10 minute read
Il Rito Sacrificale
Capitolo 4
IL RITO SACRIFICALE
Advertisement
LA CERIMONIA DI ASSEGNAZIONE del Nome (Namakaranam) al Principe diede grande gioia ai sudditi dello Stato, ai residenti del palazzo e ai membri della famiglia reale, ma Yudhishthira, il maggiore dei fratelli Pandava, pensava che si dovesse fare qualcosa di più perché non era completamente soddisfatto della gioiosa cerimonia appena svoltasi. La sera stessa convocò in assemblea tutti gli anziani, i dotti, i Pandit, i vassalli e i capi della comunità.
Pregò poi il Signore Krishna di presiedere l’assemblea per conferire così gioia a tutti. Vi parteciparono anche i saggi Vyasa e Kripa.
Entrando nella sala, Yudhishthira rimase immobile in silenzio per alcuni secondi prima di prostrarsi ai piedi del Signore Krishna e del Saggio Vyasa. Quindi, rivolgendosi ai governatori, ai dotti e ai capi, disse: “Sono riuscito a sconfiggere i nemici grazie al vostro aiuto, alla vostra collaborazione e al vostro incoraggiamento, oltre che alle benedizioni del Signore, che è qui presente, e dei saggi e santi che Lo hanno collocato nel loro cuore. Per mezzo di questa vittoria abbiamo riconquistato il regno che avevamo perduto.
Inoltre, attraverso tali benedizioni, la luce della speranza che la nostra dinastia possa continuare si è riaccesa nei nostri cuori. La dinastia dei Pandava continuerà con il principe a cui oggi il Signore ha dato il nome di Parikshit.
Sebbene tutto ciò mi dia immensa gioia, devo dirvi che sono sopraffatto dal dolore se osservo la scena da un’altra prospettiva.
Uccidendo parenti e amici ho commesso innumerevoli peccati e sento di dover espiare questa colpa, altrimenti non potrà esserci felicità per me, per la mia dinastia e per il mio popolo. Pertanto, desidero cogliere questa opportunità per chiedervi consiglio su tale questione. Molti di voi hanno conosciuto la Realtà e conseguito la conoscenza dell’Assoluto (Brahma Jnana); anche il grande Saggio Vyasa è qui presente. Gradirei quindi che mi suggeriste un rito di espiazione, attraverso il quale io possa liberarmi dell’enorme quantità di peccati che ho accumulato come risultato di questa guerra.”
Dopo che Yudhishthira ebbe terminato di esporre il suo problema con grande umiltà e contrizione, il Signore Krishna disse: “Yudhishthira, tu sei noto come Dharmaraja (re del Dharma) e quindi dovresti conoscere il Dharma (rettitudine). Tu conosci la complessità del Dharma, della moralità, della giustizia e della retta condotta, perciò sono sorpreso che ti senta afflitto dal dolore per questa guerra e questa vittoria. Non sai che uno Kshatriya (guerriero) non commette peccato se uccide un nemico armato, sceso sul campo di battaglia per uccidere? Qualunque ferita, dolore o perdita inflitta a nemici armati durante la lotta sul campo di battaglia è esente da peccato. È Dharma di uno Kshatriya impugnare la spada e combattere sino alla fine, incurante della propria sorte, con l’unico intento di salvare il suo Paese. Hai semplicemente osservato il tuo Dharma. Come può un’azione (Karma) in linea col Dharma essere peccaminosa? Non è corretto dubitare di ciò e lasciare spazio alla disperazione. Il peccato non può toccarti, circondarti o preoccuparti. Perché, invece di esultare per la cerimonia dell’imposizione
del nome al piccolo principe, fantastichi su calamità immaginarie e cerchi di rimediare a peccati che non hai commesso? Sta’ tranquillo e sii felice.”
A quel punto, anche il Saggio Vyasa si alzò dal suo seggio e si rivolse al re dicendogli: “In guerra le azioni peccaminose e riprovevoli sono inevitabili; esse non dovrebbero essere motivo di afflizione. L’obiettivo primario della battaglia dovrebbe essere la protezione del Dharma dai suoi nemici. Se questo è l’intento con cui si combatte, i combattenti sono esenti da peccato. Una ferita infetta deve essere incisa col coltello, il cui uso in chirurgia non è peccaminoso. Un medico che, conoscendo la chirurgia, non la utilizza per salvare il malato, incorre nel peccato. Similmente, se un guerriero (Kshatriya) sa che il nemico è ingiusto, crudele, violento e vizioso e rimane impassibile perché è riluttante a usare la spada, incorre nel peccato. Dharmaraja, tu parli sotto effetto dell’illusione. Posso comprendere se altri meno saggi di te siano afflitti da questi dubbi, ma mi chiedo come tu possa essere tormentato da questa paura del peccato.
Ciononostante, se neppure le nostre parole ti convincono, ci sarebbe un altro rimedio per eliminare del tutto la paura. In passato, alcuni re vi ricorsero al termine di una guerra per cancellare gli effetti del peccato. È il rito dell’Aswamedha, il Sacrificio del Cavallo. Se lo desideri, puoi tranquillamente celebrare questo rito come cerimonia espiatoria. Ma, credimi, tu sei comunque innocente. Ti ho dato questo suggerimento soltanto perché vedo che la tua fede vacilla.” Detto ciò, Vyasa tornò al suo seggio.
Tutti gli anziani, i dotti e i governanti si alzarono come un sol uomo e accolsero il prezioso suggerimento di Vyasa con un applauso e dimostrarono il loro apprezzamento gridando: “Jai! Jai!” (Evviva! Evviva!). Si sentivano esclamazioni come: “Oh! È proprio di buon auspicio”, “È davvero significativo!” Lo sforzo da parte di Dharmaraja di liberarsi dalle conseguenze peccaminose della guerra era stato molto apprezzato. Tuttavia, Dharmaraja era ancora afflitto e timoroso, e i suoi occhi erano bagnati di lacrime.
Si rivolse allora all’assemblea invocandone la compassione: “Per quanto voi affermiate la mia innocenza, io non ne sono convinto. Per qualche ragione la mia mente non accetta il vostro ragionamento. I governanti che si sono purificati per mezzo del Sacrificio del Cavallo avevano preso parte a guerre ordinarie. I miei peccati sono tre volte peggiori dei loro, poiché: 1. ho ucciso parenti e amici; 2. ho ucciso anziani venerabili come Bhisma e Drona; 3. ho ucciso molti uomini di stirpe reale.
Ahimé, che destino! Che azioni mostruose sono state le mie!
Nessun altro regnante può aver commesso così tante iniquità. Dovrei celebrare non uno, ma tre Aswamedha Yajna per espiare tutti i miei peccati. Solo allora avrò pace e la mia dinastia sarà felice e protetta. Solo allora sarà opportuno e meritevole amministrare il mio regno. Prego Vyasa e gli altri anziani e i saggi di accettare queste condizioni.”
Mentre parlava, le lacrime rigavano le guance di Yudhishthira, le sue labbra tremavano per il dispiacere e il suo corpo era piegato dal rimorso. Nel vedere questo, il cuore di tutti i saggi fu mosso a pietà. I sudditi provarono compassione e persino Vyasa e Vaasudeva si commossero. Molti Pandit versarono lacrime senza neppure accorgersene: l’assemblea era attonita. Tutti compresero all’istante quanto fosse tenero il cuore di Dharmaraja. Anche i suoi fratelli, Bhima, Arjuna, Nakula e Sahadeva, stavano in piedi a mani giunte in umile reverenza, aspettando che il Signore, che presiedeva l’assemblea, pronunciasse parole di conforto.
Poi venne approvato all’unanimità il triplice Aswamedha Yajna per dare sollievo all’angoscia di Dharmaraja. Uno dei saggi espresse il parere dell’intera assemblea dicendo: “Non ostacoleremo il tuo desiderio; lo accettiamo incondizionatamente. Celebreremo gli Yajna attenendoci rigorosamente alle indicazioni delle Sacre Scritture (Sastra) sino ai riti finali, poiché desideriamo la tua pace mentale più di ogni altra cosa. Siamo pronti a fare di tutto per darti soddisfazione.” Tale dichiarazione fu acclamata da tutta l’assemblea.
In risposta a quanto udito, Dharmaraja esclamò: “Sono davvero fortunato! Sono davvero fortunato!” e ringraziò calorosamente per la collaborazione promessagli. Si diresse poi verso Krishna e Vyasa e si prostrò ai loro piedi. Stringendo i piedi di Krishna, lo implorò con queste parole: “O Madhusudana! Hai ascoltato la mia preghiera? Hai assistito al mio dolore? Ti prego di concedermi l’onore della Tua divina presenza al prossimo Yajna in modo da assicurarmene i frutti, liberandomi dal peso del peccato.”
Krishna sorrise, lo fece rialzare e gli disse: “Dharmaraja! Sicuramente ascolterò la tua preghiera, ma ti sei caricato sulle spalle il peso di una catena montuosa. Questo Yajna non è cosa da poco e inoltre il celebrante è il famoso re Dharmaraja! Ciò implica che sia celebrato in modo adeguato al tuo rango e io so che tu non possiedi i mezzi per un’iniziativa così costosa. I re ricavano denaro solo dai loro sudditi e spremerli per finanziare uno Yajna non è certo desiderabile. Per simili riti sacri bisogna utilizzare solo denaro guadagnato in modo onesto, altrimenti ne deriverà un danno invece che un beneficio. Neppure i tuoi vassalli possono venirti in aiuto, poiché anch’essi sono stati tremendamente impoveriti dalla recente guerra. È evidente che essi non hanno risorse. Consapevole di tutto questo, come hai potuto pensare di celebrare tre Yajna di seguito? Mi chiedo dove tu possa trovare tanta audacia, nonostante le condizioni avverse. Per giunta, lo hai già annunciato pubblicamente in questa vasta e illustre assemblea. Avresti dovuto parlarmene prima; almeno avremmo potuto escogitare qualche soluzione. Comunque, non è troppo tardi. Prenderemo una decisione dopo un’ulteriore discussione. Non importa se ciò causerà qualche ritardo.” Dharmaraja ascoltò le parole del Signore e poi rise di cuore. “Signore, Tu stai recitando una commedia con me, lo so. Non ho mai preso una sola decisione senza prima discuterne, né mi sono mai preoccupato del denaro o dei mezzi di sostentamento. Dal momento che abbiamo Te come nostro guardiano e la Tua inesauribile Grazia, perché mai dovrei preoccuparmi di qualcosa? Avendo nel mio giardino il Kalpataru (l’albero dei desideri) perché dovrei preoccuparmi di andare a cercare radici e tuberi? Il Signore onnipotente, che in tutti questi terribili anni ci ha protetto come le palpebre proteggono gli occhi, non ci abbandonerà in un simile frangente.
Per Te che puoi spazzare via un’enorme montagna come se fosse polvere, questo sassolino non rappresenta certo un problema. Tu sei il mio Tesoro e il mio Tesoriere. Sei il mio stesso respiro. Qualunque cosa Tu possa dire, io non esiterò. Tutta la mia forza e la mia ricchezza, sei Tu, Tu soltanto. Pongo ai Tuoi Piedi tutti i miei fardelli, incluso quello di governare lo Stato e il nuovo onere dei tre Yajna. Puoi fare ciò che vuoi: puoi sostenere le mie parole o ignorarle e annullare gli Yajna. Non me ne importa: io sarò felice in ogni caso, qualsiasi cosa Tu faccia. È la Tua Volontà, non la mia.”
Ovviamente non serve rivolgere una preghiera speciale al Signore che risiede nel cuore. Egli si intenerì, aiutò Dharmaraja a rialzarsi e disse. “No, ho scherzato per mettere
alla prova la tua fede e la tua devozione. Volevo dimostrare ai tuoi sudditi quanto è forte la tua fede in Me. Non devi preoccuparti di nulla; il tuo desiderio sarà esaudito. Se seguirai le Mie istruzioni potrai procurarti facilmente il denaro necessario a celebrare gli Yajna senza assillare i vassalli e spremere i sudditi.”
Dharmaraja gioì a queste parole e disse: “Signore, onoreremo i Tuoi comandi.” Allora Krishna rispose: “Ascolta: in tempi passati, un re di nome Maruth celebrò uno Yajna che nessuno finora è stato in grado di eguagliare. La sala in cui si celebrò lo Yajna e ogni oggetto utilizzato erano d’oro. Ai sacerdoti officianti furono donati lingotti d’oro e furono offerte immagini di mucche d’oro invece di mucche vere, nonché piatti d’oro al posto dei terreni! I Brahmini (sacerdoti officianti), non potendo portare a casa tutti quei doni, presero solo ciò che riuscirono a sollevare e trasportare, gettando via il resto. Quei pezzi d’oro sono ora disponibili in grande quantità per i tuoi Yajna: puoi quindi andare a prenderli.”
Dharmaraja aveva dei dubbi a riguardo e disse: “Signore, tali oggetti sono di proprietà di coloro ai quali furono donati; come posso usarli senza il loro permesso?” Krishna rispose: “Li hanno gettati via pienamente consapevoli di ciò che stavano facendo e di ciò che stavano buttando. Oggi non sono più vivi e i loro discendenti non sanno nulla dell’esistenza di questo tesoro. Ora il tesoro è sottoterra. Ricorda che tutti i tesori sepolti che non hanno un padrone appartengono a colui che regna sulla terra in cui si trovano. Se il re vuole prenderne possesso, nessuno ha il diritto di obiettare. Affrettati a recuperare quel tesoro e inizia i preparativi per gli Yajna.” Così ordinò il Signore Krishna.
Comprendete la Mia Realtà
Le persone possono essere molto vicine (fisicamente) all’Avatar (Incarnazione Divina), ma vivono la vita inconsapevoli della loro fortuna. Esse esagerano il ruolo dei miracoli, che sono banali se paragonati alla Mia gloria e maestà, come irrilevante è una zanzara per grandezza e forza rispetto all’elefante su cui si posa. Pertanto, quando parlate di questi “miracoli”, dentro di Me rido per pietà, dato che permettete così facilmente a voi stessi di perdere la preziosa consapevolezza della Mia Realtà. Il Mio potere è incommensurabile. La Mia Verità è inspiegabile, insondabile. Sto annunciando questo di Me perché ne è sorta la necessità, ma quello che sto facendo ora è solo il dono di un “biglietto da visita”! Lasciate che vi dica che le solenni dichiarazioni della Verità da parte degli Avatar furono fatte in modo così chiaro e inconfondibile solo da Krishna. Nonostante ciò che dichiarava, noterete nella vita dello Stesso Krishna che, in alcune occasioni, Egli fu sconfitto nei Suoi sforzi e tentativi. Dovete però anche notare che quelle sconfitte facevano parte della recita che aveva pianificato e che Egli Stesso aveva diretto.
– Bhagavan Sri Sathya Sai Baba