Collana “opuscula n.2”
Una ‘masciara’ nella Conversano del ‘600
Francesco Saverio Iatta
Una ‘masciara 1’ nella Conversano del ‘600 “«Informatio 2 de maleficii 3 contra 4 Dorotheam Dominici de 5 Zingaro» accusata di «magaria 6» 7 è con questo icastico ma esaustivo promemoria che il notaio 8, incaricato di stilare i verbali delle sedute del processo volto ad acquisire testimonianze circa le attività sospette di «Dorotea di Zingaro moglie di Colantonio Romanello 9», riassume il contenuto del dossier, costituito da trentanove ‘carte’, giunteci parzialmente deteriorate 10, datate 1611. Il fascicolo, di cui abbiamo appena trascritto la relativa intestazione, contiene una modesta filza di documenti che sono stati da poco regestati 11 e che, oggi, sono custoditi presso l’Archivio Diocesano di Conversano 12. Quindi tra le testimonianze 13 acquisite, per accertare se, nella diocesi di Conversano, vivessero «mascoli, ò femine che siano stregari 14, malefici 15, che facciano incantesimi 16» 17, vi è la dichiarazione, rilasciata spontaneamente, da un certo Pietro de Belladuce. In questa dichiarazione vi è l’accusa, e quindi questa vale come una delle due testimonianze necessarie per poter condannare Dorotheam Dominici 18 quale strega, che «Dorotheam
Dominici de Zingaro, moglie di 19 Colantonio 20 RomanelloÂť ha praticato, a pagamento, dei riti magici 21 per guarire dai malanni da cui era afflitto Pietro de Belladuce. Malanni per i quali il Nostro aveva ritenuto necessario avvalersi, purtroppo imprevidentemente, di una ÂŤfemina che sapesse fare qualche magaria 22Âť 23.
Pietro de Belladuce, infatti, testimonia che, mentre era ammalato, si era presentata a casa sua «Dorotea di Zingaro, moglie di Colantonio Romanello», sostenendo che la malattia da cui era affetto era dovuta ad una «magaria»24. La «magaria», come è noto, era ritenuta opera di magia e aveva, tra gli altri specifici negativi compiti, anche il particolare fine di provocare malefici. Ed era, per l’appunto, anche tra i comuni mortali, nota come ‘fattura’ 25. «Dorotea di Zingaro» gli fece quindi acquistare (per liberare il nostro Pietro dalla «magaria» da cui sarebbe risultato affetto) “mezzo rotolo 26 di piombo 27 e due mazzi di lino”. Fuso il piombo, «Dorotea di Zingaro, moglie di Colantonio Romanello» ne prese una parte e «con uno filo d'azza [ 28] lo legò al mio dito grosso del pede 29» (confessa Pietro de Belladuce agli inquisitori 30). Quindi «Dorotea», dopo aver terminato le sue pratiche magiche, assicurò il de Belladuce che sarebbe presto guarito 31. Purtroppo il nostro Pietro si accorse, ben presto, di non guarire affatto. E per questo, nella deposizione resa ai giudici che lo interrogavano, soggiunge che si vide nuovamente costretto ad interpellare la “femina che sape fare magaria” e che
quest’ultima, nuovamente sollecitata, sottopose il nostro Pietro ad un nuovo rito magico. Fece pigliare un ramo d'aprifico 32 della stessa altezza del Belladuce e, spezzatolo in tre parti, lo pose sotto il letto33 in cui giaceva il nostro Pietro 34.
Appena qualche giorno più tardi, però, «Dorotheam Dominici de Zingaro, moglie di Colantonio Romanello» si ripresentò a casa di Pietro Belladuce. E quindi fece presente al nostro Belladuce, in tono quasi imperativo e che comunque non ammetteva indugi di alcuna sorta, di voler «robba di mangiare, che teneva in casa sua più genti magare 35 che agiutavano 36 à farmi sanare 37» 38. Pietro de Belladuce, sempre nel corso della deposizione resa spontaneamente, precisa che, perché era preoccupato dalla malattia dalla quale era affetto che non tendeva affatto a guarire,: «e, sempre io, li mandavo carne et altre cose da mangiare, credendo che fosse il vero 39». Ma, purtroppo, nonostante il nostro Belladuce avesse assecondato le pressanti richieste di «Dorotheam Dominici de Zingaro» tuttavia le «magarie 40» che aveva praticato la nostra «Dorotheam» non ebbero alcun effetto. Ed allora, molto probabilmente davvero scornato per quanto gli accaduto, il de Belladuce, anche perché esasperato per la turlupinatura di cui era stato fatto oggetto, non trovò di meglio, soggiunge ai giudici cui fornisce la sua dichiarazione spontanea, di aver categoricamente allontanato da casa sua la “masciara”. Vietandole quindi, una volta per tutte, di permettersi di tornare altra volta 41.
Quanto abbiamo sin qui ricostruito, sia pure nei suoi tratti essenziali, è ciò che si desume, come si sarà per altro già inuito, da una modesta filza di documenti, in parte per giunta anche deteriorati, che si son riusciti a salvare da una sorta di devastante quanto poi anche impressionante mare moto che pare abbia investito, non è affatto improbabile addirittura più volte, quanto era stato custodito, almeno in passato, negli archivi della Curia della diocesi di Conversano 42. Ma quanto queste stesse ‘carte’ ci riportano sebbene, malauguratamente, ci riferiscono davvero forse ben poco del caso su cui ci siamo sin qui intrattenuti, pur tuttavia ci permettono di stabilire almeno alcuni dati di fatto documentabili. Sono dati, purtroppo, quantitativamente modesti, in quando non ci rendono affatto edotti su una serie di querelle che avremmo desiderato conoscere. E tra queste vi quanto è poi realmente accaduto a «Dorotheam Dominici de Zingaro», che in Conversano, era accusata di aver operato riti magici nel corso del 1611, mentre reggeva la diocesi conversanese il vescovo Pietro Capulli 43, dell’ordine dei frati minori conventuali, e suo feudatario era Giulio I Acquaviva d’Aragona, del ramo di Conversano 44.
Ad ogni modo, leggendo pur leggendo tra le righe di quanto ci rimane delle ‘carte’ che ci son giunte a proposito delle vicende in cui è coinvolta la nostra “masciara”, si può sostenere
che «Dorotheam Dominici de Zingaro, moglie di Colantonio Romanello» sia stata, quanto meno, sottoposta ad un processo per “magaria”, cioè per magia. Altrimenti non ci sarebbero giunti almeno una parte dei verbali del processo ch’era stato intentato nei confronti della stessa nostra «Dorotheam» di cui ci è giunta almeno una parte degli incartamenti, che, a suo tempo, non potevano non essere stati raccolti dal titolare pro-tempore del ‘foro ecclesiastico della diocesi conversanese’. E che, per l’appunto, ci rendono edotti che contro la stessa «Dorotheam Dominici» era stata avviata una seria indagine (in sostanza una “«informatio 45) intorno ai malefici (de maleficii 46) che indubbiamente le si ascrivevano. In quanto i giudici del ‘foro’ conversanese le attribuiva, di fatto, prima ancora di aver intentato un processo nei suoi confronti, lo status sociale di “magara”, cioè di femmina capace di compiere ‘fatture’ e/o ‘incanti’. Noi, indubbiamente, non abbiamo (purtroppo grazie al modesto fardello di carte che ci son giunte sul caso in cui era stata implicata la nostra «Dorotheam») che un sintetico ragguaglio (cioè forse pur anche solo un modesto intermezzo) di quella sorta di macabra rappresentazione inquisitoriale che risulta essere, almeno ai nostri occhi, un processo per stregoneria
che poteva addirittura terminare, sin anche, con una vera e propria tragedia.
Si può, però, in proposito, quanto meno, sostenere che nei confronti di «Dorotheam Dominici de Zingaro» sia stato istruito un processo. Che questo stesso processo era stato istruito perché “l’inquisita di cui si presumeva non l’innocenza, ma
colpevolezza, proprio perché la mala fama precedeva l’azione del giudice 47” doveva anche aver prestato il giuramento che le imponeva di dire la verità nell’atto stesso di essere interrogata e, quindi, essere sottoposta alla cosiddetta quaestio rigorosa: cioè alla tortura 48. In caso contrario, se cioè Dorotheam Dominici non fosse stata processata, non ci sarebbe giunto (perché non se ne sarebbe ravvisata affatto la necessità) il resoconto della stessa testimonianza che è stata resa spontaneamente da Pietro Belladuce perché “persona informata sui fatti”, come oggi si terrebbe a precisare. Testimonianza che è quindi raccolta perché è volta, per l’appunto, ad essere acquisita per valere come prova contro «Dorotheam Dominici de Zingaro». Che, per altro, doveva essere già nota come masciara “proprio perché la mala fama precedeva l’azione del giudice 49”. Purtroppo non siamo in grado di stabilire se lo stesso giudice ha acquisito agli atti del processo un’altra testimonianza da sommare a quella spontaneamente rilasciata da Pietro Belladuce. In questo caso avrebbe raccolto quanto gli era sufficiente per condannare 50 «Dorotheam Dominici» in quanto avrebbe
raccolto le due testimonianze necessarie per provare che la nostra «Dorotheam» praticava la magia. Non sappiamo neppure se «Dorotheam Dominici» ha confessato di aver reiteratamente compiuto il delitto di cui era accusata. Possiamo, comunque ipotizzare, con un buon margine di certezza, che la nostra «Dorotheam» fu quanto meno torturata 51durante gli interrogatori ai quali, molto probabilmente, fu sottoposta. Altrimenti i giudici del ‘foro ecclesiastico della diocesi conversanese’ non avrebbero fatte svolgere delle accurate indagini volte ad accertare “de maleficii contra Dorotheam Dominici de Zingaro» accusata di «magaria»52. Non siamo neppure in grado di stabilire quanto e come fu torturata in quanto, come è noto 53, la razione di tortura cui era sottoposto un imputato “sulla carta … doveva durare un tempo ragionevole, e poteva anche essere applicato in caput proprium (cioè al reo per ottenere la sua propria confessione) o per conto d’altri (si poteva torturare un testimone di status sociale non privilegiato per avere prove contro l’inquisito, o lo stesso imputato per incriminare i suoi socii, ovvero complici)” 54. Noi possiamo forse solo ipotizzare che «Dorotheam Dominici de Zingaro, moglie di Colantonio Romanello» non venne arsa viva 55 come, malauguratamente, era accaduto, più vol-
te, alle sue consorelle nei secoli precedenti e poi anche non poco dopo che la nostra stessa “femina che sape fare magaria” 56 aveva offerto, a pagamento, le sue prestazioni professionali in favore di «Pietro de Belladuce». Forse «Dorotea di Zingaro», non venne neppure esemplarmente punita con l’esilio o neppure perseguitata come «masciara» 57 o «fattocchiara»58 anche se le era stato intentato, nel corso del 1611, un processo. Forse «Dorotea di Zingaro, moglie di Colantonio Romanello», fu semplicemente allontanata da Conversano perché non continuasse, con le sue arti magiche, a curare chi le si rivolgeva perché si sarebbe accontentata solo di un po’ di «robba di mangiare». Ma quest’ultima, purtroppo con tutte le altre ipotesi che abbiamo sin qui formulato, non si possono considerare che delle nostra illazioni in quanto le ‘carte’ che abbiamo sul caso che ha visto implicata la nostra «Dorotea di Zingaro, moglie di Colantonio Romanello», in proposito, purtroppo, tacciono e quindi non ci rivelano un bel nulla. Pur quindi tenuti presenti i dati che ci sono giunti sul caso che abbiamo tentato sin qui di ricostruire, la vicenda in cui sono stati implicati «Dorotea di Zingaro, moglie di Colantonio
RomanelloÂť e lo stesso ÂŤPietro de BelladuceÂť continua, purtroppo, ad avere non pochi tratti che non solo non siamo riusciti ad accertare, come avremmo desiderato, quanto non ci paiono anche, non certo, del tutto proprio chiari in tutti i loro risvolti. Non ben chiari in quanto risultano (a causa della modesta mole dei documenti che ci sono giunti in proposito) tali da non permetterci di decodificarli in maniera quanto meno accettabile.
Le carte superstiti del processo intentato contro «Dorotea di Zingaro, moglie di Colantonio Romanello» ci hanno, infatti, permesso solo di affacciarci sull’orlo esterno di una sorta di abisso. Di un abisso che non sappiamo quanto fosse realmente orrido, ma che comunque, spesso, si spalancava dinnanzi alle “masciare” conversanesi che hanno avuto la ventura di vivere nel XVII secolo. E quindi non sono state forse quasi mai come le spettatrici di una pantomima quanto meno grottesca. Non certo esaltante, nel migliore dei casi e quindi tutt’altro che confortante per il futuro di una comunità che pareva, quasi irrimediabilmente, come pietrificata in un passato che non faceva di certo intravedere un futuro di gran lunga migliore. L’orrido abisso cui prima abbiamo accennato noi non abbiamo avuto modo che d’intravederlo. Forse solo siamo riusciti, unicamente, ad immaginarlo. Cui riferiamo ad un abisso di cui siamo stati in grado di cogliere (non sempre per nostra esclusiva colpa) null’altro che alcuni modesti, se non proprio marginali aspetti 59. E, per giunta, si è trattato di aspetti forse quasi sempre meramente secondari. E, quindi, proprio per questo ultimo accidente: particolarmente elusivi nel renderci edotti
di quanto era accaduto nel corso del processo intentato nei confronti della nostra Dorotea. Molto probabilmente, infatti, siamo riusciti a ricostruire, quasi unicamente, quei tratti secondari della vicenda che abbiamo tentato di ricostruire e che, forse proprio per questo motivo, sono quindi i meno truculenti. In quanto ogni interrogatorio tenuto nel corso di un processo intentato alle streghe (o sin anche alle presunte streghe) che era preceduto e quindi poi proseguiva, immancabilmente, come una implacabile litania condita da una serie di immancabili sadici preliminari. Preliminari e rituali che a loro volto erano come santificati da procedure oramai consolidatesi nel tempo. Sadici rituali oramai ritenuti ineludibili e, in alcuni casi quanto meno grotteschi, ma che sfociavano, immancabilmente, in una serie di articolate, metodiche sofisticate e brutali torture. Torture ch’erano inflitte agli inquisiti, già ritenuti, per altro, colpevoli, e che venivano propinate al solo fine di far loro dichiarare spontaneamente verità che, altrimenti, non sarebbero venute a galla. Con altri santi metodi. È proprio per quanto è, molto probabilmente, capitato a «Dorotea di Zingaro, moglie di Colantonio Romanello» che ci auguriamo che indagini simili a quelle cui fu sottoposta la no-
stra Dorotea, sia pur svolte sotto mutate intenzioni, siano da considerare oramai prettamente tipiche solo di epoche che ci siamo oramai lasciati, definitivamente, alle nostre spalle. Pur se non possiamo affatto dimenticare che, solo pochi decenni fa, si sono ripetute, proprio come vere e proprie caccie alle streghe, altre caccie ben più che simili a quelle che si son condotte nei confronti delle streghe di centinaia di anni fa. Alludiamo a quanto è accaduto nell’URRS, ai tempi delle purghe staliniane, e negli USA, al tempo del maccartismo. Quando, sia pure con effetti ben diversi gli uni dagli altri, si utilizzarono, con metodico sadismo, gran parte degli stessi rituali e mezzi utilizzati dagli inquisitori d’antan con le streghe del nostro passato. Al solo intento di accusare e quindi perseguitare persone o gruppi, ritenuti sovversivi (il più delle volte addirittura in assenza di valide prove) e quindi li si emarginava dalla società oppure li si invitava, cortesemente, ad accomodarsi nei paradisi approntati, appositamente, nei lager siberiani. È un auspicio, come si intuisce, più dettato dall’ottimismo della volontà che non dal pessimismo dell’intelligenza. In quanto non vi è stato secolo (e forse non ve ne saranno neppure in avvenire) che non sia stato caratterizzato da orrendi chiaro-
scuri che hanno marchiato a fuoco con i loro orrori intere plaghe e quindi i loro stessi abitanti. francoiatta@tiscali.it 1
Masciara: colei che opera la mascia. Veniva chiamata anche, senza particolari differenze, strega o fattocchiara, cfr. cfr. P. Locaputo, Glossario in Le masciare, Edilnorba, Conversano 1997, p.154. Fattocchiara: fattucchiera, donna che pratica la mascìa (o fattura dal latino medievale fatucula), cfr. P. Locaputo, Glossario in Le masciare, op. cit. p. 153. 2 Leggi: Istruzione di una indagine. Quindi si rinvia alla nota dedicata alla voce maleficio (cfr., nota n.3) per comprendere le motivazioni che sono all’origine delle motivazioni che determinano l’istruzione dell’indagine di cui ci occupiamo in questa nota. 3 Leggi: intorno ai misfatti, i delitti, agli incantesimo e/o i malefici. “Per maleficio deve intendersi il danno procurato da un individuo malevolo a persone, animali, campi o altri beni materiali. Quali le caratteristiche del potere malefico all’origine del danno? In ogni luogo e tempo sono sempre esistite persone di natura antisociale ritenute in possesso di poteri suprannaturali innati la cui volontà negativa intenzionalmente o inintenzionalmente, nuocerebbe al prossimo. La presenza in una comunità di tali soggetti potenzialmente ostili (streghe/stregoni) condiziona l’attribuzione di disgrazie improvvise e sconosciute. Nei riguardi di esseri umani adulti, teoricamente qualunque affezione sconosciuta, insorta improvvisamente e trascinantesi oltre misura nel tempo, ha potuto essere ricondotta all’azione di un volere malefico.
Le sindromi che colpivano gli infanti erano quelle maggiormente soggette al sospetto di maleficio. Considerazioni analoghe valevano nel caso del bestiame grande e piccolo, necessario alla sopravvivenza dell’economia contadina, o del lavoro dell’uomo per la produzione di beni di consumo (prodotti caseari, birra): quando non sortiva buoni risultati senza un’apparente ragione sorgeva il sospetto che esistesse un ostacolo di natura innaturale. Il dubbio sulla presenza di un maleficio poteva intervenire anche nel caso di fenomeni naturali improvvisi che causavano la distruzione di raccolti. La credenza nel maleficio, come quella nella stregoneria, non va intesa come un fatto monolitico ne sono infatti conosciute notevoli varianti regionali e nazionali… La capacità di procurare un maleficio poteva derivare da un patto demoniaco e dunque configurare un caso di apostasia. Dalla fine del XVI secolo in poi (come si evince dalle caute regole formulate nell’Instructio processibus in causis strigum) la Congregazione del sant’Uffizio inclinò a dubitare fortemente delle accuse di maleficio, in sintonia con le corti dei tribunali inquisitoriali iberici “, cfr. O. Di Simplicio, Maleficio, in Dizionario storico dell’Inquisizione, vol. II, diretto da A. Prosperi, con la collaborazione di V. Laventa e J. Tedeschi, Edizioni della Normale, Pisa 2010, p.965, I colonna. 4 Leggi: nei confronti di. 5 Leggi: appartenente alla famiglia Zingaro 6 Magarìa lo stesso che mascia; da ‘maga’ nell’accezione di strega, cfr. P. Locaputo, Glossario in Le masciare, op.cit., p.154. Mascìa: operazione di carattere magico, volgarmente indicata anche come fattura, incanto. Deriva dalla corruzio-
ne dialettale del termine magìa, cfr. P. Locaputo, Glossario in Le masciare, op.cit., p.154. 7 Cfr. ADC. Carte Conversano. Acta criminalia «Informatio de maleficii contra Dorotheam Dominici de Zingaro» accusata di «magaria», cc. 39, anno 1611. Documento parzialmente deteriorato. E la regestazione che dello stesso documento è stata fatta da A.M. Cristiana Guarnieri, carte Conversano, Acta criminalia, in AA.VV., Fonti per la storia di Conversano, volume secondo, L’Archivio della curia vescovile. Inventario dei Fondi Conversano, Monasteri e Conventi, collana ‘ Biblioteca di cultura pugliese, serie seconda n.171’, Presentazioni: D. Padovano vescovo di Conversano, V. Castiglione Minischetti e A. Fanelli condirettori dell’Archivio diocesano di Conversano; Prefazione: C. Lavarra direttore scientifico Centro ricerche ed arte-Conversano; Introduzione: G. Dibenedetto direttore dell’archivio stato di Bari e soprintendente archivistico per la Puglia; Contributi di D. Porcaro Massafra: L’archivio diocesano di Conversano un laboratorio di sperimentazione archivistica e di C. Guarnieri L’archivio della Curia vescovile di Conversano, a c. di Cristiana Guarnieri e Antonella Caprio, Congedo, Galatina 2006, p.137. 8 “Gli atti del processo venivano registrati minuziosamente da un notaio e l’inquisito (di cui si presumeva non l’innocenza, ma colpevolezza, proprio perché la mala fama precedeva l’azione del giudice) doveva prestare il giuramento di dire la verità all’atto di essere interrogato e sottoporsi alla quaestio rigorosa: la tortura… Sulla carta il tormento doveva durare un tempo ragionevole, e poteva anche essere applicato in caput proprium (cioè al reo per ottenere la sua propria
confessione) o per conto d’altri (si poteva torturare un testimone di status sociale non privilegiato per avere prove contro l’inquisito, o lo stesso imputato per incriminare i suoi socii, ovvero complici).” cfr. V. Lavenia, Processo in Dizionario storico dell’Inquisizione, op. cit., vol. III, p.1258, II colonna 9 Cfr. A. M. Cristiana Guarnieri, Carte Conversano. Acta criminalia in Fonti per la storia di Conversano, volume secondo, L’archivio della curia vescovile. Inventario dei fondi di Conversano, op. cit., pp. 137-138, nota n.5. 10 Cfr. ADC. Carte Conversano. Acta criminalia «Informatio de maleficii contra Dorotheam Dominici de Zingaro» accusata di «magaria», cc. 39, anno 1611. Documento parzialmente deteriorato. 11 Cfr., Carte Conversano. Acta criminalia n. 3 in Fonti per la storia di Conversano, volume secondo, L’archivio della curia vescovile. Inventario dei fondi di Conversano, op. cit., p. 137. 12 Cfr., Conversano. Acta criminalia, 03, nuova schedatura di A. Caprio e C.A.M. Guarnieri, www. Archivio diocesano di Conversano. Cogliamo l’occasione per ringraziare, anche pubblicamente, Angelo Fanelli, attuale responsabile dell’Archivio Diocesano di Conversano, per la serie di cortesie di cui ci ha fatto oggetto nel corso delle ricerche che abbiamo esperito presso il citato Archivio. 13 Tenuto presente che regina dei processi era la confessione del presunto colpevole che resistendo ai tormenti e negando potevano (in parte) purgare la cattiva fama; constatato che l’inquisitio, in buona sostanza costringeva l’imputato ad accusarsi da sé di fronte ai magistrati, “la prova maggiore del-
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la colpevolezza di un inquisito era [però] costituita dalla deposizione giurata di almeno due testimoni oculari qualificati che riportassero allo stesso modo i fatti avvenuti (i contestes). E tuttavia poiché l’eresia, come più tardi la stregoneria diabolica, fu definita come crimine enorme, vennero chiamate a deporre … le prostitute, i ladri, i lebbrosi e gli storpi, gli ebrei e gli scomunicati, i servi e gli schiavi, gli indemoniati, gli epiletti e i matti (furiosi), i minori e le donne. La loro parola valeva meno di quella di un maschio adulto libero o che appartenesse a un ceto sociale onorabile (la distinzione sociale, è bene sottolinearlo, preservava sulla carta il clero, i nobili e i notabili dalla tortura e dalle pene infamanti e corporali come la galera e la fustigazione, commutabili in pene pecuniarie); e tuttavia la loro testimonianza era considerata come un indizio non lieve a carico dell’imputato. E tanti indizi, per il diritto comune, facevano una prova semiplena, sufficiente a impartire la tortura all’inquisito o a irrogarese non la pena ordinaria almeno un castigo di minore entità ad arbitrium “, cfr. V. Lavenia, Processo in Dizionario storico dell’Inquisizione, op. cit., vol. III, p.1258, II colonna. La sottolineatura è nostra. Riteniamo sia appena il caso di far rilevare che la deposizione spontanea di Pietro de Belladuce vale come una delle due testimonianze necessarie per condannare Dorotheam Dominici de Zingaro. Leggi: stregoni. “Stre·gó·ne, s.m.: 1a. uomo a cui la superstizione popolare attribuiva poteri magici derivantigli da presunti rapporti con le potenze malefiche: la persecuzione medievale delle streghe e degli stregoni 1b. per estensione, uomo che pratica la medicina popolare: dice di essere stato
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guarito da uno stregone 2. Antropologia: presso i popoli primitivi, individuo provvisto di autorità sacrale, ritenuto in grado di agire magicamente per il bene o per il male della comunità grazie ai suoi rapporti con le forze soprannaturali”, cfr., De Mauro, Il dizionario, op. cit., p.2624, colonna IV. Per la voce stregoneria, cfr. Dizionario storico dell’Inquisizione, op. cit., pp.1513 -1537. Leggi: pratica magica, sortilegio. Anche se in questo caso si tratta di una pratica magica e/o sortilegio volti a danneggiare qualcuno per opera di uno stregone. Uno stregone o maga forse anche sollecitata ad intervenire con una magia nera da qualcuno contro un rivale e/o avversario. Si tratterebbe quindi, nel nostro caso, di una indagine volta a stabilire se nella diocesi di Conversano vi era uno stregone e/o una maga che praticava ‘la magia nera’. E come è noto la ‘magia nera’ è quella che si avvale di potenze demoniache e di riti sacrileghi allo scopo di ottenere poteri soprannaturali per fini delittuosi. Leggi: opera di magia con cui si incanta qualcuno o qualcosa, cfr., De Mauro, Il dizionario della lingua italiana, Paravia, Torino 2000, p.1172, I colonna. Voce magia: arte o scienza occulta che suppone di trarre dalle forze naturali effetti straordinari mediante tecniche misteriose e segrete, atte anche a dominare forze sovrumane o demoniache, cfr. De Mauro, Il dizionario, op. cit., p. 1429, IV colonna. Per una rimeditazione storica e antropologica di diversi aspetti del mondo magico e del mondo degli incantamenti, delle malie, e delle stregonerie del XVII secolo, cfr., Sortilegi amorosi, materassi a nolo e pignattini. Processi inquisitoriali del XVII secolo fra Bologna e il Salento, a c. di U. Mazzone e
C. Pancino, Dipartimento di Discipline Storiche dell’Università di Bologna, Carocci, Roma 2008. 17 Cfr. A. M. Cristiana Guarnieri, Carte Conversano. Acta criminalia in Fonti per la storia di Conversano, volume secondo, L’archivio della curia vescovile. Inventario dei fondi di Conversano, op. cit., pp. 137-138, nota n.5. 18 Cfr. V. Lavenia, Processo in Dizionario storico dell’Inquisizione, op. cit., vol. III, p. 1258, II colonna. 19 A volte, ma in specie per le donne coniugate, si faceva seguire al loro nome e cognome di una donna coniugata, anche il nome e il cognome del marito. Questo escamotage veniva utilizzato, in particolar modo dai notai intenti a stilare un rogito. Utilizzavano questo pratico espediente per rendere inequivocabile a chi si riferiva. Si ricorreva quindi allo stesso accorgimento, ovviamente, anche nei documenti ufficiali. Con questa pratica, per altro, si sottolineava il ruolo subalterno che, nella società di antico regime, aveva la donna: che fosse di nobile stirpe e/o appartenesse al popolino minuto. E con ciò, per altro, si rimarcava anche il primato che tout court veniva assegnato all’uomo: qual pur fosse la sua stessa estrazione sociale. 20 ‘Colantonio’ è abbreviazione familiare e/o semi dialettale per Nicola Antonio. Era, ed utilizzata, come abbreviazione in specie, nelle aree meridionali d’Italia. 21“Voce magia. 2. Tipologia e tecniche. Quanto alla fenomenologia della m., secondo i termini introdotti dalla scuola evoluzionistica, si parla di m. analogica (imitativa, simpatetica e omeopatica), in cui il simile agisce sul simile, e di m. contagiosa , in cui la trasmissione di forze o qualità avviene mediante un contatto; esempi della prima sono il versare acqua
al fine di provocare la pioggia o lo sciogliere dei nodi per facilitare il parto; della seconda le fatture compiute su un capo di vestiario appartenente alla persona su cui si vuol esercitare un influsso magico o le pozioni magiche. Si parla anche di m. positiva e m. negativa, intendendo con la prima un’attività umana consapevole (per es. raccogliere la malattia di una persona con un pezzo di stoffa che viene successivamente bruciato) e comprendendo nella seconda tutti i tabù che richiedono dall’uomo soltanto un’astensione e le cui infrazioni provocano sanzioni automatiche. Si distingue poi tra m. nera e m. bianca, intendendo con la prima il complesso di azioni magiche malefiche, con la seconda soprattutto le azioni dirette a parare queste ultime (esorcismo)”, cfr., Enciclopedia on line, treccani, www.treccani.it. La sottolineatura è nostra. 22 Cfr. ADC, Carte Conversano. Acta criminalia n. 46. Interrogatorio di Primiano Guarnieri, davanti all'arciprete di Rutigliano a proposito «una femina, che sapesse fare qualche magaria ò sale incantato», cc. 2. [sec. XVIII] 1700. Documento parzialmente deteriorato. 23 Cfr. A. M. Cristiana Guarnieri, Carte Conversano. Acta criminalia in Fonti per la storia di Conversano, volume secondo, L’archivio della curia vescovile. Inventario dei fondi di Conversano, op. cit., pp. 137-138, nota n.5. 24 Cfr. A. M. Cristiana Guarnieri, Carte Conversano. Acta criminalia in Fonti per la storia di Conversano, volume secondo, L’archivio della curia vescovile. Inventario dei fondi di Conversano, op. cit., pp. 137-138, nota n.5. 25 Fattura: “Una pratica magica volta a influenzare il comportamento di una persona o provocarle un danno si dice fattu-
ra. Maleficio ha lo stesso significato, ma appartiene a un registro espressivo più elevato. Malocchio indica invece qualcosa di più specifico, ovvero un influsso malefico esercitato con lo sguardo al fine di attirare la sfortuna su chi ne è investito; più in generale indica un'attenzione malevola e invidiosa che si suppone abbia effetti negativi su chi ne è oggetto”, cfr. ad vocem, lo Zingarelli 2014. 26 Il ’rotolo’ equivale a grammi 0,890. Devo l’informazione alla signorile disponibilità di Antonio Fanizzi che colgo l’occasione per ringraziare anche pubblicamente. 27 Il piombo serviva a «Dorotea» per trarne indicazioni utili per condurre felicemente in porto una delle sue pratiche magiche e/o sortilegi. Infatti una volta fuso il piombo, la “masciara” lo versava in una bacinella contenente dell’acqua. Dalle forme che assumeva il piombo, al contatto con l’acqua contenuta nella bacinella, la “masciara” ne traeva indicazioni che riteneva utili per la felice riuscita degli ‘incanti’ e/o ‘fatture’. Insomma, indicazioni utili per quella pratiche magiche e/o sortilegi che la strega si apprestava a confezionare su ordinazione. Di qui l’invito della ‘masciara’ a che il nostro Pietro acquistasse del piombo. Devo anche questa informazione alla signorile disponibilità di Antonio Fanizzi che cogliamo l’occasione per ringraziare anche pubblicamente. 28 Leggi: un filo di spago; che doveva, però, avere la stessa funzione che aveva il filo a piombo che adoperavano i muratori, detto “u fële d’azze”, che gli stessi utilizzano come guida per erigere un muro, cfr. P. Locaputo, Dizionario della parlata conversanese, Levante, Bari 2010, p.102, colonna II. Dobbiamo, in proposito, una serie di preziose indicazioni
che ci hanno portato alla conclusione che abbiamo appena riportato a Pasquale Locaputo che cogliamo l’occasione per ringraziare anche pubblicamente. Ovviamente, gli eventuali errori in cui siamo incappati non possono che addebitarsi alla nostra insipienza. Lo stesso professor Locaputo ci ha, inoltre, segnalato che “nei verbali del processo alle streghe di Conversano tenutosi nel corso del 1582” si incontra, quasi a ogni piè sospinto, che il “filo d’azza” serviva, per annodare più volte alcuni pezzetti di legno. Questi legnetti così ‘addobbati’ facevano parte del rituale magico che aveva la funzione di preparare 'incanti' o 'fatture' di morte o di malattia. Anche quest’ultima indicazione conferma quando in proposito abbiamo subodorato leggendo la lettera che F. M. Sforza invia al cardinale Sirleto. Epistola nella quale, come si ricorderà, il presule della diocesi conversanese, riporta di aver fatto “tormentare”, cioè aveva fatto torturare, ben quattro streghe. Tortura che, ovviamente, non poteva non essere stata inflitta, come era pratica consolidata, che nel corso degli interrogatori che si erano tenuti nel corso del processo in cui figuravano come imputate le stesse streghe. Purtroppo i verbali cui accenna il professor Pasquale Locaputo sono andati inopinatamente perduti. Infatti non ve ne è alcuna traccia tra le filze regestate come: Carte di Conversano. Acta criminalia, cfr., A. M. Cristiana Guarnieri, Carte Conversano. Acta criminalia in Fonti per la storia di Conversano, volume secondo, L’archivio della curia vescovile. Inventario dei fondi di Conversano, op. cit., pp. 137-145. 29 ‘Il dito grosso del pede’, leggi: il pollice. 30 Cfr. A. M. Cristiana Guarnieri, Carte Conversano. Acta criminalia in Fonti per la storia di Conversano, volume secon-
do, L’archivio della curia vescovile. Inventario dei fondi di Conversano, op. cit., pp. 137-138, nota n.5. 31 Cfr. A. M. Cristiana Guarnieri, Carte Conversano. Acta criminalia in Fonti per la storia di Conversano, volume secondo, L’archivio della curia vescovile. Inventario dei fondi di Conversano, op. cit., pp. 137-138, nota n.5. 32 “Aprifico, voce corrotta per abbrefëche, cioè caprifico, fico selvatico. I suoi frutti, infilati su un rametto, si appendevano all’albero di alcune varietà di fichi (i fëche petreéle) per favorirne la maturazione e impedirne la caduta; dal latino caprificus, composto di capra+ficus, cioè «fico per capre»”, cfr., Dizionario della parlata conversanese, a c. di P. Locaputo, collana ‘’La Puglia nei documenti n.20’, Levante, Bari 2010, p.43, II colonna. “Caprifico: varietà spontanea del fico (Ficus carica variante di caprificus), diffusa in tutto il Mediterraneo, nelle fessure di rupi e di muri, distinta dal fico coltivato, o domestico, per il minore sviluppo vegetativo e per i frutti (in realtà infruttescenze) asciutti, stopposi, di solito non commestibili. Il c. è detto fico selvatico, sebbene anche il fico coltivato possa trovarsi allo stato selvatico”, cfr. Enciclopedia on line Treccani, www. Treccani.it. 33 Ovviamente, porre sotto il letto del Belladuce quanto la “masciara” aveva preparato per il suo sortilegio faceva parte del rito propiziatorio cui ci si doveva attenere per far sì che andasse a buon fine il rito magico che la “masciara” intendeva realizzare. 34 Cfr. A. M. Cristiana Guarnieri, Carte Conversano. Acta criminalia in Fonti per la storia di Conversano, volume secondo, L’archivio della curia vescovile. Inventario dei fondi di Conversano, op. cit., pp. 137-138, nota n.5.
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‘Magara’ lo stesso che ‘magare, cioè streghe. Nel nostro caso: più appartenenti al gruppo delle streghe di cui la nostra «Dorotea di Zingaro» faceva parte. Insomma, la nostra maga, fa presente a Pietro Belladuce, per indurlo a cedere alle sue richieste, che a casa sua vi è come una sorta di consesso di stregoni che tutti si adoperavano per far guarire il nostro Pietro. 36 Leggi: collaboravano, con «Dorotea di Zingaro, moglie di Colantonio Romanello», nel rendere efficaci i sortilegi che la nostra strega aveva officiato in favore di Pietro Belladuce. E che, quindi, “agiutavano” (leggi: aiutavano) Pietro Belladuce a guarire. 37 Leggi: guarire. 38 Cfr. A. M. Cristiana Guarnieri, Carte Conversano. Acta criminalia in Fonti per la storia di Conversano, volume secondo, L’archivio della curia vescovile. Inventario dei fondi di Conversano, op. cit., pp. 137-138, nota n.5. 39 Cfr. A. M. Cristiana Guarnieri, Carte Conversano. Acta criminalia in Fonti per la storia di Conversano, volume secondo, L’archivio della curia vescovile. Inventario dei fondi di Conversano, op. cit., pp. 137-138, nota n.5. 40 Leggi: i sortilegi. 41 Cfr. A. M. Cristiana Guarnieri, Carte Conversano. Acta criminalia in Fonti per la storia di Conversano, volume secondo, L’archivio della curia vescovile. Inventario dei fondi di Conversano, op. cit., pp. 137-138, nota n.5. 42 Cfr., Franco Iatta, Dell’attendibilità dei dati rilevabili dagli ‘Acta criminalia’ istruiti ‘ nel foro ecclesiastico della diocesi conversanese per i religiosi residenti a Conversano dal XVI al XIX seco-
lo oggi custoditi presso l’Archivio Diocesano di Conversano, ora
riportato nell’«Appendice» di questo stesso nostro contributo. 43 “Pietro Capulli, vescovo di Conversano dal 31 agosto 1605 al 24 giugno 1625, nato a Cortona il 1552, apparteneva all’Ordine dei frati minori conventuali”, cfr. A Fanelli, Conversano [Cupersanen(sis) o Conversanen(sis)] in Cronotassi iconografia e araldica dell’episcopato pugliese, progetto di ricerca finanziato dalla Regione Puglia, Assessorato alla cultura realizzato dalla Unione regionale dei centri di ricerche storiche ed artistiche archeologiche e speleologiche di Puglia, Levante Bari, 1986, p.164. 44 Cfr. G. Bolognini, Storia di Conversano dai tempi più remoti al 1865 corredata di documenti e di tavole genealogiche, Bari 1935, p. 131. 45 Cfr. ADC, ‘Carte’ di Conversano. Acta criminalia,3. «Informatio de maleficii contra Dorotheam Dominici de Zingaro» accusata di «magaria»; cc. 39, anno1611, documento parzialmente deteriorato, op. cit. 46 Cfr., regestazione che del documento è stata fatta da A.M. Cristiana Guarnieri, in Carte Conversano, Acta criminalia, per le Fonti per la storia di Conversano, volume secondo, L’Archivio della curia vescovile, op. cit., p.137. 47 Cfr., V. Lavenia, Processo in Dizionario storico dell’Inquisizione, op. cit., vol. III, p.1258, II colonna. 48 Cfr., V. Lavenia, Processo in Dizionario storico dell’Inquisizione, op. cit., vol. III, p.1258, II colonna. 49 Cfr., V. Lavenia, Processo in Dizionario storico dell’Inquisizione, op. cit., vol. III, p.1258, II colonna.
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“La prova maggiore della colpevolezza di un inquisito era [però] costituita dalla deposizione giurata di almeno due testimoni oculari qualificati che riportassero allo stesso modo i fatti avvenuti (i contestes), cfr. V. Lavenia, Processo in Dizionario storico dell’Inquisizione, op. cit., vol. III, p.1258, II colonna. 51 “L’inquisito (di cui si presumeva non l’innocenza, ma colpevolezza, proprio perché la mala fama precedeva l’azione del giudice) doveva prestare il giuramento di dire la verità all’atto di essere interrogato e sottoporsi alla quaestio rigorosa: la tortura”, cfr., V. Lavenia, Processo in Dizionario storico dell’Inquisizione, op. cit., vol. III, p.1258, II colonna. 52 Cfr. ADC. Carte Conversano. Acta criminalia «Informatio de maleficii contra Dorotheam Dominici de Zingaro» accusata di «magaria», cc. 39, anno 1611. 53Cfr. V. Lavenia, Processo in Dizionario storico dell’Inquisizione, op. cit., vol. III, p.1258, II colonna 54Cfr. V. Lavenia, Processo in Dizionario storico dell’Inquisizione, op. cit., vol. III, p.1258, II colonna 55 Nel caso di accertata stregoneria, nel Salento, ì titolari dei ‘fori ecclesiastici’, di norma, stabilivano di condannare l’inquisito e/o l’inquisita … …, cfr. 56 “Don Primiano afferma che una volta il canonico Vitantonio Tanzarella gli aveva suggerito di rivolgersi a Domenica Clinca alias Abbate Cesare e andare a Casamassima dove la sorella di quest’ultima, di nome, Tilla Tonna «sà fare detto sale». In effetti la donna gli consegnò un po’ di sale incantato, un poco di cera benedetta e un palmo di carbone. Tornato a casa, tuttavia, don Primano si accorse che nel «moccaturo»
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(cioè nel fazzoletto) il sale non c'era. Non gli restò altro da fare che gettare via il carbone”, cfr. Archivio Diocesano di Conversano. Carte Conversano. Acta criminalia n.46.Interrogatorio di Primiano Guarnieri, op. cit., cc. 2. [sec. XVIII] 1700. Per «moccaturo» cfr. L’Enciclopedia italiana on-line, www.treccani.it che recita:” Quadrato di tela o di carta usato per soffiarsi il naso che in Liguria si indica come Mantile, in Toscana Pezzola, in Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia si indica, invece, come moccaturo”. “Masciara: colei che opera la mascia. Veniva chiamata anche, senza particolare differenza, strega o fattocchiara”, cfr. P. Locaputo, Glossario in Le masciare. Storie di streghe dai verbali inediti di un processo del 1582, Edilnorba rsl, Scisci, Conversano 1997, p.154. ”Fattocchiara: fattucchiera, donna che pratica la mascia (o fattura, dal latino medievale fatucula) cfr. P. Locaputo, Glossario in Le masciare. Storie di streghe dai verbali inediti di un processo del 1582, Edilnorba rsl, Scisci, Conversano 1997, p.153. Mascia, operazione di carattere magico, volgarmente anche detta fattura, incanto. Deriva dalla corruzione dialettale del termine magia, cfr. Id. Glossario, in op. cit., p.154. C. A. M. Guarnieri e A. Caprio, le archiviste che hanno inventariato gli «Acta criminalia» del Fondo Conversano custodite presso l’Archivio della curia vescovile di Conversano (cfr. Fonti per la storia di Conversano, vol. II. L’archivio della Curia vescovile. Inventario dei Fondi Conversano, Monasteri e Conventi. Fondo Conversano. Acta criminalia, a c. di Cristiana A.M. Guarnieri e A. Caprio, Congedo, Ga-
latina 2008, p.137), in una nota che rimanda a piè di pagina, apposta subito dopo l’indicazione «Acta criminalia» del precitato Fondo Conversano, segnalano che “Molta documentazione [degli Acta criminalia] è stata ritrovata frammista ad altre carte. Risulta allo stato attuale ancora mancante un faldone di atti, relativi agli anni 1611-1769, che Marco Lanera segnalava come presenti nel suo Catalogo provvisorio, cfr. M. Lanera, Archivio storico diocesano di Conversano. Catalogo sommario provvisorio 1981, Castellana 1981, p.17.