Sara Dalla Rosa
Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa
1
Politecnico di Milano Scuola del Design Corso di Laurea Magistrale in Design della Comunicazione Anno accademico 2019/2020 Relatrice: Mariana Ciancia
Incipit. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa Sara Dalla Rosa 895946 Luglio 2020 2
“Le parole sono, nella mia non modesta opinione, la nostra massima e inesauribile fonte di magia.� Albus Silente
3
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
4
INDICE Chiamata/ Abstract
Varco della soglia/ Introduzione e metodologie
Avvicinamento/
9
11
Parte 1 - Narrare humanum est 1.1 Dalla comunicazione alla narrazione 1.2 Narrazione d’impresa o Corporate storytelling: una prima definizione 1.3 I pilastri della Corporate Communication: Corporate identity, Corporate image e Corporate reputation 1.4 Focus sulla Corporate Identity 1.4.1 Gli studi sul tema 1.5 Un racconto moderno: il brand storytelling nell’era digitale 1.5.1 Digital storytelling 1.5.2 Visual storytelling e social media 1.5.3 Crossmedia e transmedia storytelling 1.6 Brand personality Concludere per continuare
15 17 19
Parte 2 - Gli archetipi: figure universali 2.1 Brevi cenni sugli archetipi 2.2 Che cos’è l’Archetypal branding 2.2.1 Gli studi di Mark e Pearson 2.2.2 I 12 archetipi: schede di presentazione
45 47 49 52 54
23
28 29 31 33 36 38 41 43
5
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Parte 3 - Il fenomeno delle start-up 3.1 Che cos’è una start-up 3.1.1 Le origini del termine: la Silicon Valley 3.1.2 Le caratteristiche fondamentali 3.1.3 Il ciclo di vita 3.1.4 Il panorama italiano 3.2 Il ruolo degli incubatori 3.2.1 Gli incubatori in Italia 3.3 Quali sono i fattori di successo di una start-up? 3.4 Una fase fondamentale: l’analisi di mercato 3.5 Nuova impresa, nuova storia da raccontare 3.6 Due esempi riusciti: Airbnb e Miscusi 3.5.1 Airbnb 3.5.2 Miscusi
79 81 82 84 85 87 90 92 95 97 101 103 104 114
Prova centrale/
Parte 4 - Il progetto 4.1 Gli intenti progettuali 4.2 Lo stato dell’arte 4.3 La metafora: il viaggio dell’eroe 4.4 Il concept: “From what I am to who I am” 4.5 Il format: perchè un workshop? 4.5.1 Il flusso temporale 4.5.2 Il flusso spaziale 4.6 L’identità di Incipit. 4.6.1 Il raccoglitore degli strumenti 4.6.2 La guida informativa 4.6.3 Le presentazioni 4.6.4 La lista dei sostantivi 4.6.5 Il cerchio degli archetipi
6
123 125 126 130 132 134 138 140 142 146 148 150 152 154
4.6.6 Il deck di carte 4.6.7 I canvas da completare 4.6.8 I feedback 4.7 Il primo test
156 162 168 169
Ritorno con l’elisir/ Conclusioni e sviluppi futuri
179
Appendice A: I casi studio Appendice B: Un’intervista semi-strutturata Appendice C: I risultati del test
185 289 297
Indice delle figure Bibliografia/ Sitografia
301 309
Mondo ordinario/ Ringraziamenti
315
7
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
8
ABSTRACT IT/ ABSTRACT EN In un mercato sempre più saturo la narrativa d’impresa o Corporate storytelling diventa lo strumento fondamentale per le aziende che vogliono raccontare la propria storia, coinvolgere e fare appassionare un pubblico sempre più attivo; il consumatore diventa prosumer, sempre più informato, coinvolto in un dialogo diretto con l’azienda e per questo in grado di influenzare il processo produttivo. In questo contesto non si parla più di semplice comunicazione ma di vera e propria narrazione, in grado di creare engagement e lasciare un segno nella memoria del cliente; infatti il racconto possiede un valore intrinseco e se sviluppato nella maniera corretta è funzionale al fine di attirare l’attenzione, impressionare e convincere. Prima di incominciare un racconto personale diventa necessario per qualunque azienda sviluppare il proprio personaggio e quindi delineare un’identità che la renderà riconoscibile rispetto ai competitors. Questo passaggio è fondamentale soprattutto per quelle realtà che nell’era della “new economy” vengono definite start-up, ovvero quelle imprese di piccole dimensioni che si trovano in uno stadio di vita preliminare. Le ipotesi formulate a seguito della fase iniziale di ricerca si sono concretizzate nella progettazione di un sistema per accompagnare le start-up nella definizione della propria brand identity. Il risultato è Incipit: un workshop progettato a partire dall’unione di strumenti derivanti dal mondo della narrativa e di quello del branding.
In an increasingly saturated market, Corporate Storytelling becomes the fundamental tool for companies that want to tell their story, engage and excite an increasingly active audience; the consumer becomes a prosumer, increasingly informed, involved in a direct dialogue with the company and therefore able to influence the production process. In this context we no longer speak of simple communication but of real narration, capable of creating engagement and leaving a mark in the customer’s memory; in fact the story has an intrinsic value and if developed in the correct way it is able to attract the attention, impress and convince. Before starting a personal story, it becomes necessary for any company to develop its own character and therefore outline an identity that will make it recognizable compared to competitors. This step is fundamental above all for those companies that in the era of the “new economy” are called start-ups, that is, those small businesses that are in an early stage. The hypotheses formulate a follow-up to the initial research phase took concrete form in the design of a system to accompany the start-up in defining its own brand identity. The result is Incipit: a workshop organized starting from the union of tools deriving from the world of fiction and that of the brand.
9
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
10
INTRODUZIONE E METODOLOGIE Alla base di questo elaborato di ricerca c’è una riflessione sul tema dello storytelling e in particolare nella sua declinazione di Corporate Storytelling. L’utilizzo di questo termine è sempre più diffuso ed esso viene applicato e declinato nei più svariati ambiti. Questo accade perchè in quanto esseri umani non possiamo fare a meno di comunicare e il racconto è parte della storia dell’umanità fin da quando fece la sua prima comparsa sotto forma di disegni sulle pareti delle caverne nell’epoca primitiva. Le storie sono l’elemento che arrichisce e rende più interessante la nostra vita; fin da piccoli infatti ci vengono raccontare fiabe e favole o ci interessiamo ad un cartone animato che viene trasmesso in televisione. Ma al di là delle forme “canoniche” nel quale il racconto si manifesta è possibile affermare che tutto ciò che ci circonda porta con sè un significato, ricco di parole e immagini. Per fare un esempio concreto di quanto detto basterebbe citare una semplice bottiglia di una delle bevande gassate più conosciute al mondo, ovvero Coca Cola. Che cosa appare nella nostra mente quando siamo di fronte a questo oggetto? Probabilmente una serie di immagini riconducibili alle numerose pubblicità che abbiamo visto in televisione o magari un ricordo legato ad una particolare occasione nella quale abbiamo consumato la bevanda. Viene introdotto a questo punto l’universo dei ricordi, infatti, un racconto ha la capacità di rimanere più facilmente impresso nella nostra memoria rispetto ad altre forme di comunicazione. Questa considerazione insieme agli innumerevoli benefici dello storytelling ha fatto sì che negli ultimi anni gli studi attorno alla narrativa d’impresa si moltiplicassero; infatti, nel mercato in cui viviamo diventa necessario per un’azienda imparare a raccontarsi e instaurare un dialogo con il proprio pubblico di riferimento. Uno dei requisiti che rende una narrazione appassionante è la coerenza tra tutti i suoi elementi e proprio per questo motivo dev’essere chiaro fin dalla nascita di un’impresa che occorre sviluppare un’identità che racchiuda tutte le sue peculiarità: i valori, gli obiettivi che si vogliono raggiungere, i desideri e le paure. Il termine marca-persona simboleggia questo nuovo approccio al branding: esattamente come lo scrittore definisce le peculiarità dei suoi personaggi, un imprenditore dovrebbe fare altrettanto con la sua impresa. La seguente ricerca, si sviluppa a partire da queste riflessioni con lo scopo di giungere alla progettazione di una serie di strumenti che creino una connessione tra gli ambiti del design e della narrazione e quello del branding e che, attraverso un workshop facilitino il processo di definizione dell’identità. Nello specifico l’elaborato è costituito da 4 sezioni: 1° PARTE: attraverso una literature review è stato possibile indagare il tema della narrativa d’impresa al fine di comprenderne le caratteristiche principali. L’analisi di una serie di papers ha evidenziato come non esista una definizione univoca di “Brand Identity”
11
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
ma che, nonostante gli studi siano in continua evoluzione, essa sia formata da tutti quegli elementi relativi all’impresa, a partire dalle procedure di gestione finanziaria, fino ad arrivare ad esempio alla modalità di sviluppo delle comunicazioni indirizzate al pubblico esterno. A questo proposito spesso l’espressione viene confusa con quella che invece è difinita “brand image” che è invece il riflesso visivo di tutti gli elementi che caratterizzano l’impresa. Questa prima parte ha quindi permesso di evidenziare una serie di parametri sui quali è necessario e imprescindibile riflettere per poter arrivare a definire in maniera profonda la propria identità e che sono stati utilizzati in fase di sviluppo del progetto. 2° PARTE: questa sezione dell’elaborato si rivolge al mondo della narrativa con particolare riferimento all’universo degli archetipi. Queste figure primordiali, studiate inizialmente da Jung sono riconducibili ai comportamenti degli esseri umani indipendentemente dal luogo di nascita e dalle usanze culturali. Per questa loro caratteristica di universalità sono state studiate a fondo dalla psicologa e scrittrice Carol Pearson che in seguito insieme alla consulente Margaret Mark ha evidenziato nel libro “The Hero and the Outlaw: Building Extraordinary Brands Through the Power of Archetypes” come sia possibile riscontrare in ogni brand una figura archetipica di riferimento che funge da guida e permette di sviluppare una narrazione continua e coerente in tutte le sue parti. 3° PARTE: in quest’ultima parte teorica viene introdotto e definito il termine start-up, come impresa fortemente improntata alla sperimentazione, che si trova in uno stadio iniziale di sviluppo. Nasce da un’idea che sembra avere del potenziale e sulla quale i fondatori decidono di investire in termini di energie ed entusiasmo. In Italia il fenomeno è in costante crescita e viene incentivato dal Decreto Legge Crescita 2.0 del 2012. Per il coraggio e la passione che dimostrano nel voler raggiungere i propri obiettivi gli start-upper sono il target più idoneo al quale indirizzare il progetto sviluppato come conclusione della tesi di ricerca. 4° PARTE: qui viene raccontato il procedimento che ha portato allo sviluppo del progetto vero e proprio: Incipit. che rappresenta al tempo stesso la conclusione di un percorso di studi e, come dice la parola stessa, l’inizio di qualcos’altro. Si tratta infatti, di un workshop che riflette il processo di ricerca e le riflessioni nate nelle prime due parti dell’elaborato e che funge da collegamento tra il mondo narrativo e quello del branding. Come detto in precedenza si indirizza alle start-up e ha l’obiettivo di supportarle nella definizione dell’identità per facilitare l’operazione di posizionamento e lo sviluppo di una comunicazione futura, anche in vista delle scelte grafiche legate ad elementi come logo, nome, pay-off, packaging ecc.. A concludere la tesi si trovano tre appendici A, B e C, che racchiudono parte del processo di ricerca. L’appendice A presenta una selezione di 12 casi studio scelti in relazione alle 12 figure archetipiche analizzati da un punto di vista qualitativo secondo parametri personalizzati al fine di evidenziarne le peculiarità e di mostrare come l’identità del brand si rispecchi in tutte le sue scelte, a partire dal logo fino ad arrivare al design dello store. La B invece riporta un’intervista semi-strutturata realizzata all’inizio di questo percorso alla co-fondatrice di Ibrida, una start-up nata al Politecnico di Milano nel 2018, e che ha permesso di definire i punti di partenza per lo sviluppo del progetto. In conclusione l’appendice C riporta le risposte ottenuto in fase di test del progetto.
12
Obiettivi e strumenti della ricerca Obiettivi
Indagine sul tema del Corporate Storytelling con focus sul concetto di brand identity
PARTE I
“Narrare humanum est”
PARTE II
“Gli archetipi: figure universali”
Literature review e analisi di casi studio con particolare riferimento all’opera di Mark e Pearson The Hero and the Outlaw: Building Extraordinary Brands Through the Power of Archetypes
Definizione del termine start up e focus sulla situazione in Italia
Literature review, consultazioni di articoli online e riferimento al Report del MISE (2020) sulle start up in Italia
“Il fenomeno delle start up”
PARTE IV
Literature review
Definizione del termine archetipo e indagine sull’utilizzo di queste figure universali nell’ambito del branding Creazione di 12 schede di approfondimento
PARTE III
“Incipit. Il progetto di un workshop ”
Strumenti
Progettazione di un workshop e di una serie di strumenti per lo sviluppo dell’identità di una start up in ottica narrativa
Analisi dello stato dell’arte riguardo gli strumenti esistenti , literature review con focus sulle pratiche di conduzione di un workshop
APPENDICE A Analisi qualitativa di 12 casi studio secondo parametri personalizzati per ciascuno di essi APPENDICE B Intervista semi-strutturata con una start up sul tema dell’identità APPENDICE C Raccolta delle risposte ottenute durante la fase di test del progetto
Fig. 1 Schema della struttura della tesi che evidenzia obiettivi e strumenti utilizzati
13
14
PARTE I -
Narrare humanum est
15
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
16
PARTE I - Narrare humanum est.
Graham Swift
1.1 Dalla comunicazione alla narrazione “Ma l’uomo, se mi consentite di suggerire una definizione, è l’animale che racconta la storia. Ovunque vada, vuole lasciare dietro di sé non una caotica scia, non uno spazio vuoto, ma le rassicuranti boe e le pietre miliari della storia. Fin quando c’è storia, tutto va bene. Anche nei suoi ultimi attimi, a quanto si dice, nella frazione di secondo della fatale caduta – o quando sta per annegare – l’uomo vede passare rapidamente davanti a sé la storia di tutta la sua vita.” Viviamo in un’epoca nella quale non è più sufficiente informare, comunicare e coinvolgere, ma diventa necessario narrare. La narrazione è una pratica riconosciuta a livello universale, apparsa fin dagli albori della civiltà, viene da sempre utilizzata dagli uomini per trasmettere le proprie memorie e tradizioni. Nel corso dei secoli miti, leggende e fiabe sono state al centro dell’attività umana. Questo perché le storie, se condivise, sono in grado di creare un legame sociale, e unificare le culture in quanto intrise di valori comuni; inoltre esse “acculturano i giovani, definiscono gli individui, stimolano costantemente e impercettibilmente l’integrità morale. (..) Ci omogeneizzano, ci unificano.” (Gottschall, 2018, p.153) In qualsiasi modo esse si presentino, sotto forma di libro, film o videogiochi esse esercitano una potente influenza su di noi, tanto da condizionare e modellare la nostra personalità. Come già accennato, gli essere umani comunicano attraverso le storie da quando vivevano nelle caverne. La narrazione era anticamente il più importante mezzo per la divulgazione di informazioni. Esistono infiniti esempi del suo impiego, basti pensare agli aedi, cantori dell’Antica Grecia che con la loro cetra narravano i più importanti poemi. La forza del racconto risiede nella sua caratteristica di universalità che permette di creare una relazione tra la dimensione individuale e quella collettiva. Per questo motivo le narrazioni sono state soggetto di studi approfonditi attraverso le più svariate discipline. L’arte del narrare infatti non è riducibile al solo racconto di una storia, ma al contrario si può intendere come “l’atto (e il modo) attraverso il quale si racconta qualcosa con un certo linguaggio
17
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
in una ‘certa’ lingua, ma, soprattutto, rappresenta l’azione attraverso la quale si ascolta qualcosa.” Essa è quindi “invenzione, ma anche metodo, strategia organizzativa, pianificazione sfidante per costruire (e distruggere) e riconoscere, appunto, insieme, valori, storie, legami e scenari.” (Matrone & Pinardi, 2013, p. 74) Come afferma il semiologo francese Roland Barthes (1966) “Il racconto è presente in tutti i tempi, in tutti i luoghi, in tutte le società; il racconto comincia con la storia stessa dell’umanità; non esiste, non è mai esistito in alcun luogo un popolo senza racconti; tutte le classi, tutti i gruppi umani hanno i loro racconti e spesso questi racconti sono fruiti in comune da uomini di culture diverse, talora opposte; il racconto si fa gioco della buona e della cattiva letteratura; internazionale, trans-storico, transculturale, il racconto è la come la vita”. Negli ultimi tempi si è affermato sempre di più il termine “storytelling”, la cui traduzione letterale è “raccontare storie”. Quest’ultima risulta però estremamente incompleta poiché il concetto porta con sé un significato molto più ampio. Lo scrittore Christian Salmon (2008) dà una sua definizione del termine, intendendolo come “una forma di discorso che si impone in tutti i settori della società e trascende i confini politici, culturali o professionali”. Si tratta quindi di un vero e proprio processo che attraverso il raccontare offre una rappresentazione specifica a quelle azioni individuali e/o collettive ritenute importanti, “un approccio, un insieme di teorie che confluiscono in metodi e strumenti di lavoro”. (Fontana, 2016) Questa affermazione trova riscontro nelle parole della giornalista Lynn Smyth (2001) “Si può sempre far risalire l’arte dello storytelling alle pitture rupestri degli uomini delle caverne. […] Ma dal movimento letterario postmoderno degli anni Sessanta, venuto dalle università e diffusosi in una cultura più larga, il pensiero narrativo si è esteso ad altri campi: gli storici, i giuristi, i fisici, gli economisti e gli psicologi hanno riscoperto il potere delle storie di costruire una realtà. E lo Storytelling è giunto a rivaleggiare con il pensiero logico per comprendere la giurisprudenza, la geografia, la malattia o la guerra.”
18
PARTE I - Narrare humanum est.
Tra tutte le applicazioni possibili questa ricerca si focalizzerà in particolare sulla narrazione d’impresa o corporate storytelling, che ha una prima definizione negli studi di Norlyk, Lundholt e Hansen (2013) “private and public companies’ and organizations’ strategic utilization of stories and storytelling (in the broad sense of man’s ability to tell and understand narratives) to create coherence and progression concerning the companies’ or organizations’ brand, identity and development.” In questi termini, infatti, la narrazione diventa uno strumento efficace sia per le organizzazioni che operano in un mercato sempre più saturo, nel quale prodotti di qualità e capacità di comunicare sono dati per scontati, sia per le imprese che si trovano nella fase iniziale di crescita, definite “Start-up”, che, nonostante un budget spesso limitato, hanno la necessità di emergere e affermare la loro identità. Si tratta di realtà sempre più presenti anche in Italia, alla fine del 2019 se ne registravano oltre 11.000,(Ministero dello Sviluppo Economico & al., 2019 ) di cui si parlerà più nello specifico in un capitolo dedicato.
Walt Disney
1.2 Narrazione d’impresa o Corporate storytelling: una prima definizione “Una persona dovrebbe definire i suoi obiettivi il più presto che può e dedicare tutte le sue energie e il talento per arrivarci. Con uno sforzo sufficiente, può farcela. Oppure può trovare qualcosa che è ancora più gratificante. Ma alla fine, non importa quale sia l’esito, lui saprà che è stato vivo.” Nel contesto attuale, ricco di competizione e complessità, appare sempre più evidente che le metodologie e gli strumenti di comunicazione tradizionali non siano più sufficienti alle aziende che devono far emergere le loro caratteristiche più soggettive per differenziarsi dalla concorrenza. La narrazione diventa lo strumento in grado di trasmettere l’identità dell’impresa esprimendo i valori, gli obiettivi, i comportamenti e le personalità che la contraddistinguono. Infatti, volendo uti-
19
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
lizzare una metafora è possibile sostenere che “la comunicazione si occupa di comunicare la ‘faccia’ di un’impresa, il modo in cui si ‘veste’, la sua postura, le sue attività; la narrazione ambisce invece a raccontarne la natura, il cuore, i valori, gli orizzonti dell’impresa. (..) In apparenza comunicare è assai più sbrigativo, più immediatamente facile perché sembra porre meno problemi e offrire la sensazione che ad un’azione corrisponda subito un risultato.’ (Matrone & Pinardi, 2013, p. 65) La narrazione diventa quindi il mezzo in grado di diffondere in maniera più efficace le informazioni riguardanti una determinata organizzazione che viene intesa qui, non come un ente il cui unico obiettivo è il profitto, ma al contrario come un insieme di individui che con le loro emozioni e personalità ne costituiscono l’identità. Se, come già sottolineato in precedenza “Raccontare storie é un modo imprescindibile e costitutivo di organizzare la nostra esperienza, la nostra percezione della realtà, di comprendere ciò che facciamo e che fanno gli altri. È un modo fondamentale di dare significato alla vita e al mondo, di attribuire senso alle parole, alle frasi, ai discorsi.” (Cosenza, 2018) allora diventa fondamentale anche nell’ambito aziendale narrarsi che, sebbene sia un’attività “che mette più in discussione, più difficile, più laboriosa” permette di giungere a “risultati più duraturi, più solidi.’ (Matrone & Pinardi, 2013, p. 66) Andare al di là delle metodologie di comunicazione tradizionale permette di spingersi da un livello più superficiale costituito da informazioni pre-costituite, ad uno più profondo all’interno del quale si trova la vera essenza dell’organizzazione e degli individui che la compongono. Si tratta però di un’attività estremamente complessa poiché spesso si sviluppa in contesti disparati e possiede numerosi narratori. Inoltre essa non si esaurisce mai, ma al contrario richiede uno sforzo prolungato in quanto non può essere interrotta e riattivata a proprio piacimento. (Matrone & Pinardi, 2013, p. 74) Se il processo risulta innegabilmente complicato, innumerevoli sono i benefici che ne derivano. La narrativa d’impresa, infatti, permette attraverso la creazione di un vero e proprio racconto di trasmettere emozioni e sensazioni in grado di coinvolgere maggiormente l’interlocutore. Come sostiene Salmon (2008), lo scopo di questa pratica va al di la della volontà di spingere il consumatore all’acquisto del prodotto ma
20
PARTE I - Narrare humanum est.
mira ad “immergerlo in un universo narrativo, coinvolgerlo in una storia credibile.” in quanto, appunto, “non si tratta più di sedurre o convincere, ma di produrre un effetto di credenza.” (p.35) Si può affermare che per prima cosa vengano create le narrazioni e solo in un secondo momento entrino in gioco le attività quotidiane a conferma di queste ultime. Ed è così che “Ogni ‘start-up’ è prima di tutto una potenziale storia futura. Poi arrivano i prodotti e i servizi che dovranno far scendere sulla Terra quella storia. Se una storia non è solida non se ne fa un’impresa.’ (Matrone & Pinardi, 2013, p. 63) Volendo riassumere, attraverso lo storytelling è possibile quindi raggiungere un numero di persone in tempi brevi senza la necessità di grandi investimenti e grazie al suo linguaggio “umano” non solo persuaderle ma anche intrattenerle ed emozionarle, in poche parole creare con loro una vera e propria relazione. Caratteristiche È possibile suddividere le caratteristiche che contraddistinguono una narrazione d’impresa in due categorie a seconda della loro importanza. Tra le principali ci sono: - durata, essa non ha una fine poiché si protrae durante il corso del tempo; - presenza di narratori, possono essere molteplici ufficiali e non ufficiali; - necessità di confronto, con narrazioni simili e/o avverse; - empatia, deve essere in grado di emozionare. Meno importanti sono invece il sistema di segni e le tecniche usate per la rappresentazione, i media impiegati per la diffusione e l’inevitabile transmedialità (fattore che la differenzia dalla semplice comunicazione d’impresa). La narrazione va al di là del semplice racconto di ciò che è accaduto in passato o dei fatti del presente. É lo strumento necessario per la creazione di una mission e una vision aziendale, veicola l’identità dell’impresa che “non può dunque essere
21
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
solo fatti, misura o elenco, ma scelta responsabile, storia, narrazione aperta e sceneggiata, rinnovabile e rifondabile nel seno di una comunità di persone che ci lavora, che la ‘compra’, che la racconta credendoci.” (Matrone & Pinardi, 2013, p. 79)
Storytelling to reputation model
Corporate storytelling
Deeper engagement with staff
FIg x Rielaborazione personale dello schema di Gill, R. (2011). An integrative review of storytelling:
Using2corporate stories to strengthen employee engagement and internal and external reputation. Fig. Rielaborazione personale dello schema di Gill, R. (2011)
22
Internal connection with corporate brand
Improved external reputation via interaction
PARTE I - Narrare humanum est.
Robert Mckee
1.3 I pilastri della Corporate Communication: Corporate identity, Corporate image e Corporate reputation
“I valori della storia sono le qualità universali dell’esperienza umana che, da un momento all’altro, possono passare dal positivo al negativo, oppure dal negativo al positivo.” In questo paragrafo verrano presentati tre elementi alla base della Corporate Communication, ovvero: Corporate Identity, Corporate Image e Corporate Reputation. Si può pensare a questi concetti come riposte alle seguenti domande: 1. Chi sono e quali sono i miei obiettivi? 2. Come mi voglio presentare al pubblico? 3. Quali sono i giudizi dati dagli stakeholder a proposito della mia impresa? Corporate Identity “Ogni luogo di lavoro, scuola, servizio pubblico o gruppo religioso locale è una storytelling organisation. Ogni organizzazione, dalla semplice impresa di forniture per uffici e dal McDonald’s di quartiere fino alle organizzazioni che fanno sognare, come la Disney e la Nike, o alle più scandalose come la Enron o Arthur Andersen, sono delle storytelling organisations. In effetti in esse il racconto è considerato allo stesso tempo come un fattore di innovazione e di cambiamento, un veicolo di apprendistato e uno strumento di comunicazione. Costituisce una risposta alla crisi di senso nelle organizzazioni e un metodo per costruire un’identità di impresa. Struttura e formatta la comunicazione, rivolgendosi ai consumatori come agli azionisti.” (Salmon, 2008, p. 86)
23
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Salmon con queste parole introduce il concetto di identità di impresa o corporate identity. Con questo termine si indica qualcosa che va al di là dei semplici fatti o dei dati matematici in quanto si tratta di una storia costruita attraverso una narrazione, che in quanto tale può essere rinnovata e risulta aperta. Diventa fondamentale per un’impresa costruire una forte identità da comunicare agli stakeholder. Essa deve contenere più informazioni possibili poiché è stato dimostrato che in mancanza di elementi il cliente si affiderà alle sue supposizioni per tentare di colmare le lacune presenti nel racconto. Un’impresa è generalmente costituita da numerosi individui differenti tra loro, ciascuno con la propria personalità e i propri valori motivo per cui non è possibile parlare di un unico racconto, ma di una somma di storie che appartengono a registri narrativi diversi. L’operazione che si deve effettuare è quella di cercare di dare un aspetto coerente alle varie storie in modo da stabilire un’unica identità così forte da diventare riconoscibile sia all’interno dell’organizzazione sia all’ esterno. Essendo l’identità d’impresa uno dei temi fondamentali di questo lavoro di ricerca verrà affrontato in maniera più approfondita in un paragrafo dedicato. Corporate Image L’universo della corporate image viene approfondito e studiato a partire dalla seconda metà degli anni ’50 e da quel momento si sono succedute numerose definizioni del concetto che seppur differenti tra loro concordavano sul fatto che sia il frutto di un’impressione. Essa, infatti, viene intesa come il riflesso visivo di quei valori che definiscono l’identità di un’impresa ed è, per questo motivo che viene pensata e progettata per essere apprezzata e compresa dagli stakeholders. (Cornelissen, 2017) Una forte immagine, unica e distintiva non permette solo di comunicare efficacemente con il pubblico, ma porta dei veri e propri vantaggi anche all’interno dell’organizzazione stessa garantendo coerenza tra le varie attività. È l’immagine che le persone hanno dell’azienda e si basa su fattori che possono considerarsi razionali come economicità, funzionalità e affidabilità ed altri invece che appartengono alla sfera
24
PARTE I - Narrare humanum est.
emotiva come affetto, prestigio ecc.. Racchiude tutte le associazioni mentali da essa evocate. É la somma di sentimenti, idee, credenze, conoscenze e valori riguardanti un’azienda. Dagli studi di Tran, Nguyen, Melewar e Bodow (2015) emerge che le parole chiave associate a questo concetto sono: percezione, consistenza nella comunicazione, personalità, impressione, associazione, reputazione e conoscenza. Questo dimostra l’importanza di offrire al pubblico un’esperienza memorabile che favorisca la nascita di sentimenti positivi. Proprio in merito a quest’ultima affermazione appare evidentemente il collegamento tra il dominio della corporate image e quello della corporate reputation. I ricercatori attraverso i loro studi sono stati in grado di analizzare la validità di queste affermazioni. Essi hanno raccolto una serie di interviste sul tema, in particolare testando il potere della corporate image interrogando i tester su brand fortemente conosciuti come Coca Cola, Mc Donalds e Intel. In merito a quest’ultimo una delle risposte date risulta particolarmente interessante in quanto, la persona intervistata ha ammesso “I’m never going to buy a computer (…) but if I buy a PC, I would buy it (Intel) al contrario sono stati evidenziati casi di corporate image negativa e tra i brand menzionati troviamo, per esempio, Tesco nei confronti dei quali è stato detto “It has a problem with image”. (Tran et al., 2015) In conclusione, è possibile affermare che “defining the nature of corporate image is the first step toward implementing more ethically and socially responsible approaches to corporate marketing efforts.” (Tran et al., 2015) Corporate Reputation Il termine corporate reputation negli ultimi decenni è stato oggetto di numerosi studi, specialmente in ambito di marketing. Si tratta di un tema largamente approfondito e per questo motivo risulta difficile trovare una definizione generale univoca, poiché dipende inoltre dalla prospettiva disciplinare da cui lo si osserva. Tra le tante definizioni proposte ho deciso di riportare quella di Roberto Paolo Nelli (2012) che definisce la corporate reputation come “la sintesi di un vasto insieme di segnali che l’impresa trasmette agli
25
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
stakeholder nel corso del tempo con riferimento al suo agire strategico, implicito ed esplicito”. Egli sostiene che le numerose espressioni formulate nel corso degli anni, seppur diverse, e, a volte, non esaustive presentano 3 caratteristiche in comune: - la dimensione temporale, poiché è necessario un agire prolungato nel tempo da parte dell’azienda - un numero ampio di interlocutori coinvolti, sia interni che esterni - la dimensione dell’esperienza, diretta e indiretta che un soggetto ha con l’impresa e con le informazioni che vengono comunicate. Alla luce di queste considerazioni risulta evidente che, una volta consolidata una reputazione positiva, l’impresa si adopererà affinché questa permanga nel tempo in modo da soddisfare le aspettative degli stakeholder. Diventa perciò sempre più importante analizzare i fattori che contribuiscono alla formazione della reputazione e i canali attraverso i quali gli stakeholder possono ottenere le informazioni necessarie a formulare un giudizio. Tra questi ultimi, in accordo con gli studi condotti a livello nazionale, rivestono un ruolo importante mass media e social media. Va sottolineato, come l’importanza di una buona reputazione non abbia solo ripercussioni dirette nelle vendite, ma al tempo stesso incida sul mercato del lavoro in quanto un buon ambiente lavorativo appare interessante agli occhi delle persone alla ricerca di un’occupazione. Infine, l’ultimo ambito influenzato da una buona o cattiva reputazione è il mercato finanziario in quanto diventerà più semplice per l’azienda che gode di buona credibilità richiedere un prestito qualora ne abbia bisogno. (Balmer & Greyser, 2006) Secondo uno studio condotto tra Dicembre 2019 e Gennaio 2020 dalla RepTrak Company™ le 10 compagnie con la miglior reputazione nel mondo sono (il sondaggio è stato condotto tenendo conto di 80.540 risposte da parte di individui del settore, raccolte tra: Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Italia, Giappone, Messico, Russia, Corea del Sud, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti):
26
PARTE I - Narrare humanum est.
The LEGO Group, Denmark The Walt Disney Company, U.S. Rolex, Switzerland Ferrari, Italy Microsoft, U.S. Levi Strauss & Co., U.S. Netflix, U.S. Adidas Group, Germany The Bosch Group, Germany Intel, U.S. Lo studio interrogava un gruppo di individui sulla loro percezione della compagnia, inclusi prodotti, amministrazione, leadership ma anche riguardo a temi come innovazione e impegno all’interno della società. Proprio grazie a questi due valori LEGO e Disney hanno guadagnato le prime posizioni, come traspare dalle parole di Isadora Levy, direttrice del Reputation Institute of Marketing Insights “They’re doing the best in matters of innovation and being able to adapt year over year (and) expand their product offerings.” (Handley, 2020)
Corporate Identity, Corporate Branding and Corporate Reputations: Reconciliation and Integration Corporate reputation: A stakeholder’s overail evaluation of an organisation over time
Corporate identity: Organization’s strategic choices and its expression
Strategic choices Mission, vision, Strategic Intent, Values, Culture, Strategy formulation, Strategy Implementation
Corporate Expression Brand Personality Brand Communication Visual identity Brand Promise
Brand Image Brand Experience Brand Relationships Brand Communities
Reputation Dimensions Performance, Products and services, Citizenship, Governance, Innovation, Workplace
Corporate Brand: Expression and image of an organisation’s identity
Fig. 3 Rielaborazione personale dello schema di Mingione, M. (2018)
FIg x Rielaborazione personale dello schema di Mingione, M. (2018)
27
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
“Le tradizioni si modificano ma è fondamentale continuare a conservarle, in qualche modo, perché in un’epoca come la nostra, che è un’epoca di mutamenti, l’unico modo per non avere paura di tutto ciò che sta avvenendo, è sapere chi sei, senza bisogno di dirlo, di proclamarlo. Ma se sai chi sei, con le tue tradizioni, non perderai mai la tua identità.” Spesso accade che il termine “immagine” venga usato erroneamente volendo intendere con esso un altro concetto ossia quello di identità. Come detto in precedenza, infatti, il primo fa riferimento all’aspetto dell’impresa e alla sua percezione da parte del pubblico, mentre l’identità è ciò che rende quell’impresa differente definendone i tratti principali. All’interno di un’impresa costruire un’identità univoca è un’operazione complessa poiché è necessario confrontarsi con uomini provenienti da contesti, background culturali e interessi diversi. Ciò che risulta assolutamente necessario è la volontà di creare un dialogo fra i protagonisti coinvolti, ad esempio è fondamentale porsi in ascolto dei dipendenti in quanto primi rappresentati dell’azienda e nei confronti dei quali essa ha una responsabilità sociale. Paragonando l’azienda ad un individuo è possibile affermare che, esattamente come quest’ultimo, essa cresce, si modifica, sperimenta ed è costantemente alla ricerca di se stessa. Questa volontà di scoprirsi per poi, eventualmente, migliorarsi rappresenta uno dei fattori chiave per il successo.
28
Andrea Camilleri
1.4 Focus sulla Corporate identity
PARTE I - Narrare humanum est.
1.4.1 Gli studi sul tema Il concetto di identità d’impresa nasce a partire dagli anni ’70, e da quel momento sono state date numerose definizioni. Non avendo la pretesa di mappare l’intero fenomeno ho deciso di focalizzarmi in particolare su tre scuole di pensiero, che hanno affrontato la questione da tre diversi punti di vista. (Berardi, 2017) Grafic Design Paradigm - esso risale agli anni ’70 e si fonda sul principio per il quale l’identità aziendale è considerata sinonimo del simbolo o dell’icona della marca e viene riassunta in una frase o dichiarazione che sintetizza missione, scopo e posizionamento dell’organizzazione. In questo caso veniva circoscritto il concetto alla sola identità visiva. E quindi in riferimento a quegli elementi “estetici” come nome, logo, packaging, palette colori. The Integrated Communication Paradigm - si sviluppa intorno agli anni ’80 e propone un ampliamento della definizione anteriore intendendo con identità, l’elemento che si occupa dell’impresa nella sua totalità. Gli studi precedenti ad opera di grafici ed esperti di marketing hanno portato una serie di autori (Bernstein, 1986; Schultz, Tannenbaum e Lauterborn, 1994) a sostenere che le comunicazioni aziendali proprio per la loro ampiezza, complessità ed importanza devono necessariamente essere coerenti tra i due ambiti. Interdisciplinary Paradigm - come suggerisce il nome si tratta di un approccio interdisciplinare; Balmer e Van riel (1997) ritengono che a partire da Olins (1978) e in seguito da Birkight e Stadler (1980) gli studi attorno al tema dell’identità aziendale si siano gradualmente ampliati. Secondo gli autori si è giunti alla conclusione che con il termine identità si indica il modo in cui viene rivelato l’operato di un’organizzazione inteso come l’insieme delle decisioni, dei comportamenti e dei messaggi che permettono di comunicare internamente e di rivolgersi ad un audience esterna che possa comprenderli. Per utilizzare le parole di Van Riel (2006): “Corporate identity is the self-presentation of an organisation; it consiste in the cues which an organization offers about itself via the behavior, communication, and symbolism which are form of expression”.
29
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Indipendentemente dalle numerose distinzioni è possibile affermare che ogni organizzazione deve possedere una sua identità, che comprende l’ethos aziendale, gli obiettivi che si vogliono raggiungere e i valori che la contraddistinguono. Se ben strutturata, diventa un potente mezzo per il successo di un’organizzazione: permette di differenziarsi all’interno del proprio ambiente competitivo, garantisce che tutte le comunicazioni aziendali siano coerenti tra loro e in linea con l’etica e il carattere che definiscono l’impresa. In senso ampio può attrarre e fidelizzare dei clienti, ottenere supporto da un punto di vista finanziario e generare una direzione e scopo da raggiungere ben precisi. (Corporate Identity Group’s (ICIG), 1995)
CYCLICAL
Define Core Mission and Philosophy Established by Founder or Management Board
Nurture Nurture those internal and external ideologies which underpin the core CI (and where appropriate change core mission and philosophy)
CYCLICAL
Show sensitivity Be sensitive to multiple ideologies present in organisation
Evaluate Evaluate individual ideologies based on the benefits of individual ideologies vis a vis core philosophy
Fig. 4 Rielaborazione personale dello schema diBalmer, J.M.T x Rielaborazione (1996)FIg Basic steps in personale dello schema diBalmer, J.M.T (1996) Basic steps in managing the corporate personality managing the corporate personality
30
CYCLICAL
CYCLICAL
PARTE I - Narrare humanum est.
Tonino Cantelmi
1.5 Un racconto moderno: il brand storytelling nell’era digitale “La rivoluzione digitale è tale perché la tecnologia è divenuta un ambiente da abitare, una estensione della mente umana, un mondo che si intreccia con il mondo reale e che determina vere e proprie ristrutturazioni cognitive, emotive e sociali dell’esperienza, capace di rideterminare la costruzione dell’identità e delle relazioni, nonché il vissuto dell’esperire.” Viviamo in un’epoca in continua evoluzione, che viene definita dagli scienziati di “postmodernità”, caratterizzata da crisi economiche e sociali, evoluzioni continue in ambito tecnologico e cambiamenti radicali nelle modalità di consumo. Il consumatore infatti sta diventando sempre più critico e cresce in lui l’interesse verso la responsabilità nei confronti di se stesso e della società, verso gli aspetti emotivi della vita. Diretta conseguenza di questa nuova visione è il cambiamento del ruolo dell’impresa, che si allontana da quello di ente strettamente legato all’ambito economico per avvicinarsi sempre più a contesti sociali e di comunità. In questo nuovo contesto la conoscenza diventa il fattore di produzione più importante e si diffondono nuove forme di socialità mediata dalle tecnologia. Il consumatore pretende di instaurare con l’impresa una relazione poiché diventa egli stesso partner, committente e co-produttore. Secondo il sociologo Giampaolo Fabris “I mercati sono ormai divenuti ‘luoghi di conversazione’, sostenuti spesso dalle nuove tecnologie”. Una comunicazione ‘a due vie’, quindi, certo complessa, che deve essere ben ‘orchestrata’.” (Nutrito, n.d) Se la tecnologia è il mezzo che ha permesso il cambiamento allora il nuovo consumatore, diventa“consumAttore o consumAutore” poiché entra in contatto con chi produce diventando parte integrante del processo e instaurando nuovi dialoghi con le organizzazioni.
31
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Egli perde l’aspetto di passività che lo caratterizzava in passato e crea una serie di legami che vanno oltre le precedenti dinamiche del consumo, instaurando vere e proprie relazioni emotive. Jean-Jacques Lambin (2016) nel suo libro “Market-driven management” ha riassunto le principali caratteristiche di questo nuovo consumatore: - Senso di potenza: data dalla vasta possibilità di scelta all’interno dei mercati; - Grande conoscenza: acquisita attraverso il web; - Relazione soddisfazione-fedeltà: il consumatore è sempre più difficilmente fedele ad una e una sola marca; - Nuove aspettative: dato che si va oltre il soddisfacimento dei bisogni di consumo primari; - Bisogno di essere ascoltato: espresso dalla crescente creazione di “luoghi” come le community dove poter esprimere le proprie lamentele; - Bisogno di consumo etico: un consumo più attento e rispettoso degli altri e dell’ambiente; Si assiste a quello che può essere definito un ritorno alle emozioni che si rispecchia nel nuovo concetto di prosumer. Questa espressione coniata da Alvin Toffler nel libro “The third wave” (1980): è l’unione dei termini producer e consumer e indica il protagonismo dei consumatori nella creazione di prodotti e servizi. Caduto quasi in desuetudine, il prosumer è tornato in attualità nell’era digitale e particolarmente dopo il 2001, quando dopo l’attentato dell’11 settembre Internet ha insistentemente cercato la collaborazione del cliente consumatore. (Enciclopedia Treccani, 2008) Sebbene queste affermazioni riportino i vantaggi, legati alle nuove competenze, che il consumatore ha acquisito, è altrettanto importante sottolineare che questa nuova relazione, se coltivata con strategie e mezzi adeguati risulti di notevole importanza anche per l’impresa.
32
PARTE I - Narrare humanum est.
1.5.1 Digital storytelling La maggior parte delle imprese sul mercato, ad oggi ha raggiunto la consapevolezza che Internet non è più una scelta ma una necessità e va considerata una priorità. Grazie a Internet è stato possibile acquisire un nuovo canale d’informazione e di vendita, ottenendo al tempo stesso maggiori e più ricche informazioni sui mercati, sui concorrenti, sulle nuove opportunità e sui clienti. Questi ultimi sono diventati più facilmente raggiungibili indipendentemente dalla loro posizione geografica, e al tempo stesso c’è stata una diminuzione dei tempi necessari per la comunicazione ma si è amplificata la risonanza del messaggio. Per comunicazione digitale si intende “un complesso di metodi e attività di progettazione, produzione, riproduzione, trasmissione, ricezione, elaborazione ed archiviazione di contenuti, alla cui base vi è l’utilizzo di infrastrutture e applicazioni tecnologiche di tipo digitale.” (Pastore & Vernuccio, 2008, p. 474). Ciò significa che lo stesso messaggio può essere espresso attraverso una molteplicità di codici, che verranno scelti in base agli obiettivi della comunicazione e dalla piattaforma che si andrà ad utilizzare. Per quanto riguarda la comunicazione digitale applicata al mondo aziendale, si può affermare che abbia un valore potenziale più alto rispetto a quella tradizionale. Questo valore può essere espresso in base a tre variabili: - Reach: rappresenta l’ampiezza del target di riferimento, ossia il numero delle relazioni con i potenziali consumatori; - Richness: rappresenta la profondità o ricchezza del messaggio comunicato; - Intensità relazionale: rappresenta, da un punto di vista quantitativo la durata dei legami tra l’impresa e il target e dal punto di vista qualitativo, il coinvolgimento razionale ed emotivo nelle relazioni tra impresa e target. (Pastore & Vernuccio, 2008, p. 476). Con Internet e le sue tecnologie, è possibile creare strategie e prodotti di storytelling con costi più contenuti, più facilmente realizzabili, adattabili e distribuibili.
33
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Il Digital Storytelling, mantenendo la sua struttura fondante basata sullo schema narrativo, utilizzando media ipertestuali e multicanali acquisisce nuove forme. Il racconto quindi può essere suddiviso su varie piattaforme e veicolato attraverso diversi strumenti, ma non è più di dominio di un singolo autore ma al contrario si genera attraverso le “voci” del pubblico, a tal proposito basti pensare agli User Generated Content (UGC), ovvero l’insieme dei contenuti, come ad esempio: post nei blog, contributi a wiki, discussioni nei forum, post nei reti sociali e tweet, podcast e altri tipi di file audio, immagini e video digitali, creati dagli utenti e pubblicati su Internet, spesso resi fruibili tramite le piattaforme di social networking (“Contenuto generato dagli utenti”, n.d) Attraverso una metafora Jennifer Aaker e Andy Smith (2011) hanno creato un modello che identifica i 4 elementi fondamentali per applicare efficacemente le strategie di storytelling per il mondo digitale. Questo schema è stato denominato “Effetto Libellula” proprio perché riporta un parametro per ciascuna delle 4 ali dell’insetto: 1 - definisci i tuoi obiettivi 2 - cattura l’attenzione 3 - crea il coinvolgimento 4 - agisci Fig. 5 Rielaborazione personale dello schema dell’Effetto Libellula di Aaker e Smith
Wing 4: Take action Empower others, enable them and cultivate a movement
Wing 1: Focus H.A.T.C.H a goal that will make a impact
EASY, FUN, TAILORED, OPEN
HUMANISTIC, ACTIONABLE, TESTABLE, CLARITY, HAPPINESS
The Dragonfly Effect: quick, effective and powerful ways to use social media
34
Wing 3: Engage Make people connect with your goal
Wing 2: Grab attention Stick out in an overcrowded, overmessaged, noisy world
TELL A STORY, EMPATHIZE, BE AUTHENTIC, MATCH THE MEDIA
PERSONAL, UNEXPECTED, VISUAL, VISCERAL
FIg x Rielaborazione personale dello schema di Aaker, J. & Smith, A. (2010)
PARTE I - Narrare humanum est.
Lo Storytelling può aiutare le aziende a costruire un racconto che possa attirare efficacemente l’attenzione dei potenziali consumatori in modo da coinvolgerli emotivamente, affinché provino empatia ed entrino in connessione con l’azienda o il brand. Queste quattro azioni devono essere tutte presenti poiché solo così si riveleranno efficaci. Nel capitolo “Focus sulla corporate identity” è stato dimostrato come sia necessario stabilire un’identità facilmente riconoscibile e coerente in tutti i suoi aspetti, per questo motivo vista la frammentarietà dovuta ai diversi media digitali a disposizione è necessario compiere uno sforzo affinché la comunicazione offline e quella online siano coerenti e integrate tra loro in modo da non generare messaggi contraddittori che confondano il pubblico. Un esempio di come i media tradizionali e quelli digitali possano non solo essere coerenti ma venire integrati fra loro è una campagna del 2015 realizzata dalla BBH Asia Pacific per il lancio del catalogo Ikea. Il catalogo Ikea è un must quando si tratta di storytelling, con le sue immagini non mostra semplici pezzi di arredamento ma racconta vere e proprie storie familiari. È stato definito come uno degli libri più letti dopo la Bibbia, e attraverso il suo universo narrativo permette al lettore di diventare il vero protagonista della storia. Il suo lancio, avvenuto in corrispondenza dell’uscita dell’Iphone 6, è stato effettuato attraverso un video intitolato “Experience the power of a bookbook” che presentava il catalogo in perfetto stile Apple. Le sue caratteristiche di prodotto cartaceo raccontate dal designer Jorgen Eghammer sono descritte come se si trattasse di un prodotto tecnologico. Il video diventato virale per la sua ironia ha prodotto un aumento delle vendite a Singapore e in Malesia, riunendo in un’unica strategia di comunicazione l’offline e l’online.
Fig. 6 Frame dallo spot Ikea Experience the power of a bookbook
35
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
“In the age of infobesity, there are several ways to stand out from the noise and draw attention to your content in an organic way. And visual storytelling is one of them. Visual storytelling isn’t just a shiny new phenomenon. It’s here to stay, and it will continue to evolve as new social media platforms enter into the mix. As this happens, leveraging photos, videos, infographics, presentations, and more will only increase in importance. ” Nel libro “The Power of Visual Storytelling: How to Use Visuals, Videos, and Social Media to Market Your Brand”, le autrici Ekaterina Walter e Jessica Gioglio sostengono che, ad oggi lo storytelling visivo sta rapidamente diventando il modo migliore per commercializzare qualsiasi cosa. Questo poiché in generale le immagini hanno il potere di rimanere più impresse nella nostra mente rispetto alle parole. Da un punto di vista fisiologico è più semplice e veloce per gli esseri umani processare un’immagine piuttosto che un testo scritto che implica una rielaborazione. Inoltre le immagini, spesso, sono in grado di comunicare alcuni aspetti della nostra personalità, come sentimenti ed emozioni in maniera più efficace e sono più facilmente evocative, coinvolgenti ed emozionanti. Alla base del Visual storytelling, infatti c’è proprio la volontà di creare un’esperienza immersiva: l’utilizzo delle immagini per accompagnare un testo è in grado di catturare l’attenzione di chi guarda, rafforzare il messaggio e prolungare il ricordo. Attraverso queste tre immagini appartenenti ad una campagna realizzata da Coca Cola, è immediatamente percepibile l’universo che coinvolge i nostri sensi all’apertura di una bottiglia o lattina del noto brand. É come se l’immagine fosse accompagnata da suoni e odori, messaggio sottolineato anche dal testo di accompagnamento “try not to hear this”. Sarebbe stato diverso se il racconto fosse stato soltanto scritto. Uno degli ambiti che maggiormente prevede l’utilizzo di uno storytelling visivo è sicuramente quello dei Social Media. Secondo Kaplan & Haenlein (2012) con social media s’intende “a group of Internet-based applications that build on the ideological and technological founda-
36
Walter e Gioglio
1.5.2 Visual storytelling e social media
PARTE I - Narrare humanum est.
tions of Web 2.0 and that allow the creation and exchange of user-generated content”. Questo termine viene utilizzato per indicare tutte le forme di partecipazione, scambio e dialogo che avvengono in rete, come: blog, microblog, siti di Social Network, mondi virtuali, progetti collaborativi, siti di Content Community e forum. I Social Media permettono alle organizzazioni di comunicare direttamente con i clienti in quanto piattaforme per la conversazione e permettono di costruire con loro solide relazioni, che possono trasformarsi in fedeltà. Non è sufficiente la sola presenza, ma occorre strutturare una vera e propria narrazione cercando, per quanto possibile di coinvolgere il pubblico e dare il via ad un co-racconto aziendale.
Fig. 7-9 Immagini di una campagna Coca Cola che evocano nell’osservatore sensazioni legate a odori e suoni
37
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
1.5.3 Crossmedia e transmedia storytelling Dal momento che le audience si muovono liberamente tra le varie piattaforme non è possibile oggi giorno evitare la multicanalità e multimedialità. Con il termine multimediale si vuole intendere un testo composto da diversi linguaggi (testo, audio, video, immagini) e per multicanale, invece, si fa riferimento alla modalità di trasmissione e fruizione di un contenuto che può essere appunto declinato e distribuito su differenti canali. (Ciancia, 2017, p. 65) A quest’ultimo concetto appartengono le espressioni crossmedia e transmedia. Crossmedia Nel suo libro “Transmedia. Storytelling e comunicazione” Giovagnoli (2013, p. 17) scrive a proposito dell’espressione che “In ambito internazionale, si utilizza oggi il termine crossmedia per forme narrative che coinvolgono diversi media ma restano identiche nelle loro declinazioni sulle diverse piattaforme”. I contenuti crossmediali vengono distribuiti e resi accessibili attraverso dispositivi diversi tra cui, ad esempio, PC, smartphone e TV. La crossmedialità rappresenta un’opportunità, soprattutto per l’industria dell’intrattenimento e per le imprese, di ottimizzare gli investimenti in un momento storico in cui le abitudini delle persone circa l’utilizzo dei media sono in continua trasformazione giorno dopo giorno. (Ciancia, 2017, p. 68) Transmedia “Transmedia storytelling represents a process where integral elements of a fiction get dispersed systematically across multiple delivery channels for the purpose of creating a unified and coordinated entertainment experience. Ideally, each medium makes it own unique contribution to the unfolding of the story.”( Jenkins, 2007). Henry Jenkins (2006) nel suo libro “Convergence Culture: Where Old and New Media Collide”, definisce il transmedia storytelling come “un processo in cui elementi integranti di una narrazione si diramano – vengono separati e diffusi – sistematicamente attraverso molteplici canali, con l’obiettivo di creare un’esperienza di intrattenimento unificata e coordinata. Idealmente, ogni medium fornisce un contributo unico allo sviluppo della
38
PARTE I - Narrare humanum est.
storia e il pubblico si trova immerso in un universo narrativo che presenta molteplici punti di accesso.” Con queste parole risulta evidente che una narrazione transmediale sia in grado di offrire un’esperienza più ricca rispetto alla semplice fruizione attraverso un singolo medium. All’interno della storia il consumatore gioca un ruolo attivo essendo lui stesso creatore di contenuti. Sebbene questa pratica sia nata nel mondo dell’entertainment (mondo del cinema, serie tv ecc..) il suo enorme potenziale ha fatto si che venisse adottata come strategia anche dalle imprese. In particolare perché risulta un ottimo strumento per creare engagement, in quanto permette di raccontare la propria storia aziendale, in modo che ogni ascoltatore si senta coinvolto ed entusiasta all’idea di poterne fare parte. Una narrazione di tipo transmediale è fonte di maggior interesse rispetto, ad esempio, alla normale pubblicità che ha una durata piuttosto limitata nel tempo. Tuttavia per intraprendere questa strada occorre progettare in maniera dettagliata gli elementi del racconto anche e soprattutto in relazione ai media impiegati. “In un mondo in cui gli utenti si stanno coinvolgendo con i loro contenuti attraverso molteplici dispositivi, sembra che un framework come il transmedia storytelling potrebbe essere la soluzione migliore per organizzare quei contenuti in una storia coesiva che si appella a questa nuova generazione di consumatori” (Thibeault, 2013) In sintesi, un progetto crossmediale può essere considerato “un adattamento dei contenuti in base ai canali scelti per la divulgazione, un sistema transmediale contribuisce aggiungendo nuovi elementi alla narrazione totale.” (Ciancia, 2017, p. 75)
39
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
elling principles and advantages Fig. 10 Rielaborazione personale delle Tabelle I e II di Jonh Cronin (2016) che riassume principi e vantaggi delle narrazioni transmediali
Transmedia storytelling: principles and advantages
Principles Immersion, Interactivity, Integration, Impact, Continuity of characters, Self-contained levels
Focus On telling organizations’ brand story more than on simply issuing an unrelated stream of content
Advantages Focus, Stickiness, Market growth, Brand advocates, Lower cost
Stickiness Organization can retain the attention of the target market more than with other marketing communication strategies
Brand advocates Some target audience members will become advocates of the brand because of the emotional emphasis of storytelling
belle I e II di Jonh Cronin (2016) Teach y with transmedia storytelling.
40
Market growth Transmedia stories can grow the target market by capturing people who, until they came across the story, had no interest in the brand
Lower cost The story can be conceptualized and placed into the media at less than the cost of creating new content continuously
PARTE I - Narrare humanum est.
Luigi Pirandello
1.6 Brand personality “Non mi conoscevo affatto, non avevo per me alcuna realtà mia propria, ero in uno stato come di illusione continua, quasi fluido, malleabile; mi conoscevano gli altri, ciascuno a suo modo, secondo la realtà che m’avevano data; cioé vedevano in me ciascuno un Moscarda che non ero io non essendo io propriamente nessuno per me: tanti Moscarda quanti essi erano.” Per decadi i ricercatori hanno sostenuto l’importanza della “brand personality” come fattore determinante nella differenziazione tra le marche, poiché permette di svilupparne gli aspetti emotivi e fa sì che acquisisca un significato nella vita del consumatore. Per la ricercatrice Jennifer Aaker (1997) essa è definita come “the set of human characteristics associated with a brand.” Questa è solo una delle numerose definizioni che ruotano attorno a questa espressione, poiché essa prende in prestito il termine “personalità” dall’ambito psicologico per inserirsi in una disciplina come il marketing. Non è mia pretesa addentrarmi in queste diatribe poiché al momento non interessanti al fine della ricerca, ma è sicuramente mia volontà cercare di capire che cosa comporta la definizione di una personalità per una marca. Come è stato più volte sottolineato all’interno della ricerca, oggi una delle difficoltà maggiori per un’impresa è quella di emergere dalla massa per poter attirare il consumatore. A questo scopo è già stato sottolineato l’importanza del racconto come mezzo per raggiungere l’obiettivo e in particolare della costruzione di un identità e della sua narrazione. A questo proposito è interessante vedere come Marlboro risulti la sigaretta più venduta al mondo nonostante i blind test abbiano dimostrato che i fumatori non riconoscano la marca soltanto dal sapore. “Per quale motivo i consumatori di tutto il mondo sceglierebbero Marlboro se non per la sua inconfondibile identità?” (Bassani & Sbalchiero, 2007, p. 6)
41
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Vodka, BMW, Mercedes sono solo altri nomi di marche che potremmo affermare essere dotate di una forte personalità, infatti esse non sono un semplice prodotto ma un modo di vivere. Questo approccio permette la creazione di un rapporto speciale con il consumatore basato sulla fiducia che va oltre le mere dinamiche di acquisto. Siamo portati, infatti, a scegliere una determinata marca perché ci sentiamo più affini al personaggio che rappresenta, ci rispecchiamo nei valori che trasmette. Per questo motivo l’impresa ancor prima di pensare al prodotto e/o servizio che vuole offrire dovrebbe chiedersi che tipo di personalità vuole assumere per attirare l’attenzione su di sé affinché sia possibile creare un dialogo con il pubblico. La scelta della personalità influenzerà in un secondo momento tutta una serie di elementi visivi e non, quali il tono della comunicazione, le immagini, i colori ecc.. che dovranno risultare coerenti tra loro e soprattutto rispecchiare quei tratti distintivi delineati dal tipo di personaggio scelto. (Bassani & Sbalchiero, 2007) Alla luce di queste affermazioni si può quindi parlare di quella che il famoso pubblicitario francese, Jaques Séguéla, agli inizi degli anni Ottanta, ha definito “marca-persona”, volendo intendere il brand come un organismo vivente, caratterizzato da tre elementi: il fisico, il carattere e lo stile. (Pastore & Vernuccio, 2008) Se lo scopo non è più quello di vendere un prodotto ma dei veri e propri modelli di comportamento, risulta fondamentale individuare quali siano i tratti distintivi dell’impresa, e potrebbe per questo motivo risultare d’aiuto avere dei modelli di riferimento che possano guidare questo complicato processo decisionale. A tal proposito nella seconda parte di questo elaborato si approfondirà il tema degli archetipi, che in quanto antiche forme di personalità con tratti universalmente riconosciuti e condivisi, fungono da possibile guida nel processo di definizione dell’identità. Poiché come sostiene Vogler “Sono parte del linguaggio universale dello storytelling e la padronanza della loro energia è essenziale per lo scrittore quanto il respiro”. (Fontana, Sassoon & Soranzo, 2015)
42
PARTE I - Narrare humanum est.
Concludere per continuare Il primo capitolo si focalizza inizialmente sull’arte della narrazione, affermando che in quanto atto proprio dell’essere umano è stato uno strumento utilizzato fin dagli albori della civiltà per diversi scopi. Attraverso l’utilizzo di tecniche narrative, infatti, è stato possibile creare legami, divulgare conoscenze ma anche intrattenersi. In una società come la nostra caratterizzata da un sovraccarico di stimoli e informazioni la narrazione viene in soccorso alle imprese che tentano di emergere in un mercato sovraffollato. I prodotti si assomigliano sempre di più e non è più sufficiente comunicarne le caratteristiche, occorre esprimere la propria unicità affinché essi risultino attraenti nei confronti di pubblico sempre più consapevole e partecipe al processo di ideazione. A questo proposito diventa quindi necessario creare una propria identità in grado di riassumere quei valori che rendono unica l’impresa, ne definiscono gli obiettivi prossimi e a lungo termine. Una marca dotata di personalità è in grado di dialogare con il cliente, creare affinità, far sì che egli possa affezionarsi alla sua storia ed esserne sedotto. Un’identità forte è in grado di parlare ai collaboratori interni, facendo sì che essi si rispecchino in lei, e al tempo stesso è in grado di relazionarsi con figure esterne come investitori e azionisti. Ma com’è possibile far sì che ciò che si sta raccontando sia universale e quindi facilmente accessibile ad un pubblico sempre più disomogeneo? Una delle soluzioni è quella di ricorrere a quei modelli comportamentali, in grado di superare le differenze culturali, che lo psicologo Carl Jung ha definito “Archetipi.” A partire da questa considerazione è stato sviluppato il prossimo capitolo, che si focalizza sull’analisi di queste immagini primordiali e su come esse siano facilmente riconoscibili nelle personalità dei più famosi brand e non solo.
43
44
PARTE II -
Gli archetipi: figure universali
45
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
46
PARTE II - Gli archetipi: figure universali
Jon Howard
2.1 Brevi cenni sugli archetipi
“An archetype is a universally familiar character or situation that transcends time, place, culture, gender and age. It represents an eternal truth.” Gli archetipi esistono da quando gli uomini hanno iniziato a raccontare storie. La parola archetipo deriva dal greco antico ed è composta dai termini archè (inizio,principio originario) e typos (modello, marchio, esemplare) (“Archetipo”, n.d.) Per lo psichiatra Carl Gustav Jung, che ha utilizzato per primo il termine: “L’archetipo è come un vaso che non si può svuotare né riempire mai completamente. In sé, esiste solo in potenza, e quando prende forma in una determinata materia, non è più lo stesso di prima. Esso persiste attraverso i millenni ed esige tuttavia sempre nuove interpretazioni. Gli archetipi sono elementi incrollabili dell’inconscio, ma cambiano forma continuamente.”(Jung,1934/1969, p.172) Secondo le sue teorie quindi ciascuno di noi possiede da sempre una coscienza innata e gli archetipi costituiscono le forme primarie delle esperienze vissute dall’umanità nello sviluppo di quest’ultima. Proprio perché legate ai nostri bisogni primordiali sono figure condivise da tutta l’umanità, a prescindere da luoghi e tempi. James Hillman, psicologo e analista li definisce così: “I modelli più profondi del funzionamento psichico, come le radici dell’anima che governano le prospettive attraverso cui vediamo noi stessi e il mondo. Essi sono le immagini assiomatiche a cui ritornano continuamente la vita psichica e le teorie che formuliamo su di essa.” (2015, p.6) Quindi gli archetipi non sono semplici immagini impresse nella nostra mente ma bensì rappresentano le strutture che originano i nostri comportamenti e influenzano le nostre scelte.
47
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Proprio per la loro caratteristica di universalità e la loro potenza simbolica, gli studi di Jung relativi all’inconscio collettivo e agli archetipi hanno avuto ripercussioni in varie discipline, anche distanti dalla psicanalisi, come testimonia, ad esempio, l’opera del 1949 di Joseph Campbell “The Hero With a Thousand Faces” nella quale il saggista confronta i principi junghiani con i miti e le varie culture del mondo. I suoi studi sono stati poi ripresi da Vogler che ha reinterpretato queste figure primordiali in funzioni narrative affermando che si tratta di elementi imprescindibili per la creazione di qualsiasi storia. Tuttavia l’applicazione maggiormente interessante all’interno di questa ricerca è quella che verrà approfondita nel prossimo paragrafo e che vede queste figure come un ponte in grado di collegare un brand e i consumatori, creando un vero e proprio legame profondo. Brand as stereotype and archetype
Brands rooted in Brands rooted in culture-specific universal and eternal norms are simplistic truths are rich and and undifferentiated distinctive
STEREOTYPE
ARCHETYPE
Fig. 11 Rielaborazione personale dello schema di Gill, R. (2011)
FIg x Rielaborazione personale dello schema di Gill, R. (2011). An integrative review of storytelling: Using corporate stories to strengthen employee engagement and internal and external reputation.
48
PARTE II - Gli archetipi: figure universali
2.2 Archetypal branding
Prima di addentrarmi in quello che viene definito “Archetypal branding” ritengo utile precisare brevemente cosa si vuole intendere in queste pagine con il termine “brand”, ovvero qualcosa che non è semplicemente racchiuso nel nome di un prodotto o di una compagnia, ma al contrario un’entità complessa che si fonda sull’impegno che l’organizzazione ha verso i suoi clienti. “Il concetto di brand si colloca in uno spazio che si muove tra identità e identificazione, che mira a definire ogni oggetto, ogni azienda, come unico, diverso e preferibile a tutti gli altri. Sia che parliamo di un’azienda, di un prodotto o di un ente, si rende sempre necessario un progetto di creazione e sviluppo dell’identità sia per quanto concerne gli aspetti intangibili che quelli più formali percepibili dal proprio pubblico di riferimento” (Cerri, 2018, p. 17) “Di fatto il branding è il processo utilizzato per creare consapevolezza e consolidare la fedeltà del cliente: la concorrenza crea scelte infinite e le aziende cercano modi per connettersi emotivamente con i clienti, diventare insostituibili e creare relazioni durature. Un marchio forte spicca in un mercato densamente affollato. Le persone si innamorano dei marchi, credono in loro, credono nella loro superiorità e il modo in cui viene percepita una marca influisce sul suo successo, a prescindere che si tratti di una start-up, di una no-profit o di un prodotto.” (Cerri, 2018, p. 26) Per questo motivo l’identità di un brand è il frutto di una serie di risorse e competenze diverse, che portano alla definizione del suo valore. In poche parole “brand is the difference between a bottle of soda and a bottle of Coke, the intangible yet visceral impact of a person’s subjective experience with the product – the personal memories and cultural associations that orbit around it” (N Hawley: ‘Brand Defined’. Business 2.0, June 2000.)
49
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
All’interno di questo complesso processo che è la costruzione di un’identità occorre prestare attenzione ad uno degli elementi che la costituiscono, ovvero la brand personality, che è quel fattore di differenza che rende un brand facilmente riconoscibile e memorizzabile. In questa fase che potremmo definire di “scoperta e ricerca di se stessi” gli archetipi assumono un ruolo chiave, in quanto rappresentanti dei più frequenti comportamenti umani. Come già detto gli archetipi costituiscono la struttura profonda dell’inconscio collettivo, sono strettamente collegati alle nostre emozioni,e racchiudono quei valori comuni a tutti gli individui indipendentemente dalla società in cui vivono. Un archetipo se paragonato ad uno stereotipo, che tende ad essere rigido, semplicistico e con un’unica dimensione rappresenta una verità molto più profonda ed eterna. (Fig. 10) Per questo motivo la possibilità di parlare attraverso gli archetipi è per il brand un’opportunità incredibile poiché con questo tipo di comunicazione risulta più facile essere compresi, apprezzati e differenziarsi rispetto ai concorrenti. Per il consumatore,inoltre,sarà più semplice identificarsi con la marca e con lo spirito delle persone coinvolte e instaurare un dialogo con esse. Quindi i “Brand Archetypes” aiutano a definire non soltanto cos’è un brand ma chi è, qual è il suo ruolo e come si relaziona al pubblico. Dopo aver identificato il proprio archetipo guida risulta più facile analizzare le caratteristiche che lo legano al proprio servizio o prodotto, riconoscerne i tratti distintivi e successivamente trasmetterli al pubblico in modo che rimangano impressi nella sua mente. Questa operazione, da un punto di vista pratico, permette di identificare e sviluppare in maniera più rapida un proprio linguaggio intuitivo e originale, in grado di descrivere accuratamente l’essenza del brand. In questo modo ciò che si otterrà è una connessione emotiva e psicologicamente convincente con l’audience. (Siraj & Shyama,2011) In poche parole: “Not only does brand archetyping give you a more meaningful, distinctive and emotionally potent definition of your brand, it does so in a way that few people are yet exploiting. And, as we all know, being inno-
50
PARTE II - Gli archetipi: figure universali
vative and different in marketing is one of the best ways to guarantee business success.” (Spink,2003, p.17) Se si pensa ad alcuni dei più grandi marchi presenti sul mercato, risulta evidente che tra i vari motivi del loro successo, sta il fatto che i clienti non decidono soltanto di acquistare un determinato prodotto piuttosto che quello di un concorrente ma riescono a rispecchiarsi nella filosofia e nei valori. Infatti, come afferma Spink (2003): “Nike isn’t just selling shoes; it is selling life meaning that no one else can offer. Similarly, Harley-Davidson doesn’t just sell motorbikes, but the story of you as a Hell’s Angel on the wide, open roads of America… even if you live somewhere completely different.” (p. 16) Nike e Harley Davidson sono soltanto due degli infiniti esempi di come l’utilizzo degli archetipi sia largamente impiegato e permetta di lasciare un segno che permane nel tempo indipendentemente dall’evolversi della società. In loro è possibile identificare un eroe e un fuorilegge, da sempre protagonisti di storie in grado di emozionare ed appassionare il pubblico. Perchè se, come detto all’inizio, la narrazione è una pratica fondamentale per il successo di una marca occorre capire fin da subito il proprio ruolo all’interno del racconto. Ad esempio, parlando di un prodotto per la pulizia della casa, egli potrebbe trasformarsi in un cavaliere pronto a combattere contro sporco e germi, o un fidato compagno della famiglia che si prodiga per mantenere i bambini al sicuro dai batteri. (Spink, 2003, p. 18)
51
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
2.2.1 Gli studi Mark e Pearson
La psicologa Carol S. Pearson approfondendo gli studi di Jung ha delineato un insieme di 12 archetipi, definito Archetype System, creato inizialmente come modello per i comportamenti umani e che raggruppa le attitudini più ricorrenti tra gli individui. I 12 profili rappresentano quindi la struttura su cui si forma il carattere di una persona. Secondo la Pearson conoscere il proprio archetipo facilita le relazioni con gli altri e permette di comprendere le motivazioni che stanno alla base di una determinata azione e di capire il proprio potenziale unico. Nel 2001 dalla collaborazione tra la psicologa e Margaret Mark, allora Executive Vice President and Worldwide Director of Consumer Insight, nasce il libro “The Hero and the Outlaw: Building Extraordinary Brands Through the Power of Archetypes” a testimonianza di come questo sistema, anche se nato in ambito psicologico sia facilmente adattabile ad un’altra disciplina, il marketing. Le due scrittrici sostengono che sfruttando il potere degli archetipi è possibile creare un brand con una forte personalità, infatti se nella costruzione di una marca occorre porre al centro l’individuo con le sue paure, bisogni e desideri attraverso gli archetipi diventa possibile non soltanto attribuire una personalità al marchio ma umanizzarlo. In questo modo risulterà più semplice, durante la costruzione della narrazione ottenere degli output efficaci e coerenti tra loro. Inoltre per il consumatore sarà più facile identificarsi in questo personaggio “inventato” e sarà portato a stringere con lui relazioni durature, come traspare dalle seguenti parole: “Archetypal psychology helps us understand the intrinsic meaning of product categories and consequently helps marketers create enduring brand identities that establish market dominance, evoke and deliver meaning to customers, and inspire customer loyalty—all, potentially, in socially responsible ways.” (Mark & Pearson,2001,p. 12) Nonostante ciascun archetipo risulti unico in termini di personalità, Mark e Pearson propongono una divisione in 4 cluster principali.
52
PARTE II - Gli archetipi: figure universali
Lo schema considera gli attributi in comune e i bisogni umani basilari: indipendenza, cambiamento, appartenenza e stabilità.
STABILITÀ sovrano protettore
buffone
saggio
ragazzo comune
esploratore
amante
innocente
fuorilegge
INDIPENDENZA
APPARTENENZA
creatore
mago eroe
CAMBIAMENTO
Fig. 12 Rielaborazione personale dello schema degli archetipi di Mark e Pearson
Tra coloro che vogliono fornire una struttura al mondo troviamo creatore, protettore e sovrano. Le maggiori preoccupazioni di queste persone potrebbero riguardare aspetti finanziari, salute e perdita di controllo. Buffone, ragazzo comune e amante rappresentano invece coloro che si preoccupano delle relazioni con gli altri, ricercano un forte senso di appartenenza e sperano di essere accettati per quello che sono di conseguenza ciò che temono di più è l’abbandono. Eroe, fuorilegge e mago sono invece rappresentativi di tutti gli individui che aspirano a cambiare lo stato delle cose in modo che i sogni diventino realtà. Sono disponibili a sfidarsi e ad affrontare le loro paure. Infine innocente, esploratore e saggio sono focalizzati sulla ricerca della felicità (a volte andata perduta). Di seguito un approfondimento di ciascun archetipo:
53
LOREM IPSUM Orporumquis aute proriti istiam, cum nimagnatur, con ressedi offictatus, ut untur sin nus seque se et ommolore etur sit ellam fuga. Molorrum, corem. Ique demperibus, sinti odit idunt as et eiunto ilitate con earum vernatMaio torum imus dolupti orestrume et que perspis et ut apicab id el is del mi, qui acepudae nim ullaccum sitat. Uscimus et facimi, utempores ra dollab ipsam inum facerovid molupicatem asseque saecum, ut et et qui blab impos magnist, nonsequam, quiae ipsa serum evelend endent Um et ullam, et lignihillit quodis nis am vent. Rae exceperum facerro omnimos similiquam nobissus, tem ut volo dolum nesequid molection reium, quid qui sitaecto et esequis eicidem volorios solum ipsaerit latat res eicaborum nonemperro tem quistis aut ut et lab imendendest eosaecu lparum soluptatur aut lam earcil int late cullat hillorrum rehenihit fuga. Xerferspiet exceptate dollant emperec ullupta tempedi volupta epreped moloribus dolorectes sae conem eruptat. Es saest, im es volorrumque nestem reprerit inum voluptae. Ut quo ma volorro conse aut quaspis sitat volorae molupta aliquid issernam faccae commodis se net, sus voloreiur minctum quassum aped que cuptatus sam quiaspe comnihi llest, quatusant etur sit rempellor remqui tempor miniscium ipsandipis solorporessi aut volliquunt aut quisci consequi sunt. Pelita et fuga. Epeliquatem doles cori toratus doles volo magni tectemo luptur, qui ut exerro quia debis mos doluptatur aut hit laccusdae. Nem quam quiae sequis etur aut harunt qui omnihiciusam vidus moluptus asincit ionecte nienime nistrum voloribus sapid molut omniatias erorepre sinti del et erciliquibus ent officiis eostibus eumenit, sequaes quas susciat. Optatis que volorum quam alis adit, optium sam, sa cum ex et que es dollutem quatqui ipsamus etur? Itatestorem andio. Nam et fuga. Nam, ut erovitium estiori bernat am facillis et ea veribea tiniat volorro te eum rectota tisquatem nonsectibus mincium volo enihilit alignatur, opta volecusdam volupta ipsum aut ulluptate ad et a dolupti aectendant debis simolorro tectur ressimagnis qui nulliquo beario. Ibus dolupid ut doluptur sam alitatio to cus intion rem ex ex evellacim alique ma deliqui cusam, et, ellendunt latur, optatium nos susciur, sim aliae. Nam incto ide exerferi to eum rat ut rem. Et ommo omnimusandae porum int, volorepe lacearc iendia dese lam que dit plandist, te desseque ma exceptatat occum faccabo.
UM VERATIAM CULLIQUI QUIA QUATIUR AUT AUT AUTENT SUS EATE
Onecea quis res platur aut andigen imentium soloribust doles molupis sum faccusd aerovit que volor autem doloriatur, ut unt que officiis molorem faceat poreste exerfer uptatur, unt voluptatio blant que rempedipsus magnatu sciisquam, te lam laut aut iumquat faccum quam enient vendiones evendiciet imus autatem nus autem apiciet ad maio officia et reprore mos voloreptatem ut ad earchiliscit laboratate vollupt ataeribus re si od quam ex excest remolenecae niendem exerum nullorr orporeptatur aute est officid magnihi lignimenis veligent faces sedias id que auta
Sunt molo te planimporem rem dolum fugiasi solor sam ut dolor ad endant lam, sit illaborat experiat es eria volorias ea secto dolestias sum nosam eum liquidit qui volori bernatiusti dolenditi consequae intiis susae laut eum qui nusdaerunt accus, occum aut ad quid quas andi dolorepe comnias dolore cum nit aut litis quam, tem. Ed et doluptur?
“Parum dolest ut laccatibus, corro offic tem exero et”
L’INNOCENTE DESIDERIO: ritornare a vivere il paradiso perduto OBIETTIVO: essere felice PAURA: fare qualcosa di sbagliato che scaturisca in una punizione STRATEGIA: cercare di fare le cose nel modo giusto evitando gli errori TRAPPOLA: essere infantile, non affrontare i propri problemi DONO: ottimismo e fiducia In ogni cultura è presente il mito di un’età dell’oro, o ‘terra promessa’, nella quale regnava un’armonia perfetta. Tutto era semplice e l’uomo non aveva alcun tipo di preoccupazione. L’archetipo dell’Innocente incarna un uomo il cui più grande desiderio è quello di tornare in quel ‘paradiso perduto’. E’ caratterizzato da forte speranza e da una profonda fiducia verso gli altri. Vede il bene in ogni situazione, e vuole trasmettere anche agli altri l’idea che andrà tutto per il meglio, non conta solo su se stesso ma è disponibile e propenso a chiedere aiuto o delegare le sue responsabilità al fine di vivere un’esistenza perfetta. È un archetipo pervaso dal senso di meraviglia e di fiducia; è puro, semplice e affidabile, e questa fiducia fa sì che abbia una propensione all’apertura mentale. Un personaggio cinematografico che incarna questo archetipo è Forrest Gump, che, nonostante sia chiamato ad affrontare numerose sfide conserva sempre le sue caratteristiche di semplicità e mantiene salda la certezza che prima o poi le cose andranno per il meglio. L’Innocente, come tutti gli archetipi presenta anche un suo lato-ombra: proprio a causa della sua forte propensione ad affidarsi agli altri rischia di perdere la sua indipendenza. Inoltre, se le cose appaiono troppo complicate ha l’attitudine a non affrontare i problemi reali, negandoli, evitando i conflitti e spesso isolandosi in un mondo di fantasia. Negli scenari peggiori può quindi trasformarsi in un bambino infantile che finge non esistano problemi per la paura di dover affrontare le proprie responsabilità. A volte poi si rivela un pò ingenuo e rischia di essere ingannato, o di annullarsi poiché viene sovrastato da personalità più forti. In una società come la nostra, l’archetipo dell’innocente rappresenta una via d’uscita ad una vita materialistica e competitiva proprio perché associato a valori semplici come: senso di meraviglia, purezza, libertà dai preconcetti, verità, amore incondizionato, spontaneità e onestà.
ORFANO UTOPISTA TRADIZIONALISTA INGENUO SOGNATORE
Il brand Innocente: I brand che si ispirano all’archetipo dell’Innocente richiamano la purezza d’intenti, l’affidabilità e la vita semplice. Sono utopisti, romantici, sognatori, amano il bello e i sentimenti spontanei e genuini. Il tono di voce è allegro e irradia ottimismo; il linguaggio è conciso e le immagini evocano la natura incontaminata. I colori sono tenui e luminosi. La cura del cliente è il fulcro della loro azione. Solitamente sono brand che operano nel settore benessere o nell’ambito delle relazioni. Tra questi troviamo ad esempio: Coca Cola, Mulino Bianco, McDonald’s, Dove.
Il cliente Innocente: Le persone attratte da questo archetipo generalmente aspirano ad una vita ideale costituita da una famiglia perfetta, un lavoro appagante e una bella casa. Per questo motivo apprezzano i brand che promettono semplicità, concretezza e felicità. Una volta che viene conquistata la loro fiducia diventano facilmente fedeli ad esso in quanto preferiscono la tradizione al cambiamento.
56
“Free to be you and me.”
Fig. 13 Tom Hanks in Forrest Gump, 1994
57
“The truth will set you free.�
Fig. 14 Ian McKellen ne Il signore degli anelli - Il ritorno del re, 2003
58
IL SAGGIO DESIDERIO: trovare la verità OBIETTIVO: usare l’intelligenza per comprendere il mondo e la sua essenza PAURA: essere ingannato, l’ignoranza STRATEGIA: ricerca della conoscenza in maniera apporondita, essere auto-riflessivo TRAPPOLA: non concretizzare in azioni reali i suoi studi DONO: intelligenza, saggezza Il maggior desiderio che muove l’operato di questo archetipo è quello di conoscere, analizzare e studiare la realtà attraverso la logica. È anche conosciuto come filosofo, intellettuale, esperto e maestro in quanto il suo scopo è quello di comprendere le leggi che governano il mondo per dare un senso a ciò che lo circonda. Infatti solo con queste nuove consapevolezze si potrà generare un equilibrio e arrivare a scoprire la verità più profonda. Il Saggio è colui che sa maggiormente essere obiettivo discriminando falsità e superficialità. Questa profonda ricerca di una conoscenza oggettiva può però degenerare in una disconessione con la realtà che lo circonda. Due personaggi nei quali si registra questo distaccamento sono, ad esempio, Sherlock Holmes e Dottor House. Nonostante esso sia promotore di valori prettamente positivi, come ogni archetipo anche lui ha la sua ombra: quando l’interesse per la conoscenza diventa ossessivo egli assume atteggiamenti presuntuosi che portano ad un isolamento e un’insensibilità dovuta al fatto che si creda superiore a tutti. Il finale peggiore che si può verificare è che la sua ricerca si blocchi intorno ai problemi sui quali sta riflettendo e che non arrivi a nessuna soluzione concreta.
ESPERTO DETECTIVE ORACOLO GIUDICE CONSIGLIERE FILOSOFO RICERCATORE PENSATORE INSEGNANTE MENTORE ORGANIZZATORE
Il brand Saggio: In genere pubblicizzati come “esperti”, questi marchi si pongono come fonti di orientamento per aiutare i consumatori a sentirsi più informati e a prendere decisioni migliori. Solitamente si tratta di qualsiasi azienda la cui azione si concentra su ricerca, sviluppo e divulgazione di informazioni. Tendenzialmente si tratta infatti di istituti di istruzione superiore, musei, librerie, biblioteche. Un brand Saggio tende ad usare una comunicazione diretta, raffinata, senza nessun ornamento. Motivo per cui anche i colori che lo rappresentano sono generalmente neutri e tenui come blu, grigio o beige. Essi con i loro messaggi incoraggiano la libertà di pensiero, l’individualità e in alcuni casi anche l’esclusività. Alcuni esempi sono la Harvard University, The New York Times, CNN e Google. Il cliente Saggio: è tendenzialmente prudente e un forte sostenitore del valore del pensiero indipendente. Apprezza l’amore per la conoscenza e i dati che dimostrano concretamente il sapere. È probabile che venga attratto da una pubblicità che lo sfida a pensare con modalità nuove.
59
L’ESPLORATORE DESIDERIO: scoprire la sua vera essenza esplorando il mondo in libertà OBIETTIVO: vivere una vita migliore, autentica e più soddisfacente PAURA: essere intrappolati, conformarsi e il vuoto interiore STRATEGIA: viaggiare, andare alla ricerca di nuove esperienze e sfuggire dalla quotidianità TRAPPOLA: diventare un reietto della società e vagabondare senza meta DONO: forte autonomia, ambizione, capacità di rimanere fedeli a se stessi L’aspirazione più profonda dell’Esploratore è la libertà di scoprire la sua vera identità viaggiando per il mondo. Egli è continuamente alla ricerca di un mondo migliore, una vita migliore e soprattutto una migliore versione di sè. Questa è una visione della vita che si attiva in particolare quando decidiamo di modificare le nostre abitudini, quando siamo mossi da un forte desiderio interno che ci spinge a metterci alla prova, superare le nostre certezze con la speranza di andare incontro ad una nuova grande avventura. Questo viaggio può rappresentare sia un percorso nell’accezione più fisica del termine, che la metafora di una ricerca effettuata a livello spirituale. Due libri che rappresentano questo archetipo sono, ad esempio, “L’Odissea” di Omero e “Il grande Gatsby” di F. Scott Ftizgerald. Essendo particolarmente determinato, l’Esploratore lotta per difendere i suoi ideali e ha una mentalità tendenzialmente individualista.
CERCATORE AVVENTURIERO ICONOCLASTA VAGABONDO INDIVIDUALISTA PELLEGRINO QUESTORE ANTIEROE
Il suo più grande obiettivo è quello di vivere anticipando i tempi e di poter sperimentare un’esistenza migliore, più autentica e appagante che troverà soltanto andando al di là della routine di tutti i giorni. Di conseguenza la sua più grande paura è di rimanere intrappolato in una condizione di ripetitività e noia, circondato da norme e conformismo o peggio di ritrovarsi senza una meta e uno scopo trasformando il viaggio in una condizione di vagabondaggio. Tendenzialmente critico verso il potere, a differenza del Fuorilegge o dell’Eroe, non tenta di sovvertire l’ordine della società ma semplicemente decide di intraprendere un’altra strada, trovando altri terreni appunto, da esplorare. Tra i brand che rispecchiano questo archetipo ci sono ad esempio: Jeep, The North Face, Marlboro e Red Bull.
Il cliente Esploratore: sta cercando di trovare il suo posto nel mondo. Questo desiderio si manifesta frequentemente nelle giovani generazioni che tentano di affermare la propria indipendenza ma anche in coloro che sono alle prese con una crisi di mezza età, alla ricerca di nuove esperienze che lo facciano sentire nuovamente vivo. Il suo obiettivo è quello di esplorare il mondo e, in questo processo, trovare se stesso in modo da sapere chi è davvero. Pretende di confrontarsi con un brand che ha ben presenti quelle che sono le ultime novità sul mercato, che promuova la libertà, la scoperta e che a volte sia pronto ad assumersi rischi, per questo motivo difficilmente si farà attirare da pubblicità che richiamano un ambiente domestico. É così autosufficiente da evitare spesso il supporto degli altri, che potrebbero essere visti come un ingombro per raggiungere i suoi obiettivi. Ha un insaziabile bisogno di agire in solitaria e, per questo, potrebbe addirittura prendere le distanze da amici e familiari durante le sue ricerche. A volte però quando il desiderio di sfuggire è troppo estremo può diventare irrequieto e perdere di vista l’obiettivo.
Il brand Esploratore: si promuove come un mezzo per aiutare gli altri a sperimentare il nuovo e l’ignoto. Per valorizzare sul mercato questa tipologia di brand, la strategia migliore consiste nell’enfatizzare la sua storia dall’interno, immaginando, per esempio, cosa significhi per un cliente sentirsi intrappolato dalla sua stessa routine, desiderare una vita più avvincente e avventurosa. Avventura diventa una delle parole chiave poiché è il vero mezzo per l’illuminazione. Il peggior esito per un brand legato a questo archetipo è apparire come troppo rigido e impostato, in quanto deve rappresentare proprio quella via di fuga tanto bramata.
60
“Don’t Fence Me In.”
Fig. 15 Harrison Ford in Indiana Jones, 2003
61
“Rules are meant to be broken.”
Fig. 16 Joaquin Phoenix in Joker, 2019
62
IL RIBELLE DESIDERIO: rivoluzione o vendetta OBIETTIVO: distruggere ciò che secondo lui non funziona all’interno della società PAURA: non riuscire nell’intento e venire ridicolizzato STRATEGIA: distruggere, disturbare, scioccare TRAPPOLA: cedere al lato oscuro e alla criminalità DONO: avere un pensiero radicale, sfrontatezza Questo archetipo è guidato dal motto “le regole sono fatte per essere infrante” ed è incarnato da personaggi fantastici come Zorro e Robin Hood o celebrità come Madonna. É conosciuto anche come l’anticonformista, il rivoluzionario, l’outsider e rappresenta quel lato “selvaggio” presente in ognuno di noi. Questa personalità è mossa da uno spirito di ribellione, in particolare nei confronti delle norme sociali e del sistema che, per questo motivo cerca di stravolgere e ribaltare con l’obiettivo di crearne uno migliore. Ha una forza sovversiva che utilizza al fine di “scuotere” le cose, sia per interesse personale ma anche per il bene degli altri. Per certi versi presenta aspetti in comune con l’archetipo dell’Eroe ma mentre quest’ultimo si identifica in una società all’interno della quale agisce per salvarne le vittime, il Ribelle non si sente parte di nessun gruppo e si considera lui stesso vittima di certe dinamiche che sfuggono al suo controllo e alle quali dovrebbe sottostare. Si può affermare quindi che il Ribelle per quanto sia mosso da intenti positivi utilizza per raggiungere i suoi scopi anche modalità molto spesso discutibili, pericolose e considerate fuorilegge. Proprio a causa di questo comportamento è facile per lui cedere al suo lato oscuro e diventare un criminale mosso solamente da prepotenza ed egoismo, come è successo, ad esempio al personaggio di Joker. Tra i brand che possiamo definire Ribelli si possono citare: Harley-Davidson, MTV e Apple (in particolar modo ai suoi esordi).
FUORILEGGE RIVOLUZIONARIO CATTIVO NEMICO DISADATTATO NEMICO SELVAGGIO
Il Brand Ribelle: L’archetipo del marchio ribelle è un esperto nello sviluppo di idee, servizi e prodotti veramente radicali. Questi brand si basano su una strategia di marketing che enfatizza l’assunzione di rischi e una deviazione dallo status quo. La pubblicità è caratterizzata da immagini tendenzialmente scure com un carattere audace e rivoluzionario. Molto spesso è presente un elemento di shock, che può essere estremo o semplicemente una battuta intelligente e inaspettata. Assumere questa identità richiede la volontà di rischiare e mettersi in gioco poiché il risultato è incerto e il successo arriva solo se la società è pronta a mettere in discussione i propri valori morali. In caso contrario il Fuorilegge può generare critiche e riprovazione. Ma adottando una strategia che gli permetta di essere distinguibile può posizionarsi come una valida alternativa al mainstream, infatti, i marchi ribelli che riescono ad ottenere successo di solito avranno un seguito di persone che hanno perso la fiducia nelle scelte tradizionali e sono attratte dalla loro energia.
Il Cliente Ribelle: ha un profondo desiderio di libertà e per questo motivo è attratto da un brand audace, scioccante o politicamente scorretto. In generale si tratta sia da un lato di consumatori che vivono ai margini della legalità ma al tempo stesso figurano anche membri della società con posizioni di rilievo e rispettosi della legge che sentono semplicemente il bisogno di sfogarsi di tanto in tanto.
63
IL MAGO DESIDERIO: conoscere le leggi fondamentali che governano la realtà e l’universo OBIETTIVO: avverare i propri desideri attraverso creazioni nuove PAURA: ottenere risultati negativi STRATEGIA: ideare e realizzare un progetto dall’inizio alla fine TRAPPOLA: approfittare delle sue conoscenze e diventare un manipolatore DONO: capacità di risolvere problemi, acutezza Quando si parla dell’archetipo del Mago, si identifica una personalità detentrice della conoscenza, che grazie ad un continuo studio e ad una pratica costante è riuscita a venire a conoscenza di segreti riservati a pochi. Inventori, scienziati, visionari sono classici esempi di esseri umani che si identificano con questo archetipo. Essi sono costantemente interessati alla novità e sono alla ricerca di modi, soluzioni e prodotti non ancora costruiti, un esempio che incarna questa filosofia è sicuramente Steve Jobs che ha saputo progettare prodotti talmente innovativi da sembrare quasi “magici”. Questo archetipo si caratterizza inoltre da profonda riflessività poiché ogni sua mossa è calcolata ed è anche grazie a questa sua qualità che riesce a giocare d’anticipo. Al tempo stesso però, a causa della sua ambizione, è anche uno degli archetipi che più facilmente viene sopraffatto dalla sua ombra, poiché spesso cede alle lusinghe del potere e dell’indolenza. Inoltre, grazie alla sua conoscenza quasi illimitata può trasformarsi in manipolatore in grado di approfittarsi degli altri per trarne benefici personali. Tra i brand che si ispirano a questo archetipo e quindi trasformano e affascinano ci sono sicuramente Disney, MAC Cosmetics, Dyson e Polaroid. Il Brand Mago: ha una visione grandiosa, che altri potrebbero persino considerare impossibile. Questi marchi credono che applicando la formula giusta, il successo sarà inevitabile. Il marketing di un brand che segue questa filosofia riflette questa sensazione dirompente. Le immagini utilizzate, che si tratti di un cielo pieno di stelle o di un arcobaleno che attraversa il cielo, hanno lo scopo di evocare sentimenti di meraviglia e sorpresa grazie al loro carattere etereo e misterioso. Tuttavia questi brand possono facilmente essere attaccati dai concorrenti, dai media o dall’opinione pubblica, poiché promettono trasformazioni che potrebbero essere difficili da dimostrare oggettivamente. Il Cliente Mago: è fortemente motivato sia dal desiderio di trasformazione personale sia dall’essere egli stesso un agente di cambiamento nel mondo che lo circonda. Occupa solitamente una posizione di leadership essendo influente e carismatico per natura. Egli deve avere la sensazione di diventare più saggio con il prodotto o servizio che sta acquistando e di poter influenzare a sua volta le persone intorno a lui. Le pubblicità rivolte a questo target dovrebbero essere il più fantasiose e stimolanti possibile.
64
VISIONARIO CATALIZZATORE INNOVATORE MEDIATORE SCIAMANO GUARITORE DOTTORE
“It can happen!”
Fig. 17 Julie Andrews in Mary Poppins, 1965
65
“Where there’s a will, there’s a way.”
Fig. 18 Mark Hamill in Guerre stellari, 1977
66
IL GUERRIERO DESIDERIO: provare il proprio valore attraverso atti di coraggio e imprese ardue OBIETTIVO: agire per migliorare il mondo PAURA: essere debole, attaccabile o un nullafacente STRATEGIA: sviluppare nuove competenze, diventare sempre più forte TRAPPOLA: arroganza, necessità di dover lottare sempre contro un nemico DONO: competenze, coraggio, forza “A hero is someone who has given his or her life to something bigger than themselves.” - Joseph Campbell Conosciuto anche come l’atleta, il soldato, il liberatore, il campione è uno degli archetipi maggiormente trattati nel mondo della narrativa. Egli dimostra il suo valore superando diverse sfide, determinato a lasciare un segno nel mondo anche a costo di fare grandi sacrifici. Si tratta di un personaggio animato da valori come tenacia e coraggio. Le sfide da vincere possono avere caratteri diversi, più “generali” come la chiamata a salvare il mondo o, al contrario, più “personali”, magari autoimposte, come il desiderio di superare un proprio limite. In entrambi i casi questo archetipo ci spinge ad essere ambiziosi e ad agire contro le ingiustizie per porre rimedio a situazioni opprimenti. Alla base c’è sicuramente anche una propensione molto forte per la competizione che fa sì che egli non si tiri mai indietro, ed è per questo motivo che nonostante sia mosso da nobili intenzioni può facilmente essere sovrastato dalla sua ombra.
EROE CROCIATO SUPEREROE SOCCORRITORE SOLDATO ATLETA VINCENTE CONCORRENTE
Le sue migliori qualità potrebbero essere rimpiazzate da manipolazione e spietatezza dovute ad un continuo bisogno di successo anche a discapito degli altri. Un eroe “moderno” potrebbe, ad esempio, diventare schiavo del lavoro a causa del troppo stress a cui è sottoposto. Tra i brand che si presentano come eroi ci sono ad esempio: Nike e Adidas, Duracell e FedEx. Il Brand Guerriero: Questo archetipo funziona bene per i brand che si pongono in sfida in maniera evidente con un nemico, che vogliono risolvere un problema sociale, ambientale o che al contrario si pongono come strumento necessario al compimento di una sfida, come ad esempio nel caso di Nike. La loro comunicazione si basa sulla volontà di trasmettere disciplina, concentrazione e forza, per questo motivo è tendenzialmente caratterizzata da immagini potenti e colori forti. Anche il tono di voce sarà diretto, coinciso e con riferimenti al superamento di una gara. Il Cliente Guerriero: Il consumatore Eroe è tendenzialmente orientato ai risultati e competitivo, anche se solo contro se stesso. Nel tentativo di mettersi alla prova sviluppa il desiderio di migliorare il proprio carattere o le proprie capacità fisiche. Viene facilmente conquistato quando ritrova nella marca i sui stessi valori e le sue convinzioni morali.
67
L’AMANTE DESIDERIO: sviluppare un alto livello di intimità con le persone, ricercare connessioni con il lavoro, con le esperienze e tutto ciò ama in generale PAURA: rimanere solo, essere rifiutato, non voluto e non amato STRATEGIA: essere sempre più attraente e piacevole, dal punto di vista fisico ed emotivo TRAPPOLA: perdere la propria identità e fare qualunque cosa per piacere agli altri DONO: passione, gratitudine, riconoscimento e fedeltà Il termine amante potrebbe rimandare immediatamente a concetti come romanticismo, seduzione e passione ma in realtà questo archetipo governa ogni tipo di amore che intercorre tra esseri umani, dall’amicizia alla famiglia a quello per il partner. Egli vuole avere relazioni strette, raggiungere l’intimità, sentirsi speciale e far sentire speciale gli altri. Incarna quindi valori profondi non per forza legati ad un’altra persona, infatti si occupa anche di una forma di amore spirituale, verso la vita e i suoi piaceri o semplicemente verso se stessi. Al tempo stesso un altro aspetto molto importante è la sensualità e tutto ciò che è legato all’utilizzo dei cinque sensi. Se le relazioni sono il fulcro principale della sua vita, la sua più grande paura non può che essere la solitudine. Non essere ricambiato o non vedere riconosciuta la sua dedizione verso l’altro potrebbero provocare in lui ferite emotive difficilmente sanabili. Inoltre, così come per l’uomo comune anche l’Amante rischia di annullarsi e perdere la propria identità al fine di compiacere gli altri, o, in situazioni estreme, il suo atteggiamento e la sua volontà di imporsi possono sfociare in aggressività, fissazione e ossessione. Questo archetipo è tendenzialmente indicato per brand che si occupano di profumi, trucchi, gioielli ma anche prodotti alimentari e cucina in generale. Tra questi troviamo ad esempio: Chanel, Estee-Lauder e Godiva. Il Brand Amante: L’identità dei marchi che seguono questo profilo si basa sulla trasmissione di valori quali apprezzamento, gratitudine ma anche bellezza, sensualità e passione. La comunicazione può variare molto a seconda del tipo di amore di cui si sta parlando e questo si riflette, ad esempio, nel tipo di colori utilizzati che possono variare dal rosso fuoco simbolo di passione fino a toni più morbidi e romantici. Si tratta tendenzialmente di marchi eleganti e raffinati con una gamma di prezzi medio-alta. In generale essi devono far sentire apprezzato e amato il consumatore, oppure fornire i mezzi per far sì che egli possa trovare l’amore. Il Cliente Amante: Viviamo in una società che sta diventando sempre più individualistica e ricca di vuoti, in questo contesto il consumatore Amante è spinto a connettersi con gli altri: dalla ricerca di persone con le stesse idee con cui legarsi, alla creazione della versione migliore di se stessi per attirare gli altri verso di loro. I clienti Amanti vogliono quindi sentirsi speciali, vogliono marchi che li adorino e che regalino loro la possibilità di amare di nuovo. Se i loro bisogni non vengono soddisfatti, i brand rischiano di perderli poiché si affideranno ad un concorrente che può farli sentire di nuovo speciali.
68
PARTNER AMICO INTIMO ENTUSIASTA CONOSCITORE SENSUALE SPOSO ARMONIZZATORE
“I only have eyes for you.”
Fig. 19 Leonardo DiCaprio in Titanic, 1997
69
“If I can’t dance, I don’t want to be part of your revolution.”
Fig. 20 Jim Carrey in Scemo & più scemo, 1995
70
IL BURLONE DESIDERIO: vivere il momento con estrema gioia OBIETTIVO: divertirsi e far divertire PAURA: essere noioso o annoiare STRATEGIA: giocare, scherzare, essere divertente TRAPPOLA: sprecare la propria vita senza concludere nulla DONO: gioia contagiosa, umorismo, voglia di vivere Questo personaggio vive nel presente, vuole divertirsi, è sempre positivo e desidera riempire il mondo di momenti belli. È l’archetipo che risveglia in noi la parte più infantile, quella che ci suggerisce di scherzare, giocare e goderci la vita. È un intrattenitore, l’anima della festa, il portatore ufficiale di buon umore. I buffoni hanno il desiderio di alleggerire la vita delle persone che li circondano con umorismo e allegria, infatti, nonostante a prima vista sembrino superficiali e sciocchi, grazie a loro diventa più semplice sdrammatizzare situazioni difficili e vivere alcuni aspetti dolorosi della vita con maggior facilità. Essi odiano annoiarsi e temono di annoiare, non vogliono essere legati a nessun preconcetto e questo fa sì che abbiano sviluppato la capacità di pensare fuori dagli schemi e riescano a trovare soluzioni innovative e originali. Il rischio che corrono è quello di concentrarsi troppo e troppo spesso solo sugli eventi piacevoli della vita, diventando frivoli e sprecando la propria esistenza. Nei peggiori dei casi la loro incapacità di sottostare alle regole e la ricerca continua del brivido può sfociare in una dipendenza da gioco d’azzardo, sesso e sostanze illegali. Un attore che rispecchia questa personalità è sicuramente Jim Carrey che in quasi tutti i suoi film ci fa sorridere e divertire. Per quanto riguarda i marchi invece, abbracciano questa visione della vita Pepsi, M&MS e Old Spice.
STUPIDO IMBROGLIONE BUFFONE INTRATTENITORE PAGLIACCIO COMICO
Il Brand Burlone: è tendenzialmente spensierato e innovativo, ma nel peggiore dei casi può rivelarsi crudele e irresponsabile. Questi marchi promettono intrattenimento, danno l’impressione di vivere nel momento presente, usano immagini scandalose e spesso prendono in giro in maniera affettuosa i loro clienti. Una campagna di marketing progettata per un marchio Burlone sarebbe probabilmente molto divertente e memorabile. Spesso vengono utilizzati colori brillanti che richiamino una forte energia. Motivano le persone a vedere il valore del gioco e a connettersi con il bambino interiore divertente, impulsivo e sfrenato che non ha paura di infrangere le regole, di distinguersi e si sente a proprio agio con se stesso. La cosa peggiore che potrebbe accadere a un marchio burlone è quella di risultare severo e noioso. Il Cliente Burlone: Trovano noiose le inserzioni periodiche e, al contrario, apprezzano tutto ciò che è insolito o giocoso, per questo motivo il tone di voce deve essere non convenzionale, e in alcuni casi addirittura sciocco ed esagerato. Si tratta di un tipo di clientela solitamente giovane, anche se ovviamente ci sono persone di tutte le età che sembrano essere perennemente giovani dentro. Essi sono guidati dal motto “carpe diem” per cui si annoiano facilmente davanti ad argomenti troppo seri.
71
L’UOMO COMUNE DESIDERIO: entrare in sintonia con gli altri OBIETTIVO: appartenere ad un gruppo PAURA: essere considerato diverso, essere escluso, rimanere solo STRATEGIA: non fantasticare, essere concreto e agire nel senso comune TRAPPOLA: rinunciare alla propria individualità pur di amalgamarsi con la massa DONO: realismo, empatia, mancanza di presunzione “No man is an island, entire of itself; every man is a piece of the continent.” - John Donne Conosciuto anche come il realista, il cittadino modello, il ragazzo della porta accanto, è l’archetipo della semplicità, presente in ognuno di noi. Egli abbraccia i valori dell’onestà, l’autenticità, l’impegno verso la comunità ed è quindi l’archetipo alla base della democrazia. É un egualitario empatico che crede nel valore nascosto all’interno di ogni persona che lo circonda. Egli non ha grandi pretese, non brama il lusso o il successo ma, al contrario, possiede un unico desiderio ovvero quello di sentirsi parte della comunità. Trovare qualcuno come lui, che lo accetti per quello che è, costruire una famiglia e cercare il suo posto nel mondo, queste sono le sue aspirazioni maggiori. Per questo motivo ama far parte di circoli, associazioni e spesso si batte per cause sociali. Tuttavia questo profondo desiderio di sentirsi parte di un qualcosa, se estremizzato, può far sì che, al fine di compiacere gli altri, egli perda di vista la sua vera identità e si annulli completamente, risultando una persona vuota e all’apparenza superficiale. Tra i brand che incarnano questa semplicità ci sono, ad esempio Ikea, Wrangler Jeans e Ebay. Il brand Uomo comune: è accessibile a tutti poiché incarna appunto l’essenza dell’uomo e della donna comune. I prodotti sono amichevoli e non tendono ad essere eccessivi o esclusivi. Il brand è realistico, dotato di buon senso ed accessibile. I marchi che vogliono attirare i consumatori definibili come “ragazzi della porta accanto” dovrebbero concentrarsi sulle esperienze che forniscono loro. Un marchio accessibile, reattivo e amichevole sarà facilmente apprezzato. L’innovazione, sebbene sempre importante, è in questo caso meno rilevante. Con un prodotto di qualità al seguito, i marchi dovrebbero tornare alle origini e concentrarsi su affidabilità, semplicità e qualità. Il cliente Uomo comune: è rispettoso degli altri, apprezza le cose semplici della vita per questo motivo apprezza nei brand la qualità e l’affidabilità. Preferisce il familiare all’estraneo, e investe emotivamente nei brand in cui ripone fiducia.
72
CARO RAGAZZO RAGAZZO DELLA PORTA ACCANTO REALISTA LAVORATORE CITTADINO MODELLO BUON VICINO
“All men and women are created equal.�
Fig. 21 Rupert Grint in Harry Potter e la camera dei segreti, 2002
73
“Love your neighbour as yourself.”
Fig. 22 Laura Dern in Piccole donne, 2020
74
L’ANGELO CUSTODE DESIDERIO: proteggere le persone dal dolore e dalle pene OBIETTIVO: mettersi a disposizione degli altri PAURA: egoismo, ingratitudine STRATEGIA: aiutare gli altri TRAPPOLA: diventare il martirio di se stessi, essere soffocati dagli altri DONO: generosità, compassione “Your mother died to save you. If there is one thing Voldemort cannot understand, it is love. He didn’t realize that love as powerful as your mother’s for you leaves its own mark.” - J.K. Rowling in “Harry Potter and the Sorcerer’s Stone” Conosciuto anche come aiutante e guardiano è l’archetipo dell’altruismo. Spesso associato all’istinto materno e paterno, è mosso dalla compassione ed è molto bravo ad anticipare e soddisfare i bisogni delle persone. A causa di questo insaziabile bisogno di rendere tutti felici molto spesso non è in grado di dire di no e si trova costretto a sacrificare se stesso. Proprio per questa ragione è incline al martirio e ad una forma di amore distorto che finisce per soffocare e intrappolare coloro di cui si prende cura impedendo loro di sviluppare un’indipendenza propria. Questo archetipo è visibile in insegnanti, infermieri e, a livello organizzativo, in chiese, agenzie assicurative, hotel e gruppi di beneficenza come, ad esempio, Amnesty International.
ALTRUISTA SANTO GENITORE AIUTANTE SUPPORTER
Il Brand Angelo Custode: E’ un marchio circondato da un’aura di altruismo. Di solito si tratta di brand che si occupano di prodotti o servizi a supporto delle famiglie o dei settori pubblici come la sanità e l’istruzione. L’angelo custode mira a far sì che le persone si prendano cura di se stesse. Quasi tutti i marchi di cura del bambino si basano su questo archetipo, che non a caso è anche conosciuto con l’appellativo “madre”. Le strategie di marketing mirano a fornire esperienze utili e coltivare relazioni con il consumatore. La comunicazione si appella a ricordi felici, alle comodità della casa, della famiglia e a sentimenti di sicurezza. Le immagini scelte utilizzano spesso colori pastello, tenui e per niente aggressivi. Il Cliente Angelo Custode: I consumatori devoti a brand di questo tipo preferiscono le pubblicità affettive ed emozionali piuttosto che quelle aggressive. Essi cercano costantemente di raggiungere la massima espressione nella cura degli altri (bambini, genitori anziani, il mondo in generale) rispetto a se stessi. Sono ascoltatori attenti, non si lasciano ingannare da tutto ciò che sentono e per questo motivo apprezzano i fatti più che le parole.
75
IL SOVRANO DESIDERIO: controllo assoluto OBIETTIVO: creare strutture all’interno della famiglia, della comunità o di una società PAURA: perdere il controllo, venire spodestato STRATEGIA: esercitare una forte leadership TRAPPOLA: essere eccessivamente autoritario e prepotente DONO: responsabilità, leadership, assertività Sovrano, governante, leader, cosa succederebbe se scomparissero queste personalità? Probabilmente regnerebbe il caos poiché sono proprio queste figure ad occuparsi di dare un ordine alle nostre vite. Questo archetipo è guidato dal desiderio di potere e controllo e ha paura della confusione e di essere deposto. Un buon sovrano è responsabile, fiducioso, equo, lavora per mantenere il potere, cercando di essere da esempio per gli altri. Egli infatti, a differenza dell’Eroe, persegue uno scopo più generale e mira al benessere dell’intera comunità della quale è a capo. Proprio a causa della posizione che occupa trova spesso l’opposizione da parte degli altri e per evitare di perdere il controllo si trasforma in despota che ha a cuore solo il proprio bene. Il Brand Sovrano: è spesso rintracciabile in settori come sicurezza, tecnologia, finanza e governo. Questo archetipo è adatto a qualsiasi marchio che offre prodotti o servizi di fascia alta. Le tecniche di marketing di cui si servono soddisferanno il desiderio dei consumatori di essere importanti, influenti e di successo. Le immagini sono spesso classiche, tradizionali, statuarie, nobili o sofisticate. Il prezzo è da moderato ad elevato. Il Cliente Sovrano: vuole che gli altri rimangano impressionati nell’associarlo a questo brand. Occupano spesso posizioni di comando e di conseguenza hanno molte responsabilità e non amano prendere ordini da altri. Sono osservatori delle leggi, apprezzano le tradizioni e il patrimonio del loro paese. Hanno la sensazione che il mondo debba soddisfarli e non sono disposti ad aspettare per ottenere quello che vogliono. I marchi vogliono colpirli dovrebbero progettare strategie per farli sentire importanti (attribuendo loro lo status di VIP ad esempio), oltre a concentrarsi sul trasmettere un’idea di stabilità.
76
BOSS LEADER ARISTOCRATICO POLITICO MODELLO MANAGER AMMINISTRATORE
“Power isn’t everything. It’s the only thing.’’
Fig. 23 Meryl Streep in The Post, 2017
77
“If it can be imagined, it can be created.�
Fig. 24 Benedict Cumberbatch in The imitation game, 2014
78
IL CREATORE DESIDERIO: creare qualcosa che abbia valore OBIETTIVO: trasformare il pensiero in qualcosa di concreto PAURA: avere delle idee insulse o realizzarle in maniera mediocre STRATEGIA: sviluppare capacità artistiche, esprimersi in maniera creativa TRAPPOLA: estremo perfezionismo DONO: creatività e immaginazione Il Creatore è guidato dal desiderio di produrre opere eccezionali e che durino nel tempo. Totalmente focalizzato sull’espressione di sé e sul concretizzare le proprie idee, presenta numerose caratteristiche positive quali l’immaginazione, l’espressività e l’essere innovativo e convive al tempo stesso con lati del suo carattere più negativi come l’auto indulgenza, il narcisismo e l’essere melodrammatico. Conosciuto anche come artista, innovatore, inventore, architetto, musicista, artista e sognatore egli rifiuta la mediocrità. Il Creatore ha un’immaginazione inesauribile e spesso è in anticipo sui tempi. Profondamente entusiasta, a causa della sua impulsività può essere portato ad iniziare numerosi progetti contemporaneamente e ad abbandonarli poco dopo. Se dovessimo pensare ad un personaggio realmente esistito che possa incarnare questo archetipo sicuramente potremmo citare Einstein.
ARTISTA INNOVATORE INVENTORE MUSICISTA SCRITTORE SOGNATORE
Il Brand Creatore: promette autenticità, si posiziona spesso come la soluzione che permette di dare libero sfogo alla creatività e per questo motivo spesso viene utilizzato da marchi produttori di giochi per bambini come Lego e Crayola, ben noti appunto per porre la loro enfasi sull’invenzione e l’immaginazione. La cosa peggiore per un brand creatore è che venga percepito come non autentico o poco originale. Il Cliente Creatore: è poco incline alle pubblicità in generale, ma potrebbe apprezzare quelle sperimentali, originali, che superano i limiti classici. A volte può risultate difficile catturare la loro attenzione, ma con una comunicazione efficace è possibile arrivare a creare delle vere e proprie fanbase, come quella legata al marchio Apple. Essi sono attratti, generalmente, da oggetti costosi non per impressionare gli altri, ma per esprimere il loro amore verso le cose belle e di alta qualità. Gli acquisti per il consumatore Creatore, sono un mezzo di auto-espressione.
79
80
PARTE III -
Il fenomeno delle start-up
81
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
82
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
Tonino Cantelmi
3.1 Che cos’è una Start-up?
“A legendary hero is usually the founder of something, the founder of a new age, the founder of a new religion, the founder of a new city, the founder of a new way of life. In order to found something new, one has to leave the old and go on a quest of the seed idea, a germinal idea that will have the potential of bringing forth that new thing.” L’espressione start-up, ampiamente diffusa negli ultimi tempi, è senza dubbio di difficile definizione e viene spesso utilizzata e interpretata con significati diversi a seconda della singola situazione. Una delle accezioni universalmente più riconosciute è quella di impresa con una forte impronta innovativa, sia da un punto di vista dei prodotti e servizi sia per quanto riguarda il modello di business che risulta scalabile e ripetibile. Per queste sue caratteristiche inizialmente il termine veniva utilizzato unicamente per indicare imprese altamente tecnologiche che operavano nel web o digitale, successivamente è diventato parte del linguaggio comune per indicare una qualsiasi impresa appena nata, come conferma la definizione dell’Enciclopedia Treccani: “Fase iniziale di avvio delle attività di una nuova impresa, di un’impresa appena costituita o di un’impresa che si è appena quotata in borsa.” Tuttavia trattandosi di un fenomeno piuttosto recente gli studi sul tema e le conseguenti definizioni sono numerosissime; di seguito ne vengono riportate 3 che sebbene abbiano lo stesso punto di partenza permettono di evidenziare le sfumature che fanno di un’impresa una start-up. Secondo Steve Blank (2010, Archives), una start-up è “un’organizzazione temporanea in cerca di un business model replicabile e scalabile” per Eric Ries (2010) invece una start-up è un’istituzione concepita per offrire nuovi prodotti o servizi in condizioni di estrema incertezza e infine Paul Graham (2012) afferma che si possa parlare di start-up quando si è in presenza di una società concepita per crescere velocemente.
83
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Questa terminologia viene oggi usata erroneamente anche come sinonimo di spin-off per identificare le nuove imprese altamente tecnologiche nate dalla ricerca accademica. Le spin-off possono essere considerate un sottoinsieme delle start-up composto da quelle aziende i cui fondatori provengono da altre imprese, da università o da enti di ricerca. Vengono considerate tali quelle aziende che mantengono una relazione formale con l’azienda o l’ateneo di origine e per questi motivi non sono da confondere con le start-up. Indipendentemente dalle singole definizioni quello che si può senza dubbio affermare è che si tratti di un’organizzazione umana in possesso di un’idea innovativa vincente che intende perseguire uno scopo efficace. Per il raggiungimento di tale fine è opportuno tra le prime cose effettuare una ricerca approfondita dei clienti e i loro bisogni in modo da poter proporre loro la soluzione che stavano cercando.
3.1.1 Le origini del termine: la Silicon Valley Il concetto di start-up ha origine in America, in particolare nella Silicon Valley, una striscia di terra lunga 100 km che si trova in California. Si tratta di un agglomerato di centri di ricerca, università e laboratori che hanno permesso lo sviluppo di molte realtà innovative, tra queste si possono citare, ad esempio: Google, Facebook, Apple, Netflix e Uber. Sin dagli anni ’50 la Silicon Valley è stata patria delle più grandi rivoluzioni tecnologiche, come la nascita dei transistor, dei microchip e poi anni più tardi del personal computer fino ad arrivare ai social network. Il fatto che le principali scoperte in campo tecnologico siano avvenute proprio in quella porzione di California non è per nulla casuale in quanto questo polo di innovazione si è sviluppato intorno all’università di Standford che, dopo l’apertura dell’Industrial Park, è stata in grado di offrire a queste società innovative finanziamenti vantaggiosi, assistenza tecnica e legale.
84
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
Inoltre la realtà delle start-up trae spesso origine da un’idea creativa e rivoluzionaria, è il prodotto dell’ambizione di gruppi di giovani imprenditori che hanno voglia di mettersi in gioco, ma al tempo stesso necessità di una buona base di ricerca scientifica e un’analisi di mercato motivo per il quale un ambiente come come quello dello Stadford Industrial Park risulta perfetto. A questo proposito sono proprio due laureati di questa università, Bill Hewlett e David Packard a fondare in un garage di Palo Alto nel 1939 l’azienda di elettronica oggi conosciuta in tutto il mondo come HP; quello stesso garage viene oggi considerato in modo simbolico il luogo di nascita della Silicon Valley.
Fig. 25 Steve Jobs, John Sculley e Steve Wozniak presentano l’Apple II nel 1984 in California
85
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
3.1.2 Le caratteristiche fondamentali Nonostante come detto in precedenza si tratti di un fenomeno piuttosto recente, numerosi studi affermano che sia possibile riconoscere una start-up se in possesso di 4 caratteristiche principali (De Martino, 2018): scalabilità, replicabilità del modello di business, innovazione (di processo o di prodotto) e temporaneità. Nello specifico: - con replicabilità si intende che il modello di business adottato dalla start-up può essere ripetuto in diverse aree geografiche e in diversi periodi temporali senza necessitare di grandi modifiche; - la scalabilità è la capacità della start-up di crescere in modo esponenziale utilizzando poche risorse; - l’innovazione invece può riguardare sia il prodotto/servizio che il processo nel suo complesso. Le start-up nascono generalmente come risposte ad un bisogno non ancora soddisfatto o, in quanto innovative, per soddisfare una mancanza non ancora evidente. - con temporaneità si intende che con questo termine si vuole indicare la prima fase del percorso di un’impresa che quindi è solo transitoria, dal momento in cui si presuppone che il percorso aziendale continuerà e comporterà un’espansione. Proprio a seguito dell’identificazione e accettazione di questi parametri è diventato necessario introdurre una terminologia apposita per differenziare questa tipologie di impresa nata per crescere rapidamente: “A start-up is a company designed to grow fast. Being newly founded does not in itself make a company a start-up. Nor is it necessary for a start-up to work on technology, or take venture funding, or have some sort of “exit.” The only essential thing is growth. Everything else we associate with start-ups follows from growth.” (Graham, 2012, n.d.) Steve Blank (2010) inserisce inoltre tra le caratteristiche il termine sperimentazione, in quanto sostiene che una start-up procede per tentativi, e soltanto percorrendo diverse strade sarà in grado di trovare infine il modello di business più adatto a lei.
86
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
3.1.3 Il ciclo di vita Il processo per la nascita di una start-up risulta solitamente molto lungo e complesso. Idealmente la motivazione principale che guida la decisione di avviare un’attività imprenditoriale dovrebbe essere legata al desiderio di riuscire a essere soddisfatti, di migliorare la propria esistenza e quella degli altri, di ampliare le proprie relazioni, di appagare le aspirazioni che si hanno e le curiosità. Nel momento in cui si manifesta un’idea che sembra possedere un potenziale e la si combina alla figura di un aspirante imprenditore diventa necessario tradurre questo mix in un concreto progetto d’impresa definendone contenuti, obiettivi, passaggi e tempistiche di realizzazione. Si passa cioè da una situazione ipotetica a una progettuale; in questo primo step non si avranno ancora delle risposte mirate ma sarà utile a gettare delle basi solide in vista della realizzazione di un business plan vero e proprio. Il nuovo imprenditore o il team di nuovi imprenditori deve analizzare nel dettaglio tutti gli aspetti principali che rendono l’idea unica nel suo genere anche attraverso il confronto con eventuali competitors e per questo motivo diventa fondamentale un’attenta analisi di mercato; tutto ciò va fatto in un’ottica dinamica per poter valutare continuamente gli aggiornamenti e le evoluzioni che si perfezioneranno rispetto alle iniziali posizioni di partenza. Dopo aver formulato una prima idea occorre accertarsi della presenza delle risorse finanziarie per sostenere tutto il progetto. I rapporti che un’impresa ha con il mondo della finanza dipendono in primis dalle caratteristiche, dall’esperienza e dalle scelte dell’imprenditore, dal settore di mercato con il quale ci si interfaccia e dalla fase del ciclo di vita dell’impresa. Da ogni fase dipende il fabbisogno finanziario dell’azienda che è influenzato dall’andamento delle vendite, dall’intensità di assorbimento del capitale investito e la capacità di autofinanziamento Le fasi che suddividono il ciclo di vita di una start-up possono essere raggruppante essenzialmente nelle seguenti (Pinardi, 2016): - Seed + pre-seed (semina): è lo stadio iniziale, subito dopo il concepimento dell’idea. In questo lasso di tempo viene studiata la
87
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
fattibilità del progetto e le opportunità di mercato, l’impresa è appena abbozzata, il fabbisogno finanziario è contenuto, il rischio al contrario è elevato, non sono previste ancora riflessioni puntuali su finanziamenti futuri. È la fase nella quale studiare, formarsi per avere una visione chiara del settore di riferimento e iniziare ad individuare un team con competenze complementari, coinvolgendo persone preparate e motivate con un consolidato rapporto fatto di coesione e esperienze condivise; - Bootstrapping: la fase iniziale di vita di una start-up durante la quale l’idea si trasforma in un progetto organizzato. È la fase esecutiva, si deve elaborare il Business Model Canvas per schematizzare tutti gli elementi sui quali occorre ragionare e prendere decisioni: quali sono le attività chiave, quale valore si vuole generare, chi sono i partner, quali risorse si devono impiegare, quali sono i clienti e come raggiungerli. Si deve inoltre strutturare il business plan e stabilire quali sono i costi, da dove arrivano i ricavi e le tempistiche. In questa fase il fabbisogno finanziario è elevato, per questo motivo è il momento nel quale solitamente ci si rivolge agli incubatori e acceleratori e FFF (family, friend, fool) che offrono i primissimi finanziamenti per l’avvio dell’attività imprenditoriale. - Early growth (crescita): è la fase durante la quale viene avviata l’espansione e l’iniziale ampliamento con conseguente crescita dei clienti e delle vendite dovrebbe portare un aumento del fatturato. Al tempo stesso per soddisfare la crescita della domanda potranno essere necessari ulteriori finanziamenti; - Sustained growth: continua la fase di crescita e si indirizza verso uno sviluppo sostenuto, diminuisce la rischiosità, cresce il fatturato, profitti e autofinanziamento migliorano, ci si indirizza verso strumenti finanziari più complessi. - Exit (uscita): è la fase di passaggio dallo stato di start-up ad altra fase, connesso ad una delle seguenti tipologie di exit: IPO (Initial Pubblic Offering): l’impresa viene quotata in borsa diventando pubblica; acquisizione dell’azienda da parte di terzi; buyback: l’imprenditore riacquista le quote della Start-up eventualmente cedute durante la fase di raccolta degli investimenti, rimanendo l’unico proprietario dell’impresa; secondary sale: l’imprenditore vende delle quote della società a terzi, mantenendone una parte; write-off: accade quando l’azienda è prossima al fallimento e quindi gli investitori decidono di ritirarsi dall’investimento.
88
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
Come brevemente accennato durante queste fasi diventa necessario per la sopravvivenza trovare i gusti finanziamenti e per far ciò ci sono diverse strade percorribili: chiedere un prestito alla banca e qualora non fosse sufficiente attingere da sostenitori esterni. Come si può notare dalle numerose piattaforme a supporto presenti sul web una delle soluzioni che viene sempre più tenuta in considerazione è quella del crowdfunding, ovvero un finanziamento collettivo. Altre forme di finanziamento private sono quelle derivanti da personalità definite “Business Angels”, spesso ex manager o imprenditori capaci di apportare non solo capitali ma anche competenze, ed i Venture Capitalists, società strutturate che offrono investimenti a rischio per la crescita del progetto ma entrano poi nelle quote societarie. Infine incubatori e programmi di accelerazione possono contribuire nelle prime fasi di una start-up a supportare l’elaborazione di business model, l’accrescimento di competenze, offrire spazi di lavoro, aiutandole a costituire il team e consolidare la rete dei partner.
3.1.4 Il panorama italiano Negli ultimi anni in Italia c’è stato un forte aumento delle start-up innovative che sono regolamentate dalla legge 221/2012 entrata in vigore il 19 Dicembre 2012 chiamato Decreto Legge Crescita 2.0, con la quale lo stato regolamenta la crescita e lo sviluppo del paese. In questo decreto, la sez. IX . è dedicata alle start-up innovative. Secondo questa legge, un’impresa innovativa è “una società di capitali di diritto italiano, costituita anche in forma di cooperativa, o società europea avente sede fiscale in Italia, che rispetta determinati requisiti e ha come oggetto esclusivo e prevalente: lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti e servizi innovativi ad alto valore tecnologico.” (MISE & al., 2019) I requisiti essenziali affinchè una società con questa forma giuridica possa qualificarsi come start-up innovativa sono:
89
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
- essere costituita e svolgere attività d’impresa da non più di sessanta mesi; - a partire dal secondo anno di attività il totale del valore della produzione annua non deve essere superiore a 5 milioni di euro; - non distribuire e non avere distribuito utili; - essere residente in Italia o in uno degli stati membri dell’UE; - non essere stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda; - avere quale oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti innovativi ad alto valore tecnologico. (MISE & al., 2019) Inoltre è fondamentale che il contenuto innovativo della start-up sia identificato da almeno uno di questi tre elementi: (Di Noia, 2018) - spese in ricerca e sviluppo sono uguali o superiori al 15% del maggiore valore fra costo e valore totale della produzione della start-up innovativa. - un team formato per almeno 1/3 da dottori di ricerca o dottorandi di università italiane o straniere, oppure laureati che, da almeno tre anni, sono impegnati in attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati con sede in Italia o all’estero; oppure per almeno 2/3 da soci o collaboratori che hanno conseguito una laurea magistrale. - È titolare, depositaria o licenziataria di un brevetto registrato (privativa industriale) oppure titolare dei diritti relativi ad un “programma per elaboratore originario” (software) registrato presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore (SIAE), che siano direttamente connessi all’oggetto sociale e all’attività d’impresa. In accordo con il report fornito dal registro delle imprese al termine del 1° trimestre dell’anno corrente (1 aprile 2020), il numero di start-up innovative in Italia è pari a 11.400, in aumento del 3% rispetto al trimestre precedente. Per quanto riguarda la distribuzione per settori di attività il 73,3% delle start-up innovative fornisce servizi alle imprese, il 17,9% opera nel manifatturiero, mentre il 3,3% opera nel commercio. Da un punto di vista della distibuzione geografica la Lombardia rimane la regione in cui è localizzato il maggior numero di start-up: 3.038,
90
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
ovvero il 27,1% del totale nazionale; seguono Lazio e l’Emilia-Romagna. A breve distanza compare al quarto posto la Campania, seguita dal Veneto. Tra le province Milano è di gran lunga la provincia in cui è localizzato il numero più elevato di start-up innovative: alla fine del primo trimestre 2020 esse erano 2.198, il 19,6% del totale nazionale. Al secondo posto compare Roma, unica altra provincia oltre quota 1.000 (1.147 start-up, 10,2% nazionale). Tutte le altre province maggiori sono molto staccate: nella top-5 figurano, nell’ordine: Napoli, Torino e Bologna (312, 2,8%).
Fig. 26 N° di start-up in Italia suddivise per regione (I dati fanno riferimento al Report del 2019, MISE) Rielaborazione personale
91
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
3.2 Il ruolo degli incubatori Il concetto di incubatore di imprese nasce nel 1959 negli USA quando Joseph Mancuso acquista una vasta struttura risalente al 1882 che comprende 30 acri di terra. L’edificio originariamente ospitava Johnston Harvester e più tardi Massey Ferguson, che fabbricavano mietitrebbie, maggiore fonte di occupazione della città. Al momento dell’acquisto da parte di Mancuso il locale risultava però vuoto; egli decise di predisporlo per l’affitto, ma viste le enormi dimensioni dello spazio pensò che potesse essere più facile se fosse stato suddiviso in piccoli spazi. La strategia di partizionamento che permetteva agli affittuari di dividere le spese è stata riconosciuta come un’idea rivoluzionaria e rappresenta tutt’oggi un concetto fondamentale dell’incubazione commerciale. Per questa sua idea Mancuso viene ritenuto l’inventore del termine “Incubator”. (Meggiato, 2001) Con il termine “incubatore” si intende un’ “organizzazione che supporta attivamente il processo di creazione e sviluppo di nuove imprese innovative attraverso una serie di servizi e risorse offerti sia direttamente sia attraverso una rete di partner” (Aernoudt, 2004; Colombelli et al., 2018) Una società quindi che ha il compito di supportare le start-up in tutto ciò che necessità durante le prime fasi di vita. Spesso il termine, ormai entrato nel linguaggio comune, viene confuso con quello di accelleratore. Ma mentre il primo fornisce essenzialmente uno spazio fisico in cui lavorare, l’accesso a un limitato numero di servizi, come sale conferenze e connessione internet, e opportunità di networking, l’acceleratore invece garantisce servizi professionali di consulenza strategica che vanno dalla definizione del business alla costituzione del team, dalla racconta fondi alla gestione di eventuali pivot fino al lancio del prodotto sul mercato. Una seconda definizione ci viene fornita dalla Commissione Europea in nel documento “The smart guide of innovation” : “Un incubatore di start-up innovative è un luogo dove gli imprenditori trovano le strutture, i servizi e le competenze necessarie ai loro bisogni ed a sviluppare le loro idee di business e trasformare queste in realtà sostenibili”.
92
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
Tra i principali servizi offerti da un incubatore di Start-up ci sono: condivisione di spazi fisici e di coworking, attività di networking, servizi e ricerche di marketing, accesso ad alta velocità alla rete Internet, servizi di gestione contabile e finanziaria, accesso a prestiti bancari, fondi di garanzia e incentivi, assistenza durante la preparazione delle presentazioni, creazione di una rete di contatti con partner strategici, accesso a angel investor o venture capital, consulenza dai mentor, aiuto legale e nella gestione della proprietà intellettuale. Sulla stessa guida menzionata in precedenza, gli incubatori vengono classificati in 4 grandi macro-categorie: - Pre-incubatori: che come suggerisce il termine offrono servizi tipici della fase di pre-incubazione. Tra questi expertise (coaching) e strutture e servizi a supporto dell’imprenditore per lo sviluppo della sua idea di business e per l’elaborazione del business plan. - Incubatori accademici: riguardano Università e centri di ricerca che forniscono supporto alle idee di business sviluppate da studenti o sono spin-off di attività di R&S. - Incubatori con finalità generiche: forniscono servizi sia in fase di pre che di post incubazione a supporto a tutti quelli che hanno delle idee fattibili indipendentemente dalla provenienza del settore economico coinvolto. - Incubatori per specifici settori: forniscono servizi sia in fase di pre che di post incubazione.
In base al tipo di start-up o al business model sul quale si focalizzano possiamo inoltre distinguere le seguenti tipologie di incubatori: Virtual Business Incubator, Incubatori sociali, Medical incubator, Kitchen incubator e Incubatori Fintech.
93
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
3.2.1 Gli incubatori in Italia In base ai dati contenuti nel Report “Impatto degli incubatori/acceleratori italiana” 2019 sviluppato dal team di ricerca Social Innovation Monitor (SIM) del Politecnico di Torino, in collaborazione con Italia Start-up, nel nostro paese vi sono 197 incubatori (di cui il 64,2% privati, il 13,9% pubblici e il 21% ha natura ibrida). Per quanto riguarda la tipologia invece, 36 sono business incubator, 23 mixed incubator e 13 social incubator. Le regioni del Nord ospitano il 60% degli incubatori, a fare da guida è la Lombardia con ben il 25,3% del totale seguita dalla Toscana (9,9%) e dall’Emilia-Romagna (9,3%). Nel meridione la percentuale totale di incubatori e del 17,9% Tra i principali incubatori si riportano: - Impact Hub Milano: è un incubatore sociale che fa parte della rete mondiale di incubatori che si rivolge a start-up che vogliono creare un “impatto” su società e ambiente. - FabriQ: è un incubatore di imprese sociali del Comune di Milano. - Make a Cube: offre programmi di formazione all’imprenditoria sociale ed a chi ha poche competenze di business, e consulenza alle imprese nei processi di innovazione sociale. - H-FARM: è un incubatore/acceleratore nato nel 2005 ed uno dei maggiori centri d’innovazione in Europa. - NANABIANCA: è un incubatore certificato/acceleratore per start-up innovative nato nel 2012 a Firenze dall’esperienza di Paolo Barberis. - I3P: incubatore idee di imprese innovative del politecnico di Torino. - PoliHub: incubatore del Politecnico di Milano. Il ricorso ad un processo di incubazione presenta per una start-up sia vantaggi che svantaggi. Tra i vantaggi i principali sono i seguente: - Numerose attività di supporto che includono la condivisione di uffici e postazioni di lavoro attrezzati e collegati in rete;
94
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
- Un contatto diretto con altri Start-upper che risulta stimolante anche in previsione dello sviluppo di nuove idee; - Riduzione dei costi di gestione (segreteria, marketing,…); possibilità di entrare in contatto con potenziali clienti, impiegati, partners o investitori; possibilità di allargare il proprio network di conoscenze. Per quanto riguarda gli svantaggi potrebbe accadere che gli investitori avendo messo a disposizione un maggior supporto o finanziamento richiedano in cambio un maggior numero di quote o azioni, inoltre i programmi possono protendersi senza nessun limite di tempo è senza una chiara definizione delle aspettative.
Diffusione geografica del campione 7 52
1
197
4
popolazione
7
15
19 6
25
5
6 0
2 17
7
6 3
1 6
1 10
1 1 1
1
1
1
2
10
4
6
9
2
5
campione
14
1
14
81
1 3
1
Area
Popolazione
Campione
Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e isole
37,1 % 21,8 % 21,3 % 19,8 %
32,1 % 29,6 % 19,8 % 18,5 %
Quasi il 60% della popolazione di incubatori si trova in Itali asettentrionale. La Lombardia è la regione che ospita il maggior numero di incubatori, con il 26,40% del totale, seguita dall’Emilia Romagna, con il 12,69% e il Lazio con l’8,63%. L’area meridionale e quella insulare rappresentano le zone in cui vi è il minor numero di incubatori. Rispetto all’anno scorso si è verificato un aumento del numero di incubatori individuati sia nelle regioni del Nord-Est sia nelle regioni del Sud e isole.
Fig. 27 Diffusione delle start-up in Italia (I dati fanno riferimento al Report del 2019 realizzato da MISE). Rielaborazione personale
95
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Servizi offerti dagli incubatori 1 10
2
9
3
8
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Accompagnamento manageriale Spazi fisici (inclusi servizi condivisi) Formazione imprenditoriale e manageriale Supporto alla ricerca di finanziamenti Servizi amministrativi, legali e giuridici Supporto nella gestione della proprietà intellettuale Supporto allo sviluppo di relazioni-networking Supporto allo sviluppo e allo scouting di tecnologie Servizi di valutazione dell’impatto sociale dell’incubatore Formazione e consulenza su business ethic e CSR
4 7
5 6
7
5 6
1 10
2
9
3
8
4
7
5 6 Mixed incubators Business incubators Social incubators
1 10
2
9
3
8
4
7
5 6 Pubblici Pubblici-privati Privati
96
Fig. 28 Servizi offerti dagli incubatori (I dati fanno riferimento al Report del 2019 realizzato da MISE). Rielaborazione personale
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
3.3 Quali sono i fattori di successo di una start-up? Bill Gross (2015), fondatore di Idealab, un incubatore di imprese dedicato alla ricerca di nuove invenzioni e idee, ha tentato durante la sua carriera di raccogliere e sottolineare i fattori che secondo lui influenzano il successo di alcune start-up e altri che al contrario portano al suo fallimento. Ha raccolto dati da centinaia di organizzazioni, sue e di altri imprenditori, e ha evidenziato cinque elementi chiave, riportati in seguito dal più al meno influente: - Tempismo, immettere un prodotto e/o servizio nel mercato al momento giusto è il fattore che secondo Gross incide maggiormente sul successo di una start-up; uno degli errorri più grandi è quello di inserirsi in un mercato quando la domanda dei consumatori non è ancora matura o al contrario presentarsi con la propria risposta troppo tardi quando la competizione è ormai altissima. Un esempio concreto di tempismo perfetto è il portale di prenotazioni Airbnb, intuizione di Joe Gebbia, Nathan Blecharczyk e Brian Chesky che hanno saputo cogliere il momento perfetto per inserirsi in un mercato in cui le persone per avere dei guadagni extra erano in quel momento disponibili ad affittare una stanza della loro casa a degli sconosciuti. - Team, una composizione ibrida, che raggruppa competenze legate ad ambiti diversi diventa necessaria per garantire la sopravvivenza del proprio progetto. Un pensiero ben definito e coerente tra i vari membri favorisce inoltre lo scambio di idee e la crescita sia personale sia come imprenditori - Idea, è il punto di partenza e requisito fondamentale per avviare l’intero progetto. - Modello di business, che come già detto in precedenza deve risultare scalabile - Finanziamenti, diventano fondamentali fin da subito per garantire la sopravvivenza del proprio progetto; la mancanza di capitali è la seconda motivazione più frequente menzionata dagli start-upper come causa del fallimento del loro progetto imprenditoriale.
97
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Oltre a queste 5 caratteristiche, emerse dalla ricerca di Gross, altri due parametri risultano interessanti allo scopo di questa ricerca. Paul Graham nel suo libro “How to Start a Start-up” afferma che una delle maggiori cause di fallimento è la perdita del focus principale, a suo avviso occorre rimanere concentrati sul proprio prodotto e servizio, andando alla ricerca dei reali bisogni degli utenti e solo in un secondo momento concentrarsi sul ritorno economico. Infine per il fondatore del metodo Lean Start-up, Steve Blank il minimo comune denominatore che si trova alla base di qualsiasi nuovo progetto è la passione, senza la quale non è possibile portare a compimento le proprie idee, in quanto un imprenditore appassionato è una continua fonte d’ispirazione per il suo team e li sprona al raggiungimento degli obiettivi aziendali. A questo proposito è necessario sottolineare che i suddetti parametri fungono solo da linee guida, sebbene siano il frutto di numerose indagini da parte dei massimi esperti del settore, e non devono essere interpretati come assunti scientifici. Tuttavia da questa breve analisi risulta evidente come valori quali lavoro di squadra, coerenza, entusiasmo e volontà di sperimentare e tal volta assumersi delle responsabilità rischiando giocano un ruolo fondamentale all’interno del processo che porta alla creazione di una nuova impresa. Questi fattori dimostrano in qualche modo di poter fare riferimento al fenomeno delle start-up definendole come realtà dinamiche, fortemente improntate verso la sperimentazione e l’innovazione e per questo motivo il target ideale al quale indirizzare il progetto di questa tesi.
98
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
3.4 Una fase fondamentale: l’analisi di mercato La ricerca di mercato è, come sottolinea il titolo del paragrafo un tassello necessario non solo per impostare una campagna di marketing efficace, ma anche per avere una prima valutazione complessiva delle possibilità di successo di una start-up. Questa fase aiuta a definire un business plan completo ed è inoltre scontato dire che nessun investitore prenderebbe in considerazione un’impresa che non ha nessuna idea del mercato nel quale andrà a inserirsi e del tipo di clientela che si interesserà al servizio offerto. L’analisi di mercato permette dunque di ridurre i rischi dell’attività e per questo va considerata un vero e proprio investimento. Una volta collezionati una serie di dati sarà quindi possibile delineare il settore al quale indirizzarsi e, se necessario, effettuare tutte le correzioni prima di intraprendere il proprio percorso di inserimento. Grandezza del campione Per ogni tipologia di ricerca è necessario individuare quale ordine di grandezza si vuole esaminare. Più grande è il campione su cui viene effettuata l’indagine di mercato, più i risultati restituiranno un’immagine chiara e complessiva. Allo stesso tempo, un numero di persone maggiore comporta, nella maggioranza dei casi, una mole di lavoro più grande con conseguente aumento dei costi. Nell’ipotesi in cui si decida di utilizzare un campione limitato diventa molto importante la scelta dei soggetti su cui si effettua la ricerca stessa, che devono essere per quanto possibile corrispondenti al “cliente-tipo” del prodotto o del servizio in modo da ottenere risultati affidabili e con un indirizzo verso il settore specifico. Elementi analizzati - La struttura del mercato nel suo complesso: le dimensioni, l’evoluzione durante un determinato periodo di tempo e le possibilità di crescita nel futuro. Si tratta di informazioni importanti per capire quale margine di crescita esiste;
99
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
- I competitors: una start-up si trova indubbiamente ad affrontare dei concorrenti nella porzione di mercato in cui intende inserirsi. Diventa dunque molto importante raccogliere quante più informazioni possibili sui competitors, quali sono i prodotti e servizi offerti, qual’è il valore aggiunto che offrono alla loro clientela. In questo modo sarà possibile conoscere punti di forza e debolezza, e impostare di conseguenza le proprie strategie di comunicazione e di marketing; - I clienti: sono l’elemento necessario affinchè una start-up possa esistere per questo motivo diventa necessario conoscerne i desideri e i gusti; in caso contrario si incorre nel rischio di offrire un prodotto o servizio che non soddisfa i loro desideri. Strumenti più comuni La ricerca tradizionale si suddivide in: - Ricerca a tavolino: molto utile nella fase iniziale di sviluppo di una start-up anche perchè ha dei costi molto contenuti. Viene effettuata tramite l’analisi di dati secondari, cioè raccolti da altri soggetti che si occupano appunto di rilevazione statistiche (in Italia si può fare riferimento all’Istat) Questo tipo di ricerca prende in esame sia dati interni all’azienda che esterni; - Le interviste: permettono di indagare in modo più profondo il pensiero del campione designato, poichè a partire dalle risposte ricevute è possibile formulare ulteriori domande più approfondite e specifiche. L’intervista richiede tempistiche piuttosto lunghe ma permette al soggetto di esprimere il suo pensiero e i suoi gusti in modo più articolato e completo. - Il questionario: rappresenta probabilmente il sistema più semplice e diffuso per effettuare una ricerca di mercato di tipo tradizionale. È costituito da una serie di domande, a risposta aperta o chiusa, che vengono sottoposte ai soggetti designati per l’indagine di mercato. Le risposte fornite vengono poi raccolte ed elaborate per ottenere i dati e le informazioni utili. Rispetto al metodo delle interviste risulta più rapido e
100
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
non implica la presenza fisica di una persona ; inoltre la revisione dei dati, soprattutto nei questionari a risposta chiusa (o multipla), è più rapida e semplice. Questo aspetto è ciò che al tempo stesso ne costituisce un metodo limitato in quanto l’intervistato potrebbe non riuscire ad esprimere in modo libero ciò che pensa. - Fiere e convegni: sono un’occasione molto favorevole per la raccolta dati e informazioni: gli operatori di un settore si riuniscono per concludere affari e stringere rapporti commerciali, nonché ampliare il network delle proprie conoscenze. In questo tipo di occasione particolare i soggetti coinvolti risultano maggiormente disposti a rispondere a domande, perché vedono nell’evento la possibilità di conoscere nuovi clienti o partner commerciali.
MACRO-AMBIENTE
contesto geografico (posizionamento in senso spaziale) e competitivo (il mercato in cui l’attività viene esercitata)
CLIENTELA
colui che compra il prodotto o usufruisce del servizio, con l’analisi di mercato sarà necessario individuare informazioni al fine di delineare un “cliente-tipo”
COMPETITORS
Fig. 29 Schema riassuntivo degli ambiti analizzati nella ricerca di mercato
imprese e/o servizi simili con caratteristiche affini alla propria start up già presenti sul mercato
- Ambiente demografico - Ambiente economico - Ambiente fisico - Ambiente tencologico - Ambiente politico-legislativo - Ambiente socio-culturale
- Il numero e le caratteristiche - Il comportamento - Le abitudini durante l’acquisto - Le influenze - Le motivazioni alla base dell’acquisto - L’opinione sulla concorrenza
- Le attività - L’offerta - L’organizzazione - L’identità e la comunicazione
101
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
I punti finora delineati tentano di riassumere le possibilità utilizzate con più frequenza per operare una prima analisi di mercato che abbia dei costi non eccessivamente sostenuti, poichè in quanto impresa al primo stadio di vita, le start-up hanno spesso budget limitati. A questo proposito esistono diverse piattaforme attualmente in grado di semplificare la preparazione dei questionari e/o interviste, tra questi, ad esempio: Google Moduli, che è integrato in Google Drive e può essere utilizzato di chiunque abbia un account Google; Wufoo, che permette di creare form con diversi template; Suvery Monkey che fornisce la possibilità di creare sondaggi anche utilizzando i template e le indicazioni già presenti sul sito; e ancora : Survio, Typeform e SurveyLegend. Se invece si decide fare affidamento su terzi, e quindi investire un maggior capitale, è possibile individuare in rete numerose società specializzate in ricerche di mercato che spesso mostrano direttamente sul sito i loro pacchetti clienti. L’analisi di mercato e la conseguente consapevolezza del settore al quale indirizzarsi ha un’influenza notevole non soltanto nelle scelte di marketing ma anche in tutto ciò che riguarda la comunicazione. Conoscere i propri clienti, ad esempio, significa sapere che tono di voce adottare, quali canali utilizzare per un maggiore ascolto e soprattutto impostare un racconto che sia in grado di attirare la loro attenzione e che diventi la migliore alternativa a ciò che già esiste sul mercato.
102
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
Matrone & Pinardi
3.5 Nuova impresa, nuova storia da raccontare “Un’impresa produce narrazioni e poi deve costruire cose o pratiche che asservino queste narrazioni. Ogni ‘start-up’ è prima di tutto una potenziale storia futura. Poi arrivano i prodotti e i servizi che dovranno far scendere sulla Terra quella storia. Se una storia non è solida non se ne fa un’impresa.” La storia di ogni start-up comincia con il desiderio di trasformare un’idea in un progetto imprenditoriale, “Sogna e condividi il tuo sogno” è l’invito che i manager delle più importanti compagnie suggeriscono a chi visita la Silicon Valley. Il racconto di questa storia, così come quello delle dinamiche che la definiscono, diventa fondamentale fin dalle prime fasi di vita del progetto. In merito a questa affermazione nel primo capitolo dell’elaborato si è ampiamente affrontato il tema della narrativa d’impresa sottolineandone l’importanza ed evidenziandone l’efficacia. È stato introdotto inoltre il concetto di identità come elemento in grado di differenziare un’impresa da un’altra in un’epoca nella quale il livello di competizione è smisurato e gli standard legati alla funzionalità dei prodotti, che si assomigliano sempre di più, sono altissimi. Questo concetto se pur strettamente connesso a quello di immagine se ne distanzia in quanto non è possibile pensare alla brand identity come sola “dichiarazione visiva di chi e cosa è l’impresa e di come vede sé stessa nei confronti del mondo” (Selam, 1975), dal momento che, com è stato dimostrato in studi più recenti, è il prodotto di una serie di fattori. Nel modello di analisi proposto da Balmer e Soenen (1999), in particolare, risulta costituita da tre dimensioni: l’anima, sintesi dei valori guida, della cultura e della storia dell’azienda; la mente, espressione delle decisioni volontariamente prese dall’organizzazione in virtù della sua visione, filosofia, strategia ma anche l’identità del settore di appartenenza, l’architettura del brand, lo stile della leadership e infine la voce, sintesi di tutte le manifestazioni comunicative, volontarie e non, dell’organizzazione.
103
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Questi 3 fattori si ricollegano al concetto di personalità di marca ovvero all’idea di utilizzare caratteristiche umane per descrivere un brand. Nel corso degli anni è stato ampiamente dimostrato come questa metafora risulti vincente in quanto permette un’identificazione da parte degli stakeholder con il “personaggio” e la costruzione di un legame con esso; particolarmente rilevante a questo proposito, è l’utilizzo degli archetipi (cfr. “Parte 2” dell’elaborato) come figure di riferimento. Se per le imprese con una storia pregressa la sfida risiede nel mantenere e protrarre nel tempo una storia che ha avuto origine magari molti anni prima adattandola all’evoluzione della società (cfr. “Appendice A”), nel caso di una start-up, che per sua definizione si trova in una fase di vita embrionale si tratta di iniziare a scrivere il proprio racconto su una pagina che al momento è completamente bianca. Questo “vuoto”, che inizialmente potrebbe creare una sensazione di spaesamento, è al contrario un’opportunità che dovrebbe essere colta fin da subito poiché un’identità coerente e condivisa (soprattutto tra i membri del team) permette di entrare in empatia con i clienti e influenzare le loro scelte. A questo proposito riporto un estratto dell’intervista condotta ad una dei co-founders di Ibrida, start-up nata nel 2018 all’interno di un laboratorio di sintesi finale presso il Politecnico di Milano nella quale risulta evidente l’importanza di quanto detto finora: “La definizione dell’identità ha rappresentato per noi una milestone fondamentale per capire come entrare in empatia con la comunità che stavamo costruendo e per essere riconoscibili sul mercato. (…) La maggior difficoltà a livello di comunicazione e branding si è presentata ad Ottobre e Novembre quando ci siamo chiesti che tipo di start-up di birra volevamo essere. (…) Abbiamo poi deciso di costruire un brand che riflettesse le peculiarità e le caratteristiche di questo prodotto. (…) È importante mantenere una comunicazione coerente nei diversi canali, sia online che offline, calibrando i messaggi in base al pubblico a cui ci si rivolge.” (cfr. “Appendice B”) Compiere questo tipo di operazione garantisce una maggior chiarezza e coerenza anche in vista del dialogo con terzi, che si tratti di futuri investitori, di un incubatore o di un’agenzia incaricata di occuparsi degli aspetti grafici piuttosto che della strategia di comunicazione.
104
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
Da queste considerazioni è nata l’idea di “Incipit.”, un workshop che accompagna gli start-upper nella costruzione dell’identità e del posizionamento del proprio progetto attraverso l’utilizzo di strumenti sviluppati in ottica narrativa. L’obiettivo principale di questa attività è proprio quello di raggiungere, attraverso il confronto tra e con i membri fondatori, una nuova consapevolezza come gruppo e come prodotto/servizio che andrà ad inserirsi sul mercato. Nella quarta parte dell’elaborato viene descritto dettagliatamente il processo che ha portato dalla definizione del concept progettuale alla realizzazione vera e propria.
3.6 Due esempi riusciti: Airbnb e Miscusi Se, come detto in precedenza, l’identità è quel fattore che permette di differenziarsi in un mercato ultra competitivo, nel quale l’offerta è talmente vasta che il potere decisionale è soltanto nelle mani degli stakeholders, Airbnb e Miscusi sono due imprese che lo dimostrano. Ma cos’hanno in comune queste due realtà che all’apparenza potrebbero apparire molto lontane tra loro? Innanzittuto esse sono state in grado di creare una vera e propria esperienza e non di offrire un semplice servizio e, in secondo luogo, entrambe hanno lavorato per sviluppare un racconto a partire dai loro valori che fosse non soltanto in grado di appassionare il loro pubblico ma che lo rendesse unico protagonista; ed è così che nascono l’Airbnb community e la Miscusi family. Famiglia, comunità, gruppo di persone che condividono gli stessi ideali e che al tempo stesso permettono di generare un world of mouth che si trasforma in vera e propria strategia di marketing. E inoltre, nel caso di Airbnb ad esempio si può notare un ampio utilizzo degli UGC, che hanno generato fiducia sia negli host che negli ospiti che hanno abbracciato un nuovo modo di viaggiare, che ti invita a vivere il luogo. Nel caso di Miscui sono i social a fare la differenza, immagini dai colori brillanti e un copy divertente e a tratti irriverente è in grado di catturare l’attenzione della generazione di Millensials e non solo.
105
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
3.6.1 Airbnb Airbnb è un portale online aperto da Brian Chesky e Joe Gebbia che ha lo scopo di mettere in contatto persone in cerca di una sistemazione per brevi periodi con persone che dispongono di uno spazio extra da affittare. Gli annunci includono sistemazioni “standard” come stanze private o interi appartamenti, ma anche alcune “inusuali” come castelli, ville, barche, fino ad arrivare a case sugli alberi, igloo e isole private. La storia di Airbnb è iniziata alla fine del 2007 quando i due giovani fondatori appena arrivati a San Francisco e ancora senza lavoro faticavano a pagare l’affitto della loro casa. Proprio in quei mesi la città si stava preparando ad ospitare un’importante conferenza sul design industriale e le camere d’albergo erano tutte piene. I due ragazzi vedono in quella situazione un’opportunità di guadagno e decidono di predisporre in una parte del loro loft alcuni materassi ad aria con l’idea di affittarli ai visitatori offrendo loro un posto per dormire e per fare colazione al mattino. In tempi brevissimi realizzano un sito chiamato “airbedandbreakfast. com” sul quale inseriscono il loro annuncio accompagnandolo a foto dello spazio ed è così che arrivano i primi 3 ospiti. Nei mesi successi Chesky e Gebbia organizzano conferenze per esporre il loro progetto e per invitare i privati a mettere a disposizione dei viaggiatori le stanze delle case inutilizzate. In quel periodo si unisce al gruppo Nathan Blecharczyk programmatore di 29 anni laureato in informatica. Insieme all’ultimo arrivato, nell’estate del 2008 i ragazzi riescono a lanciare un nuovo sito in tempo per approfittare di una Convention che si sarebbe svolta nella città di Denver e alla quale avrebbe partecipato anche Obama. In breve tempo il numero delle inserzioni e prenotazioni cresce notevolmente, ma il sito è ancora un servizio gratuito che non permette loro di guadagnare. A inizio 2009 dopo aver ottenuto i primi finanziamenti, i tre ragazzi ribattezzano “Airbed & Breakfast” in “Airbnb” e inseriscono su ogni prenotazione una percentuale di guadagno. I guadagni settimanali sono però troppo bassi, e questo spinge i 3 ra-
106
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
gazzi a recarsi a New York per incontrare i loro utenti con lo scopo di indagare sulle motivazioni. Grazie a questo incontro scoprono così che la causa principale della diffidenza verso il servizio deriva dalle foto delle inserzioni di bassa qualità e dalle descrizioni offerte dagli host che risultano spesso scarne e poco accattivanti. Decidono così di recarsi in prima persona da ogni inserzionista per fare scatti migliori da pubblicare, questa operazione risulta vincente in quanto le prenotazioni mensili si triplicano. Le cose iniziano a migliorare e nel marzo del 2009 Airbnb conta circa 10.000 utenti registrati e 2500 inserzioni. Nei due anni successici sembra finalmente venire riconosciuto il valore dell’idea e la ormai “ex” start-up riceve importanti finanziamenti. A fine 2011 si contano circa 5 milioni di prenotazioni in tutto il mondo e 6 mesi dopo la cifra è triplicata; viene inserita un’assicurazione in favore degli host e un servizio assistenza attivo h24/7. Nel 2012 viene aggiunta sul sito la funzione “wish list” ed introdotta la possibilità di salvare i luoghi preferiti, semplici operazione che rendono la piattaforma più coinvolgente e simile ad un vero e proprio social. A partire dal 2013 Airbnb ottimizza i propri servizi adattandoli ai dispositivi mobili e migliorandone il design. Fig. 30 Esempio di applicazione del nuovo logo airbnb su sfondo fotografico
107
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Logo e nuova identità Il logo della piattaforma era inizialmente composto solamente dal nome del servizio scritto in corsivo con i colori azzurro e bianco, accompagnato dal pay-off “Travel like a human” e sintetizzava quella realtà nata nel 2007 che si contrapponeva agli hotels offrendo a tutti la possibilità di viaggiare. Con il tempo i valori e gli obiettivi del servizio si sono evoluti ed è quindi diventato necessario costruire una nuova identità che fosse in grado di sintetizzarli e trasmetterli efficacemente agli utenti. Nel 2014 viene rielaborata una nuova versione del logo in grado di unire visivamente le stilizzazioni di 4 elementi: una persona felice con le mani alzate, una casa, un cuore, e la “A” di Airbnb. Questo simbolo che prende il nome di Belò (dall’inglese “to belong”, appartenere) è solo una delle operazioni che viene effettuata al fine di sottolineare valori quali il senso di familiarità, di appartenenza e di condivisione. Quest’operazione di rebranding ha dato il via ad un nuovo racconto tutto incentrato sulle persone e sul fatto che chiunque possa sentirsi a casa ovunque vada. Sono state intervistate circa 500 persone in tutto il mondo per raccogliere le loro testimonianze e il risultato ha portato alla luce una parola chiave in particolare: appartenenza, concetto riassunto nel tagline “Belong anywhere” che da quel momento accompagna e caratterizza l’intera comunicazione. Importanti miglioramenti sono stati fatti anche sulla piattaforma stessa che è diventata un vero e proprio raccoglitore di storie da tutto il mondo, se storytelling è la parola chiave i viaggiatori e gli host non possono che diventare unici protagonisti del racconto.
108
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
Fig. 31/32 Screenshot dal sito airbnb.it
109
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Airbnb community Con più di 750 milioni di ospiti in oltre 220 Paesi e regioni, “Airbnb favorisce i legami tra persone e comunità, nonché un sentimento di fiducia reciproca in tutto il mondo.” (dal sito di Airbnb) Come detto anche nel paragrafo precedente i contenuti di Airbnb sono totalmente incentrati sulle persone che possiedono le case messe a disposizione e sui viaggiatori che vi si recano. Lo scopo è proprio quello di sottolineare l’importanza delle relazioni che intercorrono fra i membri di questa “famiglia” sparsa per il mondo, rese possibili dal servizio stesso, e di farlo attraverso a creazione di un filo narrativo in grado di appassionare ed emozionare. Il marchio utilizza un linguaggio semplice e diretto con una comunicazione diversificata tra chi cerca alloggi e chi invece li mette a disposizione. Nella sua strategia di content marketing Airbnb sfrutta principalmente i contenuti creati dai consumatori stessi che diventano ambasciatori e portavoce del marchio. Lo used generated content è perciò il vero punto di forza della comunicazione di Airbnb che sfrutta, principalmente sui social, i contenuti pubblicati dagli utenti per consolidare la sua brand reputation. Fin dai primi anni della sua esistenza Airbnb ha saputo sfruttare al meglio la mania di pubblicare foto e condividere pubblicamente le proprie esperienze propria soprattutto della generazione dei millennials, ri-condividendone i contenuti (basti pensare che l’hashtag #airbnb conta ad oggi quasi 5 milioni di post) e creando un vero e proprio dialogo con la sua community che con il passare del tempo è cresciuta diventando molto ricca, variegata ed inclusiva.
110
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
Fig. 33/34 In alto mmagine utilizzata per raffigurare il concetto di comunità ; a destra il mission statement dell’azienda
111
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Comunicazione Appartenenza, comunità ma anche incontro e scambio sono alcuni dei valori sui quali si imposta tutta la comunicazione che coinvolge Airbnb. Dopo aver capito quanto fosse potente lo strumento del racconto, soprattutto come difesa dallo scetticismo iniziale nei confronti della nuova tipologia di ospitalità, la start-up ha sviluppato un impianto narrativo solido e coerente in tutte le sue parti immedesimandosi con il suo pubblico e progettando storie in grado di coinvolgerlo emotivamente. Di seguito due esempi di campagne che traducono da un punto di vista pratico questi principi: Wall and Chain (2014) In occasione della caduta del muro di Berlino Airbnb realizza in collaborazione con l’agenzia VCCP Berlin una campagna che attraverso un film animato racconta la storia vera di due guardie di confine, Joerg e Kai, provenienti rispettivamente dal versante est ed ovest della Germania, che si re-incontrano casualmente su Airbnb nel 2012, esperienza che cambierà la loro vita eliminando le barriere mentali. Questa campagna è stata creata con l’obiettivo, in linea con la filosofia del portale, di ispirare l’appartenenza e invitare a celebrare una Germania utilizzando una storia vera in grado di suscitare una profonda connessione tra e con i protagonisti. Per raccontare la potente storia sono stati utilizzati più elementi integrati su più piattaforme: 1- realizzazione del film d’animazione, che da vita alla storia conferisce al racconto un’aria magica; 2- In parallelo, è stato condotto uno studio a livello economico su Ber-
112
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
lino per mostrare i quartieri della città, e come i viaggiatori di Airbnb supportano l’economia locale in tutta Berlino e come hanno fatto la differenza per la città nel suo insieme; 3- Sono stati creati 10 articoli che raccontano contenuti rilevanti per il mercato locale, creati per rispondere alla necessità di informazioni e per la costruzione di una consapevolezza di base sulla città; 4- Sui social media, è stata sfruttata una serie di contenuti integrati per aumentare la consapevolezza della campagna e l’impegno con i video.
Fig. 35-38 Serie di frames dallo spot Wall and Chain per la caduta del muro di Berlino, 2014
113
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
5- Tre ulteriori video raccontano i dietro le quinte e mostrano la vere famiglie dietro il film d’animazione e come queste abbiano collaborato con il team di Airbnb per la creazione del filmato; 6- Per quanto riguardo l’offline è stata organizzata una vera e propria celebrazione in occasione del lancio del film “Wall and Chain” alla quale hanno partecipato host, viaggiatori e influencer come dimostrazione “reale” di cosa significhi abbattere le barriere. Live there (2016) Sviluppata in collaborazione con l’agenzia TBWA\Chiat\Day l’azienda ha diffuso una campagna dal titolo “Live there”. L’idea chiave del racconto si sviluppa a partire dal fatto che chi sceglie di non soggiornare in un hotel lo fa perché è alla ricerca di un contatto vero con le persone e con il luogo che decide di visitare. Iniziata con la raccolta di alcune brevi storie esperienziali trasformate in video, sottolinea che il viaggiare dev’essere molto di più del solo andare in un luogo per visitarlo e suggerisce di viverlo, come sintetizza lo slogan “Don’t go there. Live there”. I video prodotti sono stati poi diffusi su Youtube e Facebook, ottenendo in poco tempo risultati incredibili. Allo strumento video, sono state integrati ed utilizzati altri social media tra cui Instagram, nel quale venivano postate immagini professionali di viaggiatori. Inoltre, gli utenti sono stati poi coinvolti a partecipare in prima persona e a pubblicare direttamente le proprie foto e i propri messaggi utilizzando l’hashtag #LiveThere.
Fig. 39/40 Immagini per la campagna Live There, 2016
114
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
Archetipo Airbnb è un esempio interessante al fine di dimostrare cosa comporti per un brand avere una forte identità; infatti è possibile osservare come il rebranding effettuato nel 2014 abbia incrementato le prenotazioni e gli iscritti al portale. Questa operazione non ha comportato un vero e proprio stravolgimento dell’identità quanto più un consolidamento e un’evoluzione rispetto all’idea iniziale che risultava per certi versi “acerba”. Dopo un’analisi dei tratti principali che caratterizzano la start-up, dei suoi obiettivi e della filosofia alla base della comunicazione penso di poter affermare che si possa far corrispondere il brand alla figura dell’uomo comune (con riferimento ai 12 archetipi teorizzati da Mark e Pearson) in quanto archetipo posizionato nella sfera dell’appartenenza e che è caratterizzato da comportamenti indirizzati alla creazione di relazioni. Tuttavia poiché non si tratta di una scienza esatta sostengo che l’altro archetipo a tratti riscontrabile nella modalità di azione e comunicazione di Airbnb sia quello dell’esploratore trattandosi di un servizio ideato per viaggiatori e che sostiene una modalità di viaggio che va oltre l’idea di visita e che sprona a ricercare legami con luoghi e culture nuove.
115
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
3.6.2 Miscusi Miscusi è il primo fast-food di pasta fresca nel mondo, fondato a Milano da Alberto Cartasegna e Filippo Mottolese. Si tratta di un nuovo format ristorativo che prevede la preparazione dell’ingrediente principale all’istante in una cucina a vista. I due fondatori si conoscono all’università dove entrambi studiano economia, le loro strade poi però si dividono: il primo parte per Berlino e diventa co-fondatore di Helpling mentre il secondo rileva un locale nel centro di Milano e avvia “TOM. The ordinary Market”. Nel 2016 però una riflessione: nel vasto universo delle catene internazionali che spaziano tra pizza, hamburger, sushi ecc non ne esiste una incentrata sulla pasta. Da questa considerazione nasce l’idea di Miscusi, i due decidono di unire le forze e concretizzare le intuizioni avute. Da quel momento la crescita della start-up è incredibile, basta pensare che in poco meno di 18 mesi è stato aperto un secondo locale in città e i dipendenti sono passati da 8 a 70. Attualmente i ristoranti presenti in Italia sono 10: 5 a Milano e gli altri 5 divisi tra Firenze, Verona, Bergamo, Torino e Pavia. Il background in campo di ristorazione che accomuna i due ragazzi è quello tramandato dalla mamme e le nonne, e da qui nascono gli spunti progettuali: pasta rigorosamente fresca, prodotta giornalmente, così come i condimenti. Il format che vuole rispecchiare questa tradizione è stato studiato nel dettaglio: prodotti di qualità, materie prime selezionate, produzione in loco, un menù stagionale per garantire la freschezza degli ingredienti e un servizio veloce ed efficiente.
Fig. 41 Screenshot di un’immagine postata sulla pagina ufficiale Instagram
116
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
Logo Come già detto in precedenza da Miscusi si mangia un piatto di pasta, prodotta giornalmente nel pastificio interno, con diverse soluzioni di impasti di semole italiane da abbinare a piacimento ai condimenti che racchiudono sia tipicità italiane, che scelte più audaci; da bere solo vino, birra e acqua, come in trattoria. In due parole freschezza e genuinità, ed è a partire da questa “italianità” e da una gag del cartone animato “I Griffin” che nasce l’idea del nome, come spiega Cartasegna “è un’espressione che noi italiani diciamo sempre, rimane in mente anche se non te ne accorgi, all’estero è conosciuta e pronunciabile da chiunque e ha indubbiamente aiutato il passaparola iniziale”. Il logo costituito appunto dall’unica parola “miscusi” trasforma visivamente questa continua volontà di costruire un legame con le tradizione del passato e reinterpreta in chiave moderna quei valori di socialità, famiglia, amore per il cibo genuino. Il font utilizzato è simile ai caratteri utilizzati negli anni 20/30 mentre il colore dominate è un caldo rosso scuro. L’elemento grafico che lo contraddistingue, ovvero la ripetizione delle linee richiama alla mente la “rigatura” tipica di alcune tipologia di pasta.
Fig. 42 Immagine raffigurante il logo attuale di Miscusi e l’iconico piatto di pasta
117
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Stores Se l’ispirazione è quella delle cucine dove la tradizione della pasta fresca fatta a mano è radicata da generazioni il design dei ristoranti non poteva che rispecchiare il calore delle case italiane: dalle sale in cui si mangia è possibile vedere il pastificio, la playlist musicale alterna classici italiani a pezzi moderni, il servizio è informale ma preciso, il prezzo accessibile e per questo motivo il target è molto vario. Il progetto del primo locale in via Pompeo Litta e del secondo in piazza San Camillo De Lellis affidato al Gruppo C14 è la dimostrazione concreta di questa volontà: un’interpretazione innovativa di valori del passato attraverso l’accostamento di soluzioni differenti. Appena entrati due insegne in metallo identificano gli spazi dedicati alla cucina e al laboratorio e contribuiscono a rendere l’ambiente accogliente. (Dettaglihomedecor, 2017) Alla creazione di un’atmosfera calda ci pensano gli elementi di arredo, tra questi ad esempio il bancone in noce con piano in marmo adibito all’aperitivo, e i toni caldi dei mattoncini a vista sono accostati al verde delle pareti. Mentre la proiezione verso il futuro si ritrova nella scelta di materiali come la resina per il pavimento alternata ad un parquet in rovere. La cura per i dettagli è riscontrabile in ogni angolo, a partire dall’apparecchiatura della tavola: tovagliette rigorosamente a quadretti bianchi e rossi, caraffe per l’acqua e per il vino, stoviglie e piatti “come quelli della nonna” e lavagnette sulle quali è possibile leggere frasi come “Hai mangiato abbastanza? Cit. la nonna”.
118
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
Fig. 43/44 Fotografie di alcuni dettagli del locale in via Pompeo Litta
119
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Miscusi farm In totale rispetto della filosofia di miscusi, il marchio ha dato il via alla creazione della “miscusi farm”, il progetto di recupero di una cascina a 18 km da Milano pensata come centro di ricerca e formazione di tutti i ristoranti della catena. Si tratta della persona risposta della startup alla sempre più crescente diminuzione delle risorse presenti sul nostro pianeta. Il principale obiettivo è quello di riuscire a controllare la produzione degli ingredienti dalla terra alla tavola e nell’ottica della sostenibilità sperimentare nuove tecniche che permettano di giungere ad un modello di alimentazione sostenibile. Il progetto si trova presso il Neorurale Hub, laboratorio per lo sviluppo di soluzioni innovative e sostenibili, di proprietà della famiglia Natta dove la natura in 20 anni è riuscita negli anni a rigenerarsi dai danni causati dalle attività umane. La fertilità del suolo aumentata notevolmente permetterà di coltivare cibo migliore e più sano. “Aprire la miscusi farm in questo contesto, che sarà il polo dell’agri-food in Italia, significa essere protagonisti di una rivoluzione gentile iniziata due anni fa e che oggi serve a 70.000 persone al mese la pasta, alimento alla base della dieta mediterranea, patrimonio intangibile dell’umanità secondo l’UNESCO e, secondo la FAO, tra i modelli agroalimentari più sostienili del pianeta Terra (proprio per la sua biodiversità)” Alberto Cartasegna, ceo e founder di miscusi.
120
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
Comunicazione Fin dalla sua fondazione la strategia di Miscusi è stata quella di destinare il 100% degli investimenti pubblicitari alle campagne su Facebook e Instagram. Attraverso la pubblicazione di storie, video e post il marchio è in grado di raggiungere rapidamente la sua clientela creando una vera e propria community che condivide passioni e interessi. Il digital è quindi insieme a format semplice, prezzo contenuto cura nell’interpor design l’asso nella manica di Miscusi come traspere dalle parole di Mottolese «I social costano ancora poco per performare bene, quindi non è tanto una questione di budget, quanto di capire che andare sui social effettivamente serve, perché chi lo fa ottiene risultati migliori: nella ristorazione c’è un ritorno tangibile in clienti “veri” e fidelizzati». A questo proposito diventa necessario avere una strategia forte e soprattutto condivisa da tutto il team; a questo proposito vengono organizzati con cadenza regolare workshop con lo scopo di avviare una sorta di “contaminazione” tra tutti i dipendenti. Fin da subito infatti i fondatori si sono resi conto che tutto doveva essere creato dall’interno perché non sarebbe stato possibile raggiungere gli stessi risultati avvalendosi di agenzie esterne. La visione del brand si basa su 3 pilastri principali: prodotti di qualità, persone e comunicazione. Con 88 mila follower su Instagram e 56 mila su Facebook Miscusi è stata una delle prime realtà a capire l’importanza dei social network e dei contenuti pubblicati. Un’identità forte e soprattutto coerente in tutte le sue parti ha reso il brand fortemente riconoscibile. La scelta di un particolare taglio fotografico, ad esempio, fa sì che l’associazione con il marchio sia immediata. Ancora una volta la forza sta nella semplicità: un piatto di pasta sorretto da due mani diventa simbolo di un pranzo o una cena in compagnia. Unione, condivisione, tradizione e calore sono valori che si incontrano non solo nei contenuti visivi proposti ma anche nel copy ad esempio, frasi brevi e un tono amichevole fanno di miscusi “uno di famiglia”: “Sogniamo di unire il mondo attorno al piatto che il mondo ama di più. Noi stiamo già apparecchiando. Ti aspettiamo.” (Dal sito web di Miscusi) Questo riconoscersi e immedesimarsi in ciascuno di noi fa sì che le storie raccontate appassionino e fidelizzino il cliente.
Fig. 45 Fotografia dell’evento organizzato per l’inaugurazione della Miscusi farm
121
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Uno dei canali che maggiormente racconta i valori del brand è sicuramente il sito, fin dalla prima schermata nella quale la frase “Accomodati, ti stavamo aspettando” accoglie l’utente. Particolarmente interessante è anche la presenza della sezione “giornale” che presenta una serie di articoli contenenti ricette ma anche contenuti interessati non strettamente legati al cibo come la rubrica “Cose belle da fare a Milano nel mese di”. (Dal sito web di Miscusi)
Fig. 46/47 Due screenshot dal sito miscusi.com
122
PARTE III - Il fenomeno delle start-up
Alberto Cartasegna
Archetipo “La differenza tra un’ottima pasta che si può mangiare in tanti posti in Italia e la nostra è che la nostra pasta fresca trasmette il valore dell’artigianalità che si traduce in un gusto caratterizzante.” La sensazione che si ha quando si entra in uno dei ristoranti di Miscusi è quella di sentirsi a casa, al sicuro con la consapevolezza di poter mangiare un buon piatto di pasta senza nessuna sorpresa. Proprio per queste caratteristiche e a seguito dell’analisi effettuata sul brand gli archetipi che ho riscontrato sono l’uomo comune e l’angelo custode. Le due figure appartengono rispettivamente alla sfera dell’appartenenza e della stabilità, quindi sono proiettati verso la costruzione di relazioni all’interno di un ambiente che considerano stabile. Parte del successo della start-up, oltre la lungimiranza dei due fondatori, è stata proprio quella di capire non solo l’efficacia di una comunicazione coerente in tutte le sue parti ma di coinvolgere il team nella costruzione di un’identità condivisa. Il fatto che scorrendo su Instagram sia possibile riconoscere in un semplice piatto di pasta la firma di Miscusi ne è la prova.
Fig. 48 Fotografia scattata durante uno degli eventi realizzati da Miscusi durante il quale venive mostrato come impastare la pasta fresca
123
124
PARTE IV Il progetto
125
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
126
PARTE IV - Il progetto
Andrea Camilleri
4.1 Gli intenti progettuali
“Le tradizioni si modificano ma è fondamentale continuare a conservarle, in qualche modo, perché in un’epoca come la nostra, che è un’epoca dimutamenti, l’unico modo per non avere paura di tutto ciò che sta avvenendo, è sapere chi sei, senza bisogno di dirlo, di proclamarlo. Ma se sai chi sei, con le tue tradizioni, non perderai mai la tua identità.” L’analisi svolta a proposito della narrativa d’impresa ha permesso di individuare nell’identità l’elemento chiave per la costruzione di un racconto solido, in grado di appassionare l’utente, coerente in tutte le sue parti e fedele ai suoi valori ma capace al tempo stesso di evolversi in relazione al mutamento della società. A seguito di questa considerazione, memore dell’insegnamento di Bruno Munari “Complicare è facile, semplificare é difficile. (...) Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare.” ho iniziato a riflettere sulla possibilità di ideare uno strumento il cui obiettivo principale fosse appunto quello di semplificare il processo di sviluppo dell’identità di una start-up e in grado di mettere in contatto il mondo dell’impresa e quello della narrativa servendosi di un linguaggio e un tipo di immaginario facilmente comprensibile anche da coloro che appartengono ad ambiti lontani dal mondo del design e della creatività. In quanto progettista mi assumo la responsabilità di quanto seguirà nelle prossime pagine, con la speranza che questo lavoro possa un giorno trovare una sua applicazione nel mondo ordinario e assumere il ruolo di mentore per tutti gli eroi che decidono di investire energia, passione e tempo nel’inseguire la loro idea.
127
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
4.2
Lo stato dell’arte
Dopo aver definito gli obiettivi progettuali ho effettuato una ricerca attraverso il web per individuare quali siano gli strumenti attualmente disponibili e maggiormente utilizzati nell’ambito del branding, del marketing o che mettano in relazione i due mondi. Tramite questa analisi iniziale ho potuto dedurre che sono disponibili numerosi esempi di canvas sul web. Uno dei modelli più ricorrenti è il Prisma di Kapferer (2008), sviluppato negli anni 90 durante il passaggio dal marketing tradizionale a quello esperienziale quando diventa evidente che la marca dev’essere in grado di parlare al suo pubblico, tessere una relazione duratura con lui e servirsi del canale delle emozioni. Questo modello si compone di sei elementi, uno per ogni faccia della figura geometrica: - Fisico: sono gli elementi di base della marca, quelli che evocano un aspetto fisico o prestazionale - Personalità: una marca acquista un carattere, viene identificata come fosse una persona - Cultura: i prodotti derivano da un ben definito tipo di cultura di cui essi sono l’espressione - Relazione: la marca spesso fornisce l’opportunità di uno scambio intangibile fra persone, stabilendo fra esse un legame più o meno esplicito. - Immagine riflessa: modo nel quale il target della marca viene identificato dagli altri. - Auto-immagine: è l’immagine che il target ha di se stesso e che deve trovare conferma nella marca che viene scelta.
Fig. 49 Applicazione del modello di Kapferer al brand Apple
128
PARTE IV - Il progetto
Ho deciso di citare questo caso studio nello specifico proprio perchè è uno dei primi esempi nei quali il brand è reinterpretato secondo la concezione della marca-persona. La figura 48 mostra un’applicazione pratica e concreta del modello di Kapferer alla nota marca Apple che viene descritta utilizzando aggettivi e sostantivi che potrebbero essere associati ad un essere umano, come ad esempio “cool, connected, fun”.
Fig. 50 Brand Story Canvas realizzato da Creative Supply
Tra la ricerca svolta principalmente sul web un altro degli strumenti individuati che risulta particolarmente interessante è quello realizzato dalla compagnia di Zurigo “Creative Supply” che prende il nome di Brand Story Canvas. Questo strumento costituito da 7 voci è una mappa visiva che riassume i principali elementi che danno il via alla narrazione: contesto, innesco, temi, risorse, ideali, eroe e trama. L’esercizio prevede di compilare lo schema partendo da sinistra e cercando di riempire tutte le celle, dopo aver effettuato questo primo passaggio
129
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
viene suggerito all’utente di ripetere l’operazione per evidenziare gli elementi principali e i secondari tra quelli inseriti. In questo caso il passaggio può essere definito in maniera ideale come successivo rispetto al modello di Kapferer in quanto viene già introdotto il tema del racconto e quindi si presuppone che le caratteristiche del personaggio protagonista della storia siano già state definite. Infine, l’ultimo esempio citato “Brand thinking canvas” (Fig. 50) è uno strumento realizzato dalla compagnia The Brandling per aiutare la marca a definire chi è, cosa fa e sottolineare l’importanza di conoscere il proprio pubblico in modo da influenzarne i pensieri. Esso si suddivide in due parti: “Who are you?” e “Who is your audience?” ma ai fini della mia ricerca la attenzione si è focalizzata sul primo dei due. Costituito da una struttura circolare prevede la compilazione dall’interno verso l’esterno; come mostra l’immagine l’elemento centrale dello schema è “l’essenza del brand” che andrà a riflettersi su tutti gli altri aspetti, dalla visual identity fino ad arrivare al cerchio più esterno sul quale si trovano ad esempio gli eventi.
Fig. 51 Brand thinking canvas realizzato da The Brandling
130
PARTE IV - Il progetto
Quelli finora riportati sono solo 3 degli inifiniti esempi di strumenti reperibili online, tuttavia ciascuno ha permesso di ricavare insights che hanno favorito lo sviluppo delle linee progettuali: l’idea della marca come persona, il conseguente sviluppo di una narrazione attorno a questo personaggio e infine le implicazioni che le scelte effettuate hanno su tutto ciò che riguarda la strategia di comunicazione. A partire da queste considerazioni ho tentato di formulare una risposta che potesse riunire quanti più strumenti possibili all’interno di un unico format, con l’obiettivo di ottenere un alto grado di coerenza fra le parti. Trattandosi di un percorso ho inoltre pensato che fosse necessario procedere definendo più livelli e contestualizzare ciascuno degli strumenti in modo che non si tratti di una mera compilazione di valori prestabiliti ma, che al contrario sia personalizzabile a seconda delle caratteristiche dell’utente che ne usufruisce. Il tentativo è quello di ideare un viaggio nell’universo della marca che permetta una crescita delle consapevolezze riguardo il proprio prodotto e/o servizio.
Le fasi del viaggio nell’universo della marca
Definizione della marca come persona
Sviluppo di un’ identità forte e coerente
Costruzione del proprio racconto d’impresa
Creazione di legami forti con gli stakeholder
Fig. 52 Schema personale delle tappe per la costuzione del legame marca- stakeholders
131
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
La metafora: Il viaggio dell’eroe
“I realized that the good stories were affecting the organs of my body in various ways, and the really good ones were stimulating more than one organ. An effective story grabs your gut, tightens your throat, makes your heart race and your lungs pump, brings tears to your eyes or an explosion of laughter to your lips.” Il viaggio dell’eroe è un modello narrativo sviluppato dallo sceneggiatore Christopher Vogler e basato sugli studi dello storico junghiano Joseph Campbell. L’eroe del racconto è chiamato a completare una serie di tappe che lo portano a compiere il suo processo per raggiungere un’autoconsapevolezza ed un accrescimento interiore. Secondo Vogler tutte le storie si possono ricollegare ad un unico schema narrativo: l’eroe riceve una chiamata (1° atto) che lo allontana dal suo mondo ordinario, dopo un primo rifiuto iniziale anche grazie all’aiuto di un mentore si incammina per questa avventura varcando la soglia (2° atto) ed entrando nel mondo straordinario. Dopo aver affrontanto una serie di prove ed aver ottenuto una ricompensa, che corrisponde ad una sorta di momento di decompressione, si rimette in cammino lungo la via del ritorno e, dopo aver vissuto una resurrezione, ovvero una morte metaforica che gli permette di rinascere per vivere eternamente è pronto a tornare con l’Elisir, ovvero le sue nuove consapevolezze al mondo da cui è partito (3° atto). Quindi si tratta non soltanto di una narrazione ma di una vera e propria trasformazione scandita da un ritmo che alterna situazione ad alta intensità e momenti di detensione. L’eroe è quindi colui che compie questa trasformazione, vive il viaggio, fisico o mentale e cresce nel corso della storia. Ha spesso un punto debole ma sono queste imperfezioni a renderlo più reale e attraente; possiede inoltre numerose qualità ma quella più importante è il suo coraggio. Per il suo essere valoroso, temerario e sempre pronto a mettersi in gioco è paragonabile a tutti coloro che decidono di intraprendere una nuova attività, credendo nelle proprie idee e portando avanti i loro progetti anche se questo significa affrontare numerose sfide.
132
Christopher Vogler
4.3
PARTE IV - Il progetto
mondo ordinario chiamata
ritorno con l’elisir
rifiuto resurrezione
incontro con il mentore
MONDO ORDINARIO
3° atto
1° atto
varco della soglia
via del ritorno 2° atto MONDO STRAORDINARIO
prove
ricompensa
avvicinamento prova centrale
Fig. 53 Rielaborazione personale della struttura del Viaggio dell’eroe
133
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Il viaggio dell’eroe contiene un passaggio di stato dalla consapevolezza parziale a quella totale e più appagante; un percorso di crescita e di maturazione, un vero racconto di formazione che attraverso il cambiamento conduce ad una vita piena e di padronanza di sé.
4.4
Il concept: “From what I am to who I am”
“From what I am to who I am” è un’espressione inglese che riassume l’obiettivo principale del mio progetto ovvero quello di accompagnare i fondatori di una start-up attraverso un percorso di crescita. In questo viaggio, che prende ispirazione dal Viaggio dell’Eroe di Vogler, ciascun team sarà guidato e gli verrà chiesto di pensare al proprio progetto come ad un’essere umano protagonista di un racconto. Le somiglianze tra la teoria di Vogler e il ciclo di vita di una start-up sono innumerevoli: dopo la definizione di un concept iniziale, giunge la cossidetta “chiamata” ovvero il momento nel quale diventa imprescindibile il confronto con il mercato all’interno del quale è necessario superare numerose “prove” come lo scontro con i “nemici/competitors” ed è in questo momento di tensione che si è chiamati a dimostrare non soltanto la validità della propria idea ma convincere che il proprio progetto sia migliore di altri; in che modo è possibile dimostrare tale affermazione? Attraverso la costruzione di una forte identità sul quale improntare un racconto che permetta il riconoscimento e apprezzamento da parte del pubblico di riferimento. Come detto nel paragrafo 4.2 è innegabile che attualmente esistano numerosi strumenti, reperibili online, progettati per offrire supporto in questa fase, tuttavia quello che ho potuto notare attraverso la mia ricerca è che essi difficilmente contengono un numero di informazioni sufficienti a restituire un’immagine completa della marca-persona.
134
PARTE IV - Il progetto
A seguito di questa osservazione è nata l’idea di un progetto che potesse assolvere la funzione di raccoglitore degli strumenti già esistenti, rielaborati e implementati e che sottolineasse il legame tra il mondo della narrativa e l’universo della marca; per certi versi un esercizio di fantasia che utilizza un linguaggio comprensibile alla maggioranza delle persone, indipendentemente dal background culturale e dagli studi di provenienza. Dopo aver definito la metafora progettuale e stabilito una serie di linee guida ho iniziato a ragionare su quale format potesse collegare gli strumenti progettati tra di loro. Grazie al confronto con la mia relatrice ho ritenuto necessario, per una maggiore comprensione, la presenza di un mediatore, ovvero la figura di una persona informata sulle tematiche che potesse fungere da guida e per questo motivo la scelta più logica è stata quella di pensare all’inserimento del progetto all’interno di un’attività di workshop.
Fig. 54 Fotografia di uno schema realizzato nella fase di concept
135
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
4.5
Il format: perchè un workshop?
Un workshop è un corso informativo o didattico incentrato sull’insegnamento di abilità specializzate o sull’esplorazione di una materia specifica. I relatori del workshop sono di solito educatori, esperti in materia, manager o altri leader che possiedono una conoscenza profonda della materia specifica. A seconda dell’argomento, i workshop possono durare solo una o due ore o estendersi per settimane. I mediatori possono rafforzare l’efficacia delle loro presentazioni attraverso un’attenta pianificazione e organizzazione dei contenuti e delle tempistiche. L’efficacia della pratica É risaputo che in generale si apprende facilmente quando si è coinvolti in un attività, quando ci si assume la responsabilità delle proprie idee e si può discutere in gruppi di dimensioni tali che ciascuno senta di partecipare alla formulazione di qualcosa di nuovo. Il metodo del workshop incorpora questi principi e permette di generare al tempo stesso nuove sfide portando alla luce processi creativi e innovativi. I workshop rappresentano un tipo particolare di attività di gruppo: sono attività di formazione che conducono a risultati pratici e si articolano in varie esperienze di gruppo o sottogruppo. Solitamente implicano l’acquisizione di capacità nuove e/o la produzione di un qualche manufatto o progetto. A volte questo termine viene usato impropriamente per descrivere iniziative che sono poco più di semplici presentazioni seguite da un dibattito. In questa sede invece il termine indica un tipo di avvenimento che offre svariate occasioni di apprendimento attivo e si basa su esercitazioni di gruppo condotte e assistite da una o più persone. “Sono un’occasione, seppur breve, di presentare delle idee e averne in cambio diversi tipi di reazione; permettono di rispondere e far fronte ad una varietà imprevedibile di comportamenti. Durante il workshop, il moderatore ha tempo per riflettere e variare la strategia in quanto si tratta di “un esercizio di versatilità, elasticità e creatività che difficilmente trova eguali. Non c’è da stupirsi, pertanto, che questo tipo di corso sia diventato così richiesto negli ultimi 10 anni.” (Jacques, 1995, p.22)
136
PARTE IV - Il progetto
Progettare e condurre un workshop
Condizioni che facilitano l’apprendimento
Principi di buona conduzione
Il moderatore: I partecipanti desiderano o sentono il bisogno di imparare
Aiuta i partecipanti a definire gli obiettivi individuali e di gruppo
L’ambiente didattico è confortevole sia dal punto di vista fisico sia da quello dei rapporti interpersonali
Accerta che l’ambiente sia fisicamente confortevole, crea un senso di fiducia reciproca tra i partecipanti
I fini dei workshop sono compatibili con gli obiettivi dei partecipanti
Confronta il programma con i desideri e le esigenze dei partecipanti
I partecipanti condividono la responsabilità della pianificazione e dello svolgimento delle esperienze didattiche del workshop
Coinvolge i partecipanti in decisioni di gruppo riguardanti la conduzione dell’esperienze, si pone lui stesso come partecipante
I partecipanti prendono parte al processo didattico in modo attivo
Organizza una giusta combinazone di processi didattici attivi ed interattivi
Viene sfruttata l’esperienza precedente dei partecipanti
Pone in relazione le attività e i contenuti didattici del workshop alle esperienze passate dei partecipanti
I partecipanti sono consapevoli dei loro progressi in direzione degli obiettivi
Aiuta i partecipanti a valutare i loro progressi (anche con l’autocritica)
I partecipanti si rendono conto di quel che hanno realizzato, nonchè del sostegno e dell’approvazione dei colleghi
Offrei ai partecipanti l’occasione di condividere sia l’apprendimento che i progetti successivi e di ottenere un feedback costruittvo
I partecipanti raggiungono dei risultati per i quali si possono prevedere applicazioni pratiche
Aiuta a rendere pubbliche le proposte e i piani d’azione
Fig. 55 Rielaborazione personale dello schema di David Jaques (1995)
137
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Il ruolo del moderatore All’interno di questo processo la figura di un mediatore risulta necessaria in quanto egli si assume la responsabilità di controllare il processo globale e al tempo stesso lasciare vari gradi di libertà ai singoli partecipanti ed ai gruppi. Il comportamento direttivo che egli deve tenere è in gran parte simile a quello di chi conduce in modo efficace una discussione di gruppo ed è di grande aiuto per un’interazione aperta con i partecipanti parallelamente ad un’ulteriore (e specifica) capacità e cioè quella di intervenire nelle attività in corso per modificarle se necessarie. Ad esempio, proporre un’attività stimolante quando il livello energetico dei partecipanti sembra troppo basso; concludere un’attività di gruppo; risolvere alcuni problemi nei modi che vedremo in seguito. Le fasi principali - Verifiche preliminari, in particolare per quanto riguarda l’ambiente il cui arredamento dev’essere in linea con lo scopo della giornata. è anche possibile includere in questa decisione i partecipanti e insieme a loro riorganizzare l’ambiente per renderlo più funzionale - Apertura dei lavori, prima di iniziare qualsiasi attività occorre inanzitutto presentarsi per instaurare fin da subito un dialogo con i partecipanti e illustrare loro gli obiettivi che si vogliono perseguire nel corso della giornata - Antipasto, organizzare un attività per rompere il ghiaccio, se il gruppo è piccolo è possibile per il moderatore prendere parte al gioco in prima persona - Centrare l’argomento, stabilire un’attività che metta in relazione l’esperienza dei partecipanti con l’argomento da trattare (ancora una volta può trattarsi di un gioco o in alternativa anche un semplice racconto da parte di ogni componente del gruppo) - Intervallo, di almeno un quarto d’ora, è possibile stabilirlo in precedenza in modo funzionale nel caso siano necessari dei cambiamenti tra un esercizio e l’altro - Generatore di idee, non si tratta di una vera e propria fase ma dell’utilizzo del pensiero creativo o brainstorming al fine di generare nuovi spunti e riflessioni
138
PARTE IV - Il progetto
- Esercitare le proprie capacità. Legata alla sfera del comportamento umano, questa fase è utile a riflettere circa le proprie prestazioni personali - Esame retrospettivo delle attività, fase di riesame del workshop di quanto si è imparato e dei problemi irrisolti attraverso l’espressione delle proprie opinioni riguardo la giornata. Può essere utile a consolidare quello che si è imparato ma anche il rapporto tra mediatore e partecipanti. - Piani d’azione, sarebbe ottimale che al termine del workshop venisse spontaneo ai partecipanti chiedersi come poter utilizzare in futuro le conoscenze acquisite durante la giornata poichè questa riflessione permetterebbe di evidenziarne l’utilità e rafforzerebbe la volontà di impegnarsi in futuro - Valutazione, per il moderatore è necessario ricevere un feedback sul risultato del workshop dal punto di vista dei partecipanti. Questo giudizio può essere espresso al termine della giornata o in seguito, in forma pubblica o privata, attraverso una modalità orale o scritta. A questo proposito esiste un tipo di giudizio conosciuto come “misurazione della temperatura”, nel quale viene chiesto ai partecipanti di esprimere la propria opinione riguardo: ciò che si è maggiormente apprezzato, ulteriori informazioni che si vorrebbero ottenere, argomenti che presentano dubbi e perplessità rimaste irrisolte, critiche e suggerimenti (preferibilmente costruttivi) ed infine pontenzialità per il fututo. - Iniziative successiva al workshop, da un lato occorre collezionare e analizzare i feedback ricevuti per ipotizzare eventuali cambiamenti/miglioramenti, dall’altro mantenere i rapporti con gli ex partecipanti se possibile per verificare gli eventuali sviluppi successivi al workshop.
139
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
4.5.1 Il flusso temporale Dopo aver individuato nel format workshop il tipo di esperienza attraverso la quale sviluppare l’output progettuale, guidata dalla metaforadel “Viaggio dell’Eroe”, ho iniziato a suddividere le attività. Non avendo conoscenze pregresse nell’ambito ho cercato di seguire le indicazioni fornite da esperti in materia riguardo le modalità di conduzione, la suddivisione dei tempi l’idea di un percorso che non solo fosse scandito da un susseguirsi di attività ma da che mettese in relazione ciascuna di esse con le tappe definite da Vogler e che quindi preveda momenti di maggior tensione alternati a momenti di pausa. Come si nota nello schema a fondo pagina il viaggio prevede 9 fasi principali intervallate da due momenti di break. Per informare il team sul percorso che andrà ad effettuare durante la giornata di workshop è stato previsto l’invio per email di una guida informativa che in poche pagine riassuma le tematiche affrontate, gli obiettivi principali e la suddivisione temporale. Procedendo con l’analisi della suddivisione temporale si incontrano per
Fig. 56 Rappresentazione del flusso temporale
4 2
Guida pdf inviata una settimana prima della data del workshop
1 presentazione n°1 durata: 30 min circa
tool n°2 (es di gruppo) collocare i sostantivi nel cerchio durata: 15 min circa + tool n°3 (es di gruppo) lettura delle 12 carte durata: 20 min circa
tool n°1 (es singolo) lista di sostantivi durata: 1O min circa + discussione di gruppo durata: 20 min circa
presentazione n°2 durata: 30 min circa
PRIMA PROVA
AVVICINAMENTO PROVA CENTRALE
CHIAMATA
VARCO DELLA SOGLIA
ATTO I
ATTO II: mi scopro
140
5
3
PARTE IV - Il progetto
prima cosa due momenti della durata di 30 minuti ciascuno nei quali attraverso l’utilizzo di slide di supporto vengono inquadrati gli argomenti e le teorie che stanno alla base dell’attività. Tra la prima presentazione che corrisponde al “varco della soglia” e la seconda presentazione i partecipanti sono chiamati a svolgere un breve esercizio che ha lo scopo di introdurre alla tematica centrale senza rivelare troppi indizi, solo dopo la seconda presentazione infatti viene introdotto il tema degli archetipi e ci si avvicina ad uno dei momenti di “massima tensione”, ovvero la “prova centrale.” Dopo una serie di esercizi compilativi che prevedono momenti di riflessione e confronto è prevista una pausa di 30 minuti durante la quale i partecipanti possono usufruire di frutta fresca e degli snack di vario tipo messi a disposizione dal mediatore; questo break di mezz’ora permetterà a tutti di rilassarsi dopo un’intensa prima parte di ragionamento. Al termine della pausa sono previsiti due momenti indicati come “resurrezione” proprio perchè riflettono quel momento di climax individuato da Vogler, ovvero quella morte metaforica che permette all’eroe di rinascere nella nuova versione di se stesso. Con l’acquisizione di queste nuove consapevolezze e con il delineamento del proprio archetipo di riferimento l’eroe/start-upper è pronto per presentarsi al “mondo ordinario” più cosciente dei suoi valori e delle caratteristiche che lo contradistinguono.
6
7
tool n°5 (es di tool n°4 (es di gruppo) gruppo) compilazione di creazione della 3 canvas carta archetipo durata : 20 min circa 30 min durata: 20 min circa
VIA DEL RITORNO
ATTO III: mi definisco
8 tool n°6 (es di gruppo) compilazione di un canvas durata: 40 min circa
9 discussione di gruppo e confronto finale 60 min durata: 60 min max
RESURREZIONE
RITORNO CON L’ELISIR
x
n° identificativo dell’attività attività pre-workshop workshop momento di pausa
141
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
In sintesi il workshop tenta di ripercorrere, con qualche modifica i 3 atti indivduati da Vogler, più precisamente reinterpretandoli secondo la seguente distinzione: Atto 1 - mi scopro Atto 2 - mi definisco Atto 3 - mi presento I fondatori della start-up quindi parteciperanno alla giornata di workshop dopo aver effettuato autonomamente un’analisi del mercato e individuato una serie di parole chiave rappresentative del proprio progetto; con il primo esercizio terminerà il processo di scoperta dopodichè attraverso una serie di domande, alla conclusione del 2° atto, si otterrà una definizione più completa del quadro genelare che permetterà in futuro di sviluppare il proprio racconto aziendale e di impostare una strategia di comunicazione in linea con i propri valori e target.
4.5.2 Il flusso spaziale La figura di destra sintetizza la conformazione spaziale idealmente progettata per la giornata del workshop. Lo spazio è stato pensando diviso in “isole”, ciascuna corrispondente ad una delle tappe del viaggio per trasformarlo il più possibile da metaforico a reale. L’idea è di rendere l’esperienza più dinamica anche da un punto di vista spaziale. Questo disposizione è stata pensata per rendere l’intera giornata più interrativa e con un “velo di mistero” dal momento in cui non vengono mai visionati gli strumenti in anticipo, ma si scoprono solo completando le diverse tappe del viaggio. I momenti delle presentazioni (1,3) così come il confronto finale (9) avvengono intorno al medesimo tavolo che trovandosi di fronte ad un proiettore rende facilmente fruibili le slide da parte di tutti i partecipanti. Dopo di che le attività vengono compiute spostandosi nello spazio in senso orario. In fondo alla stanza è stato predisposto un’area “ristoro” rifornito di caffè, snack e frutta fresca al quale è possibile accedere per tutta la durata del workshop e in particolare durante il momento di pausa.
142
PARTE IV - Il progetto
x
n° identificativo dell’attività flusso libero spostamenti previsti
Spazio della “ricompensa”
4
5
6
7
2
1
3
8
9
Schermo per la proiezione delle presentazioni Fig. 57 Rappresentazione del flusso spaziale
143
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
4.6
L’identità di Incipit.
Dopo aver definito il format della giornata e l’insieme degli strumenti le mie riflessioni si sono spostate verso la definizione dell’identità dell’output, che come ampliamente ripetuto è parte fondamentale di qualsiasi attività progettuale. Per prima cosa ho stilato una serie di parole chiave legate al progetto, tra queste figuravano ad esempio: partenza, viaggio, cambiamento, crescita e consapevolezza; dopo un’ampia riflessione sono arrivata ad un’unica espressione che potesse in qualche modo racchiuderle tutte: incipit. Il termine “Incipit” deriva dal latino “incipere”, incominciare, viene utilizzato comunemente nella lingua italiana per indicare le parole iniziali di un testo, di un racconto ma anche, ad esempio, le prime note di un brano musicale. Incipit. è quindi il nome scelto per indicare l’insieme degli strumenti che vengono utilizzati durante la giornata di un workshop pensato per aiutare le Start-up, che nelle prime fasi di sviluppo di un progetto devono confrontarsi con la loro identità e definire quali sono i valori che le caratterizzano e per i quali verranno apprezzate. Dopo aver inidividuato il nome ho deciso di focalizzarmi sulla costruzione del logo (Fig. 57), dei colori e di alcuni elementi grafici ricorrenti. Per quanto riguarda il logo ho optato per riportare il nome per intero e ho utilizzato il font Monument, insieme alle lettere compaiono anche 4 elementi grafici dai quali è stato ricavato inseguito il pattern che caratterizza l’intero progetto. Per quanto riguarda la scelta dei colori essa è ricaduta su una palette composta principalmente da due colori, un blu e un rosa acceso, che potessero rappresentare le due caratteristiche principali del progetto: serietà e al tempo stesso semplicità. Alle due tinte utilizzate per il logo ne sono state aggiunte altre 4 che ricorrono negli strumenti.
144
PARTE IV - Il progetto
Dopo aver identificato logo e colori ho riflettutto su un payoff che potesse richiamare alla metafora progettuale e dicesse qualcosa di più rispetto allo scopo e la scelta è ricaduta sull’espressione “From ordinary to extraordinary”. La contrapposizione ordinario-straordinario costituisce un riferimento diretto alla distinzione effettuata da Vogler tra mondo ordinario e straordinario e vuole sottolineare ancora una volta che si tratta di un percorso di crescita per la start-up alla quale viene data la possibilità di costruire una propria identità che la renda riconoscibile nel mercato e memorabile. Nelle pagine seguenti verranno analizzati nel dettaglio tutte le componenti che nell’insieme costituiscono il kit di supporto all’attività di workshop. Costruzione
Fig. 58 Costruzione del marchio Incipit. b
b
b 1/20a
b
b
b 1/20a
Area di rispetto a
b
2b
2b
2b
2b b
2b
2b
2b
2b
145
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Marchio Fig. 59/60 A sinistra definizione dei colori e degli elementi base del pattern; a destra logo e payoff su pattern
ern
146
PARTE IV - Il progetto
147
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
4.6.1 Il raccoglitore degli strumenti Incipit non è solo il progetto di un workshop ma è anche l’insieme di strumenti che inseriti in un percorso guidato permettono ad una startup di arrivare a definire il proprio archetipo di riferimento nonchè i propri valori e obiettivi. Questo insieme di strumenti viene riunito in un packaging appositamente pensato per contenerli al suo interno e facilitarne il trasporto. Una pratica cartellina costituita 4 sezioni: le due estemità laterali munite di tasche contengono i canvas da riempire, il cerchio degli archetipi e la lista di sostantivi mentre nella parte in alto grazie ad una fetuccina elastica viene posizionato il deck di carte. Esso si richiude su se stesso arrivando ad avere le dimensioni di un foglio A4. Il mediatore porterà con sè il raccoglitore che diventerà di proprietà della start-up al termine della giornata. Da un punto di vista grafico sia esternamente che internamente esso è caratterizzato dai due colori principali: blu e rosa acceso per essere facilmente riconoscibile e associabile a Incipit. Sul fondo della cartellina è invece presente un documento che raccoglie le informazioni generali riguardo il progetto e riporta un elenco degli elementi contenuti nella cartellina. L’involucro è stato realizzato utilizzando un cartoncino di spessore 300 grammi ricoperto su entrambi i lati con un adesivo stampato su vinile, questo ha permesso di conferire all’oggetto robustezza e rigidità ma al tempo stesso ha garantito la possibilità di effettuare le ripiegature tra le varie componenti.
148
PARTE IV - Il progetto
Fig. 61 Mockup del kit Incipit. con relativi strumenti all’interno
149
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
4.6.2 La guida informativa
Al fine di velocizzare e rendere più fluide le attività durante la giornata di workshop è stata pensata per ciascuno dei partecipanti una brochure digitale che viene inviata una settimana prima circa. Essa riporta i seguenti argomenti: il processo che ha portato alla definizione del nome Incipit., gli obiettivi che si vogliono raggiungere al termine dell’attività, un breve accenno al viaggio dell’eroe, il programma con riferimento alle tempistiche e una panoramica generale sugli strumenti che verranno utilizzati. L’intento è quello di fornire alcune indicazioni al fruitore con lo scopo di anticipare quelle che saranno le tematiche principali e, in un’ipotesi positiva, incuriosirlo. Essa definisce inoltre, in poche parole, chi è l’eroe di questo racconto, ovvero colui che in quel momento sta leggendo. Vengono sottolineate le parole viaggio, crescita e consapevolezza che sono i valori fondamentali dietro il progetto. Il linguaggio è semplice e si rivolge direttamente al lettore. Da un punto di vista visivo essa introduce il layout che caratterizza l’intero progetto. Si tratta di un numero limitato di elementi, illustrazioni semplici, colori accessi, e il pattern ricavato a partire dal logo di Incipit. che viene utilizzato come elemento grafico.
150
PARTE IV - Il progetto
151
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
4.6.3 Le presentazioni Ho ritenuto necessario, come precedentemente affermato nel paragrafo 4.5.1 inserire due momenti di lezione frontale, della durata di 30 minuti circa ciascuna, proprio per fornire alcune conoscenze di base riguardo il mondo della narrativa, della brand identity e l’importanza degli archetipi nel processo di definizione del proprio Io. Nello specifico, la prima presentazione denominata “varco della soglia” ha l’obiettivo di introdurre la figura del mediatore che si presenta al gruppo di partecipanti e domanda loro di presentarsi brevemente a loro volta per “rompere il ghiaccio”. Dopodichè viene fatto un ulteriore appunto sui contenuti di Incipit. (già delineati nella guida informativa), questo momento serve infatti per creare una sorta di allineamento tra tutte le persone coinvolte, anche in caso qualcuno di esse non abbia avuto l’occasione di leggere le indicazioni ricevute via mail. La presentazione si focalizza poi su uno dei maggiori temi della giornata, ovvero l’importanza del racconto anche nel campo delle imprese. Viene poi brevemente citato il viaggio dell’eroe e definito che questo personaggio non è nient’altro che il riflesso dell’imprenditore. Infine viene mostrato il kit di strumenti Incipit. senza però entrare nello specifico, dal momento che essi verranno svelati man mano che si procede nel corso della giornata. Infine dopo aver fatto alcuni accenni al concetto di identità si svela finalmente il primo degli strumenti che verrà utilizzato: la lista dei sostantivi. La seconda presentazione invece, denominata “avvicinamento”, come suggerisce il termine ha lo scopo di accompgnare i partecipanti vero il fulcro centrale della giornata, ovvero la definizione della propria carta archetipo; per questo motivo attraverso una serie di riferimenti a personaggi di film piuttosto famosi vengono brevemente presentate le 12 figure e le relative peculiarità con particolare riferimento alla loro applicazione all’interno dell’ambito del branding. A questo punto si conclude la sessione di presentazioni e dopo aver fatto cenno agli altri strumenti contenuti nel kit si da ufficialmente il via alla giornata di attività. In entrambi i casi il discorso preventivamente preparato dal mediatore sarà supportarto da alcune slide proiettate e in aggiunta alle spiegazioni teoriche sarà premura del mediatore accennare ad esempi pratici che rendano i concetti il più chiaro e comprensibile possibile .
152
PARTE IV - Il progetto
Argomenti
PRESENTAZIONE I*
- Breve presentazione mediatore - Obiettivi e struttura del workshop - Che cos’è la narrazione d’impresa - Il viaggio dell’“eroe” - Chi è l’eroe? (membri del team) - Breve revisione del programma della giornata di workshop - Focus sul I atto (mi scopro) e sul concetto di brand identity e la differenza con la visual identity
PRESENTAZIONE II*
- Introduzione al concetto di figura universale archetipica - Presentazione nel dettaglio delle 12 figure universali - Cenni sull’archetypal branding e sull’importanza della marca-persona - Focus sul II e III atto (mi definisco e mi presento) - Introduzione dei restanti strumenti contenuti nel kit Incipit.
“Il varco della soglia”
“Avvicinamento”
*Durante i due momenti di presentazione sarà cura del mediatore fornire esempi concreti in supporto alla teoria
Durata
20 minuti + spazio per domande e chiarimenti
20 minuti + spazio per domande e chiarimenti
Fig. 62 Schema riassuntivo delle presentazioni
Il programma
ATTO II: mi scopro
incontro con il mentore H 09:10 - 09:30
Lezione n°1: “Il varco della soglia”
H 09:30 - 09:40
Tool Prima prova
H 09:40 - 09:55
Discussione in gruppo dei risultati
H 09:55 - 10:15
Lezione n°2: “Avvicinamento”
H 10:15 - 10:50
Tools Prova centrale
ATTO III: mi definisco
ricompensa H 11:30 - 12:00
Tools Via del ritorno
H 12:20 - 13:00
Tools Resurrezione
pausa pranzo H 14:00 - 15:00
Ritorno con l’Elisir e feedback
Fig. 63 Esempio di slide utilizzata nella presentazione N°1
153
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
4.6.4 La lista dei sostantivi La prima attività proposta ai partecipanti, denominata “lista dei sostantivi” ha lo scopo in 10 minuti di introdurre i partecipanti al mondo Incipit. attraverso una tipologia di esercizio semplice, che richiede un’attività di riflessione ridotta. Si tratta dell’unico esercizio che viene svolto singolarmente da ogni membro del team e in questo risiede la sua forza; infatti il percorso di workshop non vuole semplicemente mettere in luce le caratteristiche principali della propria start-up ma si propone al tempo stesso di favorire e incrementare la connessione tra i membri del gruppo. Per questo motivo essi sono chiamati a riflettere dapprima in solitaria su quali siano i sostantivi che maggiormente si ricollegano al loro progetto e soltanto in un secondo momento a confrontarsi con gli altri membri per motivare le proprie scelte e ri-allinearsi in modo da ottenere una visione univoca degli elementi base da cui partire. Sii tratta di una lista 60 sostantivi, 5 legati ad ogni figura archetipica ma, dal momento in cui, non è stata contestualizzata la scelta è svincolata da qualsiasi preconcetto. Nella parte in basso dello strumento ho predisposto una serie di spazi per l’inserimento di altri sostantivi e/o aggettivi qualora lo start-upper decida di aggiungerne altri che ritiene interessanti. Presentata quasi sotto forma di “gioco” fa parte di quelle attività definite warm ups che hanno lo scopo appunto di stimolare e attivare i partecipanti. Da un punto di vista del formato si tratta di un foglio delle dimensioni 210 mm per 594 mm e dello spessore di 180 grammi. La dimensione è stata studiata per potersi ripiegare in due ed essere inserita all’interno del kit e quindi facimente trasportata.
154
PARTE IV - Il progetto
210 210mm mm
TOOLS - PRIMA PROVA
584 mm 584 mm
Individuate tra la seguente lista di sostantivi quelli che maggiormente rispecchiano la filosofia del vostro progetto.
AIUTO
SENSO DI MERAVIGLIA
ALTRUISMO
SICUREZZA
COMPASSIONE
PUREZZA
PAZIENZA
FIDUCIA
EMPATIA
ONESTÀ
CONTROLLO
CONOSCENZA
POTERE
SAGGEZZA
SUPERIORITÀ
INTELLIGENZA
ÉLITE
CHIAREZZA
LUSSO
VERITÀ
ANTI-CONFORMISMO
AUTO-SUFFICIENZA
INNOVAZIONE
LIBERTÀ
CREATIVITÀ
INDIPENDENZA
IMMAGINAZIONE
CORAGGIO
FANTASIA
AVVENTURA
APPARTENENZA
EVASIONE ANTI-CONFORMISMO
RISPETTO
RIVOLUZIONE
SEMPLICITÀ
COMANDO
LEALTÀ
SFIDA
CONCRETEZZA
ENERGIA
DIVERTIMENTO
TRASFORMAZIONE
UMORISMO
CURIOSITÀ
ORIGINALITÀ
INTUIZIONE
IRRIVERENZA
CARISMA
EUFORIA
EVOLUZIONE
INTIMITÀ
VALORE
PASSIONE
FORZA
SENSUALITÀ
CORAGGIO
AFFETTUOSITÀ
SACRIFICIO
DELICATEZZA
REDENZIONE
spazio per inserire ulteriori sostantivi e/o aggettivi durante lo svolgimento dell’attività
Fig. 64 Lista dei sostantivi
Stampa su foglio 180 g
155
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
4.6.5 Il cerchio degli archetipi Dopo la lezione “avvicinamento” si entra direttamente nel mondo degli archetipi; la seconda attività infatti denominata “il cerchio degli archetipi” prevede che a partire dalla lista completata in precedenza i sostantivi scelti vengano ricollocati all’interno del cerchio dove questa volta sono stati suddivisi in riferimento ai 12 archetipi. Sullo strumento, le cui dimensioni sono di 594 mm per 594 mm, le 12 figure sono raggruppate attraverso l’utilizzo dei colori in sottogruppi di 3, a seconda del bisogno umano che guida maggiormente il loro comportamento: Stabilità (fornire una struttura al mondo), Indipendenza (ritornare al paradiso perduto), Cambiamento (lasciare un segno) e Appartenenza (costruire relazioni). Dopo aver evidenziato nello schema gli aggettivi precedentemente individuati sarà più semplice definire verso quali di queste personallità ci si sente più affini. In questo processo di confronto e di scelta un ulteriore strumento viene in aiuto degli start-upper, si tratta del deck di carte approfondito nel paragrafo successivo.
Fig. 65/66 Immagini rappresentative del cerchio degli archetipi
156
PARTE IV - Il progetto
594 mm
Stampa su foglio 180 g
TOOLS - AVVICINAMENTO
RIBE LLE
594 mm
Dopo aver scelto tra la lista di aggettivi proposti quelli più affini al vostro progetto e dopo aver appreso quali sono i principali archetipi di riferimento, compiere la stessa operazione di scelta per verificare la propria posizione all’interno del cerchio.
ALTRO:
AIUTO ALTRUISMO COMPASSIONE PAZIENZA EMPATIA
SICUREZZA PUREZZA SENSO DI MERAVIGLIA FIDUCIA ONESTÀ
RIVOLUZIONE COMANDO EVASIONE SFIDA ENERGIA
INTIMITÀ PASSIONE DELICATEZZA SENSUALITÀ AFFETTUOSITÀ
CONTROLLO POTERE SUPERIORITÀ ÉLITE LUSSO
CONOSCENZA SAGGEZZA INTELLIGENZA CHIAREZZA VERITÀ
TRASFORMAZIONE CURIOSITÀ INTUIZIONE CARISMA EVOLUZIONE
DIVERTIMENTO UMORISMO ORIGINALITÀ IRRIVERENZA EUFORIA
ANTI-CONFORMISMO INNOVAZIONE CREATIVITÀ IMMAGINAZIONE FANTASIA
AUTO-SUFFICIENZA LIBERTÀ INDIPENDENZA CORAGGIO AVVENTURA
VALORE REDENZIONE CORAGGIO SACRIFICIO FORZA
APPARTENENZA RISPETTO SEMPLICITÀ LEALTÀ CONCRETEZZA
157
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
4.6.6 Il deck di carte Durante la compilazione del cerchio degli archetipi i partecipanti avranno la possibilità di analizzare il deck di carte ciascuna di esse rappresentativa di uno dei 12 archetipi. Il mazzo è stato progettato a partire dalle figure archetipiche individuate da Mark e Pearson nel libro “The Hero and the Outlaw: Building Extraordinary Brands Through the Power of Archetypes”. L’idea di rappresentare questi personaggi sotto forma di carte permette di sintetizzarne le caratteristiche principali in poche righe. Nel fronte della carta è presenta un’illustrazione del personaggio, il suo appellativo e il suo motto; nel retro invece sono riportati i tratti distintivi,nello specifico i suoi desideri, le paure, la strategia che adotta, la trappola nella quale potrebbe ricadere e il dono che lo rende unico. Le dimensioni delle carte sono di 9 mm per 140 mm e sono stampate su una carta 300 grammi. É possibile raggrupparle in 4 mazzi composti da 3 carte ciascuno resi evidenti da un uso diverso dei colori, che rappresentano le 4 attitudini umane ricorrenti: stabilità, cambiamento, indipendenza e appartenenza. All’interno del mazzo è presente una carta che si differenzia dalle altre in quanto di colore bianco e con spazi vuoti da compilare (Fig. 67 ) che saranno completati dal team durante la fase di “resurrezione” quando viene definito il proprio archetipo.
158
PARTE IV - Il progetto
90 mm
Stampa su foglio 300 g
“ � Tratti distintivi
140 mm
Desiderio Obiettivo Paura Strategia Trappola Dono
Altro
Fronte
Retro Fig. 67/68 In alto esempio di carta con relative dimensioni; a sinistra fotografia della carte stampate
159
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
1
1 - L’innocente “Free to be you and me”
“Free to be you and me”
I brand che si ispirano all'archetipo dell'innocente richiamano la purezza d'intenti, l'affidabilità e la vita semplice. Sono utopisti, romantici, sognatori, amano il bello e i sentimenti spontanei e genuini. Il tono di voce è allegro e irradia ottimismo; il linguaggio è conciso e le immagini evocano la natura incontaminata. I colori sono tenui e luminosi. La cura del cliente è il fulcro della loro azione. Solitamente si tratta di brand che operano nel settore benessere o nell'ambito delle relazioni.
Tratti distintivi
Desiderio ritornare a vivere il paradiso perduto Obiettivo essere felice Paura fare qualcosa di sbagliato che scaturisca in una punizione Strategia cercare di fare le cose nel modo giusto evitando gli errori Trappola essere infantile, non affrontare i propri problemi Dono ottimismo e fiducia
Esempi di brand
Mulino Bianco, Coca Cola, McDonald’s
INNOCENTE
2
2 - Il saggio
“The truth will set you free.”
“The truth will set you free”
In genere pubblicizzati come “esperti”, solitamente si tratta di qualsiasi azienda la cui azione si concentra su ricerca, sviluppo e divulgazione di informazioni, come istituti di istruzione superiore, musei, librerie e biblioteche. Un brand saggio tende ad usare una comunicazione diretta, raffinata, senza nessun ornamento. Motivo per cui anche i colori che lo rappresentano sono generalmente ‘neutri’ o ‘tenui’ come blu, grigio o beige. Essi con i loro messaggi incoraggiano la libertà di pensiero, l’individualità e in alcuni casi anche l’esclusività.
Tratti distintivi
Desiderio trovare la verità Obiettivo usare l’intelligenza per comprendere il mondo e la sua essenza Paura essere ingannato, l’ignoranza Strategia andare alla ricerca della conoscenza, essere auto-riflessivo e approfondire il processo di pensiero Trappola non concretizzare in azioni reali i suoi studi Dono intelligenza, saggezza
Esempi di brand Google, BBC, TED
SAGGIO
3 “Don’t fence me in”
3 - L’esploratore “Don’t Fence Me In.”
I brand esploratori si promuovono come un mezzo per aiutare gli altri a sperimentare il nuovo e l’ignoto. Per valorizzare sul mercato questa tipologia di brand, la strategia migliore consiste nell’enfatizzare la sua storia dall’interno, immaginando, per esempio, cosa significhi per un cliente sentirsi intrappolato dalla sua stessa vita, desiderare una vita più avvincente e avventurosa. Il peggior esito per un brand legato a questo archetipo è apparire come troppo rigido e impostato, in quanto al contrario deve rappresentare proprio quella via di fuga tanto bramata.
Tratti distintivi
Desiderio scoprire la sua vera essenza esplorando il mondo in libertà Obiettivo vivere una vita migliore, autentica e più soddisfacente Paura essere intrappolati, conformarsi, e vuoto interiore Strategia viaggiare, andare alla ricerca di nuove esperienze e sfuggire dalla quotidianità Trappola diventare un reietto della società e vagabondare senza meta Dono forte autonomia, ambizione, capacità di rimanere fedeli a se stessi
Esempi di brand The NorthFace, Patagonia, Jeep
ESPLORATORE
160
PARTE IV - Il progetto
4
4 - Il ribelle
“Rules are meant to be broken”
“Rules are meant to be broken”
L’archetipo del marchio ribelle è un esperto nello sviluppo di idee, servizi e prodotti veramente innovativi. Questi brand adottano una strategia che enfatizza l’assunzione di rischi e una deviazione dallo status quo. Le immagini utilizzate sono scure dal carattere audace e rivoluzionario. Molto spesso è presente un elemento di sorpresa, che può essere estremo o semplicemente una battuta intelligente e inaspettata. Assumere questa identità richiede la volontà di rischiare e mettersi in gioco.
Tratti distintivi
Desiderio rivoluzione o vendetta Obiettivo distruggere ciò che secondo lui è sbagliato o non funziona all’interno della società Paura non riuscire nell’intento e venire ridicolizzato Strategia distruggere, disturbare, scioccare Trappola cedere al lato oscuro e alla criminalità Dono avere un pensiero radicale, sfrontatezza
Esempi di brand Apple, Harley Davidson, Diesel
RIBELLE
5
5 - Il mago “It can happen!”
“It can happen!”
I marchi maghi hanno una visione grandiosa, che altri potrebbero persino considerare impossibile. Essi credono che applicando la formula giusta, il successo sarà inevitabile. Le immagini utilizzate, che si tratti di un cielo pieno di stelle o di un arcobaleno hanno lo scopo di evocare sentimenti di meraviglia e sorpresa grazie al loro carattere etereo e misterioso. Tuttavia questi brand possono facilmente essere attaccati dai concorrenti, dai media o dall’opinione pubblica, poiché promettono trasformazioni che potrebbero essere difficili da dimostrare oggettivamente.
Tratti distintivi
Desiderio conoscere le leggi fondamentali che governano l’universo e il suo funzionamento Obiettivo avverare i propri desideri attraverso creazioni nuove Paura ottenere risultati negativi Strategia ideare e realizzare un progettodall’inizio alla fine Trappola approfittare delle sue conoscenze e diventare un manipolatore Dono ocapacità di risolvere problemi, acutezza
MAGO
6
Esempi di brand Disney, Red Bull, Dyson
6 - Il guerriero
“Where there’s a will, there’s a way”
“Where there’s a will, there’s a way”
Questo archetipo funziona bene per i brand che si pongono in sfida in maniera evidente con un nemico; che vogliono risolvere un problema sociale ambientale o che al contrario si pongono come mezzo necessario al compimento di una sfida. La loro comunicazione si basa sulla volontà di trasmettere disciplina, concentrazione e forza, per questo motivo è tendenzialmente caratterizzata da immagini potenti e colori forti. Anche il tono di voce sarà chiaro, coinciso e con evidenti riferimenti al superamento di un limite.
Tratti distintivi
Desiderio provare il proprio valore attraverso atti di coraggio e imprese ardue Obiettivo agire per migliorare il mondo Paura essere debole, attaccabile o un nullafacente Strategia sviluppare nuove competenze, diventare sempre più forte Trappola arroganza, necessità di dover lottare sempre contro un nemico Dono competenze, coraggio, forza
Esempi di brand Nike, Adidas, Fedex
GUERRIERO
161
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
7
7 - L’amante “I only have eyes for you.”
“I only have eyes for you”
L’identità dei marchi che seguono questo archetipo si basa sulla trasmissione di valori quali apprezzamento, gratitudine ma anche bellezza, sensualità e passione. La comunicazione può variare molto a seconda del tipo di amore di cui si sta parlando e questo si riflette, ad esempio, nel tipo di colori utilizzati che possono variare dal rosso fuoco simbolo di passione fino a toni più morbidi e romantici. Si tratta tendenzialmente di marchi eleganti e raffinati con una gamma di prezzi medio-alta.
Tratti distintivi
Desiderio raggiungere un alto livello di intimità Obiettivo sviluppare connessioni con il lavoro, le esperienze e tutto ciò ama Paura rimanere solo, essere rifiutato, non voluto e non amato Strategia essere sempre più attraente e piacevole, dal punto di vista fisico ed emotivo Trappola perdere la propria identità e fare qualunque cosa per piacere agli altri Dono passione, gratitudine, riconoscimento e fedeltà
Esempi di brand
Häagen-Dazs, Chanel, Victoria Secret
AMANTE
8
8 - Il buffone
“If I can’t dance, I don’t want to be part of your revolution.”
“If I can’t dance, I don’t want to be part of your revolution”
I marchi buffoni sono spensierati e innovativi. Essi promettono intrattenimento, danno l’impressione di vivere sempre nel presente, usano immagini dai colori brillanti, a tratti scandalose e prendono in giro in maniera affettuosa i loro clienti. Motivano le persone a riconoscere il valore del gioco, a connettersi con il loro bambino interiore, divertente, impulsivo e sfrenato che non ha paura di infrangere le regole, di distinguersi e si sente a proprio agio con se stesso. La cosa peggiore che potrebbe accadere a un marchio buffone è quella di essere visto come severo e noioso.
Tratti distintivi
Desiderio vivere il momento con estrema gioia Obiettivo divertirsi e far divertire Paura essere noioso o annoiare Strategia giocare, scherzare, essere divertente Trappola sprecare la propria vita senza concludere nulla Dono gioia contagiosa, umorismo, voglia di vivere
Esempi di brand M&M’s, Pepsi, Ben & Jerry's
BUFFONE
9 “All men and women are created equal”
9 - Il ragazzo comune “All men and women are created equal.”
Un brand accessibile a tutti che incarna l’essenza dell’uomo e della donna comune e per questo è realistico, dotato di buon senso ed accessibile. Al centro del loro operato ci sono le esperienze che forniscono ai clienti. In questo caso l’innovazione, sebbene sempre importante, è meno rilevante. Con un prodotto di qualità al seguito, i marchi dovrebbero tornare alle origini e concentrarsi su affidabilità, semplicità e qualità.
Tratti distintivi
Desiderio entrare in sintonia con gli altri Obiettivo appartenere ad un gruppo Paura essere considerato diverso, essere escluso, rimanere solo Strategia sviluppare solide virtù, non fantasticare essere concreto e fedele al senso comune Trappola rinunciare alla propria individualità pur di amalgamarsi con la massa Dono realismo, empatia, mancanza di presunzione
Esempi di brand Ikea, Airbandb, Volkswagen
RAGAZZO COMUNE
162
PARTE IV - Il progetto
10 “Love your neighbour as yourself”
10 - L’angelo custode “Love your neighbour as yourself.”
È un marchio circondato da un’aura di altruismo. Di solito si tratta di brand che si occupano di prodotti o servizi a supporto delle famiglie o dei settori pubblici come la sanità e l’istruzione. Il suo scopo è far sì che le persone si prendano cura di se stesse. Quasi tutti i marchi di cura del bambino si basano su questo archetipo, che non a caso è anche conosciuto con l’appellativo “madre”. La comunicazione si appella a ricordi felici, alle comodità della casa, della famiglia e a sentimenti di sicurezza. Le immagini scelte utilizzano spesso colori pastello, tenui e per niente aggressivi.
Tratti distintivi
Desiderio proteggere le persone dal dolore e dalle pene Obiettivo mettersi a disposizione degli altri Paura egoismo, ingratitudine Strategia aiutare gli altri Trappola diventare il martirio di se stessi, essere soffocati dagli altri Dono generosità, compassione
Esempi di brand Dove, WWF, Unicef
ANGELO CUSTODE
11 “Power isn’t everything. It’s the only thing”
11 - Il sovrano
“Power isn’t everything. It’s the only thing.’’ I brand leader sono chiaramente evidenti in settori come sicurezza, tecnologia, finanza e governo. Sono inoltre adatti a qualsiasi marchio che offre prodotti o servizi di fascia alta. La comunicazione rispecchia il desiderio dei consumatori di essere importanti, influenti e di successo. Le immagini sono spesso classiche, tradizionali, statuarie, nobili o sofisticate. Il prezzo è da moderato a elevato.
Tratti distintivi
Desiderio controllo assoluto Obiettivo creare strutture all’interno della famiglia, della comunità o di una società Paura perdere il controllo, venire spodestato Strategia esercitare una forte leadership Trappola essere eccessivamente autoritario e prepotente Dono responsabilità, leadership, assertività
Esempi di brand Rolex, Mercedes, Louis Vuitton
SOVRANO
12 “If it can be imagined, it can be created”
12 - Il creatore
“If it can be imagined, it can be created.” I brand creatori promettono autenticità, si posizionano spesso come la soluzione che permette di dare libero sfogo alla creatività. Questo archetipo si ritrova spesso nei marchi produttori di giochi per bambini come Lego e Crayola, ben noti appunto per porre la loro enfasi sull’invenzione e l’immaginazione. La cosa peggiore per un brand creatore è che venga percepito come non autentico o poco originale.
Tratti distintivi
Desiderio creare qualcosa che abbia valore Obiettivo trasformare il pensiero in qualcosa di concreto Paura avere delle idee insulse o realizzarle in maniera mediocre Strategia sviluppare capacità artistiche, esprimere la propria visione in maniera creativa Trappola estremo perfezionismo Dono creatività e immaginazione
Esempi di brand Lego, Adobe, YouTube
CREATORE
163
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
4.6.7 I canvas da completare Uno dei momenti di fondamentale importanza durante lo svolgimento dell’attività è quello relativo alla compilazione dei canvas. Queste schede sono il frutto dell’analisi dei casi studio e sono stati progettati per accompagnare i partecipanti al grande cambiamento finale. Essi sono 4 in totale, 3 di essi appartengono alla fase “prova centrale” mentre il restante alla “resurrezione”; come è possibile apprendere già dalla nomenclatura si tratta dei due momenti di massima tensione durante il percorso che compie l’eroe. Il tipo di linguaggio utilizzato è semplice e richiede alla start-up di far parlare direttamente “il loropersonaggio”. Nello specifico le informazioni che vengono richieste nella prima delle due tappe riguardano: servizi offerti, scopo che si vuole raggiungere, una frase tipo, valori e obiettivi e per finire la mission e la vision. Questo percorso permette di arrivare al momento di definzione della propria carta archetipo in maniera più consapevole e con tutti gli elementi necessari alla compilazione. Nella fase “resurrezione” la scheda accompagna nella definizione dell’archetipo e ne da un’ulteriore e più approfondita declinazione, avvicinandosi al 3° atto che è quello in cui ci si presenta al pubblico; in questo esercizio viene richiesto di descrivere le caratteristiche fisiche, la personalità, il modo di vestire, il tipo di relazione che ha con gli altri, gli amici e i nemici del proprio personaggio. In entrambi i momenti è molto importante il supporto del mediatore che deve dimostrare abilità nel fornire spiegazioni, qualora fossero richiesti, e implementare le spiegazioni con eventuali esempi che chiariscano i vari punti da compilare. Se nel primo momento i campi da compilare si riferiscono più a terminologie legate agli strumenti tradizionali del marketing, nella seconda fase il riferimento al mondo della narrativa è molto diretto; questo richiede ai partecipanti di compiere uno sforzo di immaginazione e richiede loro l’utilizzo della fantasia in quanto occorre abbandonare l’idea di impresa e “umanizzarla”.
164
PARTE IV - Il progetto
Fig. 69/70 A sinistra fotografia scattata durante il test; in basso mockup dei canvas
165
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
TOOLS - PROVA CENTRALE Facendo riferimento al vostro progetto completate i seguenti campi.
Chi sono?
Quali sono le caratteristiche che mi contraddistinguono?
Breve descrizione del progetto:
Nome Età Località Fondatori
Qual è il mio scopo?
Cosa offro?
Mi distinguo per è l’unico/a che
per .
166
PARTE IV - Il progetto
TOOLS - PROVA CENTRALE Facendo riferimento al vostro progetto completate i seguenti campi.
Cosa dico? “
“
o?
Quale frase potrebbe rappresentarmi al meglio?
Cosa penso? Valori
Obiettivi
167
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
TOOLS - PROVA CENTRALE Facendo riferimento al vostro progetto completate i seguenti campi.
Vision
Quali sono gli obiettivi di lungo periodo che si vogliono raggiungere?
Mission
Come si intende procedere per raggiungere gli obiettivi prefissati?
168
PARTE IV - Il progetto
TOOLS - RESURREZIONE Attraverso un esercizio di fantasia provate a immaginare che tipo di essere umano potrebbe essere il vostro progetto.
Nome
Simbolo/ Logo
Breve descrizione fisica
PersonalitĂ
Quali sono le mie peculiaritĂ ?
Con chi mi relaziono? Chi sono i miei partner ideali?
Come mi presento?
Come mi vesto?
Chi sono i miei nemici?
Chi sono i miei idoli?
Che tono di voce utilizzo quando mi rivolgo agli altri?
Contro chi/cosa combatto?
Che tipo di abbigliamento prediligo? Quali sono i colori presenti nel mio armadio?
Chi ammiro ed è fonte di ispirazione?
169
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
4.6.8 I feedback Una delle fasi fondamentali per la buona riuscita di un workshop è la raccolta di feedback una volta terminata l’attività; soltanto in questo modo sarà infatti possibile raccogliere le opinioni dei partecipanti. A seguito di queste osservazioni ho pensato quindi di inserire nel kit Incipit. una scheda che i partecipanti dovranno compilare a fine giornata e restituire al mediatore. Grazie a questo canvas sarà possibile quindi ricavare informazioni riguardo ciò che è stato apprezzato e ciò che al contrario è da modificare e migliorare. Alle domande aperte si affiancano una serie di parametri che i partecipanti devono valutare utilizzando una scala da uno a cinque. Nello specifico essi sono chiamati a giudicare: la conformazione dello spazio di lavoro, le tempistiche, la tipologia di attività proposte, i temi trattati e l’abilità del mediatore. In aggiunta a questo format, qualora i tempi lo permettano al termine dell’attività è previsto un momento di discussione di gruppo per confrontarsi liberamente sulla riuscita o meno della giornata in relazione agli obiettivi prefissati. FEEDBACK La giornata di workshop è giunta al termine! Compilando i campi seguenti potrete aiutare a migliorare l’esperienza.
Nome Data Luogo Aspetti positivi
Aspetti negativi
Che cosa hai apprezzato?
Che cosa miglioreresti?
Quanto sei soddisfatto? 1
2
3
4
5
Spazio di lavoro Tempistiche Attività proposte Temi trattati Abilità del mediatore *su una scala da 1 a 7, dove 1 = per niente soddisfatto, 5 = totalmente soddisfatto
Suggerimenti 1. 2. 3. 4.
Fig. 71 Canvas da compilare relativo ai feedback
170
PARTE IV - Il progetto
4.7
Il primo test
Una volta determinata la struttura del workshop e dopo aver definito gli strumenti contenuti nel kit Incipit., ho ritenuto necessario al fine di validare il progetto procedere con un primo test. Di seguito le fasi principali di come è stata svolta l’esperienza: Contatto con la start-up Ho contattato i fondatori BIBO - Bike Book, Flavio Primo e Federica Piergiacomi per un primo scambio di informazioni riguardo il loro progetto. Qusto momento è stato determinante sia da un punto di vista prettamente umano, ovvero per instaurare un primo rapporto tra il team e il mediatore de workshop sia per avere un’idea pressochè precisa sul tipo di servizio che essi si proponevano di sviluppare. Ciò che ho potuto riscontrare è che la start-up si trovava al momento in una fase di prima prototipazione del servizio che si può riassumere come un’applicazione pensata per un doppio target, da un lato le librerie indipendenti della città di Milano e dall’altra parte i lettori. Il risultato di questa operazione è quello di prevedere un servizio di consegna dei libri a domicilio, con l’utilizzo di corrieri in bicicletta e al tempo stesso sviluppare una piattaforma nella quale i librai inseriranno non solo il catalogo dei loro libri ma avranno uno spazio nel quale inserire curiosità e consigli sulle letture e informazioni riguardanti eventi legati al mondo della lettura. I due fondatori hanno inoltre sviluppato una prima analisi di mercato, analizzando i competitors e studiandone gli aspetti rilevanti. Da questa prima fase ho potuto constatare che questo servizio sembrava possedere numerose caratteristiche distinte e altrettanti valori; tuttavia la discussione è terminata senza entrare nello specifico. Una settimana prima della data prevista per il workshop come da accordi ho inviato loro tramite email la guida informativa che riassume brevente gli obiettivi del workshop, le modalità di svolgimento della giornata e fornisce alcune informazioni riguardo l’approccio che verra utilizzato facendo un riferimento alla struttura del viaggio dell’eroe.
171
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
LET’S START! Poche e semplici linee guida per prepararsi al meglio ad affrontrare la giornata di workshop
obiettivi
Un viaggio metaforico che permettere di compiere un’analisi profonda degli elementi che caratterizzano il vostro progetto e lo rendono unico e inimitabile. Soltanto scavando a fondo e superando diverse “prove” sarà possibile raggiungere il grande obiettivo finale: acquisire una nuova consapevolezza e inserirsi nel mercato con un’identità in grado di emergere rispetto alla concorrenza. Una giornata di confronto e crescita attraverso un programma a tratti “fuori dagli schemi” che vi spronerà a mettervi in gioco. Lasciando andare l’immaginazione e la fantasia penserete al vostro progetto come ad: una persona alla ricerca di se stessa che SI SCOPRE indagando a fondo e arriva a DEFINIRSI per tornare al mondo ordinario pronta per PRESENTARSI con una nuova consapevolezza.
Fig. 72/73 Due pagine estratte della guida inviata pre-workshop
172
PARTE IV - Il progetto
Predisposizione dello spazio e tempistiche A causa della condizioni attuali che coinvolgono il nostro Paese e il mondo in generale non è stato possibile individuare uno spazio che rispondesse alla confomazione ideale pensata per lo svolgimento dell’attività. Tuttavia sono state predisposte due aree differenti all’interno della medesima sala in modo che fosse possibile e facilmente individuabile la zona lavoro e quella dedicata ai momenti di pausa. In quanto mediatore mi sono premurata di acquistare snack e bevande che rendessero l’atmosfera piacevole e scandissero i tempi nella maniera più fedele possibile rispetto a quanto progettato. Per quanto riguarda l’orario, in accordo con le esigenze della start-up il workshop è stato fissato per il giorno lunedi 29 giugno alle ore 17 con una durata prevista tra le 4 e le 5 ore. Le presentazioni Come definito da programma la giornata è cominciata con la prima delle due presentazioni; questo momento è stato molto rilevante in quanto io stessa ho potuto presentarmi ai membri del team e instaurare con loro un primo contatto. Non avendo a disposizione un proiettore ho utilizzando un computer portatile per mostrare le slide; la stessa modalità è stata riprodotta anche per la seconda presentazione. Osservazioni: In entrambi i casi ho potuto osservare che le slide risultavano piuttosto efficaci (considerazione che mi è stata confermata dai partecipanti al termine dell’attività) tuttavia, ciò che andrebbe implementato nell’ottica futura è il ricorso a esempi concreti, infatti, nonostante abbia cercato di presentare gli argomenti teorici in maniera semplice e coincisa ho ottenuto una maggiore risposta e comprensione nei momenti in cui veniva accostato alla nozione un caso studio noto. Per questo motivo mi premurerò di inserire nel discorso maggiori riferimenti al fine di restituire una maggior chiarezza. Per quanto riguarda le tempistiche sono state rispettate all’incirca quelle previste nella fase progettuale, con un margine temporale a disposizione anche per eventuali domande e approfondimenti.
173
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Le attività Con il termine attività voglio intendere in questa sede tutta la serie di esercizi che hanno previsto momenti di completamento, riflessione e discussione sia singola che in gruppo. Procedento in ordine temporale: - la lista dei sostantivi: ho consegnato ad entrambi i partecipanti la lista con i sostantivi tra i quali scegliere e dopo aver presentato brevemente l’attività invitandoli a riflettere sui valori del loro servizio ho impostato un timer di 10 minuti. Osservazioni: l’attività è stata svolta in circa 5 minuti tuttavia il tempo in eccesso è stato utilizzando durante il momento di discussione; a questo proposito posso ritenere che l’attività sia in linea con gli obiettivi che mi ero prefissata di raggiungere, ovvero un ri-allineamento riguardo caratteristiche e peculiarità del servizio tra i membri del team. Di seguito riporto le scelte effettuate dai partecipanti e infondo alla pagina uno schema riassuntivo del raggruppamento avvenuto inseguito alla discussione: F. Piergiacomi: Aiuto, Appartenenza, Semplicità, Conoscenza, Passione, Indipendenza, Trasformazione, Valore (in aggiunta Informazione, Velocità e Comunità) F. Primo: Anticonformismo, Comunità, Ecologia, Sostenibilità, Scoperta
APPARTENENZA COMUNITÀ AIUTO
COMUNITÀ
CONOSCENZA INFORMAZIONE SEMPLICITÀ
SCOPERTA
VELOCITÀ
ECOLOGIA SOSTENIBILITÀ
INDIPENDENZA TRASFORMAZIONE
VALORE PASSIONE
174
ANTICONFORMISMO
L’applicazione ha come obiettivo principale quello di mettere in relazione librai e lettori L’idea è quella di far sì che sull’applicazione i librai carichino informazioni riguardo eventi legati all’ambito dell’editoria, consigli ecc L’idea è quella di far sì che sull’applicazione i librai carichino informazioni riguardo eventi legati all’ambito dell’editoria, consigli ecc L’applicazione riunisce le librerie indipendentementi di Milano che per loro natura si possono considerare “anticonformiste” e avrebbero l’occasione di trasformare il loro modus operandi
In fase di discussione sono stati eliminati dalla scelta
1° LIVELLO
2° LIVELLO
3° LIVELLO
PARTE IV - Il progetto
Fig. 74 Fotografia scattata durante il workshop
- il cerchio degli archetipi: dopo aver terminato la discussione riguardo alle scelte effettuate, averle raggruppate per una maggiore chiarezza e aver assistito alla seconda presentazione i partecipanti hanno ricevuto questo strumento e riportato all’interno del cerchio le parole chiave definitive. Osservazioni: ciò che mi ha sorpreso maggiormente, in quanto ero sicura non potesse accadere è la presenza di un elemento scelto in 8 dei 12 archetipi; in un primo momento questo risultato mi ha causato un pò di smarrimento rispetto a come condurre la discussione ma è stato al tempo stesso molto interessante poichè ha permesso di approfondire ulteriormente la riflessione iniziata con l’attività precedente. Infatti confrontandomi con il team e porgendo loro ulteriori domande a proposito delle scelte effettuate siamo riusciti a definire 3 livelli di importanza e questo ha permesso di focalizzarci dapprimain generale sulla parte sinistra dello strumento e infine su due figure nello specifico: angelo custode e uomo comune. A questo punto iniziavano ad intravedersi alcuni degli aspetti fondamentali sui quali indirizzare l’analisi: il forte desiderio di creare un comunità intorno al servizio e di offrire informazioni sull’ambito dell’editoria in modo chiaro e semplice. Trattandosi inoltre di un servizio di consegna a domicilio di libri altro elemento fondamentale è lo sguardo verso la sostenilità e la riduzione dell’inquinamento attuabile attraverso l’utilizzo della bicicletta. Per quanto riguarda il mio ruolo di mediatore ho notato che è stato molto ultile in seguito aver annotato tutto ciò che è stato detto in questa fase anche se non prettamente legato al completamento delll’attività.
175
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
- il deck di carte: durante l’attività di trascrizione nel cerchio degli aggettivi è stato consegnato al team il deck costituito dalle 12 carte con le informazioni dettagliate riguardanti gli archetipi e una tredicesima carta da completare. Essi hanno quindi avuto la possibilità di leggere le descrizioni e discuterne insieme. Osservazioni: ritengo che a proposito dell’utilizzo del deck non ci siano particolari miglioramenti da effettuare, anzi, sono stata positivamente colpita da due commenti in particolare; il primo faceva riferimento alla carta dell’angelo custode (uno dei due archetipi di riferimento) sulla quale si fa riferimento alla tipologia di colori usati nella comunicazione, ovvero tinte tenui e che ha portato uno dei membri del team a riflettere sulla scelta in fase di prototipazione dell’app di un giallo, forse troppo acceso come lei stessa ha ammesso. Il secondo invece era inidirizzato agli esempi di brand riportati per ogni archetipo, questo mi porta ancora una volta a riflettere su quanto detto in precedenza, ovvero all’importanza dell’utilizzo degli esempi. - i canvas “Prova centrale”: conclusa l’attività del cerchio sono state consegnate tre della quattro schede totali. I risultati completi sono stati riportati nell’appendice C dell’elaborato. Fig. 75 Fotografia scattata durante il workshop
176
PARTE IV - Il progetto
Osservazioni: in generale ritengo si tratti della fase di massima “tensione” volendo riferirmi al viaggio dell’eroe e quindi l’attività che richiede una maggiore capacità di autoanalisi da parte degli startupper e dimostrazione delle capacità di mediare da parte del conduttore del workshop. La maggiore difficoltà che ho riscontrato è stata nel momento di definizione del proprio “differenziale competitivo” sia da un punto di vista della formulazione della frase ma soprattutto in quanto implica di ripercorrere quanto detto fino a quel momento e riassumere in poche parole ciò che realmente contraddistingue il progetto. Una seconda osservazione riguarda i due termini: vision e mission, che forse per la loro provenienza più specifica dall’ambito del marketing/branding hanno causato un momento di confusione che si è chiarito subito ancora una volta grazie all’utilizzo di un esempio. - la carta archetipo: all’interno del mazzo una delle carte è bianca proprio perchè dev’essere completata verso la fine del percorso quando grazie alle domande presenti nel canvas è possibile aumentare il proprio livello di auto-scoperta. Osservazioni: questa operazione di completamento della carta non ha riscontrato particolari difficoltà in quanto si è praticamente già in possesso di tutte le informazioni occore solo ricollegare il linguaggio più “tecnico” utilizzato nelle schede ad uno più improntato all’ambito della narrativa; un’unico punto ha richiesto uno sforzo più grande ed è la scelta del nome del proprio archetipo personale in quanto secondo i partecipanti nessuno dei sinonimi di uomo comune e angelo custode calzava perfettamente, la scelta è poi ricaduta su “Intermediario” che sebbene non soddisfi al 100 % il gruppo è un buon punto di partenza per il futuro. - canvas “Resurrezione”: diretta conseguenza della definizione del proprio archetipo è l’ultimo approfondimento da affrontare e anche quello che richiede un maggior utilizzo della fantasia. Osservazioni: in questo caso il team ha inizialmente presentato alcune difficoltà nel rispondere alle domande, ma attribuisco questo comportamento a timidezza e paura di dare la risposta sbagliata. Dopo il primo minuto di incertezza tuttavia hanno cominciato a rispondere alle domande cogliendo la similitudine tra esse e gli elementi legati alla brand image, come ad esempio il logo.
177
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
In conclusione mi ritengo in linea generlae soddisfatta dei risultati ottenuti in questo primo test; da un lato ho potuto confermare l’efficacia del percorso suddiviso per fasi poichè confrontando i risultati ottenuti è facilmente riscontrabile quell’evoluzione ipotizzata in fase di concept che segna il passaggio dallo stato di scoperta a quella di definizione. La possibilità di implementare ogni attività con i risultti ottenuti dalla precedente permette di procedere in maniera man mano più profonda e di arrivare al termine della giornata con una distinzione tra i valori principali che caratterizzano il proprio progetto e quelli secondari che invece ne costituiscono il “contorno”. Dall’altro lato questa prima fase di sperimentazione mi ha permesso di individuare quegli elementi che invece dovranno essere migliorati in futuro, a partire dalla modalità di conduzione dell’intero processo; infatti, non avendo mai affrontato esperienze simili riconosco di dover acquisire dimestichezza con il ruolo di mediatore.
178
PARTE IV - Il progetto
179
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
180
Albus Silente
CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI “Le conseguenze delle nostre azioni sono sempre così complicate, così mutevoli, che predire il futuro è davvero molto difficile” Da sempre appassionata al significato dietro i racconti e affascinata dal loro immenso potere ho deciso di impostare il mio percorso di ricerca focalizzandomi inizialmente sul termine storytelling. Al giorno d’oggi ampiamente utilizzato, talvolta a sproposito, viene spesso fatto corrispondere all’espressione italiana “raccontare storie” ma, grazie ad un percorso di literature review effettuato nella prima parte di questo elaborato, ho potuto comprendere come questa definizione ne restituisca un’immagine piuttosto superficiale e poco esaustiva. Si tratta, al contrario, di un vero e proprio processo che attraverso l’azione del raccontare offre una rappresentazione specifica a quei comportamenti individuali e/o collettivi ritenuti rilevanti. Tra tutte le applicazioni possibili la ricerca si è poi indirizzata verso il suo utilizzo da parte delle imprese che si concretizza nella disciplina del Corporate Storytelling. Per prima cosa ho appreso come gli studi attorno al tema abbiano subito con il trascorrere degli anni numerosi ampliamenti e si siano moltiplicati gli spunti di riflessione; per questo motivo è stato difficile inizialmente trovare un’unica definizione che esprimesse il concetto di “narrativa d’impresa.” Tuttavia dopo questa prima fase di studio ho voluto circosvrivere ulteriormente il fenomeno focalizzandomi nello specifico sul significato che il termine identità assume all’interno di questo processo di costruzione del racconto di marca. La “brand identity” esprime i valori, gli obiettivi e i comportamenti dell’impresa, ovvero l’insieme di tutte le caratteristiche che ne fanno un esemplare unico nel suo genere e soprattutto immediatamente riconoscibile agli occhi del pubblico. Essa pone le basi per avviare una narrazione che sia in grado di trasmettere emozioni e sensazioni e di coinvolgere maggiormente l’interlocutore. Infatti ciò che ho potuto constatare dalla ricerca è che anche il rapporto tra consumatore e marca si è evoluto diventando sempre più simile ad una relazione fra due individui: ci affezioniamo a chi è simile a noi, a chi ammiriamo: “Absolut Vodka, Marlboro, BMW, Audi, Mercedes non sono solo prodotti dotati di un’immagine brillante. Sono prodotti dotati di una forte personalità. Il rapporto che le marche riescono ad instaurare con i consumatori si basa su questa personalità. Così BMW presta a chi la guida la sua personalità giovane e brillante, permettendogli di comunicare agli altri una precisa immagine.” (Bassani & Sbalchiero, 2002, p.16) Procedendo nella mia analisi ho potuto apprendere come il termine brand identity venga erroneamente confuso con la “visual identity” ovvero l’immagine della marca che altro non è che la declinazione trasposizione dell’identità negli elementi grafici che la rappresentano. La consapevolezza di questa distinzione e, al tempo stesso, di quanto sia facile ricadere nella confusione mi ha permesso di iniziare ad immaginare, in quanto progettista, una soluzione che non solo ne sottolineasse le differenze ma che si proponesse come supporto nella creazione di un’identità univoca.
181
L’analisi iniziale mi ha permesso inoltre di appurare come la narrazione rappresenti una pratica imprescindibile nella nostra vita e sia riscontrabile in tutti gli ambiti nei quali è coinvolto l’uomo, affermazione che trova riscontro nella parole di Roland Barthes (1966) che afferma come il racconto sia riscontrabile in ogni tempo, luogo e società. Infatti, apparso con l’inizio della storia dell’umanità è esso stesso vita. A questo proposito ho potuto apprendere che ciò che rende il racconto universalmente comprensibile sono quelle figure che Jung ha definito Archetipi; si tratta di strutture dell’inconscio che accomunano tutti gli uomini e annullano le differenze culturali. Per questa loro caratteristica di universalità rappresentano un prezioso strumento anche nell’ambito del branding, come sostengono Mark e Pearson (2001) “Archetypal psychology helps us understand the intrinsic meaning of product categories and consequently helps marketers create enduring brand identities that establish market dominance, evoke and deliver meaning to customers, and inspire customer loyalty.” (p.12) Il loro impiego a servizio delle marche è stato oggetto di uno studio approfondito effettuato attraverso l’analisi di 12 casi studio che mi ha permesso di individuare, per ciascuno di essi, il processo che ha portato alla nascita del brand e alla definizione della sua identità che è rimasta coerente con i valori di partenza nonostante i mutamenti della società dovuti allo scorrere del tempo. Ho notato inoltre che i tratti distintivi dell’archetipo di riferimento non influiscono solamente sull’aspetto visivo ma sono rintracciabili nell’intero universo della marca. Per sviluppare questa analisi ho volutamente preferito non costruire delle schede di valuazione con parametri prefissati ma di compiere una ricarca generale sul brand a 360° e soltanto a posterieri stabilire per ognuno di essi le caratteristiche da riportare utili all’indagine. Si è trattato quindi di un’analisi qualitativa che ha permesso di raccogliere numerosi spunti progettuali poichè gli elementi che subiscono e rispecchiano l’archetipo si sono rilevati innumerevoli e disparati. Per ampliare ulteriormente il mio campo di indagine e validare la mia tesi ho deciso di analizzare altre due realtà : Airbnb e Miscusi che nonostante abbiano un passato recente hanno già ottenuto un enorme successo. Si è trattato anche in questo caso di evidenziare come il fattore che ha fatto la differenza è l’aver appreso da parte dei fondatori l’efficacia di una brand identity ben costruita. Questa riflessione ha contribuito alla definizione del target al quale indirizzare il progetto, ovvero le start-up. Attraverso la terza parte dell’elaborato sono andata ad indagare questo fenomeno sempre più crescente anche in territorio nazionale e a definire queste tipologie di aziende come imprese con una forte impronta innovativa, sia da un punto di vista dei prodotti e servizi sia per quanto riguarda il modello di business che risulta scalabile e ripetibile. Realtà dinamiche, con una propensione alla sperimentazione e soprattutto prive di una storia già scritta. Per il coraggio e la passione che accomuna generalmente i fondatori, gli start-upper sono il target più idoneo al quale indirizzare il progetto sviluppato come conclusione di questa tesi di ricerca. Durante il mio percorso ho inoltre avuto la possibilità di condurre un’intervista semi-strutturata alla co-fondatrice di Ibrida, una start-up nata nel 2018 all’interno del Politecnico di Milano che mi ha permesso di confermare come la defizione dell’identità richieda effettivamente lunghi momenti di riflessione e sia un processo di crescita costante e che evolve continuamente ma idealmente, una volta definiti quei valori, obiettivi e comportamenti nei quali si crede fermamente ciò che succederà in seguito sarà soltanto una trasposizione degli stessi in tutte le attività nelle quali il brand è coinvolto.
182
Incipit. tenta quindi di riassumere tutte queste considerazioni nate a seguito della ricerca e di trasformarle in strumenti che possano essere di supporto alle start-up che decidono di investire in un nuovo progetto, utilizzando un approccio in grado di unire il mondo del branding e quello della narrativa affinchè le nuove imprese possano confrontarsi con un mercato estremamente competitivo come quello in cui stiamo vivendo attualmente. Dal momento che, come ripetuto più di una volta nel corso di questo elaborato l’unico fattore in grado di condizionare le scelte del pubblico è un racconto ben costruito. Se il termine incipit indica un inizio, una partenza, lo stesso vale per queste conclusioni che vogliono da un lato riassumere i risultati ottenuti fino ad ora e dall’altro porre le basi per gli obiettivi futuri. Ritengo che il progetto possa considerarsi, facendo riferimento al mondo delle start-up, nella sua fase di “seed”, ovvero ad uno stadio iniziale: è stata concepita l’idea ma occorre continuare a studiare e formarsi per verificarne la fattibilità; per questo motivo il primo obiettivo che mi prefiggo di portare avanti in un futuro prossimo è la fase di testing del workshop affinchè sia possibile evidenziarne le debolezze ed effettuare tutti i miglioramenti necessari. In secondo luogo, viste le dinamiche che attualmente stanno coinvolgendo il mondo intero, e a seguito dell’adozione da parte di molti enti e imprese dello smart working come tipologia di lavoro vorrei focalizzarmi su una traduzione del format attuale che non preveda lo svolgimento in presenza. A questo proposito ho iniziato ad individuare alcune piattaforme che potrebbero essere utilizzateper raggiungere questo scopo, ad esempio Mural, Miro e Zoom. In conclusione ciò su cui mi focalizzerò sarà la promozione del progetto sviluppando una campagna di comunicazione online (sito web e social media) anche in previsione di un confronto, se possibile, con esperti del settore delle start-up che operano, ad esempio, all’interno di incubatori e accelleratori.
183
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Conclusioni e sviluppi futuri
PARTE I
“Narrare humanum est”
PARTE II
“Gli archetipi: figure universali”
+ APPENDICE A Casi studio
Obiettivi
Conclusioni
Indagine sul tema del Corporate Storytelling con focus sul concetto di brand identity
L’elemento che differenzia un’impresa dai suoi concorrenti è un’identità forte e coerente ma spesso quest’ultima viene confusa con la visual identity
Definizione del termine archetipo e indagine sull’utilizzo di queste figure universali nell’ambito del branding - Creazione di 12 schede di approfondimento
PARTE III
“Il fenomeno delle start up”
+ APPENDICE B
Ibrida: un’intervista
184
Definizione del termine start up e focus sulla situazione in Italia
L’analisi dei 12 casi studio ha evidenziato le corrispondenze tra la marca e i tratti distintivi dell’archetipo di riferimento e le implicazioni a livello della comunicazione (e non solo)
Per loro natura le start-up sono imprese con una forte impronta sperimentale e rivolte al futuro; la creazione dell’identità è una milestone durante lo sviluppo del concept
Output progettuale
Sviluppi futuri
Testare gli strumenti e condurre delle sessioni di workshop con altre start-up
INCIPIT.
progetto per l’identità e il posizionamento di una start-up in ottica narrativa
Definire una strategia di comunicazione online e offline per la promozione di Incipit.
Implementare la possibilità di fruizione del workshop da remoto attraverso l’utilizzo di tools online
Richiedere un confronto con esperti nell’ambito degli incubatori e/o accelleratori
Fig. 76 Schema che relaziona gli obiettivi, le conclusioni, l’output progettuale e gli sviluppi futuri
185
186
Appendice A
I CASI STUDIO
Nelle prossime pagine verranno analizzati 12 brand che per le loro caratteristiche possono essere associati agli archetipi Junghiani, ampiamente indagati da Mark e Pearson nel libro “The Hero and the Outlaw: building extraordinary brands through the power of archetypes”. L’associazione Brand-Archetipo è stata fatta in seguito a ricerche approfondite su manuali di testo e al confronto di numerosi articoli trovati sul web riguardanti il tema. Di seguito l’elenco dei casi studio e delle corrispondenze analizzati nelle prossime pagine: Innocente Mulino Bianco Eroe Nike Ragazzo della porta accanto Ikea Angelo custode Dove Creatore Lego Esploratore The North Face Ribelle Apple Amante Häagen-Dazs Sovrano Rolex Buffone M&MS Mago Disney Saggio Google Al fine di mostrare la corrispondenza brand-archetipo ho deciso di fare un’analisi personalizzata per ciascun caso studio. La decisione di non creare a priori un’unica struttura mi ha permesso, una volta compiute le ricerche, di riportare solo gli elementi che ho ritenuto maggiormente rilevanti e significativi. Tuttavia ciò che accomuna le schede è il punto di partenza, ho pensato di riportare brevemente gli avvenimenti storici che hanno segnato la crescita e lo sviluppo dell’azienda, dalla sua fondazione fino ai giorni nostri. In alcuni casi è risultato utile fare un ulteriore focus sulla biografia del fondatore in quanto è stato possibile vedere una corrispondenza tra la sua identità personale e quella della sua azienda. Ho deciso inoltre di prendere in analisi alcuni elementi che fanno parte della Visual Identity del brand poiché rappresentano una perfetta sintesi e traduzione dei valori della marca; uno tra questi è il logo, che è stato oggetto di analisi per tutti i casi studio. Anche la voce comunicazione è presente in ognuno dei 12 esempi, e con questo termine ho voluto intendere in maniera generale il tono di voce del brand, ovvero ciò che ti permetterà di apparire non più come un prodotto, ma come una persona, e attraverso l’analisi di alcune campagne significative (online e/o offline) come quest’ultimo si è sviluppato e declinato nel tempo.
Questa operazione di schedatura mi ha permesso di avere una visione reale e concreta di ciò che da un punto di vista teorico viene definito “brand archetype” e i risvolti che ne derivano. È quindi possibile affermare che parte del successo di queste marche è attribuibile al fatto che fin da subito hanno saputo identificare il proprio personaggio di riferimento e questo ha permesso non solo di definire la mission e la vision aziendali ma la maggior parte delle azioni successive. Una riflessione di questo tipo se effettuata nelle fasi iniziali di un’impresa permette di avere una maggior cognizione non solo di ciò che si fa, ma/e soprattutto di ciò che si è. Questa consapevolezza, permette di instaurare un dialogo più efficace, in primis all’interno dell’azienda stessa, e quindi di ottenere una maggior coordinazione tra le parti coinvolte. In secondo luogo, pone le basi per una corretta e coerente progettazione degli elementi visivi, ovvero dell’immagine con la quale il pubblico verrà in contatto e a partire dalla quale svilupperà la brand reputation dell’azienda. Infine, siccome il modo con il quale la marca parla al suo pubblico non è definitivo ma si trasforma parallelamente ai cambiamenti della società avere una forte identità alla base fa sì che questi sia più facile affrontare questi cambiamenti rimanendo fedeli a se stessi. La coerenza risulta infatti un elemento fondamentale, soprattutto in relazione al dialogo instaurato con i propri clienti. Dopo essere venuti in contatto la marca infatti, essi sviluppano delle aspettative non solo per quanto riguarda le specifiche tecniche del prodotto e/o servizio offerto ma anche e soprattutto nei confronti della narrazione che la coinvolge.
187
Mulino bianco Perchè innocente? Il brand innocente pone al centro della sua attenzione la cura del cliente, al quale parlerà con un tono di voce allegro, e ottimista. Racconterà di luoghi immersi nella natura con immagini caratterizzate da colori tenui e luminosi. Il pubblico che segue un brand come questo è alla ricerca di una vita semplice, di una bella “famiglia felice” e di un lavoro appagante. Vuole sentirsi al sicuro, protetto, provare il paradiso e ottenere la felicità attraverso l’armonia con sè e con gli altri. Se le parole chiave sono: ottimismo, purezza di cuore, semplicità, ingenuità, idealismo, spontaneità, gentilezza, onestà, genuinità, fiducia negli altri, bontà, moralità, trasparenza, affidabilità non si può non pensare alla Mulino Bianco come maggior rappresentate di questo archetipo. Questo marchio infatti, nasce per regalare agli italiani, e non solo, la possibilità di ritrovare e rivivere i ricordi di un’infanzia vissuta nella tranquillità della campagna. Esso ha offerto al suo pubblico, fin da subito, non dei semplici biscotti industriali ma dei piccoli tasselli che insieme agli altri elementi costitutivi della marca hanno dato il via ad un racconto fantastico che si è protratto fino ai giorni nostri, tanto che è difficile trovare qualcuno che non abbia usato almeno una volta nella vita l’espressione “sono una famiglia del Mulino Bianco” per indicare un nucleo famigliare che appare del tutto in armonia con la realtà, composto da membri che trascorrono la loro esistenza felicemente e senza pensieri (almeno in apparenza). Nelle prossime pagine verranno analizzati i principali elementi che, con la loro potenza comunicativa, hanno costruito il filo narrativo che ha contribuito al successo di questa azienda entrando nel quotidiano dei consumatori e creando con loro un rapporto di fiducia, scambio e fedeltà.
188
Fig. 77 Nicole Grimaudo e Giorgio Pasotti nello spot della Mulino bianco, 2017
Cenni storici
Logo
La fine del boom economico e la conclusione dei tumulti del ‘68 hanno lasciato un’Italia caratterizzata da profonda inquietudine: si è persa la fiducia verso la famiglia, le istituzioni e il lavoro. In questo contesto di conflittualità perenne nasce il progetto Mulino Bianco. Lo slogan “Ci sono cose che il tempo non cambia” diventa ben presto, in linea con i desideri del pubblico, filosofia di vita, modo di pensare e agire e Mulino bianco diventa un’amico per tutti, la promessa di ritrovare quella serenità e autenticità perduta. (Guidone & al.,1994, p.300) Mulino Bianco è un marchio di proprietà della Barilla, progettato da Giovanni Maestri e introdotto sul mercato per distinguere la linea di prodotti da forno, merendine e biscotti dalla produzione di pasta. Dopo svariati anni di sperimentazione, nell’ottobre del 1975 le prime confezioni di biscotti, ideati dal pasticcere inglese George Mxwell, fanno la comparsa nei punti vendita ottenendo una reazione molto positiva da parte dei consumatori.
Il logo è stato disegnato dallo studio Giò Rossi, in collaborazione con il disegnatore Cesare Trolli, che fin da subito aveva ben presente quali sensazioni il nuovo marchio dovesse comunicare:
Subito si capì che
“Dalla nostalgia della mietitura nacque il mazzo di spighe contornato dai fiori di campo. I colori, tenui e acquerellati, dovevano ricordare quei rosa e quegli azzurri utilizzati nelle vecchie cromolitografie per rinforzare gli incarnati e i lineamenti del volto. Il Mulino: si discusse a lungo sul territorio ove doveva essere collocato. Saggiamente si giunse alla conclusione che doveva essere un luogo della memoria, quasi una vecchia marca di fabbrica, ripresa per dare prestigio, per certificare l’anzianità della Casa. E cosi, il piccolo molinetto, venne appositamente disegnato come se fosse una vecchia xilografia o un’antica incisione.”
“la marca dovesse posizionarsi e comunicare non con l’advertising ma già attraverso le componenti costitutive della marca stessa” (Landò,1994, p.291) ed è proprio grazie a questa intuizione che, in un’epoca in cui i biscotti industriali somigliavano tutti a piccoli bottoni, l’idea di inserire un’iconografia simbolica nella progettazione del prodotto costituì una vera rivoluzione. Nascono così: Tarallucci, Molinetti, Pale, Campagnole e Galletti che con i loro nomi evocano atmosfere contadine e tempi passati. Scelte le forme e definito il naming è stato necessario pensare alla confezione dei piccoli prodotti e con la stessa attenzione, dopo lunghi studi, si arriva alla forma definitiva, un pacco che ricorda i sacchetti dei fornai, caratterizzato da una tenue sfumatura gialla riconducibile alla tenerezza dell’infanzia. Per sottolineare la genuinità dei prodotti, inoltre, a lato della confezione viene riportata la ricetta che diventa così accessibile a tutti e contribuisce alla creazione di fiducia nel brand da parte dei consumatori.
“Dovevo tracciare sulla carta elementi in grado di richiamare alla memoria profumi e fragranze di momenti felici mitizzati.” Con queste linee guida, dopo varie ricerche nell’iconografia passata e presente e dopo numerosi tentativi fu in grado di identificare i tratti principali di quello che tutt’ora è il logo dell’azienda, che, come ricorda lo stesso disegnatore:
rispecchia perfettamente: naturalità, tradizione, genuinità e salute. “La scelta del nome “Mulino Bianco” fu altrettanto difficile poichè anche in questo caso era necessario trovare dei termini che richiamassero immediatamente alla mente i valori del marchio e quindi si decise di includere il luogo dove un tempo avveniva la trasformazione del grando ovvero il Mulino associato poi al colore bianco che porta con sè i significati di purezza, forza e luminosità.” (Maestri,1994, p.284)
Fig. 78 Logo attuale Mulino Bianco
189
Forma dei biscotti In un’epoca in cui le industrie erano viste come una realtà distante dall’essere umano e da tutti quei valori ricercati dalle persone, la consapevolezza di dover trovare un’alternativa alla classica forma “a bottone” fu chiara fin da subito come si può leggere nelle parole di Maria Luisa Solzi (1994, p.295): “Un altro aspetto sul quale dovemmo lavorare molto fu quello delle forme. Il fatto di dare ai biscotti forme particolari e disegni personalizzati era, a quei tempi, una novità assoluta per l’Italia. Forme e disegni dovevano inoltre avere uno stile naif e risultare volutamente irregolari al fine di confermare un’immagine di biscotto non industriale.” I biscotti dovevano riflettere il bisogno di artigianalità e di ritorno alle origini presenti nell’incoscio degli italiani, risvegliare un’emozione e solo coì avrebbero avuto la chance di inserirsi in un mercato nel quale l’offerta di prodotti simili era già molto vasta. I piccoli pezzetti di pastafrolla divennero i “segni” del mondo contadino evocato da Mulino Bianco. Tarallucci, Macine, Pale, Campagnole, Mugnai e Galletti erano veri e propri pezzi di comunicazione e protagonisti assoluti del manifesto di lancio come ricorda Sergio Mambelli (1994): “Mostrati non su un vassoio ma adagiati su spighe di grano e fiori di campo, infine il fondo giallo e un grande marchio. [...] Evocammo stili di vita, lavorazioni della terra e dei suoi prodotti. Venne naturale rappresentare concretamente, quella che noi chiamavamo “Valle Felice”. Una pianura con campi di grano, colline dolci e boscose, e al centro, posto su un fiume, un piccolo mulino. Questa bucolica rappresentazione, insieme all’evocazione nostalgica “Quando i mulini erano bianchi..” Costituì l’inizio di tutte le comunicazioni inerenti alle varie linee di prodotto che via via entrarono a far parte della linea Mulino Bianco: biscotti, fette biscottate, grissini, cracker, merendine, dolcetti.”, (p. 294)
190
Confezione Come già anticipato nel paragrafo precedente un elemento al quale dedicarono molta attenzione fu il pacco che avrebbe contenuto i biscotti. Il packaging, infatti, non è soltanto elemento aggiuntivo ma diventa supporto per la veicolazione della comunicazione attorno al prodotto. La scelta ricadde quindi su una confezione che potesse richiamare i sacchetti di farina utilizzati dai mugnai poichè l’obiettivo, visibile già dai primi layout era quello di “fare coesistere “impatto” ed “emozione”. Stabilita la forma, fu altrettanto importante la scelta del colore, come sottolinea il progettista Giò Rossi (1994): “Il colore del display: volevo che ricordasse la tenerezza. La tenerezza la vai a cercare nell’infanzia: il colore della farina lattea, della pasta dei biscotti rubata alla mamma prima che vadano in forno, o dello zabajone. Doveva essere il colore di una sostanza ricca, generosa e affettiva. Mi rifeci dunque a due ricordi cromatici della mia infanzia: uno era il cioccolato bian-
co, l’altro era uno sciroppo ricostituente che aveva questo colore ed era per me buonissimo: speravo sempre di non stare bene perché così il medico me lo avrebbe fatto prendere. Nacque così quel “giallo”, teorizzato poi da qualcuno in maniera diversa, che contraddistingue oggi i prodotti del Mulino Bianco.” (p.292) Analizzando la linea di prodotti venduti, ad oggi, è possibile notare come la confezione sia rimasta la stessa, salvo qualche modifica e il colore predominante continui ad essere quel giallo degli inizi, in particolare per le linee di biscotti che potremmo definire “senza tempo”. All’utilizzo del giallo si sono accostate altre tonalità, come il marrone utilizzato per i prodotti integrali o un verde chiaro per la linea “meno grassi” ma anche in questi casi si tratta comunque di tonalità chiare che veicolano lo stesso messaggio di cui era portatore il giallo: prodotti genuini, naturali, autentici “come quelli di una volta”.
Fig. 79 Immagine di una macina e della tazza “Coccio”
191
Comunicazione L’azienda emiliana investe fin da principio nella promozione e visibilità pubblicitaria, come testimonia l’elevato numero di spot realizzati tra il 1976 e il 2006. Ben 750 pubblicità trasformano la Mulino Bianco in testimone e compagno ufficiale della vita quotidiana della famiglia italiana: “prodotti da forno semplici e genuini, adatti al consumo in casa e fuori casa.” Avendo ben presenti quali siano i valori da comunicare le campagne si succedono una dopo l’altra. A seconda del filone narrativo che seguono è possibile raggrupparle e suddividerle in questo modo: La Valle Felice Il Piccolo Mugnaio La Famiglia del Mulino La Natura in Città La vita è una favola Un mondo buono
(1977-1989) (1982-1988) (1990-1994) (1994-1996) (2000-2004) (2004-Oggi)
Nelle pagine seguenti verrà approfondito l’argomento, analizzando alcune delle campagne con lo scopo di sottolineare gli elementi cardini alla base di tutte le narrazioni, gli scenari ricorrenti e i piccoli cambiamenti effettuati nel corso degli anni. Fin dalla prima comparsa sul mercato ciò che ha permesso alla Mulino Bianco di differenziarsi dai suoi competitors è stato sicuramente il racconto legato ai suoi prodotti. Questa potente storia nasce esattamente con la creazione dei primi biscotti, che, non a caso hanno nomi che rimandano ad un mondo arcaico, genuino, semplice e per questo diventano fin da subito sinonimo di felicità casalinga. Ed è proprio con Tarallucci, Molinetti, Pale, Campagnole e Galletti che gli italiani iniziano ad appassionarsi alla narrazione che continuerà negli anni successivi. Sergio Mambelli ne ricorda una in particolare, “Abbecedario”, quella che ha come protagonisti i biscotti: ogni annuncio metteva in evidenza una lettera dell’alfabeto che era anche la prima lettera del nome del biscotto. Analizziamo, ad esempio, lo spot delle Campagnole risalente al 1979. Questo spot comincia con un disegno raffigurante un mulino, simbolo dell’azienda, mentre in sottofondo si sente una voce maschile pronunciare le seguenti parole: “Quando i mulini erano bianchi..” E poi aggiungere poco dopo, “Questa storia comincia con C: Campagnole.” Da qui in avanti la scena si sposta all’interno di una casa contadina nella quale una giovane donna è intenta a preparare il burro aiutata da un bambino che immaginiamo potrebbe essere suo figlio. L’ambientazione, la musica in sottofondo e l’utilizzo di parole come “campagna dorata”, “burro come una volta” richiamano alla mente in maniera semplice e diretta i ricordi dell’infanzia ed per concludere arriva la promessa finale “Mangia sano con i biscotti del Mulino Bianco Barilla”. Questo format che, come detto, fa parte della campagna “Abbecedario” ed è stato ripreso e declinato per gli altri prodotti. Di seguito è riportato il copy utilizzato nella pubblicizzazione di altri due prodotti:
192
Fig. 80 Frame finale con le quali si concludono gli spot della Mulino Bianco
“Macine del mio Mulino cosa c’è dentro questo frollino? Il grande c’è. L’uovo fresco c’è. E persino… la panna di latte! Domattina, Macine del Mulino Bianco: quelle con dentro la panna.” “Piccole righe in un campo di grano dove corre il latte fresco. Da una parte le uova, dall’altra la farina qua e là un goccio di miele. Domattina, Rigoli del Mulino Bianco: quelli con dentro il latte fresco.” Una piccola epopea del buon mondo contadino, fatto di sentimenti veri, ingredienti naturali amati e rispettati. Si è deciso di ricordare questa campagna nello specifico poichè sarà riproposta in chiave, quasi del tutto identica, nel 2010 come mostrano le immagini a sinistra. Il protagonista assoluto è di nuovo il prodotto e ogni confezione riporta un racconto differente introdotto dalla frase “Questa storia inizia con…”. Ma la società si evolve in fretta e con gli anni 80 quei valori forti e universali seppur rimangono inalterati vengono vissuti diversamente, ed è così si avverte la necessità di una maggior concretezza per passare “dal sogno alla realtà”.Nello stesso periodo aumenta sempre più la fiducia nell’industria che avendo perso tutti i suoi connotati negativi diventa simbolo di garanzia e controllo. La protagonista di questo cambiamento è una ragazza con la chitarra, che, con la sua musica richiama sì la vita nei campi ma in maniera più realistica e ci ricorda che “ci sono cose che il tempo non cambia”. Vale lo stesso per la strategia di comunicazione, infatti, l’immaginario che fortemente caratterizza la marca non viene mai sostituito ma tradotto e declinato a seconda delle evoluzioni del tempo.
Fig. 81 Immagine pubblicitaria della campagna “Abbecedario”, 1979
193
É all’inizio degli anni 90 che si ha una grande svolta, con la campagna firmata da Armando Testa il marchio diventa luogo fisico: il Mulino, un agriturismo di Chiusdino, diventa la “casa nel verde” ambita da tutte le famiglie italiane. La nostalgia verso la natura diventa l’elemento cardine di questa nuova linea comunicativa. La nuova serie di episodi che si protrarrà per cinque anni, vede come protagonisti una mamma insegnante, un papà giornalista, due figli e il nonno: da questo momento nasce ufficialmente “La famiglia del Mulino”. Grazie anche alla regia di Tornatore e alle musiche di Morricone la decisione si rivela vincente fino al 1994 quando un leggero cambiamento nel payoff che diventa “Mangia sano, trova la natura” sposta l’attenzione verso la città per sottolineare come sia possibile riscoprire la natura anche in luogo affollato come Torino. Ed è così che campi di grano compaiono nelle più note piazze d’Italia: Firenze, Roma, Venezia, Bologna e Napoli, è possibile ritrovare equilibrio e genuinità anche in mezzo alla frenesia.
Fig. 82 Immagine pubblicitaria dei biscotti Molinetti
Dieci anni dopo, dalla collaborazione con l’agenzia McCann-Erickson si torna nuovamente all’esaltazione di quei valori che rimangono inalterati nel tempo: genuinità, semplicità ed equilibrio vengono sintetizzati in un nuovo slogan “Riscopriti genuino”. Quello che è cambiato, invece, è la società che appare sfiduciata e necessità quindi di maggior realismo nelle nuove promesse. Ed è così che Mulino Bianco comincia un racconto di situazioni reali, i protagonisti siamo noi. Ed è con queste nuove linee guida, che, ha inizio una narrazione più vera, l’immagine del Mulino viene attualizzata, resa meno fatata e più umana, rimanendo comunque un classico. Primi amori, giornate storte, problemi adolescenziali sono i principali temi trattati, ancora una volta si parla di un universo di emozioni e sensazioni nelle quali ciascuno di noi può ritrovarsi. Con l’accompagnamento della colonna sonora del film “Il gladiatore” di Hans Zimmer ciascuno spot trova il suo lieto fine grazie alla “dolcezza” dei prodotti Mulino Bianco.
194
Per anni quindi ci vengono mostrati i prodotti, sottolineandone bontà e genuinità senza fare mai cenno all’artefice di queste creazioni. Nel 2012 dalla collaborazione con Luca Guadagnino arriva finalmente la risposta a questo quesito. La nuova campagna che pone l’accento sul “saper fare” è costituita da una serie di spot, girati all’interno del mulino che vedono protagonista l’attore spagnolo Antonio Banderas nei panni del mugnaio.
Fig. 83/84 Frames dallo spot Riscopriti genuino, realizzato dalla collaborazione con l’agenzia McCann-Erickson, 2004
Fig. 85/86 Antonio Banderas interpreta il mugnaio negli spot realizzati in collaborazione con Luca Guadagnino, 2012
195
Dopo di che nel 2017, “il mugnaio va in pensione” ed è la figlia Emma con il compagno Giovanni ad ereditare il mulino e a dare il via ad un progetto che mira sempre più all’idea di naturale e sostenibile. Le nuove storie (con l’hashtag identificativo #LENUOVESTORIE) introdotte con un trailer di 30’’ nel quale il narratore pronuncia le seguenti parole: “Un padre che ha deciso di puntare sulla figlia, una figlia con la stessa vocazione e idee tutte sue. Un uomo giovane e un sapere antico, un’appassionata ricerca di semplicità e natura. Una storia di sfide, di amore e soprattutto di un progetto in comune: Portare a tutti quella gioia che solo il cibo ben fatto può dare” hanno le caratteristiche di una fiction moderna, ma ancora una volta consentono di celebrare i valori fondanti della marca: la natura, la genuinità e il saper fare dal campo alla tavola.
Fig. 87-89 Schede di presentazione dei nuovi protagonisti degli spot Mulino Bianco / Frame da uno spot del 2017
196
Gadget e raccolta punti Finora si è parlato di logo, prodotto, packaging e di spot pubblicitari ma un altro elemento che merita attenzione sono sicuramente i cosiddetti “gadget” .A partire dagli anni 80, vengono inseriti nelle confezioni delle merende le “Sorpresine”, si tratta di piccole scatole simili a quelle dei fiammiferi che contengono un oggetto di piccole dimensioni e un foglietto con le istruzioni per giocare. La prima sorpresina prodotta si chiama “Carta vince, carta perde”. È un gioco di carte con illustrato una forbice, un sasso e una rete e le regole sono quelle tipiche della morra. Si trattava inizialmente di gomme e altri oggetti di cancelleria mentre con il tempo si sono aggiunti indovinelli, adesivi, calendari. L’obiettivo, come sottolinea l’ideatrice Graziella Carbone, era quello di creare piccoli regali desiderabili dai bambini, che li collezionavano e scambiavano con gli amici. Sempre negli anni ottanta vennero realizzate schede di raccolta punti al cui completamento si ricevevano in omaggio alcuni oggetti come piatti, tazze per la colazione, portamatite, sveglie e orologi, ecc.. Questi dovevano possedere alcune caratteristiche come l’essere di interesse per tutti i target, essere collezionabili, non avere un particolare impegno di consumo ma più di tutti dovevano evocare i valori simbolici della marca. Con queste linee guida il primo oggetto messo in produzione è, non a caso, il “Coccio”, una scodella in terracotta per la prima colazione che ricorda le tazze utilizzate dai nonni e quindi evoca il ricordo di un mondo contadino, semplice e genuino: l’oggetto si fa premio e al tempo stesso “medium” di comunicazione. La promozione ha un successo travolgente: il coccio entra nelle case di 6 milioni di consumatori. Questa scelta rispecchia perfettamente l’intento di creare un’immagine globale che comprenda ciascun elemento: anche quelli che potrebbero a prima vista sembrare piccoli dettagli diventano oggetto di progettazione. Un esempio fra tutti è la forma dei punti per le raccolte che diventano chicchi, spighe, covoni e mulini. (Bucchetti,1994, p.322) Nei primi anni 90 viene proposta una serie di “regali per le mamme”: oltre a tovaglie e servizi in porcellana, si aggiungono oggetti realizzati da grandi marche come il Robot della Salute, la Caffetteria Cappuccina e il Fornetto Scaldabrioche. Ad oggi queste raccolte punti continuano e vengono apprezzate dai consumatori.
Attività di promozione sul territorio Fanno parte della comunicazione di una marca anche tutte le attività che concorrono alla promozione sul territorio. Una di queste è “Il tour del Mulino” che si è svolto nel 2017. Il tour, pensato per avvicinare concretamente le persone alla realtà del Mulino Bianco, ha avuto luogo nelle seguenti città: Palermo, Catania, Roma, Rimini, Ferrara, Napoli, Arese. Sono stati organizzati una serie di laboratori didattici per adulti e bambini, incontri con nutrizionisti, attività educative, ma anche numerosi giochi multimediali. Quest’operazione è risultata molto efficace, poiché ha contribuito alla narrazione dell’azienda avvicinando le persone ad una conoscenza degli ingredienti utilizzati all’interno dei prodotti. Vedere con i propri occhi, toccare con mano, sperimentare sono sicuramente attività apprezzate dai consumatori che possono trovare risposte concrete a eventuali dubbi. Fig.90 Ricostruzione in legno del mulino originario in occasione del “Tour del Mulino Bianco” a Bari, 2018
197
Mulino online Contemporaneamente a quanto scritto in precedenza una delle strategie attuate per una comunicazione vincente è quella di riadattare i propri contenuti all’evolversi della società e per questo motivo risulta evidente che un passo importante da compiere per qualsiasi marchio sia il passaggio al mondo digitale. A questo proposito è sicuramente interessante partire dall’analisi del sito web che è suddiviso in 5 sezioni principali: Prodotti Premiazioni Per darti il meglio Comunicazione Ricette Esso raccoglie e mostra ai fruitori una serie di approfondimenti attorno a temi differenti: nella prima sezione ad esempio si possono trovare tutte le informazioni riguardo ingredienti e valori nutrizionali mentre in quella successiva ci sono ben evidenziate le scadenze delle promozioni attive e le modalità con le quali vengono svolte le raccolte punti. Un’altra sezione è quella che raccoglie una serie di “Ricette dal Mulino” e quelle postate dagli utenti sui social con l’hashtag #mulinobianco. La parte di “Comunicazione” invece risulta particolarmente interessante poiché è possibile ripercorrere attraverso immagini, spot e didascalie la storia dell’azienda dall’anno della sua fondazione fino ai giorni nostri. Sempre in questa sezione merita di essere evidenziata la sezione “Il mulino che vorrei”, dedicato alla Community che è, citando il sito stesso: “Un luogo dove puoi dialogare con Mulino Bianco, per costruire insieme il Mulino di domani. Puoi proporre le tue idee per suggerire nuovi prodotti o iniziative e puoi raccontarci i tuoi gusti e preferenze rispondendo a quiz e sondaggi. Il tuo contributo per noi è molto importante, per questo ricompensiamo ogni tua azione con Chicchi di Grano che ti permetteranno di ottenere fantastici premi e tanti altri vantaggi.” In un’epoca in cui cresce la consapevolezza sulle materie prime e di conseguenza la consapevolezza fra i consumatori ritengo che l’impostazione del sito web rispecchi la volontà dell’azienda di sottolineare ancora una volta il valore dei suoi prodotti al fine di risultare totalmente trasparente con i suoi clienti. A questo proposito analizzando le piattaforme sulle Facebook e Instagram ho notato come ci sia la stessa attenzione nel rispondere ad eventuali dubbi posti dai “follower”. In particolare per quanto riguarda Facebook l’analisi dei contenuti postati, dei commenti e delle reazioni mi è risultata particolarmente utile per capire quale sia l’opinione dei consumatori e il tipo di relazione con il brand.
198
Il sentimento che prevale è quello di nostalgia, affetto e amore verso un prodotto che è diventato parte integrante della famiglia italiana, che non può farne a meno neanche quando va all’estero. Queste testimonianze permettono di riallacciarsi al discorso iniziale, siamo di fronte a clienti alla ricerca di un brand “innocente”, che prometta loro semplicità, concretezza e felicità. E sono questi i valori che Mulino bianco ha sottolineato sin dalla sua creazione. Nonostante i cambiamenti della società, l’arrivo di nuovi prodotti e una maggior attenzione per la salute, Mulino Bianco ha saputo portare avanti la tradizione della tipica colazione con latte e biscotti adeguandosi ai cambiamenti.
Fig. 91 Screenshot dal sito ufficiale di Mulino Bianco mulinobianco.it
Focalizzando la sua attenzione verso il racconto, delineando una struttura narrativa iniziale, le caratteristiche dei personaggi e assumendo egli stesso una posizione nel discorso narrativo, questo brand è riuscito a mantenere il successo e parte di esso è dovuto al fatto che non solo si è preoccupato di fornire tutte le informazioni ai suoi consumatori ma ha creato con loro un rapporto di fiducia, di scambio e di crescita. Questo è testimoniato ad esempio, dalla sua community, molto attiva, e fedele e dall’attenzione posta nel rispondere ad ogni commento sui social.
Fig. 92/93 Screenshot di due immagini presenti sulla pagina Instagram Mulinobianco
199
Nike
Perchè eroe? “Just Do It” un’espressione semplice ma potente al tempo stesso. E’ così che Nike si presenta al pubblico, ispirandoci a diventare la versione più coraggiosa di noi stessi. Se lo stile dei suoi prodotti andrà evolvendosi, ciò che non cambierà mai è la sua natura da eroe. Così come l’archetipo, il brand si pone come obiettivo quello di essere fonte di ispirazione per gli altri, spingendo questi ultimi ad affrontare ogni sfida con coraggio e dedizione. Non a caso Nike ha stretto continuamente collaborazioni con i migliori atleri del mondo, figure quasi mitologiche, ammirate dagli sportivi di tutto il mondo e non solo. Il brand ha costruito i suoi valori fin da subito, già a partire dalla scelta del nome e del logo e ha saputo coltivarli nel tempo in maniera profonda. Questo processo ha fatto sì che attraverso il suo linguaggio mirato ed essenziale, senza mai fare riferimento ai suoi prodotti, ci suggerisce che il vero coraggio è gia dentro di noi ma che con un paio di scarpe o un capo di abbigliamento Nike ogni prova della vita può essere superata.
Fig. 94 Immagine della campagna Dream Crazier realizzata da Wieden+Kennedy per Nike, 2019
200
Fig. 95 Bill Bowerman, allenatore e co-fondatore di Nike in un’immagine dell’epoca
Cenni storici La Nike è una multinazionale statunitense che produce calzature, abbigliamento e accessori sportivi. Fondata nel 1971, ha sede a Beaverton, nell’area metropolitana di Portland, Oregon. Phil Knight, uno studente della facoltà di Economia della Oregon University, intuì grazie ad un’analisi di mercato, le potenzialità di importare nel mercato americano scarpe sportive giapponesi che vantavano di avere ottime caratteristiche. Decide di parlarne al suo allenatore, Bill Bowerman, e insieme, il 25 gennaio 1964, fondano la Blue Ribbon Sports, società che commercializza negli USA le calzature sportive prodotte dalla giapponese Onitsuka Tiger (Asics Corportation dal 1977 in poi). Nel 1966 viene aperto il primo punto vendita e il successo dell’operazione è tale da spingere i due a investire maggiormente sul progetto (che inizialmente doveva chiamarsi Dimension 6) e creare un proprio marchio. È così che il 30 maggio 1971 nasce ufficialmente Nike. Il nome scelto per l’azienda è l’adattamento di quello della Dea della mitologia greca, personificazione della vittoria, spesso raffigurata come una trionfante donna con le ali. Questa decisione è una dichiarazione d’intenti poiché la società vuole rivoluzionare l’idea stessa di sport, trasformandolo in uno stile di vita. Dalla fine degli anni ‘80 Nike ha costantemente ampliato la propria attività e diversificato la propria linea di prodotti anche attraverso numerose acquisizioni, tra cui le società di calzature Converse, diventando il primo produttore mondiale di accessori e abbigliamento sportivo, soprattutto per il calcio, la pallacanestro, il tennis e molte altre discipline sportive. Nel 1996 la società ha creato Nike ACG (“attrezzatura per tutte le condizioni”), che commercializza prodotti per sport estremi, mentre qualche anno più tardi ha iniziato la vendita di accessori per la tecnologia sportiva, inclusi monitor portatili per la frequenza cardiaca e bussole da polso per alta quota. All’inizio del 21 ° secolo Nike aveva punti vendita in 170 paesi del mondo. (Ventrella, 2018)
201
Logo Il logo Nike, con un valore di 26 miliardi di dollari, è ampiamente considerato uno dei loghi più popolari della storia. È stato adottato ufficialmente nel 1971 e fece la sua prima apparizione un anno più tardi alle prove olimpiche di atletica in Oregon. Conosciuto come “Swoosh”, è l’opera di una studentessa della Portland State University, Carolyn Davidson che lo vendette a il co-fondatore della Nike Phil Knight per soli 35 dollari. Grazie al suo design semplice ma fluido il logo è in grado di trasmettere velocità e movimento. Nel corso degli anni ha subito leggere modifiche, passando da essere accompagnato dalla scritta NIKE a elemento autonomo nel 1995. Alcuni associano la sua forma ad una pista da corsa, mentre altri sostengono che simboleggi la lettera “V” come simbolo della “vittoria” ma in realtà si tratta di un riferimento alle ali della dea della vittoria Nike appunto. In ogni caso, indipendentemente da quale sia il riferimento che ha ispirato la giovane designer, il logo è diventato un vero e proprio riferimento culturale, in grado di comunicare e veicolare l’immaginario dell’azienda in modo rapido ed efficace. (“Woosh”, n.d)
Fig. 96/97 A sinistra attuale logo di Nike; in alto logo della Blue Ribbon Sport, 1967
“Just do it” Nel luglio del 1988 la Nike lanciò per la prima volta lo slogan pubblicitario “Just Do It” , in italiano traducibile come “Facciamolo!”, frase essenziale e sintetica che ha contribuito a rendere Nike uno dei marchi di abbigliamento sportivo più conosciuti al mondo. Nel primo video pubblicitario in cui compare lo slogan, si vede un uomo di ottant’anni, Walt Stack, mentre corre a petto nudo sul Golden Gate di San Francisco. In sottofondo si sente la sua voce pronunciare queste parole: «Corro per diciassette miglia al giorno, ogni mattina. La gente mi chiede come faccio a non battere i denti, d’inverno. Li lascio nell’armadietto». La voglia di fare senza indecisione, con coraggio e forza, è proprio a questo concetto che la Nike si è ispirata e si ispira ancora oggi per lanciare i suoi prodotti sportivi. Dan Wieden, uno dei pubblicitari a cui Nike aveva affidato la campagna per il 1988, ha raccontato com’è nato lo slogan, e l’idea che ci stava dietro. 202
Fig. 98 Walt Stock corre a petto nudo sul Golden Gate di San Francisco per lo spot Just Do it
Pare che l’espressione originale fosse “Let’s do this”, poi modificata nella forma attuale da Wieden per darle un suono più armonioso e facilmente ricordabile. Si tratta della “rivisitazione” di un’affermazione che il pluriomicida Gary Gilmore condannato a morte fece proprio davanti al suo plotone di esecuzione qualche secondo prima di morire. Il killer in questione, fu condannato a morte nel 1977 per aver compiuto diversi omicidi e quando gli fu chiesto di esprimere le sue ultime parole, disse appunto:“Let’s do this”. Il pubblicitario racconta che quando venne a sapere dell’accaduto rimase stupito dall’atteggiamento positivo del condannato nei confronti della morte. Nonostante lo scetticismo da parte di alcuni colleghi gli spot furono realizzati e grazie anche al loro successo Nike passò dall’essere un’azienda che produceva unicamente scarpe a un marchio “cool”, alla moda. Lo slogan racchiudeva i desideri di tutti, da quelli di una donna che voleva rimettersi in forma a quelli di un’atleta famoso poiché trasmetteva un’immagine di determinazione, impegno, e traduceva l’ideale americano del “lavorare sodo” in attenzione per la propria forma fisica. Fig. 99/100 Serie di frames dallo spot Just Do it! che ha per protagonista l’ottantenne Walt Stock, 1988
203
Punti vendita Il “Flagship store” è un punto vendita pensato per comunicare il brand, lo stile e i valori aziendali in maniera più accattivante, sfruttando design, architettura ed esperienza particolari e unici rispetto agli altri negozi della marca. Esso è spesso collocato in luoghi strategici come il centro delle grandi metropoli, come nel caso della “Nike House of Innovation 000” a New York. Aperta nel 2018, situata sulla Fifth Avenue di Manhattan, propone un’immagine innovativa del brand e un concetto di retail avanzato con soluzioni hi-tech d’avanguardia. Secondo in ordine temporale dopo quello di Shangai, si sviluppa su un’area di oltre 6.000 mq sviluppati su più livelli tra cui uno sotto terra. Su ogni piano, i consumatori possono usufruire di servizi personalizzabili. All’ingresso è presente l’area chiamata Nike Arena che ripercorre momenti ispirati alla stagione e allo sport. Lo spazio è pensato per poter essere modulabile a seconda delle esigenze e riorganizzato a seconda dell’assortimento della stagione. Il piano terra è ospita il Nike Speed Shop, uno spazio che utilizza i dati dell’eCommerce di Nike per offrire un assortimento localizzato che include i prodotti più amati e il Nike Sneaker Bar con un’offerta di calzature Nike e varie opportunità di personalizzazione degli articoli. I membri NikePlus possono prenotare i prodotti tramite l’App Nike e ritirarli negli armadietti situati nello Speed Shop. Il primo piano della struttura propone il Nike Expert Studio, con una gamma di servizi che spaziano dalle sessioni one-on-one prenotabili con esperti Nike che guideranno nella scelta degli outfit o per accedere a prodotti stagionali esclusivi. Un ulteriore piano è stato ideato per lo Sneaker Lab con il più vasto assortimento di calzature della stagione. L’esterno del negozio rappresenta l’estetica iconica di Nike Air.
Altro aspetto fondamentale sono gli innovativi servizi offerti tra cui lo Shop The Look con cui si può scansionare il codice di un capo ai quali si è interessati visto su un manichino e controllare se sono disponibili taglie specifiche in negozio. Completata la scansione si può chiedere a un assistente di inviare gli articoli in camerino. Infine per ovviare al problema della fila alla cassa è stato pensato il Nike Instant Checkout che permette di pagare online. Quello che l’azienda ha tentato di fare con questo nuovo progetto è riassunto nelle parole di Andy Thaemert, Direttore creativo degli Store Nike: “What we wanted to do is respond to the idea that all retail is moving from transactional to experiential.”
Fig. 101 Fotografia dello store di Shangai denominato Nike House of Innovation, 2018
204
Partnership “No company in the world spends as much money on sports sponsorships as Nike” (Isidore, 2015)
Fig. 102 Michael Jordan fotografato con un paio di Nike Air Jordan, 1985
La chiave di volta di Nike è stata quella di legarsi ad atleti di fama internazionale. La prima grande sponsorizzazione arrivò nel 1978 con il tennista John McEnroe e da quel momento la società iniziò a crescere in modo esponenziale, espandendosi anche fuori dagli Stati Uniti. Due anni dopo Nike continua la sua salita, oltre che economicamente, anche in termini di prestigio grazie alla collaborazione con atleti quali Carl Lewis e Joan Benoit, ma soprattutto grazie al lancio nel 1985 delle Air Jordan, primo modello pensato in collaborazione con Michael Jordan, icona dell’NBA a livello mondiale. Negli anni ’90 ormai Nike aveva consolidato lo status di maggior produttore d’abbigliamento sportivo degli Stati Uniti, dopo Jordan contava tra le proprie fila anche Agassi e altri atleti in tantissime discipline, ma anche interi club sportivi e persino la nazionale di calcio brasiliana con Ronaldo. Dopo il 2000 la società si è aperta anche allo streetwear come dimostrato dall’enorme successo della linea Nike SB e altre operazioni come le Air Force One di Nelly del 2002 o le Air Yeezy I e II in collaborazione con Kanye West del 2009. Quelli citati fino ad ora sono solo pochissimi dei protagonisti nella storia di Nike che ha collaborato, ad esempio, anche con il campione di golf Tiger Woods o personalità del tennis come Roger Federer e Serena Williams. Mentre per quanto riguarda l’ambito tecnologico vale la pena di sottolineare la partnership con Apple che ha portato allo sviluppo degli Apple Watch Nike + dimostrando come l’azienda si occupi di incentivare l’attività fisica e il jogging.
Fig. 103 Cristiano Ronaldo, testimonial del brand, fotografato mentre indica lo swoosh Nike
205
Comunicazione Fin dagli albori Nike ha dominato il settore sportivo con i suoi prodotti altamente competitivi, esteticamente inimitabili e tecnologicamente avanzati. Il suo successo, però è anche merito dell’aver trasposto competenza e creatività anche nel campo della comunicazioe. Gli spot di Nike fanno leva non sul prodotto, ma sull’emozionalità, raccontano storie e hanno trasformato lo sport in un vero e proprio stile di vita. “Our mission is what drives us to do everything possible to expand human potential. We do that by creating groundbreaking sport innovations, by making our products more sustainably, by building a creative and diverse global team and by making a positive impact in communities where we live and work.” (dal sito web di Nike). In accordo con la sua mission Nike da sempre è stata promotrice di valori quali l’uguaglianza, la difesa dei diritti dei più deboli e attraverso lo storico slogan “Just do it” ha incoraggiato generazioni di sportivi a spingersi oltre i propri limiti. In questo contesto i prodotti appaiono solamente come mezzo per raggiungere un obiettivo poiché quello che fa la differenza sono costanza e forza di volontà. Di seguito vengono analizzate alcune campagne al fine di evidenziare da un punto di vista pratico come è stata attuata la traduzione di questi valori.
Fig. 104 Locandina pubblicitaria per la linea Windrunner, 1986
Find your greatness “Chissà perché ci siamo convinti che la grandezza sia solo per i pochi eletti, per le superstar; la verità è che tutti possiamo essere grandi”. (Nike Find Your Greatness, 2012) Non è solo il campione in carica o il detentore di record che vuole testare i propri limiti. È anche l’atleta di tutti i giorni che si sforza di eccellere, di stabilire e realizzare obiettivi personali. Questa è la consapevolezza alla base della campagna Nike “Trova la tua grandezza”. Realizzata in vista delle Olimpiadi estive del 2012, è un potente messaggio rivolto a chiunque desideri raggiungere il proprio momento di grandezza nello sport. La serie di spot ha per protagonisti uomini e donne che si allenano, giocano e gareggiano, una cosa li accumuna: i luoghi presentati sono tutti chiamati Londra. Mentre i giochi olimpici avranno luogo una voce fuori campo ribadisce che la grandezza è intrinsecamente dentro tutti noi, in quanto come sostiene Nike “Se hai un corpo sei un atleta”.
Fig. 105 Frame dallo spot Find your greatness,2012
206
Just Do It (30° anniversario) “Credi in qualcosa. Anche se significa sacrificare tutto”. (Nike) Uno slogan che incarna perfettamente la vicenda personale di Colin Kaepernick. Il quarterback afroamericano, ex leader dei San Francisco 49ers il 26 agosto 2016, durante l’inno prima della partita tra San Francisco 49ers e Green Bay Packers, si inginocchiò, invece di alzarsi in piedi, in segno di protesta contro le crescenti discriminazioni razziali in America. Questo gesto suscitò l’ira di Trump e dei suoi sostenitori. Ora Kaepernick è in causa contro la lega, che gli avrebbe impedito di trovare un’altra squadra con cui giocare. Il giocatore è diventato un simbolo della lotta all’odio razziale tra gli sportivi, imitato da molti altri, ed è stato scelto come volto della campagna Nike per celebrare i 30 anni del suo slogan storico “Just Do It”. Il volto di Kaepernick in primo piano in uno scatto in bianco e nero, accompagnato dalla citazione: “Credi in qualcosa, anche se significa sacrificare tutto”: è la prima volta che un’azienda di abbigliamento così importante prende una posizione politica in maniera così netta e pubblica. Dopo l’uscita della campagna non sono tardate ad arrivare le critiche nei confronti della scelta attuata dal brand ma parallelamente sono state espresse numerose parole di supporto anche da personaggi famosi come LeBron James, la modella Winnie Harlow, il giocatore degli Eagles Jay Ajayi, Justin Timberlake e Michael B. Jordan. Il vicepresidente Nike per il Nord America Gino Fisanotti ha dichiarato a Espn: “Crediamo che Colin sia uno degli sportivi più carismatici della sua generazione, che usa il potere dello sport per cambiare il mondo”. E in queste parole si può scorgere la volontà di Nike di dare voce e rilevanza all’ingiustizia subita da Kaepernick, dietro cui si nascondono iniquità e soprusi di ancor più grande entità.
Fig. 106 Colin Kaepernick per la campagna Dream creazier, 2019
Dream crazier Dream Crazier, il commercial di Nike che è andato in onda durante la cerimonia di consegna degli Oscar nel 2019, racconta un mondo di donne combattenti e grintose che non hanno paura di essere chiamate pazze. Realizzato dall’agenzia Wieden + Kennedy è pensato per raccontare un mondo femminile forte ed energico, che si confronta con il giudizio maschile e non e va dritto per la sua strada senza farsi abbattere. In un primo momento le immagini raccontano soprattutto di lotta, battaglia e fatica. Finché arriva la svolta, perché l’aggettivo “crazy” diventa un’etichetta positiva, l’atteggiamento giusto per compiere grandi imprese, gesta eroiche. Le atlete delle prima parte, fanno ora da contraltare a professioniste e grandi (cioè riconosciute) donne dello sport, tra cui Serena Williams, voce narrante del video che conclude così “Show them what crazy dreams can do”.
207
Ikea
Perchè uomo comune? L’uomo comune rappresenta l’archetipo dell’appartenenza , è giusto, amichevole e comprensivo. Le sue azioni sono guidate da solidi principi e mirano a creare una comunità nella quale ciascuno possa sentirsi accettato. Ciò che lo contraddistingue maggiormente è il desiderio di vivere all’interno di una società democratica, nella quale tutti godono degli stessi diritti, indipendentemente dalla loro etnia, dallo stato economico e dal credo. Queste aspirazioni si rispecchiano perfettamente nel marchio svedese Ikea, la cui filosofia si basa appunto, sull’offrire mobili di design ad un prezzo accessibile alla maggior parte delle persone. I mobili stessi sono progettati per far sentire i consumatori parte di una grande famiglia e per far sì che sentano ancor di più di essere parte del processo, dal momento che occorre assemblare personalmente i pezzi acquistati. Il tono di voce, colloquiale ma rispettoso, il catalogo e i numerosi servizi offerti sono solo alcuni degli elementi che contraddistinguono il brand e che permettono l’associazione con questo archetipo. Sebbene, Ikea si prodighi per un continuo miglioramento della sua offerta, i suoi valori sono rimasti immutati nel corso del tempo ed è proprio per questo motivo che, ad oggi, permane la sensazione di “sentirsi a casa”, al sicuro e a proprio agio ogni qualvolta si varchi la soglia di un negozio.
Fig. 107 Ingvar Kamprad fondatore di Ikea, fotografato davanti ad uno dei suoi store
208
Cenni storici IKEA è uno dei principali rivenditori al mondo di mobili e articoli per la casa. Fondata in Svezia da Ingvar Kamprad, la società possiede, ad oggi, oltre 140 punti vendita distribuiti in circa 30 paesi in tutto il mondo. Nato nel 1926 in una fattoria chiamata Elmtaryd nei pressi del villaggio di Agunnaryd, fin da piccolo Kamprad manifesta una personalità da imprenditore. A 5 anni inizia la vendita di fiammiferi ai vicini di casa ma, con il passare del tempo, questa attività nata quasi per gioco continua ad espandersi fino agli anni 40 quando grazie all’aumento di clientela Kamprad decide di estenderla avvicinandosi al mercato della vendita per corrispondenza. Ed è così che nel 1943 nasce ufficialmente IKEA che in quegli anni distribuisce ancora penne, portafogli, orologi e simili. La svolta arriva nel 1948 quando si aggiungono a queste merci vari elementi di arredo, e visto il grande successo nel 1950 viene messa in produzione la prima linea di mobili firmati IKEA, resa possibile dalla materia prima abbondante e dal basso costo della manodopera locale. Vista la domanda crescente nel 1953, Kamprad decide di acquistare una fabbrica di mobili e apre uno showroom a Älmhult. Durante gli anni Cinquanta la concorrenza si dimostra spietata ma Kamprad, non si perde d’animo e al contrario coglie l’occasione per differenziarsi dalle imprese concorrenti. Nel 1955 vengono assunti dei designer che daranno il via ad una progettazione di mobili pensati per essere facilmente smontati e imballati in pacchi piatti: tale idea diventa la caratteristica peculiare del concetto-Ikea basato sul montaggio “fai da te” e sulla trasportabilità dei prodotti imballati in pacchi sempre meno ingombranti. Nel frattempo anche l’attività di vendita per corrispondenza ha continuato a prosperare, contribuendo ad espandere ulteriormente la gamma di clienti IKEA. Ciò ha spinto l’apertura del primo negozio fuori dalla Svezia, vicino a Oslo, in Norvegia, nel 1963. Altri negozi furono aperti in Svezia nel 1966 e nel 1969 fu aperto un negozio in Danimarca. A ciò seguirono le prime aperture al di fuori del territorio scandinavo, in Svizzera nel 1973 e in Germania nel 1974. La formula IKEA fu un successo immediato, in particolare per utensili da cucina e mobili per bambini e negli anni ’80 l’azienda continua la sua espansione nei mercati di tutto il mondo. Oltre alla sua solida organizzazione aziendale, un altro fattore del successo di IKEA durante gli anni della crescita sono state le efficaci e insolite campagne di promozione delle vendite. I cataloghi IKEA, di cui si parlerà nelle pagine seguenti, hanno svolto un ruolo primario nel successo della pubblicità. Grazie alla sua filosofia di base, offrire mobili eleganti e moderni allo stesso tempo ma ad un prezzo accessibile, ha continuato a guadagnare clienti e ad aprire nuove sedi. Alla luce di queste considerazioni si può affermare che IKEA ha contribuito non solo ad un’innovazione nel sistema di distribuzione di mobili e componenti d’arredo ma anche, e soprattutto, ad un cambiamento nello stile di vita delle persone che liberando la fantasia diventano i veri protagonisti delle proprie case.
209
Logo La parola IKEA, alla base del logo, è un acronimo: le prime due lettere sono le iniziali del fondatore, Ingvar Kamprad, mentre la terza e la quarta rappresentano il nome della sua fattoria, Elmtaryd, e il nome del villaggio in cui si trovava, Agunnaryd. Il primo logo, introdotto nel 1951, era costituito da due parole: “Ikea” e “Kvalitets garanti” (Garanzia di qualità) riportate su una forma che aveva caratteristiche simili ad un sigillo. Ma già dall’anno successivo vengono effettutate modifiche sostanziali, alla parola Ikea, ad esempio, che da quel momento apparirà sempre in maiuscolo. Negli anni successivi vengono effettuati ulteriori cambiamenti a quest’ultimo: cambiano i colori si passa dai toni del beige al nero, compaiono e scompaiono le parole “Mobel” e “Almhut”. Fino a quando nel 1967 non si arriva a quello che potremmo considerare predecessore del logo attuale, infatti, da questo momento, le modifiche saranno minime. Nel 1981 una nuova versione riporta la scritta in rosso su sfondo bianco mentre l’anno successivo si vedono comparire i colori emblema dell’azienda: blu e giallo. L’attuale versione del logo IKEA, presenta un carattere simile al Futura Press, è diventato un vero e proprio simbolo che grazie , al grassetto del font e alle sue caratteristiche geometriche, un’ellisse all’interno di un rettangolo richiama alla mente valori come semplicità e stabilità. Parallelamente la scelta dell’utilizzo dei colori della bandiera svedese sottolineano l’origine dell’azienda e del suo fondatore. Nel 2019 Ikea ha affermato “We have updated the IKEA logo to future proof it in a digital world. It is a small change that is more of a refinement to secure it is easy to recognise, at all times.” dopo aver affidato a Seventy Agency il compito di “rimodernare” il vecchio logo. (Hitti, 2019)
Fig. 108 Logo attuale Ikea
210
Punti vendita Nel mondo Ikea il punto vendita ha un ruolo fondamentale, i negozi implementano l’intera strategia di marketing e hanno un’insostituibile funzione comunicativa poiché permettono di mostrare i numerosi prodotti all’interno di ambienti completamente arredati. Ikea ha inaugurato il suo primo showroom ad Älmhult nel 1953, permettendo così ai clienti di provare i mobili prima di comprarli. Oggi, la maggior parte dei negozi Ikea ha ampie aree espositive per esaminare e provare i mobili. Ma il primo vero negozio Ikea è stato inaugurato soltanto il 28 ottobre 1958, con 6.700 metri quadrati di arredamento era la maggiore esposizione di mobili in Scandinavia. Ebbe un successo straordinario infatti le persone si muovevano anche da lontano per vedere l’offerta Ikea, Kamprad aveva rivoluzionato l’immagine storica di un negozio di arredamento trasformandolo in un posto in cui fare una gita di famiglia, con tanto di sala giochi per bambini e, col tempo, anche un ristorante. Il programma delle strategie economiche ha delineato alcuni elementi standard che devono essere tenuti in considerazione da ciascun punto vendita, a partire dalla localizzazione. I negozi si trovano generalmente nelle vicinanze di un casello autostradale per facilitare l’affluenza. Dall’esterno, i negozi Ikea presentano una una totale assenza di vetrine e una struttura semplice di colore blu, che fa da sfondo ad un’ampia insegna gialla, per sottolineare l’origine svedese dell’azienda. (Mauri, 2004) Ogni punto vendita è strutturato secondo una divisione in tre zone principali, seguendo il percorso indicato la visita comincia con l’esposizione dei mobili, il più delle volte al primo piano, dove si trovano stanze allestite e complete di arredi la cui progettazione è affidata ad arredatori e creativi incaricati di rendere piacevole la permanenza del visitatore. Attraverso la creazione di veri e propri spazi abitativi Ikea vuole mostrare come i prodotti venduti siano funzionali e rispecchino le esigenze reali della fascia di clientela a cui si rivolge e che essi possano essere facilmente collocati nelle proprie abitazioni.
Fig. 109 Primo negozio ikea, Stoccolma 1965
211
Durante la visita il cliente può annotare i prodotti che vorrà compare attraverso il codice di riferimento in vendita nella seconda zona, il cosiddetto “mercato” che raccoglie tutte le merci complementari alla gamma di arredi. Dopo aver superato questa sezione, si arriva nel reparto “self service mobili”, qui sono presenti i mobili già confezionati in pacchi piatti. Essi possono essere facilmente prelevati dal cliente, che si muove liberamente nello spazio, orientato dalla numerazione degli scaffali. A prima vista tutti i punti vendita potrebbero sembrare identici ma in realtà essi vengono progettati tenendo conto di differenze locali o nazionali e per questo motivo, ad esempio, verranno evidenziati determinati prodotti rispetto ad altri e gli spazi avranno dimensioni più o meno grandi. Quello che non cambia mai però è la volontà di coinvolgere il consumatore, farlo sentire a proprio agio e far crescere in lui la sensazione di non aver bisogno del parere di un esperto ma di essere in grado di arredare in autonomia la propria abitazione. Per raggiungere questo obiettivo vengono messi in atto numerosi accorgimenti velati che supportano il cliente nella scelta, si parte dalle piccole cose, all’ingresso Ikea mette a disposizione matite, foglietti e un metro di carta, che possono essere utilizzati per annotare i prodotti scelti. In alcune zone, poi, vengono sono posizionati dei computer per poter ad esempio valutare le varianti di un determinato oggetto o controllare il costo. Inoltre come già detto l’utente non deve preoccuparsi di perdere l’orientamento poiché deve semplicemente seguire un percorso prestabilito, ma ciò nonostante durante la progettazione si è pensato anche a delle “scorciatoie” che permettono di evitare il passaggio in zone già viste in caso si voglia tornare indietro.
Fig. 110 Persone in attesa di entrare il giorno dell’apertura del primo punto vendita, 1965
212
Fig. 111 Immagine pubblicitaria di una cucina firmata Ikea
A queste “piccole” attenzioni si affiancano poi veri e propri servizi pensati per rendere ancora più semplice e divertente la visita al negozio, tra questi troviamo la nursery dove poter lasciare i bambini in compagnia degli animatori e altri luoghi nei quali è possibile assaggiare i veri “Sapori di Svezia”, come suggerito da Ikea “fermati al Bar per un caffè, una sana merenda o colazione. Concediti al Ristorante una pausa rilassante o una rapida sosta al Bistro. Fai un salto alla Bottega Svedese e acquista le nostre specialità gastronomiche.” (Dal sito web di Ikea) Questa analisi ci dimostra come Ikea tenti costantemente di agevolare la clientela indipendentemente dall’acquisto e di creare con essa un rapporto di fiducia che inizia con la possibilità di vedere e toccare con mano cosa si andrà ad acquistare.
213
“Fai da te” Qualità, forma, funzionalità, accessibilità e sostenibilità sono i 5 pilastri su cui si basa la progettazione dei mobili Ikea. Ed è proprio sull’ultima voce che Kamprad si è concentrato agli inizi della produzione. Come evitare il trasporto e lo stoccaggio d’aria? Vendendo i mobili “in forma piatta”, ovvero smontati. Per renderlo possibile è stato necessario costruire fabbriche specializzate poiché quest’idea era lontana dai metodi costruttivi dei produttori di mobili dell’epoca. Le innovazioni andavano dalle gambe del tavolo fissate con chiusure a scatto a sedie assemblate con una vite. Questo nuovo processo produttivo nato per eliminare le spese di trasporto rispecchia perfettamente il pensiero del fondatore dell’azienda che come detto in precedenza mirava ad offrire al maggior numero possibile di persone un vasto assortimento di articoli d’arredamento al tempo stesso belli e funzionali a prezzi contenuti. Il cliente acquisiva un nuovo ruolo all’interno del processo di acquisto in quanto, dopo aver scelto gli oggetti da acquistare, ed averli ritirati autonomamente, doveva provvedere al trasporto e al montaggio (salvo i casi in cui veniva richiesto il servizio). Da quel momento il design non era più un qualcosa di elitario, costoso e per pochi ma al contrario accessibile a molti, “la bellezza, d’altronde, deve essere per tutti, e non soltanto per i più abbienti”. (Piva, 2016)
Fig. 1
Fig. 112 Serie di pacchi di diverse dimensioni e formati per il trasporto di prodotti
214
Catalogo Un successo mondiale sotto forma di catalogo, diffuso in 40 paesi e in 27 lingue diverse è il prodotto di una mentalità commerciale che si adatta ai bisogni del cliente. Nei primi anni dell’attività di Ingvar Kamprad la vendita degli articoli avveniva per corrispondenza, per questo motivo si decise di stampare un catalogo in modo da trasmettere al potenziale acquirente il maggior numero di informazioni relative alle merci tramite disegni, immagini, descrizioni e dati tecnici. Nel 1951 viene così prodotto il primo catalogo Ikea.
Come già sottolineato nei capitoli precedenti la comunicazione con il cliente deve necessariamente risultare trasparente ed efficace per quanto concerne l’acquisto. Per questo motivo, in primo luogo, occorre fornire gli strumenti necessari alla conoscenza del prodotto: il lettore del catalogo dev’essere invogliato a comprare attraverso espedienti grafici e comunicativi, e in un secondo momento potrà poi approfondire attraverso le didascalie che riportano il nome dell’articolo, la descrizione, i materiali ed i colori disponibili, le misure e il prezzo. In quest’ottica il catalogo diventa lo strumento di marketing più importante di Ikea e per il quale l’azienda svedese stanzia l’investimento di comunicazione più significativo: esso rappresenta la via più efficace perché l’impresa si faccia conoscere ad un pubblico molto esteso. Lo schema generale è rimasto pressoché invariato nel tempo ed è composto principalmente da capitoli dedicati agli ambienti della casa. Oltre alle parti relative ai prodotti veri e propri vi sono pagine ed inserti di diverso genere che intervallano la sequenza degli articoli che altrimenti risulta ripetitiva. L’aspetto grafico del catalogo è studiato nei minimi dettagli. Nel corso degli anni è stato modificato evolvendosi in linea con i progressi o le mode della grafica da stampa. La copertina, come per ogni pubblicazione, è essenziale per mostrare in un’immagine e attraverso alcune frasi il contenuto del volume. I messaggi presenti nei cataloghi sono innumerevoli ma in linea generale si può affermare che quello che si vuole comunicare è un modo di abitare dinamico e funzionale con la possibilità di cambiare facilmente la disposizione degli arredi. Ciò che viene mostrato è la capacità organizzativa degli spazi attraverso la creazione di ambientazioni reali, caratteristica che contraddistingue Ikea dalla maggior parte dei negozi di arredamento le cui immagini solo solitamente distaccate e formali. Le stanze fotografate sono investite dalla luce del giorno che attraversa grandi finestre oppure l’illuminazione artificiale crea un’atmosfera accogliente e confortevole. Negli anni Duemila esso è arrivato ad avere circa 370 pagine.
Fig. 113/114 Copertine dei cataloghi Ikea del 1983 e 1998
215
Dal 2020 nell’ottica della sostenibilità, valore fondamentale per Ikea, il catalogo non verrà più spedito in ogni abitazione ma sarà consultabile online sul sito. L’azienda annuncia con ironia questo cambiamento “Quest’anno il catalogo Ikea non ti arriverà a casa. Ecco te l’abbiamo detto. Forse l’avevamo già fatto, ma forse parlavamo aramaico. O parlavamo ai muri.” (IkeaITALIA, 2019) consapevole del fatto che ricevere a casa il catalogo Ikea sia entrato nelle tradizioni di ogni famiglia. Visitando il sito Ikea è quindi possibile sfogliare il catalogo 2020 in versione digitale. La struttura interna rispetta le linee dei cataloghi precedenti ma è possibile fruirne anche in maniera interattiva poiché nella parte bassa della schermata il pulsante “Mostra i prodotti” permette di visualizzare i prodotti in vendita e aggiungerli direttamente al carrello semplificando il processo d’acquisto. Analizzando il catalogo da un punto di vista dei contenuti è possibile vedere come nella sezione “Case” Ikea ci invita a “curiosare nelle sei case che abbiamo preparato per te con i nostri prodotti e le nostre idee per una vita quotidiana migliore”. L’accento non viene messo sui prodotti in vendita quanto sulla quotidianità e fruizione dello spazio da parte di queste famiglie che, molto differenti tra loro per numero di componenti e caratteristiche necessitano di spazi abitativi di metrature e conformazione dello spazio diverse. In questo modo ogni lettore può trovare, leggendo, una situazione in cui rispecchiarsi e “sentirsi a casa”. I testi svolgono una funzione importantissima in quanto supportano le immagini. A pagina 12, ad esempio, viene descritta una situazione al giorno d’oggi molto ricorrente : “Un angolo confortevole dove cenare, ma anche dove far fronte agli impegni professionali: data l’esigenza di lavorare occasionalmente da casa, questa zona così accogliente assolve perfettamente il doppio compito.” Non si parla direttamente dei prodotti, ma allo stesso tempo viene suggerito che con una corretta scelta degli arredi una sola stanza può svolgere perfettamente più funzioni, necessità oggi molto frequente. Un altro esempio di questo espediente lo ritroviamo a pag 24: “Quattro persone e un’ospite…di famiglia. Tutti sotto lo stesso piccolo tetto. Sicuramente una bella sfida che, con la giusta dose di creatività, è possibile vincere per vivere bene insieme. Anche con un neonato a bordo.”, ancora una volta una situazione reale, con persone e problemi reali.
216
Concludendo, si tratta di ideare un’esposizione non più fine a sé stessa ma legata da un filo conduttore narrativo che mostri al cliente i prodotti all’interno di una storia con emozioni, colpi di scena e contestualizzazioni. Il focus non è il nome del prodotto o le sue caratteristiche tecniche ma, nel caso di una poltrona, la gioia che ti dà riposarci sopra.
Fig. 115 Esempio di pagine interne di un catalogo Ikea
Comunicazione La pubblicità, esattamente come le altre componenti della comunicazione intende esaltare i tratti peculiari dell’offerta dell’azienda svedese. Essa si basa su un riferimento costante alla realtà perché possa risultare attenta alle necessità di ogni persona comune. Il linguaggio adottato per le comunicazioni promozionali, è spesso ironico e diretto, i contenuti sono frasi brevi che rimangono facilmente impresse nella mente del pubblico. Tali caratteristiche, alle quali si aggiunge l’uitilizzo di giochi di parole e doppio senso, valgono per le pubblicità in generale, nelle quali il significato originale di una frase o un modo di dire vengono spesso rovesciati. Un’ operazione che può sembrare banale, ma che ha un grande effetto e suggerisce al pubblico di vedere le cose da un’angolazione diversa. Le pubblicità tentano di instaurare un rapporto diretto con il cliente, instaurando un dialogo attraverso l’utilizzo di frasi indirizzate al lettore. Di seguito sono analizzate alcune campagne Ikea degli scorsi anni al fine di evidenziare in maniera concreta i tratti distintivi di cui si è parlato finora. 1. “Siamo aperti a tutte le famiglie. Noi di Ikea la pensiamo proprio come voi: la famiglia è la cosa più importante. Ed è per questo che abbiamo pensato alla carta Ikea Family”. Con questo slogan Ikea pubblicizza, su un cartellone, l’apertura di un nuovo negozio a Catania. L’immagine è semplice: due ragazzi che passeggiano mano nella mano, mentre acquistano i prodotti del colosso svedese e reggono le famose buste gialle e blu cariche di prodotti. Ikea riesce a distinguersi dalla massa, puntando alla dimensione emotiva, all’importanza dei legami familiari in tutte le loro forme, comprese quelle più criticate da gran parte della società. Tutto questo perché è fra le peculiarità di Ikea fare della “democrazia” il punto di forza, consentendo a individui più o meno abbienti di permettersi gli stessi mobili, a prezzi convenienti, ma senza rinunciare ad un design accattivante e innovativo. “Non si tratta solo di prezzo, ma di uguaglianza”, recitava uno spot e l’uguaglianza, annunciata dallo slogan di alcuni anni fa, oggi comprende anche quella sessuale. Apertura, innovazione e rispetto sono dunque le parole chiave della strategia. Una famiglia, in fondo, altro non è che un insieme di valori come il rispetto reciproco, il sostegno, l’amore e l’affetto.
2. “La casa per l’adolescente smette di essere un luogo sicuro”, con queste parole il Web&Social Media Leader di Ikea Italia, Massimiliano Santini introduce l’iniziativa lanciata da Ikea per la giornata contro il cyberbullismo in Italia. Una campagna integrata che prevede un oscuramento, tramite un watermark che indica “contenuto sensibile”, delle fotografie di camere per ragazzi presenti nel profilo Instagram di Ikeaitalia. La stessa cosa replicata poi in chiave diversa nella sezione per i giovani nei punti vendita, dove sono comparse delle tendine riportanti lo stesso messaggio veicolato sul web. Al di là di esse si potevano trovare audio e video che descrivevano quale sia l’effetto di questa forma di violenza. Grazie all’hashtag #notinmyhomepage sono state raggiunte oltre 7,4 milioni di persone.
Fig. 116-117 In alto locandina della campagna Ikea che celebra la famiglia “non tradizionale”; A sinistra immagine realizzata in occasione della giornata contro il cyberbullismo
217
3. Nella primavera/estate 2019 IKEA ha realizzato la campagna “Real Life Series”. Curata da Juliana Paracencio ed Eduardo Marques di Publicis Spain per IKEA EAU, l’iniziativa ha portato in vita 3 ambienti: il salotto dei Simpson, la zona living di Friends e la sala di Joice Byers in Stranger Things. Dalla fantasia si è passati alla realtà oggettiva. Il progetto è apparso in forma esperienziale in alcuni store del Medio Oriente. Con il motto “For Real Families”, l’iniziativa ha così provato a mettere in evidenza la versatilità dei prodotti Ikea tra le diverse popolazioni di espatriati degli Emirati Arabi Uniti, usando il catalogo, i suoi prodotti e la marca stessa come portale tra dimensioni. Con questo progetto Ikea ha dimostrato di volersi connettere con il pubblico e con i suoi interessi, creando un mondo narrativo in cui farlo emergere. Attraverso le installazioni e la presenza fisica degli arredi è stato possibile proporre un’esperienza che portava “altrove” permettendo all’immaginazione di viaggiare nel tempo e nello spazio, libera dalle differenze culturali. Una delle campagne che riflette appieno la filosofia Ikea è quella creata dall’agenzia svedese Åkestam Holst intitolata “Where life happens”, creata per mostrare come i prodotti Ikea possano aiutare, risolvere o migliorare i problemi quotidiani. Non importa quale sia il problema. Si tratta di una campagna integrata con lo scopo di far sorridere le persone e farle emozionare. Gli spot girati infatti trattano diversi temi attuali come il rapporto di un padre divorziato con suo figlio, una madre anziana i cui ricordi stanno svanendo, un genitore che deve fare i conti con i figli adolescenti. Si tratta di veri e propri racconti, seppur brevi nei quali le emozioni sono protagoniste mentre i prodotti che appaiono, seppur in maniera non dichiarata, diventano strumento per risolvere il problema. Fa parte della stessa campagna anche “Google retail therapy”, meno coinvolgente da un punto di vista emotivo ma altrettanto interessante poiché vicino al quotidiano di tutti. I creativi hanno rinominato una serie di prodotti Ikea, riportando le domande più frequenti cercate su google riguardo i problemi nei rapporti personali, ad esempio una bicicletta “Sladda” comparirà come soluzione alla ricerca “Ate too many swedish meatballs”, suo nuovo nome.
Fig. 118 Accostamento di due immagini per confrontare il salotto di “Friends” con la ricostruzione di Ikea
218
Fig. 119 Esempio di utilizzo dell’App IKEA Place
Ikea online Il sito web è un elemento fondamentale per l’azienda svedese, in quanto permette l’acquisto online dei prodotti. Suddiviso in 6 sezioni principali: Prodotti, Ambienti, Offerte, Novità, Ispirazione e Dormire bene, è ricco di contenuti e spunti interessanti tra i quali articoli, idee e suggerimenti per l’arredo della casa e non solo. Dal sito è poi possibile accedere alle piattaforme social: Facebook, Instagram, Pinterest, Twitter e YouTube sulle quali l’azienda è attiva e dialoga con la sua community. Si può parlare di una comunicazione integrata a 360°, online e offline, che mischia contenuti visivi e creativi per creare storie, mood e una particolare percezione del brand che è diventato un vero e proprio punto di riferimento. La strategia social di Ikea prevede pagine dedicate per ogni paese così da offrire una comunicazione diversificata per lingua e contenuti. La gestione autonoma permette di definire i contenuti migliori da indirizzare al target di ogni paese e di affrontare al meglio le relazioni con gli utenti, in questo modo gestire commenti, domande, richieste e lamentele diventa più efficiente e veloce. Ikea sui social si dimostra creativa e piena di idee originali, in particolare la pagina Facebook italiana che conta ben 28.791.250 di follower alterna contenuti commerciali, che mostrano ambienti arredati, con relativo nome e prezzo dei mobili, a post di engagement che raccontano simpatiche storie che ruotano intorno agli arredi e gli accessori Ikea. Fondamentale nella strategia social di Ikea anche Instagram dove scatti emozionali di mobili ambientati ci fanno entrare nell’ipotetica vita di allegre famiglie numerose, coppie innamorate e simpatici nonni. Per ribadire ancora una volta l’attenzione che dimostra l’azienda verso il cliente si possono citare inoltre due App scaricabili: 1.IKEA Place: Consente di scegliere il mobile che si vuole acquistare e visualizzarlo tenendo lo schermo dello smartphone rivolto alla zona della stanza dove lo si vuole collocare. Attraverso la realtà aumentata è quindi possibile provare un divano nel soggiorno di casa prima di acquistarlo. 2.IKEA Store: Permette di cercare i prodotti, scoprire le offerte, fare una lista della spesa e quindi rendere più semplice e veloce l’esperienza di acquisto.
219
Dove
Perchè angelo custode? L’angelo custode, come lascia intendere il nome, è colui si pone al servizio degli altri; è compassionevole, generoso e vuole dare il suo contributo all’interno della società. E’ spesso associato all’istinto materno e paterno che conducono i genitori a sacrificarsi per i propri figli. Si tratta di una personalità che si può facilmente associare agli enti sanitari, alle organizzazioni non profit, a coloro che operano nei settori dell’ospitalità ma anche ai marchi che riguardano la cura della persona. Dove si inserisce tra questi ultimi, con i suoi prodotti punta a migliorare la vita delle persone, in particolare per quanto riguarda la cura del proprio corpo. La sua missione “aiutare le donne di tutto il mondo a sviluppare una relazione positiva con il loro aspetto, aiutandole ad accrescere la loro autostima e a realizzare il loro potenziale.” (dal sito web di Dove) si riflette nelle campagne che si sono succedute dall’anno della sua fondazione, nelle attività che vedono coinvolta l’azienda nei messaggi che trasmette attraverso i suoi canali social. L’angelo custode richiama alla mente un immaginario etereo, caratterizzato da colori tenui, immagini di famiglie, situazioni commoventi. Tutti elementi che si possono riscontrare nell’identità visiva del marchio di saponi.
220
Cenni storici Dove è un marchio di prodotti per l’igiene personale di proprietà della Unilever, una società globale olandese-britannica titolare di 400 marchi tra i più diffusi nel campo dell’alimentazione, bevande, prodotti per l’igiene e per la casa. È stata fondata nel 1930 dalla fusione di due società, la britannica Lever Brothers e l’olandese Nederlandsche Margarine Unie. La famosa marca di prodotti per la cura del corpo e della pelle è nata negli Stati Uniti nel 1957. Il primo prodotto, la Dove Cream Bar, una “barra detergente” diversa dalle normali saponette, poiché contenente proprietà idratanti, è stata lanciata in Italia nel 1989. Fin da subito è stata posizionata sul mercato come prodotto innovativo; gli spot dell’epoca recitavano: “Dove creams your skin”, sottolineando come il nuovo sapone oltre a permettere la pulizia del viso contribuiva a prendersene cura rendendolo soffice. Dove oltre a commercializzare deodoranti, detergenti, prodotti per la cura dei capelli e della pelle si pone un grande obiettivo: trasmettere l’idea che la bellezza deve essere fonte di sicurezza, e si impegna per far sì che le donne del mondo si sentano bene con il proprio corpo. Campagne online e offline, spot pubblicitari e presenza sui social media sono costruite attorno a questo messaggio e pensate per combattere contro i canoni di bellezza stereotipati.
Fig. 120-121 Locandine degli anni ‘60 che pubblicizzano la nuova saponetta Dove
221
Logo Il brand name, in italiano “colomba” richiama candore, purezza e bellezza. Esso compare all’interno del logo insieme alla silhouette dell’animale che sembra fluttuare leggero. La colomba per alcune culture rappresenta il simbolo della salvezza. Il font invece presenta delle linee morbide e la D iniziale creata con un’unica linea che non si richiude su se stessa trasmette ancora una volta l’idea di leggerezza e delicatezza dei prodotti pensati per “prendersi cura” di noi. Infine, l’accostamento del blu e dell’oro conferisce all’elemento grafico un aspetto elegante e raffinato.
Packaging Le confezioni dei prodotti Dove sono caratterizzate da un design minimalista e dalla prevalenza del colore bianco. Esse appaiono semplici ma al tempo stesso ricercate ed eleganti. Ciò che permette di distinguere le diverse fragranze e profanazioni è il colore del coperchio che varia a seconda della line di prodotto. I colori utilizzati sono principalmente tenui, rosa confetto e azzurro chiaro e oro sono tra le tinte più ricorrenti. Così come il logo anche il packaging è studiato per raccontare i valori dell’azienda e sottolineare ancora una volta che utilizzare un bagnoschiuma Dove significa coccolarsi e volersi bene.
222
Fig. 122 Logo attuale Dove
“Dove Progetto autostima” “Più della metà delle ragazze di tutto il mondo non è sicura del proprio corpo e otto su 10 evitano di svolgere diverse attività quotidiane, come ad esempio trovarsi con amici e familiari in squadre o club sportivi, poiché non amano il proprio aspetto fisico.” Da oltre 10 anni Dove si impegna nella causa aiutando genitori, mentori, insegnanti e leader attraverso un percorso di educazione all’autostima. Ed è cosi che nel 2004 è iniziato il “Progetto Autostima Dove” che vuole tramettere un messaggio positivo, in modo tale che la prossima generazione di donne cresca felice senza il peso dell’insicurezza derivante dal proprio aspetto fisico.
Tra i vari sviluppi che ha avuto l’iniziativa c’è stata la realizzazione da parte di esperti di una guida, messa a disposizione con lo scopo di aiutare nell’identificazione dei problemi che possono influire sull’autostima dei più giovani; l’organizzazione di workshop scolastici destinato a insegnanti e giovani dall’11 ai 14 anni. I workshop esplorano come società e mezzi di comunicazione promuovano ideali estetici irrealistici, ed insegnano agli alunni come proteggersi e sviluppare una maggiore sicurezza in se stessi e negli altri. Il progetto è stato citato per riportare un chiaro esempio di come gli ideali di un’azienda e la sua identità si riflettano non sono nei suoi elementi visivi ma anche nelle azioni concrete che compie all’interno della società.
Fig. 123 Immagine dal sito di Dove sezione Progetto autostima
223
Comunicazione Nel 1957 veniva presentata sul mercato la prima saponetta Dove come il sapone che “creams your skin while you bath” L’accento era quindi posto sul fatto che prima di allora nessun prodotto era stato realizzato con quelle componenti, “1/4 Cleansing Cream” e che solo con Dove era possibile ottenere una pelle non solo pulita ma al tempo stesso idratata. All’epoca l’agenzia di comunicazione Ogilvy si era occupata del posizionamento della novità, e aveva realizzato pubblicità fortemente indirizzate ad un pubblico femminile. L’enfasi veniva posta anche sulla sua forma, definita “different, modern, and curve to fit your hand”. (Maynard, 2016) È negli anni 60 che comincia ad emergere la vera e propria personalità del marchio, viene realizzare una saponetta rosa che evidenzia sempre più il target di riferimento: femminilità è la parola chiave. Vengono spesso fotografate donne all’interno di una vasca da bagno che si prendono cura del loro corpo. Negli anni 70 Dove si rivolge al suo pubblico chiedendo “Which part of you ages first?” e invitando le donne di tutto il mondo a mettere da parte i vecchi saponi e di lavarsi per 4 settimane solo con Dove. Queste campagne sono lo specchio della mentalità dell’epoca e risulta scontato affermare che ad oggi non potrebbero più funzionare. Ciò che però rimane invariato è l’idea del prodotto come mezzo per prendersi cura di se stessi, per sentirsi meglio con il proprio corpo. Questi temi sono quelli che decine di anni dopo hanno portato Dove a ripensare la sua strategia di comunicazione e ai messaggi che voleva diffondere.
Per oltre 12 anni Dove ha costruito un brand moderno, con pubblicità per certi versi provocatorie che combinano responsabilità sociale e marketing. Nel 2004 Dove inizia la campagna “Real Beauty” con una serie di immagini definite “Tick box” che vedono protagoniste una serie di donne reali vicino alle quali viene inserita una domanda alla quale il pubblico è chiamato a rispondere. Come si può vedere in figura xxx vicino alla donna con i capelli grigi vengono inserite due risposte tra le quali è possibile scegliere: “grey or gorgeous?” E viene chiesto retoricamente al pubblico “Why can’t Women feel glad to be grey?” La campagna si è orientata verso la ridefinizione della bellezza e si è allontanata dal prodotto, che non viene neanche nominato e non compare mai. L’anno successivo è la volta di “Tested on real curves” che vede protagoniste 6 donne dalla corporatura differente, fotografate in biancheria intima. L’azienda implicitamente sta suggerendo che indipendentemente dal tipo di corpo ciascuno possiede delle vere curve da mostrare.
Fig. 124 Immagine della campagna Real life. Real beauty, 2004
224
Ma la campagna che ha riscontrato maggiore successo è quella del 2013 “Real Beauty Sketches”. Un filmato di 3 minuti con 200 milioni di visualizzazioni, con lo scopo di dimostrare alle donne di essere più belle di quanto credono. Nel video si vede un uomo di spalle posizionato di fronte ad una tela pronto ad iniziare la sua opera, una alla volta delle donne entrano e si siedono in modo che l’uomo non possa vederle; dopodiché ciascuna di loro inizia a descrivere il proprio volto così che l’uomo possa iniziare i ritratti “al buio”. In un secondo momento altre persone che hanno passato del tempo con le donne ritratte vengono chiamate a fare una descrizione del volto della stessa persona che prima si è descritta all’artista. Il risultato sono due ritratti con caratteristiche differenti e le donne poste difronte alle due opere finite si commuovono rendendosi conto che le persone esterne hanno saputo apprezzare e riportare alcuni dettagli che loro stesse non avevano descritto.
“Beautiful real mums”, invece, è una campagna realizzata da Ogilvy che celebra il momento più meraviglioso e al tempo stesso ansioso della vita di una donna: la maternità. È stata realizzata nel 2018 per il lancio di una nuova linea di prodotti premium per la cura del bambino: Baby Dove. La maternità spesso porta con sé molte insicurezze e quindi l’opzione di ritrarre l’immagine della mamma perfetta è stata esclusa fin dall’inizio. Con lo stesso obiettivo della campagna precedente (“Real beauty”) “Beautiful Real Moms” mette in mostra delle storie vere e cerca di trasmettere sicurezza alle nuove mamme, alleviare la pressione alla quale si sentono sottoposte e di far sì che acquistino fiducia nelle loro capacità. Per far ciò sono state incaricate diverse fotoreporter di fama mondiale, che per tre giorni e tre notti si sono immerse nella vita di 6 mamme, catturando il lato meravigliosamente imperfetto della maternità. Sono state scelte 120 fotografie da mostrate nella nostra galleria online di “mamme vere”. Il target specifico era la “mamma millenials” con bambini di età compresa tra 0 e 2 anni e per questo motivo è stato deciso di parlare per lo più online. La campagna consisteva in: una raccolta di foto a 360º, video di 10 secondi nei quali veniva chiesto alle mamme di rilassarsi e un hashtag #BeautifullyRealMoms che le invitava a condividere le loro foto.
Dove online Dove è presente ed attivo sule seguenti piattaforme: Facebook, YouTube, Twitter e Instagram. Dopo un’analisi dei contenuti è possibile notare come alcuni di essi vengano semplicemente riadattati per i diversi canali mentre altri risultano appositamente studiati per comparire su uno o sull’altro. Su Facebook, ad esempio, la maggioranza dei post è focalizzata sui prodotti, promuove le nuove fragranze e interagisce attraverso i commenti con la community, che risulta piuttosto attiva e coinvolta. Qui avviene uno scambio focalizzato su informazioni di carattere pratico, ad esempio spesso vengono poste domande riguardanti i rivenditori, i formati o le edizioni limitate. Su instagram invece, il tono di voce dell’azienda “si umanizza”, la maggioranza delle foto ritrae donne di etnia, età e professione diverse. Le didascalie contengono messaggi di incoraggiamento, ispirazione, raccontano storie che riflettono la filosofia della campagna di Dove “Real beauty”. Sono pubblicati suggerimenti e consigli su come prendersi cura del proprio corpo, e viene inoltre chiesto di condividere i propri pensieri sull’argomento.
Fig. 125 Screenshot di un post pubblicato da Dove sulla pagina instagram ufficiale
225
Lego
Perchè creativo? Un estroverso artista sognatore, così si potrebbe definire l’archetipo del creativo che possiede un unico obiettivo: uscire fuori dagli schemi per creare qualcosa che stupisca, senza mai cadere nella mediocrità. Cosa se non dei piccoli mattonicini dai colori accesi, rappresenta una perfetta incarnazione di questo spirito? Il fondatore della nota marca Lego è riuscito grazie alla sua tenacia e ad una grande visione a trasformare dei piccoli pezzi di plastica in uno strumento, adatto a tutte le età, per mettersi alla prova e sfidarsi nel cercare di creare costruzioni altissime o complessi scenari per storie epiche. Non si tratta quindi solo di una pratica ludica ma un vero e proprio esercizio di fantasia che spinge grandi e piccini a scoprire le proprie doti manuali, a mettersi in discussione nella volontà di creare qualcosa sempre più audace. Un insieme di valori quali creatività, imprenditorialità ed innovazione ne hanno decretato il successo che permane nel tempo. Infatti pensando in senso più ampio ai grandi creativi di tutte le epoche si può affermare che attraverso le loro opere essi volessero ottenere l’immortalità. E così sembra essere anche per la Lego che, rendendosi conto dei grandi cambiamenti che hanno coinvolto, e continuano a farlo, la nostra società ha deciso di mettersi alla prova e reinventarsi di volta in volta come testimoniano le prossime pagine di analisi.
226
Fig. 126 Logo attuale Lego
Cenni storici La Lego è un’azienda danese fondata ufficialmente nel 1932 da Ole Kirk Chistiansen. È il 1916 quando il carpentiere danese decide di aprire il suo primo negozio a Billund, suo paese d’origine. In un primo momento egli realizza principalmente scale, sgabelli e assi da stiro ma la sua grande passione sono i giocattoli di legno. Nel 1924 suo figlio Godtfred Kirk fa accidentalmente andare a fuoco il negozio distruggendolo. Questo tragico evento non ferma Chistiansen che decide di ricostruirne uno ancora più grande. Nonostante il suo entusiasmo è costretto a confrontarsi con la crisi mondiale esplosa dopo il ‘29, i conti sono in rosso e l’azienda di famiglia rischia di finire in bancarotta. Costretto a licenziare quasi tutti i suoi dipendenti, decide di effettuare dei cambiamenti nella produzione e utilizza il legno che ha in magazzino per creare prodotti più appetibili sul mercato. Tra questi, anche giocattoli economici per bambini. La situazione economica però non migliora e nel 1932, dopo aver chiesto e ottenuto un prestito decide di investire tutto sui giochi: è la nascita della LEGO. Da quel momento l’azienda inizia a muovere i primi passi verso il successo. Nel Dopoguerra nasceranno gli iconici mattoncini in plastica, che saranno poi perfezionati da suo figlio nel 1955 in modo che si possano incastrare tra di loro, anche se di confezioni diverse. Nel 1960, un nuovo incendio distrugge l’azienda ma anche in questo caso Lego si rimette in piedi mettendo definitivamente da parte i giocattoli di legno e producendo solo mattoncini e altri giochi in plastica. Negli anni successivi continua a crescere tanto da aprire il suo primo parco a tema nel 1968, proprio vicino al paesino di Billund. Tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio l’azienda è costretta a vivere nuovamente un periodo di crisi quando cominciano a diffondersi videogame e console, che riesce a superare soprattutto grazie a partnership importanti. Nel 2018, per dimostrare il suo impegno riguardo ai temi della sostenibilità, LEGO produce i primi mattoncini ecosostenibili, realizzati con una plastica speciale ottenuta dalla canna da zucchero. (Sannino, 2018)
Logo La parola “LEGO” è la sintesi della frase danese “Leg Got” che significa “Gioca Bene”. Ha anche una similitudine con il verbo latino “Lego” che si traduce con l’espressione “metto insieme”. Si tratta di un nome breve, memorabile e per questo facilmente esportabile.Questo nome, associato al motto “Only the best is good enough” è stato scelto nel 1934 dallo stesso fondatore, Ole Kirk Christiansen. A differenza del nome, rimasto invariato nel tempo, il logo ha subito numerose modifiche. Il primo realizzato era di colore scuro, pensato per ricordare una xilografia dovendo rappresentare giocattoli in legno. Nel 1936 fu introdotto un primo tentativo di uso del colore e nel 1953 venne adottato una font più adatta ad un pubblico giovane. Quando, nel 1973, l’azienda iniziò la produzione negli Stati Uniti era necessario conferirgli un aspetto più moderno per questo motivo si decise di utilizzare rosso, giallo e bianco, colori accessi che lo avrebbero reso facilmente riconoscibile. Sarà nel 1998 che arriverà la versione tutt’ora in uso, simile ad un mattoncino è ormai diventato marchio indelebile nei ricordi d’infanzia.
227
Sistema di gioco e personaggi La LEGO è stata la prima azienda in Danimarca ad investire in un macchinario per la modellatura della plastica: gli Automatic Binding Bricks, predecessori dei mattoncini vennero prodotti già nel 1949. Presentati nel 1950, durante una fiera in Germania, non ottennero reazioni molto positive ma il fondatore, Kristiansen non si perse d’animo e tre anni dopo creò, e brevettò, l’attuale sistema di “stud-and-tube coupling”, con i bricks che si integravano perfettamente tra loro. Alla base produttiva dell’azienda ci sono inoltre le ruote e le mini-figures prodotte dal 1974: con 4 miliardi di personaggi, costituiscono attualmente la popolazione più numerosa al mondo. Con la decisione di venderli anche sfusi Lego ne ha aumentato di molto la collezionabilità. Un omino di plastica, dal volto giallo con poche parti mobili, è diventato la sintesi perfetta del divertimento: semplice, accessibile e colorato. Essendo giocattoli per bambini, il design dei mattoncini è finalizzato a fare in modo che siano utilizzabili intuitivamente da chiunque senza il bisogno di istruzioni. Una delle caratteristiche fondamentali dei mattoncini LEGO, che ha contribuito al loro successo è il far parte di un “sistema”. Ciascun pezzo, indipendentemente dalle sue dimensioni, forma o funzione, si incastra con la maggioranza degli altri LEGO e questa possibilità li ha resi un ottimo gioco per la crescita e lo sviluppo della fantasia. Con il passare degli anni la consapevolezza che non sono solo i più piccoli a divertirsi con i mattoncini, ha portato l’azienda a progettare nuove linee dedicate agli adulti come, ad esempio: Mindstorms, Architecture e Technic. Attualmente vengono prodotti mediamente 20 miliardi di mattoncini l’anno suddivisi in migliaia di confezioni tematiche: spazio, robot, dinosauri ma anche mezzi di trasporto, città e mondi fantastici. Ma il successo di questa azienda sta nel fatto che essa non produce solo un bene, ma ha saputo creare una narrativa in grado di catturare milioni di consumatori. Essa investe da sempre nei settori di ricerca e sviluppo, i suoi progettisti ogni anno vengono mandati in giro per il mondo per prendere ispirazione e trasformare poi questi spunti in modelli in scala, replicabili e commercializzabili. Questo atteggiamento rispecchia la vision alla base dell’azienda, rimasta immutata nel tempo, ovvero “inventare il futuro del gioco” per “ispirare e sviluppare i costruttori del domani”. (D’Amico, 2016) Fig. 127/128 In alto dettaglio tecnico del sistema di incastro dei mattoncini; a sinistra insieme di personaggi di gioco
228
Parchi divertimento Una delle prime strategie di marketing che rende l’azienda apparentemente incostratabile è la sua capacità di diversificare i prodotti ne è un esempio l’apertura di parchi divertimento. Il primo parco a tema LEGO, costruito a Billund nel 1968, LEGOLAND, nell’anno del debutto accolse 625.000 visitatori. Poco dopo seguirono: LEGOLAND Windsor in Inghilterra, LEGOLAND California a Carlsbad negli Stati Uniti, LEGOLAND Deutschland nel distretto di Günzburg in Germania. Il 15 ottobre 2011 ha aperto il quinto parco, LEGOLAND Florida a Winter Haven negli Stati Uniti. Il 1º aprile 2017 ha aperto l’ottavo parco, LEGOLAND JAPAN a Nagoya in Giappone. Quando nel 1992 aprì il Mall of America una delle sue attrazioni principali fu il LEGO Imagination Center. Altri due centri si trovano a Disneyland Paris e a Disney World; consistono in grandi negozi in cui è prevista la vendita, con esposizioni di statue di LEGO e aree di gioco. I Legoland non sono completamente di proprietà della stessa Lego Group la quale possiede il 30% mentre il restante 70% è in mano alla Merlin Entertainments, compagnia britannica di parchi di divertimento. I parchi sono progettati specialmente per famiglie con bambini piccoli. Divisi in vari settori, presentano alcune caratteristiche simili. In tutti i parchi c’è una città in miniatura costruita con milioni di mattoncini LEGO, un centro Lego Mindstorms, basato sull’apprendimento divertente, i giardini Duplo e un’area di guida (con scuola guida, scuola nautica, scuola di volo e caserma dei pompieri). Il numero esatto di attrazioni varia tra parco e parco ma sono tutte a tema LEGO e si basano solitamente su una particolare linea: per esempio, un’attrazione popolare in tutti i parchi è il Coaster Drago, che è vagamente basata sul Regno dei Cavalieri. Fig. 129 Fotografia dell’ingresso del parco divertimento Legoland di New York
229
“The Lego Movie” A contribuire all’attuale successo della LEGO sono state anche le nuove linee lanciate nel corso degli ultimi due decenni per intercettare segmenti di mercato specifici. Tra queste un’alleanza con una serie di grandi marchi, dalla Disney con le sue varie affiliate, come Marvel, a Harry Potter, passando per la DC Comics, Jurassic World e Il Signore degli Anelli. Di tutti questi “spin-off” sono stati realizzati non solo giocattoli, ma anche videogiochi, serie tv e in alcuni casi film per il cinema, come nel caso di LEGO Batman – Il Film. L’apice cinematografico è arrivato con il primo The LEGO Movie, un film d’animazione del 2014 scritto e diretto da Phil Lord e Christopher Miller, registi anche delle pellicole Piovono polpette e 21 Jump Street. Una pellicola incentrata sul fatto che chi gioca con i LEGO non è una persona qualunque, ma un “costruttore”, un creatore di mondi e che LEGO non è una semplice marca di giochi, ma una filosofia di vita. (perimento è stato promuovere il marchio e ribadirne i valori, in un momento in cui le vendite stavano calando dopo svariati anni di crescita. Occorreva un progetto in grado di coinvolgere un pubblico, di ogni età e così è stato: la LEGO è riuscita a trasformarsi ancora una volta e passare da “souvenir del passato in oggetto cool e di culto, apprezzato trasversalmente da adulti, ragazzi e bambini”. (Augustoni, 2019) Grazie ad una strategia vincente la LEGO è riuscita quindi nel suo intento, non solo il film ha avuto successo da un punto di vista dell’intrattenimento, ma ha anche guidato le vendite meglio di qualsiasi altra campagna precedente. Nel 2015, l’anno dopo l’uscita di The LEGO Movie, esse sono aumentate del 25%. Partnership costruite ad hoc, utilizzo di personaggi storici, storia avvincente hanno permesso di sviluppare una trama che riflettesse al 100% i valori del brand. Facendo leva sull’emozione ed immaginazione è stato possibile comunicare i valori di marca, rimanendo fedeli al proprio tono di voce ma trovando allo stesso modo punti di contatto che permettessero di ampliare la propria audience.
230
Lego online “The nature of play has also evolved with the rise of digital. Competition comes in many forms, not just products but how kids decide to spend their time and how lifestyles have changed” Peter Kim, Vice Presidente del Digital Consumer Engagement di Lego Uno dei punti forti dell’azienda è l’essere sempre al passo con i tempi, già prima della crisi la LEGO aveva compreso che per entrare nel XXI secolo non bastava più essere una “semplice” azienda produttrice di giocattoli, ma occorreva agire su piani e contesti differenti. Così si mise a sperimentare fondando la LEGO Interactive (dal 2010 LEGO videogames) divisione editoriale della LEGO e cominciando a produrre contenuti digitali. Un’operazione che ha dato il via ad una serie di nuovi progetti, più di 50 titoli per computer e console, film per il cinema, decine di titoli per la TV, un canale youtube con 7 milioni di iscritti e più di 30 app per iPhone sono solo alcuni esempi. Oggi LEGO propone una costante ibridazione tra reale e virtuale, fisico e digitale e questo è possibile perchè, come afferma Kjeld Kirk Kristiansen: «Il concept dei mattoncini LEGO è senza tempo. Il gioco “fisico” esisterà sempre, soprattutto perché stimola l’immaginazione dei bambini. I bambini hanno questo impulso interiore naturale a imparare e a provare nuove cose: dovremmo portarci dietro questo atteggiamento per tutta la vita. Diventiamo vecchi ogni giorno di più, ma non è necessario che cresciamo: dentro possiamo sempre rimanere fanciulli». (Sannino, 2018)
Fig. 130 Locandina del videogioco The Lego movie
Con 13.568.313 di Follower sulla pagina Facebook italiana e più di 5 milioni su Instagram, LEGO ha fondato nel 2017 un suo social network “Lego Life”, l’unico, ad oggi, ufficialmente aperto anche a utenti con età inferiore a 13 anni. Simile ad Instagram è pensato specialmente per i bambini che possono condividere le foto dei propri set, commentare con emoji personalizzate e faccine in formato LEGO, ovviamente. Nonostante si tratti di un applicazione la connessione con il reale è fortemente incentivata come afferma Laura Di Bonavetura, Marketing Director di Lego Life “Le sfide portano i bimbi a scoprire cose che non avevano ancora scoperto, a dimostrare di cosa sono capaci, ma soprattutto a mettere giù il telefono e andare a costruire con i mattoncini per poi tornare sulla piattaforma per caricare la foto della loro creazione”. (Pesce, 2017)
231
Comunicazione LEGO da sempre si pone come promotore di valori come creatività ed immaginazione e le sue operazioni di comunicazione ed advertising ne sono la prova. Di seguito sono riportati alcuni esempi di campagne che si sono succedute negli anni e hanno contribuito alla brand image dell’azienda. “Imagine” Non ci sono limiti dove c’è immaginazione è una filosofia che da sempre caratterizza l’azienda danese. Nel 2012 l’agenzia tedesca Jung von Matt riprende questa idea nella campagna “Imagine”. Con pochissimi mattoncini sono state create sculture che riprendono noti personaggi di fantasia facilmente riconoscibili: Asterix e Obelix, Bert & Ernie, Lucky Luke, le Tartarughe Ninja, The Simpsons, i Puffi. Obiettivo di questa operazione è, come suggerisce il titolo stesso immaginare. “Build the future” LEGO, fin dalla sua fondazione si pone come collante tra i sogni dei bambini e la realtà come sottolinea la campagna pubblicitaria realizzata da Ogilvy di Bangkok, “Build the Future”. Un astronauta, un vigile del fuoco e una stella del rock ogni immagine ha come protagonista un bambino intendo a “dar vita” ai propri sogni. Il gioco diventa quindi una componente fondamentale dell’uomo e insieme alla fantasia diventa il punto di partenza per potersi realizzare. “Create”, un’altra immagine creata dall’agenzia Jung von Matt che prendendo spunto dal capolavoro di Michelangelo “Creazione di Adamo” sostituisce ad una mano quella di una minifugure. “Rebuild the world” Nel 2019 il gruppo LEGO e il musicista Mark Ronson hanno lanciato “Rebuild The World”, una campagna per aiutare a coltivare le capacità creative delle generazioni del futuro. Creata dalla collaborazione tra l’agenzia interna del Gruppo LEGO e BETC Paris è stata diretta dal pluripremiato collettivo Traktor. Si tratta dell’avventura in un mondo surreale che vede protagonisti un coniglio inseguito da un cacciatore sfortunato. Ogni personaggio, animale e veicolo riprende un giocattolo LEGO esistente o passato con i “giusti” cambiamenti: gli oggetti di tutti i giorni sono fuori misura e le teste ruotano di 360°. Il produttore discografico Mark Ronson spiega che si tratta di “Una meravigliosa opportunità per ispirare la prossima generazione di creatori che inventeranno le proprie idee per modellare il futuro di tutto, dal modo in cui viviamo alla musica che ascoltiamo”. (Mattonito, 2019) Quindi si tratta più che altro di promuovere una mentalità che fin da sempre caratterizza il modo di agire dell’azienda, a questo proposito Julia Goldin, Chief Marketing Officer di LEGO chiarifica gli obiettivi “Significa vedere dove ci porta l’immaginazione e celebra la naturale creatività dei bambini. Vogliamo incoraggiare i bambini di tutto il mondo a sviluppare e conservare queste abilità man mano che invecchiano. Con questa campagna, vogliamo ispirare le persone di tutte le età a giocare e liberare la loro creatività per creare un mondo di infinite possibilità”. (Mattonito, 2019) In poche parole è un appello ai bambini (e non solo) affinché sperimentino, falliscano e riprovino ancora.
232
Fig. 131 /132 In alto campagna Imagine di Jung Von Matt, 2012; in basso campagna Build the future di Ogilvy
Fig. 133/134 A destra immagine della campagna Create; in basso serie di locandine storiche
Fig. 135 Elemento di gioco della serie Rebuild the world
233
The North Face
Perchè esploratore? L’archetipo dell’esploratore ha un’unica grande paura, ovvero rimanere intrappolato senza la possibilità di avvenurarsi verso nuovi progetti. Infatti è un personaggio estroverso, avventuroso e coraggioso e per questo motivo perfettamente riconoscibile nel motto di The North Face “Never stop exploring”. Il brand di abbigliamento sportivo oltre a progettare le attrezzature di supporto allo svolgimento delle varie attività fisiche si fa promotore di un vero e proprio stile di vita. Si rivolge ad un pubblico che ama la libertà e lo invita ad andare alla ricerca di se stesso, in quanto la libertà di esprimere il proprio io è un valore fondamentale per chi abbraccia questa filosofia di vita. The North Face si fa inoltre carico del pianeta su cui viviamo, impegnandosi nella tutela dell’ambiente e invitando il suo pubblico a fare altrettanto. Il singolo individuo è chiamato ad entrare a far parte di una comunità che condivide gli stessi principi ma al tempo stesso rimane libero di inseguire i propri obiettivi, intraprendere i propri percorsi e raggiungere la sua vera essenza.
234
Fig. 136 Immagine dal sito The North Face
Cenni storici Nel 1966 nella zona di North Beach a San Francisco, due appassionati di escursionismo, Douglas Tompkins e la allora compagna Susie Buell, decidono di trasformare la propria passione in un piccolo negozio di attrezzature per la montagna. Poco dopo, quel piccolo negozio diventa noto come The North Face, un rivenditore di attrezzature per arrampicata e backpacking ad alte prestazioni. Nel 1968, The North Face si sposta sull’altro versante della San Francisco Bay, nell’area di Berkley e inizia a progettare e produrre attrezzature e abbigliamento tecnici da montagna. Per tutti gli anni ‘60, il marchio The North Face si è guadagnato un seguito di appassionati tra gli atleti dell’outdoor e ha iniziato a sponsorizzare spedizioni negli angoli più remoti e incontaminati del pianeta. All’inizio degli anni ‘80, l’azienda porta l’esplorazione a nuovi livelli nel mondo dello sci, aggiungendo l’abbigliamento da sci estremo al suo catalogo. Verso la fine del decennio, diventa l’unico fornitore negli Stati Uniti in grado di offrire una collezione completa di abbigliamento da esterno e da sci, di sacchi a pelo, zaini e tende, tutti ad alte prestazioni. Gli anni ‘90 vedono il debutto sul mercato dell’abbigliamento sportivo con il lancio di Tekware™, una collezione innovativa progettata per offrire vestibilità e funzionalità perfette ad alpinisti, escursionisti, trail runner e appassionati dell’outdoor. Con l’avvicinarsi del nuovo millennio, The North Face lancia la propria linea di scarpe da trekking e da trail-running per soddisfare finalmente proprio tutte le necessità di coloro che puntano sempre verso nuovi orizzonti. Oggi, a più di 50 anni dalla sua fondazione The North Face offre una linea completa di abbigliamento, attrezzature e calzature performanti, accuratamente studiati per svolgere la loro funzione: tenere caldi o asciutti chi li indossa in condizioni estreme. Dietro ogni articolo venduto ci sono anni di perfezionamenti e studi per renderlo più leggero, pratico, comodo e bello. (Dal sito web di The North Face)
Fig. 137 Logo attuale The North Face
Logo The North Face è uno dei marchi più importanti al mondo per alpinismo e abbigliamento e attrezzatura per l’outdoor. Il logo, disegnato nel 1971 dal grafico californiano David Alcorn, ha un aspetto semplice ed elegante. Il suo design ritrae il famoso “Half Dome” nello Yosemite National Park, in California. Un’immensa cima granitica, alta quasi 2700 metri, che, se guardata di profilo appare come tagliata a metà di netto, assumendo la forma di un becco acuminato. Questa parete è da sempre meta per molti scalatori e appassionati di arrampicata. Alcorn ha utilizzato il colore rosso per esprimere passione e coraggio e la versione nera per esprimere controllo, supremazia ed eleganza. Il carattere tipografico utilizzato per le lettere è il classico Helvetica Bold. 235
Douglas Tompkins: “Never stop exploring” Douglas Tompkins oltre ad essere conosciuto come il fondatore del marchio sportivo North Face e il co-fondatore di quello di abbigliamento Esprit, è noto nel mondo come attivista e ambientalista. Era nato il 20 marzo 1943 in Ohio e aveva brevemente vissuto a New York prima di trasferirsi a Millbrook, nello stesso stato. Aveva iniziato a fare sport all’aria aperta a 12 anni: soprattutto arrampicata e sci. A 17 anni aveva abbandonato gli studi e aveva iniziato a lavorare ad Aspen, mettendo da parte i soldi per andare a sciare prima sulle Alpi, in Europa e poi sulle Ande, in Sudamerica. Il suo amore per lo sport e il so spirito avventuriero e intraprendente si riflettono perfettamente nello slogan “never stop exploring” che accompagna da sempre North Face. Alla fine degli anni ’80, stanco della vita aziendale, Tompkins vendette la sua quota di azioni in North Face e Esprit (queste ultime a circa 150 milioni di dollari, secondo quanto scrive il New York Times). Si trasferì in Sudamerica con la seconda moglie Kristine e da quel momento si dedicò ad attività a favore dell’ambiente vivendo tra il Cile e l’Argentina. Nel 1990 creò a questo scopo la fondazione Deep Ecology, un’organizzazione non-profit. Tra il Cile e l’Argentina Tompkins aveva comprato quasi 9000 chilometri quadrati di terra con l’obiettivo di creare parchi, recuperare la fauna selvatica e praticare un’agricoltura ecologica salvaguardando la biodiversità. Tra le sue proprietà, la più famosa è quella di Pumalín Park, uno dei parchi privati più grandi del mondo, che protegge circa 3mila chilometri quadrati della foresta pluviale che si estende dall’Oceano Pacifico alle Ande.
Tompkins aveva ricevuto molti premi per il suo impegno a favore dell’ambiente, tra cui nel 2009 la nomina da parte di Latin Trade a “Leader ambientale dell’anno”. É morto nel 2015 a 72 anni in seguito ad un incidente in kayak in Patagonia, una regione a sud del Cile: stava navigando con altri cinque amici nel lago General Carrera quando i loro kayak si sono ribaltati. Il suo costante impegno nella protezione degli spazi all’aperto, i suoi valori fondamentali di ambientalista, la sua tenacia nella lotta per la salvaguardia della natura sono stati fondamentali nella costruzione della filosofia del brand che ne è diventata paladina.
Fig. 138 Fotografia del fondatore Douglas Tompkins
236
Eventi e iniziative “Never stop exploring” non è un semplice slogan ma è il vero e proprio principio che muove le azioni compiute dal marchio. Tra queste non poteva mancare l’organizzazione di una serie di eventi e iniziative che promuovessero le attività all’aria aperta. North Face ha organizzato a luglio del 2018, in Trentino Alto Adige, il “The North Face mountain festival”, un weekend scandito da una serie di attività suddivise a seconda del livello di esperienza e guidate da atleti esperti. Durante quelle giornate era possibile fare arrampicata, trekking ma anche partecipare a seminari didattici, presentazioni, assistere alla proiezione di film e ascoltare musica dal vivo. Lo stesso anno, nel cuore delle Dolomiti è stato aperto un pop-up store denominato “The Pinnacle project” in cui acquistare articoli d’eccezione. Per raggiungere il negozio era necessario affrontare una camminata di due ore, questo proprio perché il brand voleva ribadire ai consumatori il suo messaggio: spingersi sempre oltre i propri limiti perché solo così arriveranno le soddisfazioni. Una volta raggiunta la meta era possibile acquistare alcuni capi indossati dai più famosi avventurieri, esploratori e atleti dei nostri giorni. Otto pezzi per collezionisti, restaurati ed etichettati con un messaggio personalizzato, che potesse essere d’ispirazione per le prossime avventure del nuovo proprietari.
Questi sono solo due esempi delle numerose iniziative organizzate durante gli anni da The North Face, che dal 2010 attraverso il progetto “Expore Fund” si impegna inoltre a promuovere e facilitare l’accesso ai luoghi naturali proprio perché “Esplorare è insito nella nostra natura e vogliamo che torni ad essere centrale sia per gli individui che per la nostra cultura.” (Dal sito web di The North Face)
Fig. 139/140 In alto pop-up store realizzato per l’evento The pinnacle project, 2018; a sinistra uomo intento a montare una tenda durante il The North face mountain project, 2018
237
Partnership La missione di The North Face è sempre quella di incoraggiare le attività all’aperto per tutti, compresi i giovani. Per avvicinarsi alla cosiddetta Generazione Z negli ultimi anno l’azienda ha iniziato diverse collaborazioni. Per quanto riguarda il design dei suoi prodotti, approfittando del successo dello streetwear ha deciso di collaborare con Supreme, negozio di skateboard e brand di abbigliamento di New York. Da questa partnership cono nate diverse collezioni in edizione limitata. Il successo ottenuto è stato di fondamentale nella creazione di una solida community che potesse apprezzare lo stile inconfondibile del marchio newyorkese, unito alla qualità dei materiali utilizzati da The North Face. Oltre al design, The North Face ha strategicamente stretto una collaborazione con un gruppo di giovani influencer, tra cui, ad esempio, lo YouTuber Nathan Zed, l’artista visiva Monica Hernandez, l’attivista climatica Maia Wikler. I ragazzi hanno partecipato gratuitamente ad una spedizione guidata nei pressi dell’“Arctic National Wildlife Refuge” e in cambio veniva chiesto loro di creare e contenuti visivi sui social. Per avvicinarsi ad un pubblico ancora più giovane, The North Face ha anche collaborato con Girl Scouts of America, nell’ambito della campagna “Moving Mountains”, ha creato un programma per educare e ispirare le generazioni femminili future. The North Face ha creato 12 nuovi distintivi ispirati all’avventura all’aria aperta che possono essere guadagnati attraverso la partecipazione ad attività come trail running e sci di fondo. Negli ultimi anni inoltre tra i giovani consumatori si sta sempre più divulgando il desiderio di vivere con un occhio di riguardo verso la sostenibilità ambientale. The North Face che da sempre ha fatto della sostenibilità un principio cardine delle sue attività, ha continuato a seguire la sua filosofia privilegiando ancor di più i materiali eco-consapevoli e vedendo in questa scelta un punto di incontro con le nuove generazioni.
Fig. 141 Campagna della collezione 2019 realizzata da The North Face in collaborazione con Supreme
238
Comunicazione The North Face si distingue per un’identità delineata fin dal principio dal suo fondatore, Douglas Tompkins. La comunicazione è caratterizzata da amore per la natura, l’esplorazione, l’avventura e interesse verso la sostenibilità. Le persone che decidono di indossare un capo del brand oltre che per le caratteristiche tecniche, ne abbracciano la filosofia e si identificano con la narrazione di marca, quindi si può affermare che non venda solo prodotti, ma un vero e proprio stile di vita. Attraverso la comunicazione quindi si vuole raccontare la marca e la sua identità affinché il consumatore possa interessarsi e appassionarsi. Sin dalla sua creazione la missione di The North Face è rimasta invariata: “offrire la migliore attrezzatura ai nostri atleti e agli esploratori moderni, contribuire alla tutela degli spazi all’aria aperta e ispirare un movimento globale basato sulla passione per l’esplorazione”, anche se negli ultimi anni il suo concetto di esplorazione si è fatto più astratto e per raggiungere un pubblico più ampio si è esteso a nuovi universi. Un esploratore moderno, ad esempio, può vivere in città. Un esempio pratico di queste nuove linee è la campagna globale “New explorer”. Nonostante l’enfasi venga posta sullo storico slogan, questa volta vai vuole suggerire un tipo di esplorazione interiore che va oltre lo spazio fisico, che è fonte di ricerca su se stessi al fine di migliorare la propria persona. L’Agency of Record ha realizzato una serie di cortometraggi per esprimere questo concetto. I protagonisti sono appunto i “New explorer”,che, seppur provenienti da ambiti diversi sono tutti curiosi e disposti a mettersi alla prova. Si tratta di musicisti, atleti e attivisti, tra cui, per citarne uno, il regista Jimmy Chin.
Fig. 142 L’arrampicatore e alpinista Alex Honnold si prepara per scalare il muro alle sue spalle, 2017
La campagna “Walls are meant for climbing” realizzata da Sid Lee pone invece l’accento su valori quali accessibilità e inclusione. Realizzata nel 2017, in un clima politico americano di particolare tensione, ha reinventato la funzionalità del muro, non più costruito per separare le persone, ma al contrario per riunirle e dar loro la possibilità di scalare. Essa ha coinvolto Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Messico e Cina. Inoltre, grazie a questa campagna, il 19 agosto è stato dichiarato Global Climbing Day e The North Face accordandosi con oltre 50 palestre di tutto il mondo ha fatto sì che in quella giornata fosse possibile scalare gratuitamente. Fig. 143 Immagine della campagna Never Stop Exploring
239
Infine The North Face declina il concetto di uguaglianza come parità di genere nelle campagna del 2018 “She moves Mountains”. Un’iniziativa che vuole celebrare le donne di tutto il mondo, il loro coraggio e il loro spirito di avventura con l’obiettivo di incoraggiare la crescita di una nuova generazione di esploratrici. Uno degli elementi più interessanti è che oltre ad investire nelle campagne marketing è stato potenziato il design del prodotto per il pubblico femminile. Ai giorni nostri, infatti sempre più donne si avvicinano al mondo della montagna, universo caratterizzato principalmente da uomini. Le protagoniste, non per forza legate al mondo dello sport, diventano veri modelli a cui ispirarsi, icome per esempio la scienziata NASA Tierra Guinn Fletcher. L’idea alla base è quella che raccontando di donne che hanno cambiato la storia si possano ispirare le generazioni future. Inoltre, attraverso i social media, il marchio vuole incoraggiare altre donne a condividere le proprie storie e per farlo ha creato l’hashtag #SheMovesMountains che permetterà di raccoglierle sul sito web e trasformarle in opere d’arte per un’esposizione prima a New York e poi a Londra.
240
Fig. 144/145 In alto l’alpinista Ashima Shiraishi posa per la campagna She Moves Mountain, 2018; in basso immagine realizzata da Simon Derviller per una campagna di The North Face UK
Fig. 146-148 Serie di screenshot di post pubblicati sulla pagina Instagram ufficiale
The North online Con oltre 3 milioni di fans su Facebook, 4,6 milioni su Instagram e più di 1,5 milioni di visualizzazioni su YouTube The North Face riesce a veicolare in maniera tempestiva ed efficace i suoi valori. Sui social è possibile creare delle vere e proprie narrazioni e costruire una community interessata e fedele. Il brand si è servito, come già detto in precedenza, della collaborazione dei migliori atleti delle discipline outdoor che si sono trasformati a loro volta in influencer. In questo modo al centro delle storie raccontate non c’è più il prodotto ma l’intera esperienza, la dimostrazione pratica del suo potenziale. Grazie all’impegno sui social network e nella scrittura di blog c’è stato un incremento delle vendite, proprie perché le opinioni degli esperti, divulgate su queste piattaforme, sono in grado di influenzare positivamente il giudizio di un potenziale cliente.
241
Apple
Perchè ribelle? Ribelle è colui che sfida le regole per ottenere un grado di maggiore libertà, è il promotore del cambiamento anche se questo dovesse significare infrangere le leggi. A volte è temuto in quanto anticonformista, altre volte è invece acclamato quasi come un salvatore. E’ sicuramente questo il caso di Apple, che con le sue tecnologie rivoluzionarie ha trasformato il suo pubblico in veri e propri fans. Due parole racchiudono perfettamente questa attitudine: “Think different”. Il brand che con i suoi prodotti ha migliorato la vita di tante persone e per questo associato spesso all’archetipo del creativo, viene qui analizzato invece con particolare attenzione ai suoi primi anni di vita, nei quali Steve Jobs incarnava il fuorilegge e con la sua potente figura non creava solo ammirazione me anche identificazione e immedesimazione. Tutto ciò che riguarda Apple, a partire dal celebre spot “1984”, trasuda la voglia di spingersi oltre i limiti imposti dalla società, di risvegliarsi da uno stato che si potrebbe definire “di assopimento” e puntare a qualcosa di grande, ad un bene comune superiore. E’ così che il brand ha promosso la creazione di una nuova cultura, una nuova società di cui è possibile far parte solo praticando il “culto della mela”.
242
Cenni storici La Apple è un’azienda fondata nel 1976 a Cupertino, California. I soci fondatori erano Steve Jobs, Steve Wozniak e Ron Wayne: quest’ultimo però dopo pochi giorni firmò una dichiarazione di recesso poiché temeva che l’attività fosse troppo rischiosa. L’idea di quest’azienda era nata in Jobs e Wozniak anni prima nel garage dei genitori di Steve Jobs a Palo Alto quando i due avevano provato a vendere il “Blue Box”, un dispositivo in grado di effettuare chiamate interurbane gratuitamente. Dopo di che si occuparono del primo computer: APPLE I, composto di alcuni circuiti stampati che permettevano di far comparire delle lettere su uno schermo mediante l’utilizzo di una tastiera. Steve Jobs si occupò prevalentemente dell’estetica adottando un design semplice ed elegante, caratteristica che distingue ancora oggi i prodotti Apple. Per poter continuare a crescere, la società però necessitava di finanziamenti. Grazie alla collaborazione con Mike Markkula si arrivò così al 1997, anno della fondazione della Apple Inc. Il 12 dicembre 1980 l’azienda venne quotata alla borsa di New York e all’età di venticinque anni Steve Jobs valeva già 256 milioni di dollari. Nel 1981 gli ingegneri iniziarono a lavorare ad un nuovo computer, il “LISA”, ma questo prodotto non ebbe molto successo perché parallelamente una piccola squadra con a capo Steve Jobs cominciò a progettare il primo Macintosh che rivoluzionò il mondo dei Personal Computer. Molte furono le novità: venne inventato il modo di poter sovrapporre le finestre aperte nel desktop, si riuscì a inserire nel programma di scrittura molti dei font, fu creata l’icona del cestino per eliminare i file che non servivano più e venne aggiunto un mouse, che semplificava il movimento sul desktop.
Fig. 149 Steve Jobs e Steve Wozniak nel garage dei genitori di Jobs nel 1975
243
Il lancio di questo modello avvenne nel gennaio 1984. L’azienda decise di creare uno spazio proprio dove presentare i prodotti, il MacWorld. La presentazione riscosse molto successo e nacque così la”generazione Apple”. Nel frattempo cresceva la rivalità con Bill Gates e la Microsoft. Subito dopo il lancio, il Mac subì però una riduzione delle vendite a causa di alcuni fattori tecnici. Iniziarono così gli anni di crisi per l’azienda culminati nel 1985 quando Wozniak e Jobs, lasciarono la società. Le azioni societarie ebbero un crollo e dal punto di vista delle innovazioni i dieci anni seguenti non portarono a nulla di nuovo. Nei primi anni novanta ci si rese conto che era necessario qualcuno che riuscisse a risollevare le sorti dell’azienda per questo motivo il consiglio di amministrazione decise quindi di richiamare Steve Jobs. Egli rivoluzionò la programmazione aziendale e rinnovò un patto con la Microsoft. Iniziò la progettazione di un nuovo PC che venne chiamato iMac. Anche per questo nuovo progetto si cercava non solo la perfezione dal punto di vista delle tecnologie ma anche del design. Per questo motivo venne dato più credito alle idee del responsabile del reparto di design, Jonathan Ive poichè sotto ogni aspetto tutto doveva essere semplice e bello, perché il cliente finale possa essere felice di comprare un prodotto Apple. Ingegneri e art designer lavorarono a stretto contatto per creare l’iMac che era stato progettato per essere un prodotto all-in-one, con tastiera, monitor e computer integrati in una sola scatola pronti per l’uso. Negli anni seguenti vennero sviluppati nuovi prodotti e l’azienda si interessò a nuovi ambiti ad esempio, quello della musica sviluppando il servizio iTunes e l’iPod. Apple arrivò ad avere il pieno controllo del processo produttivo mentre quello che ancora non si era sviluppato era l’esperienza di acquisto da parte del cliente. Ive e Jobs decisero quindi di aprire dei negozi specializzati solo per prodotti Apple, con personale qualificato e altamente specializzato. Venne aperto così nel 2001 il primo negozio chiamato “Apple Store”. L’azienda, alla soglia del XI secolo, si era definitivamente ripresa. Nel 2000 Steve Jobs divenne amministratore delegato ottenendo la proprietà di alcune azioni dell’azienda.
244
Steve Jobs “Solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di cambiare il mondo lo cambiano davvero”. Steve Jobs era nato in California, a Green Bay, nel 24 febbraio 1955, da una giovane coppia di studenti universitari, Joanne Carole Schieble, e Abdulfattah “John” Jandali. Fu subito dato in adozione a Paul e Clara Jobs di Santa Clara Valley. Fin da bambino si fece notare per le sue brillanti capacità scientifiche, si diplomò nel 1972 alla Homestead High School di Cupertino, quattro anni prima di fondare Apple. Nello stesso anno si iscrisse al Reed College di Portland, per specializzarsi in informatica, ma dopo un semestre decise di abbandonare l’università. La sua vita si può riassumere nel motto: “stay hungry, stay foolish”, la cui traduzione letterale è restate affamati, restate folli. Si tratta di un passaggio del discorso tenuto nel 2005 all’Università di Stanford nella cerimonia di laurea degli studenti di quell’anno, nel quale invitava i futuri laureati a non perdere la curiosità e l’ambizione di cambiare il mondo. Queste parole sono diventate per tutti i suoi fans una filosofia di vita. (Arcudi, 2011) La biografia autorizzata scritta dal giornalista Walter Isaacson e uscita dopo la sua morte avvenuta il 5 ottobre 2011, racconta dei ripetuti egoismi, infantilismi, arroganze, insensibilità di Jobs, alternata alla celebrazione della grandezza delle sue intuizioni, della sua forza di volontà e dell’impresa rivoluzionaria che ha costruito. “Era un uomo che pensava che le regole non lo riguardassero, e che praticava una “distorsione della realtà” per ingannare se stesso e gli altri.” (Sofri, 2011) Ma nonostante questo è stato definito più volte “il comunicatore più affascinante del mondo, nessuno gli somiglia. Ogni sua presentazione libera una scarica di dopamina nel cervello del pubblico e c’è gente che fa di tutto, anche trascorrere una nottata al freddo, pur di assicurarsi il posto migliore a uno dei suoi interventi.” (Gallo, 2009) E vale la stessa cosa anche per la sua azienda i cui fans sono disposti a mettersi in coda all’esterno degli Apple store ore e ore prima dell’apertura per potersi aggiudicare un nuovo modello di Iphone. Infatti Apple non si rivolge a consumatori ma a “fans who want to identify themselves with the product. Carrying around an iBook, an iPhone or iPad has become the essential accessory of a certain kind of bourgeois bohemian. Among the most devout it’s very much like a cult.” (Allen, 2011)
Fig. 150 Dettaglio di un Apple II plus, secondo modello della serie Apple II, risalente al 1979
245
Logo
Stores
Esistono diverse leggende intorno alla scelta del nome dell’azienda, qualcuno pensa sia un riferimento alla casa discografica dei Beatles, band amata da Steve Jobs mentre qualcun’altro sostiene sia stata scelta per il gioco di parole tra bite (morso) e byte. Il riferimento, per certi versi più ovvio, è quello che si è portati a fare con il frutto proibito di Adamo ed Eva mentre uno dei più interessanti è il collegamento ipotizzato con Alan Turing, famoso matematico morto suicida nel 1954. Vicino al suo corpo sembra fosse stata ritrovata una mela morsicata e per questo si pensò che nel frutto fosse contenuto il cianuro che causò la morte dello scienziato. Ma come già detto si tratta di semplici narrazioni che sono state smentite negli anni.
L’Apple Store è una catena di negozi di proprietà e gestione di Apple Inc., ad agosto 2018 i negozi aperti in tutto il mondo erano 511 in 16 paesi. All’interno vengono venduti hardware e software Apple Macintosh, iPod, iPhone, iPad, Apple Watch, accessori di terze parti e altri dispositivi come Apple TV. Molti negozi sono stati progettati in modo da possedere una sala presentazioni per eventi e workshop. Ogni Apple Store inoltre possiede un Genius Bar, uno spazio dedicato all’assistenza tecnica e alle riparazioni.
Il primo logo della società di Cupertino fu realizzato nel 1976 da Ronald Wayne, a volte indicato come il terzo co-fondatore di Apple (assieme a Tim Cook e Steve Jobs). Il logo raffigura Isaac Newton seduto sotto un albero con la famosa mela che gli dondola sopra la testa e la scritta “Newton, a mind forever voyaging through strange seas of thought – alone”. Nonostante il messaggio riassumesse la filosofia dell’azienda fu utilizzato solamente per il manuale dell’Apple I poiché ritenuto poco riconoscibile e non adatto alle piccole dimensioni. Il graphic designer Rob Janoff venne chiamato a riprogettarlo in chiave più moderna e nacque così la “mela morsicata”. La scelta cadde sul morso per una ragione pragmatica: senza il morso, il simbolo si sarebbe potuto confondere con una ciliegia o un pomodoro. Per lungo tempo, dal 1977 al 1998, il simbolo della Apple fu colorato con delle strisce che richiamavano i colori dell’arcobaleno. Scelta fatta dallo stesso Steve Jobs allo scopo di “umanizzare la società” e di renderlo più accattivante anche ad untarget più giovane. Inoltre l’arcobaleno indicava la capacità di Apple di produrre monitor a colori. La forma complessiva tuttavia, rimase invariata e attraverso il suo design minimalista, sottolineò l’importanza della semplicità comune a tutti i prodotti Apple.
Molti di essi si trovano all’interno di centri commerciali, ma Apple ha costruito anche negozi “stand-alone” in varie città. Il negozio di Covent Garden a Londra (Regno Unito), inaugurato il 7 agosto 2010, è il più grande Apple Store del mondo. L’azienda ha ricevuto diversi riconoscimenti nel campo dell’architettura grazie al design dei suoi store, in particolare per la location di Manhattan. A dimostrazione della cura che riserva la Apple verso i suoi clienti all’interno di ogni Store si trova personale specializzato in compiti specifici: Specialist - Risponde alle domande riguardo ai prodotti della Apple e agli accessori di terze parti. Gestisce le vendite dei prodotti e descrive le promozioni e i servizi dello Store. Genius - Il Genius fornisce assistenza tecnica sui prodotti Apple ed esegue le riparazioni o le eventuali sostituzioni del prodotto. Creative - Gestisce i corsi di formazione su diversi argomenti per i clienti One-toOne. I Negozi Apple sono dotati di un Genius Bar, dove i clienti possono ricevere consigli tecnici o effettuare riparazioni per i loro prodotti. La maggior parte dei nuovi Apple Store dispone inoltre di una postazione chiamata lo “Studio”, uno spazio simile al Genius Bar dove i clienti possono ricevere aiuto da parte di un “Creativo” su progetti di realizzazione album foto o editing di filmati.
Fig. 151 Logo attuale Apple
246
Fig. 152/153 A sinistra Apple store di New York nella Fifth Avenue;in basso Apple store di Milano in Piazza Liberty
Così come i suoi prodotti anche gli store non potevano che avere un design minimalista e accattivante. Essi si contraddistinguono per gli ambienti spaziosi, trasparenti e luminosi un layout elegante e riconoscibile caratterizzato da strutture in vetro, superfici in acciaio inossidabile e arredi in legno. La maggior parte degli Apple Store progettati fino ad ora sono opera dello studio di architettura Bohlin Cywinski Jackson e la società di design Eight Inc, affiancati da studi di ingegneria come Eckersley O’Callaghan. Attualmente il testimone è stato passato a Foster + Partners, con lo scopo di rinnovare l’atmosfera dei punti vendita. L’intento sembra quello di inaugurare una seconda generazione di negozi nei quali lo spazio non è solamente finalizzato alla vendita ma diventa esso stesso “contenitore di contenuti”, una sorta di agorà che modifica la città e la sua comunità. (Bria, 2018) Ne è un esempio l’Apple Store di Milano, inaugurato nel 2018 è stato realizzato ristrutturando Piazza Liberty e riorganizzando i gli spazi sotterranei. Un grande parallelepipedo di vetro, intorno al quale è stata costruita una fontana, con getti d’acqua che creano un effetto a cascata lungo le vetrate, ma il negozio vero e proprio è sotterraneo. Difronte al parallelepipedo una grande scalinata, pensata come punto di ritrovo, ricorda quella degli antichi anfiteatri in pietra. All’interno è tutto rifinito con grande attenzione: grandi tavoli di legno chiaro sui quali sono esposti i prodotti dell’azienda e ai lati della sala alcuni alberi che richiamano il tema della piazza al di sopra.
247
Packaging Il termine “Packaging” indica “il complesso delle modalità legate all’imballaggio, al confezionamento e alla presentazione dei prodotti da offrire al pubblico.” È quindi molto importante l’aspetto grafico-comunicativo che dev’essere accattivante affinché il prodotto sia facilmente riconoscibile. SSpesso questa “esperienza” non si limita ad un singolo oggetto ma ad una serie di elementi diversi tra loro, come accade ad esempio per i prodotti Apple. IMac, iPad, iPhone, Apple tv, iPod sono acquistabili separatamente ma sono stati realizzati per lavorare in sinergia e mettere al centro l’utente. Per eliminare le caratteristiche del singolo supporto e, al contrario, sottolineare il “sistema Apple” il packaging è stato fin da subito fondamentale, come dimostra il fatto che uno dei progettisti dell’azienda ha passato mesi e mesi testando l’apertura delle scatole. Una confezione per passare da semplice involucro ha vero e proprio packaging (come lo abbiamo definito prima) deve informare, rendere il prodotto riconoscibile, ottimizzare il trasporto ma al tempo stesso sorprendere l’utente. Apple ci è chiaramente riuscita ottenendo grazie a rigore, eleganza, praticità ed essenzialità, sia della grafica che dei materiali, un’esperienza di unboxing incredibile che fa sentire l’utente parte di un “altro” mondo, il mondo Apple appunto. Nessun involucro di bolle o imballaggi di carta avvolgono laptop, monitor e gli altri prodotti che sono protetti solo da inserti discreti. La stessa attenzione si ritrova anche nel loro imballaggio di spedizione. Un connubio di semplicità, pulizia e discrezione che rendono però immediatamente riconoscibile.
Fig. 154 Immagine raffigurante una serie di prodotti, in ordine: Apple watch, Iphone e MacBook Pro
248
Comunicazione “La Apple non fa spot. La Apple racconta storie.” I suoi spot raccontano un mondo in cui la tecnologia diventa lo strumento per coloro che vogliono fare la differenza, perdendo lo stato di mera pubblicità. I protagonisti sono gente comune, l’atleta che ottiene risultati desiderati, il ragazzo autistico che ritrova la propria voce sono solo alcuni esempi. Questo scopo è stato perseguito fin dagli anni ’80 quando l’azienda ha lanciato il prodotto che avrebbe rivoluzionato l’industria dei personal computer, creando un modello che potesse essere usato anche dai non esperti in informatica, con un’interfaccia più semplice e intuitiva, accessibile a tutti. La tecnologia diventava il mezzo in grado di cambiare in qualche modo la vita delle persone. Da qui in avanti Apple ha dato il via ad un processo di “evangelizzazione” creando una comunità forte, convinta dei vantaggi del brand e “fedele alla causa”. - “1984” è lo spot diretto da Ridley Scott per il lancio del primo Macintosh che rappresenta questo desiderio. Vincitore del prestigioso Clio Award, raffigura un momento di cambiamento e di rottura di un sistema radicato, acritico e privo di creatività. Mandato in onda durante il Super Bowl è ambientato in un mondo grigio e freddo, in cui le persone sembrano inanimate davanti ad uno schermo. La svolta avviene con l’arrivo di una donna che con un martello causa una forte esplosione, lasciando tutti i presenti a bocca aperta. Il potente colpo risveglia tutte le persone, fino ad allora immerse in una sorta di incubo. Una voce fuori campo afferma che il 1984, non sarebbe stato come il 1984 descritto da Orwell grazie all’arrivo del nuovo Macintosh, che, rappresentato come un’eroina riesce a salvare tutti dal conformismo e dallo “status quo”.
Fig. 155 Frame dello spot 1984 diretto da Ridley Scott
249
“Think Different” é uno spot andato in onda nel 1997 che meglio descrive la visione aziendale. Apple si rivolge «ai folli, agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Costoro non amano le regole, specie i regolamenti, e non hanno alcun rispetto per lo status quo. Potete citarli, essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarli, perché riescono a cambiare le cose, perché fanno progredire l’umanità. E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio. Perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero.» Nel video compaiono figure come Martin Luther King, Mahatma Gandhi, Albert Einstein e Bob Dylan mentre una voce fuori campo narrava di come hanno cambiato il mondo grazie alla loro genialità e di come questo sia avvenuto proprio perché pensavano fuori dagli schemi. Al termine dello spot, compariva una schermata nera con la scritta “Think Different”: un invito rivolto a tutti ad uscire dai canoni conosciuti, a percorrere strade inesplorate esattamente come aveva fatto la Apple.
250
Fig. 156-159 Serie di immagini realizzate per la campagna Think Different, 1997; i personaggi in ordine sono: Maria Callas, Salvador Dalì e Muhammad Alì
- MAC VS PC è l’insieme di una serie di spot in cui i computer vengono antropomorfizzati, il primo è un giovane, vestito in stile casual, che presenta delle soluzioni innovative (nuovi modelli, caratteristiche e funzionalità), mentre il secondo, rappresentato da un uomo di mezza età con vestito e cravatta, è per buona parte dei video a disagio per gli errori e le funzionalità obsolete che possiede. Nell’ottica di aumentare la brand loyalty, Apple ha virtualmente creato una sorta di “nemico comune” ai membri della propria comunità: il PC e i suoi utenti, allo scopo di rafforzare la propria base di fan. Come spiega Roger Dooley, si tratta di «fare sì che i tuoi clienti si sentano diversi dalle persone che usano un brand competitor ». La passione della comunità, che non solo acquista ma è anche pronta a difendere il brand, si è trasformata in un vero e proprio culto. Questa dicotomia “noi vs gli altri”, creata sull’ideale della “contro cultura” è molto presente nelle strategie di marketing e comunicazione di Apple.
Fig. 160/161 In alto frame dello spot Get a Mac realizzato da TBWA\Media Arts Lab; in basso locandina realizzata in occasione del lancio di Apple II
Le serie di spot finora analizzati hanno dimostrato come l’azienda si sia mossa affinché fosse chiaro a tutti quali siano i valori di Apple: andare contro corrente, spingersi al di là dei propri limiti alla ricerca di un bene più grande e distinguersi dalla massa, anche se significa trasgredire le regole. Un modo di pensare rivoluzionario che presenta tratti comuni con l’archetipo del ribelle e che ha contribuito all’enorme successo. Da un punto di vista più concreto un altro tratto distintivo del brand è sicuramente la predilezione a semplicità e minimalismo, sia che si tratti del design dei prodotti sia che si tratti delle componenti tecniche. Steve Jobs affermava, infatti «ciò che caratterizza il nostro design è il fatto che dobbiamo creare delle cose che siano intuitivamente ovvie» ha dichiarato Steve Jobs. Questi concetti si ritrovano anche nelle strategie di marketing e comunicazione.
Fig. 162 Immagine realizzata in occasione del lancio dell’iMac nel 1984
251
Nel 1977, ad esempio, nella pubblicità di presentazione dell’Apple II, compare una mela rossa e la scritta su sfondo bianco: “La semplicità è la suprema sofisticazione“. Mentre nel 1998, un’altra pubblicità si compone di una fotografia del primo iMac e, sempre su sfondo bianco, la scritta “Chic. Not geek” che, per quanto semplice, ha una grandissima efficacia. l principio del minimalismo, si estende inoltre a tutte le pratiche di business, come dichiarato da Steve Jobs: «il modo in cui gestiamo l’azienda, il design dei prodotti, la pubblicità, tutto si riassume così: rendiamo tutto semplice. Molto semplice». Queste caratteristiche evidenziate finora sono tutt’ora presenti nelle strategie di comunicazione dell’azienda, ne è un esempio il video promo del 2014 dal nome “Perspective”. (Apple, 2014) Ancora una volta un manifesto dell’azienda e del suo modo di vedere le cose. Il filmato, interessante anche per la modalità in cui è girato, riporta le seguenti parole: “Here’s to those who have always seen things differently the ones who follow a vision, not a path. Where others perceive first as valuable, you value the first thing that actually matters. While others are distracted by the new, you focus on the significance of a whole new take. Even before you could see how, you never doubted we would change things. And then we did. Together. Again and again. Relentless optimism is what moves the world forward. So, keep seeing things differently. Keep trusting there is always another way a better way a bigger way one that lifts up humanity. Breaks down our barriers. And heals the landscape. You are the difference between the world as it was and the better place it will become. And different is the one thing about us that will always be the same.”
252
Fig. 163/164 Frames dallo spot Perspective , 2014
253
Häagen-Dazs
Perchè amante? L’archetipo dell’amante richiama l’attenzione sull’importanza dell’amore, in tutte le sue forme, customer experience inclusa. L’amante infatti è colui che vuole sentirsi speciale e far sentire gli altri speciali, è continuamente alla ricerca di attimi di intimità. Il brand guidato dall’amante costruisce la sua immagine con lo scopo di apparire attraente agli occhi degli altri e di sviluppare una relazione intima a livello emotivo con il cliente. I settori più influenzati da questo archetipo sono quelli dei cosmetici, dei gioielli, della moda e ma anche del mondo del food, nello specifico dei produttori di dolciumi poiché spesso l’amante è alla ricerca di esperienze che risveglino i sensi. Häagen-Dazs è un esempio perfetto di “Brand Lover”, proprio perché il suo scopo è quello di offrire ai consumatori non un semplice gelato ma una “Experience Like No Other”. Il suo fondatore, fin dagli inizi ha voluto concentrare tutti i suoi sforzi per creare qualcosa di unico, un gelato “di lusso”. Logo, colori e tono di voce rispecchiano questo desiderio e invitano i clienti a prendere una pausa dalla vita frenetica per godersi da soli, o con qualcun’altro dei veri momenti di piacere “direttamene dal barattolo”.
254
Fig. 165 Immagine realizzata per promuovere il nuovo gusto di gelato “dulce de leche”
Cenni storici Nel 1961 Reuben Mattus usando solo ingredienti ricercati produsse tre semplici gusti: vaniglia, cioccolato e caffè che rivoluzionarono il mondo dei gelati. Nel Bronx, a New York nasceva Häagen-Dazs. Nel 1983 decide di cedere la sua proprietà alla Pillsbury Company, gruppo americano attivo nel settore alimentare, che l’anno successivo sposta la sede dal Bronx al Teaneck, nel New Jersey dove rimarrà fino al 1995 quando viene effettuato un ulteriore spostamento a Minneapolis. Nel 1999 la svolta avviene quando la società si fonda con Nestlé creando una joint venture con lo scopo di fondere le attività dei due gruppi nel settore della produzione di gelati nel mercato statunitense e canadese. Nel dicembre 2001, Nestlé, rileva da Pillsbury Company il 50% delle azioni e diviene proprietaria della licenza di commercializzazione dei gelati Häagen-Dazs nei mercati del Nord America per un periodo di 99 anni. Nel dicembre 2019, Nestlé cede le sue attività nel segmento gelati nel mercato nordamericano a Froneri, che subentra quindi alla multinazionale svizzera come proprietaria dei diritti di produzione del marchio Häagen-Dazs sul territorio. La sede italiana di Häagen-Dazs veniva aperta nel 1992 a Milano. Dall’anno successivo ha inizio la distribuzione del prodotto nelle gastronomie e successivamente anche quella dei preconfezionati tramite il canale della grande distribuzione organizzata. Dal 2000 comincia la progressiva cessazione delle attività delle gelaterie con marchio Häagen-Dazs, che si conclude con la chiusura nel 2003 dell’ultimo locale situato in corso Magenta a Milano. Attualmente sono stati prodotti 46 gusti differenti distribuiti in oltre 80 Paesi attraverso canali complementari: retail, negozi e foodservice.
Logo L’origine di questo nome dalla pronuncia difficile, non è europea come si potrebbe pensare, in quanto si tratta di due termini inventati. Questa tecnica è conosciuta nell’ambito del marketing come “foreign branding”, infatti sebbene in nessuna lingua scandiva si trovano i digrammi äa e zs, l’intento era quello di simulare una parola appartenente a quell’idioma. Mattus inoltre incluse sulle etichette il nome di Copenaghen e una mappa della Danimarca per rinforzare le vendite in Scandinavia e come tributo per il salvataggio di molti ebrei da parte del paese nella Seconda guerra mondiale. Fig. 166 Logo attuale Häagen-Dazs
Da un punto di vista grafico il logo ha mantenuto le stesse caratteristiche nel corso del tempo, la scritta in caratteri bastoni è circondata da un elemento che richiama uno stile barocco: l’unione di moderno e passato Inoltre l’intento è quello di conferire al brand un’aria esclusiva, raffinata rappresentativa di un prodotto di qualità.
255
Packaging L’iconico “barattolo” di gelato ha mantenuto lo stesso aspetto praticamente dalla fondazione dell’azienda. Nel 2017 però le confezioni sono state oggetto di un restyling: la nuova grafica, personalizzata per ogni referenza della gamma, è stata curata da designer internazionali per creare un legame emotivo ancora più intenso con il target dei millennials e dialogare con i trend setter. Il nuovo look “vibrante e contemporaneo” mantiene i tratti iconici del brand e riflette il posizionamento e la filosofia di Häagen-Dazs. I 13 artisti coinvolti hanno ideato 46 pattern per ognuno dei gusti di gelato presenti nel mondo, ispirandosi alle sensazioni e alle emozioni che hanno provato durante gli assaggi. In Italia le nuove stampe sono otto. Il design del gusto Caramel Biscuit & Cream Speculoos è stato curato dalla statunitense Ashley Goldberg. La sua tecnica, semplice ed energica, è impreziosita da una coloratissima palette. Macadamia Nut Brittle, Cookies & Cream, Pralines & Cream, Belgian Chocolate e Vanilla sono disegnati dall’illustratore finlandese Santtu Mustonen. Il suo stile è una fusione tra trame artigianali e analogiche che regalano un senso di movimento.
Fig. 167/168 In alto immagine raffigurante il nuovo aspetto dei barattoli di gelato; a destra dettaglio dei pattern realizzati per il restyling del 2017
Il direttore marketing di Eurofood Spa, Rossella Guidobono ha detto a proposito di questo progetto «Il logo di colore burgundy su fondo bianco e i packaging ispirati alla straordinaria esperienza di sapore di ogni variante sono audaci, moderni e decisamente instagrammabili. Riflettono la personalità del marchio, sempre al passo con i tempi, e lo spirito del fondatore, che è sempre stato visionario e pioniere di nuovi trend». Un’operazione quindi che da un lato rispecchia la volontà di rinnovarsi, di stare al passo con i tempi per rendere il prodotto ancora più accattivante e di emergere rispetto alla concorrenza ma dall’altra riflette il vero spirito dell’azienda: “We make extraordinary ice cream and create extraordinary moments. Because we believe little luxuries have the power to elevate the everyday.” (Dal sito web dell’agenzia LOVE) L’azienda si rivela in oltre al passo con i tempi anche per quanto riguarda la sostenibilità, infatti sono in corso operazioni per ridurre al minimo il consumo di plastica; la prima misura attuata è stata quella di eliminare il cucchiaio che accompagnava la confezione.
256
Comunicazione In un’azienda che produce gelati ciò che può fare la differenza, oltre alle materie prime, è, come già detto la confezione all’interno della quale sono contenuti. Colori sgargianti e design sofisticato sono il perfetto mix che permette di attirare un pubblico giovane, sempre più consapevole dell’importanza della materia prima ma altrettanto desideroso di un’estetica curata. Lusso, piacere e “experience like no other” sono i valori che da sempre definiscono il brand e che guidano una comunicazione dalle linee semplici, eleganti e dal ricercato equilibrio. Tra le immagini maggiormente ricorrenti è possibile notare un’elevata quantità di riferimenti al tema dell’amore che si ricollega anche alla scelta dalla scala cromatica utilizzata e che rende riconoscibile l’archetipo dell’“Amante”. Non solo i colori ma anche le parole ricoprono un ruolo fondamentale; la scelta ricade spesso su sostantivi e aggettivi facilmente ricollegabili a momenti di piacere: “seduction, passion, desire” ma anche “pure love, indulgence, sensation”. Tra i volti che hanno collaborato con l’azienda troviamo, ad esempio, lo statunitense Bradley Cooper apparso in uno spot del 2013 che lo vedeva protagonista insieme alla modella Jana Perez. L’attore si trova in una festa ambientata nella “House of Häagen-Dazs” e si sta gustando direttamente dal barattolo il gelato quando la ragazza fa il suo ingresso e con un segnale lo invita a seguirlo in una stanza privata. La breve storia d’amore si conclude ironicamente con la ragazza che prende il contenitore lasciando il poveretto senza gelato sottolineando come la scelta tra le due opzioni sia del tutto scontata.
Fig. 169 Esempio di immagine utilizzata a scopo pubblicitario
Fig. 170 L’attore Bradley Cooper e la modella Jana Perez protagonisti di un spot del 2013
257
Häagen-Dazs online Con oltre 3 milioni di fans su Facebook, 4,6 milioni su Instagram e più di 1,5 Nel 2017 Häagen-Dazs ha incaricato l’agenzia LOVE di ripensare l’identità visiva del brand; ciò che ha guidato in parte le decisioni effettuate durante il restyling è stata l’idea che i nuovi pattern avrebbero dovuto risultare accattivanti per le nuove generazioni. In un’epoca in cui condividere sulle piattaforme online è priorità assoluta, possedere un packaging “instagrammabile” diventa la chiave per attirare nuovi clienti e consolidare il rapporto brand-pubblico. Nel’estate del 2019 utilizzando la sua suite integrata, Blogmeter ha monitorato ed analizzato le performance di tutte le pagine ufficiali Facebook, Twitter, Instagram e YouTube dei principali brand di gelati e dessert freschi presenti sul mercato italiano. Dai 12 brand presi in esame sono state create due classifiche: una con i 5 brand risultati migliori per interazioni totali su Facebook, Instagram e Twitter e una riportante i 3 migliori brand per engagement su YouTube, entrambe per il trimestre dal 1° marzo al 30 giugno 2019. Häagen-Dazs ha ottenuto il 4° posto grazie anche ad un posto dedicato al nuovo gusto, brownie macchiato, che aveva ottenuto 14 mila interazioni totali su Instagram. (Guerrieri,2019) Sulla piattaforma si alternano per lo più due tipi di immagini: quelle con inquadrature studiate appositamente per un focus sul prodotto e quelle di “vita quotidiana” che ritraggono spesso situazioni di coppia nelle quali la “pausa gelato” diventa un momento di relax e divertimento.
Fig. 171 Screenshot di un contenuto sulla pagina Facebook ufficiale
258
Fig. 172/173 Screenshot di due immagini postate sulla pagina Instagram ufficiale
259
Rolex
Perchè sovrano? Un forte senso di potere e controllo guida l’archetipo del sovrano. Il “ruler brand” è la marca nota per parlare in modo autorevole con la consapevolezza di essere il meglio che il mercato possa offrire. Con la loro fermezza tentano di dare un ordine al caos che regna e useranno la loro influenza per indirizzare i comportamenti di chi ascolta. Rolex per oltre un secolo ha dominato il mercato degli orologi di fascia alta, diventando sinonimo di prosperità e potenza. Semplicità, concretezza ed eleganza sono le caratteristiche che ne definiscono l’identità. Coloro che indossano un Rolex vogliono affermare il proprio status e comunicare la loro posizione all’interno della società, hanno il desiderio di sentirsi importanti, influenti e di successo. A partire dall’utilizzo di una corona nel logo, l’azienda da sempre si contraddistingue per i suoi messaggi diretti e autoritari. Le immagini sono spesso classiche, tradizionali, statuarie, nobili o sofisticate e i personaggi scelti come testimonial sono tra gli individui più influenti nel loro settore.
260
Fig. 174 Hans Wilsdorf fondatore del marchio Rolex, 1942
Cenni storici La Rolex SA venne fondata nel 1902 da Hans Wilsdorf e dal fratellastro Alfred Davis come Wilsdorf e Davis; pur essendo attualmente una delle maggiori imprese svizzere dell’orologeria, Wilsdorf era di nazionalità tedesca e la prima sede era a Londra. Inizialmente i due fratelli si limitavano a importare in Inghilterra i meccanismi svizzeri prodotti da Hermann Aegler, che successivamente divenne socio, assemblandoli in casse di lusso create dalla compagnia Dennison e da altri gioiellieri dell’epoca. I primi orologi prodotti contenevano all’interno della cassa la sigla “W&D”, Wilsdorf & Davis. Nel 1908 Hans Wilsdorf registrò il marchio “Rolex” e aprì il suo primo ufficio a La Chaux-de-Fonds, in Svizzera. Wilsdorf avrebbe voluto rendere economici i suoi prodotti, ma le tasse e i dazi di importazione sulle casse degli orologi (oro e argento) alzavano i prezzi. Da quel momento il quartier generale venne spostato a Ginevra, mantenendo filiali in altre città e in altri continenti. Nel 1910, grazie agli alti standards e all’eccellenza della manifattura, i prodotti Rolex divennero i primi orologi da polso ad essere premiati e certificati per le prestazioni cronometriche. Ma Wilsdorf non era del tutto soddisfatto poiché al momento della fondazione dell’azienda si era ripromesso di produrre orologi in grado di resistere a qualsiasi tipo di clima e ambiente. La vera rivoluzione avvenne nel 1926 con la produzione di “Oyster”, il primo orologio resistente all’acqua in grado di coniugare caratteristiche performative ad uno stile elegante. Con questo modello Hans Wilsdorf confermò la propria intuizione: si stavano facendo strada nuove generazioni, più avventurose. Nel 1927 un Rolex Oyster, indossato da una giovane nuotatrice inglese, Mercedes Gleitze, attraversò incolume il Canale della Manica. La traversata durò oltre 10 ore, durante le quali l’orologio rimase in ottime condizioni. Per celebrare l’impresa dell’attraversamento della Manica, Rolex fece pubblicare sulla prima pagina del quotidiano britannico Daily Mail un’inserzione a tutta pagina che annunciava il successo del suo orologio impermeabile e stabilì la nascita del concetto di Testimonial. Agli inizi degli anni ’50, Rolex sviluppò orologi in grado di fungere da veri e propri strumenti professionali le cui funzioni andavano ben oltre la semplice indicazione dell’ora. Erano orologi creati guardando alle nuove attività professionali, come le immersioni di profondità, l’aviazione, l’alpinismo e l’esplorazione scientifica. Questi strumenti riscossero profondo entusiasmo e si affermarono come gli orologi delle imprese impossibili.
Ciò che maggiormente caratterizza l’azienda è lo spirito di intraprendenza del suo fondatore, la volontà di continuare a migliorare la qualità e le specifiche tecniche dei prodotti. Per questo motivo Rolex è considerata un’azienda leader nel settore. Di seguito le principali innovazioni e riconoscimenti: 1910 Primo orologio da polso a ricevere il certificato svizzero di precisione cronometrica 1926 Primo orologio da polso impermeabile e conseguente nascita della collezione Oyster 1945 Primo orologio ad avere una data automatica sul quadrante dell’orologio 1954 Primo orologio con due fusi orari 1956 “Day-Date” primo orologio su cui è possibile visualizzare sia il giorno che la data 2012 Primo orologio da polso ad avere una ghiera di comando progetta per molteplici usi 2013 Rolex è il cronometrista ufficiale della Formula 1. Ad oggi secondo le statistiche del Contrôle Officiel Suisse des Chronomètres (COSC) Rolex produce circa 700.000 cronometri meccanici ogni anno.
261
Logo Fin dall’inizio il fondatore Hans Wilsdorf sapeva che la sua neonata società avrebbe avuto successo solo se fosse riuscita a trovare un nome semplice, facile da ricordare e da pronunciare in quante più lingue possibile. Windsorf voleva inoltre inserire il marchio all’interno del quadrante quindi l’idea di dare all’azienda il proprio cognome non è stata mai presa nemmeno in considerazione. A causa di questa richiesta così specifica trovare il nome perfetto divenne piuttosto difficile. Il fondatore ha raccontato di aver provato a combinare tutte le lettere dell’alfabeto in ogni modo possibile, ma che nessuno dei risultati lo convinceva. Sul sito dell’azienda si racconta che questo pensiero lo ha tormentato fino a quando una mattina, mentre viaggiava sul piano superiore di un omnibus trainato da cavalli lungo una via di Londra ha sentito una presenza sussurrargli all’orecchio la parola “Rolex”. Su Stern Business, l’autore David Liebeskind ha aggiunto che Rolex, secondo Wilsdorf era il suono prodotto da un orologio quando viene chiuso. Un’altra ipotesi, più verosimile e tuttora la più accreditata, indica che il nome sia in realtà derivato dalla locuzione francese”horlogerie exquise”, orologio squisita e che in inglese si scrive “hoROLogical EXcellence”. Il logo, invece, fu scelto per identificare il desiderio di prestigio, perfezionismo e vittoria che il suo ideatore voleva raggiungere e che ha raggiunto. La corona che lo caratterizza è stata disegnata da Wilsdorf e Davis. Dalla sua prima comparsa nel 1925, il design è cambiato molto poco nel corso degli anni ed è rimasto quasi identico per quasi un secolo. Sono molte le ipotesi sul perché delle 5 punte, alcuni credono che rappresentino le dita su una mano umana, mentre altri postulano che rappresentino le cinque lettere nel nome Rolex. Quello che è certo è che non c’è elemento migliore che possa sintetizzare lo slogan del brand: “A Crown For Every Achievement.” Per quanto riguarda i colori utilizzati, l’oro può essere simbolicamente ricondotto ai metalli preziosi usati dall’azienda, mentre il verde per alcuni rappresenta il denaro e per altri invece, in maniera più astratta, l’ideale di prosperità. Ad ogni modo, ancora una volta, indipendentemente da quale sia l’ipotesi corretta ciò che appare evidente è che si tratta della sintesi perfetta del messaggio che si vuole trasmettere: ricchezza, alto stato sociale, prestigio e regalità.
Fig. 175 Logo attuale Rolex
262
Rivenditori e packaging La rete di rivenditori autorizzati Rolex si estende su oltre 100 Paesi in tutto il mondo. Il personale viene preparato ed è quindi in grado di rispondere a qualsiasi domanda da parte del consumatore. La cura dei dettagli che contraddistingue i prodotti, si rivela anche all’interno dei negozi. L’architettura e gli elementi di arredo conferiscono allo spazio un’aria elegante e permettono di esaltare i prodotti. Quando si acquista un orologio, ciò che si riceve è un elegante astuccio di colore verde accompagnato da una garanzia di 5 anni.
Fig. 176 Esempio di esposizione tipica in un rivenditore Rolex
Partnership Rolex negli anni non solo si è affermata come azienda leader nel campo dell’orologeria ma ha ampliato le sue collaborazioni in diversi ambiti. Se si visita il sito ufficiale è possibile vedere come l’azienda e i suoi orologi accompagnino i campioni e le eccellenze di tutto il mondo. Volendo fare una suddivisione è possibile identificare i seguenti ambiti: - Sport (tennis, golf, sport automobilistici, vela) - Arte e cultura (cinema, architettura e arte) - Scienza ed esplorazione
Fig. 177 Il regista Martin Scorsese ritratto mentre indossa un orologio firmato Rolex
Per quanto riguarda il mondo dello sport, ad oggi Rolex accompagna esploratori e campioni, dalle vette delle montagne più alte alle più remote profondità oceaniche in tutto il mondo. Ma queste collaborazioni vengono portate avanti da molti anni, il rapporto con il tennis, ad esempio, risale al 1978 quando il marchio è stato scelto come orologio ufficiale per il torneo di Wimbledon. Da allora Rolex è una presenza costante di questo celebre evento, stringendo rapporti privilegiati con alcuni dei migliori tennisti del circuito maschile, da Stéfanos Tsitsipás a Jo‑Wilfried Tsonga, fino a Grigor Dimitrov, Dominic Thiem e Roger Feder. Quest’ultimo ha affermato a proposito di Rolex: “Quando guardo il mio orologio, ho un ricordo estremamente vivido di quel giorno.” e ancora “Ogni volta che indosso il mio Rolex, mi ricorda quei momenti straordinari. Mi ricorda anche che se non lavori sodo, qualcun altro lo farà, e finirà per superarti. Quindi devi essere duro e in una certa misura spietato, ma anche essere sempre corretto e giocare con stile. Penso che questo sia molto importante.” (Dal sito web di Rolex)
263
Se si parla di cinema tra i registi che hanno lasciato un segno indelebile compaiono sicuramente Martin Scorsese, James Cameron, Alejandro G. Iñárritu e Kathryn Bigelow. Rolex identifica questi ultimi come i “portabandiera dell’eccellenza nella settima arte” si distinguono per il loro stile inconfondibile e per la loro visione in grado di puntare i riflettori sul mondo in cui viviamo. Anche loro come l’azienda hanno in qualche modo operato una rivoluzione, e sono mossi dalla volontà di anticipare i tempi e dare il via a nuove correnti di pensiero, diventare i mentori delle generazioni future. Precisione, prestazioni elevate ed estetica: questi sono i valori che uniscono Rolex all’architettura di livello mondiale, infatti in orologeria così come in architettura, l’eccellenza del design permette di trovare il perfetto equilibrio tra forma e funzione. Tra i progetti che vedono coinvolta l’azienda c’è la partnership con la Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia come Partner e Orologio esclusivo. Questa breve analisi è stata riportata con lo scopo di sottolineare ancora una volta come anche la scelta delle collaborazioni sia il riflesso dell’identità dell’azienda che sceglie di dialogare con e attraverso grandi personaggi, visionari che spesso si sono spinti al limite delle proprie capacità per emergere all’interno della società, modificato in parte le regole, i modi di pensare e i limiti della società in cui viviamo, sia che si tratti di record sportivi, sia che si tratti di film rivoluzionari.
Comunicazione Nel libro “Viaggio nelle pubblicità storiche Rolex” curato da Emma Luxardo e l’appassionato del mondo dell’orologeria Michele Babbo è sottolineato il ruolo fondamentale di Hans Wilsdorf, personaggio visionario e geniale «che curava ogni dettaglio della sua creatura, dal disegno alla progettazione, dalla creazione al merchandising». Le sue intuizioni riguardarono tanto le specifiche tecniche quanto le strategie per conquistare il mercato. Come afferma Luxardo «Una delle grandi intuizioni di Wilsdorf fu quella di strizzare l’occhio alla moda e di rivolgersi alle donne che in quegli anni stavano affacciandosi al mondo del lavoro». In una locandina del 1926 una donna, mostrando l’orologio (Rolex), fa notare a un uomo il ritardo a un appuntamento; negli stessi anni veniva offerta la possibilità di personalizzare il segnatempo con pietre preziose da incastonare sulla struttura; ancora nel 1942 accanto allo slogan «La bellezza al servizio della precisione» è raffigurato il capolavoro di Raffaello «La donna velata».
264
Altro punto di forza della strategia comunicativa era puntare sulle caratteristiche tecniche del prodotto: due su tutte, impermeabilità e resistenza. Così all’inizio degli anni Trenta nelle vetrine dei negozi compare un Rolex modello Oyster (ovvero «ostrica ») immerso in un’ampolla piena d’acqua con tanto di pesci rossi. Un efficace messaggio visivo che non aveva bisogno di parole. Ma il passo avanti più significativo avviene con l’idea di associare il marchio alle grandi imprese sportive comunicando l’immagine «di uno strumento fondamentale, pratico, capace di resistere alla condizioni atmosferiche più estreme». Mercedes Gleitze, la segretaria inglese che attraversò a nuoto la Manica, l’aviatore Owen Cathcart-Jones e il pilota e recordman Malcom Campbell sono solo alcuni degli “eroi” che indossarono un Rolex durante le loro imprese. Da sportivi e scienziati si passa a personaggi illustri, uomini d’affari e imprenditori di successo. Tra gli anni 50 e 60 nasce il claim «The value of time». Negli anni Settanta invece si cambia strategia, compaiono i dettagli sulle mani e i polsi.
Fig. 178/179 A sinistra e in alto due pubblicità storiche datate 1967
Da un lato quindi c’è il prodotto: si pone l’accento sull’affidabilità, sul design semplice, senza aggiunte inutili e dall’altra c’è lo stile di vita che si abbraccia quando si ha un Rolex al polso, quello rappresentato dai numerosi ambasciatori. Non si compra un Rolex esclusivamente per le sue eccellenti caratteristiche e il suo design, ma per sentirsi parte di un’élite, sia nel campo dello sport, della politica, della cultura o delle arti. Linee grafiche semplici, utilizzo del bianco e nero e messaggi “forti” testimoniano il ruolo dell’azienda e di chi vive con un Rolex al polso.
265
M&M’s
Perchè burlone? Questo è l’archetipo del divertimento per eccellenza. E’ un personaggio spontaneo, divertente, ma anche irriverente e tal volta irresponsabile. Se la risata è all’ordine del giorno allora non si può non associarlo al brand di dolciumi M&Ms. Attraverso le sue mascotte l’azienda ha trasformato i suoi confetti colorati in “realtà” e ha dato vita ad una narrazione ricca di leggerezza e gioia. M&M’s invita i consumatori a non prendersi troppo sul serio, a vivere nel presente punta sulla simpatia per attrarre, sedurre, divertire e infine convertire a questa filosofia di vita. Colori sgargianti e un aspetto clownesco sono ciò che caratterizza tutto l’universo del marchio, dal packaging agli stores e sembra suggerire che essere folli, non può che essere un pregio in una società con schemi troppo rigidi. Un piccolo cioccolatino si trasforma così nel perfetto compagno in una serata davanti alla tv, o nel momento di relax in una giornata di studio.
Fig. 180 Pubblicità del 1941 raffigurante il primo packaging realizzato per contenere gli M&M’s in modo che fossero comodi per i soldati in guerra
266
Cenni storici Gli M&M’s sono confetti al cioccolato prodotti dalla Mars Incorporated, azienda produttrice di numerosi grandi marchi di dolci confezionati. Sono tra gli snack più consumati al mondo e sono realizzati con una glassa esterna di diverse colorazioni caratterizzata da una lettera “m” impressa sulla superficie. L’idea dei cioccolatini M&M’s viene attribuita a Forrest Mars, figlio del fondatore dell’azienda dolciaria Mars, che negli anni ’30, durante la Guerra Civile Spagnola, vide i soldati mangiare dei confetti rivestiti di un guscio che ne evitava lo scioglimento. Mars che aveva avviato una propria attività, la Food Products Manufacturing decise di dare vita all’idea avuta in Spagna, e contattò Bruce Marrie, figlio del presidente dell’Hershey Chocolate. Dalla loro collaborazione, nel 1941, nacquero i famosi cioccolatini. Nel 1949, Murrie cedette la sua quota a Mars, che divenne così titolare unico. A causa della similarità del prodotto con gli Smarties, messi in produzione già dal 1937 da Rowntree, industria dolciaria del Regno Unito, la licenza di commercializzazione delle M&M’S fu riservata al solo mercato degli USA fino al 1954. I confetti M&M’s acquisirono fin da subito una crescente popolarità e questo diede il via ad una serie di imitazioni, tanto che l’azienda decise di contraddistinguere i propri prodotti stampando la “m”,dapprima nera e in seguito bianca, sui lati del prodotto. Nello stesso anno venne introdotta la variante M&M’s Peanut Chocolate, cioccolatini con un ripieno di arachidi. Dal 1960 in poi sono state introdotte le varie colorazioni del prodotto (rosso, giallo, verde ecc.) ma nel l’azienda fu costretta a togliere dal mercato le M&M’s di colore rosso, perché si era diffuso il sospetto che la tintura usata per produrle fosse di natura cancerogena. La sospensione durò fino al 1987 quando uno studente della University of Tennessee, lanciò insieme ad alcuni suoi colleghi una campagna per la loro reintroduzione che ebbe talmente seguito e interesse al punto di raggiungere lo scopo prefissato, e così vennero reintrodotte. Alla morte del padre, nel 1964, Mars ereditò l’azienda di famiglia e la fuse con la sua, dando inizio ad un nuovo processo di crescita, accompagnato anche dalla produzione degli M&M’s Fruit Chewies (poi trasformati in Starbust). Negli anni ’80 l’azienda acquistò riconoscimento a livello internazionale, quando i confetti vennero lanciati in Europa, Russia, Asia ed Australia. Per la promozione vennero messe in atto grosse campagne promozionali. Tra queste ricordiamo ad esempio, che furono i primi cioccolatini ad essere lanciati nello spazio, quando gli astronauti dello Space Shuttle decisero di includerli nelle riserve alimentari. In seguito, nel 1984, divennero gli snack ufficiali delle Olimpiadi. A partire dal 1998 la Mars iniziò a pubblicizzare gli M&M’s come i cioccolatini del Nuovo Millennio, approfittando del fatto che “MM” sia il numero latino che indica il numero 2000. Attualmente gli M&M’s sono disponibili in oltre 100 Paesi e si stima che ogni 8 ore vengano prodotti circa 2 miliardi di confetti negli stabilimenti Mars.
267
Logo Il logo di M&M’s rappresenta un caso particolare in quanto è stato cambiato molto poco nel corso di quasi 80 anni, è composto da una semplcie scritta che riporta le iniziali dei creatori dei confetti di cioccolato. La prima versione del logo di M&M’s viene realizzata nel 1941; essa presenta dei caratteri graziati riconducibili ad un font bodoniano. A primo impatto è un marchio molto serioso che riporta poco all’idea e all’archetipo che sta alla base della comunicazione dell’azienda, ovvero il burlone. Viene cambiato nel 1954 introducendo un carattere più scanzonato e meno rigido, può quasi ricordare i caratteri utilizzati nelle copertine degli album di musica Rock&Roll che spopolavano all’epoca. A partire dal 1971 si ritorna ad una versione più rigida del marchio introducendo però la colorazione marrone che riconduce ovviamente all’utilizzo del cioccolato nei prodotti dell’azienda.
Fig. 181 Logo attuale M&M’s
Da qui in poi i cambiamenti restano minimi nel corso degli anni, partendo da un’ombreggiatura piatta aggiunta nel 2001, passando per un’ombreggiatura vera e propria nel 2004 per poi tornare attualmente ad una versione flat e inclinata del marchio che si rifà di più ai canoni del design dell’ultimo decennio e si presta di più all’utilizzo ibrido sia su carta stampata che sui social. Inoltre non è da trascurare l’utilizzo del marchio in versione semplificata come marchio stampato sui confetti, motivo per il quale esso deve risultare il più semplice e leggibile possibile anche a piccolissime dimensioni.
Fig. 182 Locandina che mostra una serie di prodotti confezionati dalle aziende M&M’s e MARS, 1969
Packaging Le prime M&M’s erano vendute dentro tubi di cartoncino, simili a quelli utilizzati oggi per il formato mini, poiché comodi per i soldati dell’esercito durante la Guerra. I primi sacchetti invece, come quelli che si usano tutt’ora, fecero la loro comparsa nel 1948. A questi ultimi di colore marrone vennero aggiunti quelli gialli nel 1964 per distinguere i cioccolatini con l’arachide all’interno. Attualmente le confezioni hanno vari colori e formati, a seconda dei gusti e delle occasioni. Un’elemento che caratterizza la linea di prodotti è l’opportunità di poterla personalizzare. Sul sito web è possibile personalizzare gli M&M’S® con foto divertenti, modi di dire, immagini di compleanno e colori vivaci e scegliere il metodo di confezionamento che si preferisce.
268
Stores M&M’s ha aperto negli anni diversi negozi con il nome di M&M’s World in varie città, quali Las Vegas (1997), Orlando (2005), New York (2006), Londra (2011), Shangai (2014) mentre altre nuove aperture sono in programma. Gli spazi presentano caratteristiche simili tra di loro, si tratta di ambienti piuttosto ampi le cui pareti sono caratterizzate da colori accesi, che creano un’atmosfera giocosa e di festa. Offrono una vera e propria esperienza al consumatore, che può personalizzare i cioccolatini scegliendo tra una vasta gamma di colori e gusti e aggiungendo sulla glassa un messaggio o un’immagine. Nello store di New York, ad esempio, è possibile scegliere tra la Statua della Libertà, il logo dei New York Giants e molte altre. Nel negozio di Londra si trova il più grande muro di cioccolato con più di 100 dispenser di cioccolatini, mentre quello di Shanghai è dotato di un nuova funzionalità interattiva il “Mood Analyzer”, che consente ai visitatori di scannerizzare il proprio volto e creare un avatar M&M’S personalizzato da poter utilizzare sui social media. In ogni store inoltre sono presenti riproduzioni di personaggi della storia in versione M&M’s con le quali è possibile scattare fotografie e una vasta gamma di gadget come tazze, cuscini, abbigliamento ecc..
Fig. 183 Fotografie dello M&M’s store di Londra
L’idea alla base è quella di creare un’esperienza che va al di là del classico negozio di dolciumi come sottolinea il direttore delle vendite internazionali del Mars Retail Group a proposito dello store di Orlando “Guests will be fully immersed into an interactive chocolate experience that will create more moments and more smiles through the colorful fun of M&M’S”. (Tedescucci, 2019)
269
Mascottes Le mascotte nel mondo del marketing sono sempre state presenti poiché una volta nate, se ottengono il successo possono essere utilizzate per tanto tempo. Prima utilizzate in TV e poi passate sui social cambiano il modo di rapportarsi con i clienti. Hanno un rapporto diretto con i consumatori, poiché come un vero e proprio essere umano hanno una personalità e possono intrattenere, informare e addirittura scherzare con il pubblico, come nel caso dei characters di M&M’s. I “confetti animati” sono apparsi per la prima volta nelle pubblicità televisive nel 1995. Inizialmente erano due, quella rossa “Red” e quella gialla “Yellow”. A queste si sono aggiunte, in seguito, “Orange”, “Green”, “Mrs. Brown” e “Blue”. Quattro uomini e due donne con caratteristiche diverse ma ben definite. Visitando il sito dell’azienda è possibile vedere i dati relativi a ciascun personaggio, di seguito quelli di Red e Yellow: ETÀ: Sostiene di essere sui 30, ma lo stiamo verificando. GENERE: Uomo PESO: Perfetto per le dimensioni del suo guscio. AMA: Le persone che seguono ciecamente i suoi consigli. MIGLIORE QUALITÀ: Un grande cervello e un gran bel corpo (insomma, il meglio del meglio). DIFETTI: Pensa di sapere più di quello che in effetti sa. ALTRA TRATTI TIPICI: trasforma le attività più semplici in cose complicatissime. Sopracciglia favolose. “C’e’ una nocciolina in ognuno di noi.” MOTTO: “Tutto è sotto controllo” ETÀ: Sconosciuta, ma è sempre in contatto con il bambino che c’è in lui. GENERE: Uomo PESO: Più o meno nella media... per una nocciolina ricoperta di cioccolato al latte. AMA: Le belle donzelle e le cose puffose. MIGLIORE AMICO: Red, perché ha l’aria di sapere molto. DIFETTI: I buoni arrivano sempre ultimi. ASPETTO: paffutello, giallo, sempre col sorriso. MIGLIORE QUALITÀ: vede del buono in ogni cosa. “Sono un uomo morto” MOTTO: “C’e’ una nocciolina in ognuno di noi.”
270
Fig. 184/185 In alto le prime due mascottes comparse nell’universo M&M’s, Red e Yellow; in basso la serie completa di personaggi
Per far sì una mascotte venga ricordata e “leghi” con il pubblico è infatti necessario, che una volta stabiliti i tratti che la contraddistinguano, essi rimangano coerenti per tutta la durata della narrazione. Per questo motivo, ad esempio, negli spot che vedono protagonisti Red e Yellow il primo risulterà sempre più scaltro del secondo che al contrario è più timoroso e meno sicuro di sè. Questa considerazione vale sia per le loro comparse in TV nelle quali il pubblico è “muto” sia per quelle sui social, nelle quali invece sono chiamati ad interagire.
Comunicazione A partire dagli anni ’80 l’azienda mise in atto grosse campagne promozionali con l’obiettivo di ottenere notorietà a livello internazionale. Gli M&M’s furono, ad esempio, i primi cioccolatini ad essere lanciati nello spazio e diventarono gli snack ufficiali delle Olimpiadi. A partire dal 1998, approfittando delle “MM” riconducibili al numero romano 2000, vennero pubblicizzati come i cioccolatini del “Nuovo Millennio”. Negli anni seguenti venne posto l’accento sulla possibilità di personalizzare i prodotti. Nel 2004 venne realizzato “My M&M’s”, un servizio online che consentiva ai consumatori di produrre un messaggio personalizzato da stampare sui confetti e nel 2008, attraverso “FACES” era possibile riprodurre il proprio volto sui cioccolatini. Ciò che accomuna tutta la comunicazione, che si tratti di spot televisivi o di post sul profilo Instagram, è l’idea che essa debba divertire. Colori vivaci, situazioni buffe e un copy ricco di humor e ironia fanno di M&M’s un intrattenitore d’eccellenza. Ciò che accomuna tutta la comunicazione, che si tratti di spot televisivi o di post sul profilo Instagram, è l’idea che essa debba divertire. Colori vivaci, situazioni buffe e un copy ricco di humor e ironia fanno di M&M’s un intrattenitore d’eccellenza.
Fig. 186/187 Due esempi di billboard pubblicitari
271
Questo tipo di narrazione ricca di autoironia si ritrova, ad esempio, nello spot realizzato per il Super Bowl del 2018 con protagonista l’attore statunitense Danny DeVito. La sequenza inizia con Red che si lamenta con Mrs Brown per il fatto che tre persone hanno tentato di mangiarlo, in quel momento trova per terra un penny che lui stesso definisce “fortunato”, dopo averlo raccolto improvvisamente il confetto rosso si trasforma in un essere umano impersonato proprio dall’attore italo-americano. Dopo la trasformazione Red chiede a tutte le persone che incontra per strada se siano o meno interessate nel mangiarlo, chiaramente tutte gli rispondono in maniera negativa fino a quando, fermo nel mezzo della carreggiata, viene investito da un camion che lo scaraventa sulla vetrina di un negozio di alimentari. In quel momento gli si avvicina Mrs Brown che gli fa notare il fatto di aver perso per strada il suo “lucky penny” e per questo motivo è stato investito. A questo punto una schermata di colore marrone con la scritta “Always fun” sembra segnare la fine dello spot, che al contrario ricomincia subito dopo. Nell’ultima scena si può notare Red, ancora in forma umana, che si specchia nella vetrina del negozio vantandosi del suo nuovo aspetto ma Mrs Brown interviene un’altra volta facendogli notare che in realtà è ancora basso e pelato come prima della trasformazione. Fig. 188 Frame dallo spot del Super Bowl che ha per protagonista l’attore Danny DeVito, 2018
272
Fig. 189-192 Screenshots dei tweet postati sull’account ufficiale di M&M’s in occasione degli Oscar 2020
273
Disney
Perchè mago? Mistero, potenzialità, trasformazione sono i tratti principali che incarnano l’archetipo del mago, noto per essere intuitivo, carismatico e creativo. Se avere immaginazione è la chiave del successo di questo archetipo, allora non può che essere rappresentato dalla Walt Disney Company. L’azienda, grazie soprattutto al carisma del suo fondatore, è stata in grado di “regalare sogni” ad adulti e bambini. “E’ qualcosa di divertente fare l’impossibile” sosteneva il signor Disney; il mago, infatti, crede sinceramente che ci sia qualcosa di più grande di ciò che vediamo e spesso si oppone alla “realtà”, credendo che i limiti che abbiamo siano per lo più autoimposti. Walt Disney ha compiuto proprio quest’operazione, a partire da dei ritagli di giornale è stato in grado di animarli e dare il via ad una narrazione che continua tutt’ora. Non ha mai venduto solo prodotti ma ha creato veri e propri “momenti magici”, con la sua visione grandiosa è riuscito a costruire un immaginario etereo, carico di rimandi ad altre realtà.
274
Cenni storici The Walt Disney Company, comunemente conosciuta come Disney, è una multinazionale statunitense che opera nel settore della comunicazione e dell’entertainment, fondata da Walter Elias (detto ‘Walt’) Disney e suo fratello Roy nel 1923 a Los Angeles con il nome di Disney Brothers Cartoon Studio, rinominata successivamente The Walt Disney Studio (1926), Walt Disney Productions (1929) e infine chiamata col nome attuale nel 1986. La Walt Disney Company è un gruppo internazionale con sede legale a Burbank, in California, ed è suddivisa attualmente in quattro divisioni: Studio Entertainment, che include sussidiarie cinematografiche, musicali e teatrali; Parks, Experiences and Consumer Products, che gestisce i parchi a tema Disney nel mondo, la compagnia di crociere Disney Cruise Line e tutti i prodotti derivati, come giocattoli e abbigliamento; Media Networks, che include le sussidiarie del settore televisivo; Direct-to-Consumer and International, che si occupa della promozione e distribuzione dei prodotti dell’azienda e gestisce anche i servizi on demand, tra cui Hulu ed ESPN+. L’azienda era in origine uno studio di animazione che ottenne un significativo successo con una serie animata lanciata nel 1928, Mickey Mouse. Negli anni trenta e quaranta, in contemporanea all’affermazione dei propri cortometraggi di animazione, iniziò a produrre lungometraggi animati. Negli anni successivi, per differenziare il business e crescere ulteriormente, entrò nel settore del turismo, con parchi a tema, tra cui Disneyland (inaugurato nel 1955) e Walt Disney World Resort (nel 1971), dell’intrattenimento e del merchandising.
Fig. 193 Fotografia di Walt Disney intento a disegnare il personaggio di Mickey Mouse
275
Nel campo cinematografico, attraverso le controllate Disney Studios, Touchstone Pictures, Hollywood Pictures, Miramax, ha continuato, usando le più moderne tecnologie di animazione computerizzata, a realizzare lungometraggi animati. A partire dagli anni 1980 ha inoltre esteso le sue attività all’editoria e alla televisione (in particolare con il canale Disney Channel, fondato nel 1983). Sfruttando la popolarità dei suoi personaggi, dagli anni 1970 in avanti ha iniziato a progettare parchi divertimento, in America, Asia ed Europa. L’inizio degli anni ‘90 fu un periodo rinominato “Rinascimento Disney”. Il 18 luglio 1990 venne creato un nuovo studio, l’Hollywood Pictures; il primo negozio Disney al di fuori degli USA venne aperto a Londra il 1º novembre 1990 a Regent Street. A metà degli anni novanta, l’azienda si espande nuovamente sfruttando le nuove tecnologie legate a Internet (Walt Disney Internet Group) e ai videogiochi e diventa un importante gruppo media, con l’acquisto di ABC e ESPN. I primi anni 2000 sono stati caratterizzati da vari problemi finanziari con la conseguente vendita di alcune aziende controllate, ma, parallelamente, la società ha acquistato altre imprese in vari settori. Questo ha portato la Disney a diventare proprietaria dei diritti, tra gli altri, dei cataloghi Baby Einstein, Muppets, Jetix, Pixar (acquistata nel 2006) Marvel (acquisita a fine 2009) e Lucasfilm (acquistata nel mese di ottobre 2012). Nel 2011 il gruppo si registravano più di 40 miliardi di dollari di fatturato, con oltre 156.000 dipendenti. Nel dicembre 2017, l’azienda annuncia l’intenzione di acquistare la 21st Century Fox. Nel Maggio 2019, viene annunciato il controllo di Hulu, piattaforma di streaming e video on demand, attiva principalmente sul mercato USA, per una valutazione complessiva di circa 30 mld di dollari. Con tale mossa il gruppo si pone in diretta concorrenza con Netflix e Amazon Prime Video nella produzione e distribuzione di contenuti. Tale annuncio precede il lancio della piattaforma Disney+ nel Novembre 2019 negli USA e nel marzo 2020 nel resto del mondo. A discapito dell’idea che Disney sia sinonimo di intrattenimento solo per i più giovani l’azienda ha dimostrato di essere in grado in grado di coinvolgere un pubblico molto più vasto e le famiglie al completo. A testimonianza di questa affermazione si veda, ad esempio, l’acquisizione della Pixar, che ha messo il suo creatore John Lasseter al comando anche di Disney Animation; l’acquisizione di Marvel che ha esteso il raggio d’azione verso un pubblico più adolescente ed infine nel 2012 l’acquisizione dei diritti di Star Wars.
276
Fig. 194 Walt Disney con i pupazzi di Mickey Mouse, Pippo e Paperino
Walt Disney: l’Imprenditore di Sogni Walter Elias Disney è nato a Chicago nel 1901 e morto a Burbank nel 1966. Si tratta di uno dei personaggi più conosciuti a livello globale. La sua vita è contrassegnata da un’infanzia non facile e vissuta prima nel Missouri, dove cresce lavorando i campi della fattoria acquistata dal padre, e successivamente a Kansas City. Qui, insieme al fratello Roy, contribuisce a mantenere la famiglia, alzandosi a notte fonda per consegnare i giornali. Nonostante il duro lavoro, frequenta regolarmente la scuola e si diploma nel 1917 dopodiché segue poi dei corsi nell’Istituto Artistico di Chicago. L’amore per il disegno si trasforma in professione: Walt comincia a lavorare presso un’agenzia pubblicitaria di Kansas City in cui conosce il disegnatore Ubbe Ert Iwerks, che diventerà poi il suo più stretto collaboratore.A “Kansas-City Ad“, una nota società di animazione, Walt, lavorando come ritagliatore di carta, ha la geniale intuizione che avrebbe rivoluzionato il mondo del disegno: far muovere i ritagli di carta. Prende in prestito una cinepresa e inizia a fare degli esperimenti.
Fig. 195 Modellino dettagliato del parco divertimenti Disneyland
Guidato dal suo motto “Se puoi sognarlo, puoi farlo”, ha rivoluzionato il mondo del cinema, portando sugli schermi, in maniera inedita, storie vecchie e nuove che sono diventate parte integrante della nostra cultura. Per tutta la vita si è impegnato per far capire che l’animazione poteva essere usata non solo al fine di mettere in scena una favola. Ci aveva provato da subito con il suo terzo Classico Disney, Fantasia. Infatti, nonostante lo stile sia quello di disegno lo spirito e l’ambizione del progetto vanno ben al di là della storia per bambini, perché si tratta di otto segmenti animati accompagnati da altrettanti brani classici, quasi tutti eseguiti dall’Orchestra di Filadelfia, e introdotti dal critico e compositore Deems Taylor. Opera con la quale si è aggiudicato due premi onorari “Per il notevole contributo allo sviluppo dell’uso del suono nei film”. Creatività ed intraprendenza unite alla sua imprenditorialità gli hanno permesso di ottenere un successo mondiale. Il pubblico si è immedesimato nei suoi personaggi, ha accesso l’immaginazione e ha sorriso e pianto insieme a lui. Ha aperto la strada al suono sincronizzato e alla profondità; ma il suo più grande sogno era quello di progettare un luogo in cui adulti e bambini potessero divertirsi insieme. Mosso da una profonda passione per il suo lavoro, selezionò dal suo studio persone abituate a lavorare visivamente, con una fervida immaginazione ed entusiasmo e riuscì nei suoi intenti: nel 1955 ad Anaheim, nella periferia di Los Angeles, veniva inaugurato il suo primo parco divertimenti “Disneyland, dove i sogni diventano realtà”.
277
Logo
Disneyland e gli imagineers
l logo della Disney è sinonimo di divertimento ed è il simbolo dell’infanzia di molte generazioni. Racchiude tutta la magia del suo creatore e non ha subito molte variazioni del tempo.
Disneyland Park è il primo parco divertimenti aperto dalla Walt Disney Company e l’unico inaugurato in vita da Walt Disney in persona. Ubicato ad Anaheim, nella periferia di Los Angeles, è stato inaugurato nel 1955.
In principio era composto solo dalla firma di Walt Disney. Anche se, qualcuno afferma che non sia mai stata davvero la sua firma, bensì una scritta realizzata da uno dei suoi grafici di fiducia. Il logo appare per la prima volta nel 1937, in seguito subisce lievi modifiche fino al 1972 e da quel momento non viene più toccato. A partire dal 1985, invece, fa la sua comparsa il celebre castello bianco su fondo azzurro, in apertura ad ogni cartone Disney. La particolarità di questo logo è che si modifica a seconda del cartone presentato, si adatta e modifica nei colori o in alcuni dettagli. Questo tipo di trattamento denota la grande forza del brand, il quale può permettersi di “giocare” con la sua identità e reinventarsi ogni volta. In ognuna delle sue declinazioni esso ha un aspetto giocoso, ricco di immaginazione e facilmente identificabile, per questo motivo è apprezzato da bambini e adulti. Ad ogni nuova divisione corrisponde un determinato logo, che pur essendo diversi tra loro mantengono una buona continuità e uniformità rispetto al principale.
Fig. 196 Uno dei loghi attuali utilizzati dalla compagnia
278
L’obiettivo di Disney era quello di creare un posto dove genitori e figli potessero divertirsi insieme, così nacque l’idea per un piccolo parco giochi ma la sua proposta venne respinta. Per questo progetto, a tratti eccentrico, capì fin da subito che non poteva avvalersi di soli architetti così face una selezione del personale dal suo studio e creò un gruppo di lavoro composta da persone appassionate, entusiaste e con molta fantasia che ribattezzo “Imagineers”, un nome che univa immaginazione e ingegneria. Dalla loro collaborazione i suoi desideri astratti vennero trasformati in realtà. Inizialmente le persone che lo circondavano, compreso il fratello Bob erano piuttosto scettici a riguardo ma il signor Disney era in grado di convincere le persone perché lui stesso ci credeva in prima persona. Propose alla ABC di produrre una mini serie in cambio di finanziamenti per il parco e in questo modo utilizzò la televisione per farsi pubblicità: riuscì ad affascinare il pubblico mostrando il modellino di quella che sarebbe diventata la Main Street. La costruzione iniziò nel luglio del 1954. Disney promise di aprire il parco entro un anno, un impegno definito da molti all’epoca “impossibile”. I costi salirono alle stelle superando i 17 milioni di dollari e il progetto venne rinominato “Walt’s Folly” e molti prevedevano un fallimento spettacolare. Il 17 luglio 1955 l’apertura di Disneyland catturò l’attenzione di tutta la nazione e Walt Disney dava il benvenuto così:
Fig. 197 Walt Disney fotografato davanti al disegno raffigurante il progetto per Disneyland
“A tutti coloro che vengono in questo luogo felice, benvenuti! Disneyland è la vostra terra, Qui, l’età rivive i cari ricordi del passato. E qui, i giovani possono gustare le sfide e le promesse del futuro. Disneyland è dedicata agli ideali, ai sogni, e agli eventi che hanno creato l’America. Con la speranza che sia una fonte di gioia e ispirazione per tutto il mondo.” (Iwerks, 2019) La differenza dai tradizionali parchi divertimento sta nel fatto che si tratta di un’esperienza che coinvolge molti ingranaggi, tutto dev’essere accordato, ciò che vedi, ciò che senti, ciò che annusi. É più simile ad un film che ad un parco. Tutto era pensato cinematograficamente. Ne uscivi commosso, cambiato e trasformato. Nonostante il giorno dell’inaugurazione fu un disastro e vennero scritte recensioni terribili, i dipendenti definirono l’apertura “la domenica nera”, dopo soli due mesi però il parco aveva già attirato più di un milione di visitatori e Walt, sempre proiettato verso il futuro commentava così “È stato tutto una specie di prova generale, abbiamo appena cominciato. Perciò se qualcuno ha intenzione di iniziare a rilassarsi, può toglierselo dalla testa.” Oltre al parco originale, sono stati aperti altri 5 resort Disneyland nel mondo: Walt Disney World, Florida, aperto nel 1971; Tokyo Disneyland, Giappone, aperto nel 1983; Disneyland Paris, Francia, aperto nel 1992; Hong Kong Disneyland, Cina, aperto nel 2005; Shanghai Disney Resort, Cina, aperto nel 2016
279
Stores É una catena internazionale di negozi specializzati nella vendita di prodotti Disney, alcuni dei quali creati in esclusiva per la catena stessa. Nei Disney Store in Nord America i clienti possono acquistare i biglietti d’ingresso per Disneyland e Walt Disney World. In Europa possono acquistare i biglietti per Disneyland Paris. In Giappone, invece, si possono acquistare i biglietti per Tokyo Disneyland. I Disney Store sono normalmente situati in centri ed aree commerciali negli Stati Uniti, Canada, alcuni paesi europei ed in Giappone. Dopo aver visto un rapido declino del fatturato della sua catena, la Disney decise di vendere i Disney Store americani e giapponesi. Negli Stati Uniti ed in Canada i negozi sono stati quindi per alcuni anni controllati e gestiti dalla Hoop Retail Stores, una divisione della società The Children’s Place, LLC, ma qualche anno fa sono stati riacquistati da The Walt Disney Company. I Disney Store giapponesi, invece, sono controllati e gestiti dalla Oriental Land Company. I negozi europei sono da sempre sotto il controllo della Disney. All’interno è possibile scegliere tra una vastità di prodotti esclusivi, accanto ai giocattoli, vestiti e accessori d’abbigliamento, oggetti da collezione, articoli per la casa ecc. pronti all’acquisto, è presente una selezione di articoli personalizzabii, sui quali è possibile apporre il proprio nome oppure un messaggio, un augurio, una breve frase a piacere che comparirà in una zona predefinita dell’articolo. Sono progettati per far sì che una volta al loro interno il cliente sia immerso in un’atmosfera fiabesca, colori, luci e l’architettura stessa fungono da supporto alla narrazione. In alcuni di essi sono inoltre presenti delle rappresentazioni di alcuni elementi provenienti dai cartoni animati o dai film Disney. La parola chiave è interazione, lo store di Milano, ad esempio prevede anche eventi, tra cui lezioni di disegno, racconti dal vivo, quiz di cultura generale e veri e propri show. Il pannello digitale “What’s new” posto sulla vetrina frontale dello store informa delle attività in corso.
280
Fig. 198 Fotografia esterna del Disney Store di New York
281
Perchè saggio? Il Saggio è l’archetipo acuto ed intelligente, si occupa dell’apprendimento della verità, raccoglie e difende la conoscenza. Quale brand se non Google corrisponde a questa descrizione? Come dimostrerà l’analisi delle prossime pagine, cioè che ha decretato il successo del motore di ricerca è stata proprio la volontà dei due fondatori di garantire l’accesso alle informazioni al maggior numero di persone possibile. Questo archetipo non vuole ribaltare la società ma attraverso i suoi numerosi strumenti vuole rivoluzionarla per renderla un posto migliore. Per questo è possibile affermare che possiede un atteggiamento positivo nei confronti della vita e non si fa intimorire dalle sfide, anzi le trasforma in opportunità. Proprio come hanno fatto i due ex studenti della Standford University, Sergey Brin e Larry Page quando hanno fondato l’azienda che con i suoi 200000 dipendenti lavora ogni giorno “to make the world a better place.” (Dal sito web di Google)
282
Cenni storici La storia di Google ha inizio nel 1995 alla Standford University dove lo studente Sergey Brin è incaricato di mostrare la scuola alla futura matricola Larry Page. I due ragazzi l’anno successivo diedero vita ad una partnership, e nella loro stanza dello studentato svilupparono un motore di ricerca, inizialmente conosciuto come “BackRub” che sfruttava i link per determinare l’importanza delle pagine nel World Wide Web. Il loro obiettivo era quello di catalogare tutte le informazioni e renderle rapidamente accessibili al maggior numero di persone possibili. Questo sistema fu subito ribattezzato “Google”, e negli anni successivi iniziò ad attirare l’attenzione anche al di fuori dell’ambito accademico, in particolare tra gli investitori della Silicon Valley, tanto che nell’agosto del ’98 i due studenti ricevettero un assegno da 100.000 dollari che sancì la nascita di Google Inc. Dallo studentato i ragazzi si spostarono in un garage in California trasformato a sede della società. Fin dagli inizi l’azienda presenta un carattere anticonformista come dimostrano questi due aneddoti: il primo server fu realizzato con i mattoncini Lego e il primo “Doodle” raffigurava un omino stilizzato posizionato all’interno del logo per segnare che lo staff al momento non era al lavoro poiché si era recato al Festival del Burning Man. Lo spirito iniziale di Brin e Page si rispecchia perfettamente nello slogan che guida la compagnia “Don’t be evil” e nelle “Dieci verità di Google”, ovvero un elenco di promesse scritto poco dopoil 1998 e che tutt’ora rispecchia l’impegno che la compagnia ha preso nei confronti del pubblico. Questi 10 principi sono: (Google, n.d) 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.
L’utente prima di tutto: il resto viene dopo. È meglio fare una cosa sola, ma farla in modo impeccabile. Veloce è meglio di lento. La democrazia sul Web funziona. Le informazioni devono essere accessibili ovunque. È possibile guadagnare senza fare del male a nessuno Ci sono sempre più informazioni di quante si possano immaginare. La necessità di informazioni oltrepassa ogni confine. Si può essere seri anche senza giacca e cravatta. Eccellere non basta.
La società si impegna, quindi, da sempre per migliorare l’esperienza utente dedicandosi con assiduità alla ricerca di soluzioni migliori nel minor tempo possibile e a chiunque in ogni parte del mondo. Questa filosofia si rispecchia perfettamente nella mission di Google “to organize the world’s information and make it universally accessible and useful” e di conseguenza anche nella vision “to provide access to the world’s information in one click.” (Dal sito web di Google) Dopo il 1998 l’azienda iniziò ad espandersi rapidamente, e si trasferì nella sede attuale “Googleplex”. Ad oggi conta 60.000 dipendenti in 50 diversi paesi del mondo.
Fig. 199 I fondatori di Google Larry Page e Sergey Brin nel 1995
283
Logo e doodles Il nome “Google” deriva dal termine “googol” coniato dal matematico statunitense, Edward Kasner per simboleggiare un numero intero composto da uno seguito da cento zeri, cioè pari a 10 elevato a 100. Si racconta che quando Larry Page andò a registrare il marchio, si accorse di non sapere come si scrivesse “googol”, dunque azzardò una sua ipotesi. I fondatori erano alla ricerca di un’espressione in grado di simboleggiare la vastità del web. Google non è solo il sito più visitato al mondo ma è talmente popolare che a partire da questo appellativo, in diverse lingue del mondo è utilizzato non solo come sostantivo ma come verbo che indica appunto l’azione di “ricerca”, in italiano ad esempio, è utilizzato il termine googlare. Il primo logo è stato disegnato nel 1998 dallo stesso Brin aiutandosi con il software libero di fotoritocco GIMP ed è stato modificato in seguito dalla designer Ruth Kedar. Da quel momento a oggi è stato cambiato diverse volte, ma l’essenza è rimasta sempre la stessa: una scritta contraddistinta dai colori primari blu, giallo e rosso e l’aggiunta del verde che potrebbe ancora una volta rappresentare il carattere irriverente dell’azienda. Quello in uso dal 2015, che utilizza il font Product Sans, appositamente creato è molto semplice ma altrettanto riconoscibile. La vera particolarità del logo di Google però sono i doodle, ovvero le sue versioni leggermente modificate che appaiono sulla home page in occasione di festività o ricorrenze, anniversari, invenzioni o scoperte. Non si tratta solo di un cambiamento estetico poiché spesso ad ogni doodle è associato anche un mini-gioco. Essi possono essere nazionali o globali I doodle sono versioni modificate del logo che vengono visualizzate sulla home page di Google in occasione di particolari eventi e festività o ricorrenze; per esempio l’inizio della primavera, Natale, Halloween, ma anche il Giorno della Terra o anniversari di importanti personaggi, grandi scienziati o artisti come Albert Einstein e Andy Warhol, o ancora di invenzioni o scoperte scientifiche. Spesso non si tratta di un semplice cambio stilistico, e al doodle è associato anche un mini-gioco, utilizzabile dagli utenti fino al ripristino della grafica normale. In generale, il logo, come tutte gli elementi visivi dell’azienda presenta delle linee semplici, con una prevalenza del colore bianco. Questa apparente semplicità, che si riscontra anche nel design dei prodotti, testimonia la volontà di apparire trasparenti e di focalizzare l’attenzione sui servizi offerti. E’ una caratteristica che si ricollega all’archetipo del saggio, che predilige tinte unite e assenza di fronzoli per una comunicazione piuttosto “formale”.
Fig. 200 Logo attuale di Google
284
Fig. 201 Doodle del 22 aprile 2016 in onore dei 400 anni dalla morte di Shakespeare
Servizi e prodotti Elencare tutti i prodotti Google sarebbe impossibile e forse inutile ma è invece interessante citarne alcuni a dimostrazione di quanto l’azienda si sia ampliata nel corso del tempo occupandosi di discipline molto diverse tra loro sempre però nell’ottica di offrire strumenti utili a migliorare la vita delle persone. Una suddivisone interessante è proposta dall’azienda stessa che raggruppa i suoi servizi in base alle seguenti categorie: “Cerca ed esplora” all’interno del quale troviamo Maps o la funzione di Traduttore, “Guarda e Gioca” che contiene, ad esempio, YouTube, “Dispositivi” quindi telefoni, computer ecc, “Da usare ovunque” come il sistema operativo Android, “Chiama e scrivi messaggi”, “Organizza i contenuti”, “Lavora in modo più intelligente”, “Fai crescere la tua attività” (Dal sito web di Google) Come si può intuire facilmente da queste etichette l’offerta è vastissima e gli strumenti progettati sono stati pensati per aiutare le persone sul lavoro, per facilitare la comunicazione ma anche per divertire nel tempo libero. È interessante osservare che molti di questi prodotti, tra cui Google News, sono stati sviluppati individualmente o da piccoli gruppi di dipendenti di Google che possono usare il 20% del loro tempo lavorativo per occuparsi in piena libertà di progetti di loro interesse. Ancora una volta sembra emergere il carattere dei fondatori, che improntati verso il futuro, hanno trasmesso lo spirito di intraprendenza e la voglia di mettersi alla prova per progettare un mondo migliore.
285
Al di là della tecnologia: un impegno concreto “Sergey and I founded Google because we believed we could provide an important service to the world-instantly delivering relevant information on virtually any topic. Serving our end users is at the heart of what we do and remains our number one priority. Our goal is to develop services that significantly improve the lives of as many people as possible. In pursuing this goal, we may do things that we believe have a positive impact on the world, even if the near term financial returns are not obvious.” Queste parole sono contenute nella “Lettera dei fondatori per l’offerta pubblica iniziale (2004)” (Brin & Page, 2004) e attraverso di esse emergono ancora una volta i punti chiave della filosofia di Google. Avere un impatto positivo nel mondo, ha significato per l’azienda muoversi affinché il proprio operato ampli le opportunità degli individui, promuova l’inclusione, sia di aiuto in tempi di crisi ma anche, ad esempio, si occupi di sostenibilità, tutto questo con l’assoluta protezione degli utenti. Nella sezione “About” di Google vengono descritte in maniera dettagliata le numerose iniziative che hanno coinvolto e continuano a coinvolgere l’azienda ed è possibile leggere una raccolta di storie che testimoniano in che modo è stato possibile trasformare i principi divulgati in vere e proprie azioni concrete dal momento che “Il lato migliore delle tecnologie è vedere che uso ne fa il mondo.”
286
Comunicazione Google, come detto, viene associato all’archetipo del saggio e per questo motivo il messaggio che l’azienda vuole mandare è proprio quello di “figura detentrice e dispensatrice di conoscenza.” Al tempo stesso più volte si pone come strumento utile non soltanto per arricchire il proprio bagaglio culturale ma come mezzo che accorre in auto anche durante le azioni di tutti i giorni, basti pensare al servizio “Google maps”. Sembra gridare al suo pubblico “affidatevi a me e così facendo otterrete tutto ciò di cui avete bisogno”, indipendentemente dall’ambito. Di seguito ho riportato alcune campagne che grazie alle loro caratteristiche traducono da un punto di vista narrativo e di marketing i valori e le promesse di cui si è parlato fino ad ora. Fallo fare a Google È una campagna integrata del 2018 con la quale l’azienda ha pubblicizzato il suo assistente vocale, i dispositivi Home e tutte le funzionalità ad essi collegate. Si tratta in realtà di un progetto che coinvolge quattro differenti paesi: Germania, Italia, Regno Unito e Francia. Il messaggio principale è stato declinato nelle 4 lingue e per gli spot sono scelti solo personaggi famosi locali. Ciascuno di essi presentava un problema facilmente risolvibile grazie all’assistente Google. Ciascuna scenetta era fortemente contestualizzata rispetto al paese, in Italia ad esempio i cantanti Fedex e J-Ax “accendevano” lo stadio di Milano durante il loro concerto pronunciando la frase “Ok google accendi San Siro”. Brevi video, dal carattere ironico hanno permesso di veicolare un unico forte messaggio declinandolo nelle diverse culture.
Fig. 202/203 In alto billboard per la campagna Make Google do it; a destra Alessandro Borghese in un frame dalla campagna italiana
287
The Most Searched: A celebration of Black history makers Realizzato in occasione del “Black History Month” è un tributo ad alcuni momenti che hanno segnato la storia e che vedono protagonisti uomini e donne di colore. La ricerca dei trends permette a Google di capire a cosa sono interessate le persone, e quali sono stati gli avvenimenti che hanno attirato la nostra attenzione durante i secoli. Ad esempio il team di Google dopo un’analisi approfondita dei dati è stato in grado di affermare che il discorso “I have a dream” tenuto da Martin Luther King fosse lo speech più cercato negli Stati Uniti nella storia di Google Trends dal 2014 al 2019. Tra i personaggi che compaiono nel video, compaiono ad esempio Lebron James e Beyonce come “the most searched athlete” e “the most searched performance”. Ancora una volta ci viene mostrato il potere della tecnologia, qui nello specifico il potere dei dati che così presentati sono in grado di emozionare il pubblico. Loretta È una delle campagne pubblicitarie che ha riscosso maggior successo durante l’ultimo Super Bowl. Google per mostrare i suoi progressi e le enormi potenzialità dell’assistente vocale, ha raccontato la storia di un anziano, padre di uno degli impiegati della società, che grazie all’aiuto del suo assistente digitale, ripercorre alcuni momenti insieme alla moglie ormai defunta. Con una musica triste di sottofondo, l’uomo chiede a Google di mostrargli alcune immagini insieme alla moglie Loretta. Immediatamente appaiono sul telefono alcune immagini della coppia. Lo scopo della pubblicità è quello di mostrare come i prodotti smart di Google possono aiutare le persone nelle attività quotidiane di tutti i giorni. Il video non solo ha fatto commuovere milioni di persone ma si è soffermato sull’impatto sociale e sull’utilità che potrebbe avere il settore della tecnologia sulla collettività, in particolare per le persone anziane che vivono da sole. Tre punti di vista diversi ma stessi valori comunicati a testimonianza che nonostante si parli di servizi e tecnologie è possibile creare racconti in grado di emozionare, stimolare la curiosità e per certi versi continuare ad imparare giorno dopo giorno.
288
Fig. 204 Frame dallo spot realizzato per la campagna The most Searched: A celebration of Black history makers, 2019
Fig. 205 Frame dallo spot realizzato da Google per il SuperBowl 2020
289
290
Appendice B
L’INTERVISTA SEMI-STRUTTURATA
Nelle pagine successive viene riportata la trascrizione di un’intervista svolta nel mese di gennaio alla co-fondatrice di Ibrida, Francesca De Berardinis. Ibrida è una start-up nata nel 2018 al Politecnico di Milano durante un laboratorio di Sintesi Finale. All’inizio della mia ricerca la possibilità di avere questo confronto ha rappresentato un momento fondamentale per dare il via ad una serie di riflessioni che si sono concluse poi con lo sviluppo di Incipit. Ciò che è emerso durante il dialogo con Francesca è quanto sia stata decisiva per lo sviluppo del progetto la fase nella quale il team ne ha definito l’dentità, i valori e gli obiettivi da raggiungere. Il momento ha rappresentato come sostiene Francesca “una milestone fondamentale per capire come entrare in empatia con la comunità che stavamo costruendo e per essere riconoscibili sul mercato.” Queste scelte, infatti, si riflettono in tutti gli aspetti che riguardano la giovane impresa, dal pay - off “Buona come il pane”, al tono di voce utilizzato sui social fino ad arrivare alla scelta dei partner risulta evidente il filo conduttore che restituisce al pubblico un’immagine complessiva coerente e coordinata in tutte le sue parti. È stato interessante apprendere come ci siano stati due momenti differenti nei quali il gruppo si è ritrovato a riflettere su quale tipologia di start-up di birra voler essere, il primo durante il laboratorio svolto in ambito universitario quando il progetto era ancora in fase di concept e il secondo durante il periodo di incubazione. Questo sottolinea la difficoltà dell’operazione che richiede l’acquisizione di conoscenze e momenti di confronto anche tra i membri stessi del gruppo. L’ intenso percorso di crescita ha permesso di arrivare a definire Ibrida non soltanto come la birra sostenibile nata dagli scarti del pane ma come il mezzo per la creazione di una comunità, il punto di contatto tra birrifici e panetterie nei quartieri in crescita della città di Milano, ed è su questi “nuovi” valori che comincia il racconto e che derivano le strategie di marketing e comunicazione.
291
Ibrida: un’intervista Obiettivi - Analizzare alcuni dei passaggi chiave che hanno determinato la nascita e l’evolversi della start-up “Ibrida” Intervistata - Francesca De Berardinis (co-founder di Ibrida insieme a Simone Piuri, Elisa Pirola e Akanksha Gupta) Temi dell’intervista: - come e quando è nata l’idea di Ibrida - valori del progetto - obiettivi per il futuro - processo di costruzione dell’identità > Che cos’è Ibrida? > Ibrida nasce alla fine del 2018 al Politecnico di Milano, durante un laboratorio finale della Laurea magistrale in Product Service System Design. Inizialmente il gruppo di lavoro era composto da sei membri, ora siamo rimasti in 4. Fin da subito abbiamo lavorato in sinergia e ci siamo messi in gioco attraverso competenze e background diversi. I temi centrali del laboratorio erano sostenibilità e imprenditorialità. Per noi sostenibilità significa creare un impatto sul sistema ecologico, sociale e ambientale attraverso piccoli cambiamenti che noi tutti possiamo apportare alla vita quotidiana. Sostenibilità anche in risposta alla produzione, al consumo responsabile e agli sprechi alimentari, in particolare rispetto al surplus del pane, che nonostante venga preparato dalle panetterie con particolare attenzione alla qualità e alle materie prime, è ad oggi uno dei prodotti maggiormente sprecati in Italia. Ed è da queste premesse che è nata Ibrida, una birra artigianale realizzata con il pane invenduto recuperato da diverse panetterie di Milano, specialmente in territori in crescita. Infatti, secondo le statistiche, il pane invenduto in Italia raggiunge numeri consistenti – circa il 19% – e ciò ci ha fatto riflettere su come poterlo riutilizzare. Ibrida non punta a cambiare il mondo: non vogliamo combattere lo spreco alimentare, ma apportare un cambiamento concreto per restituire una “seconda vita” a questo prodotto che ha una lunga tradizione nel nostro paese. Da un concept all’altro, da una prototipazione all’altra ma anche dopo una serie di presentazioni, Ibrida si è completamente trasformata.
292
Fig. 206 Dettaglio dell’etichetta di una bottiglia Ibrida
> Quando e come è avvenuto il cambiamento? > All’inizio ci siamo dovuti mettere in prima linea. La vera svolta è avvenuta ad Aprile 2019 partecipando ad il bando “Get It” promosso da Cariplo Factory e Fondazione Social Venture nell’ambito Food and Environment, dove siamo stati selezionati tra i primi 10 progetti vincitori in un ventaglio di proposte di circa 150 progetti in tutta Italia. Questo ci ha anche aperto le porte ad un processo di incubazione con Make a Cube, incubatore con sede a Milano e una seconda fase di mentorship con l’esperto Andrea Monti. Ibrida non è una realtà che può agire da sola, in quanto ha bisogno di una fitta rete di collaboratori, dai panifici ai birrifici, ma anche produttori locali, associazioni a impatto sociale e Community Hub che hanno deciso di far crescere il proprio quartiere. Per creare questo network, Ibrida ha deciso di cominciare da aree della città di minor crescita. Per questo motivo abbiamo instaurato diverse collaborazioni con realtà esistenti sul
Fig. 207 Membri del team, da sinistra: Francesca De Berardinis,Elisa Pirola, Akanksha Gupta e Simone Piuri
293
territorio, a partire dal primo birrificio partner La Ribalta. Grazie a loro siamo passati dall’homebrewing alla produzione su larga scala, pur mantenendo un’alta qualità del prodotto. Fin dalla prima edizione di Ibrida x Bovisa, i forni e le birrerie di quartiere non soltanto hanno sviluppato relazioni durature tra loro, ma hanno anche acquisito una maggiore visibilità nel quartiere entrando a far parte di una vasta rete di collaboratori promossa da Ibrida come aggregatore sociale. Ibrida crede fortemente nell’approccio partecipativo che incoraggia diverse opportunità di coinvolgimento, come iniziative culturali, educative e sociali, con l’obiettivo di animare e attivare la comunità. Per noi è importante entrare in contatto con le persone, organizzare eventi e prendere parte alle iniziative proposte dai nostri collaboratori. Crediamo sia fondamentale entrare in empatia con la comunità che stiamo costruendo. Negli ultimi mesi abbiamo collaborato con una serie di partner, tra i quali: “Coltivando”, l’orto comunitario del Politecnico di Milano per cui abbiamo realizzato una special Edition della nostra birra, Cascina Cuccagna, una cascina concentrata su cultura e aggregazione, Plug and Play, una piattaforma di innovazione aperta, con una sede nella Sillicon Valley, Riviera uno spazio creativo per il design, Le Polveri, un forno che sta utilizzando Ibrida per la produzione di taralli, Service Design Drinks Milano, che ci ha dato la possibilità di condividere la nostra esperienza, la Repubblica del Design, un progetto di riqualificazione urbana situato in Bovisa e Forbes Italia. La condivisione degli stessi valori con i nostri partner ci consente di costruire relazioni solide volte a raggiungere gli
Fig. 208 Screenshot di 3 post pubblicati sulla pagina ufficiale Instagram di Ibrida
294
stessi obiettivi: riutilizzare il pane in eccesso, o in generale risorse in eccesso, dare vigore alle aree in crescita della città, ripensare le opportunità per le imprese locali. Ibrida, con il suo spirito imprenditoriale e attenzione sociale spera di collegare il maggior numero possibile di partner e collaboratori. > Quali sono i valori di Ibrida? > La nostra mission si può riassumere così “Ibrida è un produttore di birra che ha lo scopo di cambiare il modo in cui le persone pensano agli sprechi alimentari con una birra al pane di alta qualità.” Infatti, non vogliamo essere una delle tante birre presenti sul mercato, ma fare la differenza con un prodotto unico. La Birra viene prodotta con la massima cura e passione, dando una seconda vita al pane in eccesso preparato da alcuni dei migliori panettieri di Milano. Anche i partner sono scelti con la stessa cura con cui viene preparata la birra, affinché si possa costruire una solida rete di collaboratori che condividano gli stessi valori. I nostri obiettivi di partenza sono quindi: ridurre gli sprechi alimentari, riutilizzare il pane in eccesso e rafforzare le aree in crescita. Mentre i nostri valori sono riassunti nelle seguenti parole chiave: - Locale: Una birra di qualità da prodotti locali di qualità - Esclusiva: Una birra personalizzata per partner e quartieri - Sostenibile: Una nuova prospettiva sullo spreco alimentare - Circolare: Consapevolezza in ogni fase del processo produttivo
Fig. 209 Bottiglie realizzate in occasione della collaborazione con PAVÉ
295
> Come gestite la comunicazione? Per quanto riguarda la comunicazione, è gestita da noi in prima persona sia quella online che offline. Utilizziamo principalmente Facebook e Instagram, e nel frattempo stiamo lavorando al sito e al servizio di delivery. Una frase che utilizziamo solitamente quando raccontiamo del nostro progetto: “You only need the right beer to make a difference”. L’aspetto grafico del progetto, come ad esempio il nome e la bottiglia stessa sono di supporto a quello che vogliamo raccontare, in questo caso l’idea di località, comunità, inclusione, aggregazione.
> Quali sono gli obiettivi futuri? > Il nostro obiettivo per il futuro è quello di rafforzare la consapevolezza di quelli che sono i nostri valori e la nostra sfida è quella di lanciare una chiamata alle idee a tutte le realtà esistenti in modo da realizzare qualcosa di utile (e buono!…) per il quartiere o per la città in generale.
> Qual è stato il procedimento che ha portato alla definizione della vostra identità? > La definizione dell’identità ha rappresentato per noi una milestone fondamentale per capire come entrare in empatia con la comunità che stavamo costruendo e per essere riconoscibili sul mercato. Ci siamo spesso messi in discussione per arrivare alla definizione di un concept efficace – dal punto di vista della comunicazione visiva, del linguaggio, dello storytelling, della strategia di marketing – a partire dai bisogni dei nostri utenti. La maggior difficoltà a livello di comunicazione e branding si è presentata ad Ottobre e Novembre quando ci siamo chiesti che tipo di start-up di birra volevamo essere; fin dall’inizio il nostro obiettivo è stato quello di mandare un messaggio chiaro, in
296
cui le persone potessero riconoscersi. Non sempre è stato facile, soprattutto all’inizio, quando abbiamo dovuto confrontarci con i pregiudizi di una birra fatta “con gli sprechi”. Abbiamo poi deciso di costruire un brand che riflettesse le peculiarità e le caratteristiche di questo prodotto e per tale ragione abbiamo puntato a una comunicazione chiara, diretta e coinvolgente, accompagnata da uno stile ricordasse il mondo della panificazione, tanto semplice quanto ricco di significato. È importante mantenere una comunicazione coerente nei diversi canali, sia online che offline, calibrando i messaggi in base al pubblico a cui ci si rivolge. Il percorso di incubazione – fondamentale per una start-up – dopo la vincita del bando ha rappresentato un punto di svolta, in quanto ci ha permesso di porci delle nuove domande e di capire meglio in che direzione andare. Il fatto di aver ridefinito il concept all’interno del percorso di incubazione, in una fase in cui avevamo già fatto un vaglio di proposte e testato il prodotto è stata un’opportunità per prendere in considerazione nuove opzioni è stato utile per capire ancora meglio dove indirizzarci e quindi chiuderci in una nicchia. I tools che sono stati utilizzati ci hanno fornito un supporto iniziale per ridefinire gli obiettivi, il target, la comunicazione, i canali. Sicuramente la creazione di strumenti adeguati, specialmente per coloro che si affacciano per la prima volta a questo mondo e che non hanno competenze nell’ambito della comunicazione, del branding o del design rappresenterebbe un valore aggiunto per la definizione della marca.
Fig. 210 Esempio di immagine pubblicata sul profilo facebook di Ibrida
297
298
Appendice c
I RISULTATI DEL TEST
Di seguito vengono riportate le trascrizioni delle risposte date dai partecipanti al primo test di Incipit. svolto nella città di Milano in data 29 giugno 2020. L’esperienza è stata possibile grazie alla disponibilità dei fondatori della start-up denominata BIBO - bike and book, Federica Piergiacomi e Flavio Primo. Si tratta di un’applicazione attualmente in stato di prototipazione pensata per mettere in contatto i librai indipendenti della città di Milano e i lettori e offrire servizi ad entrambe le parti coinvolte; essa ha lo scopo, da un lato, di raccogliere e rendere disponibili i cataloghi delle librerie indipendenti e dall’altro di ridurre i tempi di consegna fornendo un servizio di delivery veloce ed ecosostenibile attraverso l’utilizzo di biciclette. Ma ciò che veramente contraddistingue questo progetto è la volontà di creare una vera e propria comunità riunita attorno al servizio di persone costituita da persone che condividono la passione per i libri.
299
Canvas n° 1 Prova Centrale
Chi sono? - Nome: Bibo, Bike Book - Località: Milano - Fondatori: Federica Piergiacomi, Flavio Primo - Breve descrizione del progetto: Bibo è un’applicazione per avvicinare librai e lettori con diversi servizi tra cui spedizioni veloci, consigli ed eventi tutto in chiave ecosostenibile. Cosa offro? - Spedizione di libri a domicilio in bicicletta - Informazioni e consigli da parte di esperti del settore editoriale - Comunità di persone con la stessa persona Qual è il mio scopo? - Avvicinare librai e lettori Mi distinguo per? - Bibo è l’unica app di ecommerce ecosostenibile che favorisce la creazione di una comunità attraverso consigli e informazioni per avvicinare librai e lettori. Canvas n° 2 Prova Centrale
Cosa dico? - “Bibo, la tua libreria in tasca” Cosa penso? - Valori: Ecosostenibilità, velocità, aiuto, semplicità, appartenenza - Obiettivi: Portare il servizio della libreria a casa del lettore, ridurre tempi di consegna ed inquinamento Canvas n° 3 Prova Centrale
Vision -Ridurre le distanza tra librai e lettori Mission - Offrire al lettore l’esperienza e i servizi di una libreria direttamente a casa in modo semplice ed ecologico, con il massimo rispetto dell’ambiente, attraverso l’utilizzo di biciclette
300
Canvas n° 4 Resurrezione
Breve descrizione fisica - Giovane uomo - Corporatura sportiva (ideale per guidare la bicicletta) - Alto per arrivare ai libri più in alto negli scaffali Personalità - Colto - Appassionato - Perspicace e attento Come mi presento? - Quando mi rivolgo agli altri ho un tono di voce allegro, spensierato e brioso ma al tempo stesso rassicurante Chi sono i miei nemici? - Amazon - Le librerie di catena - L’omologazione in generale Chi sono i miei amici? - I rivoluzionari - Gli indipendenti - I coraggiosi e appassionati Con chi mi relaziono? - I librai indipendenti - I lettori curiosi Come mi vesto? - Casual, informale - I miei colori preferiti sono il giallo e l’azzurro Fig. 208 Immagine realizzata durante il test del workshop
301
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
302
INDICE DELLE FIGURE Fig. 1 Schema della struttura della tesi che evidenzia obiettivi e strumenti utilizzati Fig. 2 Rielaborazione personale dello schema di Gill, R. (2011) Fig. 3 Rielaborazione personale dello schema di Mingione, M. (2018) Fig. 4 Rielaborazione personale dello schema di Balmer, J.M.T (1996) Basic steps in managing the corporate personality Fig. 5 Rielaborazione personale dello schema dell’Effetto Libellula di Aaker e Smith Fig. 6 Frame dallo spot Ikea Experience the power of a bookbook Fig. 7-9 Serie di immagini di una campagna Coca Cola che evocano nell’osservatore sensazioni legate a odori e suoni Fig. 10 Rielaborazione personale delle Tabelle I e II di Jonh Cronin (2016) che riassume principi e vantaggi delle narrazioni transmediali Fig. 11 Rielaborazione personale dello schema di Gill, R. (2011) Fig. 12 Rielaborazione personale dello schema degli archetipi di Mark e Pearson Fig. 13 Tom Hanks in Forrest Gump (1994) Fig. 14 Ian McKellen ne Il signore degli anelli - Il ritorno del re (2003) Fig. 15 Harrison Ford in Indiana Jones (2003) Fig. 16 Joaquin Phoenix in Joker (2019) Fig. 17 Julie Andrews in Mary Poppins (1965) Fig. 18 Mark Hamill in Guerre stellari (1977) Fig. 19 Leonardo DiCaprio in Titanic (1997) Fig. 20 Jim Carrey in Scemo & più scemo (1995) Fig. 21 Rupert Grint in Harry Potter e la camera dei segreti (2002) Fig. 22 Laura Dern in Piccole donne (2020) Fig. 23 Meryl Streep in The Post (2017) Fig. 24 Benedict Cumberbatch in The imitation game (2014) Fig. 25 Steve Jobs, John Sculley e Steve Wozniak presentano l’Apple II nel 1984 in California Fig. 26 N° di start-up in Italia suddivise per regione (I dati fanno riferimento al Report del 2019, MISE). Rielaborazione personale Fig. 27 Diffusione delle start-up in Italia (I dati fanno riferimento al Report del 2019 realizzato da MISE). Rielaborazione personale Fig. 28 Servizi offerti dagli incubatori (I dati fanno riferimento al Report del 2019 realizzato da MISE). Rielaborazione personale
303
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Fig. 29 Schema riassuntivo degli ambiti analizzati nella ricerca di mercato Fig. 30 Esempio di applicazione del nuovo logo airbnb su sfondo fotografico Fig. 31/32 Costruzione stilizzata degli elementi che costituiscono il nuovo logo denominato Bélo e Screenshot dal sito airbnb.it Fig. 33/34 In alto immagine utilizzata per raffigurare il concetto di comunità; a destra il mission statement dell’azienda Fig. 35-38 Serie di frames da Wall and Chain per la caduta del muro di Berlino (2014) Fig.39/40 Due immagini realizzate per la campagna Live There (2016) Fig. 41 Screenshot di un’immagine postata sulla pagina ufficiale Instagram Fig 42 Immagine raffigurante il logo attuale di Miscusi e l’iconico piatto di pasta Fig. 43/44 Fotografie di alcuni dettagli del locale in via Pompeo Litta Fig. 45 Fotografia dell’evento organizzato per l’inaugurazione della Miscusi farm Fig. 46/47 Due screenshot da sito miscusi.com Fig. 48 Fotografia scattata durante uno degli eventi realizzati da Miscusi durante il quale venive mostrato come impastare la pasta fresca Fig. 49 Applicazione del modello di Kapferer al brand Apple Fig. 50 Brand Story Canvas realizzato da Creative Supply Fig. 51 Brand thinking canvas realizzato da The Brandling Fig. 52 Schema personale delle tappe per la costuzione del legame marca-stakeholders Fig. 53 Rielaborazione personale della struttura del Viaggio dell’eroe Fig. 54 Fotografia di uno schema realizzato nella fase di concept Fig. 55 Rielaborazione personale dello schema di David Jaques (1995) Fig. 56 Rappresentazione del flusso temporale Fig. 57 Rappresentazione del flusso spaziale Fig. 58 Costruzione del marchio Incipit. Fig. 59/60 A sinistra definizione dei colori e degli elementi base del pattern; a destra logo e payoff su pattern Fig. 61 Mockup del kit Incipit. con relativi strumenti all’interno Fig. 62 Schema riassuntivo delle presentazioni Fig. 63 Esempio di slide utilizzata nella presentazione n°1 Fig. 64 Lista dei sostantivi Fig. 65/66 Immagini rappresentative del cerchio degli archetipi Fig. 67/68 In alto esempio di carta con relative dimensioni; a sinistra fotografia della carte stampate Fig. 69/70 A sinistra fotografia scattata durante il test; in basso mockup dei canvas
304
Fig. 71 Canvas da compilare relativo ai feedback Fig. 72/73 Due pagine estratte della guida inviata pre-workshop Fig. 74 Fotografia scattata durante il workshop Fig. 75 Fotografia scattata durante il workshop Fig. 76 Schema che relaziona gli obiettivi, le conclusioni, l’output progettuale e gli sviluppi futuri Fig. 77 Nicole Grimaudo e Giorgio Pasotti nello spot della Mulino bianco (2017) Fig. 78 Logo attuale Mulino Bianco Fig. 79 Immagine di una macina e della tazza “Coccio” Fig. 80 Frame finale con le quali si concludono gli spot della Mulino Bianco Fig. 81 Immagine pubblicitaria della campagna “Abbecedario” (1979) Fig. 82 Immagine pubblicitaria dei biscotti Molinetti Fig. 83/84 Frames dallo spot Riscopriti genuino, realizzato dalla collaborazione con l’agenzia McCann-Erickson (2004) Fig. 85/86 Antonio Banderas interpreta il mugnaio negli spot realizzati in collaborazione con Luca Guadagnino (2012) Fig. 87/89 Schede di presentazione dei nuovi protagonisti degli spot Mulino Bianco; Frame da uno spot del (2017) Fig. 90 Ricostruzione del mulino originario per “Tour del Mulino Bianco” a Bari (2018) Fig. 91 Screenshot dal sito ufficiale di Mulino Bianco mulinobianco.it Fig. 92/93 Screenshot di due immagini presenti sulla pagina Instagram Mulinobianco Fig. 94 Immagine della campagna Dream Crazier, Wieden+Kennedy per Nike (2019) Fig. 95 Bill Bowerman, allenatore e co-fondatore di Nike in un’immagine dell’epoca Fig. 96/97 A sinistra attuale logo di Nike; in alto logo della Blue Ribbon Sport (1967) Fig. 98 Walt Stock corre sul Golden Gate di San Francisco per lo spot Just Do it Fig. 99/100 Serie di frames dallo spot Just Do it! che ha per protagonista Walt Stock Fig. 101 Fotografia dello store di Shangai denominato Nike House of Innovation (2018) Fig. 102 Michael Jordan fotografato con un paio di Nike Air Jordan, 1985 Fig. 103 Cristiano Ronaldo mentre indica lo swoosh Nike Fig. 104 Locandina pubblicitaria per la linea Windrunner (1986) Fig. 105 Frame dallo spot Find your greatness (2012) Fig. 106 Colin Kaepernick per la campagna Dream creazier (2019) Fig. 107 Ingvar Kamprad fondatore di Ikea, fotografato davanti ad uno dei suoi store Fig. 108 Logo attuale Ikea Fig. 109 Primo negozio ikea, Stoccolma (1965)
305
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Fig. 110 Persone in attesa di entrare il giorno dell’apertura del primo punto vendita (1965) Fig. 111 Immagine pubblicitaria di una cucina firmata Ikea Fig. 112 Serie di pacchi di diverse dimensioni e formati per il trasporto di prodotti Fig. 113/114 Copertine dei cataloghi Ikea del 1983 e 1998 Fig. 115 Esempio di pagine interne di un catalogo Ikea Fig. 116/117 In alto locandina della campagna Ikea che celebra la famiglia “non tradizionale”; A sinistra immagine realizzata in occasione della giornata contro il cyberbullismo Fig. 118 Accostamento di due immagini per confrontare il salotto della serie tv Friends con la ricostruzione di Ikea Fig. 119 Esempio di utilizzo dell’App IKEA Place Fig. 120/121 Locandine degli anni ‘60 che pubblicizzano la nuova saponetta Dove Fig. 122 Logo attuale Dove Fig. 123 Immagine dal sito di Dove sezione Progetto autostima Fig. 124 Immagine della campagna Real life. Real beauty (2004) Fig. 125 Screenshot di un post pubblicato da Dove sulla pagina instagram ufficiale Fig. 126 Logo attuale Lego Fig. 127/128 In alto dettaglio tecnico del sistema di incastro dei mattoncini; a sinistra insieme di personaggi di gioco Fig. 129 Fotografia dell’ingresso del parco divertimento Legoland di New York Fig. 130 Locandina del videogioco The Lego movie Fig. 131/132 In alto campagna Imagine di Jung Von Matt, 2012; in basso campagna Build the future di Ogilvy Fig. 133/134 A destra immagine della campagna Create; in basso serie di locandine storiche Fig. 135 Elemento di gioco della serie Rebuild the world Fig. 136 Immagine dal sito The North Face Fig. 137 Logo attuale The North Face Fig. 138 Fotografia del fondatore Douglas Tompkins Fig. 139/140 In alto pop-up store realizzato per l’evento The pinnacle project (2018); a sinistra uomo che monta una tenda durante il The North face mountain project (2018) Fig. 141 Campagna della collezione realizzata da The North Face in collaborazione con Supreme (2019) Fig. 142 L’arrampicatore e alpinista Alex Honnold si prepara per scalare il muro alle sue spalle (2017) Fig. 143 Immagine della campagna Never Stop Exploring Fig. 144/145 In alto l’alpinista Ashima Shiraishi per la campagna She Moves Mountain (2018); seconda immagine realizzata da Simon Derviller per The North Face UK
306
Fig. 146/148 Serie di screenshot di post pubblicati sulla pagina Instagram ufficiale Fig. 149 Steve Jobs e Steve Wozniak nel garage dei genitori di Jobs (1975) Fig. 150 Dettaglio di un Apple II plus, secondo modello della serie Apple II (1979) Fig. 151 Logo attuale Apple Fig. 152/153 A sinistra Apple store di New York nella Fifth Avenue; in basso Apple store di Milano in Piazza Liberty Fig. 154 Immagine raffigurante una serie di prodotti, in ordine: Apple watch, Iphone e MacBook Pro Fig. 155 Frame dello spot 1984 diretto da Ridley Scott Fig. 156-159 Serie di immagini realizzate per la campagna Think Different (1997); i personaggi in ordine sono: Maria Callas, Salvador Dalì e Muhammad Alì Fig. 160/161 Immagine realizzata in occasione del lancio dell’iMac (1984) Fig. 162 Frames dallo spot Perspective (2014) Fig. 163/164 Immagine realizzata per promuovere il nuovo gusto “dulce de leche” Fig. 165 Logo attuale Häagen-Dazs Fig. 166 In alto immagine raffigurante il nuovo aspetto dei barattoli di gelato; a destra dettaglio dei pattern realizzati per il restyling del 2017 Fig. 167/168 Esempio di immagine utilizzata a scopo pubblicitario Fig. 170 L’attore Bradley Cooper e la modella Jana Perez protagonisti di un spot del 2013 Fig. 171 Screenshot di un contenuto sulla pagina Facebook ufficiale Fig. 172/173 Screenshot di due immagini postate sulla pagina Instagram ufficiale Fig. 174 Hans Wilsdorf fondatore del marchio Rolex (1942) Fig. 175 Logo attuale Rolex Fig. 176 Esempio di esposizione tipica in un rivenditore Rolex Fig. 177 Il regista Martin Scorsese ritratto mentre indossa un orologio firmato Rolex Fig. 178/179 A sinistra e in alto due pubblicità storiche (1967) Fig. 180 Pubblicità raffigurante il primo packaging realizzato per contenere gli M&M’s in modo che fossero comodi da trasportare per i soldati in guerra (1941) Fig. 181 Logo attuale M&M’s Fig. 182 Locandina che mostra una serie di prodotti confezionati dalle aziende M&M’s e MARS (1969) Fig. 183 Fotografie dello M&M’s store di Londra Fig. 184/185 In alto le prime due mascottes comparse nell’universo M&M’s, Red e Yellow; in basso la serie completa di personaggi Fig. 186/187 Due esempi di billboard pubblicitari Fig. 188 Frame dal Super Bowl che ha per protagonista l’attore Danny DeVito (2018)
307
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Fig. 189-192 Screenshots dei tweet postati sull’account ufficiale di M&M’s in occasione degli Oscar (2020) Fig. 193 Fotografia di Walt Disney intento a disegnare il personaggio di Mickey Mouse Fig. 194 Walt Disney con i pupazzi di Mickey Mouse, Pippo e Paperino Fig. 195 Modellino dettagliato del parco divertimenti Disneyland Fig. 196 Uno dei loghi utilizzati dalla compagnia Fig. 197 Walt Disney fotografato davanti al disegno del progetto per Disneyland Fig. 198 Fotografia esterna del Disney Store di New York Fig. 199 I fondatori di Google Larry Page e Sergey Brin (1995) Fig. 200 Logo attuale di Google Fig. 201 Doodle del 22 aprile 2016 in onore dei 400 anni dalla morte di Shakespeare Fig. 202/203 In alto billboard realizzato per la campagna Make Google do it; a destra Alessandro Borghese in un frame dallo spot italiano per la stessa campagna Fig. 204 Frame dallo spot realizzato per la campagna The most Searched: A celebration of Black history makers (2019) Fig. 205 Frame dallo spot realizzato da Google per il SuperBowl (2020) Fig. 206 Dettaglio dell’etichetta di una bottiglia Ibrida Fig. 207 Membri del team, da sinistra: Francesca De Berardinis,Elisa Pirola, Akanksha Gupta e Simone Piuri Fig. 208 Screenshot di 3 post pubblicati sulla pagina ufficiale Instagram di Ibrida Fig. 209 Bottiglie realizzate in occasione della collaborazione con PAVÉ Fig. 210 Esempio di immagine pubblicata sul profilo facebook di Ibrida Fig. 211 Immagine realizzata durante il test del workshop
308
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
310
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA Aaker, J. (1997). Dimensions of Brand Personality. Journal of Marketing Research, 34(3), 347-356. doi:10.2307/3151897 Aaker, J. & Smith, A. (2011). The Dragonfly Effect, Stanford Social Innovation Review Agustoni, M. (2019). LEGO, la seconda vita (e un nuovo film) dei mattoncini cult. https:// tg24.sky.it/spettacolo/cinema/2019/01/16/lego-storia-rinascita Allen, F. (2011). The Religion of Apple. Forbes. https://www.forbes.com/sites/ frederickallen/2011/03/28/the-religion-of-apple/ Apple. (2014, 9 settembre). Apple - Perspective [Video]. YouTube. https://www.youtube. com/watch?v=TJ1SDXbij8Y&t=1s Arcudi, S. (2011). Steve Jobs e il suo enigmatico motto: ‘Stay hungry, stay foolish’. Il Sole 24 ore. http://america24.com/news/steve-jobs-il-suo-enigmatico-motto-stay-hungrystay-foolish Balmer, J.M.T. (2001). Corporate identity, corporate branding and corporate marketing. Seeing through the fog”, European Journal of Marketing, Vol. 35 No. 3/4, pp. 248291. https://doi.org/10.1108/03090560110694763 Balmer, J.M.T. & Greyser, S.A. (2006). Corporate marketing: Integrating corporate identity, corporate branding, corporate communications, corporate image and corporate reputation. European Journal of Marketing, Vol. 40 No. 7/8, pp. 730-741. https://doi. org/10.1108/03090560610669964 Balmer, J.M.T & Van Riel, C.B.M (1997)Corporate identity: the concept, its measurement and management, European Journal of Marketing, Volume 31, Numbers 5-6, 1997, pp. 340-355(16) https://doi.org/10.1108/eb060635 Barthes, R. (1966). Introduction à l’analyse structurale des récits. https://edisciplinas. usp.br/pluginfile.php/1015070/mod_resource/content/1/comm_0588-8018_1966_ num_8_1_1113-analyse%20structurale.pdf Bassani, M. & Sbalchiero, S. (2007). Brand design. Costruire la personalità di marca vincente. Alinea Editrice. Berardi, F. (2017). C’era una volta il brand, la pubblicità nell’era dello storytelling, l’arte di raccontare la corporate identity [Tesi di Laurea Magistrale, LUISS Guido Carli]. http:// tesi.luiss.it/19689/1/677571_BERARDI_FRANCESCA.pdf Blank, S. (2010). What’s A Start-up? First Principles. https://steveblank.com/2010/01/25/ whats-a-start-up-first-principles/ Bria, G. (2018). A Milano un nuovo Apple Store di nuova generazione. Lo firma Norman Foster. Artribune. https://www.artribune.com/progettazione/architettura/2018/07/amilano-un-nuovo-apple-store-di-nuova-generazione-lo-firma-norman-foster/ Brin, S. & Page, L. (2004). Founders’ IPO Letter https://abc.xyz/investor/founders-letters/2004-ipo-letter/
311
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Buchetti, V. (1994). Barilla: cento anni di pubblicità e comunicazione. In Ganapini, A. & Gonizzi, G. (Cur.), Un’immagine globale. (pp. 317-322). Silvana Cerri, S. (2018). Il potere del brand. Graphic design tra identità e comunicazione. Hoepli. Ciancia, M. (2017). Transmedia design framework. Un approccio design-oriented alla transmedia practice. FrancoAngeli. Contributori di Wikipedia. (n.d.). Archetipo. In Wikipedia. https://it.wikipedia.org/wiki/ Archetipo Contributori di Wikipedia. (n.d.). Swoosh. (n.d.). In Wikipedia. https://en.wikipedia.org/ wiki/Swoosh Cornelissen, J. (2017). Corporate Communication: A Guide to Theory and Practice Corporate Communication https://doi.org/10.1002/9781405186407.wbiecc143.pub2 Corporate Identity Group’s (ICIG) (1997). Corporate identity:the concept, its measurement and management. In Balmer, J.M.T & Van Riel, C.B.M (Cur.), The International Corporate Identity Group’s (ICIG) statement on corporate identity. (p. 355) Cosenza, G. (2018). Semiotica e comunicazione politica. Laterza. Cronin, J. (2016). Teach students to communicate a brand story with transmedia storytelling. Journal of Research in Interactive Marketing, 10(2), 86-101. D’Amico, B. (2016). Perché Lego è intramontabile? https://www.wired.it/economia/ business/2016/03/03/lego-economia/ De Martino, F. (2018). Cos’è una start-up? Definizione e caratteristiche. https://itscampus.com/blog/start-up/ Dettaglihomedecor (2017) Gruppo C14 per la nuova apertura MISCUSI a Milano. https:// www.dettaglihomedecor.com/gruppo-c14-per-la-nuova-apertura-miscusi-a-milano/ Di Noia, A. (2018). Start-up innovative, quali sono i requisiti per diventarlo. https://startupitalia.eu/88732-20180410-start-up-innovativa-identikit Enciclopedia Treccani. (2008). Prosumer. In Enciclopedia Treccani http://www.treccani.it/enciclopedia/prosumer_%28Enciclopedia-della-Scienza-edella-Tecnica%29/ Fiore, S. (2018). Storytelling e arredamento: il case study Ikea https://blog.yourtarget.ch/ storytelling-arredamento-case-study-ikea Fontana, A (2016). Storytelling d’impresa: La guida definitiva. Hoepli Fontana, A., Sassoon, J. & Soranzo, R. (2015). Marketing narrativo. Usare lo storytelling nel marketing contemporaneo. FrancoAngeli. Gallo, C. (2009). Essere Steve Jobs: La gente non sa come dirlo, lui si. Sperling Paperback Garziano, M. (2015). La comunicazione aziendale nell’era dello storytelling: la narratologia come nuovo strumento di management [Tesi di Laurea Magistrale, Università Ca’ Foscari Venezia.] http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/7647/846072-1187154. pdf;sequence=2 Google (n.d). Le dieci verità di Google. https://www.google.com/about/philosophy.html
312
Gottschall, J. (2018). L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani. Bollati Boringhieri. Graham, P. (2012). Start-up = Growth http://www.paulgraham.com/growth.html Guerrieri, R. (2019). Gelati, sui social vince Algida. I dati di Blogmeter. https://www. engage.it/ricerche/gelati-sui-social-vince-algida-la-classifica-di-blogmeter/195229 Guidone, S., Porrone, R. & Carrer, F. (1994) Barilla: cento anni di pubblicità e comunicazione. In Ganapini, A. & Gonizzi, G. (Cur.), La comunicazione di Mulino Bianco. (pp. 300-305). Silvana Handley, L. (2020). Lego is the world’s most reputable company as tech giants lag, survey says. CBCN. https://www.cnbc.com/2020/03/03/lego-is-the-worlds-most-reputablecompany-disney-follows.html Hillman, J. (2015). Re-visione della psicologia. AdelphieBook Hitti, N. (2019). IKEA’s iconic blue and yellow logo made “future proof” in subtle redesign by Seventy Agency. https://www.dezeen.com/2019/04/25/ikea-logo-redesign-seventyagency/ Hühn, P., Pier, J., Schmid, W. & Schönert, J. (2014). Handbook of Narratology. (Vol. 1). De Gruyter. IkeaITALIA. (2019, 6 agosto). IKEA CATALOGO 2020 [Video]. YouTube. https://www. youtube.com/watch?time_continue=21&v=SajSIgRbnig&feature=emb_logo Isidore, C. (2015). How Nike became king of endorsements. CNN Business https://money. cnn.com/2015/06/05/news/companies/nike-endorsement-dollars/index.html Iwerks, L. (2019). Dietro le quinte dei Parchi Disney: The Imagineering Story [Video] DisneyPlus. Jacques, D. (1995). Progettare e condurre workshop. Oxford Brookes University Jenkins, H. (2007). Transmedia Storytelling 101 http://henryjenkins.org/blog/2007/03/ transmedia_storytelling_101.html Jung, C. G. (1980). Gli archetipi dell’inconscio collettivo. Boringhieri. (Originariamente pubblicato nel 1934) Kapferer, J. (2008). The New Strategic Brand Management: Creating and Sustaining Brand Equity Long Term. Kogan Page Publishers Kaplan, A.M. and Haenlein, M. (2012). Social media: back to the roots and back to the future. Journal of Systems and Information Technology, Vol. 14 No. 2, pp. 101-104. https://doi.org/10.1108/13287261211232126 Lando, D. (1994) Barilla: cento anni di pubblicità e comunicazione. In Ganapini, A. & Gonizzi, G. (Cur.), Una campagna a quattro mani. (pp. 288-291). Silvana Maestri, G. (1994) Barilla: cento anni di pubblicità e comunicazione. In Ganapini, A. & Gonizzi, G. (Cur.), Com’è cominciata l’avventura di Mulino Bianco. (pp. 283-287). Silvana Mark M., Pearson C. (2001). The Hero and the Outlaw: Building Extraordinary Brands Through the Power of Archetypes. McGraw-Hill Education - Europe Matrone, M., & Pinardi, D. (2013). Narrativa d’impresa. Per essere ed essere visti. Franco Angeli.
313
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
Mattonito (2019). Il Gruppo LEGO Lancia la Campagna Rebuild The World. https://www. mattonito.com/blog/il-gruppo-lego-lancia-la-campagna-rebuild-the-world Mauri, C. (2004) Innovazione nel retailing nei prodotti per la casa. FrancoAngeli Maynard, N. (2016). The Dove Effect: Ogilvy on Positioning. https://medium.com/ogilvyon-digital-advertising/the-dove-effect-ogilvy-on-positioning-4a88f68c48bc Meggiato, A. (2001). Business Incubators - Riflessioni sull’esperienza americana [Tesi di Laurea Magistrale, Università Ca’ Foscari Venezia.] Ministero dello Sviluppo Economico, Unioncamere & Infocamere (2019). Report con dati strutturali. Start-up innovative https://www.mise.gov.it/images/stories/ documenti/4_trimestre_2019-rep-start-up-stats.pdf Moingeon, B. & Ramanantsoa, B. (1997). Understanding corporate identity: the French school of thought. European Journal of Marketing, Vol. 31 No. 5/6, pp. 383-395. https:// doi.org/10.1108/eb060638 Nelli, R. (2012). Corporate reputation: valore per l’impresa, garanzie per il consumatore http://www.consumatoridirittimercato.it/diritti-e-giustizia/corporate-reputationvalore-per-limpresa-garanzie-per-il-consumatore/ Norlyk, B., Lundholt, M & Hansen, K (2013). Corporate storytelling. The living handbook of narratology http://www.lhn.uni-hamburg.de/node/97.html Nutrito, C. (n.d.). Il nuovo marketing si chiama societing. Media Key. https://www. mediakey.tv/media-key/il-nuovo-marketing-si-chiama-societing Pastore, A. & Vernuccio, M. (2008). Impresa e comunicazione. Principi e strumenti per il management. Apogeo Education. Pesce, M. (2017). Come funziona LEGO Life, il social network dedicato ai più giovani. https://www.wired.it/internet/social-network/2017/06/30/come-funziona-lego-life/ Pinardi, R. (2016). Il ciclo di vita della start-up. http://vz19.it/il-ciclo-di-vita-della-startup/ Piva, F. (2016) Lì dove nascono i mobili di Ikea. https://www.wired.it/lifestyle/ design/2016/09/30/dove-nascono-i-mobili-ikea/ Ries, E. (2010). What is a start-up? http://www.start-uplessonslearned.com/2010/06/ what-is-start-up.html Rossi, G. L. (1994) Barilla: cento anni di pubblicità e comunicazione. In Ganapini, A. & Gonizzi, G. (Cur.), Giallo come il cioccolato: piccola storia di grandi scelte. (pp. 292-294). Silvana Salmon, C. (2008). Storytelling. La fabbrica delle storie. Fazi Smith, L. (2001). Not the Same Old Story. Los Angeles Times. https://www.latimes.com/archives/la-xpm-2001-nov-11-cl-2758-story.html Sannino, G. (2018) Lego, storia del mattoncino più famoso al mondo (nato dalle fiamme). https://mgmtmagazine.com/lego-storia-del-mattoncino-piu-famoso-al-mondo-natodalle-fiamme-4575859/ Siraj, S. & Kumari, S. (2011). Archetyping the brand: strategy to connect. The IUP Journal of Brand Management, Vol. 8 No. 3, pp. 47-59
314
Solzi, M. L. (1994) Barilla: cento anni di pubblicità e comunicazione. In Ganapini, A. & Gonizzi, G. (Cur.), Chi ha inventato Mulino Bianco. (pp. 295-296). Silvana Sofri, L. (2011) Il disumano Steve Jobs. L’arroganza e l’insensibilità sono i tratti principali del suo carattere raccontati nella biografia uscita in tutto il mondo. Il Post. https://www. ilpost.it/2011/10/25/il-disumano-steve-jobs/ Spink, H., J. (2003). What is your story? And who is your brand? World Advertising Research Center http://www.livingbrands.co.uk/Assests/Articles/ Brand%20Archetyping%20(Admap%20article%202).pdf Spink, H., J. & Levy, M., M. (2002). Using Archetypes to Build Stronger Brands. World Advertising Research Center https://www.warc.com/fulltext/admap/76945.htm Tedescucci, F. (2019) M&M’s, la storia dei cioccolatini più famosi al mondo. https://www. startingfinance.com/approfondimenti/mms-storia/ Tran, M.A., Nguyen, B., Melewar, T.C. and Bodoh, J. (2015). Exploring the corporate image formation process. Qualitative Market Research, Vol. 18 No. 1, pp. 86-114. https:// doi.org/10.1108/QMR-05-2014-0046 Van Riel, C. & Fombrun C (2006). Essentials of Corporate Communication: Implementing Practices for Effective Reputation Management. Routledge Ventrella, F. (2018). La storia di Nike: come nasce un brand di successo https://www. gqitalia.it/moda/trend/2018/01/25/come-nasce-un-brand-di-successo-la-storia-dinike Walter, E. & Gioglio, J. (2014). The Power Of Visual Storytelling. McGraw Hill Professional. Wilson, B, Westberg, K & Callaghan, B (2009). Visual representation of brand personality dimensions. Proceedings of the 8th International Conference on Research in Advertising, Klagenfurt, Austria, 25-27 June, 2009, pp. 1-12. 1000logos (n.d.). Ikea Logo https://1000logos.net/ikea-logo/
315
INCIPIT. Il progetto dell’identità e del posizionamento di una start-up in ottica narrativa.
316
RINGRAZIAMENTI Esattamente tre anni dopo la prima volta mi trovo a dover fare i conti con questa sezione della tesi, per certi versi la più temuta, ed esattamente come tre anni fa la paura di dimenticare qualcuno mi ha spinta ad annotarmi su un foglio tutte le persone che in un modo o nell’altro hanno lasciato il segno in questa esperienza (e non solo) per evitare di dimenticarne qualcuna. Per prima cosa vorrei ringraziare la mia relatrice Mariana Ciancia, che nonostante le revisioni “atipiche” dovute a questa particolare situazione, mi ha accompagnata, guidata e supportata, dimostrando che non è sempre necessaria la presenza fisica. Un enorme grazie va alla mia famiglia e in particolare, non me ne vogliano gli altri, alla mia mamma alla quale dedico questa tesi. Il mio punto fisso, la mia ancora, la persona che crede in me anche quando io stessa non sono in grado di farlo. Alle nostre telefonate infinite di questi sei anni, alle parole forti con le quali nascondi la tua sensibilità che purtroppo o per fortuna ho ereditato. Alla tua capacità di esserci anche se in un punta di piedi, mai troppo e mai troppo poco. Un grazie generale va a tutte le persone che ho incontrato al Politecnico, che hanno alleggerito questo percorso di studi anche solo con una pausa alle macchinette, uno spritz alla Rossa e un “ Saretta a che piano sei? passo a salutare”. Grazie, quindi, ai miei Luca preferiti, a Bea, Giulia, Vero, Fil, Gaia, Meri, Giorgio, Sara, Maria e tutti gli altri. Un grazie a due amiche speciali che hanno fisicamente condiviso con me la laurea precedente e che hanno continuato ad esserci anche in questa: a Camilla, una delle prime persone che ho conosciuto a Milano e che non ho più lasciato. Grazie per il tuo essere semplicemente Camilla, per rimproverarmi e scuotermi quando ne ho bisogno, per emozionarti (nel tuo modo speciale) delle mie revisioni andate bene, per avermi fatto conoscere ormai 6 anni fa i Die Antwoord e infiniti altri mondi musicali a me sconosciuti, per consigliarmi film troppo impegnativi, per avermi prestato L’isola di Arturo che ho ricominciato 10 volte, per essere venuta a trovarmi fino in Portogallo. ad Arianna, alla quale ho pensato costantemente durante la scrittura di questa tesi ricordandomi delle nottate insieme e della felicità condivisa 3 anni fa; alle nostre telefonate iniziate con un “ti chiamo per un saluto” e durate ore. Ad una dolce e splendida designer con la quale spero di collaborare in futuro. Un grazie alle mie amiche “di casa” e alle amicizie che intraprendono percorsi diversi, si trasformano ma alla fine in un modo o nell’altro durano da 20 anni;
317
Un grazie gigante alle mie amiche “del liceo”: Silvia, Anna, Greta, Christine e Ilaria, forse non lo sapete ma con voi mi sento sempre al sicuro e nel posto giusto. Così diverse, siete parte integrante della mia vita da quella lontana 1E, mi fate ridere e e mi ricordate costantemente di non perdere quella leggerezza che avevamo a 18 anni. Al mio “team” (finalmente è giunto anche il mio momento) senza il quale starei probabilmente ancora capendo come si paga la tassa di laurea: ad Erica e al nostro modo di (non) condividere esperienze profonde, a te che mi capisci senza troppe spiegazioni e al nostro supporto reciproco, sappi che sei una donna forte e indipendente e io sarò qui per ripetertelo ogni volta che te lo dimenticherai; ad Alessia (e niente sto già sorridendo) al tuo essere entusiasta, rumorosa, viva. La tua luce e la tua passione si riflettono in tutto quello che fai e quello che sei. Te l’ho già detto ma voglio ripetermi, tu sei stata in questi mesi il mio esempio e mi hai dimostrato che quando c’è la forza di volontà si può raggiungere qualsiasi obiettivo (salvo mal funzionamenti del portale del poli che non ti fa caricare la tesi); a Camilla, alle nostre colazioni, ai viaggi, ai girasoli, alle confidenze, ai traguardi, alle parole pronunciate, inviate, scritte su ogni tipo di pezzo di carta, alla felicità che racchiudono i nostri gesti spontanei, al nostro modo di prenderci cura l’una dell’altra; tu con il tuo esserci sei la definizione di amore (in senso lato) corrisposto. Grazie all’ultima persona entrata nella mia vita e che ha visto nascere questa tesi fin da quando era solamente un insieme di parole confuse su una lavagna in un monolocale di 25 mq; tu hai avuto la fortuna (e che fortuna) di condividere con me uno stage, una tesi, un’inifinità di colloqui, una quarantena passata in un’unica stanza tra torte salate improvvisate, biscotti non riusciti e almeno una pizza alla settimana. Se dovessi descriverti con una parola direi “divano” e la cosa bella è che so per certo che tu sorrideresti e mi daresti ragione ma, viste le circostanze, ho pensato ad un’alternativa: “equilibrio”, tu che sei l’opposto di me, con i tuoi modi di fare, la tua visione della vita bianca o nera hai levigato i miei angoli più acuti a suon di “ridi un pò”.
To my best friend Gustavo, who is phisically far from me but emotionally the closest one; I thank you for being with me from the beginning of this journey! I shared with you so many adventures and emotions that It’s impossible to describe what I’m feeling using “just” words. You made me the best version of my self with your simplicity, enthusiasm, creativity, intelligence and true friendship. Now, my biggest desire is to meet you asap. E infine l’ultimo ringraziamento va alla seconda persona alla quale dedico questa tesi, alla mia persona, Clara. Tu che ci sei sempre stata, dai 5 ai 25 anni (ricordati che io voglio festeggiare, non la scampi) e con la quale ho condiviso diplomi, lauree, sbucciature sulle ginocchia e varicella. Tu che non ti reputi mai all’altezza, mai abbasta e che invece sei con me ogni volta che mi perdo.
318
319