questo modo si garantisce che da IMO2 a IMO3 ci sia un’incredibile varietà di funghi che effettuano la sporulazione nel substrato. Una volta distribuito il tutto nel giardino o nello spazio di coltivazione, tutte queste specie fungine si diffonderanno nel terreno. Grazie alla diversità, specie fungine differenti prospereranno nel nuovo ambiente in cui si trovano, a prescindere dal calore, dall’umidità e dalla luce presenti. Tradizionalmente, una cassetta o un cesto di legno per la raccolta degli IMO vengono riempiti per due terzi con riso bianco a chicco corto e poco cotto e coperti con un panno o della carta, per poi essere riposti in un’area incontaminata per cinque giorni. La scatola viene poi raccolta. Se inoculata adeguatamente, traboccherà di soffici corpi fungini bianchi. Questi vengono mescolati in rapporto 1:1 in peso con zucchero grezzo o di canna per creare un prodotto conservabile, chiamato IMO2, che può essere utilizzato per la propagazione in IMO3-IMO5.
Il cumulo IMO3 ideale è costituito da alcuni piccoli campioni IMO2 e da un apporto bilanciato di carbonio e carboidrati, come riso intero o macinato, grano, avena oppure orzo e trucioli di legno duro. I funghi effettuano la sporulazione e inoculano l’intero cumulo se vengono mantenuti al di sotto
dei 50° C, il che in genere lo si ottiene rigirandolo in modo costante, proprio come si farebbe con un cumulo di compost. L’IMO4 porta il processo a un livello superiore utilizzando l’IMO3 e il terreno del giardino, mentre l’IMO5 lo porta alla fase finale incorporando una fonte di azoto elevata, come il letame animale.
Succo vegetale fermentato (FPJ)
L’FPJ viene utilizzato durante l’intero ciclo di vita delle piante. È uno dei prodotti di base dell’agricoltura naturale. Si ricava dalle punte fresche, giovani e in crescita di diverse piante. Sebbene possa essere ricavato da quasi tutti i materiali vegetali non tossici, l’FPJ è ricco di ormoni della crescita, sostanze nutritive e vita microbica, che si trovano prevalentemente nelle punte fresche delle piante, prima che la luce del sole le colpisca. La vita microbica presente sulla superficie fogliare della pianta scinde e fermenta i nutrienti, rendendoli biodisponibili.
L’FPJ viene in genere utilizzato in rapporto 1:500 ed è conservabile fino a sei mesi se la procedura è effettuata in modo corretto. È uno dei fattori di produzione che dovrebbe essere preparato fresco, conservato con un coperchio traspirante per proteggere la vita microbica al suo interno e utilizzato nell’azienda agricola in cui è stato prodotto. Il succo vegetale fermentato non deve mai essere usato da solo, ma sempre insieme all’aceto di riso integrale e al nutriente a base di erbe orientali (OHN). Tutte le ricette KNF partono da questi tre elementi di base.
Nutriente a base di erbe orientali (OHN) L’OHN è una tintura composta da cinque erbe: angelica, cannella, liquirizia, zenzero e aglio. L’OHN è uno dei punti fermi dell’agricoltura naturale e viene utilizzato in ogni ricetta. La miscela si basa sulla medicina cinese. Le cinque erbe sono state selezionate per le loro proprietà riscaldanti e per
la loro sinergia. Se una delle erbe non è disponibile, può essere omessa, ma l’aggiunta di qualsiasi altra erba crea una tintura che non è considerata OHN. Questo apporto è un rinforzo per il sistema immunitario e ha proprietà antipatogene che sostengono e aumentano la salute del suolo, delle piante e degli animali. In genere si usa in rapporto 1:1000. Tuttavia, più la tintura è vecchia, più la si può diluire e manterrà comunque la sua efficacia.
Amminoacidi di pesce (FAA)
Gli FAA sono la soluzione agricola naturale per fornire l’azoto di cui le piante hanno bisogno durante la fase di crescita vegetativa. Li si ottiene dagli scarti dei pesci, fra cui testa, pinne, interiora e altre parti. Diventano un fertilizzante di pesce di alta qualità, da usare in un rapporto compreso tra 1:1000 e 1:500.
Ci vuole tempo per ottenere gli FAA. Gli scarti del pesce vengono miscelati con un peso uguale di zucchero di canna e, se possibile, con un pizzico di OHN e una spolverata di IMO4. Dopo aver mescolato il tutto accuratamente, lo si lascia fermentare per sei mesi o un anno.
Poiché la cannabis è una pianta che va nutrita in modo consistente, gli FAA possono essere utilizzati anche in rapporti più elevati, ma prima è necessario testarne la fitotossicità usando una pianta oppure sotto forma di spray fogliare su un singolo ramo.
Potassio idrosolubile (WSK)
Il WSK si ottiene bruciando delle piante che accumulano potassio. I girasoli sono un ottimo esempio. Tradizionalmente si ricava dai gambi del tabacco, ma qualsiasi pianta che produca un buon biochar e sia ricca di potassio funziona bene in questo senso.
Questo elemento è estremamente semplice da realizzare: il biochar ricavato dal materiale vegetale viene aggiunto all’acqua in rapporto 1:10 e lasciato riposare un paio di settimane per poi essere filtrato e diluito in rapporto 1:1000 circa prima dell’uso. Come nel caso di tutti gli altri input, non deve essere usato da solo, ma in combinazione con FPJ, OHN e BRV.
Calcio idrosolubile (WCA)
Il WCA è una soluzione a base di gusci d’uovo bruciati e aceto. La carbonizzazione dei gusci d’uovo scinde in modo efficace il calcio e, se aggiunta a un acido come l’aceto, la soluzione derivante è una forma di calcio facilmente assorbibile. Questo elemento viene in genere utilizzato durante la fioritura, ma può essere aggiunto ogni volta che le piante hanno bisogno di un apporto di calcio. Di norma lo si usa in rapporto 1:1000 in combinazione con FPJ, BRV e OHN.
Fosfato di calcio idrosolubile (WCAP)
Il WCAP lo si ottiene utilizzando ossa carbonizzate e aceto. Come nel caso del WCA, il WCAP utilizza l’aceto, che è acido, per scindere le ossa in fosfato di calcio biodisponibile. Una volta che le ossa di animali di grandi dimensioni sono state bruciate e ridotte in carbone completamente annerito, vengono aggiunte all’aceto in rapporto 1:10 e lasciate in ammollo per una settimana o 10 giorni.
Il fosfato di calcio viene sciolto dall’aceto. Questa soluzione viene usata come spray fogliare in rapporto 1:1000. Lo spray dovrebbe contenere anche FPJ e OHN. Si applica soprattutto durante la fase di transizione, una settimana prima e una settimana dopo il passaggio di fotoperiodo.
Succo di frutta fermentato (FFJ)
L’FFJ è uno degli input meno utilizzati dai coltivatori di cannabis. Consiste in uno o tre tipi di frutta matura fresca di fattoria, miscelata con un peso uguale di zucchero di canna e lasciata fermentare lontano dalla luce per 7-10 giorni. L’agente fermentante conserva elevati livelli di enzimi e viene utilizzato per migliorare la maturazione dei frutti. Poiché la cannabis è sinsemilla, ovvero priva di semi, non è ancora chiaro se l’FFJ migliori effettivamente il profilo cannabinoide o terpenico della cannabis.
Acqua di mare
L’acqua di mare è una parte importante dell’agricoltura naturale. È la fonte di micronutrienti e minerali. Può essere raccolta dall’oceano e conservata in un serbatoio. Può essere aggiunta agli altri elementi in un rapporto 1:30 e inclusa in tutte le applicazioni fogliari o nel terreno. Se non si vive in prossimità dell’oceano, la si può sostituire con il sale marino. Il sale marino viene aggiunto alla soluzione finale in ragione di 1 g/L.
Batteri dell’acido lattico (LAB) Questo elemento ha qualità probiotiche ed è utile per avere apparati intestinali umani e animali sani. È utile anche se aggiunto al terreno o alle foglie. Lo si ottiene raccogliendo i LAB che si trovano in natura, nell’acqua utilizzata per sciacquare il riso. L’acqua di lavaggio del riso viene lasciata in un contenitore coperto con della carta o con un panno per raccogliere i LAB iniziali e poi viene aggiunta al latte, che costituisce una fonte di alimento per i batteri.
Dopo 3-5 giorni la soluzione di latte si separa in cagliata e siero di LAB. I solidi vengono separati. Possono essere conditi e mangiati oppure somministrati agli animali. Il siero viene utilizzato con gli altri integratori in rapporto 1:1000.
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LAVAGGIO E CURA DEL RACCOLTO
Dopo la raccolta, separate steli, foglie e fiori prima o dopo l’essiccazione. Le radici vengono separate dagli steli principali al momento della raccolta. Il lavaggio del raccolto contribuisce a eliminare gli agenti contaminanti, compresi polvere, muffa, insetti e le loro uova e feci. Le foglie grandi e piccole vengono essiccate per un uso successivo, mentre gli steli vengono trasformati in compost oppure scartati. I fiori rimanenti vengono curati, essiccati e stagionati. La cura consente di rimuovere le foglie e gli steli piccoli che contengono bassi livelli di cannabinoidi. I fiori rimanenti vengono essiccati all’aria e successivamente curati per essere certi che i pigmenti sgradevoli e altri residui indesiderati si siano dissipati.
Per i fiori di cannabis convenzionali, femminizzati, autofiorenti e ricchi di cannabinoidi si seguono le stesse linee guida per il raccolto, l’essiccazione e la concia. Spesso le strutture per l’essiccazione sono eccessivamente piccole. Piantate, raccogliete ed essiccate le varietà di cannabis a maturazione precoce in modo che siano fuori dai piedi prima di utilizzare lo stesso spazio per le varietà a maturazione più tardiva.
La cannabis, a prescindere dalle quantità di cannabinoidi - CBD, CBG, THC, ecc. - è sempre la stessa pianta con gli stessi requisiti di crescita e la stessa serie di finestre di raccolta. È disponibile una gamma completa di cultivar a elevato contenuto di CBD che hanno la stessa serie di date di raccolta delle cultivar a elevato contenuto di THC. E tutte le nuove varietà a elevato contenuto di CBG sono pronte per il raccolto all’inizio di settembre. I selezionatori producono costantemente nuove varietà a maturazione precoce.
Nota: Per vendere legalmente canapa CBD e CBG negli Stati Uniti è necessario un test di
laboratorio effettuato da terzi che attesti che il livello di THC è inferiore al limite legale (0,3%). La coltura legale di CBD viene raccolta con circa due settimane di anticipo in modo che il livello di THC non superi lo 0,3%. L’arbitrario 0,3% di THC è stato deciso da politici e non da botanici o agricoltori. Assicuratevi di studiare le leggi in vigore nello Stato, provincia o Paese in cui intendete coltivare la cannabis prima di piantare il vostro raccolto. E tenetevi aggiornati su eventuali modifiche alla legislazione locale e ai requisiti di legge per la coltivazione di tutti i tipi di cannabis.
LAVARE IL RACCOLTO
Lavate i fiori in una soluzione diluita di perossido di idrogeno (H2O2) per uccidere e rimuovere muffe, bruchi, feci di insetti e acari e altri agenti contaminanti presenti sulla superficie. In genere i residui di spray, polvere, feci di insetti e spore di muffa sono presenti in bassa percentuale su tutta la cannabis fresca. La cannabis coltivata al chiuso in genere accumula altrettanti se non più agenti contaminanti rispetto alle coltivazioni outdoor, perché indoor non ci sono forze naturali che lavano via gli agenti contaminanti. Non preoccupatevi quando bagnate le piante raccolte. Le verdure si lavano prima del consumo. La cannabis non fa eccezione. L’essiccazione è fondamentale.
Eliminate la pellicola oleosa di agenti contaminanti che si forma sulla superficie della soluzione di H2O2 con una spugna per prolungare la durata della soluzione. Risciacquate la spugna fra una schiumata e l’altra.
Eseguite le operazioni di cura subito dopo l’essiccazione dei fiori. Rimuovete le foglie intorno ai fiori. Rimuovete i fiori dai rami per
preparare un
La raccolta della cannabis è un lavoro impegnativo. Richiede spazio, aerazione e pianificazione. Alcuni coltivatori preferiscono effettuare la cura delle cime subito dopo il raccolto ed essiccarle successivamente. Altri preferiscono essiccare le piante prima della cura. In ogni caso, tutto ciò che troverete in questo capitolo vi offrirà gli strumenti necessari per pianificare la fase post-raccolto.
la cura. Per esaminare questa procedura dall’inizio alla fine, guardate il video che ho girato nella contea di Humboldt sul mio canale YouTube, https://www.youtube.com/user/ jorgecervantesmj.
TECNICHE DI CURA DELLA CANNABIS
i
in lunghezze
cm che si adattino con facilità al contenitore dove si trova il perossido di idrogeno. Immergete i rami nella soluzione e fateli roteare per 5-10 secondi, il tempo necessario affinché la soluzione diluita di H2O2 agisca sugli agenti contaminanti.
Una volta raccolti, fiori vanno curati con attenzione tagliando le foglie grandi nel punto in cui si innestano nello stelo. Lasciare il picciolo (stelo della foglia) può comportare la formazione di muffa. Tagliate le foglie più piccole e a bassa potenza intorno ai fiori che presentano poca resina, in modo tale che rimanga una bella cima ricca di cannabinoidi.
Le foglie sono morbide e facili da curare poco dopo il raccolto. Dalle foglie cade meno resina. La resina aderisce meglio alle foglie flessibili rispetto a quelle secche. Riducete i tempi di essiccazione con la cura subito dopo il raccolto. Rimuovete gli steli grandi ed essiccate solo i fiori. Gli steli contengono più umidità e si asciugano molto più lentamente delle foglie e dei fiori.
Le piante con le foglie esterne “a ventaglio” intatte ci mettono più tempo a essiccare e richiedono molto più tempo per la cura. Le foglie esterne formano una guaina che contribuisce a proteggere i delicati tricomi durante l’essiccazione. La resina cade con facilità dal fogliame secco durante l’essiccazione e la cura. Tagliare il fogliame secco e fragile è noioso e richiede molto tempo. L’essiccazione di maggiori quantità di fogliame richiede più tempo. Bilanciare l’umidità di steli e fogliame richiede più tempo.
Defogliate le piante in crescita fino a sette giorni prima del raccolto per distribuire opportunamente l’intenso lavoro necessario al momento della raccolta. Rimuovete le grandi foglie d’ombra quando le piante si trovano ancora nel terreno. La manodopera è un aspetto
Rimuovete i rami e risciacquate accuratamente con uno spruzzo di acqua fresca per eliminare eventuali residui di agenti contaminanti che possono essere rimasti attaccati al fogliame. Scuotete delicatamente l’acqua in eccesso dal fogliame.
Appendete i rami lavati ad asciugare. Orientate un ventilatore affinché soffi aria su di essi per accelerarne l’asciugatura. Controllate il tutto periodicamente: i rami pieni di fiori dovrebbero essere asciutti in meno di un’ora.
La cura fatta a mano è gratificante ma richiede anche molto tempo. Un esperto impiega circa sei ore per effettuare la cura ci circa 450 g di fiori di cannabis.
Le macchine per la cura lavorano molto più velocemente rispetto a una rifinitura fatta a mano. Tuttavia, le asperità lasciate sui fiori tagliati a macchina vengono in genere ripulite a mano. I dispositivi per la cura di tipo industriale possono lavorare fino a 4,5 kg al giorno. I fiori lavorati a macchina in genere devono essere “ripuliti” a mano.
del risultato. I fiori tagliati a macchina sono oggi più diffusi a causa del volume di cannabis prodotta.
Appendere piante complete a un filo per l’essiccazione è una buona scelta se si vuole ottenere in poco tempo il proprio raccolto a causa delle inclemenze meteorologiche. I rami possono essere facilmente rimossi per la lavorazione.
importante se si coltivano non poche piante. Utilizzate forbici con lame piccole per raggiungere l’interno delle cime e tagliare le foglie e i loro steli.
Acquistate forbici con manici imbottiti o morbidi che si adattino comodamente alla vostra mano. Le userete per lunghi periodi di tempo
e un’impugnatura comoda renderà il lavoro di cura più piacevole.
Indossate guanti chirurgici aderenti, che potete acquistare nella maggior parte delle farmacie, per evitare di avere le dita appiccicose durante la cura. Raschiate la resina direttamente dai guanti.
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Co-Authors
Chief Scientific Officer, Dr. Gary Yates
Stefan Meyer
Table of Contents
• Cannabis Botany
• Life Cycle of Cannabis
• Cannabis Seeds & Seedlings
• Plan Your Garden
• Grow Room Setup
• Twelve-week Garden
• Harvest, Manicuring, Drying, Curing & Storage
• Diseases, Pests & Problems
JORGE CERVANTES
Author Marijuana Horticulture.
Legendary Jorge Cervantes, published in eight languages sold over a million copies worldwide.
Intervista
Stoney Tark
INTERVISTA CON UN SELEZIONATORE TOP
SOFT SECRETS HA PARLATO CON JAMES LOUD
Abbiamo incontrato James Loud dagli Stati Uniti per scoprire tutto sul suo lavoro di selezione, sul podcast, sul suo nuovo libro e la sua passione per tutto ciò che riguarda la cannabis. Non perdetevi questa opportunità per conoscere meglio uno dei nomi più competenti e importanti del settore della cannabis!
Ciao James, puoi dire ai nostri lettori da quanto tempo hai iniziato a lavorare nell’industria della cannabis?
Ho iniziato a fumare nel 1991, quando il settore era molto diverso in California. Non esisteva un settore legale, era tutto underground. Ho iniziato a coltivare intorno al 1994 in uno sgabuzzino con una sola luce, e con il tempo sono passato a 8 luci in un garage, e poi a più garage con gli amici, per arrivare nel 2010 ad avere 50 luci in un magazzino. Per quanto riguarda la selezione, ho mossi i primi passi all’inizio degli anni 2000 e non ho avuto grande successo, ma ne ho sempre riconosciuto il valore. All’inizio non ero un grande coltivatore o selezionatore, ma non mi sono mai arreso e mi sono sempre impegnato per migliorare.
Com’è stato crescere in America e che impatto ha avuto su di te come coltivatore?
Sono cresciuto nella California del Nord, nella Bay Area, un’area progressista che ha plasmato la persona che sono diventato oggi. I Grateful Dead e la cultura musicale hanno avuto un forte impatto sulle comunità locali. A mio parere, avevamo a disposizione la migliore cannabis del pianeta, perché la Bay Area è un centro nevralgico e ci arrivava da nord addirittura dall’Oregon e da sud da San Diego.
La diversità era incredibile. Avevamo le cultivar equatoriali (Sativa) e gli ibridi più forti e stimolanti, le varietà più narcotiche a foglia larga (Indica) e tutto ciò che stava in mezzo. Avevamo anche un fiore incredibile che aveva un effetto e un gusto fantasmagorici ma era di brutto aspetto, un po’ come la Dr. Grinspoon in Europa. Roba che non passerebbe nella maggior parte dei mercati ricreativi di oggi a causa del suo aspetto.
A metà degli anni ‘90 c’era una cosa chiamata piscio di gatto ed era il fiore più brutto in assoluto, si trattava sostanzialmente di brattee e steli con una cattiva struttura delle cime. Non aveva solo uno degli effetti più potenti, emanava anche l’odore più forte e pungente che si traduceva anche nel persistente odore di puzzola e ammoniaca che rimaneva in una stanza dove la si era fumata.
Puoi parlarci delle genetiche statunitensi e illustrarci le più classiche e note?
Gran parte del lavoro pesante è stato condotto negli anni ‘60 e ‘70, quindi molti dei dati e della documentazione sui dettagli relativi a progenie e selezione non erano noti. Inoltre, le confezioni di semi selezionati involontariamente hanno svolto un ruolo cruciale nell’orientamento genetico del mercato statunitense.
Per esempio, nel 1991, la Chemdog, una delle cultivar più famose di tutti i tempi, è uscita dalla confezione di un fiore che era destinato a essere fumato. L’impatto di quella straordinaria coincidenza lo si può riscontrare ancora oggi in incroci noti come Stardawg, GMO, Donny Burger. Senza la Sour Diesel, progenie di Chemdog, non sarei qui oggi. La prima vera selezione e produzione di semi che io abbia mai fatto si basava ed è stata influenzata da Chemdog e Sour Diesel.
Oltre a me, altri selezionatori, come Skunk VA di Lucky Dog, JJ di Top Dawg, Karma di Karma Genetics devono tutti ringraziare in parte la Chemdog per la situazione in cui ci troviamo oggi. La cosa divertente è che non sappiamo esattamente cosa sia la Chemdog. Ho sentito dire che si ritiene sia Oaxacan x Thai x Afghani e tante altre versioni simili ma forse
non conosceremo mai la vera progenie. A volte il mistero aumenta il retaggio e questo funziona per il passato. Ma con le tecnologie di oggi, noi selezionatori abbiamo l’obbligo, in quanto custodi di questa sacra pianta, di fare tutto il possibile per preservare la sua storia e garantire la trasparenza per le generazioni future.
È incredibile pensare a quanta strada abbiamo fatto, dalle scoperte accidentali all’utilizzo di strumenti genetici avanzati. La varietà di cultivar che abbiamo oggi, costruita sulle spalle di questi classici, rispecchia non solo la creatività dei selezionatori ma anche la resilienza della pianta stessa. Il futuro della genetica della cannabis è positivo e, con passione e dedizione continue, possiamo garantire la piena realizzazione e apprezzamento da parte di tutti del potenziale della pianta.
Puoi parlarci della tua banca dei semi e di alcune delle genetiche che hai realizzato?
Per quanto riguarda la genetica, creiamo circa 300 incroci ogni anno e ne lanciamo una piccola percentuale per la vendita al pubblico attraverso il nostro sito web. Attualmente, sto lavorando
soprattutto su fotoperiodi THCA candy e dessert, con particolare attenzione al colore. Anche se il 20% di ciò che facciamo è costituito da varietà a fioritura prolungata, i cannabinoidi rari, il CBD, il CBG e altre varietà utilizzate solo per la selezione non hanno valore al dettaglio.
La Banana Z è Original Z x (Banana OG e Banana Punch). È una delle mie creazioni preferite di sempre. Quando nel 2018 mi trovavo a Saint Vincent per lavorare con il governo insieme a Marlon Asher, abbiamo fatto una promessa al Ministro dell’Agricoltura: saremmo tornati sull’isola con prodotti genetici che avremmo regalato agli abitanti. Sono passati cinque anni e stiamo tornando per tenere fede alla nostra promessa. Abbiamo creato più di 80 incroci di Banana Z e abbiamo alcuni incroci davvero fantastici che riteniamo possano dare ottimi risultati sull’isola. La nostra intenzione è quella di dare la genetica alla gente. Un tempo la loro economia prosperava grazie alla produzione di alcune delle migliori banane al mondo e speriamo che i nostri incroci di banana possano contribuire al benessere e alla prosperità della popolazione.
Cosa ti ha ispirato a pubblicare il tuo libro Cannabis Breeding?
Il libro è il lavoro della mia vita, il mio curriculum, la mia eredità e una cosa di cui il mondo aveva bisogno. L’ultimo vero libro sulla selezione è stato scritto nel 2000 da Greg Green e il mondo aveva bisogno di un aggiornamento. Ho trascorso gli ultimi 5 anni scrivendo e cercando di raccogliere il maggior numero di informazioni possibili per contribuire a educare persone interessate a saperne di più sulla selezione.
È il contributo del lavoro di oltre 20 persone, alcune delle quali godono della mia massima stima, come Reggie Gaudino, Mojave Richmond, Dale Hunt, Angela Bacca e molti altri. Il libro contiene tutto ciò che c’è da sapere sulla selezione, dalle tecniche di partenza a quelle avanzate, comprese alcune delle tecnologie più recenti che sono entrate in gioco negli ultimi 5 anni.
Che consigli hai per chi è interessato alla selezione?
Imparate prima di tutto a coltivare. La selezione dovrebbe essere una transizione naturale dalla coltivazione. Se non sapete coltivare abbastanza bene da fare in modo che la pianta si esprima adeguatamente per la differenziazione dei fenotipi, non siete in grado di fare la parte più importante, ossia scegliere piante di qualità da coltivare, selezionare e offrire al mondo.
Ci sono errori da evitare quando s’incrociano due piante?
La selezione deve essere intenzionale, ci deve essere un progetto alla base. Se non raccogliete dati sulla genetica su cui lavorate, perderete una parte enorme del processo. Il più grande errore sta proprio in chi vende semi non testati.
Molti caratteri sono recessivi e, a meno che non si conoscano molto bene le linee di riproduzione, non si può sapere quali saranno i risultati finali. Se avete due esemplari che sembrano essere sessualmente stabili, potrebbero comunque avere caratteri intersessuali recessivi che si esprimono quando li hanno entrambi i progenitori.
Quanto è importante trovare la pianta maschio giusta per la produzione di semi convenzionali, secondo te?
Trovare la pianta maschio giusta è fondamentale. Per molti versi, la selezione femminizzata è estremamente più semplice perché si capisce molto del contributo dato dal donatore. La cosa migliore da fare è testare i semi che si producono da alcuni maschi della stessa progenie su una o più cultivar per vedere quali sono le caratteristiche della pianta maschio. Questo è in assoluto il modo migliore per selezionare una pianta maschio per la selezione. Molto di questo può essere fatto su piccola scala, impollinando un ramo con sacchetti di polline.
Qual è il modo migliore per conservare il polline quando si seleziona in casa?
zeppo di semi!
La cosa più importante è quella di far essiccare il polline il più velocemente possibile e di mantenerlo asciutto. L’umidità e l’acqua sono il nemico, più è secco meglio è.
Anche le temperature basse sono meglio di quelle secche. Gli essiccanti sono importanti e delle condizioni stabili vi consentiranno di prolungare la durata di conservazione. Onestamente, la cosa migliore da fare è quella di utilizzare il polline il prima possibile.
Che consigli hai per coltivare le cime migliori indoor?
Trovate qualcuno che sappia coltivare fiori straordinari e imparate da lui/lei. Ci sono sempre Internet e i podcast. Prendete anche appunti e registrate tutto ciò che fate.
In questo modo potrete tornare sui vostri passi e valutare i progressi o esaminare gli errori per poter migliorare la prossima volta!
ROICAN: LA QUALITÀ ITALIANA NEL CBD
Roican è un’azienda italiana fondata nel 2019 con l’obiettivo di diventare leader nel mercato europeo del CBD. Sin dal principio, Roican si è distinta per affidabilità e professionalità e per l’incredibile qualità dei suoi prodotti testati e certificati nel rispetto delle normative europee.
La sua forza? Una squadra giovane e dinamica, composta interamente da personale under 35, che cura verticalmente ogni fase della filiera, dalla semina fino alla vendita finale...
Oggi parliamo con Lorenzo il deus ex machina di Roican. Buona lettura !
Lorenzo ci dai un’idea dei vostri numeri?
Contiamo su un team di oltre 30 professionisti specializzati nella vendita, che servono più di 800 clienti distribuiti in tutta Europa. Ogni mese esportiamo oltre una tonnellata di prodotti, coltivati e confezionati interamente in Italia che distribuiamo ad aziende, distributori e negozi.
La nostra offerta include oltre 150 prodotti e, per ogni informazione, la nostra rete interna conta 60 dipendenti che garantiscono un’operatività efficiente, prezzi competitivi e soluzioni per ogni esigenza. Siamo orgogliosi di vantare un alto tasso di fedeltà, con molti dei nostri clienti che, ogni giorno, continuano a scegliere Roican.
Quali sono i prodotti Roican più richiesti?
I nostri fiori indoor e glasshouse insieme alle resine sono i prodotti più apprezzati disponibili in varie categorie e fasce di prezzo.
Utilizziamo diverse tecniche di coltivazione per assicurare un’offerta continua e di altissima qualità. Inoltre, il nostro laboratorio all’avanguardia
ci consente di produrre e sperimentare diversi tipi di resine ed estratti, utilizzando sia metodi tradizionali sia tecnologie moderne. Per chi è alla ricerca di un’assistenza a 360°, offriamo anche un servizio di personalizzazione e Private Label, che permette ai clienti di ricevere un prodotto già confezionato e pronto per la vendita, comprensivo di supporto nel nostro Graphic Design Department.
Quali sono i paesi con i quali collaborate per la maggiore?
Collaboriamo prevalentemente con Italia, Portogallo, Francia, Germania e Spagna dove la nostra presenza è ben consolidata. Attualmente stiamo concentrando i nostri sforzi per stabilirci
in mercati strategici come la Repubblica Ceca e l’Europa dell’Est, dove vediamo grandi opportunità di crescita.
Come funziona la vostra politica per le spedizioni?
La nostra politica per le spedizioni è concepita per garantire efficienza e trasparenza. Offriamo tempi di consegna rapidi e affidabili in tutta Europa grazie a una rete logistica ben strutturata, con la possibilità di tracciare le spedizioni in tempo reale. Collaboriamo con partner logistici internazionali come GLS o UPS per assicurare che i prodotti arrivino a destinazione in perfette condizioni e nei tempi previsti, offrendo ai nostri
clienti diverse opzioni in base alle loro necessità e cosa più importante, ma non scontata, garantiamo ogni nostra spedizione.
Quali sono i vostri progetti per il futuro?
Guardando al futuro, intendiamo continuare a investire in nuove tecnologie e ampliare la nostra presenza in mercati emergenti. Tra i nostri progetti futuri vi è l’apertura di nuove sedi operative e logistiche, oltre a un impegno crescente verso la sostenibilità, con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale lungo tutta la filiera
www.roican.eu
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Storia della cannabis
Di Olivier F
CARL VON LINNÉ (1707-1778)
Carl Linnæus (Carlo Linneo), divenuto Carl von Linné dopo la nobilitazione, è stato un naturalista svedese. Fu l’autore di Species plantarum, un saggio che nominava e classificava tutte le piante note all’epoca. Fu anche il primo a dare alla canapa un nome binomiale: Cannabis sativa L.
Il naturalista Carl von Linné identificò 4.400 specie animali e 6.000 specie vegetali. Nel 2014, uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’Università di Tolosa ha qualificato Carl von Linné come la figura storica più ‘influente’ su Internet, davanti a Gesù Cristo e Aristotele.
Carl Linnaeus nacque il 23 maggio 1707 a Råshult, in Svezia. Il padre, Nils Ingemarsson Linnaeus, gli trasmise la passione per le piante. Vivevano in una regione di foreste e laghi, un punto di osservazione per piante e animali davvero privilegiato.
Entrò all’Università di Lud nel 1727, iscrivendosi con il nome Carolus Linnæus. Qui ebbe come insegnante il medico e naturalista svedese Kilian Stobæus, detto il Vecchio. L’anno successivo, nel 1728, si trasferì e frequentò la prestigiosa Università di Uppsala, dove studiò medicina e scienze naturali. Qui, all’età di 24 anni, iniziò a elaborare la sua classificazione delle piante in base agli organi sessuali, descritta nella sua opera Hortus Uplandicus.
Nel 1732 intraprese un importante viaggio oltre il Circolo Polare Artico. Dalle sue spedizioni scientifiche in Lapponia e Dalarna, regione allora inesplorata della Svezia, riportò un’ampia collezione di piante, minerali e animali. I suoi viaggi portarono alla pubblicazione di un libro di osservazioni, Florula Lapponica, che lo rese famoso in patria e gli consentì di tenere conferenze sulla botanica.
Nel 1735 Carl Linnæus partì per i Paesi Bassi. Il suo obiettivo era quello di pubblicare i suoi lavori e conseguire una laurea in medicina. Conseguì il dottorato in medicina all’Università di Harderwijk nei Paesi Bassi, titolo che all’epoca non veniva conferito in Svezia.
Ad Amsterdam conobbe il botanico Jan Frederik Gronovius, al quale sottopose il suo manoscritto Systema Naturae e che decise di finanziarne la pubblicazione. Lavorò all’Orto Botanico di Amsterdam ed ebbe accesso all’enciclopedia di Hendrik van Rheede sulla botanica del subcontinente indiano, Hortus Malabaricus. Dopo un viaggio in Inghilterra nel 1736, dove incontrò i botanici dell’Università di Oxford, tornò nei Paesi Bassi e lavorò al Genera Plantarum, la cui prima edizione fu pubblicata nel 1737.
L’anno seguente, Carl Linnæus tornò nella sua Svezia. Esercitò la professione di medico specializzato nel trattamento della sifilide a Stoccolma. Nel 1739 sposò Sara Elisabeth Moræa, dalla quale ebbe 7 figli. Nel 1741 ottenne la cattedra di medicina e in seguito quella di botanica all’Università di Uppsala, in Svezia. Nell’orto botanico dell’uni-
versità, sistemò le piante secondo la propria classificazione o tassonomia. Pubblicò in svedese i resoconti delle spedizioni in Svezia, apprezzati anche per le loro qualità letterarie.
Nel 1747 divenne medico della famiglia reale svedese. Fu nobilitato nel 1751 e il suo nome cambiò da Carl Linnæus a Carl von Linné.
La sua opera principale, il Systema Naturae, è stata pubblicata in diverse edizioni, che possono essere scaricate da gallica.bfn.fr - la prima edizione, pubblicata nel 1735, era composta da sole 11 pagine; la tredicesima edizione, pubblicata nel 1770, conteneva 3.000 pagine.
Il naturalista suddivise la natura in tre regni: animale, vegetale e minerale. Nel Systema Naturae si basò sul lavoro del botanico francese Sébastien Vaillant - che aveva studiato gli organi sessuali delle piante - e li classificò quindi in funzione del numero di stami.
La sua seconda opera di riferimento, Species Plantarum, fu pubblicata nel 1753. Quest’opera in due volumi, in cui venne rivista la nomenclatura botanica del Systema Naturae, segna l’inizio della nomenclatura binomiale utilizzata ancora oggi.
Lo Species Plantarum contiene la descrizione di tutte le specie vegetali note all’epoca. A ogni specie vegetale veniva assegnato un nome in due parti, cioè un nome binomiale, che viene utilizzato ancora oggi.
Nello Species Plantarum, alla Cannabis fu assegnato per la prima volta il nome Cannabis sativa L. Cannabis (canapa in latino) è un nome composto formato dall’unione di canna, che significa ‘bastone’, cioè pianta, e bis, che significa ‘doppio’.
Ciò è dovuto al fatto che la cannabis è una pianta dioica, ovvero caratterizzata da esemplari maschio e femmina. La parola sativa significa ‘coltivata’, in questo caso ‘canapa coltivata’. Nella
nomenclatura binomiale, la lettera o le lettere finali designa(no) il nome del botanico che per primo ha assegnato il nome alla specie.
Nel caso della Cannabis sativa L., la L sta ovviamente per Linneo/Linné, che ha nominato e classificato anche numerose altre specie di piante.
Storia della cannabis
Di Olivier F
HEMP DRUGS COMMISSION REPORT 1893-1894
L’Hemp Drugs Commission Report è un ampio studio indo-britannico sull’uso della cannabis nell’India Britannica. Pubblicato nel 1894 dopo un anno di indagini, comprende sette volumi per un totale di 3.281 pagine. L’Hemp Drugs Commission Report è il più ampio studio mai realizzato sulla cannabis.
Questo studio risale alla fine del XIX secolo, quando l’uso della cannabis psicoattiva non era ancora diffuso in Occidente, ma era già presente da tempo in Oriente.
Oggigiorno, sempre più commissioni e studi indagano sulla cannabis per uso medico o ricreativo in Francia e in altri Paesi occidentali. Tuttavia, il rapporto completo, pubblicato più di 120 anni fa, rispondeva già alla maggior parte delle domande poste da esperti e legislatori.
L’India è stata una colonia britannica fino al 1947. Nel 1893, il governo britannico in India era coinvolto attivamente da oltre 100 anni nella regolamentazione, nella tassazione e nella distribuzione delle droghe, allora note come inebrianti. A quel tempo, l’uso di cannabis da parte della popolazione era già fonte di controversie.
Nel 1790, i britannici imposero ai proprietari terrieri indiani dazi sull’alcol e su altre droghe inebrianti. La regolamentazione dei prodotti a base di cannabis venne definita nel 1793. Riguarda tre prodotti diversi: bhang (foglie
e fiori di piante di cannabis selvatiche o inferiori), gangia (sommità fiorite della pianta di cannabis) e charas (resina della pianta di cannabis matura).
“A nessuno è consentito produrre o vendere tali droghe senza la licenza del funzionario della zillah” (cioè l’ufficio amministrativo istituito per riscuotere tali entrate). Tale regolamento venne adottato “allo scopo di controllare il consumo smodato e, allo stesso tempo, incrementare il gettito fiscale pubblico”.
Nel 1800, il regolamento venne modificato per vietare la produzione e la vendita di charas, in quanto il prodotto era allora con -
siderato ‘di qualità estremamente nociva’. L’imposizione fiscale si basava su tariffe giornaliere. Più tardi, nel 1824, il divieto di vendita della charas fu revocato “poiché questa droga è risultata, a un esame, non più dannosa per la salute della gangia o di altre droghe inebrianti”.
Nel 1849, a Calcutta furono fissati dei limiti alla vendita al dettaglio di droghe a base di cannabis, estesi poi a tutto il Bengala.
Nel 1855 fu abbandonato il metodo della tassa giornaliera e venne applicata una tassa in base al peso. Nel 1860 fu imposta un’ulteriore serie di tasse per i rivenditori.
Il 2 marzo 1893, un membro della Camera dei Comuni britannica sollevò un quesito sugli effetti della produzione e del consumo di droghe a base di canapa nella provincia del Bengala, in India.
In risposta, il 3 luglio 1893, il governo indiano convocò una commissione di sette membri, presieduta da MW Mackworth Young, per esaminare la questione. Decisero che l’indagine avrebbe riguardato tutta l’India e non solo la provincia del Bengala.
L’Hemp Drug Commission si riunì la prima volta a Calcutta il 3 agosto 1893. 1.193 persone furono intervistate in occasione di 86 incontri organizzati fra il 3 agosto 1893 e l’agosto del 1894. La Commissione si recò in 30 città diverse in 8 province indiane e in Birmania. Le visite agli istituti psichiatrici di tutta l’India contribuirono a dimostrare che la cannabis non provocava la pazzia. Si tratta del più ampio studio a essere stato mai realizzato sulla cannabis.
È stata intervistata un’ampia gamma di persone, come funzionari medici, funzionari civili, associazioni e cittadini comuni. L’obiettivo della Commissione era quello di rispondere a un lungo elenco di domande, fra cui: L’uso abituale e moderato di una di queste droghe produce effetti nocivi - fisici, mentali o morali? L’uso di cannabis danneggia la digestione o causa perdita di appetito?
Provoca malattie come dissenteria, bronchite o asma? L’uso di cannabis compromette il senso morale o induce alla pigrizia o alla tendenza all’immoralità o alla dissolutezza? Agli intervistati sono state poste 70 domande in totale. Le risposte scritte a queste domande sono state il fulcro delle evidenze raccolte dalla Commissione.
Tuttavia, i membri della Commissione hanno intervistato anche persone che non avevano fornito risposte scritte o che dovevano dare ulteriori informazioni. Le scansioni del Rapporto possono essere visualizzate online.
Il Rapporto conclude che la cannabis non è dannosa: “... l’uso moderato di queste droghe è la regola e... l’uso eccessivo è relativamente eccezionale. L’uso moderato non produce praticamente alcun effetto negativo”.
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Di Dott. Davide Calzolari
TLC - CROMATOGRAFIA
SU STRATO SOTTILE
COME RICONOSCERE PRECOCEMENTE IL CHEMOTIPO DI UNA PIANTA CON POCHI EURO
La Cannabis offre notoriamente una vasta gamma di prodotti per applicazioni in campo alimentare, tessile, edile e farmaceutico.
Tra i numerosi composti che possiamo ottenere da questa coltura, i cannabinoidi sono sicuramente quelli che hanno trainato e trainano tutt’ora l’interesse scientifico nei confronti di questa pianta.
Nell’articolo vedremo come poterne analizzare il contenuto su piccole piantine di Cannabis senza bisogno di ricorrere a un laboratorio professionale.
In ambito di ricerca, l’analisi dei cannabinoidi presenti nelle differenti parti della pianta viene effettuata di routine tramite una tecnica denominata cromatografia.
Nei moderni laboratori professionali, per eseguire questa analisi si utilizzano apparecchiature estremamente avanzate e complesse; senza scendere nei dettagli, possono costare alcune centinaia di migliaia di euro, a cui vanno aggiunti i costi della manutenzione ordinaria, delle componenti da sostituire
regolarmente, oltre che una stanza dedicata e attrezzata per maneggiare i gas, i solventi e i reagenti chimici necessari.
Tuttavia, dobbiamo pensare che la tecnica della cromatografia venne inventata a inizio 1900 e si basa su princìpi relativamente semplici. Secondo questi princìpi è possibile separare le differenti componenti di una miscela, nel nostro caso i differenti cannabinoidi estratti dalle foglie, utilizzando un supporto dalla struttura porosa e solventi.
Per prima cosa quando si parla di solventi per i cannabinoidi è bene tenere a mente che sono sostanze estremamente volatili, infiammabili e potenzialmente pericolose per la salute, motivo per cui, se mai utilizzerete qualsiasi kit rapido di analisi presente in commercio, è importante leggere accuratamente le istruzioni d’uso e di sicurezza dei prodotti usati, indossare sempre abiti adatti con maniche e pantaloni lunghi e i dovuti dispositivi di protezione come guanti e occhiali.
Oltre ai solventi avremo a che fare anche con altre sostanze chimiche potenzialmente pericolose. Per esempio i supporti porosi utilizzati per la cromatografia possono rilasciare polveri irritanti per le vie respiratorie, motivo per cui vanno maneggiati con estrema cautela e mai a mane nude.
Come vedremo a breve, avremo bisogno di un reagente in grado di far sviluppare una colorazione ai nostri composti di interesse e anche in questo caso stiamo parlando di sostanze pericolose per la nostra salute e per l’ambiente.
Dopo aver preso le dovute precauzioni, possiamo iniziare a vedere come funziona un kit per l’analisi dei cannabinoidi e come possiamo determinare il loro profilo molto prima che la pianta sia in fioritura.
Preparazione del materiale di partenza. Per il nostro esempio partiremo dalle foglie apicali di piccole piante in fase vegetativa, come talee radicate o piante alla terza settimana dalla semina. Il nostro obbiettivo
è quello di determinare in che rapporto sono presenti i maggiori cannabinoidi di interesse come CBD, THC e CBG con largo anticipo prima della fase di fioritura.
Preleviamo da una pianta una porzione di foglia, di circa 1-2 grammi di peso e poniamola ad essiccare a 40-50 °C per circa 2-4 ore a seconda della quantità di foglie prelevata.
Appena il materiale risulterà sufficientemente secco effettuiamo una breve decarbossilazione, a circa 140-150°C per almeno 10 minuti e al termine lasciamo raffreddare brevemente i campioni vegetali.
Posizioniamo il nostro materiale secco e decarbossilato all’interno di una delle provette che generalmente sono fornite nei kit commerciali, per aiutarci è possibile sbriciolarlo leggermente.
Nel caso avessimo a disposizione una bilancia di precisione, è possibile verificare di avere inserito per ognuno dei campioni la stessa quantità di materiale fogliare.
Questa prima parte si può tranquillamente effettuare in una cucina dotata di forno. La successiva fase prevede l’uso dei sopracitati solventi, è quindi necessario disporre di una zona adeguata al loro utilizzo: ventilata, lontana da cibi e fonti di calore o fiamme.
L’estrazione dei composti di interesse si effettua introducendo, all’interno di ciascuna provetta con il nostro materiale secco, una quantità di solvente tale da imbibirlo e sommergerlo leggermente, circa 1 ml. Le provette sigillate e agitate vanno lasciate in fase di estrazione per alcuni minuti al termine dei quali separiamo il solvente dal materiale vegetale. In una provetta nuova recuperiamo un piccolo volume del liquido di estrazione, 0,5 ml sono più che sufficienti per la nostra analisi su piccola scala, mentre il materiale vegetale va scartato.
A questo punto lasciamo che il solvente evapori attenendoci alle istruzioni che accompagnano ogni kit di analisi senza mai esporre al calore diretto le provette nel tentativo di accelerare il processo.
Sul fondo delle provette, al termine della totale evaporazione, otterremo un residuo di colore verde scuro o bruno che andremo a risospendere usando una o poche gocce del solvente specifico fornito con il kit di analisi. Il nostro campione liquido contenente i cannabinoidi è dunque pronto per essere separato in cromatografia.
Cromatografia su strato sottile.
La tecnica cromatografica denominata TLC (Thin Layer Chromatography) può inizialmente spaventare per il nome all’apparenza complicato.
Nella realtà dei fatti, rispetto ai più avanzati sistemi per cromatografia di laboratorio, è una tecnica relativamente semplice dal punto di vista manuale e di interpretazione dei risultati.
Le tre fasi principali che contraddistinguono una TLC sono: la deposizione del nostro campione sulla lastra cromatografica, la fase di separazione in cui i differenti composti migrano lungo la lastra ad opera di un solvente, lo sviluppo della lastra tramite il trattamento con composti specifici in grado di colorare le piccolissime quantità di cannabinoidi e renderli misurabili.
Per piccoli test sono disponibili in commercio kit preconfezionati per l’analisi dei cannabinoidi contenenti tutti i reagenti e le provette necessari ad effettuare alcune decine di analisi.
Nel caso di esigenze maggiori o per chimici con più esperienza, è possibile trovare strumenti adatti a processare più velocemente un numero maggiore di campioni.
Prima di procedere con la deposizione del nostro campione sulla lastra, è bene valutare, tramite una stima più o meno accurata, la quantità di campione necessaria.
Possiamo per esempio decidere di deporre 10 microlitri del nostro estratto sospeso in solvente, dal momento che supponiamo che
le giovani foglioline abbiano una concentrazione estremamente ridotta. In alternativa, se stiamo analizzano foglie di piante più mature o in stadio di prefioritura, è possibile deporre solo 1 o 2 microlitri, dal momento che la quantità di cannabinoidi estratta sarà leggermente maggiore.
Al termine della deposizione si passa alla fase di migrazione. La lastra, orientata in
numerosi composti presenti nel campione. Nel corso di questa migrazione della durata di alcune decine di minuti e all’apparenza lenta, i differenti cannabinoidi per le loro proprietà di interagire con il solvente mobile e il supporto poroso fisso della lastra, corrono verso l’alto con velocità differenti.
Il risultato è che al termine di questa fase, i composti prima miscelati al punto di deposi -
di colore rosso/rosa. A partire dal punto di deposizione, in cui sono presenti anche i residui di cannabinoidi non decarbossilati, i vari composti hanno percorso con differenti velocità la nostra lastra.
A questo punto è possibile valutare, in base all’intensità della loro colorazione, la presenza o l’assenza dei principali cannabinoidi di interesse.
Nel caso dell’esempio in foto, i primi tre campioni da sinistra mostrano un singolo cannabinoide principale, indicato con 1°, e una minor quantità del 2° cannabinoide. Diversamente il quarto campione preso in esame mostra un’apparente equivalenza dei due cannabinoidi.
Per poter avere una quantificazione più precisa è possibile acquisire digitalmente l’immagine delle proprie lastre prima che la colorazione usata per lo sviluppo inizi a sbiadire.
Con l’utilizzo di un qualsiasi software per l’analisi di immagini, possiamo misurare la dimensione del diametro o dell’area di ogni singolo composto individuato in ognuno dei differenti campioni. L’identificazione dei cannabinoidi avviene tramite il confronto con tabelle specifiche fornite dai produttori dei kit e dei reagenti usati.
La TLC è una tecnica che consente con un costo contenuto e in tempi relativamente brevi di determinare precocemente se tra le piante osservate siano presenti individui con specifici profili dei cannabinoidi. L’ambito di applicazione dell’analisi precoce delle foglie tramite TLC non è limitato a indagini su piccola scala su poche piante madri.
Infatti può essere sfruttato come screening preliminare anche per programmi di miglioramento varietale, ovviamente con la strumentazione e gli spazi adeguati a gestire centinaia di campioni e non più in ambito domestico.
Nonostante la relativa semplicità di utilizzo dei kit rapidi di analisi per i cannabinoidi è bene conoscerne anche i principali limiti. Essendo stati sviluppati per l’analisi dei più diffusi THC, CBD e CBG, risultano poco pratici per l’analisi di altri cannabinoidi minori presenti in tracce come CBN, CBC, THCV o CBDV.
Le lastre cromatografiche per TLC non sono riutilizzabili: dopo lo sviluppo del colore e l’acquisizione digitale, vanno smaltite come rifiuti pericolosi.
posizione verticale e con il nostro campione depositato sul lato in basso, viene posta all’interno di un contenitore sigillato, dentro il quale abbiamo precedentemente introdotto alcuni millilitri di solvente.
Dal momento di contatto tra la nostra lastra porosa e il solvente liquido posto sul fondo, quest’ultimo inizierà a risalire lentamente il supporto per capillarità, trainando con sé i
zione del campione, risulteranno nettamente separati sopra la lastra, ma purtroppo non ancora visibili.
Lo sviluppo finale della nostra lastra cromatografica, si effettua trattandone la superficie con specifici reagenti in grado di colorare tutti i composti presenti. Nell’esempio della foto, dopo la colorazione, ogni composto appare come una macchia
Dobbiamo anche considerare che effettuare analisi in ambito domestico espone maggiormente a possibili contaminazioni tra i campioni e ad opera di vari agenti esterni, che potrebbero rendere vani tutti i nostri sforzi.
Per questi motivi, quando si eseguono screening su larga scala di piante, risulta molto più pratico e versatile rivolgersi a laboratori in grado di garantire i principali standard di accuratezza, precisione e ripetibilità, oltre che una corretta gestione di tutte le sostanze potenzialmente pericolose necessarie.
Intervista
Di Fabrizio Dentini
Incontro con Carrie Cutler Direttrice del THC LAB alla Washington State University
La dottoressa Carrie Cutler è professore associato presso il Dipartimento di Psicologia alla Washington State University dove, da circa 10 anni, dirige il THC Lab Health & Cognition. L’apertura di questo centro di ricerca, specializzato nello studio degli effetti della cannabis sul sistema cognitivo, ha coinciso con la legalizzazione della cannabis nello Stato di Washington. Una grande opportunità, insomma, per capire alla luce del sole come questa pianta agisca sull’essere umano e quali siano i suoi effetti sulla nostra psiche.
Quali sono i principali ambiti di ricerca nei quali il THC Lab è specializzato?
Le nostre ricerche vertono sugli effetti acuti e cronici del THC e, soprattutto, sugli effetti acuti prodotti sulla memoria dai fiori ad alta potenza e dai concentrati con potenza estremamente alta.
Il THC Lab studia gli effetti prodotti dall’uso cronico di cannabis e l’acuta intossicazione prodotta da questa pianta.
Come definirebbe un consumatore cronico e come un’intossicazione acuta da cannabis?
Un consumatore cronico è colui che utilizza cannabis frequentemente, su base settimanale o addirittura quotidiana.
Al momento in cui entrano a far parte delle mie ricerche ed investighiamo gli effetti acuti e residuali, queste persone sono sobrie e quindi non sono sotto l’effetto euforico della sostanza per lo meno dalle otto alle dodici ore.
Per quanto riguarda la definizione d’intossicazione acuta da cannabis, brevemente, è quando si è sotto il suo effetto “euforico”.
Parlando di consumatori cronici, come ha analizzato quando la cannabis ha un effetto positivo e quando il contrario?
Quello che notiamo è che l’uso cronico di cannabis abbia effetti piuttosto negativi a livello cognitivo ed in particolare sulla memoria. Allo stesso tempo, non riscontriamo effetti particolarmente positivi sui consumatori cronici.
Parlando di effetti positivi, durante l’intossicazione acuta, abbiamo scoperto che quando le persone sono sotto l’effetto della cannabis, riportano una diminuzione rispetto a diversi sintomi legati alla salute mentale ed una diminuzione nella percezione del dolore.
Il punto è che quanto l’effetto immediato della cannabis finisce anche i sintomi si ripresentano.
Possiamo quindi dire che un consumo frequente di cannabis, nel lungo termine, non aiuta davvero nel trattamento dei sintomi, ma che i pazienti si sentono meglio sotto il suo effetto.
A quali sintomi si sta riferendo?
I sintomi sono quelli del disordine ossessivo-compulsivo, del disordine da stress-post traumatico, nell’autismo, ansia, stress e depressione e poi nel dolore da emicrania, nella nevralgia e nel dolore muscolare o articolare.
Cosa si sente di dire sulla relazione fra consumo di cannabis e salute mentale?
Credo che la cannabis possa essere paragonata ad un cerotto che copre e maschera temporaneamente i sintomi fino a quando si è sotto il suo effetto.
In parole semplici, il suo consumo innesca una sorta di tregua temporanea dai sintomi.
Il problema è che quando l’effetto svanisce i sintomi ritornano e quindi si è portati a consumare nuovamente. Questo è il passaggio che rischia di far sviluppare modelli di consumo problematico.
Come definirebbe il consumo problematico di cannabis?
E’ definito dall’Associazione Americana degli Psichiatri attraverso diversi sintomi che indicano che sussista un problema di consumo.
Questi sintomi possono essere: problemi con la giustizia, un impatto negativo sulle relazioni sociali, lo sviluppo di tolleranza (necessità di maggiori dosi per ottenere il medesimo effetto), o l’esperienza d’astinenza quando non si è sotto l’effetto.
Possiamo riassumere dicendo che il consumo problematico è quando la cannabis comincia a creare problemi alla vita di chi la consuma.
Possiamo quindi affermare che tale consumo diventi problematico più in relazione al contesto legislativo che alla natura stessa della sostanza?
Certamente, ma può anche svilupparsi in relazione all’aspetto finanziario e quindi quando le persone spendono troppi soldi per comprare cannabis senza poterselo permettere e poi, al netto del contesto legislativo, il concetto di sviluppo della tolleranza rimane.
Una sostanza spesso consigliata per controllare ansia o stress, a volte è anche fortemente sconsigliata in altri casi in cui è coinvolta la salute mentale.
Come valuta la polivalenza e l’ambivalenza degli effetti psicotropi della cannabis?
Non sappiamo veramente perché alcune persone sviluppino maggiore o minore ansia in connessione con l’utilizzo della cannabis, ma crediamo che questo sia connesso a differenti variabili. Per esempio, quando si utilizzano prodotti ad alta potenza in THC è più probabile che l’ansia venga amplificata rispetto a prodotti con livelli più bassi di questa molecola.
Abbiamo anche notato che persone con minore esperienza nel consumo siano più portate a sviluppare ansia rispetto ai consumatori più sperimentati che, al contrario, riportano un allentamento delle tensioni. Inoltre, parlando d’ansia, non è da trascurare l’impatto dell’ambiente nel suo sviluppo.
Se queste persone sono in laboratorio sono più propense a riportare un percorso di ansia rispetto a quando consumano a casa propria. Come psicologa, comunque, per risolvere i problemi d’ansia, piuttosto che la cannabis, prevalentemente consiglio una terapia comportamentale e questo proprio perché la cannabis è sicuramente una benda, ma temporanea.
A quali ricerche sta lavorando al momento?
Al momento stiamo conducendo la prima ricerca clinica approvata dalla DEA [Ndr. Drug Enforcement Agency] e dalla FDA [Ndr. Food and Drug Administration] nello Stato di Washington. Proprio prima dell’intervista, ho appena finito di testare il partecipante numero 81.
Quello che facciamo è somministrare loro 20 mg di THC, 40 mg di THC o un placebo in uno studio a doppio ceco [Ndr. studio in cui né i pazienti né gli sperimentatori sanno quale trattamento sarà somministrato al paziente].
Dopo la somministrazione procediamo con un’ora di test sulla memoria per comprende -
re quali aspetti siano compromessi dall’intossicazione acuta da cannabis e questo perché ci sono molti aspetti della memoria da indagare e non solo la memoria intesa globalmente. Un altro ramo che stiamo investigando riguarda lo sviluppo della cosiddetta “fame chimica”.
Molto interessante cosa vi può raccontare?
Dopo aver terminato i test sulla memoria, abbiamo deciso di non mandare via i partecipanti per monitorare come la cannabis influenzi lo sviluppo di questa voglia di cibo. Così, continuiamo l’osservazione protetti da un vetro opaco grazie al quale possiamo vedere i partecipanti senza essere visti. In questa maniera monitoriamo l’ingestione di calorie, carboidrati, grassi e proteine e controlliamo tutti i parametri nutrizionali.
Poi chiediamo loro di valutare in che maniera abbiano gustato quanto assunto. Così facendo abbiamo scoperto che preferiscono mangiare calorie, carboidrati e grassi e meno le proteine. Sorprendentemente, non sembra gradiscano il cibo in maniera più intensa rispetto a chi ha assunto un placebo.
Fra tutte le vostre ricerche quale vi ha reso più orgogliosi?
Una ricerca di cui sono molto fiera è quella pubblicata recentemente sugli effetti clinici del CBG sul cui interesse mi ha introdotto il Dottor Ethan Russo [Ndr. Vedi SSIT.5-24].
Quali ricerche vorrebbe sviluppare nel futuro?
Per il futuro condurremo un follow-up proprio di questo studio sugli effetti del CBG. Nello studio clinico appena pubblicato abbiamo scoperto che una dose di 20mg di CBG riduce in maniera significativa sia ansia che stress e che, sorprendentemente e al contrario del THC, migliora la memoria.
In questo follow-up daremo ai partecipanti 50mg di CBG o un placebo e verificheremo in laboratorio i risultati a livello fisiologico (battito cardiaco, pressione sanguigna, temperatura, conduttività epidermica) e psicologico, con particolare attenzione nella riduzione dell’ansia e dello stress e con un accento particolare sugli effetti sulla memoria e nella tolleranza al dolore.
Da quando le estrazioni di cannabis sono entrate nel mercato americano che tipo d’impatto ha riscontrato?
Abbiamo studiato gli effetti cronici ed acuti dei concentrati in comparazione a quelli prodotti dai fiori. Nella ricerca abbiamo
riscontrato che i consumatori di estratti o fiori condividono una certa compromissione in diversi aspetti della memoria come, ad esempio, nella memoria verbale, nella memoria sorgente, che permette di ritrovare l’origine di una determinata informazione e nella “falsa memoria”.
I consumatori di estratti, rispetto ai consumatori di infiorescenze, non hanno avuto diverse performance durante i test sulla memoria e la ragione è che nonostante stiamo parlando di sostanze molto più potenti, ne assumono in maniera molto meno significativa rispetto a chi consuma infiorescenze.
Chi consuma le estrazioni ne assume circa 5 tiri che diventano circa 15 tiri per le infiorescenze. Abbiamo anche analizzato persone che normalmente utilizzano solo fiori comparandole con persone che normalmente utilizzano entrambi e comparando entrambi i gruppi con persone che non utilizzano cannabis sotto nessuna forma.
In questo caso abbiamo riscontrato che il gruppo che utilizzava sia fiori che estratti avesse maggiori problemi riguardo la memoria prospettica, la memoria episodica e quella sorgente, ma anche qui, ad un livello simile al gruppo che utilizzava solamente infiorescenze.
Cosa suggeriscono questi risultati?
Che per quanto riguarda il sistema cognitivo, gli estratti non siano peggio delle infiorescenze e questo perché vengono impiegati in maniera fortemente ridotta rispetto ai fiori.
Quello che mi spaventa in maniera più importante è che credo che i concentrati assunti attraverso le vape-pen siano davvero molto pericolosi per i polmoni di chi li usa, e non per il THC, ma per le sostanze chimiche con le quali viene diluito.
Lo Stato di Washington ha legalizzato la cannabis nel 2012. In base a quanto ne sa e se preferisce, rispetto ad altri stati americani, che tipo di impatto ha avuto questa scelta sulla salute mentale dei cittadini?
Non credo che vi sia stato un forte incremento nei disordini psicotici, ma quello che è importante sottolineare è che non si sia verificato alcun incremento nel consumo da parte dei giovani.
Detto questo, posso dire che la legalizzazione dell’industria della cannabis, nella quale le tasse sono abbastanza alte [Ndr. lo Stato di Washington riscuote un’accise unica del 37% sulla vendita di marijuana a scopo ricreativo] ha rappresentato un incredibile introito fiscale e che quindi l’impatto è stato ottimo a livello finanziario.
Coltivazione
Mr. José info@mrjose.eu
info@mrjose.eu
Predisporre una stanza di coltivazione professionale domestica
Di recente si è parlato molto delle possibili forme di regolamentazione della cannabis in diversi Paesi europei. Sebbene non vi sia chiaro consenso sull’esistenza di un mercato regolamentato con punti vendita autorizzati e social club della cannabis, la coltivazione domestica sembra essere accettabile per tutte le parti coinvolte nel processo legislativo. Tuttavia, si vocifera che i coltivatori domestici non siano in grado di coltivare e raccogliere cannabis di qualità sufficiente con un impatto ambientale minimo. Volete sapere
come predisporre una coltivazione altamente professionale su piccola scala? Allora leggete questo articolo. Devo dire che trovo piuttosto divertenti i dibattiti sulla capacità dei coltivatori domestici di produrre cannabis di buona qualità. Sì, ho conosciuto novellini con raccolti tragicamente falliti, non c’è dubbio, ma ho assistito a fallimenti simili anche in grandi coltivazioni autorizzate. D’altro canto, però, ho visto molti più casi di cime bellissime e di ottima qualità coltivate sia da piccoli che da
grandi coltivatori commerciali. Sono fermamente convinto che i coltivatori domestici siano dei veri intenditori della cannabis e non penso certo che la qualità sia automaticamente inferiore, soprat-
tutto per chi ha una certa esperienza. Allo stesso tempo, devo ammettere che la coltivazione domestica ha i suoi limiti e che una coltivazione commerciale progettata e costruita in modo corretto e professionale ha più possibilità di produrre cannabis in modo efficiente. Si trova anche in una posizione migliore per garantire la sicurezza del prodotto finale, cioè che non contenga spore di muffa o livelli proibiti di sostanze nocive che possono accumularsi nelle piante di cannabis che vengono concimate eccessivamente oppure se il coltivatore non sa come lavorare con il substrato di coltura scelto. Tuttavia, se volete avere una stanza di coltivazione di alta qualità a casa vostra, potete farlo. Forse costerà qualcosa in più, ma i raccolti varranno ogni centesimo della vostra spesa. Inoltre, vi renderà felici per molti anni.
Il cervello della vostra stanza di coltivazione
La maggior parte dei coltivatori domestici utilizza qualche tipo di automazione per agevolare la coltivazione. Nella maggior parte dei casi, però, si limitano ad acquistare un timer per accendere e spegnere le luci e magari qualche altro timer per controllare l’irrigazione e la ventilazione. È molto diffuso anche l’uso di ventilatori con termostati e igrostati per raggiungere condizioni climatiche ottimali. C’è però un problema: questi sistemi in genere funzionano separatamente. Provate a installare più termometri nella vostra stanza di coltivazione. Scommetto che vi daranno letture diverse. Lo stesso vale per gli igrometri. Le differenze non sono eclatanti, ma se utilizzate per esempio un umidificatore automatico impostato al 60% di umidità relativa e un ventilatore con igrostato per assicurarvi che l’umidità non superi il 65%, è facile che i due strumenti lavorino l’uno contro l’altro. Il ventilatore abbassa l’umidità in base alle informazioni inviate da un sensore diverso da quello dell’umidificatore, il cui compito è quello d’incrementare l’umidità. Alla fine, entrambi i dispositivi rimangono accesi inutilmente nello stesso momento.
Sul mercato è possibile scegliere fra numerosi dispositivi in grado di controllare più apparecchi allo stesso tempo. Un dispositivo di controllo relativamente economico che offre una gamma incredibilmente ampia di opzioni è lo Smart Grow Controller (SGC). Si tratta fondamentalmente di un computer con una semplice interfaccia in cui è possibile impostare tutto ciò che è necessario controllare nella stanza di coltivazione, compresi i livelli di CO2. Il prezzo del modello base con sensori di temperatura e umidità relativa è di circa 500 euro. Potete anche aggiungere il citato sensore di CO2 e magari una serie di sensori di temperatura e umidità integrativi per vedere
PER ESEMPIO, SE SI COLTIVA IN TERRA, SI UTILIZZERÀ MENO ACQUA RISPETTO A UN SISTEMA DWC A RICIRCOLO
UNA NETTA DIFFERENZA TRA LA MAGGIOR
come variano le temperature nelle diverse parti della vostra stanza di coltivazione. Io lavoro con l’SGC da un paio d’anni. A volte ha problemi di connettività con il Wi-Fi, ma per il resto non posso lamentarmi.
Se cercate qualcosa di ancora più economico, vi restano solo i quadri elettrici, a cui manca sempre qualcosa. Con l’SGC, ogni uscita può essere programmata singolarmente, in modo da poter collegare e programmare con facilità qualsiasi dispositivo si voglia aggiungere alla propria stanza di coltivazione. Sul mercato sono disponibili sempre più sistemi per controllare e gestire la strumentazione di coltivazione. Personalmente, preferisco poter controllare lo stato e il funzionamento della mia stanza di coltivazione da remoto e ho anche bisogno che il sistema sia in grado di esportare i valori registrati. Se volete avere il pieno controllo della vostra stanza di coltivazione, avete sicuramente bisogno di un aiuto di questo tipo.
Anidride carbonica
Oggigiorno, la concentrazione di CO2 nell’aria è di circa 450 ppm. Tuttavia, le piante sono in grado di sfruttare concentrazioni molto più elevate. Nel corso degli anni in cui mi sono dedicato alla coltivazione, sono giunto alla conclusione che è utile mantenere i livelli di concentrazione fra 8001200 ppm. È stato dimostrato che questi livelli stimolano la fotosintesi. Ma attenzione, questo funziona solo se alle piante viene garantito un numero sufficiente di altri elementi necessari per la fotosintesi. Si tratta di nutrienti, acqua, luce, ossigeno e temperatura e umidità ottimali. L’impatto dell’anidride carbonica è sottovalutato e trascurato da molti coltivatori su piccola scala. Uno dei motivi di questo è il prezzo relativamente elevato del sistema di dosaggio. Di per sé la CO2 non è più molto costosa, ma è vero che una valvola di riduzione della pressione, un serbatoio di pressione, un’elettrovalvola e un sensore di anidride carbonica con commutazione potrebbero facilmente costare fra i 600 e gli 800 euro. In una piccola stanza di coltivazione, probabilmente non riuscirete a rientrare dal vostro investimento al primo raccolto, ma a lungo termine ve lo consiglio assolutamente. Se volete essere coltivatori altamente efficienti, non rinunciatevi.
Riscaldamento, raffrescamento, umidificazione e deumidificazione
Se volete ottenere le condizioni in cui lavorano i coltivatori professionisti, dovete acquistare un deumidificatore di alta qualità che sia soprattutto potente. La deumidificazione con un normale ventilatore non è mai sufficiente e, nel frattempo, si raffredda anche la stanza di coltivazione. Quando la temperatura dell’aria scende, l’aria non è in grado di trattenere altrettanta acqua e l’umidità relativa aumenta. Deumidificare mediante ventilatore di per sé è come lottare contro i mulini a vento. Inoltre, bisogna tenere presente che in questo caso l’umidità relativa scenderà solo fino a un certo punto che si trova nello spazio da cui l’aria nuova fluisce all’interno della stanza di coltivazione.
Quando si coltiva in tende da coltivazione, si ha tendenza a riscontrare un problema in particolare. È semplicemente impossibile inserire un umidificatore, un deumidificatore, un dispositivo riscaldante e un condizionatore d’aria. Questo problema può essere parzialmente risolto regolando l’aria nella stanza da dove si aspira l’aria nella stanza di coltivazione al livello desiderato. In questo modo sarà sufficiente accendere la ventola di scarico nella tenda. Lo svantaggio di questa soluzione è che bisogna regolare il tutto per lo spazio in cui si trova la tenda da coltivazione (non per la tenda stessa). Supponiamo di avere una tenda da coltivazione con un volume d’aria di due metri cubici che si trova in una stanza di 25 metri cubici: il condizionatore d’aria, il dispositivo riscaldante, il deumidificatore e l’umidificatore dovranno essere impostati per quella stanza di 25 metri cubici.
Efficienza ed ecologia
Si dice che la coltivazione in grandi stanze di coltivazione sia più efficiente e più rispettosa dell’ambiente rispetto a quella su piccola scala. Non so se ci sia del vero, perché in questo caso non è possibile confrontare semplicemente i costi di produzione di un grammo di erba secca. Per quanto riguarda l’ecologia, può variare da caso a caso. Per la vostra coltura utilizzate energia elettrica proveniente da un impianto solare di proprietà? Se sì, sono certo che possiate imposta-
PARTE DEI COLTIVATORI DOMESTICI E LE COLTURE PROFESSIONALI STA NEL CONTROLLO DEL CLIMA È possibile utilizzare anche un quadro di comando un po’ più economico.
re in modo più corretto la vostra produzione durante tutto l’anno per sfruttare al meglio la vostra elettricità, perché non avete bisogno di coltivare tutto l’anno.
Dal punto di vista ecologico, il sistema di coltivazione scelto è fondamentale. Per esempio, se si coltiva in terra, si utilizzerà meno acqua rispetto a un sistema DWC a ricircolo. Ma c’è una questione fondamentale che riguarda il trattamento delle acque reflue. Se è possibile utilizzarle per l’irrigazione di altre piante a casa o filtrarle per un
Una netta differenza tra la maggior parte dei coltivatori domestici e le colture professionali sta nel controllo del clima. La coltivazione della cannabis con illuminazione artificiale è una vera e propria rottura di palle da questo punto di vista, se mi consentite il francesismo. Fin dall’inizio, infatti, quando abbiamo bisogno di un’umidità più elevata, le piante sono troppo piccole per far traspirare la quantità d’acqua necessaria nell’aria. E in fase di fioritura avanzata, quando abbiamo bisogno di ridurre l’umidità, le piante rilasciano ogni giorno litri d’acqua nell’ambiente circostante. Il rapporto ottimale tra umidità relativa e temperatura è estremamente importante perché incide sulla salute delle piante e sulla velocità di sviluppo. Umidificare l’aria nella fase di crescita è quindi altrettanto necessario che deumidificarla durante la maturazione.
ulteriore utilizzo. In questo modo potrete ridurre al minimo l’impatto ambientale negativo della vostra stanza di coltivazione. Un enorme vantaggio della coltivazione domestica consiste nella possibilità d’intraprendere la strada del biologico. Per i prodotti farmaceutici, invece, la produzione di cannabis organica è sostanzialmente vietata nella maggior parte dei Paesi perché non soddisfa le rigide normative della produzione farmaceutica. Il consumo di energia elettrica delle fonti d’illuminazione è un altro tema scottante al giorno d’oggi. Ai piccoli coltivatori consiglio di scegliere sistemi d’illuminazione a wattaggio variabile. Questo può contribuire a ridurre in modo significativo i consumi quando si coltivano varietà a fotoperiodo e fotoperiodo neutro (meglio conosciute come autofiorenti), soprattutto nelle prime settimane del ciclo di crescita.
Tenete traccia del vostro operato
Come ho detto all’inizio: è possibile creare condizioni altamente professionali anche su piccola scala. Oltre a cercare di automatizzare tutti i processi e ottimizzare il consumo di energia e acqua, è assolutamente consigliabile tenere traccia di ciò che si fa. L’ideale è dotarsi di un sistema in grado di registrare non solo le condizioni climatiche, ma anche il consumo di fertilizzanti, il pH e i livelli di EC della soluzione nutritiva o del substrato di coltura. Tuttavia, anche la semplice registrazione della temperatura e dei livelli di umidità relativa può aiutarvi a individuare eventuali carenze nella coltivazione e a migliorare le vostre capacità di coltivazione. Vi auguro un grande successo nelle vostre avventure.
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Coltiviamo
Di Stoney Tark
POTATURA E TRAINING DELLE PIANTE DI CANNABIS INDOOR
Da coltivatori indoor, possiamo accedere alle nostre piante a tempo pieno e possiamo decidere quando cominciare a effettuare il training e la potatura. Nel corso degli anni ne ho provate di tutti i colori e so che il modo migliore di coltivare è quello di unire la potatura al training delle piante. In questo articolo vi illustrerò i vantaggi e i motivi per cui dovreste iniziare a considerare il training e la potatura nella vostra coltivazione indoor.
Quando è il momento giusto per iniziare il training delle piante?
Non vale la pena iniziare troppo presto, quando le piantine si stanno ancora concentrando sullo sviluppo di un forte apparato radicale e non è nemmeno consigliabile farlo troppo tardi. Il momento giusto per cominciare a effettuare il training delle piante è quando queste sono forti, flessibili e grandi a sufficienza per reagire e riprendersi senza subire danni o stress permanente.
Le tecniche di training delle piante, come la legatura verso il basso, la cimatura, lo snapping degli steli e la potatura, possono essere effettuate sulle piante in modo sistematico a partire dalla terza settimana di coltivazione. I cloni saranno molto più ricettivi al training rispetto alle piantine più giovani, ma il fattore cruciale è che le piante siano ben sviluppate e in grado di sopportare qualsiasi tipo di stress.
Di quale attrezzatura c’è bisogno per iniziare a effettuare training e potatura?
Per quanto riguarda l’attrezzatura e la strumentazione, non è necessaria una grossa spesa per acquistare gli articoli necessari. Per il training/la legatura a basso stress, dovrete acquistare dello spago spesso o del filo da giardinaggio. Per la potatura è sufficiente un bisturi affilato oppure un paio di forbici affilate, mentre per tutto il
resto, come lo snapping dei gambi e la cimatura, basterà conoscere la tecnica e utilizzare le dita e il pollice. Assicuratevi sempre che l’attrezzatura sia pulita, sterile e affilata e che durante la potatura venga eseguito un taglio netto e preciso il più vicino possibile al ramo.
I benefici della potatura e del training delle piante di cannabis
• Il training delle piante può ridurre l’altezza finale della pianta, rendendola ideale per gli spazi ridotti.
• Quando i rami sono legati verso il basso, la parte interna della chioma riceve più luce.
La potatura consente alle piante d’incanalare tutta la loro energia nella crescita della parte superiore e di cime grandi.
• Le talee di qualità possono essere potate e successivamente fatte radicare per la successiva rotazione delle colture.
• Un training prolungato sulla pianta può comportare dimensioni massicce, ideali per avere un numero ridotto di esemplari.
• Il flusso d’aria intorno alle piante potate sarà maggiore, il che riduce il rischio di insetti e agenti patogeni.
• Il training delle piante di cannabis è un’operazione economica e quindi ideale per i coltivatori alle prime armi.
• Le diverse varietà reagiscono in modo differente alle tecniche di training e alcune si rivelano più adatte alla sativa.
Di quanto tempo di recupero hanno bisogno le piante di cannabis?
Questo dipende dalla maturità delle piante e dal fatto che si stia eseguendo una tecnica ad alto o basso stress. Per quanto riguarda la cimatura, una pianta ci mette in genere 3-5 giorni prima che i germogli ausiliari ricrescano dove la pianta è stata cimata. I rami laterali che sono stati accuratamente legati ricresceranno e riprenderanno la loro normale struttura di crescita nel giro di 2-3 giorni.
L’unica tecnica ad alto stress per cui la pianta ha bisogno di circa 7-10 giorni per riprendersi completamente è lo snapping degli steli, ovvero ciò che alcuni chiamano super cropping. In base alla mia esperienza, spezzare sistematicamente gli steli e i rami laterali fa sì che le piante s’ispessiscano, diventino più dense e in grado di produrre rese maggiori. Se non si lascia alle piante il tempo di riprendersi completamente, si corre il rischio di causare danni a lungo termine che possono portare a ermafroditismo, crescita stentata e basse rese.
3 DRITTE PER LA POTATURA E IL TRAINING DELLE
PIANTE DI CANNABIS
Prima di cominciare ad applicare il regime di training alle piante, è importante tenere in considerazione altri fattori. Di seguito vi riporto le mie
Questa pianta è stata cimata, potata e legata verso il basso per ottenere questa forma.
migliori dritte, che potrete applicare alla vostra coltivazione, risparmiando tempo e producendo raccolti più abbondanti.
Dritta n. 1 –
Evitate di utilizzare del filo sottile
Una cosa che ho scoperto nel corso degli anni è che il filo sottile da giardinaggio può in realtà fare più danni che altro. Durante le prime fasi di sviluppo di una pianta di cannabis, il filo può sembrare una buona soluzione, tuttavia potrebbe effettivamente tagliare le piante e in alcuni casi recidere il legno quando le piante diventano più grandi. Il mio consiglio, per ovviare al problema, è quello di usare lo spago e non del filo sottile.
Dritta n. 2 –
Tenete in considerazione lo stress della pianta
Non ha senso fare training e potare le piante se queste poi non hanno la possibilità di riprendersi e se è stato inflitto loro eccessivo stress. Il mio consiglio è quello di considerare l’entità dello stress che subiranno le piante e di aspettare 5-7 giorni prima d’intervenire su di esse. Le piante stressate reagiranno crescendo lentamente, il che può comportare rese limitate e cime di cannabis potenzialmente seminate.
Dritta n. 3 –
Fate radicare le talee
Il vantaggio principale della potatura di una pianta cespugliosa è la possibilità di produrre una manciata di cloni di buone dimensioni. Non solo la parte rimossa sarà ideale per ottenere talee forti e sane, potrete anche far radicare i cloni e avere una nuova serie di piante pronte a fiorire una volta ottenuto il vostro raccolto attuale.
Il mio consiglio è quello di acquistare una piccola tenda e di usarla come stanza per la fase vegetativa dei cloni. In questo modo avrete sempre una stanza con piante in fioritura e non sarete mai più a corto di cime!
Cannabis
Testo: Derrick Bergman / Gonzo Media
LUKE ‘MING’ FLANAGAN,
MEMBRO DEL PARLAMENTO EUROPEO
CHE COLTIVA IN CASA
Se chiedete a una persona di nominare un membro del Parlamento Europeo, è probabile che non gli/le venga in mente neanche un nome. Ma c’è un europarlamentare che dovrebbe conoscere chiunque faccia uso di cannabis: Luke Ming Flanagan. ‘La reazione più negativa riguarda i miei metodi di coltivazione e non il fatto che io stia infrangendo la legge!’.
Ha iniziato a fumare cannabis all’università; Le è piaciuta subito? Era erba o hashish?
Flanagan: ‘Sì, la trovavo estremamente calmante. L’hashish era di gran lunga la cannabis più disponibile in Irlanda nei primi anni Novanta’.
Considera il suo utilizzo medico, ricreativo, spirituale o un mix dei tre?
‘Direi un mix. All’inizio di quest’anno mi è stato diagnosticato l’autismo. Mi aiuta a regolare le emozioni’.
Lei si batte per la legalizzazione da quando ha iniziato a fare politica. Perché la considera così importante? Non aveva paura di un “danno reputazionale”?
‘Non mi sentivo a mio agio all’idea che qualcuno potesse controllare ciò che si fa con il proprio corpo. La maggior parte dei miei colleghi faceva uso di cannabis, quindi non ha danneggiato la mia reputazione con chi mi era vicino. Ha portato però ad anni di perquisizioni invasive da parte della squadra antidroga’.
Lei ha mandato delle canne a tutti i membri del Parlamento irlandese: è mai stato perseguito per questo?
‘Le ho mandate per richiamare l’attenzione sul problema, autodenunciando la giornata come National Legalize Cannabis Day. È stato inviato un fascicolo al Direttore della Procura, ma non sono state mosse accuse. Ho scritto loro chiedendone il motivo, dal momento che era chiaro che avevo coltivato e fornito una sostanza illegale ai sensi della legge sull’abuso di droghe. Aspettavo di andare in tribunale.
Il progetto era quello d’inchiodare alla porta del tribunale una copia di un emendamento alla legge sull’abuso di droghe. Come Martin Lutero inchiodò le sue 95 tesi alla porta della chiesa di Wittenburg nel 1517.
Ma non è andata così. Sei mesi dopo l’evento ho ricevuto una lettera dal procuratore distrettuale in cui si diceva che non sarebbe stata formulata alcuna accusa. Avendo subito numerose perquisizioni in precedenza, non sono mai stato perquisito o perseguito da quel momento in poi’.
zione e non il fatto che io stia effettivamente infrangendo la legge! Questo dimostra che a questo punto il pubblico è molto più avanti di quanto non siano i legislatori’.
Quale delle varietà che ha coltivato è risultata la migliore?
‘La Pineapple Kush è stata di gran lunga la varietà migliore. Meglio di qualsiasi altra cosa abbia mai acquistato. Ne sto coltivando due al momento’.
Quanto è difficile sostenere la legalizzazione della cannabis al Parlamento Europeo?
‘È diventato un tema mainstream. I recenti sviluppi in vari Stati dell’UE ci rincuorano. Ora possiamo ricomprendere anche l’Irlanda; un rapporto del Parlamento ha appena raccomandato i cannabis club come soluzione da applicare. Sostenuto da un’ampia coalizione di partiti politici e indipendenti’.
Il Parlamento Europeo è composto da 720 membri, detti eurodeputati. Il cittadino irlandese Luke ‘Ming’ Flanagan (52 anni) è un europarlamentare indipendente dal 2014. Ha iniziato a fumare cannabis mentre studiava a Galway, dove ha preso il via la sua carriera politica nel 1997. Si è candidato come indipendente con una lista che chiedeva la legalizzazione della cannabis. Due anni dopo ha lanciato una campagna per diventare per la prima volta europarlamentare indipendente. Flanagan ha attirato l’attenzione dei media, ma non è stato preso sul serio. I giornalisti si sono concentrati sulla sua barba e sul suo taglio di capelli; il soprannome Ming fa riferimento a Ming lo Spietato del cartone animato Flash Gordon.
Nel 2001 Flanagan ha fatto notizia quando ha inviato oltre 200 canne a tutti i membri del Parlamento irlandese. La legalizzazione della cannabis è rimasta uno dei suoi temi cardine fino ad oggi. Quando nel 2011 è stato eletto membro del Dáil, la Camera dei Rappresentanti irlandese, Flanagan ha iniziato a donare metà del suo stipendio a progetti locali. Ha continuato a farlo anche come membro del Parlamento Europeo. L’irlandese è molto attivo sui social media. Twitta regolarmente foto delle piante di cannabis che coltiva nel suo appartamento di Bruxelles.
Che cosa ha imparato sulla politica europea in questi dieci anni da eurodeputato?
‘Dal punto di vista della politica sulla cannabis, è estremamente utile poter riportare gli sviluppi in Germania, Malta, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna e Repubblica Ceca a riprova del fatto che la questione legalizzazione è ormai diventata mainstream. In ultima analisi, non sarà l’UE a decidere sulla legalizzazione all’interno dei suoi Paesi membri. Tuttavia, ha voce in capitolo se si parla dell’accordo di Schengen e della libertà di circolare con la cannabis. Sto attualmente cercando di creare nuovamente il gruppo Legalize Cannabis in Parlamento. Purtroppo nessuno dei membri originari è stato riconfermato per questo mandato, tranne me, ecco perché sono alla ricerca di nuovi alleati’.
Quando e perché ha iniziato a postare sui social media le foto della cannabis che coltiva nel suo appartamento di Bruxelles?
‘Ho iniziato nel 2023. Coltivo a Bruxelles dal 2018, quindi ho pensato: perché no? Ha normalizzato in qualche modo l’idea che un funzionario eletto faccia una cosa del genere. È stato anche istruttivo perché la reazione più negativa ha riguardato i miei metodi di coltiva-
Pensa che l’UE legalizzerà nel suo complesso o che gli Stati membri legalizzeranno individualmente?
‘Succederà Stato per Stato. Schengen e la libera circolazione sono il problema più spinoso, ma credo che ci sia uno slancio a favore della legalizzazione che crescerà sempre di più finché non vedremo un cambiamento a livello europeo’.
Coltiviamo
Di Stoney Tark
È MEGLIO COLTIVARE PIANTE DI CANNABIS PICCOLE O GRANDI INDOOR?
Da bravi coltivatori alle prime armi, potreste chiedervi cosa sia meglio: coltivare tante piante di dimensioni ridotte oppure coltivare un numero ridotto di piante di dimensioni mostruose? In questo articolo vi illustrerò i pro e i contro di ciascuna delle due opzioni a livello di tempo, spesa economica, consumo di elettricità e nutrienti e praticità generale.
I PRO E I CONTRO DELLA COLTIVAZIONE DI PIANTE DI CANNABIS DI PICCOLE
DIMENSIONI IN UNA TENDA DA 1,2 METRI (VASI DA 6,5 LITRI)
CONTEGGIO DELLE PIANTE
All’interno di una tenda da coltivazione da 1,2 metri si possono inserire 9 o 12 vasi. Le piante cresceranno insieme in configurazione Sea of Green, il che significa che, una volta fiorite, la tenda sarà traboccante di cime da una parete all’altra.
FASE VEGETATIVA IN FOTOPERIODO 18/6
I semi di cannabis dovranno essere coltivati in fotoperiodo 18/6 per 2-3 settimane prima della fioritura, mentre i cloni avranno bisogno di 10-14 giorni prima di poter fiorire.
TEMPO DI FIORITURA IN FOTOPERIODO 12/12
Le piante di cannabis di altezza medio-ridotta fioriscono più velocemente e maturano in modo più rapido rispetto alle piante di grandi dimensioni. La coltivazione di piante di piccole dimensioni
consente di evitare, se si vuole, di prevedere 7-10 giorni aggiuntivi per la maturazione.
UTILIZZO DI ENERGIA ELETTRICA
L’intera coltivazione, dall’inizio alla fine, durerà fra le 10 e le 12 settimane, a seconda della varietà e della fase vegetativa, il che significa che le bollette dell’elettricità saranno notevolmente più basse.
UTILIZZO DEI NUTRIENTI
Quando si coltivano piante in vasi di piccole dimensioni in configurazione Sea of Green, si consumano molte meno sostanze nutritive rispetto a quanto non avvenga per le piante di cannabis di grandi dimensioni. Questo significa che i vostri nutrienti andranno molto più lontano e vi faranno risparmiare denaro a ogni raccolto.
FREQUENZA D’IRRIGAZIONE
Una buona regola di norma è quella di fornire il 10% della dimensione del vaso in litri, in questo caso dovrete quindi somministrare alle piante 650 ml di soluzione nutritiva una volta che le radici saranno asciutte.
SUBSTRATO DI COLTIVAZIONE
Vi serviranno solo 60 litri di substrato di coltivazione per iniziare a coltivare. Può sembrare una sciocchezza se siete abituati a coltivare in vasi di grandi dimensioni.
MANUTENZIONE DELLE PIANTE
Coltivando piante di dimensioni ridotte, il training delle stesse sarà un po’ limitato, come anche il possibile sviluppo della chioma. Le piante di piccole dimensioni richiedono una manutenzione minima.
QUALITÀ DEI FIORI
Questo coltivatore utilizza vasi da 50 litri e ha una fase vegetativa di 10 settimane in totale.
A mio parere, le piante di grandi dimensioni che si concentrano principalmente sulla resa possono in realtà perdere parte dei caratteri più auspicabili, con un prodotto finale di qualità media rispetto a quanto non avvenga con cime di dimensioni più piccole.
TEMPO FRA UN RACCOLTO E L’ALTRO
L’uso di piante più piccole vi consentirà di piantare nuovi semi o cloni ogni 70-84 giorni. Il coltivatore in fondo alla strada che predilige le piante di grandi dimensioni avrà appena iniziato la fioritura mentre voi starete già raccogliendo!
I PRO E I CONTRO DELLA
COLTIVAZIONE DI PIANTE
DI CANNABIS DI GRANDI
DIMENSIONI IN UNA TENDA DA 1,2 METRI (VASI DA 25 LITRI)
CONTEGGIO DELLE PIANTE
All’interno di una tenda da 1,2 metri dovreste coltivare da 1 a 4 piante di grandi dimensioni, a seconda dei vostri obiettivi. In genere, 4 piante di grandi dimensioni sono l’ideale e consentono di ottenere il tempo di vegetazione più breve.
FASE VEGETATIVA IN FOTOPERIODO 18/6
Far crescere le piantine fino a raggiungere la piena maturazione e a diventare cespugliose in un vaso da 25 litri può richiedere dalle 7 alle 10 settimane. I cloni possono essere fatti fiorire prima e necessitano di 6-7 settimane in fotoperiodo 18/6.
TEMPO DI FIORITURA IN FOTOPERIODO 12/12
Uno degli svantaggi della coltivazione di piante grosse è che possono richiedere una o due settimane in più per svilupparsi pienamente e raggiungere la piena maturazione, rispetto a quelle di dimensioni più piccole. Calcolate quindi qualche settimana in più se volete raccogliere al momento giusto.
UTILIZZO DI ENERGIA ELETTRICA
Se si coltiva in vasi da 25 litri o di dimensioni maggiori, la bolletta elettrica sarà, ahimè, salata. Considerate che avrete le luci accese 18 ore al giorno per 50-70 giorni durante la fase vegetativa e 8-10 in fotoperiodo 12/12.
UTILIZZO DEI NUTRIENTI
Le piante di grandi dimensioni arrivano a bere molto di più di quanto preventivato inizialmente e, prima che ve ne rendiate conto, potreste trovarvi a corto di nutrienti e avere bisogno di più acqua del previsto.
Non stupitevi se vi troverete a nutrire le piante mature di grandi dimensioni più di frequente rispetto a quanto non facciate con quelle più piccole.
FREQUENZA D’IRRIGAZIONE
Se avete 4 vasi da 25 litri, dovreste somministrare a ogni pianta 2,5 litri. Complessivamente, si possono raggiungere velocemente i 10 litri d’acqua al giorno / 70 litri a settimana.
SUBSTRATO DI COLTIVAZIONE
Preparatevi a riempire i vasi con 100 litri di substrato di coltura! Per ogni raccolto è necessario mettervi sulle spalle e portare in casa due sacchi da 50 litri di terriccio o compost. Può diventare un vero e proprio incubo logistico, a seconda di dove vivete o se avete o meno un mezzo di trasporto.
MANUTENZIONE DELLE PIANTE
Le piante di grandi dimensioni su cui è stato fatto training per riempire la tenda richiedono tempo e molte visite regolari alla grow room. Soprattutto se l’obiettivo è quello di utilizzare uno schermo e una configurazione SCROG.
QUALITÀ DEI FIORI
Come le piante enormi all’aperto possono non avere la qualità finale e l’essenza di quelle indoor, anche le cime di grandi dimensioni possono diventare ariose, meno resinose e non avere la stessa potenza o lo stesso profilo terpenico.
Sacrificare la qualità per la resa non è la mossa più saggia, a mio parere.
PGPF
I funghi promotori della crescita delle piante sono un gruppo eterogeneo di funghi non patogeni che si trovano nel terreno, più precisamente nella zona della rizosfera, sulla superficie delle radici e all’interno delle radici di una pianta. I funghi PGPF stabiliscono delle relazioni di tipo mutualistico con le piante gli ospitano, offrendo loro una vasta gamma di benefici. Migliorano l’assimilazione delle sostanze nutritive, stimolano lo sviluppo dell’apparato radicale, aumentano il vigore delle piante e le proteggono dai microrganismi patogeni. Tra i PGPF impiegati per la coltivazione di marijuana il genere Trichoderma è il più diffuso.
COS’È
Il Trichoderma è un genere di funghi filamentosi appartenente alla famiglia delle Hypocreaceae, è un fungo cosmopolita infatti è presente in tutti i tipi di suolo in ogni angolo del globo. È stato descritto per la prima volta dal micologo Christian Hendrik Persoon nel 1794. Da quel momento ne sono state identificate 88 specie differenti del genere Trichoderma. Questa tipologia di funghi è in grado di colonizzare rapidamente diversi substrati in diverse condizioni ambientali. Molte delle specie di Trichoderma sono funghi simbionti avirulenti e opportunisti, in altre parole possono stabilire relazioni mutualistiche con le piante senza causarle danni. Un aspetto che rende molto interessante il Trichoderma è la sua capacità di secernere una vasta gamma di sostanze come enzimi idrolitici e metaboliti secondari utili alle piante.
BENEFICI DEL RICHODERMA
In agricoltura il Trichoderma è impiegato soprattutto come agente di biocontrollo di malattie fungine, tra le quali il Fusarium, il Pythium e la Rhizoctonia. Il modo di attuare del Trichoderma contro i funghi parassiti comprende una serie di meccanismi: il micoparassitismo, la competizione, l’attivazione del SAR e l’antibiosi. Il micoparassitismo è un metodo di attacco diretto
degli agenti patogeni, attraverso la secrezione di enzimi idrolitici che danneggiano le pareti cellulari e lo sviluppo del micelio all’interno del loro organismo gli conduce alla morte. La competizione è un meccanismo di difesa caratteristico della rizosfera in cui i funghi del genere Trichoderma colonizzano il substrato e sottraggono sostanze nutritive di vitale importanza per il patogeno, danneggiandolo. L’antibiosi è un sistema attraverso il quale il Trichoderma rilascia delle sostanze che alterano il metabolismo dei parassiti e inibiscono il loro sviluppo rendendoli innocui per le piante. Il Trichoderma attraverso la secrezione di metaboliti secondari è anche in grado di attivare il sistema SAR delle piante, acronimo di Resistenza Sistemica Acquisita, un dispositivo di difesa endogeno che coinvolge l’intera pianta contro l’attacco di agenti patogeni.
Il Trichoderma
MOLTE DELLE SPECIE DI TRICHODERMA SONO FUNGHI SIMBIONTI AVIRULENTI E OPPORTUNISTI
radicali, di conseguenza aumenta la capacità della pianta di assimilare acqua e sostanze nutritive dal terreno.
Uno dei benefici più interessanti offerti dal Trichoderma è la capacità di rendere disponibili una vasta gamma di sostanze nutritive attraverso differenti processi biologici come la chelazione, la mineralizzazione e la solubilizzazione. Nel primo caso il Trichoderma produce dei siderofori, cioè delle sostanze a basso
IL TRICHODERMA HA UN’ ENORME CAPACITÀ DI INFLUENZARE
POSITIVAMENTE L’ARCHITETTURA ELLE RADICI
Il Trichoderma ha un’enorme capacità di influenzare positivamente l’architettura delle radici, non è ancora chiaro in che modo eserciti questa influenza ma è ben noto che il Trichoderma colonizza le radici delle piante e stimola il loro sviluppo. L’apparato radicale cresce forte e rigoglioso, la sua superficie aumenta a dismisura insieme al numero e allo spessore dei peli
peso molecolare in grado di legarsi con il Ferro convertendolo in una forma assimilabile dalle piante.
La mineralizzazione è un processo con il quale le sostanze nutritive vengono liberate dalla matrice organica trasformandole in composti inorganici semplici, prontamente disponibili
per le piante. La solubilizzazione del fosforo è un processo biologico molto importante perché le piante richiedono grandi quantità di questo elemento durante l’intero ciclo vitale; il suolo è ricco di fosforo ma la sua disponibilità è limitata a causa della sua fissazione sotto forma di composti insolubili. Il Trichoderma è in grado di rilasciare enzimi ed acidi organici che convertono il fosforo in forme solubili rendendolo disponibile per le piante.
I benefici del Trichoderma non si limitano alla zona della rizosfera, infatti se applicato alla parte aerea della pianta, cioè rami e foglie, è in grado di aumentarne l’attività di fotosintesi. Attenzione quando si eseguono applicazioni fogliari, alcuni studi hanno dimostrato che questi microrganismi rimangono residui nelle infiorescenze anche dopo la loro essiccazione, risultando potenzialmente nocivi per la salute.
MODO D’USO
Il Trichoderma può essere applicato in ogni fase di coltivazione della marijuana, sebbene sia più efficace impiegandolo dall’inizio. I funghi del genere Trichoderma vengono commercializzati soprattutto in forma solida, più esattamente in polvere, mescolati con materiale inerte.
L’inoculazione è il metodo più diffuso, durante il trapianto la polvere viene distribuita sul fondo del foro dove alloggerà la pianta, a contatto con le radici. Un altro metodo prevede di miscelare il Trichoderma con l’intero substrato durante la sua preparazione.
È anche possibile applicarlo per irrigazione, mescolandolo con la soluzione nutritiva. Le applicazioni fogliari rappresentano un altro metodo di impiego. Il modo più efficace di utilizzare il Trichoderma è cospargendolo direttamente sui semi prima di germinarli. Le dosi di applicazione del Trichoderma variano in base al produttore.
Il ceppo di Trichoderma più utilizzato per la coltivazione di marijuana è il Trichoderma harzianum.
ECOLOGIA
L’impiego di PGPF all’interno delle coltivazioni di piante medicinali ad alto rendimento hanno un grande potenziale, potendo completamente sostituire i fertilizzanti e i pesticidi di sintesi e con un impatto sull’ambiente pari a zero rende la coltivazione di marijuana più sostenibile.
Coltiviamo
Di Stoney Tark
I VANTAGGI DEL PASSAGGIO ALLA COLTURA IDROPONICA
Un coltivatore domestico può avere diversi motivi per desiderare di fare il salto da una coltivazione organica semplice all’universo molto più complesso della coltivazione della Cannabis in idroponica. Può capitare di dover partire per le vacanze e di rimanere senza una baby-sitter per la propria coltivazione, o semplicemente di essere stufi di portarsi in giro grossi sacchi di terriccio con i vicini che sbirciano, di dover stare sempre a pulire e di ottenere raccolti superiori alla media. I vantaggi del passaggio alla coltura idroponica sono molti, ecco perché in questo articolo vi illustriamo tutti i motivi per cui dovreste prendere in considerazione la coltivazione di Cannabis in idroponica.
QUAL È IL SISTEMA
IDROPONICO CHE FA PIÙ AL CASO MIO?
Sistemi a goccia:
questi tipi di sistemi personalizzati in genere sono il livello base e un ottimo punto di partenza per chi si avvicina per la prima volta alla coltura idroponica. Il sistema a goccia può essere impostato in base al numero di piante che si ha e consente di evitare l’irrigazione manuale, permettendo di alimentare le piante in modo sistematico mediante un timer e una pompa, in base a un intervallo di 15 minuti.
L’investimento iniziale per l’acquisto di pompa, tubi e picchetti non è elevato e l’attrezzatura dovrebbe durare a lungo, a patto che i tubi di gocciolamento non s’intasino.
Dritta: è importante pulire la pompa e le linee di gocciolamento dopo ogni raccolto o in caso di accumulo di sali.
Sistemi aeroponici:
si tratta di un metodo per coltivare la Cannabis in idroponica che prevede che le radici siano sospese in una camera, dove vengono poi nebulizzate mediante un ugello rotante.
La pompa si trova alla base del serbatoio e nebulizza verso l’alto mentre le radici pendono verso il basso. L’aeroponica può essere eseguita a bassa o ad alta pressione, il che comporta la formazione di una pioggerellina.
Le piante di Cannabis coltivate in aeroponica crescono abbondantemente in poco tempo, è quindi fondamentale mantenere una fase vegetativa molto breve.
Dritta: l’utilizzo di un sistema aeroponico a bassa pressione con nebulizzazione 24 ore su 24 è semplice ed estremamente efficace.
Questo coltivatore utilizza il cocco, le linee a goccia e un sistema drain to waste.
Sistemi flood and drain: i sistemi flood and drain non vengono più utilizzati come un tempo, decenni fa.
In pratica, si tratta di un metodo di coltivazione della Cannabis che consente d’immergere
temporaneamente le parti inferiori delle radici delle piante in una soluzione nutritiva, fino a quando la stessa non viene drenata.
Quando si usano piante di piccole dimensioni
e si coltivano tutte assieme in volume elevato come in una configurazione Sea of Green, la frequenza di somministrazione può essere incrementata fino a 5-10 volte al giorno, in alcuni casi.
Dritta: ogni volta che la soluzione nutritiva viene drenata, le radici vengono approvvigionate di ossigeno.
Sistemi deep water culture: si tratta probabilmente dei sistemi più produttivi di tutti, anche se possono rivelarsi i meno indulgenti e anche i più rumorosi fra i sistemi idroponici. Si parte da un secchio, una air stone, una pompa d’aria e una soluzione nutritiva, le radici vengono fissate nel coperchio del secchio e pendono in una soluzione permanentemente ossigenata di acqua e nutrienti idroponici.
Dritta: la deep water culture è il sistema più esigente e costoso a livello di nutrienti.
I BENEFICI DELLA COLTIVAZIONE DELLA
CANNABIS IN IDROPONICA
Nella vecchia scuola i coltivatori domestici discutevano sempre su quale fosse il gusto migliore tra la Cannabis biologica e quella coltivata in idrocoltura. Nei tempi moderni, i vantaggi della coltivazione idroponica della Cannabis sono molti e vanno ben oltre il gusto e l’esperienza della fumata. Di seguito vi elenchiamo una serie di motivi per cui potreste prendere in considerazione l’idea di passare alla coltivazione idroponica una volta per tutte.
MINOR TEMPO DI VEGETAZIONE
Tutto ciò che può incrementare il numero di colture annuali e ridurre il consumo di elettri-
cità, l’utilizzo di nutrienti e il calore necessario è un asso nella manica per i coltivatori domestici. Uno dei motivi per cui si consiglia una fase vegetativa breve di 14 giorni a partire dai semi e di 7-10 giorni a partire dai cloni è la rapidità con cui le piante crescono e, in definitiva, producono.
RISPARMIO IN TERMINI DI ELETTRICITÀ E SOSTANZE NUTRITIVE
Si tratta probabilmente del motivo principale per cui molti desiderano ottenere il massimo ritorno sull’investimento e iniziare a coltivare Cannabis in idroponica. Il fatto che il tempo trascorso con le luci di coltivazione accese per 18 ore al giorno si limita a una finestra temporale di 10-14 giorni non solo fa risparmiare in bolletta ogni mese, riduce anche la quantità di sostanze nutritive utilizzate a lungo termine.
RESE CONSISTENTI SU SCALA COMMERCIALE
L’unico aspetto negativo della coltivazione di Cannabis con metodi organici è che le cime
possono essere piccole e le rese finali discrete. L’idroponica può consentire ai coltivatori di aumentare le rese del 200-300% e anche di più, in alcuni casi, soprattutto una volta che si sono messi a punto in modo adeguato la varietà e i sistemi.
NON È NECESSARIO MOVIMENTARE T ERRENO
L’ultimo motivo per cui molti sono passati all’idroponica è il pensiero di dover acquistare quantità discutibili di terriccio al centro di giardinaggio di zona o di farselo consegnare a casa.
Entrambe le modalità non sono certo ideali e possono rivelarsi spostamenti che provocano ansia, perché basta un vicino ficcanaso o un’auto della polizia per innescare la modalità panico.
L’aspetto positivo della coltura idroponica è la quantità di substrato di coltivazione richiesto: la lana di roccia, l’hydroton o il cocco sono molto più pratici da reperire e il cocco e l’hydroton possono anche essere riutilizzati una volta puliti e trattati.
“ COLTIVIAMO PASSIONE ”
Soft Secrets Italia è pubblicato da: Discover Publisher BV
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Editore: Cliff Cremer
Collaboratori: Jorge Cervantes, Fabrizo Dentini, Sudestfam, Stoney Tark, Mr. Jose, G.B.I., Tricoma Team, Jaypp, Ed Rosenthal,Dott. Davide Calzolari, Derrick Bergman/Gonzo Media e tanti altri.
Traduzioni: Valefizz
Indirizzo redazione: Soft Secrets Italia
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Pubblicità: Fabrizio
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La voce dell’editore:
Soft Secrets è una rivista bimestrale gratuita pubblicata nei Paesi Bassi (con il nome di Highlife), Germania, Francia, Italia, Spagna, Regno Unito, Polonia, Repubblica Ceca e Cile. A livello mondiale è in corso un processo di
relativa liberalizzazione dell’uso della cannabis, che sia per scopi medici o ricreativi. Diversi Paesi hanno legalizzato la cannabis per separare le droghe leggere da quelle pesanti, come dimostrato in Olanda. Altri Paesi hanno legalizzato l’uso della cannabis per uso medico, ivi incluso il diritto di coltivare piante di cannabis per uso personale. L’editore si propone di mettere in luce il processo di normalizzazione dell’uso della cannabis. Questo presuppone che l’editore non sia necessariamente d’accordo su tutto ciò che figura negli articoli e nelle pubblicità che appaiono sulla rivista. L’editore si discosta quindi in modo esplicito da dichiarazioni o immagini pubblicate che potrebbero dare adito a pensare che siano stati approvati l’uso e/o la produzione di cannabis. Nulla della presente pubblicazione potrà essere copiato o riprodotto in qualsiasi formato senza previa autorizzazione dell’editore e di altri titolari del copyright. L’editore non assume alcuna responsabilità in merito al contenuto e/o al punto di vista degli annunci pubblicitari. L’editore non assume alcuna responsabilità per eventuali documenti presentati indesiderati. L’editore ha cercato di contattare tutti i titolari del copyright di fotografie e/o immagini. Coloro che ritengono ancora di avere diritto ai suddetti diritti sono pregati di contattare l’editore.
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CANNABIS EXPERT VS BEGINNER IN EIGHT EPISODES