il logo riproduce un’opera del pittore Nojano M° Vittorio Laudadio
2010 - Tutti i diritti sono riservati all’autore In copertina: La pietra inferriata. Lastricato d’ingresso della Chiesa della Madonna della Lama.
Il vento gelido dei Balcani attraversava il mare nel mese di ottobre del 1815. Si infilava al tramonto nelle piccole case dei pescatori di Torre Pelosa, saliva per i campi pietrosi del barone e per i tratturi deserti di lama Giotta. L’acqua scrosciava incessante formando pozzanghere e rigagnoli. In lontananza le mura di un paese, Noja: campanili, il vecchio palazzo del Duca, la piazza del mercato con qualche deposito ancora aperto: balle di cotone, pelli della Dalmazia, anisi, sardelle di Ragusa… I contadini, rintanati nelle casupole, si scaldavano al braciere pensando al cattivo raccolto: poche mandorle, annata magra per le olive, niente carrube per i cavalli. Nella cantina del vecchio castello, tra vino novello e fichi secchi stagionati, un pescatore della Pelosa raccontava di uno sciabecco che aveva sbarcato un carico di pelli e di stoffe dal Levante…. Il vento gelido dei Balcani portava anche i brividi della febbre estuante…
Chiuso in tipografia nel mese di dicembre 2010 _______________ Testi scelti e commentati da Vito Didonna Stampa: Grafica 2P s.n.c. (NoicĂ ttaro)
Introduzione
Q
uando nel mese di novembre del 1815 incominciò a diffondersi nel Regno di Napoli la notizia di un attacco di peste in Puglia, e precisamente nella città di Noja, al governo del regno era da poco ritornato Ferdinando IV di Borbone. Per meglio capire il comportamento delle autorità politiche e scientifiche dell’epoca di fronte a questo raccapricciante evento, oggi a distanza di tanti anni e in un clima di più serena obiettività, si può affermare che il Re Borbone intervenne in modo decisivo per la soluzione ottimale del problema, anche se certa pseudo storia risorgimentale ha sempre fatto credere ai nojani il contrario. Ferdinando IV, detto il Re Lazzarone, aveva molto a cuore il suo regno. Infatti brevemente possiamo ricordare come nei primi anni del suo mandato, si sia prodigato per favorire la cultura e l’economia, portando il Regno di Napoli al pari dei più ricchi reami d’Europa. Nel 1778 aveva trasferito nel Palazzo Reale la fabbrica di arazzi napoletani, nel 1779 fondò la manifattura di S. Leucio, vicino a Caserta. E negli stessi anni aveva attivato a Castellammare di Stabia quel famoso cantiere navale che il ministro Tremonti oggi vuol chiudere. E sono da ricordare anche gli scavi per recuperare Pompei ed Ercolano. Napoli, diventata capitale culturale ed economica dell’Italia, con 400 mila abitanti era la città più popolosa ma anche più bella della penisola. Allora quando la notizia dell’epidemia raggiunse la corte, il Re immediatamente attivò una serie di misure, consigliato anche dal suo illuminato ministro Luigi Medici, inviando una commissione sanitaria, facendo Ferdinando IV di Borbone, Re di Napoli.
intervenire l’esercito, recintando la città di Noja per bloccare il contagio, isolando l’intera regione per salvare il suo regno. Oggi si può dire che questa politica, nel passato giudicata dagli storici repressiva ed ingiusta per la nostra città, sia stata molto lungimirante perché grazie alle rigide misure di profilassi e di prevenzione, Noja fu salvata dalla completa distruzione: alla fine del contagio si contarono quasi 800 morti su una popolazione di 5000 abitanti. Onerosa fu la spesa per l’erario statale borbonico: oltre 12 milioni di ducati ! E così per meglio intendere i tragici fatti di quell’evento accaduto circa duecento anni fa, nelle pagine seguenti ho trascritto brani tratti dai libri di scrittori considerati importanti per la storia della peste di Noja: il dott. Arcangelo D’Onofrio, Vitangelo Morea e Sebastiano Tagarelli. In particolar modo mi sono soffermato sul Dettaglio Istorico della Peste di Noja, relazione pubblicata dal capo della Reale Commissione Medica dott. Arcangelo D’Onofrio, nel 1817. Và detto che l’opera non ha avuto nel tempo grande fortuna per diversi motivi: fu accusata di partigianeria e di falsità nella descrizione dei fatti accaduti, ma personalmente ritengo che tutte le fonti contengano una parte di verità e quindi per questo degne di essere considerate. Il presente lavoro si arricchisce di fotografie che ritraggono i luoghi del contagio e cercano di ricostruire le modalità della cura. Per la prima volta appaiono, grazie alla disponibilità dei Padri Agostiniani della Madonna della Lama, le foto della cripta del vecchio cimitero della chiesa dove furono sepolti i primi 42 morti di peste.
L’autore
Vito Didonna
La descrizione della città di Noja nell’800.
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L’origine del male. 17 Noja viene barricata. 23 Una lettera dei medici.
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Le terapie. 31 Decisioni del comitato medico.
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Il contagio nel mese di Aprile.
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La visita al Rione Pagano.
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L’indecenza di don Filippo Lamanna.
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La situazione nel Rione Carmine.
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La lettera di Vito Lasorella.
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Il ringraziamento al Re.
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Il caso di Nunzia Ottomano.
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Lo spurgo delle carte. 77 La liberazione di Noja.
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Caccia agli untori. 85 L’interrogatorio di Niccolò Positano.
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La maledizione di don Ciccio Decaro.
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DESCRIZIONE TOPOGRAFICA DELLA CITTÀ, DELLE SUE CONDIZIONI TERRITORIALI, E DELL’INFLUENZA ATMOSFERICA.
N
oja è posata in una pianura presso a poco eguale, circondata da suburbani giardini, forniti di arboreti, e di pomieri di ogni specie. Vi è precisamente l’orto spazioso del Parco, che attiene al Duca della Famiglia Carafa, parimenti ricco di buone piante, e di alberi fruttiferi. La Città dista dall’Adriatico di presso a quattro miglia. La parte antica è di figura irregolarmente rotonda. All’Est, vi è una spianata, luogo addetto alla Piazza, o sia Mercato, cui corrisponde la porta dell’antico paese. Da qui ha principio la strada del Carmine sporta al Levante, munita in ambi i lati di comode abitazioni. Nel fondo era il Convento de’ Carmelitani, come locale della più vantaggiosa posizione, e per la capienza, e per la salubrità, che oggi è ospedale de’ contagiati. Al Nord dell’accennato Convento esiste un piccolo borgo di circa 60 famiglie, Frontespizio del testo originale da cui sono stati trascritti i capitoli iniziali. destinato per più tempo a luogo di osservazione per i sospetti di contagio. Per la Piazza medesima incontrasi altra strada diretta al Sud-Est, e vien detta delle Fornaci, abitata da ambi i lati. Nel suo fine presenta un bivio, che sporge al Sud-Est verso Rutigliano, ed al Sud verso i Cappuccini. All’Ovest attacca un borgo detto di S. Tommaso, che comprende di presso 90 famiglie. Il perimetro di tutto il paese, che forma un poligono irregolare, può valutarsi da circa 800 passi. Il suolo è dominato da venti Sud-Est, Sud-Ovest, Nord e Nord Ovest. I primi sogliono ricorrere con maggiore impetuosità, e danno ordinariamente occasione alle infreddature. 11
Non vi ha che acque potabili piovane raccolte nei serbatoj e nelle cisterne per uso degli abitanti. Queste par che abbondino di Selenite, per cui debbono essere ben agitate e frammiste con dell’aria atmosferica per diventare salubri. Il terreno generalmente vedesi nel fondo composto di strati calcarei, argillosi e della sabbia rossastra. La coltivazione viene mirabilmente promossa da coloni che dimostrano la massima abilità nell’industria campestre. Soprattutto vi fiorisce la coltivazione dei carrubi, delle mandorle, degli olivi, il di cui frutto che dà abbondanza dell’olio della più lodevole condizione, forma un ricco capo d’industria del Comune. Vi vegetano delle buone piante, e precisamente tutte le specie di lattuga, la melissa, la borragine, la cicoria e varie specie di brassica. Non si vede alcuna delle piante velenose, ed intorno ai giardini non esiste marca di conio macolato e di cicuta acquatica. Soltanto vi vegeta a meraviglia il Papavero bianco, papaver album officinarum, da cui capi incisi gli industriosi farmacisti Lamanna e Quercia ne traggono dell’oppio equivalente a quello di Tebe. Vi vegeta mirabilmente la ligorizia sparsa nei campi, il crocum tinctorium e l’isatis tinctoria.
Veduta di Noicattaro alla fine del ‘700. In primo piano i campi di cotone. Ricostruzione di M. Dipinto.
La raccolta del cotone fornisce di altra vantaggiosa derrata. I vigneti non molto bassi né a fior di terra come nell’Apulia piana, danno dei vini spiritosi, abbondanti di parte alcolica: ve ne ha di quelli leggieri che riescono sommamente diuretici. Presso la Città non vi sono fiumi, né riviere, né rigagnoli, ma soltanto nel pendio della medesima all’Est-Sud, che porge ad una cappella di S. Maria della Lama, veggonsi alcuni fossati dove può ristagnare l’acqua piovana nel tempo d’inverno. Quantunque 12
l’atmosfera possa considerarsi piuttosto lodevole per le circostanze del sito e per il ben esteso orizzonte che rende aprico il suolo del paese, tuttavia non lascia di essere variabile sotto il dominio dei descritti venti. Da ciò nasce che di buon mattino e dopo il tramontamento del sole è abitualmente umida, onde si osservano spesso delle malattie linfatiche catarrali e le infreddature endemiche della Città e dei paesi limitrofi. Ha nei dintorni vari paesi confinanti, come Rutigliano alla distanza di un miglio, Triggiano di quattro, Mola di cinque, Capurso di quattro, Cellamare di tre, Valenzano di sei, Carbonara di cinque, Casamassima di sette, Conversano di otto, Bari di nove, Acquaviva di dodici. Nel ragguaglio istorico del contagio della Provincia di Bari dell’anno 1690, edito in Napoli, appresso lo stampatore Mutii per l’opera del Regio Uditore Don Filippo D’Arieta, vi è un’elegante mappa nei paesi ristretti nella linea di circonvallazione. Ciò fà che la descritta Città fornita di doviziose derrate, gode del più attivo ed esteso commercio nella Provincia non solo, ma nel Regno tutto, ed anche fuori nei paesi esteri. La prossimità di detti paesi, la fertilità dei territori e l’abbondanza dei prodotti di prima necessità rendeva celebre il commercio settimanale, ossia traffico di mercato in ogni domenica, dove concorre gran numero di commercianti non solo degli indicati circostanti luoghi, ma anche dei più lontani, sino a quelli della Capitale. Gli abitanti in genere sono validi, ben formati, docili, industriosi ed attivi. Vi è un proporzionato numero di vecchi settuagenari, ottuagenari, e taluni hanno oltrepassato il novantesimo anno. Vi sono molti Sacerdoti colti, ed esemplari fino al numero di 50 che nell’attuale pericoloso riscontro si sono serbati incolumi, profittando delle buone regole di precauzione, ed anche perché il contagio è sorto da persone agiate e poi si è disteso, per lo prossimo contatto e per la posizione degli abituri ristretti e per la deficienza dei mezzi di riserva, nel basso popolo. Poco lungi dalla città, in posizione molto lodevole, era il convento dei Cappuccini con 12 individui, e che oggi per le circostanze del contagio, dal quale furono attaccati tutti i Frati, ritrovasi abitazione profana, come il più bel luogo destinato alla convalescenza. Fu lo stesso destino dei Cappuccini di Bari nella peste del 1690, sebbene il convento rimase tuttavia in piedi con la frateria. In quell’epoca Noja fu incolume e formò la sede del Congresso dei Ministri nel palazzo del Duca. Segna la città un’epoca memoranda nei fasti del Regno, giacchè vanta origine antichissima. Quantunque non ne abbiamo scrittori degli 13
andati secoli dei chiari monumenti, tutti però convengono essere stata un tempo florida e rinomata nell’Apulia Peucezia. Per costante tradizione credesi colonia dell’antica Cattaro, città celebre un tempo sulle maremme dell’Adriatico. Se ne scorgono ancora oggidì i ruderi che formano obbietto di curiosità per gli antiquari, continui visitatori dei descritti luoghi. Dallo scavo di sepolcrali disserrati, frequentemente si hanno dei vasellami che ne contestano l’anzianità. Esiste oggidì nella Chiesa Madre un ostensorio sacro di metallo corinzio, che per costante tradizione, si presume antichissimo monumento. Questa macchina è artisticamente lavorata di figura ottangolare, di colore dorato, di peso uguale pressappoco a quello dell’oro, di un meccanismo complicatissimo sull’andare di quei tempi . La Chiesa Cattedrale di struttura gotica presenta la sua antica celebrità. E’ rinomato il collegio, numeroso un tempo, di 28 Canonici, ora ristretti a 21, la primaria dignità dei quali è l’Arciprete incaricato per la cura delle anime. E’ rimarchevole alla sinistra dell’Altare maggiore, un altro affiancato da un camerino, designato con l’antica grecanica voce Enchiridion, dove venivano custoditi i consacrati pani per la comunione dei fedeli. Leggesi in questo luogo l’epigrafe Hic est panis vivus. Vi si conserva parimenti un calice antichissimo, ai piedi del quale si legge la presente iscrizione: Archipresbita Nojae et Acqaevivae. Si vuole che questo monumento indicasse il privilegio di un Piovano nullius, cui fosse suffraganeo quello di Acquaviva. Dicesi che esistevano negli Archivi dell’indicato collegio molti codici manoscritti in lingua gotica, dei quali non si può dare preciso dettaglio per riguardi sanitari, che hanno obbligato a metterli in barricata, indi assoggettarsi all’operazione di espurgo. Ughellio nell’Italia sacra, fa menzione di un pingue beneficio concesso ai Baroni della Città suddetta il quale estendevasi dal litorale di Noja sino all’antica Calcara. Volendosi però prendere conto delle città comprese nell’Apulia Peucezia, confinante con il fiume Ofanto, si fa menzione di Barium, di Bitonto, Bituntum o Butuntum, costruito dai primi orientali presso il mare, di Giovenazzo Notolium, di Molfetta, Bisceglia, Trani Turris Julianae o Turres Caesaris, Bitetto, Conversano, Modugno, Gravina, Canosa, Canusium colonia illustre dei Romani, senza punto trovarsi memoria di Noja, per cui non può dirsi tanto vetusta l’origine di sua fondazione, quanto è quella delle succennate città. 14
L’origine del Male
“Nelle prime osservazioni occorse sul cominciamento del morbo dal 23 novembre del 1815 per le frequenti ricorrenze di affezioni costituzionali, solite ad affacciarsi nel Comune di Noja, i Professori esitarono alquanto a conoscere i caratteri individuali della malattia nella clinica della città. Aggiungasi inoltre, che nel medesimo comune si è osservata certa specie di morbo endemico, d’ingorgamento glandolare, proveniente da infreddature, dietro sudore, o traspirazione soppressa. Chiamano gli idioti Mal della rezza, se si vedono ingorgate le glandole ascellari, come Sciascettola, o Pietra di sale, l’ingorgamento inguinale. Non vi è mancato tra i colti di Noja chi avesse pensato e declamato dubbiamente su caratteri del morbo, a fantasia di quel volgo, con l’appoggio di questa località. Pur lo stesso avvenne nella peste di Conversano, mentre quegli idioti chiamavano Lupello un tumore glandolare, che talora vedesi nascere sotto le ascelle, indipendente dal veleno pestifero. Per le osservazioni ovvie di queste affezioni, scevre peraltro da sintomi letali, e talvolta meramente apiretiche, restarono alquanto ondeggianti ed indecisi i medici del luogo nel carattere del tifo contagioso a malattia nascente. Gli avvedutissimi Professori della città Dottori Doleo, Rubini, Cinciaruso, Popeo e Dirienzo, furono i primi a por mente sulle caratteristiche del morbo, rivestito di sintomi ben diversi dalle ordinarie descritte. Quindi convennero con loro i Professori di Bari dottori Pavon e Muscio, inviati a bella posta dsll’accortissimo signor Intendente della Provincia, Principe Capece Zurlo: i quali descrissero a chiare note la malattia da loro osservata. Febbre con delirio, diarrea, abbattimento di forze, principio d’ingorgamento indolente delle glandole inguinali o ascellari, uscita di carboncello o antrace e di petecchie cuticolari e rare, contagiosa principalmente per le donne e per i fanciulli, come quelli che più si prestano al servizio degli infermi e che sono continuamente in casa a contatto dei medesimi. Tutti questi meritatissimi Professori, antecedentemente d’accordo con il Sindaco del comune e con i sunnominati medici di Bari, avevano asserito che la malattia già fosse di natura contagiosa per coloro che si trovavano predisposti e che si esponevano all’immediato contatto : che infieriva soltanto tra le persone estremamente povere, e che i cadaveri degli infelici infermi osservati non presentavano che alcune piccole macchie livide ed un leggero ingorgamento all’inguine, ma che non ancora erano pienamente rassicurati se fosse una malattia delle comuni o pestilenziale. Tanto accadde a Capivaccio e a Mercuriale, chiamati a dare giudizio in 16
simile riscontro. Lo stesso si legge avvenuto al dottor Stella, in conferenza del dottor Valerio sull’assunto della peste di Conversano dell’anno 1690 in poi; ed altrettanto si legge avvenuto in casi d’altronde pari, a uomini di celebrità. Le prime osservazioni decisive sul contagio di Noja caddero sopra Anna Maria Furio, che fu la nona inferma, dopo la morte di Liborio Didonna, Pasqua Cappelli, Benedetta Cinquepalmi, Giambattista Didonna, Giuseppe Colonna, Giambattista Monteleone, Angela Rosa Lacoppola, prime vittime della malattia: presumendosi in Liborio Didonna l’originaria ceppaia della propagazione contagiosa. Ben tutt’altro però si è scoperto in decorso. L’origine del contagio sembra essere dipesa da generi infetti introdotti per contrabbando di tele contaminate, e vi concorrono delle più solide prove, secondo i fatti raccolti dai medici nell’interno di Noja. Le osservazioni semiologiche dei medici del luogo espresse dettagliatamente nei rapporti avanzati e al signor Intendente alla Provincia, e al supremo Magistrato di salute, sono del seguente tenore: “ Liborio Didonna, vecchio di anni 60, possidente un giardino di frutti presso la città, per un furto accadutogli in quello e Via Oberdan. Portone d’ingresso di Palazzo Evoli. per un cammino alquanto strapazzoso da Rutigliano a Noja verso le ore della sera del 21 novembre, fu sorpreso da brividi, cui tenne dietro febbre estuante. Nel secondo giorno della malattia, fu colpito da vertigine caduca e quindi da emiplagia imperfetta nel lato sinistro. Divenne 17
balbuziente, gli occhi si fecero convulsivi e l’aspetto si rese ippocratico. In seguito spuma dalla bocca ed un generale torpore. Di là a poco tra i sudori colliquativi e profusa diarrea, venne infelicemente a soccombere nel terzo giorno di suo malore. Nel giorno secondo della di lui malattia si ammalò anche Pasqua Cappelli, sua moglie. Si giudicò dapprima essere costei travagliata d’asma, che abitualmente soffriva, ma ben tutt’altro fecero avvertire e la febbre e l’avvilimento delle forze, il vomito e la diarrea, cui seguì la morte anche nel terzo giorno. Per concorde ed uniforme attestato di molti uomini federdegni, si vociferò che la medesima soffriva un ingorgamento doloroso all’inguine destro. E’ da avvertirsi per l’esatta conoscenza dei fatti che, in occasione delle malattie descritte, accudirono alla casa degli infermi Carmela Didonna, Benedetta Cinquepalmi, Rosa Lioce con i suoi figli, Maria e Francesco Sorino, e tutti furono attaccati dal morbo stesso pestilenziale. Benedetta Cinquepalmi si ammalò il 4 dicembre. Vomito, diarrea, lingua tremula e balbuziente, polsi piccoli e celeri. Convulsioni, ingorgamento nell’ascella destra costituirono la sindrome dei sintomi compagni della di lei morte, seguita anche nel terzo giorno. Al quattro dicembre Giambattista Monteleone, figlio di Carmela Didonna venne a morire con vermi, convulsioni ed affezione comatosa in men di due giorni Al sei del mese morì in un giorno Giambattista Didonna, bambino di sei mesi, figlio della soprannominata Benedetta che lo poppava. Al nove dicembre Giovanni Monteleone, fratello del suddescritto e figlio di Carmela Didonna, nel quarto giorno di malattia venne a morte. Pari fu il destino di altri sventurati infermi, sino ad Anna Maria Furio, che fissò decisivamente il giudizio di tifo pestilenziale. Difatti la malattia venne corredata di tanti e tali sintomi da non chiamarne in dubbio. Ecco la descrizione datane dai dotti medici del Comune ai Magistrati, sulle circostanze del momento: “Invade la febbre con brividi di più o men lunga durata, secondo la diversità dei soggetti, ma sempre di maggior intensità nei temperamenti più forti: segue un calore mordace ed acre che accusano gli infermi, ma che non è tanto sensibile al tatto. L’orgasmo febbrile nel dì seguente procede con segno di fugace remissione e con polso apparentemente molle. Dietro questa brevissima declinazione, succede un nuovo parossismo accompagnato da lieve ricorrenza di brividi, con indispensabile prostrazione. Nella maggior 18
parte si affaccia una specie di colera e talvolta con vomito e deiezioni verminose: alla caduta della prima febbre o tuttalpiù alla seconda, si manifesta un ingrossamento doloroso in uno degli inguini o in entrambi: e questo o nel suo centro o poco in sotto. Altre volte un tal gonfiore appare sotto le ascelle, e or più or meno si eleva, quantunque sia doloroso pur non altera il colorito naturale della cute. In quest’epoca suol comparire il delirio che, nel principio della malattia, è stato un sintomo costante: che si è veduto in seguito ammansito ed indi si è risvegliato con pertinacia maggiore. In parecchi infermi si manifestano le antraci sulle coscie, al petto, sulle guancie, alla tempia, sulla regione lombare e sul ventre distintamente. La lingua in alcuni è umida e solamente coperta di cotenna bianca, in altri è arida ed avente in mezzo una striscia di color rosso fosco, della grossezza di un mignolo, circondata nei lati da due striscie giallognole. Una sete ardente ed un mal di cuore crucia gli infermi in tutto il corso della malattia. La morte segue al terzo, al quarto e quasi sempre prima del settimo. Vi sono delle morti repentine che spesso all’improvviso colpiscono individui i più sani e robusti senza che vi fosse il minimo indizio di malattia. Sopra molti cadaveri si osservano delle macchie livide che occupano la maggior parte del corpo. La malattia sembra avere un corso proteiforme, in alcuni giorni è mite, in altri gigante. E’ osservabile che coloro ai quali sopraggiunge la febbre con la prostrazione delle forze, ma senza bubboni ed antraci, offrono immediatamente il volto cadaverico e muoiono in breve tempo. D’altronde muoiono più tardi o giungono anche a superare la violenza del morbo coloro nei quali i bubboni si volgono a benigna suppurazione. E’ finalmente notabile che quando restano colpiti i validi di complesso, questi vi soccombono più presto degli altri.” Avvertiti dunque i medici dalla serie complessiva dei sintomi descritti non essere malattia di tutti i giorni, secondo la frase di Sindenam, accortamente ne passarono conoscenza ai supremi Magistrati, i quali con la provvida misura del blocco, occorsero attivamente ad impedire la propagazione nei paesi conterminali. Il morbo intanto vedevasi progredire in ragion diretta dal contatto medio e immediato degli oggetti che presumevasi infetti, in seguito dello sviluppo del precitato Didonna, di sua moglie e familiari, attinenti e congiunti, ai quali erano passati in retaggio diversi generi probabilmente contaminati.
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Noja viene barricata
Il dì 23 novembre fissò l’epoca funesta dello sviluppato contagio, cosicché per tutto dicembre fino al primo gennaio si numerarono 41 individui morti con gli indicati sintomi. Con l’aumento della malattia, crebbe la tristezza, lo spavento e l’inquietudine della popolazione, come crebbe del pari la sollecitudine dell’avvedutissimo Intendente della Provincia, che nessun mezzo lasciò intentato per avvertire di tutte le più minute circostanze il Supremo Magistrato di salute, onde apporre un
Mappa di Noicattaro disegnata nel 1816 dai tenenti borbonici Debenedictis e Zingaropoli. Si nota il primo cordone sanitario che circondava il paese.
potentissimo argine alla propagazione del contagio ed assicurare nel tempo stesso il Regno e l’Italia tutta. Non v’ha eloquenza che basti ad esprimere come, e con quale e quanta energia si siano distinti in tale disastroso rincontro i saggi Ministri tutti interessati per la tutela della Patria. 22
Se meritò somme lodi il rinomato Gran Duca di Toscana per aver liberato lo stato suo dalla peste, tormentatrice dell’intera Italia, di maggiori applausi sarà sempre degno il nostro Clementissimo Re, che ha saputo con i suoi saggi provvedimenti arrestarla nel recinto di una città, mentre minacciava diffondersi nei convicini paesi e portare la strage nel Regno, come videsi nel 1690. In conferma delle asserite cose, il suaccennato Principe Zurlo, prevedendo i bisogni del luogo afflitto da tanto male, s’avvisò di aggiungere due altri medici provinciali da scegliersi a sorte. Allora fu che i due medici di Bari dottor Giampaolo Montinari e dottor Vito Nicola de Nicolò, animati da quel nobile entusiasmo che suole distinguere le anime sensibili al piacere di giovare ai suoi simili, subito si offrirono a recarsi nell’interno di Noja, siccome eseguirono portandosi in città il due gennaio dell’anno 1816. L’attività di costoro, combinata alle attenzioni curative dei medici del luogo produsse i primi vantaggi nella infelice città. Subito dopo si aggiunse altro medico provinciale inviato pure dall’Intendente allo stesso oggetto. Questo fu il dottor Domenico Soli, giovine attento e fornito di buone cognizioni. Di lì a poco furono aggiunti i due valentissimi chirurghi del Reggimento Estero dottori Garron e Perrone, la cui fervorosa attività recò un vantaggio incalcolabile alla cura degli infermi. Si trovava di già un Distaccamento di 25 bravi soldati sotto il comando del Tenente signor Giovanni Neoviller. Questo unito alla truppa comunale sotto il comando del signor don Francesco Moncelli, gentiluomo nojano di non ordinaria diligenza e di buona morale, formava il corpo della forza pubblica, da sostenere l’ordine e la tranquillità nell’interno medesimo. Con queste energiche misure furono separati in barricata tutti gli individui sospetti nelle case di Evoli, Lamanna, Berardi, Cristo. Quindi vennero chiuse le due strade di Pagano e del Carmine, da formarne due rioni, donde si estrassero dei sani trasmessi nei luoghi sicuri della città, per sostituirvi dei sospetti. Ecco il più efficace recapito al quale è attribuibile la limitazione del furente contagio e la salvezza di tanti, serbati incolumi nell’avanzamento di esso. Senza così pronte e sagge riparazioni, era molto a temersi dei rapidi progressi del morbo, minacciante lo strazio il più crudele. Non bastavano queste sole misure per arrestare il furibondo contagio nel distretto di Noja: il blocco troppo vicino alle mura della contaminata città, produsse il più funesto accidente che potesse immaginarsi giammai. Fu passato un mazzo di carte da gioco da un Canonico del luogo ad alcuni soldati del cordone medesimo. Sorse allora la più funesta conturbazione 23
tra le autorità sanitarie. L’integerrimo Maresciallo di Campo Ruberto Mirabelli, Commissario del Re con alter ego, unitamente al Deputato del Supremo Magistrato di salute Cavalier Garofalo, uomo nato alla riflessione, prontamente ordinò il secondo cordone a ordinata distanza, per guardare il primo che, per l’accidente occorso, era già divenuto sospetto. L’anzidetto Prete con due altri soldati del cordone furono tradotti in Commissione militare e quindi, condannati a morte, furono fucilati alla presenza del popolo.
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Lettera della fucilazione del sacerdote don Raffaele Didonna, del sergente Giuseppe Di Antonio e del soldato Ferdinando Levis
La lettera dei medici
Noja, 28 febbraio 1816.
Al Signor D. N. Rutigliano.
“Caro collega, avete creduto essere le tabelle irregolari, perché non avete trovato disegnato, ad una ad una, le sostanze medicinali prescritte in ogni visita; ma ci sembra che la sola indicazione della classe fosse stata sufficiente. Per vostra delucidazione vi facciamo notare che sotto il nome di stimoli diffusivi, intendiamo le decozioni di china e serpentaria combinata col muschio, con la canfora, ed ora con l’oppio.
Via C. Battisti. Portone d’ingresso del giardino di Cristo. L’abitazione attigua era destinata a casa di osservazione degli appestati.
Non abbiamo mancato pure farvi marcare li nuovi sintomi che si fossero affacciati nei giorni consecutivi, che sarebbero stati li più degni di osservazione: ora ci resta solo farvi notare li diversi stati della febbre, come rileviamo dal vostro modello. Considerate poi che in un ospedale pestiferato non si possono tenere impunemente per molto tempo tante carte; basta dunque accennarne l’essenziale. 26
Restate assicurato che il metodo di cura trovato fin oggi proficuo e che ha salvato la vita di tanti, è stato quello ripetuto dalla classe dei corroboranti e nervini, e dal vino aromatico a preferenza di qualunque altra sostanza. Sulle antraci e sulle piaghe luride si è trovato confacentissimo l’uso delle bagnature di acqua ed aceto, dietro le quali si sono vedute delle belle separazioni. Le suffumicazioni si usano continuamente, cioè le nitriche per l’ospedale e le muriatiche per disinfettare le case messe in espurgo. Ci riserbiamo di farvi conoscere le idee dello speziale. Nella colonna delle osservazioni del giornale clinico-mortuario, da oggi innanzi vi faremo conoscere d’onde vengono i morti. L’ospedale ci presenta per ora un aspetto vantaggioso. Egli è diviso in tre sale: nella prima si situano i nuovi entrati ed i più pericolosi, nella seconda coloro che tengono i bubboni ed antraci non supporate, e nella terza quelli Particolare dell’emblema che ritrae il calice con che le tengono in suppurazione. l’ostia. Il giardino rientrava nella proprietà di Garron fa inquietare Doleo don Vincenzo Divella, canonico della Chiesa Madre. perché vuol cimentare assai nella cura chirurgica dei malati. Egli non ha potuto finora eseguire le sezioni cadaveriche perché gli mancano gli strumenti adatti, e se questi non gli vengono a tempo e per la stagione che si avanza, mancherà alla sua promessa, ma senza sua colpa. Fatene dunque affrettare la spedizione. Abbiamo fissato la corrispondenza con voi sul progresso della malattia per due giorni alla settimana, cioè il giovedì e la domenica. Attendete dunque li nostri riscontri. L’isolazione dei sani nelle proprie case si rende per ora ineseguibile; mentre non vi è proprietario che non sia o deputato sanitario, fornitore o occupato in altro, o Decurione pubblico impiegato e che perciò è obbligato uscire di casa per eseguire il suo impiego. Vi salutiamo con la solita affettuosità.” Dottori Rubino, Garron, Doleo.
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Via Oberdan. Nella strada che porta a Rutigliano, alla periferia del paese, il Palazzo Berardi II era una casa di osservazione degli ammalati.
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Le terapie
Marzo Eran su questo piede le cose di Noja, quando per Sovrano comando venne colà spedita una Commissione Medica di sei individui, proposta dal supremo Magistrato di salute. Il Presidente dottor Raimondo di Gennaro, cavaliere di merito superiore a qualunque elogio, in questo riscontro ha spiegato tutto il carattere che tanto bel lo distingue. I rinomati professori dell’Arte, che fanno parte del supremo Tribunale di salute, riflettendo ponderatamente su i sopraccennati sintomi della malattia svelatamente dichiarata, non tardarono punto a proporre tutti gli espedienti per impedirne l’espansione. E all’oggetto passarono le opportune istruzioni agli antecedenti medici e funzionari che ivi si trovarono, e ai professori della Commissione designata a partire. Appena entrata la commissione di Napoli il 29 febbraio, nell’interno della città si offrirono d’incontro il dott. Montinari, il chirurgo Garron, il Sindaco del comune, i decurioni, i deputati sanitari. Nell’indomani si destinò una visita generale, che venne eseguita nelle forme descritte nel seguente rapporto, che subito da me venne spedito in nome del comitato intero, che componevasi in quell’epoca da ben dodici professori, con i quattro pratici della commissione. Nelle osservazioni praticate secondo le regole sanitarie nell’ospedale dei contagiati, che è in posizione la più plausibile, abbiamo rilevato che la malattia parla tanto da sé, che non dà luogo a nessun equivoco, o dubbiezza veruna. E’ una febbre contagiosa pestilenziale venuta d’altronde per contagio dei generi infetti, e che ha proceduto e procede con tutti i caratteri individuali del più terribile tifo orientale. Quasi tutti gli infermi, o la massima parte di essi presentano un bubbone, per lo più superiore o inferiore all’inguine, ed alcuni sotto le ascelle sopra il muscolo gran pettorale nel luogo dove diviene tendinoso. L’apice della lingua, che gli infermi offrono alle osservazioni, sulla parte sinistra indispensabilmente si ritrova il bubbone, o l’antrace, e così viceversa. Quanto maggiore elevazione il bubbone acquista, tanto più facile è la suppurazione, la cura, e il giudizio favorevole della malattia. La depressione e l’evanescenza immediata senza l’alleviamento dell’infermo, sono il più funesto segno. Talvolta con i bubboni si vedono delle antraci in diverse parti del corpo: talune sopra la scapola di figura irregolarmente circolare, di estesa dimensione, fino a sei in otto dita traverse di diametro. Nelle donne le 30
antraci si fanno vedere ordinariamente nelle mammelle, e negli uomini sul dorso e sulle scapole. Nel numero di 63 individui infermi non si è veduto traccia di eruzione petecchiale, o d’altro esantema, sebbene prima si è osservata raramente in qualcuno. Benchè la malattia serbi un andamento proteiforme, nondimeno è da rimarcarsi che aggredisce assai più violentemente le donne, nelle quali talvolta, oltre al bubbone negli inguini, si osservano antraci nelle zinne e nel petto; in secondo luogo i ragazzi, i giovani robusti, e in meno di tutti i vecchi. Questi però, secondo i rapporti dei medici curanti, sono stati tutti vittime della morte, egualmente che i fanciulli.
La Chiesa del Carmine con annesso il Convento dei Carmelitani. All’epoca della peste nel Convento fu costituito l’ospedale pestifero. Disegno di M. Dipinto.
Le donne incinte tutte sono perite con aborto qualora abbiano subito il contagio, meno che le puerpere, le quali lo hanno felicemente superato. Il pericolo è stato sempre maggiore quante volte non si è affacciato il bubbone e la febbre abbia progredito con rapidità e somma prostrazione di forze. Ciò è riuscito osservabile costantemente in tutti quei morti in breve corso di tempo, dei quali taluni hanno finito di vivere in poche ore, e 31
altri improvvisamente. Per questi pochi giorni di osservazione sembra che la malattia facesse sperare un periodo di declinazione, avuto riguardo al minor numero dei morti, nonostante qualcuno ne venga dall’interno della città e dagli ospedali di osservazione. In rapporto al metodo curativo praticato e praticabile dai medici del luogo, nulla vi è da aggiungere perché tutto si è eseguito secondo le più rigorose regole dell’arte. Nello stato di irritazione i rimedi discretamente debilitanti, o siano indirettamente corroboranti, sono riusciti con il miglior successo: tanto è vero ciò che un contagiato nel forte del delirio si è calmato all’istante sotto l’affusione fredda con acqua e aceto. Il tartaro emetico si è rilevato profittevole, e si crede che secondo la forma variabile della malattia, nell’orgasmo della febbre possa riuscire di sicuro vantaggio, dosato col nitro e con il cremor tartaro preparato epicraticamente. I rimedi che ordinariamente si vedono salutari nello stato lassativo sono le cariche decozioni di china, serpentaria e valeriana, con tintura di castorio, di Glutton, e con lo spirito di Minderero. Il muschio e la canfora sono riusciti efficaci tutte le volte che la malattia si è mostrata con apparenza di spasmodia. Per la cura esterna dei bubboni si è sperimentato preferibilmente proficuo il lenimento d’olio che promuove la suppurazione benigna o la più facile risoluzione, la quale si presume accompagnata o da sudori o da aumento di traspirazione. Per ciò che riguarda la cura delle antraci che portano ad una estesa cancrena, si è rilevato oltremodo giovevole l’uso esterno della posca o dell’aceto solo energicamente promosso dai chirurghi assistenti del luogo. Di settantasei infermi, sei ottavi sono nello stato di passare alle sale di valetudinaria, e due ottavi si contano dei più gravi e pericolosi, dei quali uno fu ricevuto ieri dal Priore del Carmine, alla nostra presenza, con viso scaduto, estrema debolezza , polsi bassi e bubbone sotto l’ascella destra. Per rendere sempre più attivo e regolare il servizio sanitario si è fatta una distribuzione tra tutti i Professori per assistere e nella città e nei lazzaretti e negli ospedali di osservazione ed in quello dei contagiati. Le unzioni oleose sono da valutarsi come il maggior mezzo profilattico, di cui sono prevalsi i Professori del luogo, quelli sopraggiunti da Bari, i nostri colleghi, e di cui saremo per profittare tutti, onde prestarci ad estirpare una malattia cotanto formidabile. 32
Le decisioni del comitato medico
I luoghi di convalescenza e l’Ospedale degli infetti si trovano nella migliore posizione e per la qualità del locale e per la salubrità dell’aria e per la ventilazione. Per vari lazzaretti, per le case di osservazione, come per il rione barricato di Pagano, quello del Carmine, quello di Evoli, quello di Berardi uno e due, per la casa Lamanna, si sono prese le più energiche misure.
La croce all’ingresso del Convento dei Cappuccini. Al tempo della peste fu ospedale di osservazione. Nei sotterranei della Chiesa vi sono le tombe della famiglia Carafa, duchi di Noja e della famiglia Positano.
Quanto da noi si è scritto è uniforme ai fatti veri, genuini e sinceri, e ne chiamiamo in testimonio il Sommo Iddio, che ne legge il cuore, mentre confidiamo nella di lui provvida mano, che il miglior successo corrisponda alle nostre esatte operazioni e alle paterne cure del Sovrano, ed ai voti della 34
patria. Si proseguiva con tutto il furore a proporre nel Comitato i provvedimenti sanitari secondo le circostanze. Le risoluzioni sono qui originalmente recate. Noja 3 Marzo 1816. Si è deciso in pieno comitato che svolti i massi che si trovano incordati, le corde si bruciassero, e che il salame secco si esponesse all’aria aperta, con la condizione però che trovandosi del macerato e corrotto, si dovesse parimenti bruciare, e che il campeggio rimanesse in magazzino fino a nuove provvidenze. Questa deliberazione si è presa dal Comitato in vista dei documenti della dogana di Napoli in data 7 e 25 novembre 1815, che riguardano la spedizione del suddetto genere di salame, zucchero, campeggio, cannella e carta da scrivere, così come appare dalle copie legalizzate dei suddescritti documenti, che si conservano negli atti del Comitato. Noja 8 Marzo 1816. Il Comitato Sanitario di Noja al sig. Sindaco. “E’ invitato il Signor Sindaco di formare al più presto possibile sessantatre camici per la convalescenza, ed altri sessantotto camici per l’ospedale di osservazione di Berardi. Sicuro della sua vigilanza ed esattezza, ci diamo l’onore di salutarvi.” Noja 9 Marzo 1816. Il Comitato Sanitario di Noja al sig. Comandante Diaz “Avendo fatte delle riflessioni sulla cagione per la quale qualche infermo contagiato proveniente dalla città vada nell’Ospedale, sembra presumibile che ciò dipenda o dall’essere stato in contatto con persone contaminate, o dal ritrovarsi ancora qualche oggetto rubato, o nascosto, o dolosamente conservato, che fosse di già contagiato. Resta però sempre esclusa qualunque idea di sospetto d’infezione nell’aria atmosferica, giacchè tutti gli abitanti godono di una salute ben condizionata, ed a mala pena si contano di presso ad una ventina d’infermi affetti da malattie croniche e da morbi intercorrenti. Per quel che riguarda Serafina Lacoppola, sorella del padre Guardiano dei Cappuccini, non essendosi ritrovato alcun genere infetto, che avesse potuto appartenere al Convento dei Frati Cappuccini, è probabile che l’infezione sia dipesa dalla famiglia infetta del cognato, con la quale abbia avuto contatto. Questo è quanto da noi si è potuto rilevare sull’oggetto richiesto, in disimpegno del nostro dovere, sul punto di rassegnarci con la solita dovuta stima.” Noja 10 Marzo 1816. Oggi si sono barricate le case dei signori Don Giovanni Lioce e Don Salvatore Roselli con le regole sanitarie. Si è 35
concluso altresì che nel rione di Pagano siano autorizzati gli abitanti onesti a sbarricare e bruciare tutte le case site nello stesso rione con l’assistenza di un Deputato Sanitario. Li bruciamenti per la Città continueranno per ordine cominciando per la prima sezione e così proseguiranno incaricandosi lo Speziale di far il disinfettamento a misura del bruciamento . Si sono consegnate al Farmacista rotoli 44 e tre quarti di nitro e
Convento dei Cappuccini. Il pozzo nel cortile esterno. Nel periodo della pestilenza fu completamente bruciata la ricca biblioteca dei frati.
quindici rotoli di ossido nero di manganese. Per l’ispezione del dottor D’Onofrio si sono date le provvidenze per vestire circa venti individui ignudi, e provvedere di paglioni cinque famiglie indigenti nel rione delle Cannelle, che non ha mai dato alcun individuo infetto, per cui si vuole barricare dietro l’assistenza del signor deputato Santoro e del dottor Scalea, 36
medico del rione. Nel dì 12 dello stesso mese fu diretto da me in nome del comitato altro rapporto per l’organo del maresciallo Mirabelli del seguente tenore: “Per quel che riguarda l’indole e l’andamento della malattia, che sembrava tendere alla declinazione, oggi pare che tuttavia perseveri nel suo stato. Sebbene dalla città qualcheduno ne provenga nell’ospedale dei contagiati e il maggior numero dai rioni sospetti, tuttavia gli individui che infelicemente vanno a subire il contagio non giungono giammai al giusto periodo settimanale, poichè vanno a soccombere o dietro il secondo giorno, o tutt’al più al terzo, o al quarto. Ond’è che si avvera il carattere delle febbri gravissime descritte dal primo maestro dell’arte, che uccidono fra quattro giorni ed anche prima. In una ragazza morta nel corso di due giorni si sono vedute delle lividure nere e numerose. Indagando la causa di questa esacerbazione, possiamo presumere che i venti meridionali ed occidentali, e l’umidezza dell’atmosfera vi abbiano potuto influire come cause esterne, tanto maggiormente che il grado di miglioria nelle andate settimane si è osservato sotto il dominio dei venti boreali e dell’atmosfera secca. Potrebbe anche supporsi, con qualche grado di probabilità, che approssimandosi il tempo della primavera astronomica (mentre secondo le regole mediche siamo già da febbraio nel camino delle malattie estive) il calore atmosferico conferisca allo stato irritativo della macchina. Per questo motivo nella cura degli infermi si sono prescritti i rimedi indirettamente corroboranti, come le pozioni nitrate, l’emulsioni, lo spirito di Minderero, i discreti sudoriferi, gli emetici. Tali rimedi sono della classe dei debilitanti, o controstimolanti detti nelle scuole. Aspettando l’opportunità dopo l’uso di questi, venire alla pratica di un vino cordiale, alla decozione di serpentaria, china e valeriana. E quando si affacciassero sintomi di spasmodia con prostrazione di forze, si è stimato frapporre con le descritte medicine l’uso del muschio e del castorio, ed altri rimedi diffusivi e volatili”. Seguono le ulteriori determinazioni del Comitato. Noja 13 Marzo. Sono entrati in quarantena con le regole sanitarie Maria Giuseppe Guerra e famiglia, come pure Maria Di Lorenzo con suo fratello ed un Cappuccino. Noja 15 Marzo. Sono entrati in quarantena gli individui della famiglia di Francesco Festa, i padri Cappuccini, cioè lettore Luigi, fratelli Angelo e Vitantonio, e la famiglia Boccuzzi. Si è deciso che le biancherie 37
che si trovano nelle case dei contagiati debbono tutte bruciarsi. Noja 16 Marzo 1816. Il Comitato sanitario del medesimo Comune al Sig. Diaz comandante del cordone. “E’ nostro dovere passare a sua notizia che il Sergente contagiato si è mandato all’istante all’ospedale, mentre si è deliberato portarsi i soldati in osservazione disuniti nei magazzini di Sorino, subito che saranno disinfettati. Fu in pubblica piazza punito con cinquanta legnate il padre di quel
Palazzo Antonellis, oggi Santoro: al primo piano del palazzo era ubicata una casa di convalescenza.
ragazzo morto violentemente, perché aveva occultato l’antrace, la quale si era affacciata nella scapola un giorno prima. Tutta la famiglia si è mandata in osservazione nel rione del Carmine, non escluso anche un confidente di casa che vi trattava. 38
L’enunciato ragazzo si contagiò per contatto di generi infetti. Il veleno fu così violento nella sua azione, che lo privò di vita in meno di 24 ore. Il padre fu punito come colui che contro le legge aveva occultato la malattia del figlio. Una delle cagioni per cui la malattia si vedeva frequente più nel basso popolo, si era per l’appunto l’occultarsi pertinacemente qualunque affezione sofferta dai Nojani, di modo che venuta la Commissione di Napoli dovevasi con la forza obbligare tutti alla visita mattino e giorno, senza nessuna riserva. Con l’infliggere delle pene se mai qualcuno osasse dolosamente celare un inferno in famiglia. Per la famiglia del maestro Macchia, come pure per la signora Donna Eugenia d’Antonellis, si è determinato che le biancherie si bagnassero nella liscivia in presenza del signor Franchini, deputato sanitario, e di un membro del comitato medico.” Nello stesso giorno fui nel caso di riferire sull’andamento della malattia nel seguente modo: il contagio ha preservato per due settimane in uno stato permanente con qualche non lieve esacerbazione. Ciò si rileva dalla gravità dei sintomi, dalla rapidità del suo corso, o dal numero degli infetti provenienti dai luoghi di osservazione, non escluso qualcheduno che ne rifonde pure la città. I nuovi entrati vanno a soccombere in men di tre giorni, e precisamente coloro nei quali o si rivela un enorme fiaccamento di forze, o carattere di colera, accompagnata da vomiti di lombrichi. Si conta una ragazza morta fra due giorni con vibici nere, senza segno di antrace o di bubbone. Un ragazzo di nove anni è morto di antrace fra lo spazio di 24 ore. Sembra che qualche grado di miglioramento possa attribuirsi ai venti freschi boreali che hanno dominato nei principi di questo mese, e che l’esacerbazione fosse sopraggiunta dopo i venti meridionali ed occidentali che hanno regnato nelle settimane scorse. Si opinò che la stagione avesse potuto influire sulla indole irritativa della malattia, per cui i nuovi entrati si trattarono con i corroboranti indiretti, cioè a dire con le pozioni nitrate, con il calomelano, con le limonee e le emulsioni acidolate, con i sudoriferi, con il tartaro stibiato. Ma si è rilevato con molta evidenza dei fatti che questo regime controstimolante non ha corrisposto con successo. Gli infermi hanno ritratto il maggior giovamento dall’uso delle decozioni cariche di china, senz’altro rimedio volatile e diffusivo. Potrebbe in conseguenza di tali fatti considerarsi la china il rimedio più sicuro, 39
rimanendo ai periti dell’arte il teorizzare. E’ da sperarsi che la continuazione di tal metodo curativo affiancato dalla ragione e dai fatti, possa riuscire del maggior sollievo. Diversi macelli vi erano nei rioni, che spesso sporcavano la strada e quindi l’aria. Si pensò di inibirli con solenne divieto, trasmettendo l’invito alle autorità amministrative per le decisioni prese nel Comitato. Il Comitato Sanitario vuole che si venga subito alla completa esecuzione dell’art. 13 della seconda sezione del regolamento interno. Noja 17 Marzo 1816. Per la famiglia Deflorio presente nell’osservazione di casa Berardi si è risoluto che la quarantena deve principiarsi dietro il parto della madre di famiglia per nome Vittoria, e per essere povera si deve provvedere di tutto il necessario tanto per lo parto, quanto per tutt’altro occorrente per i bisogni della quarantena. Inoltre il Comitato ha deciso che gli individui che si trovano nell’ospedale dei poveri si adagiassero e si ponessero in quarantena con l’assistenza del medico della sezione, sig. Franchini, deputato della stessa, e del deputato Fusco. Noja 20 Marzo 1816. Giulia Borracci e Santa Rosa Dipierro si sono messe in quarantena con le regole sanitarie Noja 29 Marzo 1816. Fu da me osservata Maria Jaffaldano contadina di anni 32, di temperamento collerico sanguigno. La vedo febbricitante, con il polso ardito, celere ed ineguale. Il viso è pallido e smorto. La fisionomia scomposta, gli occhi torbidi con dilatazione della pupilla. Presenta un bubbone nell’inguine dritto con poca elevazione. Fu tradotta all’ospedale subito nel dì medesimo. Inutilmente fu trattata con le solite medicine. Alle ore 20 del 31 marzo, soccombe dietro perfetta sospensione dei polsi, nonostante che sembrava ragionare e rispondere alle interrogazioni dei dottori Doleo e Garron, curanti nell’ospedale pestifero. Di questo carattere parecchi ve ne furono nell’ospedale suddetto e taluni anche nei diversi angoli della città. Il veleno pestifero si vedeva operare con un genio proteiforme, a norma delle predisposizioni degli individui che aggrediva. In altra opera esporrò le mie riflessioni sul conto delle variabili fasi risultanti dall’azione del veleno pestilenziale. Nella maggior parte degli infermi pestiferati si avveravano sempre i sintomi descritti dagli autori sulle caratteristiche della Peste. In alcuni vi era il più approssimante confronto con la peste di Mosca, elegantemente descritta da Carlo Mertens. 40
Il contagio nel mese di Aprile
Aprile. La malattia contagiosa proseguiva tuttavia, e non poche osservazioni cliniche occorsero sotto gli occhi miei nelle visite giornaliere. N. N. Sergente del distaccamento interno, osservato di bel mattino nel corpo di guardia, lo ritrovo con lieve febbre, cefalgia e vomito verminoso: il polso a cento battiti, sorge dal letto a mia richiesta, non presenta alcun segno di esantemi, di bubbone e di antraci. Nel giorno seguente si appalesano tutti i segni della febbre pestilenziale: le forze vacillano, la lingua è tremula, sbiancata e tortuosa, secondo l’andamento della malattia in tutti i pestiferati. Gli occhi sono torbidi con pupilla dilatata, il viso scaduto e pallido , il polso debole, ineguale e cadente. Il vomito va tuttavia crescendo con deiezione di lombrichi e di bile per secesso: si ravvisa un bubbone nell’inguine depresso e scolorito. Viene subito condotto in ospedale, dove nel dì seguente soccombe, sotto la gravezza dei descritti sintomi con una profusa colera. Inutilmente si apprestarono al medesimo antelmintici, corroboranti e la solita decozione di china con altri opportuni eccitanti. Intanto tutto il distaccamento col Tenente Neoviller furono messi in osservazione con le più strette regole sanitarie. Di questo accidente fu dato immediatamente avviso al Comandante Diaz, capo del Comitato esterno, come si legge negli antecedenti fogli. In conseguenza delle suaccennate osservazioni e di tal altre analoghe, venni ad avanzare al Governo i seguenti rapporti in data 2, 7, 15, 21, 28 del suddescritto mese. La malattia non lascia di perseverare con esacerbazione, giacchè dai rioni vengono sempre degli infetti nell’ospedale, che vanno in breve tempo a soccombere. Oggi vi è il raro caso di un galantuomo che contagiato in città, si è mandato in ospedale. Il metodo curativo, che le lezioni dell’esperienza fan conoscere il più sicuro, si raggira nei più discreti eccitanti permanenti, specialmente nelle decozioni cariche di china. Il regime controstimolante, ossia indirettamente corroborante, se non è diretto con la pratica la più castigata, non riesce profittevole. Peggio assai se si voglia far abuso di forti eccitanti diffusivi. Le fasi della malattia riescono variabili da un momento all’altro, per cui il ragionare astrattamente sul merito della diatesi, non conduce che ad induzioni gratuite, ed in nulla coordinate con i fatti. 42
Il veleno pestilenziale considerato per gli effetti che rapidamente produce, attacca di fronte il principio vitale siffattamente, che i sistemi fondamentali dell’economia vivente ne restano direttamente interessati. In conseguenza delle nostre cliniche osservazioni ci è riuscito conoscere con evidenza che la malattia ha la più marcata fisionomia di debolezza e di abbattimento. Lo stato irritativo è lieve e fugace tanto che non presenta caratteri d’iperstenia. Il regime contro stimolante non sembra quindi gran fatto praticabile: quelli che felicemente è riuscito salvare sono tutti o per la massima parte affetti da bubboni elevati, estesi ed accompagnati da benigna suppurazione. Gli antraci, le vibici, le sugillazioni nere con prostrazione di forza si sono vedute per lo più sintomi di morte inevitabile.
Rione Pagano: il quartiere venne decimato violentemente dalla peste.
Se i bubboni sono scomparsi, si è affacciata all’istante la prostrazione delle forze con fatalità. Lo stesso è da dirsi degli antraci qualora non abbiano prodotta una benigna suppurazione. L’esterno metodo curativo il più sicuro si è rilevato nell’uso degli emollienti e delle unzioni oleose, così come l’uso dell’aceto e della posca si è ritrovato profittevolissimo nell’escara cancrenosa delle antraci. Non è da omettersi una rimarchevole osservazione riguardo ai bubboni: tosto che questi tumori hanno presentato una protuberanza estesa flogosata e con plausibile suppurazione, all’istante si è veduta la 43
calma dei sintomi febbrili, e l’infermo si è felicemente giudicato. Lo stesso fenomeno si è osservato dietro gli antraci benignamente supporati. Le circostanze della malattia al 7 di aprile presentano dal principio di questo mese un prospetto alquanto favorevole. Sebbene nell’ospedale morboso esistono 52 infermi, dei quali circa sei possono considerarsi in pericolo, tuttavia non si vede quel numero di morti, e meno quello dei contagiati provenienti dai rioni infetti e dal paese. Può dirsi che tutte queste giornate del corrente mese la città non ha dato alcun contagiato, dal momento che l’infermo signor Di Rienzo può considerarsi come venuto dal rione di Pagano, a cui la sua abitazione era contigua.
Casa palazziata in Largo Pagano.
Ciò nonostante non si può ancora definitivamente asserire che sia sicuro il periodo della declinazione. L’indole di questo morbo, per quanto terribile è per la rapidità dei suoi micidiali effetti, altrettanto è maliziosa. L’esperienza di tutti i periti dell’arte ci istruisce a non fidarsi di questo momentaneo cambiamento, potendo il morbo per qualche fomite ancora 44
esistente, riprodursi inaspettatamente con esacerbazione, al pari delle andate settimane. Ci auguriamo però, che spento finalmente il fomite contagioso, la malattia si riduca esattamente secondo il suo tipo, al desiderato periodo di declinazione. Voglia il Cielo coronare questo nostro presagio con fausto avvenimento. Il metodo curativo praticato con sicurezza e che ha meritato costante fiducia è stato quello appunto di cui si è data più volte contezza negli antecedenti rapporti. Ma il grande rimedio che ha formato il cardine della cura, con fermezza si può dire la china sola, apprestata in cariche decozioni, senza il mescolamento di altri stimolanti diffusivi. La china in sostanza spesso ha prodotto un aggravio allo stomaco, per cui non è riuscita gran fatto tollerabile. Le sole affusioni fresche, più che il bagno fresco generale, hanno arrecato un pronto sollievo all’orgasmo febbrile e nelle furie del delirio, che è quanto dire nello stato irritativo. Questo però si è rilevato generalmente così fugace e variabile da un momento all’altro che, se non fosse stata accompagnata l’affusione fresca ed il bagno delle suaccennate cariche decozioni di china, non ne sarebbe risultato il minimo vantaggio. Poiché si son vedute in complicazione delle affezioni verminose, si sono sperimentati nei primi giorni della malattia, il calomelano e il mercurio dolce con qualche assai discreto eccoprotico, risultando alquanto giovevoli per l’eduzione di lombrichi; ma in seguito hanno cagionato una totale prostrazione di forze. La sola virtù antelmintica, eccitante ed ossigenante, si è rinvenuta nella corteccia peruviana. Da tali premesse sembra potersi dedurre una induzione della più estesa importanza, che la Cincona Officinale sia l’unico rimedio che in questo riscontro ha corrisposto e corrisponde tuttora ad una ragionata indicazione.
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La visita al Rione Pagano
Rapporto in data del 15 dello stesso mese. “Dal tenore dei quadri nosografici giornalmente redatti, si rileva lo stato della malattia tendente a qualche mitigazione: dal principio del corrente mese nessun contagiato si è rifuso dalla città. Il solo rione di Pagano ne ha dato qualcheduno. Nell’ospedale morboso pochissimi sono i gravi. Nell’interno del luogo , all’infuori di qualche mite pluritide o reuma, non si vedono malattie intercorrenti di indole grave. Ciò nonostante la malattia di suo carattere sempre perfida, non lascia farci temere qualche inaspettata sorpresa. Speriamo peraltro che, secondo il tipo delle malattie contagiose, l’equinozio della primavera potesse avere non qualche lieve parte nella sua declinazione. Non è già che si voglia contare, sulle tracce dell’antichità,
Via Carmine. Palazzo Lamanna, oggi Siciliano. Casa di osservazione nel periodo della pestilenza.
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nell’influenza astrale, ma perché l’avanzata ossigenazione atmosferica per la vegetazione delle piante, l’aumentata influenza della luce solare, la continua ventilazione diurna possano probabilmente concorrere alla decomposizione del veleno pestifero. Queste riflessioni fomentano la nostra ragionata lusinga per la tanto bramata declinazione, tanto più che la città dall’epoca descritta presenta una fisionomia più giuliva e ridente. Si diede conto nei passati rapporti del metodo curativo sperimentato con costante fiducia. Si insiste nel medesimo regime con egual profitto, vedendosi diminuito oltremodo il numero dei morti. Fra breve passeranno molti alla convalescenza. Ieri appunto da tutti il Comitato si fece una visita generale nel rione Pagano per assicurarsi dello stato di salute di tutti gli abitanti del medesimo. Vi si rinvenne un individuo contagiato, che fu subito trasferito nell’ospedale. In osservazione non vi è alcun infermo di malattie correnti. Benchè la malattia dal principio del corrente mese abbia presentato la più marcata mitigazione, sì per il minor numero dei morti nell’ospedale, come per la qualità dei sintomi con i quali procede, pur nondimeno non lascia di dimostrare svelatamente il pernicioso carattere di tifo pestilenziale. Dei dodici individui che si trovavano nelle carceri e che furono, per ordine superiore, destinati al servizio dell’ospedale pestifero, otto di essi sono stati già attaccati dal contagio. Qualora però si prenda in osservazione che nel mese di marzo ne sono morti 155, laddove in aprile 35, e che dal fine di marzo in poi si sono vedute delle giornate vacue di morti, non può mettersi in dubbio che il cambiamento della malattia venga a promettere una felice declinazione, correndo il sesto mese inclusivo dacchè si sviluppò il micidiale contagio. Nella convalescenza dei Cappuccini esistono attualmente 85 individui. Altri 46 alla valetudinaria nel palazzo Antonellis e dall’ospedale sono passati alla casa Lioce , nuovo locale di convalescenza. Tutti questi individui, come altresì 29 della casa di Evoli, 65 di Lamanna, 44 di Berardi ed otto della casa di Cristo godono di salute validissima. La città intera è in uno stato di ilarità e di benessere per il favore della bella stagione. Le malattie intercorrenti procedono con la massima benignità. Dalla città in tutto questo mese quattro soli individui sono venuti contagiati all’ospedale. La signora Angela Zivani, affetta da febbre continua remittente 49
con segni di sospensione contagiosa, fu trasferita nella sala di osservazione, dove si trova con qualche miglioramento”. Segue altro rapporto in data del 28. Non vi cade alcun dubbio che il morbo contagioso inclina alla sua progressiva declinazione. In questo periodo però non lascia di presentare i caratteri virulenti di tifo pestilenziale nulla affatto paragonabile con altre malattie endemiche che si sono osservate per l’addietro. Sebbene per la città non si è veduto da più giorni alcun contagiato, tuttavia quelli che vengono dal rione Pagano sono travagliati da sintomi più gravi e violenti. Tant’è vero che intere famiglie contaminate dal sopradetto rione vanno a soccombere in breve tempo con tutti i caratteri del contagio pestilenziale. E’ da marcarsi che in quest’ultima epoca alcuni di tali infermi vanno a morte da un momento all’altro. Mentre si lusingano di essere sani,
Via Lucafò. Fregio architettonico del Palazzo Berardi I in cui era localizzata una casa di osservazione.
rispondono alle interrogazioni, accusano di non sentire impressione di malessere, si cibano con piacere, all’istante senza agonia restano vittime della morte, ad onta di qualunque rimedio. Aggiungasi inoltre che dei dodici individui sani, destinati al servizio dell’ospedale, undici sono stati affetti da contagio, con bubboni, antraci, febbre con delirio, abbattimento di forze, e di questi son morti di già quattro. Queste sicure osservazioni e questi fatti veri ed innegabili, possono scrivere di solida prova, onde accertarsi della sicurezza della malattia in questione, nonostante il suo abbassamento, da persuadere convincentemente non solo la ragione medica ma chiunque è fornito di senso comune. Quantunque per lo addietro vi siano stati dei casi rari che i bubboni degeneravano in cancrena, pure oggi si osservano più frequenti a subirla. Ad Oronzo Ciavarella già morto con bubbone cancrenato, aggiungerà altri due, cioè Francesco Massaro e Giacomo Benedetto attualmente infermi. 50
L’indecenza di Don Filippo Lamanna
Maggio Poiché il Commissario del Re vegliava tuttavia per la salute pubblica, non mancava di insinuare a tutti i funzionari l’esatto adempimento delle specifiche attribuzioni e l’allontanamento dalle discordie, dai traviamenti e dagli abusi che, in circostanze dolorose di blocco, erano facili a vedersi. Fu questo il motivo per il quale a un di lui foglio scritto sull’oggetto, dovette il Comitato dare i seguenti rilievi. “ Riconoscendoci sempre più grati alle ammonizioni salutari che ci vengono dall’Eccellenza Vostra, abbiamo motivo di ringraziarla col più vivo del cuore, ed uniformandoci allo zelo ed al senno con il quale c’incoraggisce all’esatta esecuzione dei nostri doveri. Abbiamo parimenti l’opportunità di passare a sua conoscenza che i venerati suoi caratteri hanno scosso fortemente l’animo degli sconsigliati, i quali oggi pentiti dei loro traviamenti, protestano di piegarsi con cieca obbedienza alla via della ragione ed alla osservanza di tutto ciò che riscuote il grande obietto della salute pubblica. All’enunciante efficacissime ammonizioni pervenuteci dall’Eccellenza Vostra, hanno fatto eco i tratti della infinita provvidenza che ha punito con la morte un individuo, forse il più sofistico sul carattere della malattia corrente ed il meno esatto nelle regole dalla sobrietà e della temperanza. Egli è questo don Filippo Lamanna che poco fa finì di vivere infelicemente nell’ospedale morboso con febbre pestilenziale, accompagnata da due bubboni e da altrettanto antraci. Egli era nel rione di Pagano, per la morte seguita di una serva contagiata. Costui non viveva con decenza e morigeratezza corrispondente al suo carattere. Il perché accoppiandosi la sua sconsigliata negligenza e temerità, non solo è venuto ad incontrare la morte, ma l’ha prodotta altresì in altri individui in famiglia, perché è morta egualmente contagiata una di lui serva gravida, con un altro ragazzo trasferito all’ospedale. Declamando il medesimo contro il carattere della malattia, maneggiando incautamente dei pegni che egli faceva, ed introducendo indistintamente della gente in casa, si presume probabilmente autore della diffusione contagiosa, così rapida nel descritto rione, dietro l’epoca della sua permanenza ivi, ha dato un numero così grande di contagiati. E’ accaduto altro triste accidente nella casa di osservazione di Lamanna per una sciagurata donna che, furtivamente salendo il tetto di detta casa, è passata in quella di Anna Borracci a prendersi alcune 52
biancherie sospette di contagio, e che ivi aveva lasciato da più tempo per metterle in serbo. Per questo inopinato successo il Comitato sarebbe nella risoluzione di prolungare per altri ventuno l’osservazione, e con ciò a ritardare il passaggio degli individui contenuti in detto luogo nel palazzo di Antonellis, dove oggi vanno a passare, con le più rigorose leggi sanitarie, tutti gli individui delle osservazioni di Evoli. La risoluzione del Comitato fu pienamente approvata dal Supremo Magistrato della Salute. E’ da avvertirsi che l’enunciato sacerdote Lamanna fu uno dei più giurati pirronisti sulla natura del contagio, nonostante che come deputato
Largo Pagano. Portone d’ingresso di Palazzo Lamanna.
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dell’ospedale morboso, sotto i propri occhi mirava tuttora buon numero di contagiati perire con i più minacciosi sintomi della peste. Una di lui serva venne da me visitata, fu vittima di morte in meno di 48 ore. E’ pregio di opera non ignorare la storia della di lei malattia: N.N. ragazza di anni 18, di temperamento collerico sanguigno, di validissima complessione, di condizione fante dell’enunciato don Filippo Lamanna. Chiamato a visitarla di buon mattino la ritrovo febbricitante: il polso sopra 100 battiti, la lingua arida piuttosto e alquanto sbiancata, non dava segno alcuno di febbre contagiosa. L’ordine generale delle funzioni non si trovava sensibilmente invertito: obbligata all’osservazione dei pudendi, per verecondia meticolosa si duole e piange. Smarrita di fisionomia con qualche principio di ansietà nei precordi, chiede un lieve lassativo per la stitichezza che accusava da cinque giorni. Se le prescrive un purgante di quattro grammi di cremor tartaro e nitro a più riprese. Ne propina appena una ben lieve quantità: due ore dopo è sorpresa da cardialgia, deliquio d’animo e d’angoscia mortale. Diviene afona, convulsa ed agonizzante. Il polso si abbassa, si fa piccolo ed intermittente: raffreddata negli estremi, impallidisce in un tratto con enorme abbattimento di forze, e mentre si disponeva di farla condurre nell’ospedale contagioso, muore verso l’ora di mezzogiorno. Dopo la morte si vedono nel di lei cadavere due bubboni depressi nell’inguine e di colore smorto: le membra flessibili e non incordite. Questo fenomeno fu osservato in tutti i pestiferati, forse per la totale perdita della contrattabilità muscolare sotto l’azione del miasma pestifero. Di lì a poco Pietro Rocco, compare dello stesso prete, muore contagiato con bubbone nell’inguine, con vomito, diarrea e delirio malinconico. Muore pur anche la moglie di costui con bubbone e con lingua carbonizzata come un velluto nero. Và a perire un di loro figlio parimenti con bubbone, vomito continuo di bile e vermi, con prostrazione di forze e con delirio. Finalmente muore un’altra sorella alle suaccennate, con bubbone, vomito e prostrazione di forze, rimanendone una sola superstite, che era la più vecchia, ma di buona complessione, curata con le decozioni di china. Giova por mente che nella peste di Noja i vecchi sono stati i meno affetti: le gravide e i fanciulli più esposti al pericolo. Dietro la disgraziata perdita della enunciata famiglia Lamanna, dimorante nel rione Pagano di già isolato con barricata, si vide in tutto il distretto sventuratamente diffusa 54
ed esacerbata la peste, onde ne passai il seguente rapporto”. La malattia intanto procede con la massima violenza, spiegando tutti i caratteri del tifo orientale. Le petecchie sono nere e meritano piuttosto il nome di vibici. Il delirio furioso è il sintomo più costante. Si osservano poi vomiti verminosi, diarrea colliquativa, epistassi ed ematemesi, somma prostrazione di forze, febbre ora ardita ora lenta, ora dolosa remittente. L’eruzione esantematica, che accompagna il delirio, non è punto analoga all’ordinaria petecchiale, ma è tutta propria della peste. Le macchie eruttive sono livide e quindi nere di modo che dopo la morte la pelle si vede tutta come carbonizzata. Per i deliranti furiosi non si è sperimentato altro più salutare e pronto rimedio che l’affusione fredda e indi le decozioni di china. Mediante queste medicine gli infermi che sembravano gravi e pericolanti, pare che tendano a plausibile miglioramento. Noja 10 maggio 1816. Da più giorni Noja presenta la più ilare fisionomia: il numero degli infermi è diminuito. Nella giornata di oggi non vi è stato alcun morto: gli infermi provenienti dal nido di Pagano non presentano sintomi così gravi e rapidi come prima.
Palazzo Antonellis in Via Carmine. Particolare del I piano.
L’osservazione della casa Lamanna da più tempo è incolume, Evoli, Cristo e Berardi da nove in dieci non rifondono malati. La città è in calma dagli undici del mese: nella casa di Antonellis, nella valetudinaria dell’ospedale, nella convalescenza di Lioce ed in quella dei Cappuccini esistono 266 individui. 55
Godono essi di salute validissima da 33 giorni. Tutta la città è barricata con rastelli , ed i cittadini brillano nel buon essere per il favorevole prospetto della malattia, come per i comodi della vita, che non mancano anche ai poverelli, mediante le paterne cure del nostro amabilissimo Sovrano. Dietro questo mio rapporto si compiacque rispondere il Commissario del Re maresciallo Mirabelli: “Dal quartiere generale di Bari al sig. dottor Arcangelo D’Onofrio. Sig. Presidente ho letto il rapporto di codesto comitato della data di ieri. Il mio cuore si compiacque sentire che gli sciagurati si siano ricreduti dei loro errori. La mano della Divina giustizia avendo punito il Sacerdote Lamanna, autore nefando della propagazione del contagio nel Rione di Pagano, credo che questo avvenimento sarà molto giovevole a garantire la salute dei Nojani che non hanno ancora subito il contagio. Relativamente poi alla risoluzione presa di prolungare per altri ventuno giorni l’osservazione degli individui rinchiusi in casa Lamanna, io la trovo regolare e la sanziono. Con la più stretta regola sanitaria potrà disporre che passino nella casa Antonellis tutte le famiglie che di loro volontà si trovano nel Rione del Carmine, e che codesto Comitato mi annunzia nel mentovato rapporto. La prego signor Presidente in modo che tutto riesca con la massima regolarità e precisione, onde possiamo ottenere una volta lo scopo tanto desiderato dell’estinzione del pestilenziale miasma. Ho molta fiducia nei membri che compongono codesto Comitato ed in lei che così degnamente lo presiede, per essere sicuro che nulla si trascurerà per sottrarre dalle braccia della morte il resto degli infelici Nojani. Ho l’onore di prestarle la mia distinta stima e considerazione”. Mirabelli.
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La situazione nel rione Carmine
Noja 12 maggio 1816. Il Presidente del Comitato sanitario interno di Noja a Sua Eccellenza Maresciallo Mirabelli, commissario del Re, e al signor Cavaliere Garofalo, deputato del supremo Magistrato di salute: “Signore, mancherei al mio dovere se trascurassi di ringraziare le Eccellenze Vostre della fiducia che si compiace riporre nella mia persona. Mi duole che la salute, per ogni lato cadente, non mi permette di agire quanto vorrei per corrispondere al desiderato scopo e all’adempimento della mia carica. Si assicuri però che, siccome per lo passato non ho mai omesso la più gelosa esecuzione dei miei doveri e per la cura degli infermi e per lo regime preservativo, nonostante il conflitto delle opinioni contrarie. Così in oggi, smentita l’opinione dei traviati, mi auguro che la mia voce e la mia cooperazione vogliano avere un miglior successo. Debbo però prevenire l’Eccellenza Vostra che questa popolazione, quanto sembra docile, altrettanto è facile ad essere illusa, da chi ha potuto e potrebbe travedere per privato interesse, sui caratteri di una disavventura che svelatamente manifesta la sua ferocia. Sebbene lo scetticismo di questi sconsigliati si è cambiato in un vano pentimento ed in timore, tuttavia è di assoluta necessità che l’E.V. faccia spesso sentire l’autorevole tuono della sua voce per ridurre tutti a temperamento, onde non vi sia chi osasse traviare dal cammino della ragione in un affare di tanto interesse. Non si lascia alcun mezzo per evitare gli affollamenti nelle pubbliche botteghe e nelle piazze. Per ciò che riguarda alla sezione di un cadavere pestiferato, prevedendosi che nessun vantaggio sarebbe risultato a fronte dei pericoli imminenti, cercai d’impedirla, ma inutilmente, perché fu di già eseguita senza mia intelligenza e intervento. Vi assistettero peraltro dei bravi professori e i due chirurghi del Reggimento Estero, dottor Garron e Perrone, che la fecero eseguire con tutte le più rigorose riserve. Per gli individui separati nel lazzaretto puro di Antonellis, si desidera sapere se sia permesso di farvi introdurre delle biancherie provenienti da persone sane, però lisciviate in acqua bollente prima di passarvele. Si chiede anche consiglio se trovasi espediente la stabile fissazione in detto luogo di Antonellis, di un medico e di un chirurgo ivi soggiornante. Io non mancherò assiduamente dare piena contezza all’E. V. di quanto occorre perché si sostenga l’attuale energia, lo zelo e l’esattezza per attingere quella meta che tanto ardentemente si desidera… 58
Gradisca V.E. i sentimenti della mia ubbidienza e rispetto, con cui mi dò l’onore di rassegnarmi”. Dott. Arcangelo D’Onofrio.
Via Carmine. Stabile ottocentesco utilizzato come ospedale di osservazione. Nel palazzo abitava il responsabile del Comitato Medico, dott. D’Onofrio.
Nella descritta giornata occorsero due osservazioni di non lieve momento. Vittoria Borracci, contadina di anni 18, con polsi bassi, inceppaci, sepolti, ineguali, con aspetto ippocratico sull’andare dei pestiferati, viene da me osservata nel mattino. Indi a poco presenta un bubbone nell’inguine 59
destro. Segue profusa diarrea con vomito di bile nerastra. La pelle è macchiata da placche nere: viene dalla città all’ospedale dove muore dopo di esservi entrata. Nella casa di osservazione di Evoli, fuori delle mura della città, osservo con il dottor Doleo e con il chirurgo Garron, Domenico Teutonico di anni 70, di temperamento piuttosto flemmatico, con lingua scissa, arida, tremula, e balbuziente, infermo dall’antecedente notte. I polsi sono celeri, frequenti, ineguali, intermittenti. Le forze abbattute van mancando a momenti. Tutto dimostra l’apparato della micidiale febbre contagiosa. Parimenti portato nell’ospedale, muore dopo il lasso di poche ore. Erano dapprima in marzo ed aprile accadute analoghe osservazioni, che facevano molto temere della ribelle e perseverante contagione. Teresa Majura, di anni 40, di condizione contadina, di temperamento sanguigno, osservata il 29 marzo da me e dai dottori Doleo, Rubino e Garron, con febbre acuta, con bubbone sotto l’ascella destra: rifinita di forze, con ansietà, pallore, polso cadente al tatto e lingua tremula con le solite strisce, fu portata nell’ospedale dove muore alle ore 21 dello stesso giorno. Contagiata per contatto di generi infetti occultati.
Piazzale antistante la Chiesa Madre. La buca dell’ipogeo scoperto durante i lavori di sistemazione stradale nel 2009.
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L’intera famiglia di un sarto dimorante nella strada del Casale, luogo di mio carico perché attinente alla prima sezione, va a perire per il fratello giovane di 23 anni, che si contagiò per generi contaminati ricevuti clandestinamente dalla sorella di lui nell’ospedale del Carmine. Dapprima il fratello e quindi due sorelle l’un dopo l’altra perirono infelicemente con bubboni, antraci e vomito verminoso in meno di quattro giorni nell’ospedale. Una ragazza di anni 13 nella strada del Carmine, osservata di bel mattino con febbre che mentiva essere dalle reumatiche, visitata nella sera la ritrovo maggiormente aggravata: ma non apparivano ancora segni decisivi di contagio. Nell’indomani cresce la debolezza: sotto profusa diarrea colliquativa, balbetta, sincopizza, delira e in un tratto dà segni della febbre contagiosa. Condotta nell’ospedale, va a soccombere dopo tre giorni, ad onta del solito regime curativo opportunamente adoperato dai dottori Doleo, Rubino, Perrone e Garron, addetti a quell’epoca alla cura dell’ospedale. Si rilevò contagiata per contatto di generi clandestini pestiferati di una congiunta di lei. Del pari fu il destino di una donna abitante presso il Rione di Pagano. Visitata ed interrogata da me e da tutto il comitato, risponde essere inferma di costipazione per infreddatura sofferta. Sulle prime nessuno dei segni patognomici annunziava essere infetta. Nell’indomani visitata novellamente, si osservano tutti i sintomi gravi del tifo pestilenziale: non è più in stato di sciogliersi dal letto, il polso è depresso, interno, piccolo e celere oltremodo. Gli occhi appaiono strisciati di rosso, la lingua è tremula e tortuosa, la fisionomia è scomposta, il colorito piombino. Esplorata nei pudendi si osservano due bubboni nel dibasso dei femori. Subito è condotta nell’ospedale: dopo il lasso di quattro giorni miseramente soccombe. Per tutti questi infermi furono tentati sul principio, in tempo opportunissimo, i rimedi controstimolanti, e quindi i lievi corroboranti nervini, senza verun successo. Nella maggior parte degli infermi emergenti dal contaminato Rione di Pagano, nel colmo della diffusione prodotta dopo la morte del prete Lamanna, si osservarono i più temibili e spaventosi fenomeni di peste, probabilmente prodotti dal contatto di generi occulti contagiati. I professori ivi destinati, dottor Giuseppe Scalea e il dottor Gregorio Lamari, erano stonati dal prospetto delle terribili mortali anomalie che da un 61
Chiesa Madre. Interno dell’ipogeo. Si notano i resti mortali degli appestati e le aperture di comunicazione con altri locali sotterranei della Chiesa.
momento all’altro troncavano il filo della vita degli infelici infermi. Taluni di notte in poche ore spiravano: altri agonizzanti erano condotti all’ospedale, dove in un attimo morivano sotto qualunque regime che l’indicazione sembrava di suggerire. Né vi mancò tra i non medici chi con cieco entusiasmo volle riprovare l’uso dei rimedi contro stimolanti, che non furono giammai adoprati a controtempo. Come pure più altri si sollevarono a riprovare temerariamente la pratica degli elisir e dell’ammoniuro di mercurio, che pur veniva, secondo l’uopo della prudenza dei miei colleghi, felicemente proposto. Ma è deplorabile destino dell’uomo che debba istruirsi della esperienza dei suoi errori, e che comincia a profittarne quando è presso alla tomba.
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La lettera di Vito Lasorella
Fuvvi tra soggetti Nojani colti chi volle darmi un ragguaglio del principio della malattia. Ne reco il foglio genuino per la sicurezza del fatto, onde dimostrare che non mancarono ivi degli assennati, i quali dal ben principio conobbero le insidie del micidiale miasma. Noja 28 maggio 1861: il secondo eletto Ufficiale dello stato civile di questo Comune, al signor Presidente del Comitato medico e Direttore dell’Istoria della Peste di detto Comune: “ Signore, nel giorno 23 novembre scaduto anno, come si sa, passò a miglior vita Liborio Didonna. La sua morte violenta e l’esaminata posizione in cui trovavasi la moglie ancora, mi fecero, non senza ragione, entrare nel sospetto che tali infelici fossero stati avvelenati. Mi denegai perciò a permetterli sepoltura sino a che non avessi discorso con il loro medico curante, dal quale fui assicurato che il detto Liborio Didonna era stato assalito da un tocco apoplettico, e che la moglie veniva bersagliata da un’asma medicinale.
Piazza Umberto I. Palazzo Evoli: nel 1816 sede del presidio medico e militare.
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Tranquillizzatosi il mio spirito dietro tale relazione, diedi libero permesso a farli seppellire. Ma la morte improvvisa di una certa Angela Rosa Lacoppola e lo stato perverso che affliggeva la madre e la sorella della defunta, fece insorgere nuovi sospetti nell’animo mio: diedi parte al Sindaco di allora, come aggiunto di pace, e invitai tutti i Professori del luogo per esaminare attentamente non solo il cadavere, ma anche le sopradette ammalate. Si conobbe che i sintomi corrispondevano in buona parte alle istruzioni che si avevano dal detto Sindaco, sulla febbre contagiosa regnante in Dalmazia, e perciò mentre noi tutti insieme, a vista di tali avventure, eravamo nella risoluzione di darne peste. Sua Eccellenza il signor Intendente della Provincia, avendo inteso ciò che qui avveniva, inviò subito i signori Professori Musci e Pavone, il dì 13 dicembre, al fine di conoscere il carattere della malattia. Nulla di certo si concluse allora e rimanemmo nell’appuntamento di stare attenti ad osservare qual piega andava a prendere il morbo, il quale non cedendo, ci fece di nuovo chiamare i suddetti Professori. Scovertosi perciò l’indole maligna del male, venimmo cordonati la sera del 29 dicembre del 1815. Ho avuto premura di passare alla vostra conoscenza questi piccioli fatti, acciò nell’andamento storico non fossero trascurati. Vi prego perciò a farne quel conto che crederete opportuno, anche per la ragione delle attribuzioni del mio impiego. Gradite intanto i sentimenti della mia stima e vi saluto”. Vito Lasorella. Rapporto del Comitato Medico sullo stato della valetudinaria dell’ospedale,in data 27 del suddetto mese: “Nella valetudinaria dell’ospedale una bambina di circa un anno e mezzo, dopo aver sofferto febbre con vibici e bubbone, oggi si trova con piaga di decubito tendente al marasmo. Francesco Massaro, da quarantuno giorni infermo per febbre pestilenziale con bubbone all’inguine dritto degenerato in escara cancrenosa sul ponte di Pauparzio, dopo la caduta dell’escara descritta ha sofferto una profusa emorragia. Frenatasi però questa con le leggi dell’arte, trovasi in qualche miglioramento. La di lui piaga dell’estensione di due terzi di palmo, ha dato felice suppurazione ed è augurabile la sua guarigione. Vittoria Ardito ed Onofrio Ciavarella contadino, contano entrambi 65
22 giorni di permanenza nell’ospedale. Furono nei primi giorni travagliati da delirio maniaco che andò a cedere con la febbre dietro le effusioni fresche di posca e dietro le larghe bevute della decozione di china, senz’altro rimedio diffusivo e volatile : oggi entrambi si trovano con mite febbre e con bubboni supporati. Il resto degli altri infermi al numero di 14, attualmente promette esito favorevole, tranne Maria Diperna, la quale perché affetta da estesissima antrace sul fianco sinistro, comecchè circoscritta, non di meno per la febbre che soffre e per lo sfinimento delle forze, fa dubitare di sua vita. E’ da eccettuarsi anche Savino Giordano, uno dei becchini ultimamente pervenuti, il quale contagiato con abbattimento di forze, delirio, balbuzie, e bubbone in entrambi gli inguini, va peggiorando. Non deve tacersi che la malattia, nonostante di carattere perfido e micidiale, non procede con quella celerità di tempo dei passati giorni, giacchè di costui, corre il sesto giorno di malattia alla quale si è trovato predisposto per l’eccessivo timore concepito sull’entrare nell’ospedale. Il medesimo asserisce di essere stato contaminato nella peste di Malta.
Via Lucafò. Nella via era localizzato Palazzo Berardi I utilizzato a casa di osservazione.
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Il ringraziamento al Re
Noja, 28 maggio 1816. Fu ordine preciso del Sempre Clementissimo nostro Re, che nulla si risparmiasse a sollievo degli infelici Nojani: quanta biancheria e quante vesti facevano d’uopo ai convalescenti e agli individui di osservazione e ai medici, furono ad ogni richiesta del Comitato a larga mano inviate. Intanto la malattia dimostravasi con variabile aspetto, di sorta che ne passai una circostanziata descrizione: “Per gli antecedenti rapporti ha potuto V. E. rilevare i sintomi che hanno accompagnato la malattia sino a questo termine progressivo. Se il veleno pestifero ha colpito il sistema dei nervi, la febbre si è veduta sotto il carattere di nervosa maligna: sfinimento di forze, vertigini, lipotomia, delirio sono stati gli immancabili sintomi a malattia nascente. Per segno più letale si è sempre rilevato quello della dilatazione delle pupille, della deficienza di polso, cui è seguita inevitabilmente la morte. Talvolta la febbre si è sviluppata con brividi, dietro ai quali è seguito un calore scottante. Questa sembrava rivestita del carattere di continua rimettente: ma nel rimettersi, invece di veder calma e miglioria, i polsi divenivano piccoli, interni e capillari. Siccome con l’antecedente febbre descritta, il periodo è stato brevissimo in meno di tre giorni, così con questa seconda specie il periodo è stato sempre prolungato. Lingua scissa, tremula, strisciata ed adusta con sete. Delirio furioso, vibici, talvolta lividi, talvolta piombini a guisa di strisce bianche, bubboni, antraci, carbonchi, hanno fatto corredo dei sintomi ordinariamente osservabili nelle giornate progressive. Gli infermi affetti da questa seconda specie di febbre, se presentavano bubboni elevati e flogosati abbastanza, se le antraci passavano a una benigna suppurazione, se frammezzo alle effusioni fresche e alle cariche decozioni di china, si calmava il delirio e la febbre: hanno dato sicure prove di miglioramento e di felice guarigione. Tanto nella prima che nella seconda specie di febbre, se mai vi fossero complicate delle impurità gastriche con frequenti vomiti e diarree biliose, o con affezioni verminose, inevitabilmente hanno incontrato la morte, ad onta di tutte le più energiche attenzioni curative. Coloro che si sono veduti colpiti da morte improvvisa, hanno sempre presentato tutto l’ambito della cute macchiato d’esantemi neri, di vibici e sugellazioni cancrenose, come carbonizzate, specialmente negli estremi. Si è pure osservato per sintomo costantemente letale, il decubito 68
supino ed una marcata contrazione del dito pollice sull’indice della mano, come altresì la balbuzie e il letargo. Deve parimenti riflettersi che alcuni infermi affetti da spasmodia nella febbre della prima specie, sono stati affetti talvolta da amaurosi perfetta in un occhio, e altri da perfetta cecità affatto incurabile. Di questi se ne contano fino a tre, cioè Francesco Di Francesco, che ha perduto l’occhio sinistro e che oggi è tra i valetudinari. Nicola Difino che perdè l’occhio sinistro e che infelicemente andò a perire, e finalmente Giacoma Gassi che interpolatamente perdè ambo gli occhi e che poi andò a soccombere. La descritta serie di sintomi si è costantemente osservata dal primo nascere della malattia. Oggi riflettendosi seriamente sull’andamento di essi e sugli attuali infermi contagiati, si rileva alquanto di divario, a conto della celerità del tempo: imperocchè questi ultimi non si vedono così violentemente travagliati, chè anzi quel becchino maltese che trovasi con due bubboni e due carboncelli e che nei giorni passati è stato aggravato da più seri sintomi della febbre della seconda specie descritta oggi, nel nono giorno della sua malattia, dimostra qualche miglioramento e per il delirio calmato sotto le effusioni fresche e per la febbre ammansita dietro le bolliture di china, e per la benigna suppurazione che promettono i di lui tumori pestilenziali. Questo individuo di temperamento sanguigno colerico, di presso a 40 anni, dopo i descritti gravi sintomi, ebbe una lunga convalescenza non scompagnata da febbre, cui dava sovente occasione qualche disordine dietetico. Per la suppurazione alquanto tardiva dovette mantenersi in valetudinaria molto tempo sotto un regime rigoroso. Garron, Perrone e Doleo, miei degni collaboratori, per due volte al giorno mi davano contezza del cammino della di lui convalescenza, ed io bene spesso lo visitai nella valetudinaria dell’ospedale fino al tempo della di lui guarigione. Ricorrendo al 30 maggio il giorno onomastico del nostro amabilissimo Sovrano, mentre oltre della giornaliera prestazione di ducati 400, furono profuse somme e beneficenze agli indigenti ed in contanti e in abiti e in letti. Il Comitato Medico solennizzò questo lieto giorno con assistere a tutte le operazioni. Non mancò di manifestare sentimenti di giubilo con la seguente epigrafe latina:
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DUM ATRA NOX ILLUNIS NOSTRIS TERRIS MOERORE LUCTUQUE CONFECTIS JAMDIU INCUBIT ILLAM PENITUS DISIECIT VELUTI SOL REDUX FERDINANDUS INCLITUS PIUS AUGUSTUS SUMMUS NOSTER IMPERANS MAGNI CAROLI FILIUS MERITATISSIMUS ARDENTIORIBUS VOTIS EXOPTATUS MEMORANDUM HUNC DIEM MELIORIBUS LAPILLIS SIGNANDUM OB GRATI ADDICTISSIMIQUE ANIMI SIGNUM UNIVERSUM MEDICORUM COLLEGIUM AD NOJANAM PESTEM CURANDAM INCUMBENS INTER TOTIUS REGNI LAETITIAM CONCELEBRAT DIEM III KALENDAS JUNII AD MDCCCXVI
Traduzione: Intanto che l’oscura notte senza luna minaccia già da tempo, avendo afflitto le nostre terre nella tristezza e nel lutto, il pio augusto illustre Ferdinando, nostro sommo sovrano, degnissimo figlio del grande Carlo, agognato con preghiere piuttosto ardenti, le dissipò completamente come un sole che ritorna. Tutto il Collegio dei Medici che si applica con tutte le forza a curare la peste nojana, celebra nella letizia dell’intero regno questo giorno da ricordare, da segnare tra i fortunati, come segno di animo riconoscente e molto favorevole. Noja, 30 maggio 1816.
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Il caso di Nunzia Ottomano
Noja, 6 giugno 1816. Il caso Ottomano. Nel seguente rapporto leggesi il caso dell’ultima contagiata, l’osservazione della quale venne a cadere nella mia visita per mero accidente. Se ne formò un verbale del Comitato, giuste le regole.
Largo Chiesa Madre. La lapide ricorda la presenza dell’ipogeo esterno alla chiesa che accoglie i resti degli appestati.
“Ieri si trovò in città Nunzia Ottomano contagiata, e propriamente nel vicoletto di S. Nicola. Dopo minute indagini si sono rilevate le seguenti tracce: ha riferito il fratello della contagiata Sebastiano Ottomano, di anni 16, che dieci giorni fa tanto esso che la sorella contagiata giocavano in un sottano di Domenico Alonzo in unione di Vittoria Dipierro, sopra il terrazzo. Dove avendo trovato una coverta di tela di Persia, si misero a
Chiesa Madre: piazzale antistante, nel sottosuolo l’ipogeo esterno.
maneggiarla, di che avvedutosi l’Alonzo, corse a batterli dicendo che non voleva che fosse maneggiata. Disse di più che sua madre ricevè da Isabella Diflorio, che abitava al piano superiore della sua casa, un busto d’amuerro nero, una gonnella di 72
Chiesa Madre: la volta del Cappellone del SS Sacramento. Nei sotterranei furono sepolti i primi appestati.
galangà, un mantesino di velo, e mezzo rotolo di bambagia filata, in tempo che la detta Diflorio passò all’ospedale di osservazione. Quando ebbe il figlio contagiato, quali queste robe furono bruciate da lui, dalla madre e dalla sorella, allora quando si pubblicavano gli ordini del signor Maresciallo Mirabelli. Quindi essendo entrato un membro del Comitato e un Deputato di salute nel sottano, si avvertirono di un muro a crudo, ed avendolo fatto demolire con le leggi sanitarie, vi trovarono una camicia, un lenzuolo semibruciato, ed avendo fatto dissodare lo stabio, sotto lo stesso trovarono una vesticciola di seta ed un busto senza maniche di lanchina, tutti anche semibruciati. Ed essendosi domandato all’Alonzo se fosse stato egli che l’avesse bruciato, ha risposto negativamente. Quindi il Comitato ha preso risoluzione di far subito passare l’ammalato all’ospedale e la famiglia composta di due individui, rivestita nell’osservazione di Manzari. Domenico Alonzo, dopo buttato tutto alle fiamme e rivestito con l’intera famiglia, si è fatto chiudere in casa propria, essendosi usato lo stesso con i suoi parenti e con la famiglia Dipierro. Si è posto in barricata il contiguo vicoletto dove esistono ben poche
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famiglie poste in un angolo della città. Per semplice sospetto che l’altra sorella della contagiata, divisa di casa, avesse potuto trattare, si è chiusa anche in casa, dopo bruciato tutto il mobile. E’ da avvertirsi che sabato a notte, ad ore cinque, un membro del Comitato si avvertì che a quella direzione vi era bruciamento, e che la mattina essendosi ciò posto a conoscenza dei Deputati di salute, si presero delle indagini e cadde il sospetto sopra un’altra famiglia poco distante da quella in cui si era trovata la contagiata. Non si mancò di chiuderla in casa, ed oggi poi si è conosciuto essere stata quella della contagiata che la suddetta notte faceva il bruciamento. Persuasi finalmente gli abitanti di Noja del carattere pestifero della travagliante malattia, quante volte cadea sospetto su di qualche genere suscettibile, non esitavano a bruciarlo anche di soppiatto, con tutte le più scrupolose riserve, di cui di già erano istruiti sull’esempio degli agenti sanitari. Un residuo di generi si è spesso ritrovato nei rottami del contaminato Rione di Pagano, e da me e dall’Arciprete Carrocci, il quale ha saputo distinguersi in questo riscontro e con lo zelo e con la voce e con le operazioni. Rimasto a bella posta o fazzoletto o tovagliuola o camicia nelle strade della città, niun osava toccarlo, ma all’istante veniva sacrificato alle fiamme, anche se si sapesse non essere contaminato: tanto fu il timore che indusse la morte con la continua sua strage e nell’ospedale e nelle case di osservazione e nei Rioni della città.
Chiesa Madre: la lapide indica l’ipogeo del cappellone del SS. Sacramento
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Lo spurgo delle carte
Trovandosi molte scritture nell’archivio della Chiesa Madre, il supremo magistrato per l’organo del signor Garofalo deputato, venne a prescrivere il seguente regolamento. Bari, 27 agosto 1816. Il Deputato al signor D’Onofrio, Presidente del comitato medico. “Il Supremo Magistrato di Sanità, cui chiesi il parere del metodo da usarsi per lo spurgo delle carte e libri comunali nella Chiesa, di cui ella mi parla, mi riferì che possono spurgarsi per immersione di quindici minuti nello spirito di vino canforato, che sia a terza passata, praticandovi tutta la diligenza e le riserve stabilite dalle regole sanitarie. Bisogna che il Comitato di Noja abbia l’accortezza di far che lo spirito di vino penetri in tutti detti libri e li bagni perfettamente, potendoli asciugare all’ombra. Sì fatta operazione dovrà farsi con la più diligente riserva, per evitarsi ogni minimo contatto delle carte da spurgarsi con la gente in pratica. Vi uniformerete a tutto ciò ed opererete la vostra ben conosciuta vigilanza nell’esecuzione della prescritta misura. Allorchè l’operazione suddetta avrà luogo, ne farete menzione nel verbale giornaliero in cui marcherete essere ciò per esecuzione di decisione del Supremo Magistrato di Sanità, comunicatomi con ufficio di S. E. il Soprintendente Generale di salute, del 24 corrente. Gradite la mia sincera stima.” Cavaliere Garofalo.
P. Umberto I: in questa ala della piazza esistevano all’epoca della peste i magazzini delle famiglie Positano, Lioce, Sorino e Mastrogiacomo.
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Settembre. Per lo spurgo delle carte pubbliche si ebbero le seguenti determinazioni. Bari, 2 settembre 1816. Il Deputato del Supremo Magistrato di sanità al signor D’Onofrio, presidente: “Signore, sua Eccellenza il Soprintendente Generale alla salute, in data 20 febbraio, permise che i libri della fondiaria, quello dello stato civile nel l’archivio comunale, le schede dei Notai ed altre carte fossero rinchiuse in un locale e suggellate. In conseguenza di ciò io invito la vostra energica attenzione ad applicarsi nelle operazioni dello spurgo per tali oggetti in maniera da far allontanare ogni minimo e remoto sospetto dalla mente dei pubblici funzionari della sanità. Vi lasciate un individuo a contatto con i medesimi per una durata di tempo che io rimetto alla vostra saviezza, facendo dallo stesso perennemente rinnovare tutti gli oggetti. Attendo riscontro sull’oggetto e vi saluto con tutta la stima.” Cavaliere Garofalo. Bari, 4 settembre 1816. Il Deputato del Supremo Magistrato al signor D’Onofrio presidente del Comitato in Noja. “Il Sindaco di codesto Comune, con due suoi fogli della data del 2 e 3 andante, mi fa conoscere col primo che essendo esposto nel giardino Ducale la canapa e il cotone appartenente ad Angelo Saverio Positano, con le ultime piogge, detti generi si bagnarono ed ora si vogliono rinchiudere umidi negli stessi magazzini, ove erano riposti. Io trovo che il servizio sanitario debba conciliarsi tanto egli è passabile con l’interesse dei Nojani, quando l’uno non sia opposto all’altro. Quindi con la Vostra conosciuta saviezza farete intendere al Comitato della sezione in cui i generi sopranunciati si trovano, che permettano lo sciorinamento della canapa e del cotone, eseguendo benanche lo spurgo, prescritto dai regolamenti, della casa sui cui lastrici si asciugano quei generi, onde non venga alterato il sistema generale. Con lo stesso foglio il Sindaco fa due quesiti, uno relativo alla volta di legno della Chiesa Matrice che vuol sapere se debba imbiancarsi. L’altro relativo alla sepoltura dei Sacerdoti esistenti nella suddetta Chiesa, che domandava conoscere se si deve chiudere. 77
Per ciò che riguarda il primo quesito, sarei di parere di farla copiosamente aspergere di acqua marina, dopo averla fatta diligentissimamente pulire da qualunque ragnatela e da qualunque altro genere esterno che ci potesse essere. Per la sepoltura poi, ignorandosi se abbia comunicazione con le altre esistenti nella stessa Chiesa e non potendovi divenire alla verifica di ciò, sono del parere che debba chiudersi egualmente come tutte le altre. Compiacetevi di procurare l’esatto adempimento delle sopra enunciate disposizioni, e qualora abbiate delle osservazioni in contrario, me le farete conoscere. Vi ripeto la mia stima.” Cavaliere Garofalo Lo spurgo delle carte pubbliche, scrupolosamente adempiuto, diede motivo a passarne contezza. “Signore, poiché l’altro ieri appunto cominciò l’opera dello sciorinamento per tutte le carte pubbliche conservate da gran tempo e riposte in cassa suggellate, mi trovo in dovere di partecipare dettagliatamente all’E. V. il modo che si è osservato in questa delicatissima operazione. Tutte le carte pubbliche così dell’archivio comunale, come quelle di Fondiaria, e le altre appartenenti alle schede dei Notai, si sono trasportate in locale proprio con le rigorose leggi sanitarie, in presenza di tutto il Comitato, del Signor Arciprete, del Sindaco e dei Decurioni, per mezzo di un uomo destinato all’uopo, la cui scelta è caduta nella persona di quell’individuo di Rutigliano che è sotto la sorveglianza della Polizia, e ciò per determinazione del detto signor Sindaco. E poiché l’E.V. non si è compiaciuta precisare la misura da tenersi per quest’uomo, replico le mie preghiere affinchè venga autorizzato sul tempo da fissarsi per la di lui osservazione particolarmente contumaciale, trovandosi isolato nel locale dove esistono le menzionate scritture. Intanto dal medesimo si svolgono e si maneggiano i libri e le carte tutte esposte all’aria in un comodo terrazzo contiguo alle stanze del locale suddetto, alla presenza degli individui del Comitato. Segnatamente mi dò premura di assistervi presenzialmente mattina e giorno unitamente con il signor Sindaco ed altri miei colleghi.”
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La liberazione di Noja
Noja, 4 ottobre 1816. Il Presidente del Comitato Medico interno: “ Signori, dopo il nono giorno della corrente contumacia, tutta la Città è in giubilo, aspettando ansiosamente il dì felice di sua liberazione. Niuna delle malattie intercorrenti di carattere pravo si scorge nella clinica della Città, specialmente nei luoghi spurgati. Gli individui sortiti dai lazzaretti e dalle case di convalescenza godono del pari della più vigorosa salute. Mentre era al suo termine l’ultimo corso contumaciale, si richiese dal Supremo Magistrato di salute una mappa generale, dalla quale fu inviato il modello concernente il numero dei morti fino allora , e per il contagio e per le malattie intercorrenti. Venne questa da me eseguita con ogni possibile accuratezza, così come si legge nel giornale di detto Supremo Magistrato, compilato dal dotto Cavalier Bozzelli, ispettore generale del medesimo rispettabile Magistrato. Nelle ultime giornate della contumacia finale, il collegio dei Professori non volle mancare di dirigere un foglio di convenevoli ai funzionari del Comune, che scritto con stile patetico, veniva a conchiudere con le energiche parole del Salmista Reale, Super flumina Babilonis Via Oberdan. Simbolo araldico di un palazzo nobiliare costruito nel 1773 all’incrocio con illic sedimus et flevimus, quam recordemur via S. Tommaso. tui Sion. Ricorse finalmente il tanto sospirato giorno delle calende di Novembre. I funzionari tutti di Noja, il Comitato Medico, l’Arciprete, prevenuti tutti con antecedente avviso dal Commissario del Re, dal deputato Garofalo e dall’Intendente, si recarono alla barriera dove pervennero essi signori Ministri con accompagnamento di molta truppa e con l’intervento del Vicario Generale di Bari. Innumerevole folla di forestieri dei dintorni accorse puranche allo spettacolo commovente gli affetti delle anime sensibili. 80
Via Oberdan. Palazzo d’epoca: nell’angolo era localizzata la porta che chiudeva il paese verso Rutigliano.
Dal commissario del Re furono tantosto richiesti i membri del Comitato Medico a dare solenne giuramento sullo stato attuale di salute della Città. Quindi fecero lo stesso tutti gli altri funzionari, giurando sull’Evangelo che si prestò dall’Arciprete Carrocci, obbligato anch’esso ad un atto così sacro e solenne. Allora fu che allo scarico dell’artiglieria si videro aperte le barriere, la truppa entrò nella Città e Noja, l’infelice Noja, assediata per il corso di un anno, fu resa libera nell’antico commercio con tutto il Regno. Qual fusse la gioia universale in sì consolante rincontro è facilmente indovinabile da chiunque sa calcolare i tratti dello spirito umano. Echeggiavano dappertutto negli angoli della Città le lieti voci di evviva ed i festevoli clamori del Popolo, che accompagnò i Ministri del Re fino alla Chiesa Madre, solennemente preparata di già per l’arrivo dei medesimi, e per rendere grazie all’Altissimo. Il Collegio dei Medici volle puranche dimostrare sentimenti di gratitudine verso il clementissimo Sovrano con latina epigrafe, che fu innalzata sopra il Trono Reale nella suddetta Chiesa:”
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INCLITO PIO AUGUSTO FERDINANDO BORBONIO SUMMO NOSTRO IMPERANTI CLEMENTISSIMO OB INNUMERA APUD NOJANOS INCOLAS BENEFICIA POSITA SALVIENTE PESTE SEPTIMO IDUS JUNII JAM SUPERATA DUM HODIERNA DIE FERVENTIORIBUS VOTIS EXPETITA CUNCTA URBS HACTENUS OBSIDIONE INTERCLUSA AD PRISTINUM COMMERCIUM FELICIORI OMINE REDIT MEDICORUM COLLEGIUM MORBO CURANDO ADDICTUM HOC GRATI OBSEQUENTISSIME ANIMI SIGNUM DIV IN POSTERUM DURATURUM D. D. D. KALENDIS NOVEMBRIS AD MDCCCXVI
Traduzione: All’illustre pio augusto Ferdinando di Borbone, nostro sommo clementissimo sovrano, per gli innumerevoli benefici concessi agli abitanti nojani, tutta la città fino a questo momento cinta dal pericolo, avendo superato la peste in buona salute dal 7 giugno fino al giorno odierno, ritorna con miglior augurio al precedente commercio, avendolo desiderato con insistenti preghiere. Il Collegio dei Medici destinato alla cura della malattia, donò e dedicò in maniera molto ossequiosa e con animo riconoscente questa epigrafe, che durasse a lungo per l’avvenire. Noja, 1 novembre 1816.
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Caccia agli Untori
Durante il periodo della peste, tra i Nojani e le autorità militari e mediche, si cercò di dare una spiegazione razionale al male che aveva colpito il paese e il Regno. Impresa non facile allora per le poche conoscenze mediche, ma che tuttavia funzionava a volte per sbarazzarsi di avversari, dando loro la colpa del contagio. Infatti nel passato il terribile contagio della peste fu anche utilizzato dal potere politico e religioso per colpire avversari o parti opposte, accusandoli del contagio stesso. Nel lontano 1348, per esempio, la comparsa della peste in Europa diede il via ad una feroce persecuzione degli ebrei accusati di aver provocato l’epidemia. Nel Regno di Napoli, quando nel 1690 scoppiò la peste a Conversano, Mola, Castellana, il potere politico della Spagna accusò della peste un servo del conte di Conversano Giulio II, di cui erano noti gli atteggiamenti di critica verso la Spagna e la Chiesa. Il Conte fu trasferito in isolamento nell’isola di Nisida e lì fatto morire. Similmente si scatenò a Noja la caccia agli untori, cercando di dare responsabilità della grave malattia soprattutto ai rappresentanti del ceto
Frontespizio del libro di Morea da cui sono riprodotti gli interogatori di Mastrogiacomo e Positano.
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mercantile che avevano rapporti di commercio con la Dalmazia, terra dove la peste era endemica. La polizia borbonica, assistita dai medici, sottopose agli interrogatori gli esponenti della famiglia Mastrogiacomo e Positano, mercanti che importavano pelli e altri generi dalle terre slave, senza tuttavia approdare a un nulla di fatto. Difficile era infatti per quei tempi dimostrare una simile ipotesi, dal momento che la scienza medica non aveva ancora scoperto la causa agente della grave epidemia. L’accusa tuttavia generò un clima d’infamia e di presunta colpevolezza nei confronti delle famiglie Mastrogiacomo, Positano, Franchini e Sorino. Per meglio capire il clima torbido di caccia alle streghe, nelle pagine seguenti ho riportato i verbali degli interrogatori a cui furono sottoposti i Mastrogiacomo e Niccolò Positano: tali verbali sono contenuti nella dettagliata storia della peste di Noja, scritta da Vitangelo Morea. “Lucio Mastrogiacomo di Noja, colui che in settembre 1815 aveva negoziato in Ragusa, in Trieste ed in altri luoghi, e che trovavasi in provincia di Lecce, si era avvicinato alla sua patria, che amava di vedere. Ma entrando in Bari cadde nelle mani della polizia e subì il seguente interrogatorio: D. Dite le vostre qualità personali. R. Mi chiamo Lucio Mastrogiacomo, figlio di Giacomo, del comune di Noja; ho anni diciannove e sono di professione negoziante. D. Durante lo scorso anno 1815, siete stato sempre in provincia, o vi siete recato in altro paese fuori di essa, o fuori del Regno ? R. Nei primi giorni di agosto mi imbarcai, mediante passaporto di questa intendenza, sul legno di padron Giovanni Del Monte, di Pesaro, il quale dal porto di Mola mi condusse a Trieste in otto giorni circa. D. Durante la vostra assenza dal Regno avete dimorato in altri paesi all’infuori di Trieste ? R. No. D. Quando tornaste da Trieste per dove vi dirigeste ? R. Per Mola, dove giunsi in dieci giorni circa, toccando nel viaggio il porto di Peschici in Capitanata. D. Quando tornaste in Mola ? R. Circa il 20 di settembre 1815. D. Su quale barca ? R. Su quella di padron Brunetti, di Mola. 85
D. Chi furono i vostri compagni di viaggio nell’andata e nel ritorno ? R. Il solo Nicolò Positano, altro negoziante di Noja. D. Quale fu l’oggetto della vostra andata a Trieste e quali furono le mercanzie che portaste nella gita e nel ritorno, voi e il vostro compagno Positano ? R. Nell’andare io condussi il carico di carrubbe, di mandorle, di galle e di anisi. Il mio compagno menò quello di mandorle, di galle, di anisi, di carrubbe e di olio. Nel ritorno io portai cinque barili di chiodi consegnatomi da Positano ed un barilotto di pallottolini: ignoro cosa egli abbia portato. Lo smercio di questi generi fu il solo oggetto del mio viaggio. D. Durante la contumacia in Mola avete trattato con qualche persona ? R. Soltanto mio padre venne a vedermi, e dopo essersi meco trattenuto per mezz’ora circa, con le debite cautele sanitarie se ne andò. D. Terminata la contumacia in Mola, dove andaste ? R. A Noja. D. Di quali mezzi vi serviste per condurre da Mola in Noja li barili dei chiodi e dei pallottolini ? R. Si incaricò lo stesso mio compagno di farli trasportare sopra di una carretta. D. Quanti giorni vi tratteneste a Noja, per dove vi dirigeste dopo e a quale oggetto ? R. Mi trattenni a Noja cinque giorni, dopo partii per Monterone, in provincia di Lecce, al fine di acquistare cotoni. In quel comune e nei suoi dintorni mi sono fermato fino al giorno 18 febbraio scorso, epoca in cui partii per questa direzione. D. Conoscete voi quali generi esistono attualmente nei magazzini della vostra società di negozio in Noja ? R. All’infuori del cotone, da me spedito da Monterone, ignoro che altro vi trovi. D. Avete magazzini in altri comuni della provincia o del Regno ? R. No. D. Da quali persone è composta la vostra società di negozio, e chi la dirige in capo ? R. I soci sono De Mattia, Franchini, Positano, Carrocci, Mastrogiacomo ed un altro del quale ignoro il nome e la qualità in cui vi è addetto. Carrocci fa da capo. D. Aveva corrispondenza con mercatanti esteri la vostra società ? R. Ella è da poco si è formata e mi si è fatto credere nella mia venuta di Monterone, che abbia spedito cento salme di olio. La stessa non esisteva 86
quando partimmo per Trieste, Positano e io, i primi negozianti Nojani usciti dal Regno. D. Su quale motivo vi siete qui recato da Monterone ? R. Mi sono restituito in provincia con il progetto di dar corso ad alcuni affari di negozio e sono venuto a Bari, credendo necessario di avere una bolletta sanitaria formata nell’intendenza. D. Conoscete voi quale sia l’origine del contagio di Noja ? R. No. Data al dichiarante lettura del presente costituto, e domandato se avesse cosa da aggiungere, da togliere o da modificare, rispose negativamente e lo sottoscrisse con l’intendente.
Via Madonna della Pace. Emblema della famiglia Matrogiacomo presente sull’abitazione.
Il Commissario del Re incaricò Diaz di far costituire dal comitato sanitario di Noja, su varie domande annessevi, il negoziante Giacomo Mastrogiacomo, padre di Lucio, che trovavasi in osservazione. Procedutosi dal comitato alla scelta dei membri per il disimpegno di questo incarico, nominò i dottori D’Onofrio, Garron, Montanaro, Janziti, Deniccolò, Lamari e Doleo. Assistiti costoro dal Sindaco, si conferirono nella casa di osservazione Berardi e fecero, per l’organo del dottor D’Onofrio, al 87
Mastrogiacomo le seguenti interrogazioni, a cui fu risposto come segue: D. Qual è il tuo mestiere ? R. Negoziante per mare e per terra. D. Quanti figli hai ? R. Una femmina e tre maschi. Un’altra figlia femmina è morta con il contagio. D. Hai un figlio chiamato Lucio ? R. Sì. D. Nel corso degli anni 1414 e 1815 è rimasto quegli sempre in provincia di
Via Trotti, rione degli Stazzuni. In zona esisteva un magazzino e deposito di derrate alimentari della famiglia Mastrogiacomo.
Bari, o si è recato altrove ? R. Fece due viaggi per mare. Il primo un anno e mezzo addietro per Ragusa, dove si trattenne quaranta giorni, incluso il viaggio. Il secondo per Trieste nello scorso anno, e specialmente nel tempo in cui si raccoglievano gli anisi. D. Quali generi estraesti dal Regno, e quali ne facesti introdurre nel primo viaggio per Ragusa ? R. Gli esportati furono grani, fave e ceci; gli immessi consisterono in sardelle. D. A chi vendesti le sardelle ? R. In Bisceglia, in Mola, in Conversano, in Rutigliano e in Noja. D. Chi furono i compagni di viaggio e i soci di negozio ? R. I compagni furono Francesco Favia, padrone di barca, e Saverio Aloja, 88
ambedue di Mola. I soci furono alcuni di Mola, di cui ignoro il nome: con questi però aveva porzione Angelo Saverio Positano, di Noja. D. Nei tuoi magazzini vi erano o vi sono generi esteri o nazionali ? R. Vi è solamente stoppa, canapa e galla nostrane. D. In tua casa vi erano o vi contengono generi esteri ? R. Si trovano circa tre pezze di percalle comprate in Napoli da Matteo D’Amico, e varie biancherie da servire di dote alla figlia. D. In quali stanze sono riposti questi generi ? R. Essendosi ammalata la figlia morta, furono tumultuariamente in maggior parte trasportati dal piano inferiore al superiore, in una camera interna. D. Perché le pezze di percalle sono senza bollo ? R. Il bollo era di Napoli, ma non mi ricordo la qualità della tela. D. Dove furono lavorate le bisacce ? R. In Putignano. D. Dove hai acquistato o chi lavorò il salta barca ad uso greco, di lana sopraffina ? R. Lo comprò mio figlio Gerardo alla fiera di Bari, nel dicembre del 1815, né ancora erasi usato. D. Per quale ragione tenevi nascosti su la soffitta della camera al terzo appartamento i suddetti generi coperti di cenci. R. La stanza è a tetto e lascia passare l’acqua quando vi piove; perciò la famiglia si servì di questo mezzo per proteggerlo dall’umido. Inoltre i generi non erano nascosti, dappoichè la stanza stava aperta. D. Come si è introdotto il contagio in Noja ? R. Non ne so nulla affatto. D. Come fu attaccata dal contagio e come morì tua figlia Vittoria ? R. Potè contrarlo nel visitare la cugina Rosa Lioce, morta pure contagiata della corrente malattia. D. Come si infettò l’altra tua figlia Angiolarosa? R. Ha potuto dipendere dall’immediato contatto con sua sorella. D. Cosa facesti esportare ed immettere nel secondo viaggio per Trieste, e quanto tempo ivi si trattenne tuo figlio? R. L’esportazione fu di carrubbe, di anisi e di mandorle: l’immissione consistè in chiodame, in pallottolini, in vetri e in tavole. La dimora in Trieste fu di circa un mese. Il ritorno fu verso la fine di settembre, per quanto mi ricordo. D. Consegnasti danaro a tuo figlio prima di partire, ad oggetto di negoziarlo? R. No. Egli andò su la barca di padron Giovanni Del Monte, di Pesaro, e 89
ritornò su quella di Onofrio Brunetti di Mola. D. Dove si fece spedire il passaporto per il viaggio di Trieste? R. In Trani e dopo fu vistato a Bari. D. Dove consumò la contumacia? R. In Mola. D. Riportò da Trieste il ritratto della vendita dei generi. R. Cambiò per Napoli 1300 ducati riscossi in Bari. D. Sai da tuo figlio quali generi riportarono i suoi compagni di viaggio? R. Nicola Positano suo compagno portò gli stessi generi. D. Sentisti da tuo figlio se in Trieste vi era malattia? R. Non vi era malattia. D. Sai nulla del contrabbando e della barca approdata nel lido di Mola verso giugno scorso? R. Nulla. D. Nella camera al terzo appartamento di tua casa hai altra roba riposta? R. Circa sei rotoli di corame comprato da Passero di Rutigliano, varie tele di Noja e di Montescaglioso, con una pelle di vitello comprata in Napoli. D. Sai se tua moglie ha prestato o venduto qualche oggetto alla moglie di Liborio Didonna, alla moglie di Sorino, o ad altri ? R. No . D. Tieni in casa fazzoletti di percalle o di scorza d’albero ? R. Non mi ricordo, ma conosco perfettamente la qualità dei fazzoletti in questione. D. Qual è l’età di tuo figlio ? R. Circa diciotto anni. D. Sai scrivere? R. No. Datagli lettura del presente costituto, rispose di essere la verità, e lo ratificò con giuramento…
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Piazza Umberto I. In un locale difronte alla Chiesa dell’Immacolata, di proprietà del notaio Troiano, bottega n.31, erano conservate le carte dell’archivio comunale e della fondiaria. Dopo il contagio i documenti furono spurgati.
L’interrogatorio di Niccolo’ Positano
Via Oberdan: il palazzo Positano, ricca famiglia di commercianti.
Niccolò Positano di Noja fu il compagno di viaggio di Lucio Mastrogiacomo. Costituito anch’egli alla barriera, innanzi al Commissario del Re, all’intendente e al deputato del Magistrato e a Diaz, subì il seguente interrogatorio: D. Dite le vostre qualità personali. R. Mi chiamo Niccolò Positano, figlio di Francesco, del comune di Noja, di anni 22, di professione negoziante. D. Durante il corso del 1815 siete uscito dal Regno ? R. Nei primi giorni di agosto mi imbarcai in Mola sul legno di padron Giovanni Del Monte, di Pesaro, il quale in dieci giorni mi condusse in Trieste, luogo di mia destinazione, senza toccare nel viaggio altro porto. D. Quanti giorni vi tratteneste in Trieste ? R. Un mese e mezzo circa, compreso il tempo della contumacia colà scontata. D. Con chi aveste comunicazione in Trieste ? R. Con la ditta Bassan, Cousin e compagni. D. Mentre eravate in Trieste siete andato in altri luoghi? R. No. D. Nel corso del viaggio allora che faceste di ritorno, in quale porto vi fermaste ? R. In quello di Peschici, in Capitanata, ed in Trani. D. A quale oggetto vi recaste in Trieste ? R. Per affari di negozio. D. Chi furono i vostri compagni di viaggio nell’andata ? 92
R. Lucio Mastrogiacomo di Noja e il fratello di Domenico Uva di Mola. D. Su quale legno ritornaste ? R. Su quello di padron Brunetti di Mola, venduto ad un tale Grion di Trieste. D. Quali generi asportaste in Trieste voi e i vostri compagni di viaggio ? R. Io portai in Trieste carrubbe, mandorle, olio, anisi, cimini. Quello di Mola sapone e quello di Noja mandorle, carrubbe, galle, anisi e cimini. Al ritorno io condussi acciaio, chiodi, vetri e piombo in pallottolini: il mio compagno Mastrogiacomo condusse alcune botte piccole, ossia caratelli, e io non conosco cosa vi era dentro. Ignoro poi perfettamente quel che condusse Uva. D. I vostri compagni consegnarono o venderono a voi cosa alcuna, e viceversa voi a loro ? R. Nulla, né all’andata, né al ritorno. D. Quale somma impiegaste in Trieste con li vostri compagni ? R. Io impiegai la somma di ducati 6000: non conosco quella dei miei compaesani. Il mio capitale fu impiegato per circa ducati 800 nell’acquisto dei sopradetti generi: il rimanente fu rimesso a mio padre per mezzo di cambiali procurate dai detti Bassan, Cousin e compagni. D. Quanti giorni di contumacia faceste in Mola ? R. Quattordici giorni. D. In questo tempo chi venne colà a visitarvi ? R. Vari amici tra i quali Giuseppe Doleo, diversi miei congiunti ed alcuni parenti di Mastrogiacomo. D. Ove andaste dopo terminata la contumacia ? R. A Noja: di là mi portai in Bari ed in altri luoghi della provincia per affari di negozio. I generi portati da Trieste furono in parte condotti da mio padre alla fiera di Grottole (Grottaglie) che succedè nella fine di settembre. Mastrogiacomo, dopo qualche tempo, si recò in provincia di Lecce a comprare cotone, che spedì in Noja, ed una parte Palazzo Positano, simbolo araldico della famiglia. del quale fu da noi diretta a Napoli per Nell’800 i Positano erano considerati una delle conto di una società che si era formata. famiglie più importanti della provincia nel settore commerciale.
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D. Da chi è composta la vostra società ? R. I soci erano Positano, De Mattia, Mastrogiacomo e Franchini, oltre un individuo di Cellamare, il quale faceva da scrivano. Il negoziante Carocci la regolava in qualità di capo. D. Dite se avete bruciato mercanzie in Noja e quali effetti attualmente esistono nei magazzini. R. Niun genere è stato bruciato dalla società. Nel mio magazzino esiste attualmente una quantità di circa 20 cantaia di cotone: in quello di mio zio Raffaele Positano vi è zucchero, caffè, pepe, carta, poco cotone e poca canapa napoletana, con vacca gialla; il rimanente lo formano i generi condotti da Trieste. In quello di Mastrogiacomo si contiene stoppa e canapa: ignoro cosa vi sia negli altri. D. Conoscete voi per quali mezzi si sia introdotto il contagio in Noja? R. Non lo so ed ignoro ben anche se sia peste, non avendo cognizione di un malore simile. Domandato sulla contraddizione del presente costituto con quello di Mastrogiacomo, avendo quegli assicurato che gli furono dal dichiarante venduti alcuni barili di chiodi ed un sacchettino di pallottolini rispose non essere vero e che il Mastrogiacomo si provvedè direttamente dai negozianti di Trieste di quei generi che doveva acquistare, e che egli non sapeva quali fossero. D. Oltre voi e Mastrogiacomo, vi sono altri negozianti di Noja i quali abbiano fatto viaggi per l’estero ? R. No. D. Nel vostro magazzino ed in quello di vostro zio vi sono generi nascosti ? R. No. Data al dichiarante lettura del presente costituto e dimandato se avesse cosa da aggiungere o da modificare, rispose negativamente e firmò con le regole sanitarie. Nel giorno 6 marzo si erano visitati sei magazzini dei fratelli Positano, che contenevano alcuni generi esteri, cioè baccalari, stocco e campeggio. I due ultimi di quei magazzini furono sequestrati, lasciando la chiave presso il Sindaco, come primaria autorità del paese e non interessato nei negozi della compagnia.” ……………………………………….. 94
La maledizione di don Ciccio Decaro.
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Gli interrogatori dei Mastrogiacomo e di Positano non approdarono a nulla, ma i sospetti non erano fugati e soprattutto ancora forte era la convinzione che la peste fosse arrivata a Noja con le robe importate dalla Dalmazia. La giustizia umana quindi aveva fallito! Ecco allora che nel paese si generò una sorta di malcelata maledizione nei confronti di quelle persone che, pur di arricchirsi, avevano importato le mercanzie infette, sottovalutando le gravi conseguenze. Una maledizione che affidava alla giustizia divina il compito di vendicare la grave Chiesa Madonna della Lama. Lastricato offesa nei confronti della comunità nojana. d’ingresso in cui si nota la famosa Portavoce di queste invettive fu il canonico “pietra inferriata”, sigillo del sepolcro degli appestati. don Ciccio Decaro che, interpretando sicuramente la volontà popolare, si scagliava contro le famiglie degli avidi mercanti. Riporto in queste pagine la testimonianza di Sebastiano Tagarelli che, nella sua storia della peste, fa riferimento a questo emblematico episodio. “Il Commissario del Re prescrisse la distribuzione ai poveri di Noja di 100 ducati al giorno per quattro giorni, ringraziò la Truppa del Cordone, diede in Rutigliano una festa da ballo ed un pranzo nella quale intervennero molti Nojani e molti impiegati in Noja. Le truppe intrapresero la loro marcia per Bari. I Nojani, sciolto il cordone, si diffusero subito per il territorio e per la provincia, accolti con franco e vero amore fraterno dai loro carissimi compatrioti. Molti altri, ci riferisce Lioce, si sparsero subito per la campagne a rivedere con ansia quei fondi che con 96
tanta cura avevano prima coltivato e che adesso ritrovavano con alberi tagliati e con muri abbattuti e con terra soda quanto quella di una strada, e comunque nello stato il più deplorabile. Invano cercavano i Nojani nelle adiacenze del cordone i loro alberi, i loro pozzi, i loro curatoi, le loro case ed i loro giardini. Ripigliando presto però i loro usi e le loro speculazioni, soccorsi da parenti e da amici, mentre nei primi giorni carri di commestibili di ogni genere arrivavano in paese, provenienti da ogni punto della provincia, i Nojani ricominciarono Ipogeo della Lama. Nelle numerose stanze, su a coltivare la loro madre terra e a scanni di legno, erano deposti i 42 cadaveri dei commerciare attivamente, obliando a primi morti di peste. poco a poco la loro immane disgrazia. Ma nei seguenti giorni, come racconta Colletta, ciascuno, orbo di padre o di consorte o di figli, durevole mestizia serbò nel cuore. Era trascorso un anno, quando la pièta per la città martire dettava a Ianziti per il canonico don Ciccio Decaro, la seguente apostrofe ai manigoldi, da lui ritenuti i responsabili dell’immane disastro. “Non voglio entrare in quei sacrileghi maneggi di quella rea politica che hanno formato la rovina di codesta città, ove oggi per lo strascico di tante iniquità, li migliori e li più probi cittadini, non trovando più come potersi alimentare, sono costretti a sloggiare per cercare altrove la loro sussistenza, perché giungerei a disturbarmi all’eccesso, né saprei se trovandomi ingolfato per tutti i labirinti della tragica scena, ci potessi lasciarne uno, senza condannarlo, con quel terribile decreto dello Spirito Santo: Vae qui reducit domos suas in iniustitia, et in aliis eorum Ipogeo della Lama: le scale mettevano in comunicazione l’esterno con l’antico inventus est sanguis animarum pauperum et cimitero sotterraneo.
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innocentum, in tertiam et quartam generationem parata posteris eorum Dei maledictio. Tremino pure tutti quelli che hanno avuto parte nella sciagura e rovina di Noja, chè forse un giorno vedranno avverata questa tremenda sentenza. E voi che avete avuto sempre innanzi agli occhi la giustizia e la pietà, nulla potete oggi rimproverare alla vostra coscienza, come debbono rimproverarla al contrario taluni che, mostratisi assetati dell’altrui sangue, a guisa di lupi, hanno rapito e divorato. E per la sola cupidigia dell’oro! Scellerati!.......Traditori!
Chiesa della Lama. Cripta degli appestati: molti ambienti sono ancora sigillati.
Chiesa della Madonna della Lama: alla sommità della scala, la botola d’ingresso.
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Eppure non passerà gran tempo e sentirete gli effetti tremendi della Giustizia Divina; io ho già veduto qualche cosa finora, ma voi vedrete molto in appresso.” Non sarebbe lecito, caso per caso, segnare in queste pagine la ruinosa parabola discendente delle famiglie su cui davvero fu sperimentata inesorabile la tremenda Giustizia Divina. Per la storia, basti dire che risulta essersi per ognuno dei rei avverato il presagio dell’espiazione, anche se Dio non volle tutti pagare il sabato, con la dantesca e giusta pena del contrappasso, cominciando da questa valle….di lacrime.
Un secolo dopo nessuna traccia resta dell’infausta memoria: molti non sanno oggi neppure che la “Restaurazione della nostra Patria” comincia col tremendo sacrificio dei diseredati e immiseriti superstiti della peste. Un pugno d’uomini che ritrovò dal suo dolore la forza per riaprirsi il cammino della sua storia millenaria, e risalire, a lenti passi stentati, con indomita volontà, la stessa faticosa via per la quale si era distinto… Fertile terra d’intelletti e d’amore, questa Noicattaro, continuazione dell’antica Noja, si spande in un dominio spirituale di superbe conquiste, quelle che non si alienano, quelle che formano la vera grandezza della patria; nelle affermazioni del pensiero, nella operosità infaticabile, che trae dal sacrificio le oneste e, qualche volta, invidiabili ricompense.”
I sotterranei della cripta della Lama.
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BIBLIOGRAFIA : Arcangelo D’Onofrio, Dettaglio istorico della Peste di Noja. Ed. Antonio Garruccio, Napoli, 1817. Vitangelo Morea, Storia della Peste di Noja. Ed. Angelo Trani, Napoli, 1817. Sebastiano Tagarelli, La Peste di Noja. Ed. Fiorentino, Noicattaro, 1934. Questi testi sono stati utilizzati come documenti storici e in parte trascritti nel presente lavoro.
SITOGRAFIA : Il testo di Arcangelo D’Onofrio è disponibile online su Google, sezione libri, messo in rete dalla The library of the University of California . Fondo: Charles and Prudence Kofoid. Il testo di Vitangelo Morea è interamente disponibile online sempre su Google, sezione libri, messo in rete dalla New York Public Library. Fondo: Astor Lenox e Tilden Foundations. Siti web di riferimento delle opere di Vito Didonna: www.grafica2p.it www.scaffale.org www.codeingenia.it 100
Altre opere di riferimento: Pietro Sisto, Quell’ingordissima fiera. Letteratura e peste in Terra di Bari. Ed. Schena, Fasano, 1999. Vito Didonna-Filippo Affatati, Le Carte Bruciate. Ed. Noja, Noicattaro, 2006. Sebastiano Valerio, Noja, la peste e il Gran Tour. Il viaggio letterario di Richard Keppel Craven. Ed. Storia e Cultura in Terra di Bari V. 2010. Michele Sforza, Quando il nostro paese rischiò la distruzione. Il Crivello, n. 46, Noicattaro, 1990.
Ringraziamenti: - a Michele Dipinto per la riproduzione delle incisioni; - alla proff.ssa Rossana De Perte per la traduzione delle epigrafi latine; - all’ing. Vito Santamaria per le fotografie della cripta esterna della Chiesa Matrice; - ai Padri Agostiniani della Madonna della Lama per l’accesso fotografico alla cripta della Chiesa. Fotografie : Vito Didonna. Art Director: Mimmo Di Donna. Elaborazione e digitalizzazione dei testi: Vito Didonna. Le griffes tipografiche sono state riprodotte dai testi originali.
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Realizzare un libro è un’operazione complessa, che richiede numerosi controlli: sul testo, sulle immagini e sulle relazioni che si stabiliscono tra essi. L’esperienza suggerisce che è praticamente impossibile pubblicare un libro privo di errori. Saremo quindi grati ai lettori che vorranno segnalarceli.
Vito Didonna, nato a Noicattaro, è docente di storia e filosofia presso il Liceo Linguistico S. Benedetto di Conversano. Ha pubblicato: Le Carte Bruciate Animanojana I Misteri di Palazzo Santoro L’Ultimo Duello Il Destino dei Duellanti.
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