Nuzzo Barba in Santa Maria dell’Isola

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Collana: “gli ori di Conversano n. 4”

Nuzzo Barba

in Santa Maria dell’Isola

Francesco Saverio Iatta


Due delle più neglette cenerentole della nostra storia dell’arte (la statuaria pugliese e quindi la produzione plastica del Mezzogiorno e, per ciò, essenzialmente le sue bellezze artistiche che se non semi misconosciute sono quanto meno, purtroppo, sol in parte convenientemente valorizzate) si prendono la più meritata, storica rivincita più il tempo passa e più quindi gli storici ne colgono il loro singolare rilievo. Un rilievo che è al contempo ricco di polivalenti significati oltre che storici pur anche socio-culturali. Questa sorta di piccolo miracolo laico lo si deve ad una mirata, miriade di ineludibili ricerche e per ciò di più che puntuali, quindi ineludibili contributi che hanno avuto quale loro specifico intento lo studio e quindi la comprensione del rilievo che hanno i manufatti plastici artistici pugliesi del rinascimento che il tempo e l’incuria umana non sono riusciti a distruggere. L’aver quindi riesaminato con rinnovato vigore storico-critico, anche, la stagione della statuaria pugliese rinascimentale, ha portato i suoi non affatto modesti frutti e in questa generale (ma non


affatto generalizzata) riconsiderazione della negletta statuaria pugliese rinascimentale ha trovato una sua peculiare, quanto significativa collocazione e/o ri-collocazione, tra gli scultori del Rinascimento pugliese, anche Nuzzo Barba. E se ne giovato, in particolare, proprio il Nuzzo degli interventi effettuati, su commissione degli Acquaviva d’Aragona, nella chiesa e nel convento di Santa Maria dell’Isola: un complesso che è considerato una delle più emblematiche fabbriche dell’architettura francescana pugliese tra ‘400 e ‘500. La produzione artistica di Barba, tornata ripetutamente sotto la lente d’ingrandimento dei più noti specialisti della produzione plastica pugliese è ora, quindi, apprezzata per le sue non affatto modeste peculiarità. Le indagini cui prima ci siamo feriti ci offrono, infatti, della produzione di Nuzzo Barba una nuova e quindi ben più articolata contezza (basti pensare agli studi che, a più riprese, vi ha dedicato C. Gelao) che non è, per ciò, stata affatto dettata da una transitoria moda. Ma da una rivisitazio-


ne, ponderata e documentata, della produzione plastica di Nuzzo che oggi vien, per ciò, considerata un patrimonio culturale che non può solo essere ritenuto il mero documento di una stagione culturale pugliese quanto, anche, uno tra i più interessanti risultati della statuaria pugliese rinascimentale. Infatti Nuzzo è il primo scultore ad imporsi, lui pugliese, proprio in Puglia e quindi proprio in grazia della piena consapevolezza dei suoi mezzi e, infine, non certo unicamente per il numero di opere sopravissute (per nostra fortuna) al logorio del tempo. Dati che sommati, gli uni agli altri (senza provinciale spocchia) fanno di Nuzzo Barba uno dei protagonisti del non affatto modesto panorama della scultura pugliese commissionata, in specie dall’aristocrazia feudale pugliese, tra il ‘400 e il ‘500. Una scultura che (se per invenzione ed elaborazione stilistica non si può certo porre sullo stesso piano della contemporanea rilevante produzione toscana, veneta, lombarda romana, napoletana e siciliana) va, comunque, analizzata (e non di


meno apprezzata) sia per la sua importanza intrinseca quanto, poi anche (se non sopra tutto), perché se ne deve saper cogliere la fruttuosa rete di rapporti culturali di cui sono la sintesi e che permisero, per l’appunto, di legare gli ‘statuari’ pugliesi ai più fertili e stimolanti centri di produzione scultorea nazionali ed esteri. Nuzzo Barba (come è noto) giunge a Conversano, già preceduto da una non modesta fama. Vi è presumibilmente chiamato, infatti, dagli Acquaviva d’Aragona. E opera al servizio del casato eseguendo, per lo più, sculture a soggetto eroico o celebrativo. Dapprima opera su commissione di Giulio Antonio I Acquaviva d’Aragona e, dopo la morte di questi, del figlio Andrea Matteo. E in Santa Maria dell’Isola, su committenza di Giulio Antonio, scolpisce un’edicola (sulla quale compare lo stemma di G.A. Acquaviva d’Aragona), di gusto donatelliano, nella quale mette in rilievo il suo particolare talento per un ornato ricco e fastoso. L’edicola, infatti, accoglieva (purtroppo) una preziosa icona lignea trecentesca raffigurante la Vergine (cioè Santa Maria dell’Isola) che dà il ti-


tolo alla chiesa. Una icona da alcuni decenni malauguratamente “emigrata” a Napoli (non si sa bene con quale benestare!) in una collezione privata. Poi Nuzzo realizza, sempre per la chiesa di Santa Maria dell’Isola, un piccolo pulpito semicilindrico (reca sulla fronte lo scudo araldico di A.M. Acquaviva d’Aragona, sorretto da angeli, inquartato con quello della prima moglie Isabella Todeschini Piccolomini, morta nel 1505) che segna una tappa ulteriore dell’inserimento di Nuzzo Barba nella ‘koinè’ culturale adriatica.



Nuzzo Barba, inoltre, sempre ancora in Santa Maria dell’Isola, affronta, su committenza della corte degli Acquaviva d’Aragona, la sua prova più impegnativa (e che si deve considerare l’espressione più alta della sua maturità artistica ed è, infatti, indicata come la ‘summa’ dell’attività di Nuzzo): il mausoleo di Giulio Antonio Acquaviva e Caterina del Balzo Orsini. Mausoleo funebre che è una delle opere (realizzata in pietra colorata) tra le più note del Rinascimento pugliese. Ed è, infatti, anche al ‘mausoleo’ se la chiesa di Santa Maria dell’Isola deve gran parte della sua notorietà fuori di Conversano.



Il mausoleo, infatti, è la più complessa opera di Nuzzo Barba e dimostra come il Barba abbia raggiunto una maturità che gli deriva dalla diretta conoscenza della parte più significativa della grande scultura adriatica del suo tempo. Circostanza che permette, per l’appunto, alla sensibilità di Nuzzo di far convivere, ma con spirito tutto nuovo e quindi peculiarmente suo, il classicismo con il fasto della mera decorazione. Altra singolare peculiarità, ampiamente riconosciuta a Nuzzo, è quella d’essere l’unico scultore pugliese che tratta, pressoché unicamente, temi di gusto umanistico. E in proposito vengono correttamente citati ‘Il sepolcro di Petruccio Bove’, nella chiesa di san Domenico a Bitonto e quindi lo stesso mausoleo eretto in onore di Giulio Antonio Acquaviva d’Aragona e di Caterina Orsini del Balzo’. La predilezione per statua-ritratto, tipica del migliore Barba, ne fa poi uno tra i maggiori protagonisti della scultura rinascimentale pugliese. Non per nulla sono del Barba (e erano correttamente ammirate sino alla fine dell’800) le due


statue inginocchiate di Giulio Antonio Acquaviva e della consorte Caterina del Balzo Orsini ch’erano poste al piedi della grande pala d’altare della chiesa matrice di Noci (di cui ce ne è tutt’ora rimasta traccia grazie ad una riproduzione nel Litta, vedi: P. Litta, “Famiglie celebri italiane”, Napoli 1847, vol. IV, Famiglia Orsini). E, sempre nella chiesa di S. Maria dell’Isola, le due statue, anch’esse inginocchiate, di Caterina della Ratta e di Andrea Matteo II Acquaviva d’Aragona. Insomma, al rilievo che è stato riconosciuto alla scultura del Rinascimento in Puglia, contribuisce, in maniera non del tutto affatto modesta, anche l’operosità dello “statuario” Nuzzo Barba di San Pietro di Galatina (LE) del quale, nella nostra chiesa di Santa Maria dell’Isola, custodiamo (spesso non tenendole nel dovuto conto) le sue più riuscite realizzazioni plastiche. Nota bibliografica Il posto di non modesto rilievo che spetta a Nuccio Barba, nella statuaria del Rinascimento di Puglia, lo si può rilevare dai contributi, meno re-


cente e più recenti, che gli sono stati dedicati e che di seguito si riportano: A. Castellano, Il testamento di Andrea Matteo Acquaviva e l’attività dello scultore Nuzzo Barba, estratto da La rassegna Pugliese, a. VII, 1972, nn.1-3, pp.2-4 (n.b.: il testamento di A. M. Acquaviva, conservato in copia autentica nell’Archivio Caetani di Roma, è pubblicato integralmente da M. Bevilacqua in La costruzione di una ‘ città ideale’ del Rinascimento, Napoli 2002, pp.152-161); A. Castellano, Civiltà del Rinascimento in Puglia, Nuzzo Barba, in Studi bitontini, 1975, nn.16-17, pp. 22-43, nuova edizione Palo del Colle 1976; G. Lorenzo, L’attività artistica dello scultore galatinese Nuzzo Barba, in Sallentum, 1979, n. 3, pp.107- 136; Id., I bassorilievi della loggia di palazzo Vulpiano a Bitonto, in Itinerari, I, 1979, pp. 81- 87; I. La Selva, La chiesa e il monastero di Santa Maria dell’Isola. Storia dell’apparato pittorico, scultoreo e decorativo in C. Gelao - I. La Selva, La chiesa e il monastero di santa Maria dell’Isola a Conversano, Conversano 1983, pp. 35-103, scheda n. 19, pp. 86-88; C. Gelao, Per una storia dell’arte a Ba-


ri nel ‘400 e ‘500 in I segni della storia: le carte, le pietre, le cose. II. Itinerari per Bari rinascimentale, a cura di C. Gelao, Bari 1984, pp. 12 – 20; Id., L’attività di Nuzzo Barba a Conversano e le influenze veneto-dalmate della scultura pugliese del Rinascimento, in Saggi e memorie di Storia dell’Arte, 16, Firenze, 1988, pp. 12-17; Id., Ancora su Nuzzo Barba a Conversano. Ipotesi sulla sua formazione, in Storia e cultura in Terra di Bari. Studi e Ricerche, n. 2, Galatina 1987, pp. 27 – 42; Id., Ancora su Nuzzo Barba a Conversano e le influenze veneto-dalmate nelle scultura pugliesi del Rinascimento, in Urbs Galatina, a cura dell’Amministrazione di Galatina, n. u., Congedo, Galatina 1992, pp. 149 – 186; Id., Monumenti funerari pugliesi cinquecenteschi legati alla committenza Acquaviva d’Aragona, in Territorio e feudalità nel Mezzogiorno rinascimentale. Il ruolo degli Acquaviva tra XV e XVI secolo, Atti del Convegno (Conversano-Atri) a cura di C. Lavarra, t. II, Congedo, Galatina 1996, pp. 303-348 (n. b: contiene la bibliografia più aggiornata del mausoleo funerario dedicato a G. Acquaviva d’Aragona e


C. del Balzo Orsini); F. Vona, Il restauro dei manufatti lapidei nella chiesa di Santa Maria dell’Isola in Conversano, in Territorio e feudalità nel Mezzogiorno rinascimentale. Il ruolo degli Acquaviva tra XV e XVI secolo, Atti del Convegno (Conversano-Atri) a cura di C. Lavarra, t. II, Congedo, Galatina 1996, pp. 371 – 392; C. Gelao, Nuzzo Barba, in Scultura del Rinascimento in Puglia, a c. di C. Gelao, Edipuglia, Bari, 2004, pp. 21 – 24 e F. Vona, La policromia nella scultura pugliese del Rinascimento. Esempi e problemi, in Scultura del Rinascimento in Puglia a c. di C. Gelao, Edipuglia, Bari 2004, pp. 187-193 e C. Gelao, La chiesa e il convento di S.M. dell’Isola a Conversano in Rinascimento pugliese, collana ‘Patrimonio artistico italiano’, Jaca Book, Milano 2005, pp.46-59. Riteniamo abbia un non affatto modesto valore, proprio per apprezzare appieno, la produzione sino a noi giunta del Barba, un contributo di recente pubblicato da Fabrizio Vona (cfr., F. Vona La policromia nella scultura pugliese del Rinascimento. Esempi e problemi, in Scultura del Rinascimento in Puglia, Edipuglia, Bari


2004, pp.187-194). Il Vona, dopo aver rilevato che le pesanti ridipinture delle sculture pugliese del Rinascimento hanno spesso appesantito un modellato che, comunque, nasceva semplificato. Un percorso questo che ha interessato, con esiti davvero notevoli, anche le sculture di Nuzzo Barba. Uno scultore pugliese che così si può considerare sia stato forse a bottega di un veneto. O che dalla scultura veneta del suo tempo abbia subito un influsso che poi ha saputo originalmente far suo. Vona così conforta un’ipotesi già formulata (ma che era frutto d’indagini meramente storiche di Clara Gelao) con una documentata serie di dati tecnici desunti da esami chimici, da osservazioni empiriche e da analisi spettrofometriche. Vona prima precisa che -grazie ad una serie di puliture effettuate, in modo corretto, durante i restauri di diversi monumenti medievali e moderni (gli arconi della Basilica di San Marco, le sculture del Battistero di Parma, ecc) - si sono potute recuperare tracce del colore e delle dorature originali. E che si credevano scomparse. O mai esistite. Che nuovi strumenti d’indagine (analisi chimiche


spettrofometriche) hanno contribuito a determinare il tipo di tecniche e dei componenti adoperati per la preparazione di pigmenti, leganti e vernici protettive. Dati questi che permettono di analizzare in più favorevole luce le superfici dipinte, ad esempio le sculture dipinte pugliesi. Poi sottolinea come sino a pochi anni fa le sculture pugliesi del Rinascimento erano illeggibili a causa di molte ridipinture che coprivano le pellicole precedenti. Questo impediva la possibilità di giudicare il valore formale della policromia in sé. Ma anche la sua interazione con la scultura. E quindi l’apprezzamento critico della qualità puramente plastica delle sculture policrome. Questi limiti interpretativi sono stati, sino a poco tempo fa, anche un ostacolo per la “lettura” delle sculture policrome pugliesi del Rinascimento, perché le finezze del modellato erano nascoste da strati di ridipinture spessi anche alcuni millimetri. Altre volte lo stesso giudizio era compromesso dalle ingiurie del tempo che avevano fatto svanire del tutto la policromia originaria. Il lavoro dello scultore, nel caso delle sculture policrome, era esegui-


to -nella sua fase iniziale- piuttosto sommariamente. Questo in previsione di una successiva definizione estetica. E quest’ultima si realizzava solo in un secondo tempo: con la preparazione della scultura e, quindi, la sua colorazione e/o doratura. Tanti che si può ipotizzare che ben due fossero gli operatori che portavano a termine una scultura policroma: uno scultore e quindi un pittore. Una siffatta divisione del lavoro è attestata in ambito veneziano agli inizi del XV sec. Un esempio di scultura policroma pugliese, di epoca rinascimentale, è documentata nel pulpito eseguito da Nuzzo Barba (notizie 1484-1524) per la chiesa di Santa Maria dell’Isola in Conversano. Le tuniche dei due geni che sorreggono lo stemma della casata Acquaviva d’Aragona sono decorate con fasce colorate in rosso (minio o bolo) steso come preparazione di una doratura, ora perduta, lungo i bordi inferiori. Probabilmente il classicismo di Nuzzo era notevolmente più intenso di quanto immaginiamo. E poi si spingeva in territori ben meno provinciali di quanto siamo portati a credere.


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