camminiamo insieme
Bollettino della Parrocchia dei Santi Bassiano e Fereolo - Lodi Natale 2020 - n. 421 pro manuscripto
don Elia Croce, parroco
Il Natale che ci salva
E’ un dono grande poter celebrare il Natale in questo anno così particolare: un dono grande perché è proprio il Natale di Gesù che ci salva, che ci fa ritrovare il senso di Dio, che ci fa ritrovare speranza, un po’ di luce e di calore nel cuore, in una situazione che è, per tutti, di grande incertezza ma ancor più si manifesta, per
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tante famiglie, come situazione di fragilità, di precarietà anche economica e psicologica e che, per molti, significa anche il dramma della malattia. Ma il Natale, quello vero si intende, A tutta la co ai giovani, ag quello che ci salva, lo si può celebrasoli e nella p re in qualsiasi situazione: se il Natasanto, cristia le è la vicenda di Dio che si fa uomo nella povertà e nella debolezza di Betlemme, ogni piccolezza, ogni fragilità, ogni precarietà è il contesto in cui Dio può rendersi presente. Non c’è distanziamento che possa se-
Il vostro pa
Gli appuntamenti pararci dall’incontro e dall’accoglienza del Signore Gesù. Non c’è mascherina che possa nascondere agli occhi del Signore, il nostro sorriso o il nostro pianto. Non c’è porta chiusa che non possa essere attraversata dalla sua presenza, senza paura di contagio se non quello di una umanità rinnovata nell’amore. Forse è proprio questo ciò di cui abbiamo bisogno in questo Natale di pandemia: riscoprire il senso di una Presenza, di una Parola che ci attraversa e che ci abita, che ci faccia anche guardare oltre e ci faccia ritrovare il senso di una umanità rinnovata, migliore, più coesa, più solidale, consapevoli che “non ci salviamo da soli”. Abbiamo bisogno di allargare i nostri cuori e i nostri orizzonti per fare spazio all’unico che ci salva. Senza nulla togliere alla scienza e alla medicina, cui siamo grati per l’impegno di ricerca e di cura profuso in modo ammirevole in questo lungo periodo di pandemia, dobbiamo però anche riconoscere che non basta una terapia, non basta un vaccino, per guarire il cuore ferito. Ecco perché quest’anno accoglieremo in maniera ancora più significativa l’annuncio degli angeli ai pastori di Betlemme: “Oggi nella città di Davide vi è nato un Salvatore”. Salvare il Natale significa farci salvare da Lui, il Salvatore. Non siamo noi che salviamo il Natale: è il Natale che salva noi.
ragazzi, bambini, ai ai e, li ig m tte le fa ro che sono omunità, a tu ziani e ai malati, a colo Natale li an erché sia un p o gli adulti, ag ri u g au l’ ghiera e prova, la pre . ano, sereno o e don Angel on Roberto d n co a, li E arroco don
Le celebrazioni per il S. Natale Giovedì 24 dicembre Chiesa del Sacro Cuore
Veglia e Santa Messa della Notte di Natale Quest’anno, a motivo dei posti contingentati (200 alla chiesa del Sacro Cuore) il programma della Vigilia prevede due celebrazioni: yy la prima alle ore 17.30, la Solenne Messa Natalizia della Vigilia, dedicata soprattutto agli anziani e alle famiglie con i bambini più piccoli; yy alle ore 20,30 la Solenne Santa Messa della Notte di Natale che si concluderà per le ore 21.30, così da consentire il rispetto del coprifuoco alle ore 22.00. Raccomandiamo a tutti di distribuirsi nelle due celebrazioni, oltre che in quelle del giorno di Natale e di osservare rigorosamente le norme di sicurezza.
Venerdì 25 dicembre Chiesa del Sacro Cuore
Solennità del Natale del Signore yy Sante Messe: ore 8.30 - ore 10.00 - 11.30 18.00
Sabato 26 dicembre Chiesa del Sacro Cuore
Festa di Santo Stefano, protomartire Ottava del Santo Natale yy Sante Messe: ore 8.30 – ore 10.00 (sospesa quella delle 17.30)
Domenica 27 dicembre Chiesa del Sacro Cuore
Festa della Santa Famiglia Ottava del Santo Natale yy Sante Messe: ore 8.30 - ore 10.00 - 11.30 18.00
Giovedì 31 dicembre Chiesa del Sacro Cuore
Te Deum di Ringraziamento di fine anno Ottava del S. Natale yy Ore 18.00: Santa Messa di ringraziamento
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Gli appuntamenti per il Tempo di Natale Venerdì 1 gennaio 2021
Confessioni in preparazione al S. Natale
Chiesa del Sacro Cuore
Solennità di Maria Ss.ma Madre di Dio Ottava del S. Natale Giornata Mondiale per la Pace yy Sante Messe: ore 8.30 - ore 10.00 - 11.30 yy Ore 18.00: Solenne Santa Messa per la Pace
Sabato 2 gennaio Chiesa del Sacro Cuore
yy Santa Messa: ore 17.30
Domenica 3 gennaio Chiesa del Sacro Cuore
Seconda domenica dopo Natale yy Sante Messe: ore 8.30; ore 10.00; ore 11.30. E’ sospesa quella delle ore 18.00
Martedì 5 gennaio Chiesa del Sacro Cuore
yy Santa Messa: ore 17.30
Mercoledì 6 gennaio Chiesa del Sacro Cuore
Solennità dell’Epifania del Signore yy Sante Messe: ore 8.30; ore 10.00; ore 11.30. E’ sospesa quella delle ore 18.00 Chiesa di San Fereolo yy Ore 16.00: Rito della Benedizione dei bambini
Sabato 9 gennaio Chiesa del Sacro Cuore
yy Santa Messa: ore 17.30
Domenica 10 gennaio Chiesa del Sacro Cuore
Festa del Battesimo di Gesù yy Sante Messe: ore 8.30 - ore 10.00 - 11.30 18.00
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Domenica 13 dicembre
Alle ore 15.00 (al Sacro Cuore): ragazzi di 5a e 1a media
Sabato 19 dicembre 9.30 – 11.00 16.00 – 17.00
(a San Fereolo) (al Sacro Cuore)
Domenica 20 dicembre
Durante le S. Messe uno dei sacerdoti è disponibile per le Confessioni nella cappellina alla Chiesa del Sacro Cuore. Alle ore 15 (al Sacro Cuore): ragazzi di 2a e 3a media.
Lunedì 21 dicembre
Alle ore 18.30 (a San Fereolo): adolescenti delle medie superiori.
Mercoledì 23 dicembre 9.00 – 10.30 20.45 - 21.45
(a San Fereolo) (a San Fereolo)
Giovedì 24 dicembre 9.00 – 11.30 15.00 – 17.00
(a San Fereolo) (al Sacro Cuore)
don Roberto Abbà
Una ricchezza da scoprire La liturgia di Natale
La Messa può sembrare sempre uguale, ripetitiva. Forse questo è uno dei motivi per cui molti non amano andarci. Preferiscono un modo di pregare spontaneo, diretto con Dio e non mediato da gesti e parole codificate nel rito liturgico. Ma è veramente così? Il Natale è un esempio chiaro di come la liturgia è costituita da una grande ricchezza che rende ogni celebrazione unica e irripetibile. Non tutti forse sanno, ad esempio, che il Messale Romano propone ben quattro formulari differenti per la celebrazione dell’Eucaristia nella solennità del Natale: Messa della Vigilia, Messa della Notte, Messa dell’Aurora, Messa del Giorno. Al di là delle ragioni storiche che hanno portato a queste differenti celebrazioni, questi formulari offrono un percorso graduale di introduzione al mistero. È interessante sottolineare come i quattro formulari messi insieme offrano tutti i riferimenti evangelici riguardo all’incarnazione e alla nascita di Gesù: il racconto di Matteo, profondamente legato al tema messianico del “figlio di Davide”, letto nella messa della vigilia; quello di Luca, il più descrittivo e popolare, per le messe della notte e dell’aurora; il prologo di Giovanni, proclamazione della presenza della Parola fatta carne, per quella del giorno.
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, La raffigurazione della genealogia di Gesù nella rappresentazione dell’Albero di Jesse di Matteo da Gualdo.
La Messa della Vigilia
Attraverso questa Messa - introdotta da Paolo VI nel Messale dopo la riforma liturgica del Concilio Vaticano II – si chiude l’Avvento e si entra nella celebrazione del Natale. Il testo di Vangelo proposto per questa celebrazione è la genealogia di Matteo (Mt 1, 1-25) che introduce il tema della figliolanza divina di Gesù.
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La liturgia di Natale: un ricchezza da scoprire Iesse generò il re Davide. Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Uria, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici. Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù. Questo testo ci aiuta a risalire all’origine di Gesù Cristo in quanto figlio di Davide e figlio di Abramo, secondo la promessa, e in quanto figlio di Dio,
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secondo lo Spirito. Attraverso il verbo “generare” che incalza dando un ritmo alla prima parte del Vangelo, comprendiamo come la nascita di Gesù sia una nascita fuori dal comune, diversa, inedita e inaspettata. Giuseppe è descritto solo come lo sposo di Maria segno che Gesù, sebbene partorito da donna, non è generato da un seme umano, ma dall’intervento dello Spirito Santo. Da un lato vediamo Gesù che è pienamente inserito nella storia umana: discende da Abramo e da Davide. Dall’altro lato notiamo il tema della figliolanza che Gesù utilizzerà per descrivere nella sua vita il suo rapporto speciale con il Padre. Questo tema ci fa capire che anche noi aderendo a Dio siamo introdotti al Padre come figli e ci sentiamo tutti fratelli in Cristo Gesù. Con questa celebrazione, dunque, si apre la gioia del Natale. Come dice san Leone Magno: “È Natale! Il Padre celeste ci ha fatto dono del Figlio suo, l’ha posto nelle nostre braccia. È Natale! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita”.
La Messa della Notte
La pagina di Vangelo, che ascoltiamo ogni anno nella Notte di Natale, è il popolare racconto della Notte Santa tratto da Vangelo di Luca (Lc 2, 1-14), l’evangelista che racconta l’infanzia di Gesù. In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco,
vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». Il contesto storico presenta Cesare Augusto, Erode, Quirinio, i grandi del tempo che vivono nei palazzi del potere, messi a confronto con Maria, Giuseppe e la mangiatoia dove viene deposto il bambino Gesù, il vero Re e Messia. La poesia degli angeli, dei pastori e l’atmosfera tipica della Notte Santa completano il racconto più noto del Natale. Su questi due binari si costruisce l’annuncio della nascita di Gesù: si canta la sua generazione eterna e la sua nascita nel tempo dentro precise coordinate temporali e geografiche. Il senso profondo di questo testo ci svela che la celebrazione del Natale L’adorazione dei pastori di Guido Reni
non si ferma al fatto storico, ma da questo risale al suo vero fondamento: il mistero dell’incarnazione. La poesia del Natale letta alla luce del mistero dell’incarnazione ci proietta fin da subito verso la Pasqua. Incarnandosi, infatti, Gesù ha accettato i limiti della natura umana, perfino il limite più estremo: la morte. Ma non l’ha subìta, l’ha riempita di senso e l’ha vissuta come gesto estremo del suo amore. Gesù uscendo dal grembo di Maria è solidale con la nostra umanità, allo stesso tempo viene dal Padre per rivelarlo a noi.
La Messa dell’Aurora
La Messa dell’Aurora si celebra proprio alle prime ore del mattino di Natale. Il Vangelo che viene letto è la continuazione della pagina del Vangelo di Luca (Lc 2, 15-20) che descrive i personaggi che gravitano attorno al bambino appena nato. Gli angeli, che interpretano teologicamente l’evento della nascita; i pastori che vedono il segno e raccontano ciò che hanno udito; la gente che raggiunta da questo incredibile annuncio è colta da stupore; infine troviamo Maria, la Madre, la quale “Da parte sua custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Con due pennellate Luca descrive Maria come l’icona del discepolo in cammino e in ascolto. È il cammino di Maria che l’ha portata a Betlemme e poi la porterà a Nazareth prima e al Calvario poi. Maria comprenderà pienamente la sua maternità e il destino di quel bambino avvolto in fasce solo alla luce degli eventi pasquali. Nell’ascolto del Verbo
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La liturgia di Natale: un ricchezza da scoprire fatto cane Maria ha maturato la sua fede, si è messa in un ascolto profondo e parla a noi in modo molto più eloquente con il suo silenzio che con la sua voce. Questa pagina evangelica insegna anche a noi l’arte dell’ascolto e ci invita ad accogliere nel cuore il Silenzio della Parola eterna che si è fatta carne.
La Messa del Giorno
La liturgia del Giorno presenta il solenne Prologo che dà inizio al Vangelo di Giovanni (Gv 1,1-18). È impossibile in poche righe pensare di darne un commento esaustivo. Tuttavia è questo il testo centrale che svela più di ogni altro il senso teologico del Natale. In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta.[…] E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre,
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pieno di grazia e di verità. Se l’evangelista Luca si sofferma su alcuni particolari storici che ci danno una sufficiente garanzia di storicità e credibilità e ci mostrano un Gesù povero, figlio di umili artigiani, un numero soltanto in una remota provincia dell’impero romano, un piccolo neonato deposto in una mangiatoia, Giovanni inserisce l’Incarnazione nel piano della storia della salvezza. Così come attraverso il Verbo eterno era sbocciata la prima creazione, per opera dell’Incarnazione dello stesso Verbo avviene una nuova creazione: l’uomo accede alla condizione di figlio di Dio, il rapporto uomo-Dio che il peccato aveva interrotto è risaldato in Cristo. Divenuto figlio di Dio l’uomo è in grado di realizzare il suo compito di creatura: egli può rivolgersi a Dio e chiamarlo «padre» ed è libero perché è figlio e non servo, ed ama gli altri uomini perché fratelli. In conclusione queste pagine dei Vangeli che leggeremo nelle Messe di questo Natale ci ricordano che se vogliamo incontrare Dio dobbiamo incontrare l’uomo Gesù, entrare nel suo amore. Con il mistero dell’incarnazione Dio non è più inaccessibile, lontano, nel cielo, ma là dove l’uomo ama, soffre, condivide e spera, viene ad abitare anche in mezzo alle nostre vite. La “mano di Dio” nella costellazione dell’Aquila.
Tendi la mano al povero
L’omelia di papa Francesco nella Giornata Mondiale del Povero
La parabola che abbiamo ascoltato (la parabola dei talenti - Mt 25, 14-30) ha un inizio, un centro e una fine, che illuminano l’inizio, il centro e la fine della nostra vita.
L’inizio
Tutto comincia da un grande bene: il padrone non tiene per sé le sue ricchezze, ma le dà ai servi; a chi cinque, a chi due, a chi un talento, «secondo la capacità di ciascuno» (Mt 25,15). È stato calcolato che un solo talento corrispondeva al salario di circa vent’anni di lavoro: era un bene sovrabbondante, che allora bastava per tutta la vita. Ecco l’inizio: anche per noi tutto è cominciato con la grazia di Dio – tutto, sempre, incomincia con la grazia, non con le nostre forze – con la grazia di Dio che è Padre e ha messo nelle nostre mani tanto bene, affidando a ciascuno talenti diversi. Siamo portatori di una grande ricchezza, che non dipende da quante cose abbiamo, ma da quello che siamo: dalla vita ricevu-
ta, dal bene che c’è in noi, dalla bellezza insopprimibile di cui Dio ci ha dotati, perché siamo a sua immagine, ognuno di noi è prezioso ai suoi occhi, ognuno di noi è unico e insostituibile nella storia! Così ci guarda Dio, così ci sente Dio. Quant’è importante ricordare questo: troppe volte, guardando alla nostra vita, vediamo solo quello che ci manca e ci lamentiamo di quello che ci manca. Allora cediamo alla tentazione del “magari!...”: magari avessi quel lavoro, magari avessi quella casa, magari avessi soldi e successo, magari non avessi quel problema, magari avessi persone migliori attorno a me!… Ma l’illusione del “magari” ci impedisce di vedere il bene e ci fa dimenticare i talenti che abbiamo. Sì, tu non hai quello, ma hai questo, e il “magari” fa sì che dimentichiamo questo. Ma Dio ce li ha affidati perché conosce ognuno di noi e sa di cosa siamo capaci; si fida di noi, nonostante le nostre fragilità. Si fida anche di quel servo che nasconderà il talento: Dio spera che, malgrado le
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Tendi la mano al povero sue paure, anche lui utilizzi bene quanto ha ricevuto. Insomma, il Signore ci chiede di impegnare il tempo presente senza nostalgie per il passato, ma nell’attesa operosa del suo ritorno. Quella brutta nostalgia, che è come un umore giallo, un umore nero che avvelena l’anima e la fa guardare sempre indietro, sempre agli altri, ma mai alle proprie mani, alle possibilità di lavoro che il Signore ci ha dato, alle nostre condizioni, anche alle nostre povertà.
Al centro
Arriviamo così al centro della parabola: è l’opera dei servi, cioè il servizio. Il servizio è anche la nostra opera, quello che fa fruttare i talenti e dà senso alla vita: non serve infatti per vivere chi non vive per servire. Dobbiamo ripetere questo, ripeterlo tanto: non serve per vivere chi non vive per servire. Dobbiamo meditare questo: non serve per vivere chi non vive per servire. Ma qual è lo stile del servizio? Nel Vangelo i servi bravi sono quelli che rischiano. Non sono cauti e guardinghi, non conservano quel che hanno ricevuto, ma lo impiegano. Perché il bene, se non si investe, si perde; perché la grandezza della nostra vita non dipende da quanto mettiamo da parte, ma da quanto frutto portiamo. Quanta gente passa la vita solo ad accumulare, pensando a stare bene più che a fare del bene. Ma com’è vuota una vita che insegue i bisogni, senza guardare a chi ha bisogno! Se abbiamo dei doni, è per essere noi doni per gli altri. E qui, fratelli e sorelle, ci facciamo la domanda: io seguo i bisogni, soltanto, o sono capace di guardare a chi ha bisogno? A chi è nel bisogno? La mia mano è così [la stende aperta] o così [la ritrae chiusa]? Va sottolineato che i servi che investono, che rischiano, per quattro volte sono chiamati «fedeli» (vv. 21.23). Per il Vangelo non c’è fedeltà senza rischio. “Ma, padre, essere cristiano significa ri-
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schiare?” – “Sì, caro o cara, rischiare. Se tu non rischi, finirai come il terzo [servo]: sotterrando le tue capacità, le tue ricchezze spirituali, materiali, tutto”. Rischiare: non c’è fedeltà senza rischio. Essere fedeli a Dio è spendere la vita, è lasciarsi sconvolgere i piani dal servizio. “Io ho questo piano, ma se servo…”. Lascia che si sconvolga il piano, tu servi. È triste quando un cristiano gioca sulla difensiva, attaccandosi solo all’osservanza delle regole e al rispetto dei comandamenti. Quei cristiani “misurati” che mai fanno un passo fuori dalle regole, mai, perché hanno paura del rischio. E questi, permettetemi l’immagine, questi che si prendono cura così di sé stessi da non rischiare mai, questi incominciano nella vita un processo di mummificazione dell’anima, e finiscono mummie. Questo non basta, non basta osservare le regole; la fedeltà a Gesù non è solo non commettere errori, è negativo, questo. Così pensava il servo pigro della parabola: privo di iniziativa e creatività, si nasconde dietro un’inutile paura e seppellisce il talento ricevuto. Il padrone lo definisce addirittura «malvagio» (v. 26). Eppure non ha fatto nulla di male! Già, ma non ha fatto niente di bene. Ha preferito peccare di omissione piuttosto che rischiare di sbagliare. Non è stato fedele a Dio, che ama spendersi; e gli ha recato l’offesa peggiore: restituirgli il dono ricevuto. “Tu mi hai dato questo, io ti do questo”, niente di più. Il Signore ci invita invece a metterci in gioco generosamente, a vincere il timore con il coraggio dell’amore, a superare la passività che diventa complicità. Oggi, in questi tempi di incertezza, in questi tempi di fragilità, non sprechiamo la vita pensando solo a noi stessi, con quell’atteggiamento dell’indifferenza. Non illudiamoci dicendo: «C’è pace e sicurezza!» (1 Ts 5,3). San Paolo ci invita a guardare in faccia la realtà, a non lasciarci contagiare dall’indifferenza. Come dunque servire secondo i desideri di Dio? Il padrone lo spiega al servo infedele: «Avre-
sti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse» (v. 27). Chi sono per noi questi “banchieri”, in grado di procurare un interesse duraturo? Sono i poveri. Non dimenticate: i poveri sono al centro del Vangelo; il Vangelo non si capisce senza i poveri. I poveri sono nella stessa personalità di Gesù, che essendo ricco annientò sé stesso, si è fatto povero, si è fatto peccato, la povertà più brutta. I poveri ci garantiscono una rendita eterna e già ora ci permettono di arricchirci nell’amore. Perché la più grande povertà da combattere è la nostra povertà d’amore. La più grande povertà da combattere è la nostra povertà d’amore. Il Libro dei Proverbi loda una donna operosa nell’amore, il cui valore è superiore alle perle; è da imitare questa donna che, dice il testo, «stende la mano al povero» (Pr 31,20): questa è la grande ricchezza di questa donna. Tendi la mano a chi ha bisogno, anziché pretendere quello che ti manca: così moltiplicherai i talenti che hai ricevuto. Si avvicina il tempo del Natale, il tempo delle feste. Quante volte, la domanda che si fa tanta gente è: “Cosa posso comprare? Cosa posso avere di più? Devo andare nei negozi a comprare”. Diciamo l’altra parola: “Cosa posso dare agli altri?”. Per essere come Gesù, che ha dato sé stesso e nacque proprio in quel presepio.
La fine
Arriviamo così al finale della parabola: ci sarà chi avrà in abbondanza e chi avrà sprecato la vita e resterà povero (cfr v. 29). Alla fine della vita, insomma, sarà svelata la realtà: tramonterà la finzione del mondo, secondo cui il successo, il potere e il denaro danno senso all’esistenza, mentre l’amore,
quello che abbiamo donato, emergerà come la vera ricchezza. Quelle cose cadranno, invece l’amore emergerà. Un grande Padre della Chiesa scriveva: «Così avviene nella vita: dopo che è sopraggiunta la morte ed è finito lo spettacolo, tutti si tolgono la maschera della ricchezza e della povertà e se ne vanno via da questo mondo. E sono giudicati solamente in base alle loro opere, alcuni realmente ricchi, altri poveri» (S. Giovanni Crisostomo, Discorsi sul povero Lazzaro, II, 3). Se non vogliamo vivere poveramente, chiediamo la grazia di vedere Gesù nei poveri, di servire Gesù nei poveri. Vorrei ringraziare tanti servi fedeli di Dio, che non fanno parlare di sé, ma vivono così, servendo. Penso, ad esempio, a don Roberto Malgesini. Questo prete non faceva teorie; semplicemente, vedeva Gesù nel povero e il senso della vita nel servire. Asciugava lacrime con mitezza, in nome di Dio che consola. L’inizio della sua giornata era la preghiera, per accogliere il dono di Dio; il centro della giornata la carità, per far fruttare l’amore ricevuto; il finale, una limpida testimonianza del Vangelo. Quest’uomo aveva compreso che doveva tendere la sua mano ai tanti poveri che quotidianamente incontrava, perché in ognuno di loro vedeva Gesù. Fratelli e sorelle, chiediamo la grazia di non essere cristiani a parole, ma nei fatti. Per portare frutto, come desidera Gesù. Così sia.
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Una parola amica
La lettera dei Vescovi lombardi «Sentiamo il desiderio che giunga a tutti una parola amica, in questo momento di complicata ripresa delle attività consuete, che è segnata dall’assedio dell’epidemia». Comincia così il Messaggio dei vescovi lombardi inviato ai fedeli delle Diocesi della regione, al termine della sessione svoltasi a Caravaggio il 16 e 17 settembre. Un messaggio di vicinanza e di speranza, in una situazione ancora difficile. «Vorremmo raggiungere tutti con una parola amica che incoraggi a guardare il futuro con speranza. La parola amica è ospitata nella conversazione di chi ascolta con attenzione e parla con semplicità sapendo di essere ascoltato; nel discorrere di chi trova conforto di condividere pensieri, buone intenzioni, trepidazione, speranze; nel confrontarsi di chi non pretende di risolvere tutto o di dettare ricette, ma è persuaso che insieme si può fare molto, qui, ora, nel gesto minimo che semina benevolenza, solidarietà, serenità». Sono diverse le parole amiche segnalate dai pastori. Innanzitutto la riconoscenza. «Abbiamo constatato che la gente buona, operosa, onesta, competente che tiene in piedi il mondo abita nello stesso condominio, viaggia sullo stesso treno, e nell’emergenza si rivela quell’eroismo quotidiano che non ti aspetti – scrivono i vescovi -. La parola della riconoscenza, le espressioni di stima, l’apprezzamento per le fatiche straordinarie affrontate nel servizio sanitario, nella didattica a distanza, nella gestione dei servizi essenziali nei negozi, nei cimiteri, nella gestione dell’ordine pubblico, tutto questo può cambiare il clima della convivenza ordinaria». Dopo questi mesi di chiusura, i vescovi lombardi invitano a tornare a celebrare le Messe in presenza e a imparare a pregare. «Nei giorni del blocco, abbiamo sofferto di liturgie sospese, di partecipazioni solo virtuali alle celebrazioni, e insieme abbiamo avuto esperienze di preghiere in famiglia meglio condivise, di
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preghiere on-line divenute consuete, di sovrabbondanti offerte di trasmissioni di momenti di preghiera». Ma tutto ciò, pur essendo una ricchezza, non può bastare. «Questo è il tempo adatto per imparare di nuovo a celebrare, a pregare insieme, a pregare personalmente, a pregare in famiglia. Ritroviamo nella domenica, nel giorno del Signore e “Pasqua della settimana”, il gusto e la gioia di riscoprirci Chiesa, popolo santo convocato intorno all’altare per celebrare l’Eucaristia, dopo i lunghi giorni in cui non è stato possibile radunarci. È necessario incoraggiare la fedele partecipazione alla Eucaristia domenicale e, per chi può anche feriale: famiglie e bambini, ragazzi e giovani, adulti e anziani, tutti siamo convocati alla mensa del Risorto, parola e pane di vita». Oltre alla preghiera, i credenti devono imparare a pensare. «Abbiamo provato fastidio per le discussioni inconcludenti, per i pronunciamenti perentori, per slogan e luoghi comuni. Adesso abbiamo bisogno di imparare a pensare. Il pensiero promettente è quello che introduce alla sapienza: non solo l’accumulo di informazioni, non solo la registrazione di dati, non solo le dichiarazioni di personaggi resi autorevoli più dagli applausi che dagli argomenti. Cerchiamo il significato delle cose,
non solo la descrizione dei fatti; abbiamo bisogno di imparare la prudenza nei giudizi, il vigile senso critico di fronte alle mode e ai pensieri comandati, la competenza a proposito della visione cristiana della vita»Per essere all’altezza del compito si deve valorizzare il «patrimonio inestimabile di conoscenze e valutazioni» dell’Università cattolica: «Nelle nostre città sono presenti università, centri di ricerca, proposte di confronto che non possiamo sciupare; dobbiamo cercare anche nelle nostre comunità occasioni per approfondire l’insegnamento delle Scritture e della Chiesa, madre e maestra, per rileggere il catechismo». Un’attenzione particolare è rivolta ai giovani, alle prese con l’inizio di un anno scolastico particolarmente delicato, ai quali va tutto il sostegno e l’augurio dei vescovi. La pandemia ha portato molti lutti e sofferenze. Per questo occorre imparare a sperare oltre alla morte. «Forse non pensavamo che la morte fosse così vicina e terribilmente quotidiana, come il tempo dell’epidemia ha rivelato in modo spietato: molte persone che abbiamo conosciuto e amato sono andate sole incontro alla morte, molti contagiati dal virus hanno sentito la morte vicina nell’esperienza drammatica della terapia intensiva, tutti coloro che hanno avvertito sintomi gravi hanno sentito il brivido del pericolo estremo». Tuttavia, «nel contesto che vive alternativamente e pericolosamente di depressione e di euforia, i discepoli del Risorto sono inviati per essere testimoni della risurrezione». Le Messe di suffragio per i morti a causa del Covid, che si celebreranno in queste settimane, non saranno «una consolazione surrogata alla desolazione di un mancato adempimento, ma della celebrazione comunitaria della speranza cristiana che, nella gloria del Risorto, contempla la comunione dei santi». Tra i segni di speranza, nell’angoscia di mesi di lockdown, di certo c’è tutto quel mondo di gratuità e solidarietà che è emerso ancora di più come patrimonio del Paese. Imparare a prendersi cura, scrivono i vescovi. «Abbiamo imparato e dobbiamo imparare che la delega delle cure alle istituzioni e alle professionalità specializzate non può essere un alibi. La fraternità ci chiede quella forma di prossimità che coinvolge personalmente in relazioni di aiuto, in legami affettuosi, in parole di conforto e di testimonianza». E si parla di fatti concreti, «dello stupefacente spetta-
colo della solidarietà che è stato offerto a tutti nel momento dell’emergenza. I professionisti e i volontari, le associazioni e i singoli, i familiari e i vicini di casa, il personale degli ospedali e le diverse espressioni della comunità cristiana e della società civile hanno provveduto con dedizione disinteressata e non senza sacrificio perché nessuno fosse solo, nessuno fosse abbandonato». Si tratta quindi «di praticare il gesto minimo che dà volto di fraternità alla società, che coltiva l’arte del buon vicinato, che vive la professione e il tempo libero come occasioni per servire al bene comune. Ciascuno trova la sua sicurezza non nell’isolamento, ma nella solidarietà». E una conclusione forte dei vescovi lombardi: «Imparare a prendersi cura gli uni degli altri è anche un programma di resistenza contro le forme di disgregazione sociale insinuate dalle seduzioni dell’individualismo, dell’indifferenza, dell’interesse di parte, dagli interessi di quel capitalismo senza volto e senza principi morali che vuole ridurre le persone a consumatori, le prestazioni sanitarie e assistenziali a investimenti, l’intero pianeta a fonte di guadagni praticando uno sfruttamento scriteriato». Il vescovo Maurizio con 4 sacerdoti, medici, infermieri e rappresentanti della protezione civile lodigiani erano presenti a Roma per l’udienza concessa dal Santo Padre alle rappresentanze delle Regioni del Nord Italia colpite dall’epidemia, sabato 20 giugno 2020 nella sala Clementina in Vaticano, a 4 mesi esatti dal primo caso diagnosticato.
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Il 10 ottobre scorso, Carlo Acutis, adolescente quindicenne morto a causa di una leucemia, nel 2006, è stato proclamato beato durante una celebrazione tenuta nella Basilica superiore ad Assisi. Carlo, un adolescente come tanti, amante della vita, dello sport, esperto di internet, era innamorato dell’Eucarestia che definiva la sua “autostrada per il cielo”. Riportiamo l’omelia che il cardinale Vallini ha tenuto in occasione della Messa di Beatificazione.
Carlo Acutis è beato! Noi oggi siamo particolarmente ammirati e attratti dalla vita e dalla testimonianza di Carlo Acutis, che la Chiesa riconosce come modello ed esempio di vita cristiana, proponendolo soprattutto ai giovani. Viene spontaneo domandarsi: che aveva di speciale questo ragazzo di appena quindici anni? Ripercorrendo la sua biografia troviamo alcuni punti fermi che lo caratterizzano già umanamente. Era un ragazzo normale, semplice, spontaneo, simpatico (basta guardare la sua fotografia), amava la natura e gli animali, giocava a calcio, aveva tanti amici suoi coetanei, era attratto dai mezzi moderni della comunicazione sociale, appassionato di informatica, e da autodidatta costruiva programmi “per trasmettere il Vangelo, per comunicare valori e bellezza” (Papa Francesco). Aveva il dono di attrarre e veniva percepito come un esempio. Fin da bambino – ce lo testimoniano i suoi familiari – sentiva il bisogno della fede ed aveva lo sguardo rivolto a Gesù. L’amore per l’Eucarestia fondava e manteneva vivo il suo rapporto con Dio. Diceva spesso: “L’Eucarestia è la mia autostrada per il cielo”. Ogni giorno partecipava alla S. Messa e rimaneva a lungo in adorazione davanti al SS. Sacramento. Carlo diceva: “Si va dritti in Paradiso se ci si accosta tutti i giorni all’Eucarestia!”. Gesù era per lui Amico, Maestro e Salvatore, era la forza della sua vita e lo scopo di tutto ciò che faceva. Era con-
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vinto che per amare le persone e fare loro del bene bisogna attingere l’energia dal Signore. In questo spirito era molto devoto della Madonna. Suo ardente desiderio inoltre era quello di attrarre quante più persone a Gesù, facendosi annunciatore del Vangelo anzitutto con l’esempio della vita. Fu proprio la testimonianza della sua fede che lo spinse con successo ad intraprendere un’opera di evangelizzazione assidua negli ambienti che frequentava, toccando il cuore delle persone che incontrava e suscitando in esse il desiderio di cambiare vita e di avvicinarsi a Dio. E lo faceva con spontaneità, mostrando col suo modo di essere e di comportarsi l’amore e la bontà del Signore. Straordinaria infatti era la sua capacità di testimoniare i valori in cui credeva, anche a costo di affrontare incomprensioni, ostacoli e talvolta perfino di essere deriso. Carlo sentiva forte il bisogno di aiutare le persone a scoprire che Dio ci è vicino e che è bello stare con Lui per godere della sua amicizia e della sua grazia. Per comunicare questo bisogno spirituale si serviva di ogni mezzo, anche dei mezzi moderni della
comunicazione sociale, che sapeva usare benissimo, in particolare Internet, che considerava un dono di Dio ed uno strumento importante per incontrare le persone e diffondere i valori cristiani. Questo suo modo di pensare gli faceva dire che la rete non è solo un mezzo di evasione, ma uno spazio di dialogo, di conoscenza, di condivisione, di rispetto reciproco, da usare con responsabilità, senza diventarne schiavi e rifiutando il bullismo digitale; nello sterminato mondo virtuale bisogna saper distinguere il bene dal male. In questa prospettiva positiva incoraggiava ad usare i massmedia come mezzi a servizio del Vangelo, per raggiungere quante più persone possibili e far loro conoscere la bellezza dell’amicizia con il Signore. A questo scopo si impegnò ad organizzare la mostra dei principali miracoli eucaristici avvenuti nel mondo, che utilizzava anche nel fare catechismo ai bambini. Era molto devoto della Madonna, recitava ogni giorno il Rosario, si consacrò più volte a Maria per rinnovarle il suo affetto e per impetrare la sua protezione. Preghiera e missione dunque: sono questi i due tratti distintivi della fede eroica del Beato Carlo Acutis, che nel corso della sua breve vita lo portò ad affidarsi al Signore in ogni circostanza, specialmente nei momenti più difficili. Con questo spirito, visse la malattia che affrontò con serenità e lo condusse alla morte. Carlo si abbandonò tra le braccia della Provvidenza, e, sotto lo sguardo materno di Maria ripeteva: “Voglio offrire tutte le mie sofferenze al Signore per il Papa e per la Chiesa. Non voglio fare il Purgatorio; voglio andare dritto in Paradiso”. Parlava così – ricordiamolo – un ragazzo di quindici anni, rivelando una sorprendente maturità cristiana, che ci stimola e ci incoraggia a prendere sul serio la vita di fede. Carlo suscitava poi grande ammirazione per l’ardore con cui nelle conversazioni difendeva la santità della famiglia e la sacralità della vita contro l’aborto e l’eutanasia. Il novello Beato, ancora, rappresenta un modello di fortezza, alieno da ogni forma di compromesso, consapevole che per rimanere nell’amore di Gesù, è necessario vivere concretamente il Vangelo (cf. Gv 15,10), anche a costo di andare controcorrente.
Egli ha fatto veramente sue le parole di Gesù: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (v. 12). Questa sua certezza di vita lo portava ad avere una grande carità verso il prossimo, soprattutto verso i poveri, gli anziani soli e abbandonati, i senza tetto, i disabili e le persone che la società emarginava e nascondeva. Carlo era sempre accogliente con quanti erano nel bisogno e quando, andando a scuola, li incontrava per strada si fermava a parlare, ascoltava i loro problemi e, nei limiti delle sue possibilità, li aiutava. Carlo non si è mai ripiegato su se stesso, ma è stato capace di comprendere i bisogni e le esigenze delle persone, nelle quali vedeva il volto di Cristo. In questo senso, ad esempio, non mancava di aiutare i compagni di classe, in particolare quelli che erano più in difficoltà. Una vita luminosa dunque tutta donata agli altri, come il Pane Eucaristico. Cari fratelli e sorelle, la Chiesa gioisce, perché in questo giovanissimo Beato si adempiono le parole del Signore: “Io ho scelto voi e vi ho costituito perché andiate e portiate molto frutto”. (v. 16). E Carlo è “andato” ed ha portato il frutto della santità, mostrandolo come meta raggiungibile da tutti e non come qualcosa di astratto e riservato a pochi. La sua vita è un modello particolarmente per i giovani, a non trovare gratificazione soltanto nei successi effimeri, ma nei valori perenni che Gesù suggerisce nel Vangelo, vale a dire: mettere Dio al primo posto, nelle grandi e nelle piccole circostanze della vita, e servire i fratelli, specialmente gli ultimi. La beatificazione di Carlo Acutis, figlio della terra lombarda, e innamorato della terra di Francesco di Assisi, è una buona notizia, un annuncio forte che un ragazzo del nostro tempo, uno come tanti, è stato conquistato da Cristo ed è diventato un faro di luce per quanti vorranno conoscerlo e seguirne l’esempio. Egli ha testimoniato che la fede non ci allontana dalla vita, ma ci immerge più profondamente in essa, indicandoci la strada concreta per vivere la gioia del Vangelo. Sta a noi percorrerla, attratti dall’esperienza affascinante del Beato Carlo, affinché anche la nostra vita possa brillare di luce e di speranza. Beato Carlo Acutis, prega per noi!
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Altre... parole amiche
Spazio di incontro e di condivisione per le famiglie Paura, relazione, tempo, speranza: sono le quattro parole con le quali rileggere e ripensare il tempo che abbiamo vissuto e stiamo vivendo. È questa la proposta che accogliamo dall’Ufficio Famiglia e che condivideremo con le famiglie della parrocchia desiderose di trovare parole per narrare quello che il cuore custodisce. A partire da gennaio segnaleremo gli appuntamenti. L’esperienza vissuta nei mesi scorsi in famiglia rimarrà per sempre scolpita dentro le nostre case. Rimarrà il lacerante dolore per la perdita di persone amate, morte in solitudine senza una carezza, uno sguardo amorevole, senza ascoltarne le ultime parole. Rimarrà tutto il bene di chi si è speso senza misura, con coraggio nell’attenzione al prossimo. Rimarrà l’esperienza della perdita di controllo del tempo, abituati come siamo a riempire a dismisura le nostre giornate. Abbiamo sentito la forza e il dono della fede cristiana che ha al centro Gesù Crocifisso: quante lacrime e preghiere rivolte a lui e a Maria sua madre. Alcune parole sono risuonate attorno a noi e dentro di noi, parole che ci hanno provocato, lacerato, parole che abbiamo custodito nel nostro cuore, che sono state forza e sostegno per attraversare quei giorni. Nelle nostre case abbiamo praticato forme di preghiera, di condivisione, di carità che sono sembrate nuove, esercizio di quel sacerdozio comune dei fedeli di cui si parlava spesso e di cui si stentava a vederne l’esercizio. E’ stata una vita “costretta a casa”, ma che potrebbe davvero risultare preziosa per ripensare a se tessi, ai nostri cari, alle nostre comunità. La parola casa nella sua radice rimanda all’idea di coprire. Casa è un luogo riparato rispetto all’esterno, un ambiente protetto in cui ci si sente custoditi e sicuri. Luogo in cui si vive l’intimità della condivisione, luogo del noi. Aver frequentato il dolore, il disorientamento, dovrebbe invitarci ad una
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consapevolezza, come scrive il teologo Giuliano Zanchi: “il male, qualunque esso sia, ci tocca sempre due volte. La prima ci ferisce, la seconda ci trasforma”. In questo cammino che ci proponiamo desideriamo partire da alcune parole, che scandiscono esperienze, emozioni, sentimenti, per reimparare tante cose. Reimparare a restare a casa, reimparare le relazioni in famiglia, reimparare ad esprimere gli affetti, reimparare a creare relazioni. Certi che queste parole sono il riverbero di quella Parola che illumina, trasforma, trasfigura, comunica coraggio inaspettato, speranze e sorprese inaudite, pone questioni essenziali, affida una consegna. Parola eterna e divina che entra nello spazio e nel tempo e assume un volto, si fa uomo e si manifesta in Gesù di Nazareth. Il nostro vescovo Maurizio ci ha detto che “ogni atto di memoria incide sul presente e sul domani, così la memoria e già futuro”. Questo momento di ripresa offre l’occasione per lasciarsi provocare dall’esperienza vissuta, raccoglierne il frutto, riconoscere i limiti, ringraziare il Signore per i suoi doni, chiedere perdono per le nostre chiusure. Con parole sagge, il Manzoni, acuto osservatore delle vicende del cuore umano, nella riflessione finale dei Promessi Sposi scriveva: “Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso perché ci è dato cagione, ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani, e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore! “. Una conclusione annota Manzoni, “trovata da povera gente, ma che è parsa così giusta da metterla come sugo di tutta la storia”.
Roberto Gambassi
Un nuovo Messale per la liturgia
Non solo il Padre Nostro. Sarebbe limitante ridurre la ricchezza di novità che contiene la terza edizione italiana del Messale di Paolo VI a un’unica preghiera. Che è senz’altro quella di maggior impatto sul “popolo delle parrocchie” ma che non esaurisce la portata della rinnovata traduzione del volume per celebrare l’Eucaristia. La “gentile” rivoluzione che inciderà sulla vita delle comunità è di fatto cominciata. Con l’arrivo del testo sull’altare delle chiese d’Italia, le “nuove parole” della Messa entrano nel quotidiano. Perché il libro liturgico può già essere utilizzato, anche se diventerà obbligatorio a partire dalla prossima Pasqua, ossia dal 4 aprile 2021, quando verrà abbandonata la precedente edizione che ha scandito la liturgia per quasi quarant’anni, dal 1983. Molte le diocesi o le regioni ecclesiastiche che hanno deciso di adottare la nuova traduzione dalla prima domenica d’Avvento, il 29 novembre. La revisione italiana del Messale scaturito dal Concilio arriva a diciotto anni dalla terza edizione tipica latina varata dalla Santa Sede nel 2002 che contiene non pochi cambiamenti. La complessa operazione coordinata dalla Cei ha visto numerosi esperti collaborare con la Commissione episcopale per la liturgia fino a giungere nel novembre 2018 all’approvazione del testo definitivo da parte dell’Assemblea generale dei vescovi italiani. Poi,
dopo il “via libera” di papa Francesco, il cardinale presidente Gualtiero Bassetti ha promulgato il libro l’8 settembre 2019. E lo scorso 29 agosto la prima copia è stata donata al Pontefice. La maggior parte delle variazioni riguarda le formule proprie del sacerdote. I ritocchi che dovranno essere imparati dall’intera assemblea sono pochi: così ha voluto il gruppo di lavoro che ha curato la traduzione per evitare “scossoni” destinati a creare eccessive difficoltà. Sarà comunque necessario fare l’orecchio alle modifiche. Già nei riti di introduzione dovremmo abituarci a un verbo al plurale: «siano». Non sentiremo più «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi», ma «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi». È stato rivisto anche l’atto penitenziale con un’aggiunta “inclusiva”: accanto al vocabolo «fratelli» ci sarà «sorelle». Ecco che diremo: «Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle...». Poi: «E supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli e sorelle...». Inoltre il nuovo Messale privilegerà le invocazioni in greco «Kýrie, eléison» e «Christe, eléison» sull’italiano «Signore, pietà» e «Cristo, pietà». Si arriva al Gloria che avrà la nuova formulazione «pace in terra agli uomini, amati dal Signore».
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Un nuovo Messale per la liturgia Una revisione che sostituisce gli «uomini di buona volontà» e che vuole essere più fedele all’originale greco del Vangelo.
CONFESSO
Fratelli e sorelle parole inclusive L’atto penitenziale ha un’aggiunta “inclusiva”. Così diremo: «Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle...».
SIGNORE, PIETÀ
Così prevale il «Kýrie» Sono privilegiate le invocazioni in greco «Kýrie, eléison» e «Christe, eléison» sull’italiano «Signore, pietà» e «Cristo, pietà».
GLORIA
Gli «amati dal Signore» Il Gloria avrà la nuova formulazione «pace in terra agli uomini, amati dal Signore» che sostituisce gli «uomini di buona volontà».
CONSACRAZIONE
La «rugiada» dello Spirito Dopo il Santo, il prete dirà: «Veramente santo sei tu, o Padre...». E proseguirà: «Santifica questi doni con la rugiada del tuo Spirito».
CONSACRAZIONE «Presbiteri e diaconi»
Nella consacrazione si ha «Consegnandosi volontariamente alla passione ». E nell’intercessione per la Chiesa l’unione con «tutto l’ordine sacerdotale» diventa con «i presbiteri e i diaconi».
AGNELLO DI DIO
La «cena dell’Agnello» Il prete dirà: «Ecco l’Agnello di Dio.... Beati gli invitati alla cena dell’Agnello ».
LA CONCLUSIONE
Più sobrio il congedo Al termine ci sarà la formula: «Andate e annunciate il Vangelo del Signore ».
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La liturgia eucaristica vede fin dall’inizio alcuni ritocchi. Dopo l’orazione sulle offerte, il sacerdote, mentre si lava le mani, non sussurrerà più sottovoce «Lavami, Signore, da ogni colpa, purificami da ogni peccato» ma «Lavami, o Signore, dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro». Poi inviterà a pregare dicendo (anche in questo caso con piccole revisioni): «Pregate, fratelli e sorelle, perché questa nostra famiglia, radunata dallo Spirito Santo nel nome di Cristo, possa offrire il sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente». Un discorso a parte meritano le Preghiere eucaristiche e i prefazi. Sono ben sei i nuovi prefazi: uno per i martiri, due per i santi pastori, due per i santi dottori (che possono essere utilizzati anche in riferimento alle donne dottore delle Chiesa per le quali finora mancavano testi specifici), uno per la festa di Maria Maddalena. Inoltre, conformandosi all’edizione latina, finiscono in appendice all’Ordo Missae le Preghiere eucaristiche della Riconciliazione insieme alle quattro versioni della Preghiera delle Messe “per varie necessità” già presente nell’edizione del 1983 con il titolo Preghiera eucaristica V: la loro traduzione è stata rivista recependo le varianti presenti nel testo latino. La Preghiera eucaristica II, quella fra le più utilizzate,
Il punto su Famigliexfamiglie non manca di cambiamenti. Dopo il Santo, il sacerdote dirà allargando le braccia: «Veramente santo sei tu, o Padre, fonte di ogni santità». E proseguirà: «Ti preghiamo: santifica questi doni con la rugiada del tuo Spirito». Tutto ciò sostituisce la precedente formulazione: «Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito». L’inizio del racconto sull’istituzione dell’Eucaristia si trasforma da «Offrendosi liberamente alla sua passione» a «Consegnandosi volontariamente alla passione». E nell’intercessione per la Chiesa l’unione con «tutto l’ordine sacerdotale» diventa con «i presbiteri e i diaconi». Varia anche la Preghiera eucaristica della Riconciliazione I dove si leggeva «Prese il calice del vino e di nuovo rese grazie» e ora troviamo «Prese il calice colmo del frutto della vite». I riti di Comunione si aprono con il Padre Nostro. Nella preghiera insegnata da Cristo è previsto l’inserimento di un «anche» («Come anche noi li rimettiamo»). Quindi il cambiamento caro a papa Francesco: non ci sarà più «E non ci indurre in tentazione», ma «Non abbandonarci alla tentazione». In questo modo il testo contenuto nella versione italiana Cei della Bibbia, datata 2008, e già inserito nella rinnovata edizione italiana del Lezionario, entra nell’ordinamento della Messa. È uno dei criteri che ha ispirato la revisione del Messale: recepire la più recente traduzione della Sacra Scrittura nelle antifone e nei testi di ispirazione biblica presenti nel libro liturgico. Il rito della pace conterrà la nuova enunciazione «Scambiatevi il dono della pace» che subentra a «Scambiatevi un segno di pace». E, quando il sacerdote mostrerà il pane e il vino consacrati, dirà: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello». Una rimodulazione perché nel nuovo Messale «Beati gli invitati» non apre ma chiude la formula e si parla di «cena dell’Agnello», non più di «cena del Signore». Per la conclusione della Messa è prevista la nuova formula: «Andate e annunciate il Vangelo del Signore». Ma i vescovi danno la possibilità di congedare la gente anche con le tradizionali parole latine: Ite, missa est. (da Avvenire del 10 ottobre 2020)
Desideriamo rendicontare alla comunità l’iniziativa “Famigliexfamiglie” che si sta rivelando, ancor più in questo periodo, un’ottima e preziosa opportunità di solidarietà fattiva e concreta nei confronti delle famiglie bisognose della parrocchia. Il grazie in particolare a tutti coloro che, mensilmente oppure occasionalmente, offrono il loro contributo tramite versamenti sul CC della parrocchia oppure tramite singole offerte consegnate ai sacerdoti. L’invito è a sostenere ancora questa lodevole iniziativa. Per questo ci permettiamo di segnalare l’IBAN della parrocchia per coloro che volessero offrire il loro sostegno: IT05J0623020303000046238840
Di seguito il rendiconto del trimestre settembre – novembre 2020. Entrate Offerte da singoli fedeli (il dato riguarda il periodo gennaio – novembre 2020) Versamenti su conto corrente Totale
€ 1.090
€ 680 € 1.770
Uscite Affitti e spese per la casa
€ 150
Spese per la sussistenza
€ 120
Pagamento utenze
€ 706
Totale
€ 976
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Ritorna la giornata per la vita Il 7 febbraio si celebra per la 43a volta
Domenica 7 febbraio si celebra in tutta Italia la 43° Giornata per la Vita. Se la situazione dell’emergenza pandemica ce lo consentirà, ben volentieri celebreremo solennemente la Messa delle ore 10.00 invitando i genitori con i bambini battezzati nel corso del 2020 e le mamme in attesa di un bimbo. Nel frattempo riteniamo doveroso segnalare alcuni riferimenti utili alle donne che si trovano ad affrontare una gravidanza con una situazione di difficoltà o di prova.
S.O.S VITA Hai urgente bisogno di aiuto? Chiama “Sos Vita”: 800 - 813 - 000 S.O.S. Vita è un numero verde gratuito riservato a quelle donne che hanno una gravidanza inattesa o difficile: • sono state lasciate sole dal loro partner • sono spinte ad abortire da famigliari o amici • hanno perso il lavoro a causa della gravidanza Se non vuoi rassegnarti e cerchi disperatamente una via d’uscita chiamaci e un gruppo di persone esperte del Movimento per la Vita ti darà ascolto e ti suggerirà soluzioni concrete indirizzandoti al più vicino degli oltre 342 (nel 2017) Centri di Aiuto alla Vita (Cav) in tutta Italia. La chiamata è gratuita e al numero 800-813-000 risponde qualcuno 24 ore su 24. Questo servizio
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è gestito privatamente dal Movimento per la Vita (Mpv) e assiste indipendentemente donne italiane o straniere anche irregolari.
Il progetto Gemma
Il Progetto Gemma vede la luce nel 1994 per iniziativa della Fondazione Vita Nova, un’opera del Movimento per la Vita. Si tratta di una originale forma di adozione prenatale a distanza per madri in difficoltà, tentate di non accogliere il proprio bambino. Una mamma in attesa nasconde sempre nel suo
Centro Aiuto alla Vita - Lodi via Secondo Cremonesi, 4 26900 Lodi (LO) Orari di apertura Giovedì: 9.30 – 11.30 Venerdì: 9.30 – 11.30 Sabato: 15.30 – 17.30 Colloqui: mercoledì pomeriggio su appuntamento telefonico (348 982 8647) grembo una gemma (un bambino) che non andrà perduta se qualcuno fornirà l’aiuto necessario. Progetto Gemma offre ad una mamma un sostegno economico che le può consentire di portare a termine con serenità il periodo di gestazione, accompagnandola nel primo anno di vita del bambino. È un’idea in più per collaborare con gli oltre 342 (nel 2017) Centri di aiuto alla Vita che offrono in tutta Italia accoglienza e sostegno alle maternità più contrastate. Il contributo degli adottanti è un segno tangibile di presenza e di aiuto concreto, nonché una prima risposta per dare coraggio alle mamme. Attraverso questo servizio, con un contributo minimo mensile di 160 euro, si può adottare per 18 mesi una mamma e il suo bambino. Chiunque può fare queste adozioni: singoli, famiglie, gruppi parrocchiali, di amici o di colleghi, comunità religiose, condomini e classi scolastiche. Hanno aderito al Progetto anche Consigli comunali e gruppi di carcerati. Spesso l’adozione viene proposta come dono per matrimoni, battesimi, nascite o in ricordo di una persona cara. Puoi offrire l’intera somma o parte di essa in due
modi: 1) presentandoti in una delle sedi CAV negli orari d’apertura ottenendo regolare ricevuta. 2) effettuando un bonifico sul c/c riservato al “Progetto Gemma” presso Banco BPM e intestato al Movimento per la Vita Lodigiano. L’IBAN è IT25D0503420301000000339255. Indicare come causale “elargizione liberale - Progetto Gemma”. Ti suggeriamo di avvisare via telefono o - meglio via e-mail all’indirizzo info@mpvcavlodi.it dell’avvenuto versamento indicandone gli estremi. In questo modo potremo informarti dell’andamento del progetto. Questa forma dà diritto ai vantaggi fiscali qui descritti. I bambini nati grazie a Progetto Gemma sono stati circa 24.000 (dal 1994 al 2018) ma parecchie richieste di Progetto Gemma, che sono in genere più numerose delle offerte, non possono essere soddisfatte. Il Movimento per la Vita Lodigiano collabora al Progetto Gemma da molti anni. Il nostro parrocchiano Ettore Penza ha iniziato il percorso del noviziato presso l’ordine religioso dei domenicani, nel convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Lo ricordiamo con affetto nella nostra preghiera e gli auguriamo un cammino di formazione ricco di buoni frutti. (Nella foto con don Elia e don Anselmo nel giorno della “Vestizione”).
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Catechesi online?
Come continuare i cammini di fede nei giorni della pandemia Catechesi online? Forse qualcuno si può chiedere come si fa a fare catechesi ognuno da casa propria. Qualcuno può anche dire: “Pure la catechesi? Non basta che i nostri ragazzi siano costretti a stare davanti a degli schermi per la didattica a distanza? I ragazzi hanno bisogno di incontrarsi, di vivere insieme esperienze. Per non parlare poi di tutti i discorsi che abbiamo fatto in questi anni di non ridurre la catechesi ad una lezione frontale, o a paragonarla alla scuola, magari con compiti e verifiche (fortunatamente nella nostra parrocchia questo
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non accade più da tempo!). Eppure anche noi abbiamo dovuto prendere questa strada. Non sarà il massimo ma è la modalità che oggi ci consente di ritrovarci, di vederci, di poter riflettere insieme e continuare i nostri cammini anche a distanza. Certamente non vediamo l’ora di poterci ritrovare in gruppo, ma per ora ci accontentiamo. Così i catechisti si sono subito dati da fare, hanno persino fatto un “mini corso” per conoscere sempre meglio i programmi e le piattaforme per incontrare i ragazzi in questa nuova modalità. In definitiva ci siamo
accorti che non è poi così male… e per darvi un esempio vi raccontiamo cosa è successo al gruppo di V elementare lo scorso venerdì 20 novembre. Sono arrivati perfino in America! Dopo aver riflettuto con le catechiste sul tema della missione e sull’essere missionari, hanno pensato di incontrate un missionario vero! Direttamente sul campo di lavoro. Così si sono connessi con don Marco Bottoni, sacerdote della diocesi di Lodi, Missionario in Uruguay dal 2011 (nella foto a sinistra nella sua parrocchia). Don Marco, che ringraziamo per la sua disponibilità e la sua bella testimonianza, si è intrattenuto con i ragazzi che gli hanno fatto tantissime domande, da quelle preparate in precedenza con le Oggi, via GMeet, abbiamo incontra to Don Marco che fa il m issionario in Urug uay. Mentre raccontava , mi ha colpito m olto che è in America del S ud da ben 9 anni , quindi è da tutto questo tem po che non vede né la sua famiglia né i suoi amici. Mi ha impression ato molto anche qu ando ha detto che, appena arrivato in America , ha dovuto studiare per 2 o 3 mesi lo spagno lo, anche se lo ha imparato meglio sentendolo parlare dai sudamericani . I primi tempi do veva farsi accompagnare da un interprete per riuscire a parlare con la gent e. Ho trovato interes sante che in Amer ica l’hanno accolto molto bene, perché io av rei avuto paura ad andare in un luogo dove no n conoscevo nessuno. Penso che Don M arco sia molto co raggioso e altruista. Sara
catechiste a tante curiosità che appartengono anche alla vita quotidiana in Uruguay: come passi la tua giornata? Che sport pratichi? Qual è il tuo cibo preferito? Non ti manca la tua famiglia? … Ma chi meglio dei diretti interessati può raccontarci cosa è accaduto? Lasciamo la parola a Bianca e Sara di V elementare che ci raccontano le loro impressioni su questo incontro speciale. Dopo aver ripreso pe r qualche settiman a il catechismo in presen za, purtroppo ora non possiamo più incontra rci di persona, allor a con le catechiste facciam o degli incontri on line. Durante l’incontr o di catechismo de l 20 novembre, abbiamo incontrato via G M eet don Marco, un sacerdot e di Lodi che è mis si onario in Uruguay in un a città che si chiam a Nueva Helvecia. L’abbiamo intervi stato facendo delle domande sulla sua vita da missionario e sulle tradizioni in Uruguay. È stato molto gent ile e mi ha colpito la sua serenità e il suo so rriso, ha chiarito tutti i no stri dubbi sui mis si onari e anche sulle tradiz ioni del posto, ci ha ra ccontato della Chiesa, dell’oratorio e di co me l’hanno accolto. Secondo me la cosa più importante ch e ha detto è questa: ci ha fatto capire che tu tti quanti possono essere mis sionari, anche noi ba mbini. Si è missionari tu tte le volte che no n abbiamo paura di palare di Gesù con i nost ri am quando ci comport ici, iamo bene e diam o il buon esempio. Bianca
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La “memoria mortis” per saper vivere
Riportiamo l’omelia che il parroco ha tenuto il 2 novembre scorso, giorno della Commemorazione dei Fedeli Defunti, nella celebrazione serale, durante la quale sono stati ricordati i 116 parrocchiani defunti dal 2 novembre 2019 al 2 novembre 2020. “Vita e morte si sono affrontate in un prodigioso duello”: cantiamo nel solenne annuncio della Pasqua. La vita e la morte: due realtà che sono due opposti, che si escludono a vicenda eppure si illuminano a vicenda. L’esperienza quotidiana ci presenta frequentemente questo gioco degli opposti, il quale ci consente però di apprendere e identificare molte cose, situazioni, persino la nostra identità: yy Noi abbiamo la consapevolezza del giorno nel suo opposto che è la notte e similmente della luce nel contrasto con l’oscurità. yy Noi abbiamo la consapevolezza della compagnia e degli affetti, nel contrasto con l’esperienza della solitudine. yy Noi abbiamo la consapevolezza di noi stessi, del nostro io, della nostra identità, nel con-
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fronto e nell’opposto che è l’altro da me. Similmente noi possiamo comprendere qualcosa in più di questo grande e affascinante mistero che è la vita, anche nel confronto con il suo opposto che è la morte. I Greci, partendo da questa riflessione avevano chiamato gli uomini “i mortali”, e ricercavano nella figura dell’eroe colui che potesse, attraverso grandi gesta, costruirsi un nome, una fama che potesse, per così dire, garantirgli una sorta di immortalità, di eternità. Il pensiero della morte diventava così impegno per una vita che potesse esprimersi al pieno delle sue potenzialità ed operare cose grandi. I cristiani, invece, a partire dalla centralità della Pasqua e della fede in Gesù morto e risorto, nel confronto con l’esperienza della morte identificarono gli uomini, meglio i cristiani stessi, come “i viventi”, grazie al Cristo Risorto, “il vivente” per eccellenza. Questa fede conduce i cristiani a percepire la vita come dono dall’alto e a declinarla nell’ottica del dono: “sono venuto”, dice Gesù, “perché abbiate la vita e l’abbiate in abbondanza”. In questa ottica, per
i cristiani, donare la vita non significa perderla ma ritrovarla. Sia i greci pagani, sia i cristiani però, avevano fatto del pensiero della morte una occasione per ridefinire la vita, per darle un orizzonte di senso, per identificarla e valorizzarla appieno. Oggi invece viviamo in una cultura che tenta insistentemente di accantonare e di rimuovere il pensiero della morte, una cultura che si illude di eluderla rifugiandosi in una prospettiva puramente effimera, quando non banale, o puramente materiale dell’esistenza, oppure consegnando la vita ed il senso della vita alle risposte della scienza e della tecnologia, (ma sono vere sicurezze?) illudendoci di essere immortali. Senza questo sguardo di contrasto con la morte, però, la vita si appiattisce, perde i suoi contorni, il significato, il gusto, la passione, il sano protagonismo, lo slancio, l’intraprendenza del vivere, anche il suo realismo … e spesso entra in quel tunnel che è “la noia del vivere”. Questo tempo della pandemia ci ha rimesso violentemente, drammaticamente, di fronte alla fragilità dell’esistenza e alla cruda realtà della morte, ma al tempo stesso interpella tutti a recuperare passione, gusto per la vita come di una opportunità grande, un dono immenso che non si può tenere per sé stessi. I latini dicevano “memento mori”: ricordati che devi morire … Ma questo pensiero, lungi dall’essere un lugubre e funesto messaggio, era, ed è anche per noi, invito a vivere la vita in pienezza. Ecco perché noi oggi facciamo memoria dei nostri defunti e siamo richiamati al pensiero della morte: non per intristire la vita o per oscurarne il volto e il cuore, ma per riprendere passione per la vita, secondo l’insegnamento evangelico. Oggi ho letto su un articolo di giornale che ha ispirato questa riflessione: “Tutto il coraggio per vivere dipende dal saper morire”. Il culto dei morti, di cui oggi celebriamo il suffragio, e la “memoria mortis”, sono per i cristiani, un appello alla vita, un ritorno alla vita, nella fede in Gesù morto e risorto. E’ un ritorno che tutti vogliamo operare stasera ed è quello che auguro, in particolare, a coloro che in questi mesi hanno accompagnato i loro cari nell’ultimo passaggio.
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Vita parrocchiale Celebrazione dei Battesimi La prossima celebrazione si terrà domenica 10 gennaio (Festa del Battesimo di Gesù) alle ore 15.30. I genitori interessati sono pregati di contattare il parroco.
Percorso di preparazione al matrimonio Uno dei percorsi cittadini di preparazione al matrimonio si terrà nella nostra parrocchia e sarà seguito dal parroco e da una coppia di sposi della parrocchia. L’inizio è per giovedì 14 gennaio ore 21.00. Chi fosse interessato contatti don Elia.
La Solennità di San Bassiano yy yy
Lunedì 18 gennaio: veglia diocesana in Cattedrale alle ore 21.00 Martedì 19 gennaio: solenne celebrazione del Santo Patrono della parrocchia a San Fereolo, ore 18.00.
In questi primi giorni di dicembre un’altra triste notizia ha raggiunto la nostra comunità. Edoardo Chiappa, per tutti Edo, ci ha lasciati improvvisamente all’età di 58 anni. Viveva in città con la sua famiglia con cui da qualche anno era rientrato dopo una intensa esperienza in terra d’Africa per seguire alcuni progetti del MLFM di Lodi (costruzione di acquedotti). Edo è noto a tutti nella nostra parrocchia, specie per quella fascia di persone che tra gli anni ‘80 e i primi anni del nuovo secolo hanno vissuto con entusiasmo e passione la vita parrocchiale. Attivissimo e fedelissimo a tutti gli appuntamenti, si è speso sempre con entusiasmo e passione sia verso la gioventù (come catechista e animatore), sia verso i più deboli, soli e disagiati (responsabile Caritas): da queste esperienza nasce poi il desiderio di dedicare una parte della sua vita e della sua professionalità (ingegnere meccanico) in Africa. Da alcuni anni era rientrato a Lodi con sua moglie Jeanette con cui viveva - insieme alla piccola Iris - nella parrocchia
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La Festa di San Giovanni Bosco
Il prossimo anno cade proprio in domenica, 31 gennaio. L’appuntamento sicuro è la celebrazione delle ore 10.00 al Sacro Cuore. Quanto al pomeriggio in Oratorio daremo notizie più dettagliate in seguito.
La Giornata per la Vita
Si celebra domenica 7 febbraio 2021. Alla celebrazione delle ore 10.00 sono invitati i genitori con i bambini battezzati nell’anno 2020 e le mamme in attesa di un bimbo: per gli uni e per gli altri faremo una preghiera di benedizione.
La celebrazione dei Sacramenti
Per domenica 7 e 14 febbraio, ore 15.30 è in programma la celebrazione del Sacramento della Cresima, per i ragazzi di 2a media. Per domenica 21 e 28 febbraio, ore 15.30 la Santa Messa di Prima Comunione per i ragazzi di 5a elementare (salvo differenti disposizioni). di San Gualtiero. La scomparsa di Edo ci rattrista ma il ricordo della sua amicizia e presenza resteranno nella memoria di tutti testimonianza autentica di vita cristiana. Mercoledì 6 gennaio, alle ore 10.00, celebreremo una S. Messa di suffragio alla chiesa del Sacro Cuore. (Paolo Esposti)
Il percorso della vita Defunti yy yy yy yy yy yy yy yy yy yy
PANDINI ANTONIO di anni 79 ORIOLI CARLA di anni 64 CHETTA FELICE ROBERTO di anni 97 CARRERA CATERINA di anni 93 BELLONI GIOVANNA di anni 77 VESCHI LIDIA di anni 90 CONFALONE GIOVANNA di anni 67 ROZZA GIANPIETRO di anni 83 MORANDI GIULIANA, di anni 79 LO RE VITTORIA, di anni 86
Ferrari Rosetta di anni 87
Folli Enrico di anni 50
Benzoni Giuseppina di anni 88
Brunetti Angela di anni 91
Gramolini Claudio di anni 84
Gremmo Pierfranco di anni 97
nozze di PATER DAVIDE LUIGI con PIZZI CINZIA
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Parrocchia dei Santi Bassiano e Fereolo viale Pavia 41, Lodi - tel. 0371-30658
Per contattarci:
don Elia: tel. 0371-30658 don Roberto: tel. 0371-36345 Caritas parrocchiale: via della Marescalca 3 - tel. 0371-430885 Gruppo Sportivo Oratorio: via Salvemini 5 - tel. 0371-979388 Coordinatore Sportivo: Roberto Folletti tel. 339-1452918
e-mail: doneliacroce@libero.it sito web: www.http://sanfereololodi.blogspot.it e-mail Caritas Parrocchiale: caritassanfereolo@gmail.com
Gli orari delle S. Messe: Feriali
San Fereolo: ore 8.30; ore 18.00 (posti disponibili alla chiesa di San Fereolo: 70)
Sabato e prefestive Sacro Cuore: ore 17.30 (posti disponibili alla chiesa del Sacro Cuore: 200)
Festive Sacro Cuore: ore 8,30; ore 10.00; ore 11.30; ore 18.00 (posti disponibili alla chiesa del Sacro Cuore: 200)
I servizi della Caritas parrocchiale: Ambulatorio infermieristico temporaneamente sospeso
Doposcuola in fase di programmazione
Distribuzione vestiti martedì dalle ore 9 alle 11
Aiuto generi alimentari una volta al mese
Centro d’ascolto Mercoledì – venerdì dalle ore 9 alle 11
Ambulatorio Medico Caritas martedì dalle ore 16.30 alle ore 18.30
Le visite, riservate esclusivamente a pazienti privi dei documenti necessari per l’assistenza sanitaria, vanno prenotate presso la Caritas centrale, via Cavour, 31.