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editoriali

I ricchi, i poveri e il vortice delle porte girevoli Stefano Lampertico

L’

idea in sè, non era neppure così malvagia. In una città trasformatasi nel tempo in un luogo per soli ricchi (e con il costo della vita alle stelle), la possibilità di edificare del volume in più da destinare ad appartamenti per meno abbienti, era sembrata un’idea interessante. L’allora sindaco di New York, il repubblicano – per idee – Michael Bloomberg, che l’aveva proposta e che l’aveva resa concreta con l’adozione dei successivi strumenti urbanistici aveva raccolto anche il plauso dell’attuale sindaco, il Roberto Davanzo democratico Bill De Blasio, che l’aveva sostenuto pur da parte avversa. direttore Caritas Ambrosiana Non sempre però le buone idee portano buoni risultati. “The Edge”, il palazzo di Brooklyn dove ricchi e poveri avrebbero dovuto convivere insieme senza problemi ha due portoni di accesso. Il primo è al civico 22, la on illudiamoci: non sarà con l’arreporta dei ricchi. Il secondo invece al civico 34 è la porta riservata ai posto di qualche presunto scafista veri. Due ingressi separati, regolati non dal più agevole accesso al proidentificato all’arrivo sulle coste siciprio appartamento ma da quanto si ha nel portafoglio. Marcia indietro. liane con il suo carico di disperazione che Bill De Blasio, che pure ha nel suo programma un piano di espansioriusciremo a risolvere il problema dei profune edilizia per le fasce meno abbienti della popolazione, ci sta ripenghi o degli immigrati clandestini, come alcusando. Forse spinto anche da quanto successo, sempre nel mese di ni si ostinano a definire queste persone, papà, agosto, a Ferguson, quartiere di St. Louis nel Missouri, con la città mamme, bambini. messa a ferro e fuoco e segnata dagli scontri dopo la morte di un Secondo le più elementari leggi dell’economia, ragazzo di colore ucciso dalla polizia locale. si tratta di una questione di domanda: fino a “The Edge”, a New York, è il pretesto – e non solo – per agganquando le persone vorranno arrivare in Europa – ciarmi al dossier di apertura che vi proponiamo su questo nuper fuggire a guerre e persecuzioni o semplicemenmero. Vi raccontiamo, come ci piace spesso fare, una buona te per cercare condizioni di vita migliori –e non ci sastoria. Il “condominio” che piace a Scarp è un “condominio” ranno alternative, stiamo pur certi che il mercato dei dove i vicini si conoscono, si parlano, si aiutano e si scambiabarconi sulle coste della Libia, piuttosto che quello dei no persino favori! Una volta era l’arte del buon vicinato a gopullmini che partono dai centri di accoglienza di Milavernare i cortili e i quartieri dei piccoli centri. Garantiva una no verso il nord Europa, continuerà a proliferare impusorta di protezione sociale per le famiglie in difficoltà, per nemente, sottoponendo questi profughi o clandestini a gli anziani. Per chi si trovava in un momento di bisogno. Ogspese indicibili. Le ultime informazioni parlano di 500 eugi, al tempo di internet e dei social media, pochi avrebro a persona per una viaggio da Milano al nord Europa o di bero scommesso sul buon esito di un’idea, nata a Bolo25 mila euro in media a famiglia per un viaggio dalla Siria gna, in via Fondazza, che ha preso velocemente piede in alle nostre terre. Non ci vuole molto ad immaginare quale sia il giro di affari che di fatto affidiamo alla criminalità oraltre parti d’Italia. Vi raccontiamo le “social street”, l’idea ganizzata. Così come non ci vuole molto a immaginare che ha trasformato i vicini di casa in vicini di vita. Qui non che l’apertura di quelli che vengono chiamati “corridoi esistono porte per ricchi e porte per poveri. Anche perchè, umanitari” – cioè l’organizzazione di questi spostamenti e noi di Scarp lo sappiamo bene, non è poi mica così dife trasporti da parte degli Stati (ovviamente in una logificile nella vita trovarsi nel vortice delle sliding doors, di ca europea) –oltre a garantire una diversa sicurezza per quelle porte girevoli che un giorno ti consentono di entrale persone, avrebbe l’effetto di tagliare l’erba sotto i piere – fiero e baldanzoso – dal civico 22 e l’indomani – di coldi a quanti continuano a lucrare sulla disperazione po e impreparato, e spesso di nascosto – dal civico 34. delle persone. Nel frattempo, gli immigrati continueLe storie di vita sono da sempre il cuore del nostro giornale. ranno a pagare gli scafisti e noi cittadini continueremo Per questo, all’interno, trovate anche una riflessione sui mia pagare le operazioni “mare nostrum” o “frontex nori in difficoltà, costretti dalle leggi dello Stato, a lasciare le plus” per evitare naufragi e annegamenti. Continuecomunità nelle quali sono accolti al compimento del diciotremo a nasconderci dietro a un dito: non identifichetesimo anno di vita. Sì, perchè per la legge, a diciotto anni, coremo siriani ed eritrei e faremo il tifo perché trovino al munque si è in grado di cavarsela da soli. La realtà però ci più presto il passatore che presentandosi davanti alracconta altre storie. Storie di giovani lasciati a se stessi, senl’ingresso del centro di accoglienza del Comune porti za più cure, formazione o assistenza. Insomma, un mondo via la famiglia immigrata di turno. Ovviamente a sue spediverso da quello che le norme – e la burocrazia – dipinse e a tutto vantaggio di una delinquenza foraggiata dalla gono. Un mondo a parte. Come “The Edge”, Brooklin, nostra miopia. New York. Un mondo che non ci piace.

Il peso della nostra miopia

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sommario Fotoreportage

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A scuola di solidarietà p.6

Scarp Italia

Cos’è È un giornale di strada non profit. È un’impresa sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo per recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese. Scarp de’ tenis è una tribuna per i pensieri e i racconti di chi vive sulla strada. È uno strumento di analisi delle questioni sociali e dei fenomeni di povertà. Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale. Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali. Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vita e globalizzazione. Infine, Caleidoscopio: vetrina di appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!

dove vanno i vostri 3 euro Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Redazione centrale - milano cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3, tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it Redazione torino associazione Opportunanda via Sant’Anselmo 21, tel. 011.65.07.306 opportunanda@interfree.it Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12, tel. 010.52.99.528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38, tel. 0444.304986 - vicenza@scarpdetenis.net Redazione rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69, tel 0541.780666 - rimini@scarpdetenis.net

L’inchiesta Comunità: quando lo Stato scarica i propri figli p.20

Lo speciale

Come leggerci

Per contattarci e chiedere di vendere

L’inchiesta Social Street: vicini di casa, vicini di vita p.12

La solitudine delle badanti p.24

Testimoni Fabio Geda: «Vittime del proprio destino» p.28

Scarp città Milano Rifugiati: il racket dei passatori p.30 La telemedicina del medico-falegname p.35

Como Cure gratuite per tutti a Casa Santa Luisa p.38

Torino La nuova vita di Emilia, tra pentole e fornelli p.40

Genova “Dov’è Genova?” In fuga senza meta p.42

Verona La mappa di Felix, disegno di speranza p.44

Vicenza Alicia, la strada come palcoscenico p.46

Venezia Homeless in laguna, numeri in aumento p.48

Rimini Vita di strada, giovani ai margini p.50

Napoli Parole e affetti, i “sentimenti” di Scarp p.52

Salerno

Redazione Firenze Caritas Firenze, via De Pucci 2, tel.055.267701 scarp@caritasfirenze.it

Mare Nostrum, arrivi anche a Salerno p.54

Redazione napoli cooperativa sociale La Locomotiva largo Donnaregina 12, tel. 081.44.15.07 scarp@lalocomotivaonlus.org

Sorjan e gli inquilini di Palazzo Bernini p.56

Redazione Catania Help center Caritas Catania piazza Giovanni XXIII, tel. 095.434495 redazione@telestrada.it

Catania

Scarp ventuno Dossier I lobbisti, la finanza e i centri di potere p.60

Economia Cibo sospeso, per mordere la crisi p.65

Caleidoscopio Rubriche e notizie in breve p.69

scarp de’ tenis Il mensile della strada Da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe - anno 19 n. 184 settembre 2014 costo di una copia: 3 euro

Per abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 30 € c/c postale 37696200 (causale AbbonAmento SCArP de’ tenIS) Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano (lunedì-giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel. 02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Stefano Lampertico Redazione Ettore Sutti, Francesco Chiavarini, Paolo Brivio Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Roberto Guaglianone, Alessandro Pezzoni Sito web Roberto Monevi Foto di copertina Cezaro De Luca Foto Archivio Scarp, Stefano Merlini, Disegni Luigi Zetti, Silva Nesi Progetto grafico Francesco Camagna e Simona Corvaia Editore Oltre Soc. Coop., via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber, via della Volta 179, 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 15 settembre all’11 ottobre 2014


A scuola di solidarietà Si è da poco conclusa la 18esima edizione dei Cantieri della Solidarietà, campi estivi organizzati da Caritas Ambrosiana in Italia e all’estero. Definiti come “la carica dei 101”, 83 giovani, tra i 18 e i 30 anni, con il sostegno di 18 coordinatori, hanno vissuto un’esperienza di conoscenza, condivisione e servizio in diverse periferie del mondo, dal quartiere Comasina di Milano (con “aperti per ferie”) ad altri 9 Paesi (Moldova, Georgia, Libano, Gibuti, Etiopia, Bolivia, Haiti, Nicaragua e Perù). Centrale è stata la dimensione del volontariato e del servizio alla persona: dall’animazione con i minori ai lavori manuali a sostegno di anziani soli in Moldova, dalle visite alle famiglie in difficoltà ad attività ludico-ricreative con i disabili in Perù, dall’incontro con i profughi siriani in Libano all’animazione con i bimbi ospedalizzati in Etiopia, dalla formazione delle donne all’aggregazione con i giovani in Nicaragua. L’edizione di quest’anno ha poi centrato la riflessione sul tema del diritto al cibo, riprendendo la campagna “Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro” lanciata nei mesi scorsi in tutto il mondo dal network Caritas. I racconti dei volontari li trovate sul blog www.micascemi.org Chi fosse interessato a partecipare ai Cantieri della Solidarietà 2015 può scrivere a volontariato@caritasambrosiana.it

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Nicaragua, dove la porta è sempre aperta Una normale giornata di attività all’associazione Sin Barreras El Güis nel quartiere di Nueva Vida di Ciudad Sandino città-satellite della capitale Managua con cui Caritas Ambrosiana – in collaborazione anche con il Centro Redes de Solidaridad – lavora fin dal 2008. (in alto) Moldova, un’Europa che non ti aspetti I bimbi del villaggio di Cania, nella regione di Cantemir, zona sud-ovest della Moldova, a circa 100 km dalla capitale Chisinau si presentano al centro estivo un’ora prima delle attività per non perdersi nulla. (pagina accanto, a sinistra) Georgia, il sorriso dei bambini I ragazzi dei cantieri hanno operato a Kutaisi, città di 150 mila abitanti a 4 ore di auto dalla capitale Tbilisi. Qui sorge il centro diurno che da dieci anni accoglie ogni giorno oltre 100 bambini in stato di necessità. (pagina accanto, a destra)


fotoreportage

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A scuola di solidarietĂ

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fotoreportage

Libano, rincorrere i sogni di chi non ha più nulla Lo sguardo intenso di una piccola ospite del campo profughi di Dbayeh che sorge 12 km a nord di Beirut, in Libano, dove i ragazzi dei cantieri hanno operato. Nel campo vivono circa 500 famiglie, di cui 400 palestinesi e 100 libanesi. Gli abitanti sono tutti cristiani (greco-ortodossi, greco-cattolici, maroniti e protestanti).

Etiopia: i bambini non ti lasciano mai I ragazzi dei cantieri in Etiopia hanno lavorato nella missione di Getche dove suor Francesca e suor Marta riescono, praticamente da sole, a gestire una clinica che garantisce le cure ai 12 mila abitanti che vivono nei paesi circostanti.

Bolivia: gli sguardi fieri della popolazione di Cochabamba I volontari hanno operato nel tessuto urbano della città di Cochabamba, la terza città più grande della Bolivia, lavorando a stretto contatto con bambini di strada, ragazzi orfani o abbandonati dalle famiglie, in due centri di aiuto all’infanzia gestiti da suore e insieme agli animatori di una parrocchia in un quartiere difficile.

Haiti: i Caraibi non da cartolina I volontari italiani in “missione” ad Haiti hanno lavorato a stretto contatto con le Piccole Sorelle del Vangelo a Citè Okay, condividendo con sei animatori locali l’esperienza di un campo estivo a Mole st. Nicolas, nel nord dell’isola. settembre 2014 scarp de’ tenis

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anticamera Aforismi di Merafina COLORI E SAPORI I colori fanno parte della vita. Pure a casa mia ci sono il riso bianco, le cipolle rosse e miseria nera. LA SERATA Abbiamo trascorso una bella serata ma non era quella ETERNA GIOVINEZZA Gallina vecchia si fa il lifting

Faranno ritorno Figli andati, figli partiti, in altre città trasferiti, lasciando il paesello col loro piccolo fardello, salutando con grande dolore nel cuore fra il rumore di trattori i loro amati genitori. Partiti per trovare altrove una sistemazione, formare una famiglia ed è troppo grande la nostalgia dei loro cari lasciati sulla soglia, per cui aspettando con ansia il grande giorno a Natale, ritrovando il calore famigliare dai loro genitori faranno tutti ritorno.

Vetro della mia anima Tiro e ritiro, come se volessi lanciare un sasso sul vetro. Ma so che si romperebbe. Una parte di me vorrebbe farlo per sfogarmi una volta per tutte. L’altra parte di me mostra ciò che potrebbe accadere, sicuramente non ci si aspetta il peggio del peggio. Quello che penso è diverso, bilaterale, questo vuol dire che c’è un passaggio segreto dentro di me. Non credevo potessi essere così forte. Cinzia Rasi

Solari Fanciulli cercan l'allegria, i vecchi frescura e compagnia, badanti fanno comunella, alcuni sono in meditazione o a messaggiar con trepidazione e i giovin per un caldo sole in questo parco che giustamente fa SOLARI Per pomeriggi meno amari alcuni fermi pel frugale pasto ne cercan l'isolata panca un poco rara per chi la vuole per un sonno mai bastante Ed io, io che cerco la mia ispirazione, in tutti ne vedo la spettinata aura, ma guardando meglio mi domando Chi ha carpito loro le Ali? Allor mi dico ci vuole poco a volte per volare, basta incrociare lo sguardo che oltre agli occhi scende in fondo al cuore E loro sono il mio aperto Amore Ma solo Tu... Tu sei Il mio Grande e Unico Amore... Signore!

Mino Beltrami

Mr Armonica

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Vicini di casa, vicini di vita di Alberto Rizzardi e Generoso Simeone

Il buon vicinato ai tempi dei social network. Può sembrare un’eresia, visto tutto quel che è stato detto in questi anni sulla contraddizione, più che sulla cooperazione, tra questi due aspetti della vita moderna e sulla capacità delle nuove tecnologie di distrarre e astrarre dalla realtà, con milioni di utenti che sono in contatto ogni giorno con decine di amici in giro per il mondo, salvo poi non rivolgere la parola e magari non sapere neanche il nome del dirimpettaio. Tutte cose vere. Ma c’è anche l’opposto. Ovvero la tecnologia che si mette a disposizione della realtà. Un social network, il più popolare, che diventa la chiave virtuale per aprire le porte reali del vicinato 2.0. Social street è un’idea nata a Bologna un anno fa, nel settembre 2013, quando il giornalista Federico Bastiani, toscano di nascita ma felsineo d’adozione, cercava bambini con cui fare giocare il figlio, dopo essersi trasferitosi in quella via Fondazza in cui visse anche il pittore Giorgio Morandi.

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l’inchiesta

Una volta si chiamava buon vicinato quella cortesia, tipica dei piccoli centri, che garantiva una sorta di “protezione sociale” non solo da parte di amici e famigliari ma anche di vicini di casa. Oggi, ai tempi di internet, in pochi avrebbero scommesso sulla voglia delle persone che vivono nella stessa zona di conoscersi e stare insieme. Il successo delle social street, nato grazie soprattutto all’uso di internet e dei social network la dice lunga sulla voglia delle persone di socializzare. Nella grandi città ma non solo. Nata a Bologna, in via Fondazza il concetto di social street si è presto espanso in tutta Italia e all’estero

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Vicini di casa, vicini di vita

Come fare

Aprire una social street è facile, basta la voglia di mettersi in gioco Sono tanti i motivi per cui si dovrebbe aprire una social street. Fare amicizia con i vicini, trovare persone con cui condividere passioni ed hobby. A volte basta davvero poco per creare una comunità viva e accogliente. Ecco i suggerimenti messi on line da www.socialstreet.it, sito che raccoglie tutte le social street nate in italia. Perché aprire una social street? Vi siete appena trasferiti in una città e non conoscete nessuno? Camminate per la strada dove vivete da tanto tempo, vedete sempre le stesse facce ma non sapete esattamente chi sono i vostri vicini? Vi piacerebbe prendere un caffè con loro? Allora dovreste proprio aprire una social street. Quali problemi concreti possono essere risolti? Potenzialmente tutti, ma l’obiettivo del social street, oltre alla socialità, è risolvere piccole problematiche. Dovete cambiare il frigorifero? Perché metterlo su ebay, creare un annuncio, pagare una commissione, pagare un trasporto quando magari il vostro vicino di casa ne sta cercando proprio uno come il vostro? Avete un bambino piccolo che gioca sempre da solo e volete invece che interagisca con gli altri bambini della strada ma non sapete se ci sono famigliole nei pressi o non sapete come approcciarli? Dovreste aprire una social street. Vi siete appena trasferiti e non sapete chi è il medico di famiglia più bravo vicino a voi? Le pagine gialle non te lo possono dire ma il tuo vicino di casa forse può dirtelo. Oltre alla condivisione cosa si può fare? Una volta stabilito un legame con i vicini si possono organizzare eventi di strada, pranzi dei residenti, concerti, organizzare la pulizia della strada in modo autonomo dove il Comune non provvede. Questi tipi di iniziative richiedono ovviamente più impegno ma quando il gruppo è creato e funziona, si possono realizzare anche progetti più complessi.

Un’iniziativa partita da un bisogno privato e rivelatasi ben presto una felice intuizione: è bastato qualche volantino affisso nella via per dare il via a un rapido e positivo contagio, che ha dapprima interessato le poche centinaia di metri di via Fondazza (più di 900 oggi gli iscritti al gruppo su un totale di circa duemila residenti) per poi estendersi al resto d’Italia e, addirittura, al mondo, con esempi in Portogallo, Brasile e Nuova Zelanda.

Ben 300 social street in Italia Sono 300 oggi le social street mappate sul portale nazionale di riferimento www.socialstreet.it. Con un motto che ben sintetizza lo spirito che anima l’iniziativa: dal virtuale, al reale, al virtuoso.

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E un obiettivo ben chiaro: partire da un’interazione in rete per arrivare a socializzare nella vita reale con i vicini della propria strada o quartiere di residenza, instaurando un legame, condividendo necessità, scambiandosi professionalità e conoscenze, portando avanti progetti collettivi d’interesse comune. Qualche numero (in costante aggiornamento): sono 58 le social street attive a Bologna e in provincia; 45 a Milano (da Lambrate a piazzale Gambara, da via Sarpi al quartiere Isola), con i primi esempi anche nell’hinterland; 26 a Roma e dintorni. Ma non ci sono solo le grandi città: il fenomeno social street è arrivato anche nei centri più piccoli, da nord a sud. La Lombardia è la regione che, dopo la natia Emilia, sembra aver

meglio risposto alla sollecitazione con una settantina di gruppi di quartiere creati in pochi mesi. In ognuna di queste realtà il meccanismo è il medesimo. E piuttosto semplice: si apre un gruppo chiuso su Facebook, si sparge la voce e si distribuisce qualche volantino in zona. In breve tempo la bacheca diventa una piccola, grande piazza virtuale dove poter chiedere consigli, offrire servizi, dare indicazioni, ma anche organizzare incontri, eventi e attività comuni. Sì, perché le social street non servono solo per chiedere una mano per un trasloco e per dipingere casa o per scovare il parrucchiere e il ristorante migliori della zona. Sono anche un vivace incubatore di idee e proposte per migliorare gli spazi e la vita della zona in cui si vive.

Appuntamenti per tutti i gusti Sono decine, in questo senso, le iniziative organizzate in tutta la penisola:dai concerti di via Fondazza alla piccola biblioteca gratuita creata in un’altra social street bolognese, quella di via del Triumvirato; dalla riqualificazione delle aree verdi del gruppo lodigiano Campo di Marte e Oltre Adda alle decorazioni urban x stich (i graffiti a punto e croce) realizzate dai residenti nelle vie del centro di Marina-Finale Ligure sull’impalcatura che ricopre la facciata della Basilica barocca di San Giovanni Battista in attesa dell’inizio dei restauri; passando per pranzi collettivi, flash mob, aste benefiche, biciclettate e partite di calcetto. In poche parole, ci si dà una mano e si sta insieme per vivere meglio, ricreando quell’atmosfera “di paese” nel senso migliore del termine: «Ci si ferma per strada, ci si saluta, si dà un volto alle persone che si sono conosciute su Facebook, – spiega il fondatore, Federico Bastiani – creando quel clima generale di positività che rende poi facile portare avanti i vari progetti. All’inizio non pensavo che il mio messaggio venisse preso in considerazione. Mi aspettavo aderissero una ventina di persona all’iniziativa di via Fondazza, e sarebbe già stato un buon risultato. Non mi aspettavo un tale successo, ma a distanza di un anno, pensandoci bene, la cosa non è così sorprendente: social street non fa altro che ravvivare una socialità perduta. L’uomo è un animale sociale da sem-


Social street in Oceania Un momento di festa per i bambini delle famiglie che hanno dato via alla social street di Glenduan, piccola e incantevole località di mare, affacciata sullo stretto di Cook, a un quarto d’ora d’auto dalla città di Nelson in Nuova Zelanda

pre. Negli ultimi decenni la società è talmente cambiata che, forse, ce ne siamo dimenticati. Oggi con un computer e una connessione internet si pensa di essere padroni del mondo e di poter far tutto, dagli acquisti online alle amicizie virtuali, nella convinzione che si risparmi tempo e fatica. In realtà magari un risparmio c’è ma ci siamo disabituati a stare insieme agli altri e a confrontarci.

l’inchiesta

Social street non fa niente di eclatante, vuole solo riattivare questo circuito. Qualcuno ci ha chiamati “acceleratori di fiducia”, una definizione che mi piace molto perché credo riassuma alla perfezione lo spirito che sta dietro questa iniziativa: la fiducia è la chiave di volta su cui si può costruire tutto il resto». In quella che il sociologo polacco Zygmunt Bauman ha definito “moder-

nità liquida”, in cui tutti noi viviamo in due mondi paralleli e differenti (online e offline), la diffusione delle social street può essere analizzata come una delle varie componenti dell’esplosione della cosiddetta sharing economy, ovvero la condivisione di beni e servizi a tutto tondo, dalla casa agli spazi di lavoro, dal noleggio di auto e biciclette allo scambio di oggetti. settembre 2014 scarp de’ tenis

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Vicini di casa, vicini di vita Tutto ciò, che, fino a poco tempo fa, rappresentava in Italia una nicchia, pur di eccellenza, sta diventando una realtà assai diffusa, soprattutto al nord. Secondo un’indagine Doxa, gli utenti che nel nostro Paese hanno già utilizzato almeno una volta un servizio di sharing sono il 13%, prevalentemente uomini, di età compresa tra i 18 e i 34 anni, laureati e residenti nei grandi centri. Ma le social street hanno qualcosa in più: «Siamo stati inquadrati spesso come fenomeno della sharing economy o come banche del tempo – spiega Bastiani –. Questi aspetti si manifestano senza dubbio nei vari gruppi, ma perché c’è stato un passo precedente, cioè un lavoro affinché tutto ciò non rimanga solo a livello virtuale ma diventi un’interazione reale. Senza nulla togliere alla tecnologia, che, anzi, ha avuto un ruolo decisivo nella diffusione delle social street”. Anche perché ci sono vari livelli di socialità: se qualcuno, per esempio, vuole contribuire dando solo indicazioni e suggerimenti, senza scendere in strada, è comunque libero di farlo. Il passaggio successivo, quello cioè di portare la gente per strada e farla incontrare, è l’azione che richiede più tempo e fatica. Un acceleratore di fiducia e so-

cialità, dunque, che opera con una filosofia antieconomica, anche se si crea, in modo quasi naturale, un’ “economia di ritorno” che consente di star bene e ridurre gli sprechi.

Nessun tornaconto economico Il che, in un periodo di crisi, non fa mai male: «Non credo, tuttavia, che le social street si siano diffuse per la crisi economica – precisa Bastiani –. La maggior parte delle interazioni e degli scambi dei vari gruppi non sono su base economica, ma gratuiti, e nascono dalla voglia di aiutare gli altri. Questo genera un’economia di ritorno che è ben maggiore di una mera quantificazione in denaro». Il vero tornaconto, semmai, avviene in termini relazionali. Gli esempi sono tanti: da chi è in partenza per le vacanze e regala il cibo rimasto nel frigorifero ai vicini; al nuovo arrivato che, necessitando di una connessione internet per lavoro, chiede se si possono dividere le spese per una delle tante adsl criptate già presenti in zona; dal giovane in cerca di lavoro che fa circolare la voce tra persone conosciute all’anziano costretto a letto con una gamba rotta che chiede un aiuto per fare la spesa. Le social street sono soprattutto questo.

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Festa in strada Grande cena per strada per i residenti in Campo di Marte e Oltreadda di Lodi

Lucia e via Maiocchi: «Bello sta

La social street milanese è nata dalla volontà di conoscere i propri vicini di casa: inaug Stasera si mangiano le prime zucchine spuntate dalla terra. Zucchine coltivate qui, in piazza 8 novembre, alla fine di via Maiocchi. Siamo a Milano, zona borghese, semi-centrale e ben abitata, a due passi da Porta Venezia, in mezzo ai palazzi e alle strade, al cemento e all’asfalto. In un fazzoletto di verde anonimo, recintato, insignificante, che serve a fare da spartitraffico all’incrocio tra le vie e la piazza. Qui, stasera, con una

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pentola di pasta fredda alle verdure e un paio di bottiglie di vino bianco, si sono ritrovati i ragazzi (nella foto a sinistra) della social street di via Maiocchi, una delle prime nate a Milano, forse la più attiva in città nell’organizzare eventi e iniziative.

Un anno ricco di successi Lucia è la fondatrice: «Stasera ci ritroviamo per festeggiare con un aperitivo molto semplice la nascita delle prime zucchine di questo piccolo orto urbano. Ci stiamo occupando dell’aiuola in modo spontaneo. Così come spontaneamente è nata la nostra social street». Novembre 2013, Lucia sente parlare di via Fondazza a Bologna e pensa che potrebbe replicare il modello. E così


l’inchiesta

All’estero

Portogallo, Brasile e Nuova Zelanda le social street conquistano il mondo

are insieme»

gurato anche un orto urbano tappezza di volantini la strada in cui abita. “Vuoi conoscere i tuoi vicini di casa? Iscriviti al gruppo Facebook della social street di via Maiocchi». «Dopo due settimane – ricorda Lucia – entrano nel gruppo 20 persone. Ci incontriamo e decidiamo di organizzare una festa di quartiere entro la fine dell’anno. Una signora mette a disposizione uno spazio. Ci diamo da fare per pubblicizzare l’evento riempiendo il quartiere di cartelli. È un successo. Quella domenica pomeriggio partecipano oltre 200 persone di tutte le età, bambini e anziani compresi. Ognuno porta qualcosa da mangiare. Facciamo una lotteria con i biglietti gratis e con i premi regalati da ognuno di noi. C’è la musica, parliamo, ci conosciamo, stia-

Dall’Europa al Sudamerica fino all’Oceania. Le social street hanno presto varcato i confini nazionali, esportando nel mondo un’idea tutta italiana che ha incontrato una voglia di socialità evidentemente globale. Sono 19 le social street mappate oggi a livello internazionale. La maggior parte di queste (16) si trova in Europa: 1a testa per Croaza, a Rijeka (Fiume) e Spagna, a Barcellona; le altre 14 in Portogallo, distribuite da nord a sud sia nei grandi centri come Lisbona, Estoril e Porto, sia nelle realtà più piccole come Agualva-Cacém, Carcavelos, Maia e la sua freguesia Águas Santas, Pinhal Novo e Vila Nova de Gaia. Le social street portoghesi sono ancora in fase embrionale: «Tutto è partito lo scorso febbraio – racconta Carla Isidoro, che gestisce social street Portugal –. Nelle prime settimane ci siamo dedicati all’apertura della pagina Facebook di riferimento nazionale, informando media e cittadini. Quando abbiamo ricevuto le prime richieste da varie zone del Paese, abbiamo dato una mano ai singoli gruppi a compiere i primi passi, spiegando la logica che vi sta dietro. Abbiamo, poi, iniziato a organizzare i primi eventi come escursioni a piedi o partite di calcio. In una social street alla periferia di Lisbona i residenti sono riusciti a risolvere un annoso problema legato a un parcheggio della zona, dopo averne discusso all’interno del gruppo». Delle 4 social street presenti nella capitale lusitana una delle più attive è quella che riunisce, dal marzo scorso, i residenti di Avenida Almirante Reis, lunghissimo viale che attraversa in verticale il centro della città, collegando Praça Francisco Sá Carneiro a Rua da Palma. Quì, in una delle zone più multiculturali di Lisbona, il gruppo ha organizzato una serie di eventi, tra cui un torneo di calcio, passeggiate e visite guidate, persino una mostra-concorso fotografica, in cui ai residenti è stato chiesto di portare un’istantanea della strada per ricostruirne la storia e i mutamenti negli anni. In Brasile le social street attive (da poco) sono due: quella di Solar dos Evangelistas a Fortaleza e quella del Bairro Santa Teresa a Belo Horizonte, uno dei quartieri più tradizionali della metropoli, caratterizzato da palazzi bassi, bar e ristoranti di un tempo, negozi di abbigliamento di piccole firme. «L’aspetto del quartiere agevola molto la socializzazione e la fiducia tra i residenti – spiega la referente del gruppo Claudia Bortune, salentina di nascita e brasiliana d’adozione –. Mi sono chiesta a lungo se fosse il caso di creare una social street in un luogo che, forse, ne aveva già di implicite, ma poi mi son detta che avrebbe potuto aiutare i nuovi arrivati a stabilire buone relazioni. Ho saputo del progetto grazie una mia amica che vive a Livorno e che ha partecipato ad alcuni incontri nella sua città. È stata una grande scoperta sapere che questo progetto è nato proprio a Bologna, dove ho vissuto sei anni». E così, a fine maggio, ha preso il via il gruppo (27 gli iscritti attuali), il cui cammino è stato, però, rallentato dai Mondiali di calcio: «Il Brasile ha ricominciato a funzionare ad agosto – continua Claudia –, quindi ho iniziato a organizzare i primi eventi da questa data. La risposta dei residenti finora è stata molto positiva, anche se poco propositiva. Come in tutti i gruppi che nascono tra sconosciuti, chi aderisce si aspetta di ricevere. Per questo il mio ruolo sarà quello di alimentare il gruppo il più possibile nei prossimi mesi». In Nuova Zelanda, infine, sulle coste al nord dell’isola meridionale del Paese, è attiva la social street che riunisce i residenti di Glenduan, piccola e incantevole località di mare, affacciata sullo stretto di Cook, a un quarto d’ora d’auto dalla città di Nelson. Una ventina (sulle 120 famiglie totali residenti) le persone che fanno parte del gruppo, creato nel febbraio scorso dall’insegnante Tonnie Uiterwijk. Tra le iniziative organizzate: grigliate, giochi pomeridiani per genitori e figli e attività informative sulla riserva marina di Glenduan. settembre 2014 scarp de’ tenis

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Vicini di casa, vicini di vita di conoscersi ti fa cambiare la percezione del posto in cui vivi, si crea uno spirito di gruppo. Forse sono piccole cose, ma ora a me dispiacerebbe lasciare questa zona». Rachele offre lo spumante e racconta: «Ho conosciuto la social street perché avevano organizzato una iniziativa ed ero curiosa. In un’enoteca avevano messo una specie di palco dove chiunque poteva salire ed esporre per cinque minuti la propria idea. Tante le proposte, ricordo ad esempio chi voleva riempire il quartiere di bat-box, rifugi per pipistrelli mangia-zanzare. Io non ho proposto nulla, però mi sono molto divertita e ho conosciuto un po’ di gente». Riccardo è di Napoli, lavora a Milano da un paio d’anni. «Mi piacerebbe che l’esperienza della social street raggiungesse anche altri quartieri, specie quelli di periferia, dove pur ci sono problematiche diverse. Secondo me può funzionare anche altrove, perché le condizioni ci sono. È un problema di tutta la città quello di non conoscersi tra vicini di casa».

Verdura a Km zero Aperitivo in strada per assaggiare le prime zucchine dell’orto urbano di via Maiocchi

mo bene». Da allora funziona così: si lancia un’idea sul gruppo Facebook e chi vuole aderisce. Lo stesso orto urbano dove si coltivano le zucchine è nato così. Oggi fanno parte del gruppo 880 persone. Dal web si moltiplicano le occasioni di incontro. Si organizzano colazioni e aperitivi. Ci si ritrova per cucinare assieme, fare gare di play station, allestire set fotografici, giocare con i bambini. L’età media va dai 35 ai 45 anni. La maggior parte delle persone non è di Milano. Per chi ha poca dimestichezza con il computer c’è la bacheca del bar di quartiere dove si appendono volantini e cartelli. Chiedo a Lucia perché l’ha fatto. «Sono di Varese, abito a Milano da più di due anni, non sapevo chi fossero i miei vicini e volevo conoscerli. Ho scoperto che anche altri avevano questo desiderio. Il nostro obiettivo è mettere in relazione le persone, aprire le porte di casa, condividere esperienze. Però

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funziona solo se si conserva la spontaneità».

Bello conoscere i vicini Conferma tutto Veronica. «La mia famiglia è di Pantelleria – dice –, vivo a Milano dall’età di dieci anni, ma nella mia via non ho mai conosciuto nessuno. Adesso è diverso. Mi capita di salutare chi incontro per strada. Mi piace». Veronica fa parte del gruppo dall’inizio, l’ha visto crescere. «Hai il lavoro – aggiunge – i tuoi amici, la famiglia, ma non sai chi ti abita accanto. Non è vero che non c’è tempo per questo tipo di rapporti. C’è solo molta diffidenza. Soffrono soprattutto quelli che non sono di Milano perché non hanno una rete di relazioni. Nella social street non è che devi trovare nuovi amici. Magari ti capita di avere a che fare con persone che non ti piacciono e che non credevi di poter frequentare, magari per opinioni politiche diverse dalle tue. Però il fatto

Un aiuto ai più sfortunati In via Maiocchi si pensa anche a chi è meno fortunato e le occasioni per stare assieme non sono solo di svago o divertimento, ma anche per iniziative di solidarietà. «In questi mesi – conclude Lucia – abbiamo organizzato un aperitivo per trovare fondi da destinare a un’associazione di volontariato e abbiamo promosso una raccolta di indumenti per i profughi siriani che transitano nella nostra città. Abbiamo anche voluto conoscere ed entrare in relazione con il senzatetto che vive nella nostra strada per capire se potevamo aiutarlo». Perché in via Maiocchi, come altrove, le social street sono strade che guardano anche al sociale.

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l’inchiesta

Il progetto

Legami e socialità, la scommessa di Niguarda Via Demonte e via Ciriè sono due strade del quartiere Niguarda di Milano. Se le percorri scopri che, parcheggiate ai lati, non ci sono automobili nuove. Le vetture che stazionano accanto ai marciapiedi sono di dieci-quindici anni fa. Lo capisci dalla tipologia dei modelli e te ne accorgi anche dalle lettere delle targhe. Da queste parti non si cambia l'auto di frequente. Oppure si acquistano veicoli usati. Da queste parti la gente abita nelle case popolari. Con giardino e balconi, ma pur sempre case popolari. È qui che Roberto sta cercando di mettere in piedi una social street. Lui non vive qui, è un operatore sociale del Consorzio SIS che, insieme ad altre cooperative e associazioni, sta attuando Niguarda Noi, un progetto finanziato dal Comune per la promozione della coesione sociale. «Questa – spiega Roberto – è una zona di Milano con tanti problemi, legati principalmente al tasso di disoccupazione che negli ultimi due anni è diventato impressionante. Poi c'è la difficile convivenza con gli immigrati, che ancora non si sono ben inseriti nel contesto sociale e cittadino. Nelle strutture dell'Aler ci sono persone che vivono lì da 50 anni. Noi stiamo già lavorando con il nostro progetto, ma abbiamo pensato che

inventare una social street potesse essere un'opportunità in più. Ne avevo sentito parlare e ho pensato che avrebbe potuto funzionare anche da noi. Anzi, qui ce n'è ancora più bisogno». Al gruppo creato su Facebook, in una settimana, si sono iscritte 70 persone. La prima iniziativa, a fine maggio, è stata un'aperitivo organizzato in un locale del quartiere e pubblicizzato anche con dei volantini distribuiti per strada. È andato bene, i partecipanti si sono uniti agli altri clienti del bar e si è creata una bella atmosfera. A luglio è stata programmata una caccia al tesoro. «Stiamo puntando – racconta Roberto – su una partecipazione che parta dal basso e coinvolga sempre più persone. Non ci aspettavamo un riscontro già così positivo. Per settembre ci piacerebbe organizzare un grande evento nei cortili dei palazzi, dove le persone si portano la sedia da casa e possono così assistere a spettacoli e concerti. Noi al Consorzio abbiamo diverse idee, ma vorremmo che le proposte venissero anche dai residenti. Ci piacerebbe che accadesse quello che avviene già nelle altre social street, come ad esempio la condivisione degli alimenti. Se ho del cibo in frigo e sto per andare in vacanza, lo scrivo su Facebook e qualcuno si fa avanti per ritirarlo e consumarlo. Al di là delle iniziative che potremmo organizzare, infatti, il nostro obiettivo è combattere l'individualismo ed evitare che le persone si chiudano nelle proprie case e vivano isolate dal resto della comunità».

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Minori e comunità Quando lo Stato scarica i propri figli Diventare autonomi a 18 anni è difficile per qualsiasi ragazzo. Figuriamoci per chi proviene da realtà familiari difficili ed ha vissuto, fino al compimento della maggiore età, in comunità di accoglienza o famiglie affidatarie. Eppure per lo Stato italiano i neomaggiorenni possono cavarsela benissimo da soli e devono lasciare il “sistema” di protezione dell’infanzia, abbandonando percorsi di formazione, cure di psicoterapia od altro. Una visione miope che rischia di far “perdere” nuovamente migliaia di ragazzi quasi del tutto “salvati” 20. scarp de’ tenis settembre 2014

di Ettore Sutti Se non è un’emergenza, poco ci manca. Il problema è che, salvo qualche addetto ai lavori, del problema sembra non importare a nessuno. Stiamo parlando dei neomaggiorenni in uscita dalle comunità per minori o dalle famiglie affidatarie. Oltre tremila ragazzi che, ogni anno, al compimento del 18esimo anno di età diventano ufficialmente “grandi” e, in quanto tali considerati in grado di cavarsela da soli. In altre parole vengono “scaricati” dalle istituzioni e lasciati a se stessi. Ma se a 18 anni diventare pienamente autonomi è estremamente difficile per ogni ragazzo pensate quanto può essere difficile per chi proviene da realtà famigliari complesse, da abusi o da violenze. «Questo è il nodo fondamentale – spiega Liviana Marelli, referente nazionale del Cnca (cosibile, se ne frega bellamente. Il risultamitato nazionale comunità di accoto è che la quasi totalità delle famiglie afglienza) per le politiche minorili e le fafidatarie delle comunità di accoglienza miglie nonché direttore della cooperacontinuano ad occuparsi dei ragazzi fitiva sociale la Grande Casa di Milano –. no alla loro autonomia. A titolo gratuiStiamo parlando di ragazzi fuori famito. Come Grande Casa, ad esempio, abglia per motivi gravi e che stanno sebiamo continuato ad accogliere ragazzi guendo percorsi di tutela e accompamaggiorenni che non sapevano dove gnamento importanti. Ebbene, per meandare o cosa fare fino a 23-25 anni core carenze economiche, quando ragme scelta di solidarietà e di cittadinanza giungono i 18 anni, in particolare se attiva». sono stranieri, vengono letteralmente Tra i comuni particolarmente sensi“scaricati” dalla società». In verità alcubili c’è quello di Torino che nel lontano ni di loro, anche se sempre di meno rie2001 ha attivato un “Progetto Autonoscono ad ottenere il “proseguo amminimia”, da prenotare prima del compistrativo”, un istituto giuridico emesso mento del 18esimo anno e che si deve dal Tribunale dei minorenni che estenconcludere non oltre i 25 anni in cui sode l’accompagnamento verso l’autonono previsti fondi (unatantum di 5.000 mia fino ai 21 anni. Per tutti gli altri c’è il euro) e progetti di accompagnamento nulla. per concludere gli studi, formarsi al lavoro ed ottenere autonomia abitativa. Uno spreco infinito Altro servizio virtuoso è quello offerto «Il problema sono sempre i costi – condalla cooperativa “Spes contra Spem” tinua Liviana Marelli –: il proseguo amche a Roma gestisce diverse case famiministrativo è sempre meno usato perglia. La cooperativa ha attivato una seché impone al comune che ha la comrie di borse lavoro garantendo un fondo petenza di continuare a sostenere il midi 3 mila euro per ogni ragazzo che vienore. E quindi pagare. Ma siccome non ne messo a disposizione del datore di lasono più minorenni e, quindi per legge voro per 3 mesi. In questo modo il rala responsabilità giuridica non è più di gazzo inizia a lavorare senza “pesare” nessuno, la maggior parte dei comuni, sull’azienda. I risultati non mancano: tranne qualcuno particolarmente sen-


l’inchiesta

nel 90% dei casi alla fine del periodo di prova i ragazzi inseriti con le borse lavoro ottengono un contratto a lungo termine.

Abbandonati due volte «Le fatiche e i tagli dove non c’è obbligo di intervento sono ormai all’ordine del giorno – racconta Federico Zullo, presidente e fondatore di Agevolando, formata da giovani che hanno trascorso parte della loro vita “fuori famiglia” e che, una volta finita l’esperienza di accoglienza, si sono scontrati con le difficoltà di diventare autonomi –. Ma per tanti di questi ragazzi questo significa essere abbandonati di nuovo. Per questo motivo come associazione stiamo lavorando, insieme alla Commissione parlamentare infanzia, a un disegno di legge che garantisca il diritto dei neomaggiorenni in uscita da comunità o affidi ad accedere a percorsi di accompagnamento personalizzato predisposti dai servizi. Il disegno di legge prevede che al neo maggiorenne in uscita da una

comunità o da una famiglia vengano garantite una serie di opportunità: facilitazioni nell’inserimento lavorativo (grazie a corsi professionali e a sgravi fiscali per le aziende), un fondo di 15 milioni di euro per progetti di accompagnamento sociale e di continuità di terapie sanitarie (chi ha iniziato un percorso di psicoterapia non deve abbandonarlo per forza a 18 anni), il diritto alla conclusione degli studi superiori e una sorte di dote scuola, agganciata ai risultati, per gli studi universitari». Il disegno di legge parla, non a caso, di diritto e non di gentile concessione. Perché la civiltà di un Paese si misura

anche da come tutela i propri figli più deboli. «Agevolando ha tre sedi operative (Bologna, Verona e Trento) e sta progettando nuove aperture a Milano e Napoli – spiega ancora Federico Zullo –. Siamo un centinaio di soci, tra cui molti ex ospiti di comunità (tra cui Zullo stesso ndr) o famiglie affidatarie. L’associazione ha aperto tre sportelli (a Rimini, Bologna e Ravenna) e uno online (www.agevolando.org). L’obiettivo è quello di accompagnare i ragazzi e sostenerli, cercando di riempiere quel buco che si è creato al compimento dei 18 anni. Come associazione gestiamo ansettembre 2014 scarp de’ tenis

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Quando lo Stato scarica i propri figli che 5 appartamenti, che ci hanno garantito in comodato d’uso, in cui i ragazzi, pagando una quota di partecipazione, iniziano a sperimentare la vita al di fuori delle comunità. Abbiamo anche promosso progetti di inclusione lavorativa – appena rifinanziati dalla regione anche per il prossimo anno – e coinvolto i ragazzi nella realizzazione di una guida cartacea ai servizi per neomaggiorenni in quasi tutti i capoluogi dell’Emilia Romagna. Cerchiamo poi di fare educazione sull’argomento ma è difficile coinvolgere chi non è dell’ambiente. Noi non molliamo, però, consapevoli del fatto che il compimento dei 18 anni deve essere visto come una festa e non

come un momento di paura e angoscia zi che sono stati seguiti per anni in percorsi anche importanti. Anni di lavoro, per il futuro. Per tutti». di attenzione, di progettualità che vengono buttati alle ortiche solo perché il Un problema di tutti «Di fatto – conclude Liviana Marelli –, ragazzo diventa maggiorenne. Una viper scelte di tipo economico facciamo il sione che definire miope è riduttiva. Il minimo indispensabile fino ai 18 anni e problema è che le politiche dell’infanzia poi ognun per sè. Se crescono povertà, sembrano essere sparite nel nostro Paedisoccupazione giovanile, dispersione se. Si parla davvero di tutto tranne di scolastica, numero dei neet (neet è la si- quello che dovrebbe essere più garantigle che indica quei ragazzi che non stu- to di tutti perché i minori sono il futuro diano nè lavorano, ndr), è ovvio che in del nostro Paese. Ci si riempie la bocca questi numeri sono compresi questi ra- con parole come minori e famiglia ma gazzi che uscendo da situazioni proble- di fronte al mancato finanziamento del matiche partono svantaggiati rispetto piano nazionale dell’infanzia nessuno agli altri. È come se lo Stato dismettesse ha detto nulla. Serve un’inversione di il proprio compito. Noi abbiamo ragaz- tendenza. Ne va del nostro futuro».

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Salvati da un Bed & Breakfast Attivo dal 2001 il progetto del Cam di Milano ha aiutato centinaia di ragazzi di Paolo Riva Lucia, Amadou e Kayrul. Che siano italiani o stranieri, per quei minori che si ritrovano senza il sostegno della famiglia l’arrivo della maggiore età è un passaggio molto delicato. E fare in modo che non lo affrontino da soli, ma con un accompagnamento adeguato è una sfida cruciale per il loro futuro. E per quello della collettività di cui fanno parte. Il Cam (Centro Ausiliario per i problemi minorili), se ne è accorto da tempo e nel 2001 ha lanciato un progetto innovativo, un Bed & Breakfast protetto che ha fatto scuola. «Ci occupiamo di affido fin dagli anni ‘70 – spiega la responsabile del progetto Franca Colombo – e, dopo un viaggio di conoscenza a Parigi, abbiamo importato per primi in Italia l’idea di un B&B che, ci tengo a precisare, protegga sia i giovani ospitati che le famiglie ospitanti. Il modello ha funzionato e siamo stati chiamati a fare formazione in diverse città che hanno seguito il nostro clei scelti e formati dal Cam non hanno esempio». Il progetto coinvolge famiglie veri e propri compiti genitoriali, ma di Milano e dell’hinterland nell’ospitalità semplicemente offrono un’accoglienza di ragazzi che sono appena diventati domestica, all’interno della quale i giomaggiorenni o che stanno per diventarvani, che restano per un massimo di due lo. A differenza dell’affido “classico”, i nuanni, possono compiere le loro scelte in maniera autonoma, con l’aiuto di un educatore. Alle famiglie, attraverso i comuni con cui il Cam ha una convenzione, viene garantito un contributo mensile di mille euro. Ai ragazzi vengono offerte opportunità enormi. Per Amadou il B&B è stato il trampolino da cui lanciarsi per coronare il suo sogno migratorio, cominciato in un paese dell’Africa subsahariana quando era ancora un adolescente. Per Lucia è stato una sorpresa, uno dei primi luoghi dove qualcuno si è curato di lei. «Il nome B&B – continua Colombo – sottolinea l’importanza del pasto come momento di relazione e confronto. Per i giovani

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stranieri, è un’esperienza di conoscenza e formazione fondamentale. Per gli italiani, invece, spesso è uno dei primi momenti in cui qualcuno si occupa di loro. Hanno storie difficili alle spalle, che molte volte lasciano enormi vuoti affettivi».

Lucia ha imparato a comunicare Lucia all’inizio non ne voleva sapere di sedersi a tavola e comunicava praticamente solo via sms con la sua nuova famiglia. Poi, piano piano, la situazione è migliorata. «L’87 per cento dei ragazzi seguiti – spiega ancora Colombo – ha raggiunto l’obiettivo che ci prefiggiamo: l’autonomia. Al termine del periodo trascorso in famiglia, la maggior parte dei circa 60 giovani che in questi anni sono stati nostri ospiti hanno trovato casa e lavoro». Amadou, dopo un corso d’italiano e uno professionale, è diventato un meccanico. «I ragazzi stranieri – ammette Colombo – si accontentano e si impegnano di più. Gli italiani hanno accoglienze più complesse». E ora anche più numerose. Negli ultimi anni, infatti, le richieste che l’associazione riceve dai Comuni sono sempre più spesso relative ai secondi piuttosto che ai primi. Eppure, nell’ultimo decennio il numero dei minori stranieri non accompagnati segnalati nel nostro Paese non è diminuito, ma è


l’inchiesta

Affido

Le famiglie accoglienti non abbandonano nessuno «La legge sull'affido credo sia l'unica norma del nostro stato che parla esplicitamente di relazioni affettive. E le assicuro che in giurisprudenza non è una cosa tanto comune». Paolo Agnoletto è un esperto in materia, competente e appassionato. È avvocato, ma anche presidente dell'associazione “La Carovana”, che riunisce una serie di realtà e persone impegnate a Milano e provincia sul tema dell'affido. «Io e la mia famiglia abbiamo accolto in casa un bambino nel 2001. L'esperienza è durata due anni, non l'abbiamo ripetuta, ma da allora non abbiamo mai spesso di impegnarci in quest'ambito». Per questo, di minori affidati a famiglie che non fossero la loro ne ha visti tanti. E ha potuto conoscere anche parecchi ragazzi che hanno trascorso la loro adolescenza in affido, arrivando ai diciotto anni in questa

oscillato tra gli 8.146 del 2001, i 5.543 del 2007 e gli 8.655 dello scorso anno.

Kayrul ora ha casa e lavoro Kayrul è uno di loro. Ha lasciato Dhakka, la capitale del Bangladesh, quando era ancora adolescente e, dopo un lungo viaggio, è giunto a Milano. Prima alla Casa della Carità poi, una volta compiuta la maggiore età, ospite di due volontari della Fondazione che, ormai in pensione e con i figli cresciuti, gli hanno aperto gratuitamente le porte del loro appartamento nel febbraio del 2012. «È stata una sorpresa – ricorda oggi Kayrul in un buon italiano –. Per me e anche per i miei genitori in Bangladesh. All’inizio erano un po’ confusi, poi li ho rassicurati, ho spiegato loro che chi mi aveva accolto erano brave persone e si sono tranquillizzati». Gli altri ragazzi

condizione. «In teoria – spiega Agnoletto – l'affido dovrebbe durare due anni e avere come obiettivo il ritorno nella famiglia d'origine. In moltissimi casi, però, questa pratica non avviene con il consenso dei genitori naturali, ma è una scelta giudiziaria. Capita spesso, quindi, per una serie di ragioni tra cui la scarsa prevenzione e il poco accompagnamento fornito alle famiglie d'origine, che l'affido diventi sine die». In pratica, se la famiglia d'origine del minore è presente e non è dannosa per la sua crescita, ma al tempo stesso non è in grado di tornare a prendersi cura di lui, l'affido viene prolungato oltre il limite dei due anni, fino alla maggiore età del bambino. Che nel frattempo però un bambino non è più. «L'adolescenza – continua Agnoletto – è un periodo complesso di per sé, figurarsi per un ragazzo che ha una sorta di doppia appartenenza. E poi c'è l'arrivo della maggiore età, quando molto spesso l'affido si conclude. In realtà, esiste la possibilità di fare un prosieguo amministrativo fino ai 21 anni, ma è molto rara. Conosco un solo caso, attualmente in corso e per di più part time. Credo sia soprattutto una questione di risorse, di soldi». Così, molto spesso, sono i genitori affidatari a continuare a sostenere i ragazzi loro affidati. Anche senza ricevere più il contributo che prima spettava loro: in media, 404 euro mensili. «Restano a carico delle famiglie, punto e basta. Succede – chiude Agnoletto – perché a diciott'anni è difficile che un giovane sia già indipendente e, poi, soprattutto, perché le famiglie hanno messo in gioco anche i loro valori affettivi».

stranieri, rimasti alla Casa della Carità ancora per qualche mese o inseriti in alcuni appartamenti di seconda accoglienza, invece lo prendevano in giro, bonariamente, con una punta di invidia. Per le vacanze, ma non solo. «Mi hanno portato una volta al mare e un’altra in montagna, ma soprattutto mi hanno aiutato con la scuola: ho preso la licenza media e ho iniziato il primo anno di un istituto superiore di ragioneria – continua Kayrul –. I sette mesi che ho passato con loro mi sono serviti molto per la lingua e per conoscere nuove persone italiane, anche della mia età. Differenze? Beh, si, alcune: il cibo soprattutto, ma quando io digiunavo nel mese di Ramadan (Kayrul, come la maggior parte dei bengalesi è musulmano n.d.r.) in famiglia si cenava più tardi, in modo che potessimo cenare in-

sieme al calar del sole». Poi, purtroppo, a causa di un lutto, l’accoglienza si è conclusa e Kayrul, a nemmeno diciannove anni, si è ritrovato in un monolocale tutto suo. In autonomia, anche se con il sostegno di un educatore della Casa della Carità. «Ogni tanto mi sento un po’ solo, ma mi piace essere indipendente: ora lavoro in un ristorante». Ha firmato un contratto di apprendistato per tre anni, trovato grazie all’aiuto della figlia della coppia che l’ha ospitato. «Stare con loro è stato molto utile, ma anche adesso li frequento spesso: quando c’è qualcosa da festeggiare sono sempre a pranzo con tutta la famiglia. E poi, a volte vedo gli altri ragazzi arrivati in Italia insieme a me, anche dal mio stesso paese, e penso: fanno più fatica, forse perché non hanno avuto le mie stesse opportunità».

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Le famiglie tagliano anche l’assistenza agli anziani: si chiede più lavoro in cambio di meno soldi. E in molte vivono da recluse

La solitudine delle badanti di Daniela Palumbo Gli anziani aumentano ma diminuiscono le badanti. Le famiglie italiane stringono i cordoni della borsa e a farne le spese sono anche le assistenti familiari, le cosiddette badanti. Secondo il rapporto “Welfare, Italia” a cura di Censis e Unipol, le famiglie italiane che hanno rinunciato alla badante per i genitori anziani sono oltre 4 mila nell’ultimo anno (2013), su un milione di assistenti familiari. La contrazione della spesa del welfare familiare è figlia dell’aumento della spesa sanitaria che le famiglie sono costrette a sostenere di tasca propria: più 9,2% tra il 2007 e il 2012. Secondo la Relazione Istat sullo stato sanitario del Paese 2009-2010, sarebbero circa 12 milioni i residenti di età superiore a 65 anni, di cui circa 3,4 milioni con più di 80 anni. Attualmente gli anziani in Italia rappresentano il 21,4% meno del 2% dei nostri anziani. I figli della popolazione che conta 60 milioni degli anziani italiani, in risposta alle cadi abitanti. Siamo il Paese più vecchio. renze dei servizi, “scelgono” di assisterEppure, i nostri anziani, non possono li col supporto delle assistenti familiari. contare su un’assistenza sanitaria adeUn esercito di badanti che vive nella caguata: i letti a disposizione nelle Resisa di proprietà dell’anziano e che gadenze Sanitarie Assistenziali fanno rerantisce prestazioni anche socio sanitagistrare un record negativo: con 400 mirie, spesso senza una formazione adela letti coprono il 3,5% degli over 65; gli guata. Un’indagine di Acli Colf ha elaaltri Paesi in Europa si attestano su una borato il ritratto di queste lavoratrici e media del 7%. Le prestazioni domiciliadella loro quotidianità nelle nostre fari sono anch’esse molto inferiori alla miglie. media europea che segna una copertu“Viaggio nel lavoro di cura - Le trasforra dell’8%, a fronte di quella italiana che mazioni del lavoro domestico nella vita garantisce servizi sanitari domiciliari a quotidiana tra qualità del lavoro e rico-

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noscimento delle competenze”: questo il titolo della ricerca realizzata dall’Istituto di ricerche educative e formative, Iref, e voluta da Acli Colf e Patronato Acli. Sono state contattate 837 lavoratrici, residenti in 117 comuni, attive nel settore dell’assistenza alle persone: le cosiddette badanti, appunto.

In crescita il lavoro nero «Dalla ricerca – spiega Raffaella Maioni, responsabile nazionale di Acli Colf – emergono diverse criticità. Innanzitutto, la ricerca fa emergere il lavoro nero, in aumento a causa della crisi. Una diffusa evasione contributiva è un’altra piaga di questo settore, così come le ore di straordinario non pagate e la bassa retribuzione: 4 euro l’ora, mediamente una badante viene pagata 800 euro al mese, fino al 2007 erano 850. Se la persona convive in casa e non ha spese di affitto e vitto, può essere accettabile, se deve anche provvedere ad affitto e cibo, non ce la fa. Questa situazione, già di


lo speciale per sé critica, con la crisi sta peggiorando: spesso quello che era il lavoro domestico si trasforma e diventa anche cura della persona con tutta una serie di attività che vanno al di là dell’assistenza alla persona: le badanti pagano le bollette e comprano le medicine, e d’altra parte fanno le iniezioni e curano le piaghe senza avere adeguata formazione infermieristica». Certo, annota sempre la Maioni, va anche ricordato che i datori di lavoro sono le famiglie. E non sono messe bene... «Hanno spesso pensioni basse, le tasse sulla casa di proprietà e gli aumenti delle bollette e degli alimentari le stanno minando in quelle poche certezze che avevano. Non hanno risorse per pagare le lavoratrici che fanno assistenza. La crisi impatta in questo settore perché l’assistenza familiare è totalmente lasciata sulle spalle delle famiglie italiane. Anche quando ricevono un sussidio per le persone non autosufficienti, si tratta di poche centinaia di euro, non bastano di certo per ricoverare gli anziani nelle residenze assistenziali o pagarsi un infermiere a domicilio. In questi ultimi anni c’è stato un forte cambiamento anche nei servizi agli anziani. Gli ospedali, ad esempio, in passato accoglievano gli anziani sofferenti di malattie croniche. Oggi si tende a dimettere il malato o l’anziano che pure avrebbero ancora bisogno di cure. Gli anziani si affidano così alla badante anche per le cure infermieristiche. Le tasse che paghiamo dovrebbero trasformarsi in servizi: se togli la lunga degenza in ospedale devi offrire assistenza domiciliare a chi torna a casa bisognoso di cure». In sostanza, la ricerca Acli Colf fa emergere che in 7 anni le lavoratrici badanti hanno perso potere d’acquisto, mentre le richieste di prestazioni sono aumentate, come anche le ore di lavoro, e viene data alla badante una delega in bianco per tutta la vita dell’anziano.

Senza una vita propria «La badante – continua la Maioni – deve pulire casa, fare la spesa, fare da mangiare, fare le iniezioni, rispondere al telefono, pagare le bollette, accudire e portare fuori l’assistito. Cosa resta della vita di queste donne? La situazione peggiore è per le persone che vivono in casa e che sono la maggioranza. La con-

Chi sono

Vengono soprattutto dall’Est: tante attive sette giorni su sette

ll 58% delle intervistate hanno un’età compresa fra i 45 e i 64 anni; le under 35 sono l’11,7%. Sposate nel 34,8% dei casi, il 33,4% sono separate/divorziate, il 20,3% è single e il 10,5% ha perso il coniuge. Una badante su tre è andata all’università (nel 21,2% dei casi ottenendo la laurea). Il 22,4% ha un’esperienza formativa in campo medico infermieristico. Una su tre ha fatto un corso di formazione specifico in Italia. Il 51,3% fa la badante da più di 5 anni. Le donne dell'Est sono il 64,8%, una badante su quattro è rumena, il 25% è ucraina, il 7,4% dalla Moldavia. Il 14,1% America Latina, dall’Asia il 6,6%, dall'Africa il 9,2%, il 5,2% è italiana. Nel 60% dei casi la lavoratrice coabita con la persona che assiste. In media lavorano nove ore al giorno per sei giorni alla settimana. L’11,8% dichiara di lavorare sette giorni su sette. Il 34,4% lavora 60 ore o più a settimana. Il 64,6% fa un numero di ore superiore al massimo previsto dal contratto nazionale: 54 ore settimanali per una lavoratrice a tempo pieno. Nel 76,5% il rapporto di lavoro è regolato da un contratto scritto, ma il 51,1% dichiara irregolarità contributiva, il 15% non ha ricevuto versamenti contributivi. In media, guadagnano 800 euro al mese, 4 euro l'ora. Nel Centro-Nord la retribuzione media è di 4,20 euro, al Sud 2,70. Il 42,4% assiste persone non autosufficienti dal punto di vista fisico e mentale; il 19,1% lavora per persone autosufficienti. Il 60% delle lavoratrici afferma di occuparsi da sola dell’assistenza. Al Sud il dato sale al 67,9%. Il 68,6% delle intervistate soffre di mal di schiena, il 40,6% di altri dolori fisici. Il 39,4% soffre di insonnia e il 33,9% soffre di ansia e/o depressione.

vivenza è preferita dalle famiglie perché si sentono più sicure. Però si nascondono i maggiori casi di sovraccarico di lavoro. Il contratto nazionale che disciplina il lavoro domestico dice che la lavoratrice che convive con l’assistito ha diritto a 36 ore settimanali di riposo, spesso sono il sabato e la domenica, e a due ore giornaliere. Oltre al pagamento degli straordinari. L’indagine racconta

che questi diritti vengono disattesi. Le badanti sono persone che soffrono di solitudine perché faticano ad avere una vita propria e perché le famiglie le lasciano da sole a occuparsi dell’anziano. E se soffrono le assistenti, soffrono anche i nostri anziani». A fronte della ricerca, le Acli chiedono che i corsi di formazione ad hoc per gli assistenti familiari siano uniformati, settembre 2014 scarp de’ tenis

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lo speciale infatti, attualmente, ogni regione ha una propria normativa. Acli Colf chiede che nel contratto nazionale sia riconosciuto il diritto alla maternità, come per tutti gli altri lavori dipendenti: oggi una badante che resta incinta può essere licenziata quando il bambino ha 5 mesi di vita. Le Acli stanno lavorando affinché la donna possa godere dei pieni diritti almeno fino a che il bambino non abbia compiuto un anno. Inoltre, oggi la malattia viene pagata dal datore di lavoro, fino a 15 giorni. Le Acli Colf chiedono che l’Inps si faccia carico della malattia della lavoratrice. Infine, l’obiettivo è di far entrare il lavoro di assistenza alla persona nella rete dei servizi socio-sanitari, mentre adesso solo i casi più gravi entrano in questo settore. «In questo momento – conclude la Maioni – non sappiamo cosa succede nelle nostre case. Da chi viene curato l’anziano e come. Un controllo positivo, grazie alla rete dei servizi socio sanitari, aiuterebbe sia la badante sia l’anziano. Migliorerebbe l’intervento dell’assistente dove necessario; il suo lavoro in questa prospettiva di rete avrebbe un riconoscimento sociale che oggi non ha».

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Le storie

Milano: la dura vita delle Ucraine Napoli: sempre più lotta tra poveri Milano, basta con il full time Pedro Di Iorio è responsabile del SAI, Servizio accoglienza immigrati della Caritas Ambrosiana. Il servizio ha anche il compito di incrociare tutte quelle figure che intendono svolgere il lavoro di assistente familiare. «Le famiglie – dice Di Iorio – hanno rivisitato il concetto di famiglia allargata, adesso puntano a gestire l’anziano in autonomia, magari con l’aiuto della badante, ma non più full time». La maggioranza delle donne badanti sono ucraine, anche a Milano. Età media 40-45 anni, con un marito che resta a casa, spesso senza lavoro e dedito all’alcol, e un figlio in età da studi universitari. È per lui, o per loro, che la donna ucraina emigra, per assicurare ai figli gli studi.«Fino al 2005 il lavoro di badante era svolto principalmente da donne latino americane. Dal 2006 si registrano invece le prime badanti proveniente dall’Ucraina o dall’Est dell’Europa. Fino al 2011 arrivavano in Stazione Centrale fino a 3 pullman al giorno di donne». Le badanti latino americane hanno accettato per anni la richiesta di lavorare notte e giorno in casa dell’anziano. «Ma è un compito molto faticoso, anche dal punto di vista psicologico. Le donne hanno allora cominciato nei primi anni duemila, a elaborare un progetto di vita, di ricongiungimento familiare, di formazione di altro tipo, infermieristica soprattutto, e quindi non assicuravano più alle famiglie piena disponibilità. Le ucraine divennero le maggiori figure di riferimento perché non hanno come obiettivo il ricongiungimento con la propria famiglia d’origine. Infine, anche dal punto di vista della rete sociale, le latino americane hanno sempre avuto grandi riferimenti associativi fra i connazionali, le ucraine, e in genere le persone dell’est, molti meno. L’ucraina insomma è sola, e la persona sola assicura disponibilità totale – conclude Di Iorio». Napoli, è lotta fra poveri «Fino al 2011 offrivamo lavoro, attraverso il centro di ascolto, a 150 assistenti familiari l’anno.Le richieste delle famiglie erano numerose. Dal 2012 è iniziato il calo delle domande, oggi se riusciamo a trovare lavoro per una persona al mese è già tanto. Ma aumentano quelle che vengono licenziate», questo è il racconto di Giancamillo Trani, primo vicedirettore laico della Caritas diocesana di Napoli. «Oggi le badanti, senza lavoro, ci chiedono i libri per mandare a scuola i figli e le nostre famiglie cominciano a guardarle come fossero dei nemici. Vorrebbero che la Caritas aiutasse soltanto le famiglie del territorio segnate dalle difficoltà. La situazione è drammatica, la Chiesa è rimasta da sola a fare argine. Ora ci sono i professionisti dell’elemosina: abbiamo una lista di “segnalati” che girano per le parrocchie cittadine e raccontano spesso le stesse storie chiedendo soldi». La formazione delle donne badanti a Napoli viene fatta anche in Caritas, poche linee guida in un corso di formazione domestica. «Più che altro bisogna trovare spesso un punto di incontro – dice Trani –. La convivenza fra culture diverse qui non è facile. Ad esempio, un anziano ha chiesto alla badante somala che lavora in casa di una famiglia, di preparare un piatto con le salsicce. La donna si è rifiutata in quanto musulmana. Abbiamo cercato di spiegare all’anziano la questione religiosa, ma non è stato semplice». Anche a Napoli l’identikit della badante assume le caratteristiche delle donne dell’est: prima ucraine, poi polacche, russe e rumene. «Con la crisi, gli anziani con la pensione di reversibilità sono diventati appetibili per le famiglie: in tanti tornano a casa perché hanno perso il lavoro, licenziano la badante e accudiscono loro il genitore, tirano avanti con la pensione dei vecchi». settembre 2014 scarp de’ tenis

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«Sempre più vittime del proprio destino» Fabio Geda racconta l’inquietudine: «La precarietà sta ammazzando intere generazioni»

di Daniela Palumbo

La mancanza di fiducia nel futuro porta alcune persone ad avere meno voglia di mettere al mondo dei figli o di metterli al mondo come cura del presente o per la carica di futuro che i figli portano dentro di sé. C'è qualcosa di innaturale in tutto questo. 28. scarp de’ tenis settembre 2014

La vita è questa cosa qui. La vita è incertezza e scommessa. La scommessa di Fabio Geda sono le parole. Dopo l’esordio fortunato di Per il resto del tempo ho sparato agli indiani (Instar 2007), i romanzi di Geda hanno sempre colto nel segno. Nel mare ci sono i coccodrilli (Baldini e Castoldi 2010), ha conquistato la traduzione di oltre 30 paesi. Ed è stata la è soltanto interiore, è concreta: lui svolta. Il libro racconta la storia, dramparte e non torna... maticamente vera, di Enaiatollah Akbari, il bambino in fuga dall’Afghanistan. All’inizio Andrea fugge da una vita che Il testo è diventato un piccolo classico non è come lui se l’era immaginata. Con sulla contemporaneità della migrazioi suoi dubbi irrisolti, la sua inquietudine a causa delle guerre. Geda ha inconne, il protagonista somiglia alla mia getrato migliaia di ragazzi nelle scuole, e nerazione, io ho 42 anni. Si fugge da una continua a farlo. A un cento punto ha promessa non mantenuta, quella della deciso di vivere di parole. Ha fatto una generazione precedente alla sua, alla scommessa, appunto, ha scelto l’incermia, che aveva detto ai trenta-quarantezza di un luogo impervio e rischioso, tenni di oggi: state tranquilli, fare la ricome la scrittura, abbandonando il lavoluzione non serve a niente, studiate, voro di educatore che aveva svolto per fate i bravi, e sarete più ricchi di noi; perdieci anni presso una delle comunità alché così era stato dagli anni Cinquanta loggio per minori gestite dalla Cooperain poi, generazione dopo generazione. tiva Valpiana. Oggi insegna Racconto e Ci sono dei tratti di immaturità e di Romanzo alla Scuola Holden di Alesegoismo nel protagonista del mio libro sandro Baricco, collabora con la Fiera e nella mia generazione e sono frutto del Libro di Torino, con La Stampa e a dell’educazione, delle stesse promesse. vari progetti culturali. Ma, soprattutto, scrive. Da sempre impegnato nel sociaNel libro tu sei dalla parte di chi fugle, Fabio Geda, durante l’università ha ge... prestato servizio come educatore a San Ciascuno può avere i suoi motivi per riSalvario, uno dei quartieri storici delbaltare il tavolo e andarsene, ma in gel’immigrazione torinese. Oggi, pur non nere si fugge per cercare il proprio pofacendo più l’educatore, i temi della sto nel mondo, per tentare di riprogetmarginalità li racconta dentro i suoi libri tare la propria vita. Cosa c’è di sbagliato? e ne può parlare con cognizione di cauIn questo senso bisogna però distinsa perché li ha incontrati molto da viciguere chi fugge “da” e chi fugge “verso”. no. Qualunque fuga da qualcosa deve prima o poi diventare una fuga verso qualcos’altro. E comunque penso che a volSe la vita che salvi è la tua racconta la precarietà di una generazione, te ci vuole molto più coraggio a fuggire quella dei quarantenni, che si risolve, che per restare. L’ignoto fa sempre pauspesso, in una fuga. Dalle responsara. Anche più paura della pochezza di bilità, dagli affetti permanenti. Anche ciò che si ha e si conosce. da se stessi. Per Andrea, 37 anni, insegnante precario di arte, la fuga non La seconda parola chiave del libro è:


testimoni purtroppo. Sono molti quelli che non possono fare altro che subire il proprio destino. Fai dire a uno dei protagonisti: non mi fido delle parole, l’esempio quello sì. Eppure tu vivi per e di parole. Può sembrare paradossale la diffidenza nei confronti delle parole... No, non è affatto paradossale. Proprio il fatto che io viva di parole fa sì che io sappia bene quanto con le parole si possa fingere, mascherare, pasticciare. Sono le azioni quelle che ci svelano e ci rivelano. Sono le scelte, anche quelle piccole e quotidiane, che – con la stessa potenza di una radiografia – mostrano al mondo come siamo fatti dentro.

Letture impegnate Una bella immagine dello scrittore Fabio Geda. Nella foto a fianco la copertina del suo ultimo libro “Se la vita che salvi è la tua”. (Einaudi - stile libero)

inquietudine... L’inquietudine è data dal fatto di non essere stati preparati a tutto questo. Ritorniamo alle promesse di prima, al trend in continua salita che si è bruscamente fermato una manciata di anni dopo il nostro ingresso nel mondo del lavoro. Ricordi Lucy che toglie la palla da football a Charlie Brown un secondo prima che lui la calci facendolo cappottare? Ecco, è successa una cosa così. Ai diciottenni di oggi invidio non il mondo al quale stanno per affacciarsi, che è lo stesso mio, ma il fatto che abbiano la la consapevolezza delle insidie e delle opportunità che quel mondo nasconde.

in cui vivere. L’incertezza dello stipendio o della sua entità. La continua tensione verso un possibile, anzi obbligato, riciclo di sé. Tutto questo rende precari anche gli affetti, certamente. Forse in questo senso qualcosa si sta muovendo, ci stiamo svegliando: ma ancora troppo poco e troppo lentamente.

La precarietà con cui oggi facciamo i conti, viene interiorizzata? E spinge l’uomo anche a una precarietà affettiva? La mancanza di fiducia nel futuro porta, ad esempio, alcune persone ad avere meno voglia di mettere al mondo dei figli, o al contrario al mettere al mondo figli come cura del presente o per la carica di futuro che i figli portano dentro di sé: e sia una sia l’altra reazione sono una stortura. C’è qualcosa di innaturale in tutto questo. L’incertezza del luogo

Il protagonista è in cerca di un posto dove può sentirsi a casa. Per molti di noi è lo stesso. Dove è “casa”? Dove ti riconosci negli occhi di qualcuno? O dove sono le radici? Tutte queste cose insieme. Il problema è che spesso uno non trova un luogo che soddisfi tutti questi requisiti e quindi deve scegliere quali accantonare. La vita ti porta a dover scegliere, ma in realtà non è così per tutti. Ritorniamo alla precarietà: poter fare delle scelte è un privilegio riservato a troppe poche persone,

Che valore dai alla letteratura? Ogni scrittore, attraverso la letteratura, rimette in circolo idee e valori che reputa fondanti, che ha assorbito dalla cultura in cui è cresciuto, che ha maturato attraverso le esperienze fatte e ricevuto in dono dalla letteratura che lo ha preceduto. Le società crescono così: assimilando esperienze e rimettendole in circolazione. Si scrive anche per tentare di capirsi: ogni libro é, tra le altre cose, un’indagine su se stessi, sul proprio modo di stare al mondo. Quindi, la letteratura ha per me anche un valore pedagogico. Il tuo protagonista, per un tratto, diventa un homeless. Il ritratto di Andrea in strada era quello di un uomo indifferente a tutto, completamente assente al mondo e a se stesso. E’ così che vedi le persone senza dimora? No. Così vedo il protagonista del mio romanzo. Non mi piace fare generalizzazioni, e quindi non vedo le persone che vivono in strada come un corpo unico. Tra di loro, come ovunque, ci sono storie che devono essere trattate con rispetto, senza pregiudizi, ascoltate una per una. Andrai con il tuo nuovo libro nei licei, per raccontare di precarietà, ma anche di futuro. Cosa dirai ai ragazzi? Non voglio dire nulla. Voglio ascoltare. Spero di avere un dialogo franco, uno scambio diretto. Hanno molto da dire e da dare secondo me, ma non sempre li ascoltiamo.

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milano I profughi siriani arrivano a Milano sapendo di poter trovare chi li può accompagnare a pagamento oltre frontiera

Il racket dei passatori Como Cure gratuite per tutti a Casa Santa Lucia Torino La nuova vita di Emilia tra pentole e fornelli Genova “Dov’è Genova?” In fuga senza meta Verona La mappa di Felix, disegno di speranza Vicenza Alicia, la strada come palcoscenico Venezia Homeless in laguna, numeri in crescita Rimini Vita di strada, giovani ai margini Napoli Parole e affetti i ”sentimenti” di Scarp Salerno Mare Nostrum: arrivi anche a Salerno Catania Sorjan e gli inquilini di Palazzo Bernini

30. scarp de’ tenis settembre 2014

di Francesco Chiavarini Dal 18 ottobre 2013 sono stati accolti a Milano 15 mila profughi siriani. In 11 mesi il flusso è stato continuo, con alcuni picchi, in corrispondenza degli sbarchi sulle coste del sud Italia. E non si prevede che finirà. Dopo pochi giorni dall’arrivo sui moli di Siracusa, Crotone, Reggio Calabria, Taranto, una folla di uomini in genere con donne e bambini al seguito occupa i gradoni di marmo della stazione centrale di Milano, costringendo il comune a cercare sempre nuovi posti per dare loro un’accoglienza dignitosa: sono già 10 le strutture attivate, affidate a enti non profit e finanziate grazie da una convenzione sottoscritta dalla Prefettura. Un’operazione costata fino ad ora allo Stato 2 milioni e 538 mila euro. I profughi non si fanno identificare dalle autorità, perché intendono proseguire il viaggio. Secondo i dati del Comune aggiornati al 9 luglio dei rafforzarono i controlli e la situazione si 13.178 siriani passati per i centri di acnormalizzò. coglienza milanesie, solo 35 hanno deciso di chiedere asilo in Italia. Tutti gli altri se ne sono andati, in media dopo apA Milano tanti “passatori” pena una settimana. Direzione Germa«La verità è che a Milano in questi menia e paesi Scandinavi, dove contano di si, approfittando dell’incapacità della ritrovare parenti e amici e di approfittare dei generosi sussidi offerti da quei paesi ai rifugiati politici. I dati dimostrano dunque che Milano non è la destinazione dei migranti siriani in fuga dalla guerra, ma solo una tappa. Ma perché Milano e non un’altra città del Nord? Che cosa ha trasformato il capoluogo lombardo nel retro-porto delle città del Mezzogiorno? La posizione geografica centra. Ma fino ad un certo punto. Nel 2011, alla viglia delle Primavere Arabe, prima dei libici arrivarono i tunisini. In quel caso la rotta era la Francia. Ed infatti i profughi si affollarono a Ventimiglia. Fino a quando però il presidente Sarkozy decise di ripristinare i controlli alle frontiera e cominciò a respingere quelli che cercavano di passare. Qualcosa di simile, a bene guardare, è accaduto anche questa volta. Nei primi mesi della cosiddetta Emergenza siriana, per un certo periodo di tempo, nell’occhio del ciclone non ci fu soltanto Milano, ma anche Bolzano. Poi le autorità austriache


scarpmilano Volontari al lavoro Nella foto sotto il presidio attivato dal comune di Milano nel mezzanino della stazione Centrale grazie alla collaborazione di associazioni e volontari. A fianco una bella immagina della piccola Suraya, siriana “figlia di Milano, nata all’ospedale San Carlo.

politica nazionale ed europea di offrire una canale regolare a questi flussi migratori, ha potuto crescere e svilupparsi una rete di passatori, capaci di organizzare viaggi clandestini, attraverso l’Europa, e portare a destinazione le famiglie siriane che intendono ricongiungersi a parenti e amici in Germania, Svezia e Finlandia – spiega Oliviero Forti, responsabile migrazioni di Caritas Italiana». Sono i passatori la calamita che attira i siriani in fuga a Milano e che ha trasformato la città nell’ultima stazione di transito italiana, prima dell’ingresso nella ricca ed opulenta Europa. Dalle testimonianze confidenziali fatte dai pro-

La storia

Mille euro per passare il Brennero Così Suraya ha lasciato Milano...

«Se ne sono andati via senza dirci una parola. La sera prima la mamma mi ha messo tra le braccia la bambina. La mattina quando nella loro stanza non ho trovato più nessuno, ho capito che quello era il suo modo per dirmi addio e forse anche grazie», racconta Desio De Meo. La mamma di Suraya era arrivata alla stazione centrale di Milano i primi di maggio. Era scappata dalla guerra in Siria, si era imbarcata in un porto libico su un carretta del mare e aveva risalito la penisola fino al capoluogo lombardo in treno. Se non fosse stato per Desio, che con gli altri volontari della Caritas, l’aveva individuata tra la folla che bivaccava sui gradoni di marmo della stazione, avrebbe proseguito subito il suo viaggio verso il Nord Europa. «Impossibile non notarla: aveva una pancia enorme. Era chiaro che avrebbe partorito da lì a breve ma lei voleva continuare il suo viaggio. Evidentemente a una donna che aveva già affrontato la Libia e la traversata del Mediterraneo, far nascere la sua bambina in un luogo di fortuna, per strada, doveva sembrare una passeggiata. E in ogni caso sempre meglio un parto incerto che il rischio di essere identificata e rimanere per sempre intrappolata in Italia con tutta la sua famiglia: il marito e altri cinque figli. Solo dopo tante rassicurazioni siamo riusciti a convincerla a farsi ricoverare». Alle 23 del 7 maggio all’ospedale San Carlo è nata Suraya, la piccola siriana “figlia di Milano”, emblema per gli abitanti della città, dell’esodo che sta vivendo il suo popolo. Per mesi lei e la sua famiglia sono stati accolti prima in un ex scuola elementare del Comune, poi un ex convento di suore, dove Caritas ha allestito un centro che ha ribattezzato con il suo nome. «Sapevamo però che volevano andarsene, il prima possibile. Che la loro destinazione era la Svezia – continua De Meo –. Sul cellulare mi mostravano le foto di un parente che viveva in un piccola cittadina di quel paese, un piccolo centro di cui non ricordo più il nome: case di legno, un laghetto, attorno un bosco. Insomma una paradiso. Aspettavano solo di trovare il passatore capace di portarli al di là della frontiera. Ci avevano già provato una volta, ma alla fine mi hanno raccontato che chi si era offerto di accompagnarli si era preso i soldi ma poi non si era presentato all’appuntamento. Poi, invece una mattina nella loro stanza non abbiamo trovato più nessuno. Probabilmente sono partiti di notte, certamente in auto o in un furgone, diretti verso il Brennero e da lì hanno poi proseguito. Prezzo? Sappiamo che il listino di trafficanti di profughi ormai non scende sotto i mille euro. Loro poi erano in 6. Organizzare un viaggio clandestino per una famiglia numerosa è più difficile da gestire. Il costo sarà stato anche più alto». settembre 2014 scarp de’ tenis

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scarpmilano fughi agli operatori dei centri di accoglienza si è anche riuscito a ricostruire il listino prezzi dei viaggi clandestini. Per una banale legge di mercato, poiché la domanda supera sempre l’offerta, i costi sono in continua ascesa. Oggi si può arrivare a pagare anche 1.500 euro solo per essere accompagnati in auto al di là della frontiera. Una volta passato il Brennero o il Sempione (in genere i valichi più frequentati), il gioco è fatto. Si può proseguire il viaggio anche in treno senza più accompagnatore. Se si viene fermati dalla polizia ferroviaria, poiché fino a quel momento non si è stati identificati, nessuno può rispedirti indietro e a quel punto si può chiedere asilo. I viaggi in genere hanno successo come dimostra l’aumento significativo delle richieste di asilo da parte dei siriani nei paesi di destinazione e il numero esiguo delle persone respinte che tornano in Italia. Quindi, benché i passaggi illegali siano costosi, c’è sempre chi è disposto a pagare. Non è chiaro, invece, se i passatori agiscano da soli o vi sia qualcuno che li gestisce; ma è facile immaginare che poiché l’affare è profittevole e la clientela non manca, le organizzazioni criminali ci abbiamo fatto più di un pensiero.

Crescono i passaggi in Svizzera Un comunicato pubblicato sul sito dell’Amministrazione federale delle Dogane della Confederazione elvetica denuncia che «sebbene le cifre del settore della migrazione siano rimaste al livello dell’anno precedente, il Corpo delle guardie di confine (Cgcf) ha dovuto rafforzare i propri controlli visto il nuovo aumento dell’attività di passatori. Nelle ultime settimane sono stati constatati vari casi di traffico di migranti soprattutto sull’asse del Sempione in direzione della Svizzera francese e al confine meridionale. Lungo quella direttrice le guardie di confine hanno fermato numerosi passatori che trasportavano gruppi di persone con veicoli privati o noleggiati». Ad organizzare questi viaggi, sempre secondo la stessa fonte, sarebbero cittadini di nazionalità tedesca, italiana, kosovara, pakistana ed eritrea. I casi accertati nei primi tre mesi del 2014, solo al valico del Sempione, sono stati 47, più del doppio dell’anno precedente.

Oltre 15 mila passaggi: 35 le richieste d’asilo Dallo scorso 18 ottobre, data di inizio del progetto di assistenza, sono stati oltre 15.000 i profughi siriani accolti nelle strutture convenzionate con il comune di Milano. Grazie alla collaborazione con la Prefettura è stato possibile reperire 10 strutture e circa 500 posti di prima accoglienza, in virtù delle convenzioni siglate con Fondazione Arca, Consorzio Farsi Prossimo, Fondazione Fratelli di San Francesco, Casa della Carità e Fondazione Don Gnocchi. «Operiamo su informazioni aleatorie – spiegano dal comune –: all’indomani di ogni sbarco ci prepariamo a nuovi arrivi. Si tratta in massima parte di famiglie, anche con bambini molto piccoli, e di uomini soli. Grazie al presidio in stazione Centrale (formalmente attivo dalle 14 alle 20, ma con orari molto elestici) si registrano le persone grazie ai mediatori culturali messi a disposizione dalle associazioni convenzionate. Milano è però solo un punto di passaggio: solo 35 persone tra le migliaia passate da qui, infatti hanno deciso di chiedere asilo in Italia. Tutti gli altri se ne sono andati direzione Germania e paesi Scandinavi.

Non è un caso, infatti, che in un ampio e articolato comunicato diffuso a metà luglio i direttori di tutte e dieci le Caritas lombarde abbiano voluto richiamare l’attenzione proprio sul rischio di infiltrazioni malavitose nelle gestione dei flussi migratori

Basta ipocrisie: canale umanitario «I passatori continuano il lavoro sporco che i loro colleghi fanno sulle carrette del mare. Hanno forse un nome più gentile, romantico; non mettono a repentaglio la vita delle persone che trasportano, ma tecnicamente sono dei trafficati di esseri umani che lucrano sulla disperazione altrui – osserva Forti -. Detto questo, non possiamo però nemmeno essere ipocriti. Al momento quelli che per noi sono dei criminali, per i siriani che scappano sono la sola chance di salvarsi dai bombardamenti, la distruzione e la morte. È un paradosso, ma è il tratto distintivo di questa strana emergenza. Il solo modo per superare questa contraddizione è consentire a chi fugge dalla guerra in Siria, sempre più drammatica, di arrivare in Europa regolarmente, aprendo un canale umanitario, come noi chiediamo da mesi, fino ad ora inascoltati».

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Dopo anni di lavoro in banca ha creato la Fondazione Condividere, per garantire speranza. Come a Donatella e Salvatore...

Il benefattore anonimo che aiuta chi non ha nulla di Simona Brambilla Aiuta chi è rimasto indietro, paga debiti, garantisce un assegno di studio, trova una casa in affitto per chi non ha un tetto, sostiene le famiglie di immigrati che non riescono a pagare la mensa ai figli o i profughi che arrivano in stazione Centrale a Milano: lui è un benestante imprenditore milanese che preferisce rimanere anonimo. Da qualche anno a questa parte ha deciso di lasciare il suo posto in una grande banca per dedicarsi agli ultimi. «Dopo averci pensato a lungo – racconta – una decina di anni fa ho deciso di dare le dimissioni dalla banca dove avevo lavorato per 25 anni e mi sono messo a gestire i miei investimenti con un unico obiettivo, quello di usare le mie conoscenze professionali per ottenere un reddito volto sia a mantenere la mia famiglia sia a fare interventi di aiuto a chi ha bisogno». Nel 2012 è stata poi creata la Fondazione Condividere, cune questioni relative al suo contratun punto di arrivo delle diverse attività to di lavoro». La grave crisi economica e progetti sostenuti a partire dal 2003 che ha colpito Milano sia in Italia sia in America Latina e che e l’intera penisola itasi presenta così: “Noi non siamo ciò liana ha costretto in che possediamo, ma ciò che rapprecondizioni di povertà sentiamo per gli altri”. anche persone che fino a poco tempo fa erano considerate Donatella ora ha una casa agiate. In questi anni sono state moltissime le «In questi ultimi persone che la Fondazione e il suo fonanni la distribuzione datore hanno incontrato ed aiutato. delle risorse e della ricTra loro per esempio c’è Donatella, chezza si è sempre più mamma di due bambine piccole di 5 e polarizzata: una picco7 anni, separata da un marito violento lissima parte del Paese al quale hanno tolto la patria potestà. vive in condizioni ecPurtroppo, il reddito del suo lavoro cellenti, mentre una non era più sufficiente a pagare l’affitgrande parte in situazione di povertà to, oltre al mantenimento suo e delle assoluta. Quello che a me non serve bambine, per cui Donatella è stata per vivere ho quindi deciso di destisfrattata dalla sua abitazione. «Siamo narlo a chi ha bisogno» riusciti in poco tempo a trovare una caE così a lui e alla sua Fondazione si sa temporanea per Donatella e le sue rivolgono sempre più persone che ogfiglie in attesa che arrivi l’assegnazione gi vengono definite “i nuovi poveri”. della casa Aler anche se forse non sarà necessario perché pare che il Comune di Milano, capita la gravità della situaSalvatore ce la sta facendo zione, le assegnerà un alloggio – ha È il caso di Salvatore che fino a qualche spiegato il benefattore –. Nel frattemanno fa era un cuoco di successo: avepo ho garantito a Donatella un sosteva aperto e gestito ristoranti in giro per gno al reddito e ho deciso di fornirle il mondo. Purtroppo Salvatore ed il suo anche assistenza legale per risolvere alsocio avevano investito tutti i propri ri-

34. scarp de’ tenis settembre 2014

sparmi nella banca sbagliata: quella Lehman Brothers che col suo fallimento diede origine nel 2008 alla crisi finanziaria che stiamo subendo ancora oggi. Persi tutti i propri risparmi, tre anni fa Salvatore è tornato in Italia per cercare un lavoro ed è stato assunto come cuoco in una nota catena di ristoranti a Milano. Vista la diminuzione degli affari, però, lo scorso anno i proprietari hanno deciso di chiudere tre ristoranti tra cui quello dove lavorava Salvatore, che ha perso quindi il lavoro. Dallo scorso mese di settembre la famiglia di Salvatore non ha più un reddito e vive solo grazie ai pacchi viveri garantiti dalla Caritas. «Ci siamo trovati stamattina nel Centro di ascolto e gli ho spiegato che da questo mese gli avrei garantito un sostegno al reddito adeguato a mantenere la sua famiglia per i prossimi 12 mesi in attesa che, finlmente, trovi un lavoro che lo possa rimettere in piedi» – ha concluso il ricco imprenditore milanese che pochi mesi fa ha anche scritto un libro intitolato “L’angelo invisibile” (Feltrinelli editore) (nella foto a fianco la copertina del libro) –. Nel volume viene raccontata la sua storia, la sua attività di manager e la scelta di aiutare chi ha più bisogno. Non solo, l’autore si interroga anche su una questione di fondo: perché è raro che le persone ricche siano generose?

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scarpmilano

Agostino, medico in pensione e falegname per passione con Patologi oltre frontiera aiuta chi vive nel sud del mondo

La telemedicina del medico-falegname di Marta Zanella Nel cuore della Milano multietnica, proprio vicino al parco Trotter, il polmone verde del quartiere di via Padova, una grande vetrina dà luce a un laboratorio artigianale in cui il legno la fa da padrone. Si costruiscono librerie a forma di albero, mappamondi, giocattoli, culle, si dipingono trompe l’oeil, si realizzano intarsi e si costruiscono persino scenografie teatrali. Dietro la vetrina, a far funzionare il laboratorio che ha aperto dopo la pensione per dare sbocco alla sua passione di sempre, c’è Agostino Faravelli (nella foto al lavoro). Lui, nella vita, ha sempre fatto il medico, un medico che per hobby si divertiva a fare il falegname. Oggi, dal suo laboratorio, si definisce invece un falegname che, per hobby, fa il medico. Faravelli, medico patologo, nella sua carriera ha lavorato all’ospedale San Raffaele prima, ed è stato primario di Patologia a Desio, poi. Ma siccome un medico non smette di tia dell’Occidente ricessere medico, nemmeno quando il co e moderno. Chiameritato riposo lo porta a dedicarsi a ramente no, solo che un’altra attività, il laboratorio del legno in Paesi poveri come di Agostino si trasforma, all’occorrenza, quelli africani quasi in un laboratorio di analisi per pazienti nessuno si può perafricani: non quelli che abitano a Milamettere la diagnosi, e no, ma proprio quelli che vivono in Tancosì si muore senza zania o nella Repubblica democratica sapere di cosa. In del Congo, in Zambia o in Mauritania. molti di questi Paesi Faravelli, infatti, è anche vicepresila carenza di medici dente di Patologi oltre frontiera, una che possono fare diaOng nata quindici anni fa da un gruppo gnosi, che hanno a di medici anatomopatologi che si eradisposizione la struno dati l’obiettivo di rendere possibili le mentazione giusta, è diagnosi mediche delle malattie anche totale. Noi cerchiamo nei paesi del Sud del mondo dove mandi supplire a questo». ca la tecnologia che invece hanno a diI modi in cui lavorano sono diversi sposizione gli ospedali occidentali. Coa seconda del contesto, dell’ospedale e me è stato possibile farlo? Con internet, del paese in cui si trovano. La prima coovviamente: in termini tecnici si chiasa da fare è la formazione del personale ma “telemedicina”. locale: vengono formati dei medici patologi o dei tecnici di laboratorio, persone che siano in grado di effettuare Telemedicina per tutti analisi e trasmettere le informazioni a «Abbiamo deciso di lavorare su quello distanza. «È qui che interviene l’ausilio che, nei paesi poveri, è un problema della tecnologia, perché i medici o i tecdrammatico – racconta Faravelli – e cioè nici locali, che preparano il materiale l’impossibilità, per la maggior parte dei per le biopsie su vetrini o scattano le imcittadini africani, di avere una diagnosi magini al microscopio, le inviano via corretta per una malattia». Il tumore, web a noi medici in Italia e, dai nostri laper fare solo un esempio. «Fino a pochi boratori riusciamo a leggerli e svolgere anni fa si credeva che fosse una malat-

quella parte di lavoro che in loco non riuscirebbero a fare». Così il laboratorio di falegnameriamedicina di Agostino riceve dati e immagini da Cuba e dalla Nigeria, dal Kosovo e dalla Palestina, da Gibuti e dall’Uganda, dal Corno d’Africa e dal Madagascar. Uno dei primissimi paesi meta di Patologi senza frontiere è stato lo Zambia, dove nel 2005 è partito il progetto che ha coinvolto l’ospedale missionario Mtendere, a Chirundu, di proprietà della diocesi di Milano. E infatti la diocesi ambrosiana ha finanziato per diversi anni la formazione dei tecnici locali e le tecnologie necessarie per la diagnosi a distanza. «La telepatologia è in molti casi l’unica possibilità, il solo modo per sopperire all’assenza di specialisti e di strumenti diagnostici – ci spiega Antonio Antidormi, dell’ufficio missionario della diocesi di Milano, che da anni segue le attività dell’ospedale di Chirundu. In questo modo invece anche in un contesto povero come quello dello Zambia le persone, le donne in questo caso, possono usufruire delle conoscenze e delle possibilità che hanno le donne europee. Non è però una soluzione miracolosa. Il rischio, purtroppo, è che si abbia una diagnosi della malattia senza alcuna possibilità poi, comunque, di curarla». www.patologioltrefrontiera.it

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l’altra Milano Scarp ha incontrato anche due fachire laureate originarie della Romania

Invasione di fachiri a Milano: «Un’arte antica e molto faticosa» di Tony Meraviglia

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APESSI COM’È STRANO VEDERE I FACHIRI A MILANO… Questi personaggi sono in costante aumento e affascinano per ore passanti e turisti che affollano le vie del centro e che svoltano la giornata lavorando a cappello. Si tratta di illusionisti che riescono a restare “sospesi” in aria come se fossero seduti reggendosi solo con il braccio posato su un palo di legno. «E possiamo restare così per due ore – racconta Mirela, vestita e truccata di tutto punto –. Questa è un’arte molto faticosa perché nonostante il trucco della lievitazione bisogna stare immobili, quindi per non far intorpidire i muscoli bisogna fare molta ginnastica». Infatti, il trucco che permette l’illusione della sospensione a mezz’aria è antichissimo: ci rivela Mirela che quest’arte veniva usata già molti secoli fa in India. Quest’artista in Romania ha conseguito una laurea in biologia, ma con la crisi economica che ha colpito anche il suo Paese ha deciso di girare l’Europa on the road, procurandosi da vivere come artista di strada accompagnata da una sua collega dell’università. Mirela non sta mai in una città più di due settimane. Ci racconta delle diverse città dell’Italia in cui si è esibita e della generosità degli italiani nei loro confronti. «Da Palermo a Torino ma anche a Capri o all’Elba – spiega Mirela – gli spettatori hanno sempre risposto molto bene ai nostri spettacoli. Anche l’alloggio non è un problema: tra artisti c’è molta solidarietà e ci sono moltissimi circoli culturali o centri sociali sparsi per l’Italia cha assicurano ospitalità gratuita o a prezzi modici. Ormai sono tre anni che giriamo per L’italia e, nonostante alcune escursioni in Francia e Spagna, alla fine torniamo sempre qui». Laila e Said, entrambi libanesi, a Milano sono venuti per studiare; al loro paese avevano acquisito il “segreto” del numero del fachiro sin da giovani, così nei giorni liberi dallo studio si dilettano a stupire anche loro turisti e meneghini. Questo per loro è un modo per non stare in casa ed interagire con la città e, visto che sono in regola con gli esami, questo mestiere li aiuta a raggranellare qualche mancia per arricchire il loro frigorifero. Entrambi gli artisti, tengono a sottolineare che per svolgere questo “lavoro” devono avere un permesso rilasciato dal comune di Milano. «Siamo regolarmente iscritti al sito del comune di Milano e ci esibiamo seguendo le indicazioni di legge – tengono a precisare Laila e Said –: per noi è lavoro ma anche divertimento e non vogliamo, certamente, prevaricare qualcuno o passare per abusivi».

«Da tre anni giriamo l’Italia con il nostro spettacolo – racconta Mirela – e il pubblico è sempre stato molto generoso con noi»

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AVETE IN FAMIGLIA UN ANZIANO AFFETTO DA ALZHEIMER O CON DECADIMENTO COGNITIVO CHE NECESSITA DI AIUTO E DI ASSISTENZA?

FONDAZIONE SACRA FAMIGLIA METTE A VOSTRA DISPOSIZIONE I PROPRI SERVIZI E I PROPRI OPERATORI grazie al progetto Rsa aperta promosso da Regione Lombardia (delibera X/856 del 2013)

Le prestazioni potranno essere erogate presso il domicilio dell’anziano o presso le Rsa di Fondazione Sacra Famiglia di Cesano Boscone e di Settimo Milanese tramite un voucher del valore di 500 euro al mese da richiedere alla propria Asl di competenza

3RWUHWH ULFHYHUH DLXWR GD SHUVRQDOH TXDOL¿ FDWR per tutte le necessità di cura del vostro familiare: SUREOHPL GL PRYLPHQWD]LRQH GLI¿ FROWj SHU IDUH LO EDJQR disturbi nell’alimentazione, medicazioni...

PER INFORMAZIONI:

Fondazione Sacra Famiglia (Cesano Boscone e Settimo Milanese)

tel. 3666719528 - 3386206485

dal lunedĂŹ al venerdĂŹ dalle 9,00 alle 12,00 - dalle 14,00 alle 16,00 Oppure: Asl di competenza - Medico di Medicina Generale - Servizi Sociali Comunali


latitudine como Nato nel lontano 1991, l’ambulatorio è un punto di riferimento in città

Cure di qualità e gratuite a tutti: l’esempio di Casa Santa Luisa di Salvatore Couchoud

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1991, QUANDO UN ACCORDO TRA ASCI DON GUANELLA, la Parrocchia di S. Bartolomeo, le Suore Vincenziane e la Caritas diede forma all’ambulatorio di via Rezia riservato ai senza dimora comaschi, furono in molti in città a storcere il naso, scambiando per “improduttivo assistenzialismo” quella che si è poi rivelata una scelta tra le più felici e lungimiranti dell’universo della solidarietà lariana. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, il servizio si è sviluppato e potenziato sempre più andando a garantire una moltitudine di servizi anche grazie all’interconnessione strategica partita nel 2002 con il popolo di “Porta Aperta”, inteso nella duplice accezione degli utenti e degli operatori. Grazie a questa allenza la percezione della cittadinanza è andata sempre più affinandosi in termini di consenso generalizzato e – ed è ciò che conta – gli homeless del Lario hanno scoperto che il bene prezioso della salute poteva essere loro tutelato da uno staff sanitario specialistico e di base presso il civico 7 di via Rezia, aperto tutti i pomeriggi eccetto il giovedì. «A parlare per noi è la stessa eloquenza delle cifre – dichiara Marco Vendramin, responsabile di Porta Aperta per il progetto ambulatoriale – che per l’anno appena trascorso attestano un numero di colloqui pari a 1.427 su un totale di 354 utenti, mentre le visite effettuate nello stesso periodo ammontano a 951. Sono numeri che inducono a riflettere per l’entità del fenomeno in una città “ricca” come la nostra, e che danno il senso tangibile di un impegno costantemente imperniato sul contrasto alla grave emarginazione, coniugato con l’istanza di un alleggerimento delle spese a carico del servizio sanitario pubblico e di una riduzione degli interventi da parte dei pronto soccorso degli ospedali cittadini. È proprio in questa direzione che da sempre operano i nostri 18 medici volontari che aderiscono al progetto, dalla capofila Maria Novella Del Sordo (figlia di quell’Elena che si rese promotrice dell’iniziativa, ndr) al cardiopneumologo Raffaele Giura, dalla dermatologa Chiara Tanzi, alla ginecologa Maria Grazia Radaelli, impegnata quest’ultima anche nella lotta al fenomeno della tratta, da Chiara Piatti, Grazia Gianformaggio a Giovanni Galimberti, artefici di un lavoro che può vantare benefiche ricadute su tutta la vita comunitaria della città. Anche se il valore sociale di un ambulatorio di questo tipo non sempre viene colto nella interezza e nella sua essenzialità, e a causa dell’esiguità delle risorse il dialogo con le istituzioni può risentire a volte dell’insorgenza di qualche spiacevole equivoco e incomprensione, noi andiamo avanti». EL LONTANO

Nel 2014 sono state 951 le visite mediche gratuite garantite dallo studio medico di Porta Aperta: «Numeri che fanno riflettere»

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Tetraedro


torino

La nuova vita di Emilia tra pentole e fornelli Grazie al progetto “Costruire Bellezza” ora lavora come cuoca

di Vito Sciacca Emilia adora cucinare. È cresciuta tra pentole e fornelli nel ristorante gestito dai suoi genitori e anche adesso, quando i casi della vita l’hanno portata a vivere in un dormitorio, è riuscita a coltivare la sua passione fino a trasformarla in uno strumento con cui riprendere in mano la propria vita. È stato proprio durante la sua permanenza nel centro di accoglienza notturna di via Ghedini 6, nel quartiere torinese di Barriera di Milano, che ha frequentato un corso professionale per poi conseguire un attestato di qualifica. Il resto di questa storia è fatto di sinergie, nate dall’incontro di persone provenienti da mondi lontani dalle pareti del dormitorio, ma unite da un progetto comune. Tutto è iniziato a giugno di quest’anno, quando la struttura di via Ghedini è stata coinvolta in una ricerca universitaria, iniziata nel 2009 in diverse città italiane, volta ad individuare metodi di miglioramento deltare il dormitorio”, la ricerca-azione che la qualità degli spazi nelle strutture dal 2009 opera in Italia a Milano, Agrid’accoglienza di persone senza dimora gento, Modena e Verona coinvolgendo con il coinvolgimento degli ospiti. Il 200 studenti nell’ambito dei servizi di progetto “Costruire bellezza”, promosaccoglienza alle persone senza dimora. so dal comitato S-nodi, intende promuovere le condizioni di benessere e Workshop, per ricominciare relazione necessarie a favorire espeOperativamente il progetto ha preso il rienze di cooperazione. Fa parte di “Abivia con sei mesi di mappatura, da un laImpastare e cuocere Un momento del workshop di cucina che ha garantito un futuro ad Emilia

to, dei bisogni della comunità, e dall’altro degli homeless e dei soggetti disponibili ad attuare percorsi formativi e workshop. Successivamente vengono realizzati workshop progettuali in cui senza dimora, artigiani, creativi e studenti realizzano azioni di intervento a fronte dei bisogni rilevati presso la comunità. In via Ghedini è stato, dunque, avviato un workshop che comprende, tra le varie iniziative in programma, un seminario di cucina, per la realizzazione del quale è stato determinante il supporto economico di Caritas Torino. «Fin dai primi giorni – spiega Cristian Campagnaro, ricercatore in design presso il Politecnico di Torino – si è reso evidente che l’assillo quotidiano del pranzo ostacolava lo svolgimento delle attività, pertanto si è deciso di integrare la preparazione e il consumo del cibo alle attività dei laboratori; poco tempo dopo, agli inizi di luglio si è organizzato un pranzo aperto ad esterni in occasione della festa del quartiere». Una delle ricadute di quest’evento è stato l’incontro tra Emilia ed un possibile datore di lavoro che era alla ricerca di un cuoco: rimasto favorevolmente colpito dalla sua professionalità ha offerto ad Emilia un tirocinio presso la sua azienda. Dal successo di quest’iniziativa, che oltre a soddisfare un bisogno primario favorisce la relazione e l’inclusione sociale, è inoltre scaturita la decisione di Caritas di continuare a finanziare il corso di cucina, che a tutt’oggi ha la valenza di un laboratorio a sé stante.

Aprirsi verso il territorio «Una delle finalità dei laboratori è l’apertura verso il territorio e la creazione

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scarptorino Moncalieri

L’entusiasmo di San Matteo per “Scarp”

di relazioni – osserva Valentina Porcellana, ricercatrice antropologa del Dipartimento di filosofia e scienze dell’educazione dell’Università di Torino –. Il recarsi a fare la spesa, per la quale Caritas ha stipulato una convenzione con gli operatori del vicino mercato di Piazza Foroni, l’attenzione al costo delle merci, la preparazione e il consumo conviviale del pasto (tra ospiti della struttura, addetti alla ricerca e studenti ospiti sono presenti una ventina di commensali per volta) sono attività volte a contrastare lo straniamento sociale che si associa alla povertà estrema, favorendo l’inclusione sociale». Un altro merito di questo progetto, sottolineano i due ricercatori, è la sua spinta aggregatrice tra varie realtà e soggetti che ha portato a questa sperimentazione di innovazione sociale, di “nuovo welfare”; infatti a tutt’oggi sono coinvolti: il Comune di Torino, che ha messo a disposizione la struttura, la cooperativa Valdocco che ne cura la gestione, il servizio Adulti in Difficoltà e i Servizi Sociali della Circoscrizione, la Caritas di Torino e il comitato S˗nodi, vero e proprio “acceleratore” dell’iniziativa, una comunità di ricerca azione in cui convergono soggetti diversi con l’obiettivo appunto di sperimentare nuove forme di welfare, riconoscere le risorse del territorio e attivare processi di prosperità». www. S-nodi.org

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Un angolo di mondo Dai alla mente la ragione di vita. Dai al tuo cuore la ragione d’amare. Devi essere forte, e non arrenderti mai. Combatti e vincerai. Non sei solo nel mondo, e quindi non sei il più forte. Tanti ostacoli troverai nel tuo cammino, tante persone che ti faranno male. Ma tu non arrenderti, perché sei vivo. Devi essere tu a crearti un destino, non dare agli altri lo spazio di farlo per te. Perché sarai un perdente! Chiudi i pugni e combatti, non cadere giù. Non fermarti davanti a porte blindate o macchine sofisticate, siamo noi che le abbiamo create. E se vuoi un piccolo angolo di mondo, vai avanti e non fermarti mai.

Fabio Schioppa

Uno striscione esposto con scritto: “La parrocchia supporta il progetto Scarp de’ tenis”, un giovane volontario munito di megafono che invita le persone ad avvicinarsi al venditore di Scarp per acquistare la rivista, altri volontari che parlano con le persone che escono dalla chiesa spiegando il significato e l’importanza del progetto Scarp: è quanto avviene la seconda domenica di ogni mese a San Matteo, una parrocchia di Moncalieri (cintura di Torino) che da aprile di quest’anno ha deciso di collaborare al progetto con entusiasmo. È bastato un incontro dell’équipe caritativa parrocchiale con alcuni responsabili di Caritas Torino per convincere i volontari e il parroco di San Matteo, don Gianni, a ospitare il progetto Scarp e accogliere nel miglior modo noi venditori della rivista. Grazie all’impegno di Giancarlo, Adriano, Anita e gli altri giovani volontari, Scarp ha ottenuto un successo immediato a San Matteo, parrocchia che svolge tra l’altro altre attività a favore delle persone in difficoltà, quali un servizio quotidiano di colazioni, una distribuzione settimanale di prodotti alimentari recuperati da un vicino supermercato e una raccolta (e smistamento) di abiti usati. «Abbiamo deciso di collaborare con Scarp perché ci piace la concretezza del progetto – dice Giancarlo – con un minimo contributo economico si riesce a supportare persone in difficoltà che, vendendo la rivista svolgono un lavoro regolare. Inoltre, i parrocchiani possono così conoscere direttamente le persone e quindi sapere a chi danno una mano». Marco Contu settembre 2014 scarp de’ tenis

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genova Il viaggio dalla Sicilia a Genova di 106 profughi intercettati al largo di Capo Passero e caricati dalla petroliera Alpine Loyalty

“Dov’è Genova?” In fuga senza meta di Mirco Mazzoli Genova ha sempre dato il suo contributo al dramma dei rifugiati e dei richiedenti asilo: dal 2001 è attiva una rete coordinata dal comune d’intesa con la Prefettura e partecipata da diverse realtà del terzo settore, che oggi mette a disposizione oltre 300 posti. In questa storia di accoglienza, il 19 luglio scorso rappresenta però una data particolare: il primo sbarco registrato direttamente nel capoluogo ligure, 106 persone, tra cui alcune famiglie e 30 minori non accompagnati. C’eravamo anche noi. Qualche giorno prima la petroliera “Alpine Loyalty”, in rotta verso Genova, aveva intercettato un barcone in difficoltà al largo di Capo Passero, in Sicilia, e aveva imbarcato i profughi proseguendo poi per la propria destinazione. La nave aveva così risalito le coste italiane come da programma, fermandosi in rada di fronte al porto genovese. Nel frattempo la macchina dell’accoglienza si era messa in moto come mai aveva dovuto fare in precedenza: non si trattava solo di organizzare Il tempo di ascoltare l’accoglienza di profughi giunti con e di imparare, l’aereo e con i pullman dai porti del sud il tempo di vedere la bellezza, Italia, prassi ormai consolidata da anil miracolo e il colore ni; bisognava invece diventare una di chi ami. porta di accesso in Italia, garantire siPrenditi il tempo di mostrare curezza, presidio sanitario, risposta che te ne occupi, umanitaria.

Prenditi tempo

Pronti all’accoglienza Arriviamo sul posto, alla Fiera di Genova, intorno alle 19.30. La nostra squadra è formata da Caritas, Fondazione

che crei memorie e apprezzi i momenti speciali. Il tempo è prezioso: usalo bene. Prenditi il tempo per curare vecchie ferite, tempo per permetterti di crescere e soprattutto prenditi il tempo di essere te stesso e di credere in te. La farfalla non ha mesi, solo momenti, ma vola intorno ai fiori e si prende il suo tempo. Silvia Giavarotti

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Auxilium, le cooperative sociali il “Melograno” ed “Emmaus Genova”: portiamo la cena e il vestiario. L’accesso al padiglione della Fiera è regolamentato dalle forze dell’ordine, dietro alle transenne un folto intrecciarsi di mezzi di polizia, carabinieri, ambulanze della Croce Rossa, Protezione Civile. Tutti in attesa che la pilotina, inviata in rada a prelevare i profughi dalla petroliera, giunga all’attracco. È lì che la situazione inizia ad entrarti dentro. Ti senti “città”, ti senti responsabile del volto che la tua città e il tuo paese sapranno mostrare a questa gente, partita chissà da dove e da quanto e con quale speranza. Vuoi sorridere perché il loro primo ricordo sia di un popolo gentile, ma hai anche il dovere di vigilare di fronte alle fragilità e ai rischi. Attrezziamo i tavoli per la cena, creiamo un angolo per il ritiro degli abiti, appoggiamo alle orecchie una mascherina protettiva: dire una parola di accoglienza, una qualsiasi, con una mascherina sulla bocca sembra brutto ma si capisce che la profilassi supera la normalità dei sentimenti. La pilotina cala la passerella di fronte al nostro padiglione: nel controluce del tramonto, in una serata placida, intravvedi le sagome e senti un nodo allo stomaco. Succede quando gli articoli di giornale, i reportage, i servizi del telegiornale, diventano carne. Senza intermediari, la guerra – e la povertà, la privazione della libertà, la persecuzione – ti arriva tra le mani, così come è fuggita.

Tanti i minori da soli Scendono e si dispongono sulle panche. Due, dieci, cinquanta, centosei. Resti incollato con lo sguardo soprattutto sui ragazzini non accompagnati,


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Una petroliera per ricominciare Lo sbarco a Genova dei 106 rifugiati raccolti dalla petroliera “Alpine Loyalty” al largo di Capo Passero. Nella foto sotto a sinistra la prima fase dell’accoglienza

sulle donne sole, sulle famiglie: i bambini si guardano attorno, sembrano incuriositi più che impauriti, attratti dalla vastità del padiglione fieristico disegnato da Jean Nouvel, con quel soffitto blu che sembra mare disegnato all’insù. La vivacità nei loro occhi è la stessa dei tuoi figli: sarà banale, ma ti disorienta. Sono i primi ad andare in bagno, accompagnati da agenti in borghese. Mentre gli altri attendono le procedure per lo screening sanitario, da quasi tutte le tasche escono cellulari, molti vecchio stile, altri smartphone di ultima produzione. Contraddizioni o cliché che sfumano: comunque, strumenti essenziali per chi fugge nel 2014. Suona il cellulare di un ragazzino sui 16 anni. Risponde, poi ce lo passa. «Catania?». «No, il ragazzo è arrivato a Genova». «Dov’è Genova?». «No… non è in Sicilia, è dall’altra parte dell’Italia». I parenti “siciliani” del ragazzo lo attendevano sulle coste ormai abituali, pronti per andare a prenderlo, ma una petroliera si è messa di traverso. Gente che fugge per raggiungere altri che sono già fuggiti. E gente che manda via i figli, nella speranza che raggiungano gli

zii lontani, in Italia, Francia o addirittura in Svezia: se devono morire sotto le bombe, meglio che rischino la morte tentando di salvarsi. Squilla un cellulare e hai tutto questo davanti agli occhi. La fila di 30 minorenni se ne sta seduta con ordine, gli sguardi lunghi comunicano circospezione e senso di vuoto. Hanno il telefonino, sì, ma poco altro: una borsina di plastica o uno zaino floscio, i vestiti con cui sono partiti, i genitori lontanissimi. Il più piccolo ha 9 anni. Sono bambini che si muovono in un mondo di grandi.

La “magia” dei biscotti Un po’ di tensione al riconoscimento presso la polizia, molti non vorrebbero lasciare traccia della loro presenza per non essere costretti a restare in Italia. Mentre noi serviamo la cena a quanti hanno già concluso la lunga trafila, la polizia fa il suo lavoro, sottotraccia, e si apre una strada nel silenzio che gli scafisti avevano imposto, con minacce e ritorsioni, a tutti i 106. Vengono individuati, sono in tre, confusi tra gli altri. Verranno lasciati per ultimi e arrestati, quando tutti gli altri hanno già la-

sciato il padiglione per le destinazioni assegnate. A pensarci dopo, avrebbero potuto essere quei tipi fin troppo gentili. Prima che tutto si concluda, fissi alcune istantanee: una donna sui tacchi che sembra uscita dal parrucchiere invece che da una traversata in mare aperto; gli occhi enormi di una bella mamma, che il foulard in testa rende ancora più espressivi; il figlio che fa meraviglie perché capisce che è suo quel paio di scarpe con il personaggio visto al cinema, quando nella sua città c’era ancora il cinema. Mentre i ragazzini soli sfilano verso il pullman che li porterà nel centro di accoglienza per minori, uno di loro, che ha una maglia del Milan indossata troppo tempo fa, si stacca dal gruppo e viene a chiederci ancora un pacchetto di biscotti. Ne abbiamo avanzati un bel po’ e, quando la notizia si sparge, dietro di lui si affollano tutti gli altri. Siriani, eritrei, somali, egiziani, sudanesi: non fa differenza, i biscotti sono una piccola cura. Provi a dire “Buona fortuna”: non sai se sia giusto dirlo ma hai bisogno di dire qualcosa. Ringraziano, si concedono un sorriso e si allontanano furtivi.

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verona Gli ospiti della Casa del Samaritano raccontano la fuga dai loro Paesi per scappare da guerre e persecuzioni. Ora sono al sicuro

La mappa di Felix, disegno di speranza di Elisa Rossignoli Sul muro della mensa, nella Locanda del Samaritano, c’è dipinta la mappa del mondo. È il dono di Felix, un giovane africano che ha voluto regalare alla Casa il senso del “Mondo” che qui si raccoglie e accoglie. O almeno, ci si prova. È un planisfero molto originale che porta i colori delle bandiere di ogni stato, pazientemente riprodotte sulla parete con la perizia di un miniaturista. Qualche mese fa, durante il pranzo, i giovani richiedenti asilo da poco accolti nella “Locanda”, hanno iniziato a parlare nella loro lingua indicando diversi luoghi rappresentati sul murale. ché non potevo più vivere là. Così è iniziato il mio viaggio verso la Libia, attra«Cosa indichi? Il tuo Paese?» Ha chiesto verso il deserto del Niger. qualcuno. Un sorriso, poche parole in inDi per sé non sarebbe un viaggio coglese, e la mano che viaggiava sulla sì lungo, ma il nostro mezzo di traspormappa hanno risposto: «Il viaggio dal to continuava ad avere guasti e così ci mio paese fino a qui». Così qualche meabbiamo impiegato un mese e tre giorse, qualche parola di italiano, qualche ni. Eravamo 43 persone su un Toyota, notte di riposo e qualche presenza amitutti schiacciati e attenti a non cadere. ca in più intorno, è nata l’idea, di chieEro l’unico del mio paese e non conodere il racconto di quei viaggi, ai loro protagonisti. E loro, generosamente, scevo nessuno dei miei compagni di hanno risposto. Non vedrete i loro volti, viaggio. Arrivato in Libia, c’era una persona ad aspettarmi. Era un amico di non conoscerete i loro nomi reali: c’è anamici, musulmano, mentre io sono cricora la paura impastata nelle loro vite e stiano, ma non tutti i musulmani sono ne hanno tutte le ragioni. I loro racconti come i terroristi che hanno incendiato il non iniziano con “C’era una volta”, permio villaggio. ché non sono fiabe. Ma sono stati ascolLui mi ha accolto a casa sua, e sono tati con occhi sempre più grandi, e cuorimasto con lui e la sua famiglia per tre re che si stringeva e si allagava, proprio mesi, aspettando il momento di particome si ascoltano i bambini. E con la re. Infatti non potevo restare in Libia, stessa gratitudine sono stati accolti, racl’ho capito subito. Lì con lui stavo bene, colti e trascritti. E hanno in comune la frase finale. Per fortuna, ci viene da dire. ero al sicuro con quelle buone persone, ma fuori la situazione non era sicura per noi africani. Il mio amico mi ha aiutato, John ora puo andare in chiesa e, una notte, è venuto a svegliarmi e mi Ho 18 anni. La mia storia inizia in Nigeha detto “preparati, stai per partire”. ria, nello stato di Kanduna, alla fine di Non sapevo dove mi avrebbe portato… novembre del 2013. C’è la guerra, là. I siamo saliti in macchina e siamo andaresponsabili si chiamano Boko Haram, ti lontano, era notte, e mi sono appisoattaccano i villaggi e hanno assalito anlato. Al mio risveglio, nella luce dell’alche il mio. Mio fratello maggiore è riba, ho visto la spiaggia, una barca e ho masto ucciso in una delle loro incursiosentito qualcuno che gridava di sbrigarni, quando hanno attaccato la chiesa. mi. Sono rimasto sorpreso: non sapevo Lui era là, ed è morto. Avevo solo lui, era che avrei dovuto attraversare il mare. tutta la mia famiglia. Quando è morto Ho chiesto al mio amico «Dove sto ho deciso che me ne sarei andato, per-

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andando?». Lui mi ha risposto: «Non ti preoccupare. Vai in pace e ovunque tu ti ritroverai ringrazia Dio». Non avevo capito dove stavo andando, ma le sue parole mi hanno rassicurato, e sono salito sulla barca. Mi trovavo nella parte inferiore dello scafo, eravamo tanti, di nuovo tutti schiacciati, ma dopo alcune ore, guardando fuori, mi sono accorto


scarpverona Tutti i colori del mondo Il grande murales del mondo disegnato da Felix sul muro della mensa della casa di accoglienza “Il Samaritano”.

che ci trovavamo in mezzo a due grandi navi. Non capivo bene cosa stava succedendo, ma poi ho sentito delle voci chiamarci e dirci di uscire: era la guardia costiera che ci stava portando in salvo. Non capivo ancora in quale paese ci trovassimo. Ma ho visto sulla loro divisa la bandiera dell’Italia. Ho ringraziato Dio. Ci hanno portati a Lampedusa e

pochi giorni dopo siamo arrivati all’aeroporto di Verona, dove siete venuti a prenderci. Ringrazio Dio, il mio Padre Celeste, per avermi fatto arrivare vivo e salvo fino a qui. Non è stato facile, ma ci sono e sono in un luogo in cui si può vivere, sono finalmente al sicuro. Qui non ho paura, posso andare in chiesa liberamente, senza paura di essere ucciso; posso camminare per la strada e non ho paura della polizia. Qui le persone mi trattano bene, ho conosciuto nuovi amici, sto studiando l’italiano. Non cerco chissà cosa nella mia vita, voglio una

vita semplice, ma voglio vivere dove non devo avere paura. Per il mio paese prego che finisca la violenza: un paese senza pace non è un Paese in cui si può vivere.

Bilu che si sente al sicuro Ho 28 anni, vengo dal Kashmir, sono Pakistano. La mia è una terra bellissima,

ma contesa, quindi sempre in conflitto, purtroppo. Militavo in un partito politico che vuole l’indipendenza del Kashmir, e per questo cinque anni fa sono stato arrestato e tenuto in prigione per un anno. Una volta scarcerato, gli agenti del Governo mi hanno sempre tenuto sotto controllo. Poi ho capito che non sarei mai stato completamente libero, e che anzi dovevo andarmene prima che la mia situazione si aggravasse. D’accordo con la mia famiglia, sei mesi fa sono partito. Con i miei compagni di viaggio abbiamo passato la frontiera con l’Iran, attraversato quel paese e raggiunto la Turchia. Una volta lì, ci siamo imbarcati su una nave mercantile, nascosti dentro i container. Non ci dovevano vedere, quindi dovevamo stare fermi e zitti e soprattutto non si poteva uscire fino a che non fossimo arrivati in Libia. Eravamo in 15 lì dentro, non si respirava, ma dovevamo resistere. Grazie a Dio il viaggio è andato liscio e siamo sbarcati in Libia. Non per rimanere, però: è un Paese sempre in tensione e sei sempre in balia di violenza gratuita, non c’è sicurezza, vivi nella paura. Quindi mi sono imbarcato per l’Italia: eravamo in 150 su una barca, abbiamo viaggiato di notte, e la mattina la guardia costiera italiana ci ha recuperati e portati a Lampedusa. Io e i miei compagni di viaggio siamo stati separati in diversi centri di accoglienza. Io sono arrivato qui da solo, ma in questa casa ho trovato altri due ragazzi del mio Paese, che conoscono alcuni miei parenti. È stato bello incontrarli. Comunque, qui mi sento bene. Finalmente non devo avere paura. Son felice di essere finalmente in un luogo in cui si può vivere, in un luogo in cui sono al sicuro. “Finalmente siamo al sicuro”. Questo il “mantra” che abbiamo ascoltato, la conclusione delle storie narrate sul muro. Certo, non finiscono con “e vissero tutti felici e contenti”, del resto non sono fiabe, non iniziavano nemmeno con “C’era una volta”. Ma nel guardare i loro occhi mentre raccontano, speriamo tanto che Bilu, John e gli altri giovani come loro possano trovare qui un futuro reale, e trasmettano la loro speranza tenace e sorridente anche ai figli di questo Paese “in cui si vive senza avere paura”.

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vicenza Gli artisti di strada si possono esibire senza bisogno di permessi

Alicia, la strada come palcoscenico di Cristina Salviati Giovedì mattina, Piazza dei Signori. A Vicenza è giorno di mercato ed è proprio qui che da più di un anno convergono artisti di strada di ogni provenienza. Succede da quando il Comune ha deciso di lasciare libertà a queste forme di spettacolo che si rifanno ad antiche tradizioni. Un rapido giro per la piazza e le vie adiacenti e con Claudio della redazione di Vicenza individuiamo un’artista singolare che se ne sta a piedi nudi in un angolo di via Muschieria. È Alicia, una marionettista che viene dal Messico. Il suo partner è un violinista, anzi uno scheletro di violinista che suona brani di musica classica muovendosi con grazia e armonia. I bambini si fermano incuriositi obbligando gli adulti a fare altrettanto. Una scena un po’ magica e molto tenera, e in silenzio, anche noi, aspettiamo che l’artista finisca di suonare il suo brano. Dopo gli applausi facciamo finalmente conoscenza con Alicia del teatro “A la otra orilla”. «Sono qui con il mio compagno che Seppur lontana, sta suonando l’organetto in corso Palti sento vicina. ladio – racconta –. Siamo di passaggio a Vicina al mio cuore Vicenza, e nel pomeriggio ripartiamo che a volte crede per Bolzano dove si svolgerà un festival di non conoscere internazionale di artisti di strada». Nella nostra città Alicia si trova a suo agio, ma che conosce. la gente è gentile, si ferma un po’ ad Non ho molte parole, ascoltare e lascia qualche moneta nel ma il ricordo, a volte vago cappello. «Vengo da Barcellona – ci raca volte vivo, conta ancora – è lì che ho conosciuto il vive in me e in te. mio compagno che è italiano. Si stava Le mie giornate bene là fino a qualche anno fa, ma ora le autorità hanno deciso di eliminare trascorrono felici gli artisti di strada». e credono che

Ciao mamma

Non servono permessi A Vicenza, invece, da oltre un anno l’amministrazione comunale permette agli artisti di esibirsi senza permesso e senza pagare, a patto che rispettino alcune semplici regole, come non disturbare altri eventi o funzioni religiose, non esibirsi per più di due ore nello stesso posto, non vendere, e limitarsi a raccogliere offerte a cappello. «Ho guadagnato benino – ci dice Alicia – ma conto di cavarmela molto meglio a Bolzano per il festival. Comunque in Italia si sta bene, sono parecchie le città che

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la cosa più bella sia mamma. Vedi, mamma, domani è la tua festa, grande e ancor di più. È vero si dimenticano Dolori e dispiaceri per dare sfogo alle gioie della festa e tu sei la gioia più grande.

Franca Grotto

ci consentono di esibirci». Partita dal Messico in cerca di fortuna, Alicia è arrivata in Europa una decina circa di anni fa. Il teatro era solo un sogno che ben presto è diventato realtà. «Ho seguito alcuni corsi di animazione con la marionetta e poi via, mi sono buttata e ho scoperto che questo è il mio mondo». Arrivano dei bambini e lo spettacolo riprende, sulle note di Rossini il violinista riprende a suonare, danzando lieve sul tappetino rosso di questo palcoscenico povero di marmi


scarpvicenza I ricordi

L’estate dei senza dimora nei ricordi di vacanza lontane La strada come palcoscenico Tanti gli artisti di strada che portano i loro spettacoli sulle strade di Vicenza: il comune, infatti, ha deciso di mettere a disposizione gli spazi in maniera del tutto gratuita a patto di rispettare alcune piccole ma fondamentali regole

L’estate sta finendo e chi è rimasto in città a trascorrere assolate giornate di cemento girovagando per le strade in attesa di poter rientrare al ricovero per la notte, fa tappa alla redazione di Scarp Vicenza per raccontare di quando, da ragazzino o da ragazzina abitava in una città in riva al mare e poteva godere del sole e delle onde in ogni momento. Stefano Sanna e il mare della Sardegna Io sono di Cagliari, e il mare per me è una presenza costante, una di quelle cose che dai per scontate nella tua vita di tutti i giorni. Quando sono arrivato nel Vicentino, a Romano d’Ezzelino per l’esattezza, mi affacciavo alla finestra e mi sentivo spaesato. Anzi, proprio disorientato. Eppure abitavo in una bella zona, circondata dal verde, ma il mare è un’altra cosa. A Cagliari si va al mare tutti i giorni. Noi ragazzini ci davamo appuntamento alla fermata degli autobus che non hanno nome, ma solo numeri: «ci vediamo alla settima». Gli autobus percorrono questi vialoni verso la costa, sono nati per quello, per portare le persone in spiaggia. E infatti ci si va fin da piccoli, accompagnati dai genitori. Si parte con i giochi e panini, quelli speciali, riempiti di polpette al sugo. A Cagliari abitavo al sesto piano, da lì vedevo la laguna. I due stagni, si chiamano così le due anse del bacino, una di acqua salata e l’altra di acqua dolce. Famosissime per i fenicotteri, un ecosistema tra i più importanti d’Europa. Ma per chi in questa città è nato, fa parte della normalità, il mare non è uno o più ricordi, fa semplicemente parte del vivere quotidiano, c’è sempre. Qui, in questa terra di pianura e montagne la distesa azzura mi manca tantissimo. L’Adriatico di Giulia Adria significa porto e Adriatico, mare del porto. Io abitavo lì e d’estate con mia mamma e mia cugina andavamo al mare tutte le volte che si poteva. Si partiva alle 7 del mattino e si tornava la sera dopo aver passato l’intera giornata sotto l’ombrellone. Ero ancora una ragazzina e con mia madre non si andava troppo d’accordo, ci si faceva i dispetti e poi si litigava, ma il ricordo di quelle giornate rimane bello. Io sono golosa di dolci, soprattutto i dolcetti alla crema che sempre portavamo con noi in quelle giornate sulla riva. Anche qui, a Vicenza vado in cerca di dolcetti, così ritorno con la mente a quelle giornate, al sole, ai bagni e alle lunghe spettegolate sui tradimenti delle nostre concittadine. Quasi quasi quest’estate torno a trovare la nonna che abita vicino a Rosolina mare e per un po’ dimentico di essere senza casa e senza lavoro.

e scalinate, ma ricco di sguardi e di sorrisi ravvicinati. Mentre osserviamo, io e Claudio ci sentiamo commossi, e appena finisce ne vogliamo sapere di più, ma non di Alicia, bensì di lui, del violinista. Anche per noi non è più una marionetta, ma una persona viva, reale. Come si chiama? Chiediamo all’unisono. Con un sorriso ironico Alicia guarda lo scheletro che imbraccia il violino, e ci risponde: «Non ha un nome, non vedete che è morto? Si chiama Il Violinista, e basta». Poi scoppia a ridere.

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Le gite nel Salento di Claudio Thiene Io sono di Lecce e per me andare al mare significa fare il giro del mondo. Certo, perché i 227 chilometri di costa salentina continuano a cambiare, ad ogni svolta, ad ogni ansa del mare il paesaggio muta completamente e ti ritrovi in paesaggi differenti. Mio padre lavorava all’estero, ma d’estate tornava a casa e ci rimaneva per due o tre mesi. Ogni tanto caricava me e i miei cugini sulla sua Giulietta, e via, si partiva a caccia di emozioni. A Casalabate ci sono gli spiaggioni enormi e i casoni e sembra di essere nella costa friulana di Caorle. A Castro Marina, vicino alla grotta della Zinzulusa , tra muretti a secco, fiori colorati e fichi d’india ti senti in Messico. Terra rossa, palme e un cammello, ecco che Tunisi fa capolino nei pressi di porto Cesareo. A Otranto invece ci sono gli strapiombi e tutto si fa inaccessibile come in quei castelli medioevali studiati nei libri di storia alle elementari. Insomma per me mare significa avventure e scoperte in compagnia di un papà che potevo vedere solo poco tempo all’anno, e poi profumi e colori mescolati all’aroma della parmigiana con le polpette e la mortadella, il piatto forte della nonna. settembre 2014 scarp de’ tenis

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venezia

Homeless in laguna numeri in crescita Quasi 6 mila i contatti con senza dimora tra centro storico e terraferma. In aumento giovani e donne dell’est Europa di Michele Trabucco Ogni anno il Comune di Venezia pubblica un report che raccoglie, racconta e illustra i dati e i risultati ottenuti sul fronte della lotta alla homelessness nell’anno precedente, ma offre anche l’occasione per riflettere sui nodi problematici e ripensare il futuro e nuove prospettive. Lo scorso giugno è stato reso pubblico il report 2013 da cui traiamo alcuni dati e spunti. Nel comune di Venezia sono disponibili 215 posti letto, offerti dalle varie strutture presenti sul territorio, utilizzati quest’anno da 1.148 persone. Un altro dato importante viene dai contatti “su strada”: per l’anno 2013 i contatti complessivi sono stati 5.759, i primi contatti 449 di cui 348 riguardano la terraferma e 101 il centro storico veneziano. Di questi primi contatti l’86% sono maschi e la fascia maggiore riguarda l’età compresa tra i 35 e 49 anni. Il 54% proviene dall’Europa mentre il 23% italiano. Tra i docce, nel centro Drop-in vicino alla tanti servizi, segnaliamo il centro diurstazione di Mestre, con 2.357 contatti, no di “Ca’ Letizia” gedi cui 323 avvenuti stito dalla cooperatiper la prima volta. va Gea che ha regiSecondo il rapstrato 2.568 contatti porto, “per le persone (di cui 223 primi consenza dimora diventatti). Questo centro ta necessario accedeoffre interventi di re facilmente a luocounseling e di sosteghi che oltre ad offrigno individuale e fare servizi mensa, miliare, aiuto e supdoccia e vestiario porto in situazioni di propongano anche disagio e di difficoltà l’incontro e lo scamrelazionale, attività e bio con operatori iniziative volte a favorire l’integrazione competenti. Ecco perché per chi vive in e la socializzazione di queste fasce parstrada è fondamentale sperimentare ticolarmente deboli della popolazione relazioni sociali attraverso le quali metcontrastando l’isolamento e l’emargitere alla prova la capacità di creare lenazione, sostegno attivo nella ricerca di gami, ritrovare dignità e risorse per riun inserimento nel mondo del lavoro e cominciare”. di una ricollocazione e riqualificazione Un aspetto molto importante è sotprofessionale (stesura curriculum, tolineare come “le caratteristiche delle iscrizione alle agenzie di collocamenpersone che vivono in strada si siano to), in collegamento con i servizi e assinel corso degli anni sempre più modistenza e orientamento nel disbrigo di ficate. Si è passati dalla presenza di perpratiche di varia natura. sone anziane, italiane, per lo più residenti o comunque stanziali per un periodo di lunga durata, alla presenza di Croce Rossa e Croce Verde unite persone straniere in età lavorativa e Altro servizio importante è quello meprevalentemente in transito nel nostro dico, offerto dalla Croce Rossa e Croce territorio”. Verde con 209 prestazioni sanitarie e le

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Sempre tanti gli stranieri L’aspetto sopracitato ha un’evidente ripercussione nel lavoro con il gruppo target, non tanto per quanto concerne il lavoro di strada o di pronta accoglienza, ma per la cosiddetta “media soglia”. Oltre agli obiettivi specifici, gli interventi progettati svolgono una funzione di monitoraggio e di “appoggio” a favore di persone senza dimora già in carico ai servizi territoriali, attraverso il mantenimento di un contatto e di una relazione nel contesto di strada. Si è potuto constatare nel corso di questi anni, un costante aumento delle persone che vivono in strada ed in particolare si nota una netta preponderanza di stranieri, notevolmente in creControllo del territorio Agenti al lavoro in un accampamento di senza dimora a Mestre


scarpvenezia Il progetto

Tavolo senza dimora, tutta la forza del lavoro in rete

scita risulta anche essere la presenza femminile con una provenienza prevalente dall’Est Europa e un abbassamento dell’età anagrafica. Forte accentuazione viene data alla constatazione che “gli interventi legati all’emergenza e all’assistenza primaria ma non alla promozione di un effettivo tentativo di reinclusione sociale sono soltanto delle soluzioni tampone, la homelessness infatti non è che la fase più acuta della povertà”. Infine una particolare attenzione è rivolta ad attività di promozione e sensibilizzazione dirette alla cittadinanza, mediante la realizzazione di stand informativi e giornate pubbliche, una tra tutte è la raccolta delle coperte.

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Il comune di Venezia a distanza di tanti anni continua ad avere una delle più belle esperienze di sinergia, dialogo e confronto di soggetti e attori diversi che sono impegnati a combattere la grave marginalità e operare a favore degli homeless. È il tavolo cittadino dei servizi per le persone senza dimora, coordinato da Serena Baccara, attraverso l’unità operativa “Senza Dimora”, della Direzione politiche sociali, partecipative e dell’accoglienza, sotto al responsabilità di Marino Costantini. Il “Progetto senza dimora” con un disegno organico di interventi nel centro storico e nella terraferma veneziana, è mirato a mettere in rete, integrare ed aumentare le risorse presenti in città e rivolte alle persone senza dimora che vivono o che si trovano a passare sul territorio. Alle persone senza dimora e agli adulti in stato di grave marginalità vengono offerte opportunità e dispositivi differenziati a seconda delle diverse problematiche rilevate in un’ottica di sistema. Gli obiettivi specifici del progetto sono: Contatto e aggancio di persone senza dimora; Modifica delle “condizioni di rischio”; Percorsi socio-educativi individualizzati; Invio ed accompagnamento ai Servizi del territorio; Lavoro di rete tra diversi soggetti; Osservazione e monitoraggio del fenomeno; Attività mirate alla sensibilizzazione della cittadinanza.

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Ogni mese il tavolo è convocato per proporre idee, affrontare tematiche e problemi connessi alla grave marginalità nel territorio comunale di Venezia, mentre ogni quindici giorni si riunisce un altro gruppo più ristretto, chiamato équipe, per affrontare i casi concreti di persone in difficoltà. «I diversi soggetti che aderiscono al Tavolo – spiega Serena Baccara – nonostante provenienza etica e mission molto diverse tra loro, nel corso degli anni sono riusciti a collaborare in armonia mettendo a disposizione competenze e mezzi, allargando le risorse disponibili a favore delle persone che vivono in strada. La flessibilità dimostrata e la capacità di trovare soluzioni creative ai problemi incontrati, è la vera ricchezza del Tavolo senza dimora». Riuscire a mettere insieme attori tanto diversi per storia e caratteristiche è una sfida affascinante, faticosa ma che alla fine produce idee, progetti e azioni concrete per risolvere i problemi di tante persone. Fanno parte del progetto l’associazione “Il Cerchio della Vita”, l’associazione “Goccia di Luce”, il “Gruppo Volontari Stazione” di Mestre, la “Ronda della Carità e della Solidarietà”, i “City Angels”, la “Comunità di S. Egidio”, la “Ronda della carità” di Venezia, la Caritas Veneziana, la cooperativa sociale “Caracol”, la cooperativa sociale “Gea”, la Croce Verde, la Croce Rossa Italiana, la fondazione “Casa dell’Ospitalità”, gli “Avvocati X Senza Dimora” e gli “Avvocati di Strada”. Il progetto “Senza Dimora“ è davvero un esempio eclatante di lavoro di rete: l’interazione con altri operatori e servizi è infatti praticamente costante, nella natura del progetto è insito il lavoro di rete tra le varie realtà presenti sul territorio, e lo stesso ha lo scopo di rendere più agevole la fruizione delle risorse da parte delle persone senza dimora. Un progetto di cui, da veneziani, bisogna essere orgogliosi.

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rimini

Vita di strada, giovani ai margini Aumenta il numero di ragazzi che si ritrovano senza progetti o alternative. Il territorio cerca di rispondere. Tra mille difficoltà di Mirco Paganelli

Buongiorno Quando mi alzo al mattino vedo una giornata di sole che mi dà il buongiorno, è un altro giorno di speranza nella vita, e io ringrazio il Signore che mi dà la gioia di vedere un altro giorno così. Umberto D’Amico

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Li vediamo attardarsi nel centro di Rimini; in zona Arco d’Augusto e nel tratto prospiciente del Parco Cervi; sotto i portici di Piazza Cavour; al Parco Marecchia. E poi in Piazza Ganganelli e nel parco clementino a Santarcangelo. O in Piazza Europa a Villa Verucchio, vicino alla chiesa. Gli esperti non individuano più gruppi stanziali come avveniva un tempo, quando si parlava di “bande”. Sempre più mobili e multietnici, i giovani di oggi si ritrovano per strada pensando di non avere alternative su come passare il tempo. Con il lavoro che si fatica a trovare e i soldi che scarseggiano, in tanti spendono quelli che rimangono in marijuana per rendere i pensieri più “leggeri”, almeno per il momento. Chi spaccia sa dove trovarli. Attorno alle cinta romane – così racconta a Scarp un giovane che assiste abitualmente a queste scene, e che ne è stato persino coinvolto – si aggirano individui solitamensili, non aiuta, secondo Minicucci: ri che fermano ragazzi, persino mino«Prima riuscivamo a inserire molti giorenni, chiedendo prima “vuoi una sigavani in azienda tramite stage gratuiti, retta?” e poi “vuoi dell’erba?”. Un locale portandoli ad avere un salario. Oggi ridel centro è persino conosciuto per il mangono a casa: i datori, in tempo di proprietario che vende la “magica” ercrisi, ci pensano due volte prima di paba. Campanelli d’allarme che fanno rigare sconosciuti (magari stranieri, verflettere sul persistere di traffici illeciti in so i quali c’è purtroppo maggiore diffiRiviera. Ad interessarci in questa sede è, denza)». Se da un lato i ragazzi si sentoperò, il problema a monte. Perché ci sono smarriti, al contempo si riattivano no ancora “giovani ai margini”? Qual è subito, qualora messi nelle condizioni il loro identikit? Le responsabilità sono di poterlo fare. «Manca il desiderio – tutte della crisi o anche di adulti poco prosegue Minicucci –, il sapere cosa faattenti? Quali le risposte educative del re della propria vita. I ragazzi non vedoterritorio? no più in là dell’oggi; c’è chi ha bellissime idee, ma fatica a concretizzarle. La politica, a differenza del passato, è perGiovani a spasso e senza futuro cepita come lontanissima». La criticità fondamentale è il lavoro, coSe sollecitati, però, il desiderio ritorme sottolinea Valerio Minicucci, coorna, anche quello di occuparsi di temi dinatore del centro giovani RM25 gestito dall’associazione “Sergio Zavatta” che socio-politici: «Abbiamo partecipato a con la Fondazione Enaip, rappresenta un campo nei territori confiscati alla in provincia la principale risposta del mafia al sud. Sono tornati estremamenprivato alle emergenze giovanili. «Sono te propositivi, carichi di progetti. Per ragazzi tra i 15 e i 22 anni – spiega –, basfortuna assistiamo ad un cambiamensa scolarità, molti stranieri venuti in Itato di rotta nelle politiche sociali volte allia da bambini, bassa formazione prola valorizzazione dell’individuo e delle fessionale. Anche se ce l’hanno, faticano sue capacità, non più limitandosi al soa trovare un’occupazione, sia per la crilo assistenzialismo». si che per incapacità nel cercare». Il ridisegno dei tirocini, che prevede un Sempre più stranieri contributo spese minimo di 450 euro Gli italiani al centro RM25 sono la mi-


scarprimini politiche sociali non vengono risparmiati, come ricordano tutti i responsabili. «I tagli sui progetti sono sempre maggiori – afferma Francesca Vitali, direttrice del Centro Enaip-Zavatta –, però riusciamo lo stesso ad andare avanti senza abbassare la qualità. Con i servizi sociali possiamo intervenire in maniera puntuale sul singolo ragazzo». L’incognita decreto-province pesa anche su di loro dato che la Fondazione partecipa a tutti i bandi provinciali. Resta da vedere a chi passerà la palla di questo comparto.

I principali rischi

noranza. In genere provengono da contesti poco agiati, costretti a lavorare per aiutare la famiglia. Alcuni sono coinvolti in attività illegali e abusano di droghe. «C’è chi riusciamo ad aiutare, chi si iscrive all’università o ad altri corsi ma devono essere loro i primi ad aiutarsi». Per lo più sono stranieri che, compiuti 18 anni, necessitano di un lavoro per non finire in strada e in attività illecite. Gli iscritti al centro sono 190. Nei mesi invernali una media di 40 ragazzi al giorno preferisce i suoi spazi alla piazza o al parco. Ci sono corsi di musica, arredo, italiano, poi recupero pomeridiano, cineforum, consulenza psicologia, confronto con adulti e coetanei, e aiuti pratici, come il compilare un curriculum o cercare lavoro.

Come intervenire? L’attività di strada del Centro – educatori che vanno alla ricerca di giovani per farsi conoscere ed offrire alternative – si è interrotta, dato che ci sono molti meno gruppi stanziali. «Smartphone e so-

cial network aiutano ad organizzarsi rapidamente e a spostarsi. Le bande sono emerse in altre città italiane; a Rimini di meno, e sono più che altro di stranieri». Chi invece svolge ancora progetti educativi di strada è la cooperativa Millepiedi. «Per agganciare i ragazzi in giro ci sono molte tecniche – racconta la coordinatrice dell’area giovani Tania Presepi –. Gli educatori si presentano e cercano di conquistare la loro fiducia. Cosa non facile dato che questi diffidano molto del mondo adulto, avvolti dal senso di immobilità e di noia. Ciò che conta è rispettare i loro spazi. Sollecitarli a scoprire il proprio potenziale». E così se hanno, ad esempio, la passione per i graffiti, si chiedono permessi ai comuni per realizzarli. «Seguendo la passione, cresce l’autostima: trovare una propria identità è sia curativo che preventivo». Dallo studioso al ragazzo dei portici, per questi ragazzi «non esiste un profilo tipo sulle condotte, ma solo sul bisogno: essere valorizzati». Quando c’è da tagliare, i fondi per le

Secondo Silvia Sanchini, educatrice presso il centro RM25, sono «gioco d’azzardo, dispersione scolastica, abuso di alcol e di droghe e sessualità. Rimini, città turistica, intercetta tutte le tendenze negative. E si nota anche un abbassamento dell’età in cui si assumono condotte sbagliate. Se non si assolve l’obbligo scolastico si è più esposti ai rischi della strada». Negli ultimi 5 anni, 110 studenti della provincia hanno abbandonato il circuito scolastico; peggio della media nazionale. «È poi in crescita il fenomeno delle mamme adolescenti. C’è tanta inconsapevolezza tra i giovani riguardo ad affettività e sessualità, anche tra chi non arriva a diventare genitore. Ragazzi che praticano sesso prima dell’innamoramento e in giovanissima età. Spesso per modelli educativi sbagliati, famiglie disastrate... L’educazione ha ancora margini di crescita in questo senso». Eppure, secondo Sanchini, ci si limita ancora troppo a pensare alla patologia e non al potenziale dei giovani. «Non bisogna nascondersi dietro lo psicologo, ma avviare progetti formativi. C’è poi la necessità di rivedere le politiche giovanili perchè coinvolgono sempre gli stessi: coloro che hanno già competenze o una famiglia alle spalle. I giovani più emarginati, senza famiglia o stranieri, sono considerati di serie B. Nonostante le tante risposte educative territoriali (molti centri giovani, la Ausl con il consultorio e il Sert, i gruppi parrocchiali, la scuola) c’è sempre chi rimane escluso: quelli che non vanno a scuola, non hanno una famiglia, una struttura... Quelli più difficili da intercettare sono quelli che hanno più bisogno».

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napoli I redattori di Scarp tornano al centro di prima accoglienza, ma come attori: metteranno in scena un lavoro di Davide Iodice

Parole e affetti i “sentimenti di Scarp” di Laura Guerra Le parole dei sentimenti e delle emozioni. Per il primo numero dopo la pausa estiva abbiamo scelto e raccolto i testi elaborati nel corso di alcuni laboratori di scrittura ispirati dal Dizionario Affettivo della Lingua Italiana curato da Matteo Bianchi in collaborazione con Giorgio Vasta pubblicato da Fandango qualche anno fa. Ogni partecipante, durante il laboratorio nato da un’idea di Marta una delle due volontarie del Servizio Civile che saranno a Scarp fino alla prossima primavera, ha scritto scegliendo una parola e una lettera estratta a sorte. Ne è nata una piccola raccolta dei “Sentimenti di Scarp” , ne como Leopardi, e poi ti domanda : “ Ma anticipiamo una selezione. che tempi state vivendo?” Tu annuisci, *** e ti rammarichi di non aver vissuto nel Splendido suo tempo. Splendide le unghie lunghe di mia Eccezionale, straordinario, stupefacenmoglie, laccate con Rouge firmato Dior. te, meraviglioso, quanti stupidi superQuelle unghie avevano un potere malativi per identificare una cosa bella. gico, quando ti accarezzavano, il tutto L’aggettivo più consono, secondo il mio si fermava. punto di vista, può essere splendente. Splendido il silenzio della notte, in Quando pronunci questa parola, la tua un borgo medioevale, la fontanella che bocca emette non un rumore, ma un zampilla acqua purissima, ti fa dimendolce suono. “Che splendida giornata ticare gli assordanti ed inudibili rumodi sole”, le ragazze nei loro variopinti ri della grande polis. abitini estivi, si rallegrano della loro età Splendida la bacchetta di Riccardo e questa età mai tornerà. Splendido “quest’ermo colle” di ReMuti quando dirige la filarmonica viencanati, quando lo vedi, appare lui Gianese. Sembra un legnetto, non lo è, ha

Una persona che tocca le corde dell’anima Strada: vita. Sì, come la vita piena di ostacoli, di buche, di cose belle e cose brutte, di paesaggi mai visti e cose mai fatte. Io quando dico strada non intendo quella di città, ma quella lunga, interminabile che spazia fino all’orizzonte e non sai cosa c’è dinnanzi a te, cosa puoi trovare, viaggiare senza incontrare nessuno per ore. Sentire l’aria sul viso e i capelli al vento. E come compagno di viaggio solo te stesso, ma senza isolarsi: ad ogni sosta un amico. Libera, si libera, come la vita senza tabù e anche un po’ “loca”. “B”, quante parole con la lettera “B”: burqa, bacio, baby, Barbara. Io non conosco nessuna Barbara, o si? Boh! Ah sì, la bambola. Bacio. Quante canzoni parlano del bacio, quanti film, quanti baci famosi sui poster dei cinema; il bacio di Giuda, un bacio per saluto. Il bacio di Rossella O’Hara, rimasto nella storia. Canzoni: Baciami piccina o Kiss me baby. Baby, la parola che accompagna sempre bacio. Massimo De Filippis

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lo stesso animo gentile del maestro. Splendida Parigi vista dai boulevards quando sei lì, non soffri di nessuna nostalgia. Splendido il desco, preparato per un convivio, da dividere con i tuoi amici più cari; ancor di più, quei calici di baccarat dove verserai del vino rosso. Splendido il pianto di gioia della ragazza che ha appena partorito una bambina, che chiamerà Sofia. Splendida ‘tripleta’ dell’Inter. Passeranno decenni prima che una squadra italiana possa ripetere quella festa e sarà ancora Inter. Splendida la capacità di capire gli altri, laddove gli altri non ci capiscono. Aldo Cascella

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scarpnapoli Amore e V come vincente Amore, come suona dolce questa parola alle mie orecchie. L’amore inteso come tale, simile ad un soffio di vento leggero, che scombussola un animo gentile, facendolo inebriare. Esso è il motore della vita, dosato con giudizio ed ostentato con leggerezza d’animo, chi vive di mancanza ed afflizioni cerca dall’altrui anima sofferente, quella voglia di ritornare a vivere con fiducia, convinzione e con un sorriso deciso alle avversità che la vita ci riserva tutti i giorni. Affinché il sentimento dell’amore, che cresce giorno dopo giorno, ramificandosi con radici profonde, che niente e nessuno può sradicare, possa farci avere, ostentando verso i nostri simili, la natura che ci circonda e gli animali che titubanti ci guarderanno indifferenti, forse con un sorriso ammaliante, catturare amorevolmente l’attenzione di tutto ciò che ci circonda. È vero, dicono che sono arrogante, presuntuoso, prolisso, antipatico e noioso, sono asociale e non accetto la sconfitta, perché pecco di presunzione. Io li lascio parlare, in quanto gli altri sono avvezzi a parlar male di tutti, vivono di pettegolezzi. Cosa disse il sommo poeta Dante Alighieri? Non ti curar di loro, ma guarda e passa. Sono un vincente! Mi sveglio al mattino, mi guardo allo specchio, sono aitante, sono in un periodo di forma smagliante, e del resto sono anche fortunato. Simile a Gastone, mi ritrovo a riscuotere una vincita al totocalcio, che sicuramente raddoppierà la settimana prossima. Faccio colazione in cucina con la mia amata Maria, ascolto il notiziario e mi accingo ad andare in ufficio per espletare delle pratiche in sospeso. Apro la porta dell’ufficio, tutto tace, c’è buio dinnanzi a me. All’improvviso le luci si accendono, ed una torta gigante al centro della scrivania mi ricorda del mio compleanno. Me misero, ho dimenticato il giorno del mio compleanno. Sono terribilmente preoccupato, evidentemente le cellule del cervello invecchiano precocemente. Sergio Gatto

Parole/1

Cane Il cane per me è uno degli amici più veri e sinceri. È unico perché non ti lascia mai da solo, non ti abbandona, non chiede mai niente. Lui è sempre lì dove lo lasci che ti aspetta per farsi coccolare e per coccolarti e per me è proprio vero il detto “il cane è il miglior amico dell’uomo”. Per questo un cane non lo si deve mai abbandonare perché lui fa parte della famiglia, aspetta paziente o viene da te con la zampetta per dirti: “io sono qua”, lo fa con la zampetta perché a lui manca solo la parola per dirti che anche lui è felice. Giuseppe Scognamiglio

Parole/2

Amare Amare il prossimo, gli amici onestamente, amare i figli con l’amore sincero, il bene, la pace. Amare senza aspettare niente, condividere parole con gli altri, perdonare gli altri anche quando hanno fatto qualcosa che ti dispiace; amare è una parola dolce, una parola che toglie i pensieri brutti, come la notte che è quella quando porta bei sogni e mi porta buoni pensieri, come le luci che si accendono. La notte è l’aria fresca, la notte d’estate le persone camminano e si confidano gli amori; la notte è una buona consigliera... Monica Esposito

Parole/3

Rose Se ritornerai da me, come tante rose il tuo cuore rosso darà colore al mio sangue perché da quando non ti ho visto più le viole non sono più cresciute e non vedo più il verde dei campi d’erba. Mi addolora che sei fuggita da me senza un perché ma quando tornerai io saprò trattarti come un fiore di campo e, quando verrò ai tuoi piedi, saprò che la primavera è tornata. La verità è tutto nella vita, dire la verità significa essere sinceri. Antonio Casella settembre 2014 scarp de’ tenis

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salerno Un migliaio di migranti, tra cui molte donne e bambini, sono stati salvati dalla marina militare. La Caritas ha avviato le accoglienze

Mare nostrum: arrivi anche a Salerno di Antonio Minutolo Fino a poco fa avevo visto soltanto alla televisione le immagini dei tanti immigrati, che approdano a bordo di scalcinati battelli sulle coste italiane, in particolare a Lampedusa e nelle altre località siciliane. Ma pochi giorni fa, ho potuto assistere di persona al dramma di questi sbarchi e delle tristi storie di vita di quanti ne sono coinvolti. Al porto di Salerno, infatti, qualche settimana fa per la prima volta (non era mai successo prima) è approdata una nave della marina militare italiana, con a bordo 1.044 migranti in cerca di aiuto e sistemazione. Tali migranti erano parte degli oltre 5.000 che la marina italiana ha messo in salvo al largo delle coste siciliane, nell’ambito dell’operazione denominata “Mare Nostrum”, alla fine del mese di giugno. Per la prima volta ho potuto vedere nella mia città gli sguardi stanchi di questi profughi: molti tra loro provengono da paesi in guerra (tra cui la Siria), possono dunque essere considerati “richiedenti asilo” o “rifugiati” e, per questo motivo, Bellezza ti ho trovata, hanno il diritto di essere accolti dallo finalmente sei svelata! Stato Italiano. In realtà le persone sbarcate, prefeNel gioir di fanciullezza, risco chiamarle “persone” e non semin una tenera carezza. plicemente “immigrati”, non per forza avevano uno sguardo triste. Qualcuno Negli sguardi più pietosi abbozzava anche un sorriso di speranza: sono comunque scampati ai perisia nei fiori meno preziosi coli della guerra e a quelli del mare d’usignol sei la melodia, aperto. Ora hanno toccato terra e credono, nonostante tutto, nella possibisia un’immensa sinfonia. lità di crearsi un futuro dignitoso.

L’anima mia

Bellezza, si! Mille profughi sbarcati in città Al porto di Salerno è approdata la nave militare Etna, con a bordo 1.044 persone; navi simili sono approdate intorno al 30 giugno scorso nei porti di Augusta, Porto Empedocle, Trapani e Taranto, per far fronte all’emergenza. Dei 1.044 sbarcati nel nostro porto, vi erano circa novanta tra minori e donne incinte. Gli uomini adulti erano settecento, le restanti donne adulte. Circa 100 persone sono state sistemate in strutture della provincia di Salerno; in particolare 78 saranno alloggiate, per circa sei mesi, in una struttu-

54. scarp de’ tenis settembre 2014

T’ho ritrovata, nei tuoi occhi, delicata, nella tua Anima innamorata ove guardo e mi rispecchio. Tu sei: l’Anima mia Mino Beltrami

ra della Caritas diocesana di Teggiano – Policastro (una delle altre Caritas del vasto territorio della provincia di Salerno) sita nel paese di Sicignano degli Alburni. Si tratta del “Park Hotel”, che ha aperto le proprie porte ai rifugiati. Altri rifugiati saranno alloggiati in strutture del Lazio e della Campania. A costoro, nonostante i sacrifici e le difficoltà estreme, è andata bene rispetto ad alcuni loro compagni di viaggio: 30 migranti infatti, erano morti per asfissia a bordo di uno degli affollatissimi e malridotti scafi su cui avevano compiuto la traversata nel Mediterraneo. Nonostante il primo passo dell’accoglienza sia stato fatto, le nostre leggi e la nostra burocrazia sono molto len-


scarpsalerno Cilento e Vallo di Diano

Da luoghi di emigrazione a luoghi di accoglienza

te e non abbastanza organizzate davanti a questa emergenza. Un dato per tutti. I richiedenti asilo che ogni anno fanno domanda per essere accolti nel piano di accoglienza rifugiati sono circa 20 mila; invece, il numero di posti per i richiedenti asilo creati nei centri di accoglienza e assistenza italiana è di soli 2.000. Così, accade che molte domande di accoglienza come rifugiato, che dovrebbero essere accettate per legge, sono invece respinte. Secondo una stima, solo il 10% dei richiedenti asilo viene effettivamente accolto in Italia. Una cifra bassissima.

Informare per far comprendere Molto va fatto, poi, a livello di coscienza civile anche tra i comuni cittadini. Al

È significativo che sia stata la diocesi di Teggiano – Policastro (in provincia di Salerno) ad accogliere una parte dei migranti profughi sbarcati a Salerno poche settimane fa. Nel passato, infatti, proprio da questi paesi del Cilento e del Vallo di Diano c’era stato un considerevole flusso migratorio di italiani verso nazioni straniere, sia europee, come Germania e Belgio, sia del continente americano, come Venezuela, Argentina e Stati Uniti. All’epoca si emigrava in una nazione diversa, a seconda del paesino di origine: ad esempio, molti abitanti di Marina di Camerota, sulla costa cilentana, emigrarono in Venezuela. In pratica, il primo migrante che arrivava e riusciva a sistemarsi, richiamava parenti e amici del suo paese d’origine. Non è un caso che dalle zone meridionali della provincia di Salerno ci sia stato una così forte emigrazione: dopo l’Unità d’Italia in quelle zone c’era grande povertà, come in tutto il Meridione d’Italia che visse l’unificazione in maniera traumatica. Quelle zone del salernitano ospitarono alcuni tra i più noti “briganti”, che si ribellarono ai Savoia e alle condizioni misere di allora. Certo, le persone che sono state ospitate nel salernitano provengono da paesi e storie diversissimi, ma hanno anche molti punti in comune con gli italiani che partirono dalla seconda metà dell’Ottocento sino al dopoguerra. Alla base vi è la povertà estrema in entrambi i casi: ed è un diritto sfuggire a tale piaga. Anche le guerre mondiali portarono alcuni italiani ad emigrare, così come oggi molti profughi cercano asilo politico in Italia per scampare alla guerra in Siria, Palestina e agli altri focolai di combattimenti. Per capire le difficoltà degli immigrati appena accolti in Italia, basta ripensare alle difficoltà che affrontarono i nostri compaesani che emigravano all’estero, alle realtà totalmente sconosciute a cui andavano incontro, alle differenze culturali e linguistiche, alle loro paure ed aspettative e, soprattutto, alle diffidenze e scetticismo, per non dire razzismo, di chi li vedeva arrivare nel loro paese. Anche in contesti e periodi differenti le emozioni e le paure rimangono le stesse; anzi, ormai nel 2014, nella società italiana ci dovrebbe essere una maggiore preparazione culturale ed apertura nei confronti dei migranti. Invece, accade anche che i nipoti degli italiani che emigrarono cento anni fa, oggi esprimano giudizi intolleranti verso coloro che arrivano! Fa onore alla Diocesi di Teggiano – Policastro l’aver ospitato tali persone, ma in generale lo Stato italiano, non solo le Caritas, dovrebbe organizzare molto meglio l’accoglienza dei richiedenti asilo, realizzando centri e strutture di buon livello, come raccomandato dall’Unione Europea. Patrizio Fuoco

momento dell’arrivo a Salerno, molti giovani appartenenti alla Caritas e ad altre associazioni di volontariato si sono dati un gran da fare per accogliere gli stranieri, fornendo cibo e prima assistenza. Ma altri cittadini e addirittura qualche associazione xenofoba, si so-

no lamentati di quest’accoglienza verso gente che, a parer loro, “toglie il lavoro agli italiani” e addirittura “trasmette le malattie”. Come si vede, il razzismo è ancora ben presente e molto cammino bisogna ancora fare sulla strada dell’integrazione.

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settembre 2014 scarp de’ tenis

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catania Arrivato dall’Albania alla ricerca di un lavoro ora “risiede”, come tantissimi altri, nel degradato palazzo di piazza Michelangelo

Sorjan e gli inquilini di Palazzo Bernini di Roberto De Cervo Palazzo Bernini è una grande struttura in disuso, collocata in piazza Michelangelo, in una delle zone più raffinate di Catania. Abbandonato e sottoposto a pignoramento, è affidato ormai da cinque anni a un custode giudiziario. Il problema che si è venuto a creare nel tempo, è il progressivo degrado che ha fatto diventare la struttura una sorta di rifugio per topi, attirati dalla sporcizia che si è accumulata nel tempo. Sono tanti gli homeless, soprattutto di etnia rom, che vivono dentro il palazzo nonostante tutte le entrate del piano terra siano state sigillate da molto tempo. Il sistema per accedervi è semplice: si possono infatti notare persone che, arrampicandosi sugli alberi attigui, riescono ad arrivare ai piani superiori per poi intrufolarsi indisturbati. L’assessore all’Ambiente, Rosario D’Agata, ha assicurato: «Abbiamo ricevuto le segnalazioni della commissione inerenti il problema. Ci stiamo muovendo per la banese di circa 50 anni che vive all’ederattizzazione e la pulizia della zona. sterno di Palazzo Bernini, proprio sotto Ma non sapevamo che l’edificio fosse i portici, dopo aver vissuto per un lunstato occupato da abusivi. Purtroppo lì go periodo per le vie del centro di Capossiamo fare ben poco». Se per molti è tania, da dove è stato “allontanato”. un problema estetico, etico e igienico, Scarp, approfitta di un pomeriggio estiper pochi altri è invece un modo per vo per scambiare qualche parola con sopravvivere. Come per Sorjan, un al-

Sorjan, che è sempre in compagnia dei suoi due cani, da cui non si separerebbe per niente al mondo.

Sorjan che si vergogna a chiedere

Educato e cordiale, si è guadagnato la stima di tutti gli abitanti della zona che spesso lo aiutano portandogli qualcosa da mangiare o indumenti nuovi. «In realtà mi vergogno molto – confessa Sorjan – perché non mi va di essere preso come uno che vuole approfittare della bontà degli altri». Sorjan è arrivato a Catania circa dodici anni addietro, fuggendo dall’Albania come hanno fatto tanti suoi connazionali. «Credevo di trovare lavoro in Italia, e invece eccomi per strada. Però non posso lamentarmi: molta gente mi vuole bene e mi Degrado in centro dà una mano coPalazzo Bernini in piazza me può. QualMichelangelo: fatiscente che settimana fa, e in rovina è rifugio per uno dei miei camoltissimi senza dimora ni stava male e una signora lo ha portato dal veterinario a sue spese. So che ha pagato molto ma è il gesto che mi ha toccato il cuore» Sorjan non è riuscito a trovare lavoro proprio per la presenza dei suoi cani: «A ogni occasione che si presenta, so che dovrei abbandonarli e non ci riuscirei mai. Preferisco

56. scarp de’ tenis settembre 2014


L’idea vincente

Seable: le vacanze in Sicilia alla portata di tutti

Vacanze per tutti Nata dall’inventiva di Damiano Rocca, Seable, permette di visitare le bellezze della Sicilia a ogni tipo di viaggiatore

portarli con me durante il giorno e mettere insieme qualche euro chiedendo l’elemosina: spendo più soldi per loro che per me, io potrei anche rimanere a digiuno, loro mai». Poi racconta che, in ogni caso, gli esercenti dei negozi alimentari nei paraggi gli danno sempre una mano: «Il proprietario della macelleria, quello della salumeria, il direttore del supermercato, mettono sempre qualcosa da parte per i miei cani e anche per me». Gli chiedo se immagina il suo futuro e mi risponde scherzosamente: «Sono ancora molto giovane, penso che sia ancora presto per pensare al futuro. Sto bene così, ho conosciuto molti amici che mi fanno sentire bene: perché pensare al futuro?».

Una “casa” da tener pulita Sotto i portici del palazzo, quando Sorjan si allontana, vengono spesso altre persone a sporcare, a buttare di tutto. Ma lui non si scompone. «Quando torno e vedo sporco, mi metto a pulire e torna meglio di prima. D’altronde qui ci vivo –racconta sorridendo – e devo rendermi utile in qualche modo, così pulisco anche più giù, dove non vado mai». Il posto che Sorjan occupa, è stato da lui stesso sistemato in maniera pulita e, allo stesso tempo, molto pratica: materassi, poltrone, tappetini, una sorta di comodino e un altro mobiletto per riporre qualche indumento. Tutto sempre in ordine, me ne accorgo ogni volta che passo da lì. E mentre vado via penso che se incontrassi Sorjan in un altro contesto, lontano da questa struttura fatiscente, non crederei mai che sia un senza dimora perché “signori” si rimane nel cuore e nell’anima.

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Studiare e lavorare all’estero durante l’anno, per poi godere il sole e il mare della nostra isola in estate, è il sogno di molti siciliani. Se a questo si unisce la voglia di inventare qualcosa che valorizzi e renda visibili anche all’estero le bellezze della propria terra, allora l’idea è davvero geniale. È quello che ha fatto il catanese Damiano la Rocca, ventisette anni, che vive ormai a Londra da quando ne aveva diciannove. La sua invenzione? Un tour operator incoming per favorire il turismo in Sicilia, rendendolo davvero accessibile ai sempre più numerosi turisti diversamente abili, provenienti da diverse parti del mondo, che desiderano ogni anno visitare la nostra isola. «Dopo aver conseguito il diploma, mi sono trasferito in Inghilterra per migliorare la conoscenza della lingua – racconta –. Sarei dovuto rimanere lì solo sei mesi, ma poi ho deciso di prolungare questa esperienza, svolgendo diverse attività lavorative: dalla manutenzione alla reception, alla ristorazione e all’organizzazione di eventi». Conseguita la laurea in International Tourism events management, Damiano presenta la sua innovativa idea progettuale all’incubatore di start up per piccoli imprenditori dell’Università inglese. «L’Incubatore mi ha fornito un mentoring support, ovvero la collaborazione di altre aziende che mi hanno aiutato a trasformare l’idea progettuale in attività. Così, nel novembre 2012, è nata la mia social enterprise: Seable». Durante i sei mesi invernali, Damiano svolge la sua attività lavorativa in ufficio, a Londra, occupandosi di marketing e della promozione dei pacchetti turistici per la Sicilia, personalizzabili a seconda delle esigenze e del tipo di disabilità. Sta inoltre programmando nuove mete turistiche in Europa, per l’anno prossimo. Ai turisti offre pernottamento, accompagnatore in macchina, escursioni (Catania, Museo tattile per non vedenti, Etna e altre località siciliane). Tante le iniziative proposte: escursioni naturalistiche, attività culturali e sportive (windsurf, prove di guida per non vedenti sull’Etna e immersioni subacquee), degustazioni gastronomiche presso alcune social farm, dove è possibile sperimentare i laboratori di spezie siciliane e assistere alla raccolta delle olive e alla produzione dell’olio . Dopo i primi, importanti risultati ottenuti già l’anno scorso, sono in arrivo, a Catania, ben 35 turisti diversamente abili. Tra questi, un giovane paralimpico irlandese che, dopo aver sperimentato la subacquea e ottenuto il brevetto in Sicilia la scorsa estate, ha deciso di tornare e di allenarsi per battere il record mondiale di immersione. «La più grande soddisfazione è quella di offrire al disabile la possibilità di entrare a contatto con una nuova realtà per dare motivazione a livello personale – conclude Damiano –. In tal senso, è stato molto gratificante anche ricevere il premio per imprenditori sociali, del valore di 15.000 sterline, da parte della società UnLtd - For Social Entrepreneurs, per aver dimostrato che le mie vacanze hanno un notevole impatto sociale sui diversamente abili, migliorandone l’autostima, l’indipendenza, le abilità e stimolando il benessere della persona». [Alessandra Mercurio] settembre 2014 scarp de’ tenis

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poesie di strada

Chiudere gli occhi Penso che la fede sia nel cuore, la fiducia nella mente. Un sentimento di sicurezza nei confronti delle proprie capacità. Mi piacerebbe avere, almeno a volte, il controllo dei miei nervi. E’ comprensibile adirarsi, dimostro di avere uno spirito competitivo, basta però che non mi trasformi in una maleducata. Non c’entra la sfortuna, bisogna prendersela con l’unica cosa che posso controllare, cioè me stessa. Dopo di che dimentico tutte le brutte cose che mi sono detta e ricomincio a concentrarmi in maniera positiva. Il mio prossimo passo sarà un’esperienza del tutto nuova che potrebbe persino essere il colpo migliore di tutta la mia vita...

Cinzia Rasi

58. scarp de’ tenis settembre 2014

La stella, Per me la luna ed io sei tutto La stella chiamò la luna, e le domandò: “Cos’è l’amore? Lo sai tu che conosci il cuore”. La luna le rispose: “Perché tu vuoi saperlo? Non puoi innamorarti, puoi solo luccicare per l’amore degli altri. Sei un frammento di sole sparso in mezzo al cielo, puoi solo dare agli altri, il tuo desiderio”. La stella a queste parole smise di brillare, e si abbandonò nel mare. Sentii queste parole dal battere del cuore, piangevo io per lei che non aveva amore. Così chiamai la luna chiedendole perché avesse osato tanto. La luna mi rispose: “Davvero vuoi saperlo? E’ il tuo desiderio che l’ha fatta morire, perché tu vuoi l’amore e non vuoi più soffrire. E’ giusto quel che chiedi, e nessuno ti da torto, ma se quella stella non smetteva di brillare, la donna che tu ami non ti poteva amare. Così, per aver l’amore ho spento una stella”. Ma per la donna che amo, spegnerei anche la terra. Fabio Schioppa

Filastrocca Sopra un ramo di corniolo canta un piccolo usignolo. Sotto il ramo di corniolo c’è un bambino tutto solo. Sopra un ramo di bambù l’usignolo guarda in giù. Sotto il ramo di bambù il bambino guarda in su. Da un bel ramo di nocciolo l’usignolo spicca il volo. Sotto il ramo di nocciolo il bambino resta solo. Mary

Se dopo la morte ci fossi tu pur di vederti sacrificherei la mia vita in questo istante, anche se dovessi contraddire colui che mi fa vivere, perché il mio corpo senza di te non è niente, la luce dei miei occhi senza vederti è buia, non ha voce il mio cuore, non batte. Sono innamorato di te, pazzo del tuo modo di fare, gioioso del tuo essere donna! Ti amo così tanto, per me non c’è gioia più profonda, la tua presenza mi riempie di gioia, la tua assenza mi rattrista, anche le cose belle diventano brutte se ci sei tu ma ci sei e per me sei tutto. Gaetano Toni Grieco

La pena Corrodi l’anima di antri impercorribili spezzi il silenzio con lacrime di ghiaccio. Nel tempo stalattiti affilate pungono il cuore, anemizzano carni lacere. Dall’assenza, ragionevoli inganni partorisce la mente per sciogliere i legacci e allontanare la morsa. Vecchie canzoni, dolci ninna nanne cullano la pena di una madre, per farla addormentare qualche ora soltanto… Aida Odoardi


ventuno Ventuno. Come il secolo nel ventunodossier Sono in 1.700 al quale viviamo, come l’agenda lavoro ogni giorno a Bruxelles. E per per il buon vivere, come approvare una riforma nel settore l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. finanziario occorre prima parlare con Ventuno è la nostra loro. Vi raccontiamo i lobbisti, la idea di economia. Con qualche proposta per finanza e i centri del potere. agire contro l’ingiustizia e di Andrea Barolini l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

Ventunoeconomia Dalla fervida fantasia napoletana nacque il caffè sospeso, per i più bisognosi. Oggi, complice la crisi, si sospende il cibo e addirittura la spesa completa.

21 di Sandra Tognarini

settembre 2014 scarp de’ tenis

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21ventunodossier Per approvare una riforma nel settore finanziario prima bisogna parlare con loro. Sono molti e contano sempre di più...

I lobbisti, la finanza e i centri del potere di Andrea Barolini

Nel 2013 i colossi finanziari hanno messo sul piatto qualcosa come 120 milioni di euro: tutto denaro che è stato utilizzato per pagare le attività di circa 1.700 persone presenti più o meno permanentemente a Bruxelles, facendo della capitale belga il secondo luogo al mondo, dopo Washington, dove si concentrano gli uomini della lobby finanziaria. Un numero decisamente superiore a quello degli altri settori, comprese anche le potentissime lobby del farmaco e del petrolio. 60. scarp de’ tenis settembre 2014

Migliaia di persone, solo a Bruxelles

In Europa “al lavoro” per annacquare le riforme Non si tratta di un’esagerazione ma della realtà dei fatti: se si vuole tentare di approvare una riforma del settore finanziario, in Europa, occorre parlare con loro. Sono centinaia, e sono ovunque a Bruxelles, a Strasburgo, nel Lussemburgo. In ogni ufficio, in ogni dipartimento, in ogni istituzione comunitaria. Conoscono i parlamentari, i funzionari, i commissari. Chi sono? Sono i rappresentanti degli interessi di banche, compagnie d’assicurazione e fondi di investimento: altrimenti detto, i lobbisti. L’impegno dell’alta finanza per evitare l’approvazione di leggi e regole considerate troppo stringenti si è moltiplicato negli ultimi anni. I tentativi (molti dei quali soltanto annunciati, per ora) di disciplinare in modo più duro il settore sono infatti aumentati nel periodo successivo all’esplosione della nancial Lobby”), i colossi finanziari crisi: un numero sempre maggiore di hanno mobilitato, solamente nel 2013, “decisori” si è reso conto dell’urgenza qualcosa come 120 milioni di euro: dedi nuove norme. Un numero sempre naro che è stato utilizzato per pagare le maggiore, ma forse non sufficiente, se attività di circa 1.700 persone presenti si considera che ormai Bruxelles è il sepiù o meno permanentemente nella condo luogo al mondo dove si concencapitale belga. Un numero decisamentrano gli uomini della lobby finanziaria, te superiore a quello degli altri settori, superato solamente da Washington. comprese le potentissime lobby del farRecentemente, uno studio dell’asmaco e del petrolio. sociazione Corporate Europe ObservaI dati sono stati ottenuti dal Ceo tory (Ceo) – realizzato insieme agli uffianalizzando il Registro della trasparenci europei della Ak Europa e del Ögb(riza, che era stato introdotto nel 2008 spettivamente la Camera del Lavoro e grazie all’impegno di un gruppo di eula Federazione sindacale dell’Austria) – rodeputati. All’elenco dovrebbero ne ha scattato la fotografia, mostrando «iscriversi» tutti coloro che si occupano una realtà inquietante. Secondo l’analidi esercitare pressioni presso le istitusi (intitolata “The Fire Power of the Fizioni comunitarie. Si tratta, tuttavia, di


Le lobby che comandano la finanza

LE CINQUE MAGGIORI SOCIETÀ DI LOBBYING PER L’INDUSTRIA FINANZIARIA STATE STREET FUTURES AND OPTIONS ASSOCIATION INVESTMENT MANAGEMENT ASSOCIATION

PRIME COLLATERALISED SECURITIES INIZIATIVE

THOMPSON REUTERS

JP MORGAN

4.900.900

BARCLAYS

MCGRAWHILL

INTERNATIONAL SWAP AND DERIVATES ASSOCIATION

HANDELSBANKEN

MANAGED FUNDS ASSOCIATION

KREAB GAVIN ANDERSON 1.675.000

MORGANSTANLEY

DANSKE

OF

UBS

MASTERCARD

BANK AMERICA

GOLDMAN

BANK

Istituzioni Ue

AVIVA

FLESHMANN-HILLARD

PRUDENTIAL

ICAP GROUP

CREDITSUISSE

STANDAR&POOR’S

ASSOCIATION OF FINANCIAL MARKETS IN EUROPE

una lista solo parziale: secondo le informazioni raccolte dal sito Novethic.fr grazie a due giornalisti autori di un libro sulle storture dell’Europa attuale, «un centinaio di pesci grossi, come Adidas, Apple, Disney, Heineken o Porsche snobbano bellamente il registro, nonostante siano presenti nei corridoi delle istituzioni europee. E quasi nessuno studio legale si è preso la briga di riempire il formulario». L’iscrizione all’elenco è infatti volontaria, ed è per questo che i dati del Ceo potrebbero essere perfino sottostimati. I ricercatori non si sono limitati a tale fonte, ma hanno scandagliato anche altri documenti, come i «Lobbying contact reports» dei parlamentari conservatori britannici. Se ne evince che, solamente nei primi sei mesi del 2013, i 25 eurodeputati inglesi hanno incontrato 74 rappresentanti dell’industria finanziaria. «Le riforme in corso, come ad esempio quelle sui prodotti finanziari derivati, sono state discusse in questo

HSBC

EUROPEAN PAYMENT INSTITUTION AMERICAN EXPRESS

DEUTSCHE BANK

METLIFE SJBERWIN

AFORE CONSULTING 2.175.000

MOODY’S

GECAPITAL

BRUNSWICK GROUP LLP 1.400.000

INTERCONTINENTAL EXCHANGE NOMURA

HUME BROPHY

BLACKROCK FIA EUROPEAN PRINCIPAL TRADERS ASSOCIATION Le cifre nella tabella sopra mostrano le spese per conto dei clienti dell’industria finanziaria (fonte www.pagina99.it)

tipo di riunioni – si legge nel rapporto – alle quali hanno partecipato soggetti come JPMorgan, Citigroup e Goldman Sachs». «È la democrazia, tutti fanno così», ha chiosato al quotidiano francese Le Monde un banchiere coperto da anonimato, sottolineando che esistono as-

1.650.000

CMEGROUP

BANK OF NEW YORK MELLON

sociazioni che si occupano di controbilanciare le pressioni esercitate da banche, fondi e compagnie d’assicurazione. È il caso, ad esempio, di Finance Watch, che si occupa di rappresentare gli interessi della società civile e che è, in effetti, presente a Bruxelles. Ciò che però il banchiere ha omesso di ricordare è il rapporto di forza esistente tra i due macro-gruppi. Basta qualche numero, infatti, per rendersi conto delle enormi differenze esistenti. Su un totale di 906 organizzazioni che sono state consultate ufficialmente dalle istituzioni europee al fine di decidere al meglio quali riforme approvare, spiega ancora il rapporto del Ceo, più della metà (il 55%) appartiene al mondo della finanza. Contro un 13% condiviso da organizzazioni non governative, sindacati e associazioni di difesa dei diritti dei consumatori. «È chiaro che con un dispiegamento tale di forze, le lobby finanziarie sono riuscite ad influenzare in modo determinante l’agenda europea sulsettembre 2014 scarp de’ tenis

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ventunodossier

I lobbisti riescono a incidere in modo diretto sulle leggi, facendo presentare emendamenti a proprio favore

le riforme. Ed è pericoloso il fatto che un settore che ha provocato così tanti danni possa godere di un tale potere sulle norme che lo riguardano», aggiunge lo studio. Al contrario, i rappresentanti della società civile si sono dovuti accontentare di cifre modeste: presenti con 150 organizzazioni (contro 1.700), nel 2013 hanno mobilitato finanziamenti non superiori ai 4 milioni di euro (contro 120 dell’industria finanziaria). E anche se si analizzano gli “ad-

RIUNIONI DI LOBBISTI CON ISTITUZIONI UE

visor” (consulenze) accettati dalla Commissione europea il divario resta enorme: il 70% delle persone ascoltate dall’organismo esecutivo dell’Ue appartiene all’industria finanziaria. Mentre solamente lo 0,8% alle Ong, e un misero 0,5% al mondo sindacale. Ma non è tutto: lo studio del Ceo sottolinea anche come le mani dei lobbisti siano in grado di incidere in modo diretto nel processo legislativo. Nel momento in cui i legislatori erano stati chiamati ad approvare una nuova disciplina sulle attività degli hedge funds (fondi di investimento speculativo), ben 900 dei 1.700 emendamenti presentati erano, di fatto, “firmati” direttamente dai rappresentanti dell’alta finanza. Le cui pressioni non si limitano a Commissione e parlamento, ma raggiungono anche la Banca centrale europea, il Comitato economico e sociale, lo European Stability Mechanism e le European Supervisory Agencies. C’è da chiedersi, in questo contesto, quali garanzie abbiano i cittadini, ovvero coloro i quali sono stati i più colpiti dalla crisi, e che rischiano di pagare anche per eventuali nuovi terremoti del comparto finanziario.

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L’allarme degli economisti

Oggi siamo più al sicuro? Andrea Baranes: «Niente affatto...» Le riforme attuate negli ultimi anni sono poche e comunque insufficienti. Ed oggi i rischi sono perfino maggiori rispetto a quelli precedenti all’esplosione della bolla che ha scatenato il terremoto finanziario ed economico degli ultimi anni. Ad esserne convinto è Andrea Baranes, presidente della Fondazione Responsabilità Etica: «Ad oggi i rischi sono perfino maggiori rispetto a prima della crisi, perché si è fatto pochissimo per regolamentare il sistema bancario ombra (shadow banking), che consente alle banche di nascondere parte delle proprie operazioni e mascherare le proprie attività». Inoltre nella finanza sono stati iniettati migliaia di miliardi di dollari, che solo in piccolissima parte sono finiti all’economia reale sotto forma di prestiti a cittadini e imprese: «Banche e fondi di investimento hanno perciò molta più liquidità a disposizione, il che è alla base della crescita delle bolle speculative». Infine, c’è da considerare il fatto che, di fronte ad un eventuale nuovo crollo della finanza, gli Stati si troverebbero con armi spuntate e mezzi

62. scarp de’ tenis settembre 2014

molto più esigui rispetto al recente passato: «I Tesori si sono già svenati: i debiti pubblici negli ultimi anni hanno subito vere e proprie impennate. È difficile Andrea Baranes, presidente immaginare che i governi della Fondazione culturale possano affrontare ulteriori Responsabilità Etica fasi di crisi, eseguire nuovi salvataggi da centinaia o migliaia di miliardi di euro», conclude Baranes. I soldi, insomma, non basterebbero. E se si considera che il valore dei prodotti derivati commercializzati in tutto il mondo è pari a circa 600 mila miliardi di dollari, mentre il Pil globale, ovvero la produzione reale, è di circa 70 mila miliardi, ci si rende facilmente conto di quali rischi si corrano ancora oggi. Che cosa aspettano i legislatori di tutto il mondo ad attuare le riforme che occorrerebbero per tutelarci?


Le lobby che comandano la finanza

Le posizioni del capo economista del Fondo monetario internazionale

Riforme al palo, anche il Fondo lancia l’allarme Le riforme del sistema finanziario sono state auspicate, invocate e spessulle transaso annunciate in quasi tutto il mondo occidentale. Dopo l’esplosione della crisi fizioni potrebbe nanziaria globale ciascuno di noi si è reso conto del fatto che le storture della finanza colpirli. Per provengono, certamente, dalla spregiudicatezza di banche, hedge funds e trader sencui, purtroppo za scrupoli. Ma anche dalla mancanza di regole capaci di tenere a bada gli “squali” del è difficile che settore. Eppure, grazie anche all’enorme sforzo delle lobby, numerose riforme semla Ttf diventi Erkki Liikanen, padre brano restare al palo. Mentre di altre ancora non si parla. nei prossimi dell’omonimo rapporto mesi una prioPartiamo dal luogo dove la crisi è esploche resta ancora rità del goversa: gli Stati Uniti. Nel luglio del 2010 vein Europa dagli 11 Paesi che, aderendo in buona parte disilluso no». niva approvato dal Congresso il Doddad una cooperazione rafforzata, avevaUn ulteriore esempio è dato poi da Frank Act ovvero una corposissima riforno deciso di adottare tale «granello di specifici prodotti finanziari derivati, coma del sistema, presentata come in grasabbia negli ingranaggi della speculaziome i credit-default swap (Cds): si tratta di do di scongiurare un nuovo terremoto ne» (secondo la definizione data negli assicurazioni che consentono di coprirdella finanza. Ebbene, a distanza di anni anni Settanta dal premio Nobel per l’Esi rispetto al rischio che possa fallire l’equel testo non è stato ancora applicato conomia James Tobin, “padre” dell’idea). mittente di un titolo. In parole più semdel tutto. Un esempio: è notizia di pochi Per non parlare di Paesi come gli Stati plici, un investitore che compra un titomesi fa il fatto che alle banche verranno Uniti e la Gran Bretagna, che non hanno lo di Stato greco, ma che teme che Atene concessi due anni in più (rispetto a temmai neppure preso in considerazione l’ipossa dichiarare fallimento e non rimpi già piuttosto dilatati) per adeguarsi agli dea di porre un simile argine alla deriva borsare il proprio debito, può comprare standard imposti dalla cosiddetta “Regodelle compravendite finanziarie. dei Cds. Il valore di questi ultimi crescerà la Volcker” (dal nome del suo estensore) «Anche su questo – prosegue Baraproporzionalmente all’aumento del riche punta a limitare i rischi assunti dagli nes – si procede in modo estremamente schio di default, e quindi l’investitore poistituti di credito sul mercato dei derivafaticoso. La speranza è che il semestre di trà rivenderli centrando un guadagno. Il ti. Le autorità americane hanno ceduto presidenza italiana possa dare slancio alproblema nasce dal fatto che i Cds sono alle pressioni dei colossi bancari e, sela questione. Ma Renzi dichiara ripetutaanch’essi titoli, liberamente acquistabili condo quanto ha riferito l’agenzia mente di voler attirare nuovi investimensul mercato. Da chiunque. Anche da chi Bloomberg, hanno accettato di spostare ti, e secondo errate convinzioni la tassa le scadenze al 21 luglio del 2017. «La legge formalmente è approvata PESE ANNUALI DI LOBBYING spiega a Scarp Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale ReQuanto costa influenzare la politica finanziaria dell’Ue (in milioni di euro) sponsabilità etica ed autore del libro “Finanza per indignati” – ma i decreti attuativi constano di più di mille pagine: un’esagerazione. Tuttavia almeno negli Usa si può dire che Obama ha lottato, almeno un po’, contro la lobby della finanza. In Europa non è stato così. Basti pensare che il Rapporto Liikanen (una serie di raccomandazioni redatta da un gruppo di esperti guidato da Erkki Liikanen, governatore della Banca di Finlandia e membro della Bce, ndr) è dell’ottobre 2012: da allora l’Ue ha fatto ben poco. E quel poco che si è fatto, come ad esempio la richiesta di separazione della attività bancarie retail da quelle d’affari, è stato annacquato». Ancora, è noto il fatto che l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie non è stata ancora finalizzata

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non ha mai comprato i cosiddetti titoli “sottostanti”. In altra parole, posso comprare Cds contro il fallimento di uno Stato o di un’azienda, senza possedere alcun Buono del Tesoro né alcuna obbligazione da loro emessi. È ovvio che chi fa questo tipo di operazioni avrà dunque tutto l’interesse affinché quel Paese o quell’azienda finiscano davvero sull’orlo del baratro. Esattamente come se si acquistasse una polizza contro il furto di un’auto che non possediamo: la nostra speranza sarà evidentemente che quella macchina venga davvero rubata. A ciò si aggiunge il fatto che se a comprare Cds sono banche o fondi, che acquistano enormi quantità di titoli, essi avranno il potere (per la legge della domanda e dell’offerta) di far crescere il valore degli stessi swap. Questi ultimi, perciò, nell’esempio precedente saliranno non a fronte di un reale aumento del rischio-fallimento della Grecia: cresceranno solo e semplicemente a causa di manovre speculative. E se qualche altro investitore non dovesse rendersi conto che il prezzo dei Cds è “drogato”, potrebbe

La speculazione e la finanza senza regole sono in grado di generare crisi nell’economia reale immaginare che davvero esista un pericolo. E magari rifiutarsi di comprare un titolo di Stato se non ad un tasso di interesse molto alto. Il Paese in questione sarà così costretto ad indebitarsi a caro prezzo, e stavolta davvero le sue condizioni peggioreranno. L’esempio spiega in che modo la speculazione e la finanza senza regole siano in grado di generare una crisi nell’economia reale. La domanda è: se è vietato acquistare una polizza per un’auto che non si possiede, perché non fare – semplicemente – altrettanto per quanto riguarda i credit-default swap?

Come questa, molte riforme sono ancora al palo e faticano ad imporsi, soprattutto a livello internazionale. Alla fine del mese di maggio, perfino il direttore del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, aveva lanciato un allarme: parlando ad una conferenza a Londra aveva detto a chiare lettere che le riforme del sistema bancario volte a prevenire un’altra crisi finanziaria non solo non hanno fatto abbastanza progressi, ma sembrano quasi «bloccate». Una lentezza, proseguiva la numero uno del Fmi, da attribuire ad una serie di fattori quali la complessità del settore, le lobby e le difficoltà di attuazione delle nuove direttive. In ogni caso, aveva aggiunto, «le riforme che dovrebbero impedire alle banche di diventare too big to fail, troppo grandi per fallire, da sole non bastano a prevenire i rischi che hanno portato all’ultima crisi finanziaria. Così come non basta l’aumentata supervisione delle banche, né una più severa regolamentazione». E se a dirlo è uno dei centri nevralgici della finanza globale, c’è da crederci...

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21ventunoeconomia Dalla fantasia napoletana nacque il caffè sospeso, per i più bisognosi. Oggi, in Italia, si “sospende” il pane e anche la spesa

Cibo sospeso, per mordere la crisi

di Sandra Tognarini

Sono in aumento in tutta Italia le reti che garantiscono pane o alimenti a chi non può permetterseli sull’esempio del tradizionale caffè sospeso

La povertà continua a segnare la vita di tutti i giorni. La crisi trascina in condizione di indigenza per vari motivi, dalla perdita del lavoro alla separazione coniugale. Ecco che un tradizionale atto di solidarietà civica, come per esempio il “caffè sospeso” inventato dai napoletani, si trasforma adesso nel “cibo sospeso”. Il caffè sospeso è una pratica assolutamente volontaria, secondo la quale chi può permetterselo lascia già pagato al bar un numero variabile di caffè che vengono offerti a chi non può pagarli. In varie località italiane la tradizione partenopea è stata adottata applicandola ai generi alimentari. La bresciana Marina Borghetti, già fondatrice dell’associazione “Un pane per tutti”, che ha l’obiettivo di promuovere un sistema alternativo di gestione degli alimenti in scadenza, coordina anche il locale servizio di cibo sospeso con la collaborazione di molti piccoli negozi di alimentari. Attraverso la conoscenza del territorio e di chi vi abita, i commercianti di Brescia “hanno il polso” dei bisogni delle persone in difficoltà e collaborano con gli enti caritatevoli delle varie zone e con le parrocchie per la distribuzione degli alimenti raccolti.

Nei negozi che aderiscono all’iniziativa è quindi possibile pagare uno o più articoli alimentari che possono in seguito essere ritirati da chi non può permettersi l’acquisto. Un’iniziativa simile è stata promossa anche a Torino, al mercato di piazza Foroni. Chi fa la spesa può comprare una quantità variabile di generi alimentari in più che lascia ai commercianti. A fine giornata ciò che è stato raccolto viene riposto in contenitori e consegnato alle famiglie bisognose del quartiere, che ricambiano il favore in servizi per la comunità. Sono circa sessanta i banchi del mercato e i negozi che aderiscono al progetto “Fa bene”. Per essere riconoscibili espongono uno specifico logo. Poi ci sono dei volontari che, in bicicletta, consegnano i contenitori alle famiglie. “Fa bene” nasce dalla collaborazione tra la cooperativa sociale Liberitutti e le associazioni Plug, Piazza Foroni, Muovi Equilibri, Il Nodo, la circoscrizione 6 e il comitato Urban. In Campania, oltre al tradizionale caffè, c’è da qualche tempo anche il “pane sospeso”. L’iniziativa è promossa dall’Unipan, associazione panificatori della Campania, e dal componente dell’esecutivo nazionale dei Verdi Francesco settembre 2014 scarp de’ tenis

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Alfredo Zini e la Milano con il “coeur in man”

«I ristoratori in prima fila dal 2000, oggi quasi impossibile aiutare tutti» In molte città italiane il “cibo sospeso” è già una realtà. E a Milano? Abbiamo chiesto ad Alfredo Zini (ristoratore e presidente dell'Ente Bilaterale Nazionale del Turismo) di fare il punto della situazione. «In questo periodo di grande crisi, sempre più persone hanno bisogno di aiuto soprattutto per quello che riguarda il cibo. Milano è sotto questo profilo molto attenta e disponibile ad aiutare il prossimo, basta ricordare quante associazioni e onlus hanno aperto in questi anni mense per far mangiare migliaia di bisognosi. Ma non solo: ci sono molti ristoratori che, in collaborazione con l'amministrazione comunale, offrono quotidianamente pasti a persone sole: prevalentemente anziani, indigenti e nuovi poveri che trovano, oltre a cibo caldo, anche qualche ora di compagnia. Molte iniziative coinvolgono chef stellati che si mettono a disposizione di chi ha bisogno nelle cucine delle mense e che aiutano a raccogliere fondi». La collaborazione tra l'amministrazione comunale e i ristoratori milanesi di Epam-Unione del Commercio ha radici molto profonde. «Tutto è cominciato nel 2000 – prosegue Alfredo Zini –: allora fu sottoscritto il primo protocollo che prevedeva l'ospitalità di persone bisognose nei ristoranti. A partire dal 2009 è stato poi proposto il “Piatto del Cuore”, il cui ricavato serve a pagare pranzi alle persone meno abbienti. In questi ultimi anni però le richieste sono

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aumentate, visto il numero crescente di nuovi poveri. I ristoratori hanno continuato ad accogliere un sempre maggior numero di bisognosi. Ciò richiede un ulteriore sforzo alle proprie aziende e alle proprie tasche». A Milano tra pochi mesi si apriranno le porte di Expo in cui proprio il cibo Coordinare gli aiuti sarà il protagonista. Alfredo Zini, ristoratore nonchè presidente dell’Ente Bilaterale «Il tema “Nutrire il Pianeta”, Nazionale del Turismo scelto per Expo, conclude Alfredo Zini – non può che essere un augurio per superare questo momento difficile, in cui molte persone perdono il lavoro e sono costrette a chiedere aiuto per poter mangiare. Da ristoratore, mi auguro che questo momento possa passare velocemente. Certamente il mio contributo ci sarà sempre e sono certo che il mio pensiero sia condiviso dai colleghi».


Cibo sospeso, per mordere la crisi

Successo per “Pane in attesa”

Da Padova l’idea vincente. Pane gratis sul bancone Emilio Borrelli. La regola è uguale a quella del caffè: dopo aver comprato il pane, si può acquistarne altro destinato alle persone in difficoltà. Il pane sospeso è in distribuzione anche alla panetteria “Non solo pane” di via Torino 54 a Nichelino, in provincia di Torino. Un cartello invita i clienti a un atto di generosità: con un minimo di cinquanta centesimi in più rispetto alla propria spesa, viene preparato un sacchetto di pane sospeso. Il cartello precisa anche che «il pane sospeso non è strettamente riservato a chi di solito non può permetterselo», che «chiunque, per qualsiasi motivo, può entrare in negozio e richiederlo» e che «è un atto di pura generosità e non c’è nulla di cui vergognarsi».

A Padova sono invece già molti i forni che offrono pane sospeso. L’iniziativa è stata promossa dagli studenti universitari del corso di Psicologia di Comunità del professor Alessio Vieno. Ecco l’elenco dei negozi che partecipano al progetto: Panificio Miozzo via Pietro Maroncelli 18, L’angolo del Pane piazza Mazzini 21, Il Mulino via Giulio Alessio 7, Pane e Focaccia via del Santo 59, Panificio via Cappelli 41, Panificio Castaldo via Belludi 52, Panificio via Rudena 5, Panificio via San Francesco 222, Focacciacaffè via Gaspara Spagna 13, Pane da Alberto via Portello 24, L’arte del Pane via Petrarca 3, Pane e fantasia via Egidio Forcellini 134b, Panificio fratelli Caltarossa via Crescini 136, Eden del Pane via Crescini 32, Panificio Pavanello Riccardo via Pietro Selvatico 11, Panificio Jessica via Antonio Bonazza 61, Arte del Pane via Niccolò Pizzolo 12, Panificio Rizzo via Zara 43 e via Astichiello 8. Il progetto degli studenti padovani vuole opporsi all’individualismo e, come si legge nella presentazione, intende contribuire «ad accrescere il senso di comunità e il benessere personale e collettivo». Pane in attesa prevede tre fasi: nella prima il cliente, dopo aver comprato il pane per sé, viene invitato ad acquistarne uno in più che poi sarà lasciato in negozio; nella seconda il fornaio segnala il pane “in attesa” in bella vista sul bancone; nella terza, chi ne ha bisogno può ritirare il pane gratuitamente. «L’iniziativa – affermano gli studenti – si ispira a un pilastro fondamentale della psicologia di comunità, cioè all’azione prosociale, messa in atto a proprie spese da un individuo o da un gruppo, tesa a realizzare o a migliorare il benessere di un’altra persona o di un gruppo o a ridurne lo stato di sofferenza, oppure a migliorare le relazioni». Per promuovere il progetto è stato aperto un sito internet www.paneinattesa.altervista.org e la pagina facebook www.facebook.com/paneinattesa.

Il pane sospeso non è strettamente riservato a chi non può permetterselo: chiunque può entrare in un negozio che aderisce all’iniziativa e chiederlo liberamente settembre 2014 scarp de’ tenis

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50 personaggi illustrati dalle canzoni di Jannacci

La mostra riproduce le tavole disegnate in esclusiva per Scarp de’ tenis dai piÚ grandi fumettisti italiani. (Bozzetto, Silver, Cavazzano, Villa e tanti altri) Disponibile per fiere, feste, convegni

per informazioni 02 67479017 mail: ufficiostampa@coopoltre.it


lo scaffale

Le dritte di Yamada Sarà (stata) l’estate, sarà la mia passione per le maglie con le righe marinare (se due tipi come Picasso e Jean-Paul Gautier la indossano – o la indossavano – sempre, un motivo c’è), sarà stata la serena Un amico El folber malinconia d’agosto che infestava l’anima e le strade, che sembra atto d'amore invisibile per lo sport ma – ragazzi – avevo proprio bisogno di un libro caotico e, potenzialmente, fonte continua di allegria. Quando la famiglia Esce nelle librerie Non ho nemmeno dovuto cercar tanto: la copertina, col di Matteo si virtuali un e-book dettaglio da un Manet che ritrae un uomo con paglietta trasferisce lui che lega la intento a manovrare la sua barchina, si è subito paleintuisce che sta passione per per iniziare una lo sport all'amore sata, e io sono salita a bordo. nuova vita in cui per la letteratura e Naturalmente sto parlando di “Tre uomini in barca (per nessuno che sa la poesia. non parlar del cane)” di Jerome K. Jerome. di quel fratello in El folber, un Per vieppiù incuriosirvi su questo classico della letteracarrozzina che sostantivo tura umoristica inglese, potrei snocciolare che Jerome lo mette sempre popolare nato in imbarazzo. dallo storpiamento l’ha scritto al ritorno dalla luna di miele (sul Tamigi) con Matteo ha tredici dell’inglese la moglie, Georgina detta Ettie, che sposó il Nostro anni, due genitori football, usato appena nove giorni dopo il divorzio dal primo marito. divorziati, una dai milanesi Sulla loro barchetta c’era anche Elsie, la figlia di cinque passione per i di un tempo per anni di Ettie: era il 1888. Dopo la luna di miele, J. si mise supereroi e un indicare lo sport fratello maggiore che allora si subito al lavoro su un’idea di libro che fosse proprio una che intralcia tutti i poteva giocare per guida turistica sul Tamigi e dintorni, con digressioni suoi piani: Guido, le strade e le storico-culturali infestate dalle gag quotidiane di un ritardato e piazze della terzetto di amici (alle prese con convivenza forzata su incapace di metropoli e sui barca, remi, rimorchi, chiuse e cadute in acqua) così autogestirsi. Così suoi prati. nasconde El folber e altri composto: se stesso, J., George (ispirato a George Winl’esistenza di Guido destini racconta grave, un amico caro di J., davvero impiegato in banca), a tutti quelli su cui lo sport come una e Harris (ricalcato su Carl Hentschel, amico di J., appascerca di fare colpo. lunga avventura sionato di teatro). Ai tre aggiunse anche un piccolo cane Ma nel momento culturale, come di carattere, Montmorency, vera coscienza critica del più critico l'aiuto epica quotidiana e arriverà da dove storia di destini gruppo. meno se l'aspetta. individuali. Il libro uscí, dapprima, a puntate su una rivista. L’editore chiese a Jerome di sfrondare le parti storiche del Massimo Canuti Alberto Figliolia testo a favore di quelle comiche: quanto ci aveva visto Contro i cattivi El folber giusto. Quando pubblicarono il libro, nel 1889, furono funziona e altri destini Instar editore Gilgamesh edizioni un milione e mezzo le copie vendute. Ancora oggi straeuro 12 euro 4,99 vende, è stampato a gittata continua e comprato (e amato) da lettori di ogni età. La fattura letteraria del libro è prodigiosa e suggerita, in qualche modo, dalla “placida” navigazione fluviale. È, nero su bianco, il flusso di coscienza del narratore, J.,che intreccia il racconto del surreale (ma bel) viaggio dei tre (che prende corpo per contrastare un simultaneo attacco d’ipocondria dei protagonisti) con i suoi personali ricordi, pieni di humor, sentimenti, tenerezza, filosofia spicciola, conclusioni affrettate e dolce malinconia. Pieni di vita, insomma. Immagino la scrittura di Jerome come un palloncino: la sua bravura è senza fine nel far intuire, a chi legge, la situazione e la sua devastante possanza comica (penso alla scena dei bagagli preparati, alle letali formaggelle in viaggio verso Londra, alla giacca pazzesca di George, allo zio Podger e il suo quadro da appendere, e a tutte le altre del libro): la gonfia a dismisura per poi farla scoppiare, con uno spillo. Questa barchetta sul fiume (con tutto quello che c’è dentro e quello che smuove in noi) è un riferimento "comico" altissimo e moderno. Mentre leggevo – sulle note di Don’t Worry Be Happy – immaginavo equipaggi nuovi ogni volta, con Chaplin, Belushi, Totó e Peppino, Jack Black, Stanlio e Ollio: Montmorency sulle zampe posteriori avrebbe latrato di gioia, sempre. Tre uomini in barca (per non parlare del cane) di Jerome K. Jerome (Feltrinelli)

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Qualcosa di inaspettato che ci salva L’irreversibilità della vita che facciamo finta di ignorare, ma che all’improvviso ci travolge. Questo il lucido racconto una graphic novel di grande impatto della discesa all’Inferno da parte di Angelica, studentessa fuori sede a cui non manca nulla, specialmente l’amore di Michele, che muore improvvisamente. Crollano così tutte le sue certezze, e la vita le appare solo crudele. Ma, alla fine, qualcosa o qualcuno riuscirà a salvarla. Francesca Di Virgilio, Alessandro Di Virgilio, Mauro Cao E tutto il resto appresso Tunué editore euro 9,90


On Adozione dei rifugiati, Torino lancia un progetto

A Torino le famiglie accolgono i richiedenti asilo: è un progetto sul quale l'amministrazione della città piemontese ha stanziato 90 mila euro per i prossimi 12 mesi. Con i fondi attuali potranno essere ospitati in famiglia venti rifugiati. Ad oggi, del programma hanno beneficiato 143 migranti, ospitati da 122 nuclei familiari. Con questo progetto il comune di Torino ha chiamato le famiglie della città a far rete con istituzioni e associazioni. L'adozione dei rifugiati era già partita nel 2008. In questo modo si consente ai richiedenti asilo e alle associazioni che se ne prendono cura di portare a termine dei percorsi di inserimento sociale con borse di studio e formazione lavoro. Nella maggioranza dei casi infatti i rifugiati sono costretti a interrompere il lavoro iniziato perché questi corsi sono legati ai finanziamenti ministeriali, che puntualmente finiscono o vengono tagliati. In questo modo si garantisce, agli "adottati" di poter terminare il progetto che lo vede protagonista. Ogni famiglia riceverà 400 euro mensili a titolo di rimborso per le spese vive relative all'ospitalità. E i rifugiati saranno inseriti in percorsi lavorativi retribuiti.

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Milano

Un libro sospeso, per l’integrazione dei ragazzini stranieri Più leggo, prima mi integro: è lo slogan de La casa del giovane la Madonnina, che ha lanciato un’idea originale per creare una piccola biblioteca dove gli 82 ragazzi che ospitano, quasi tutti stranieri, possano imparare in fretta la lingua del Paese che li accoglie. Cinque le case editrici che hanno supportato l’iniziativa e stanno donando i libri: Interlinea, Astragalo, Piemme, Babalibri e Terre di Mezzo. Ma non mancano i singoli cittadini che stanno portando libri, in buono stato, alla Casa del giovane. A settembre l’iniziativa sbarcherà nelle librerie, quelle che hanno aderito proporranno ai propri clienti di acquistare un libro per la casa di accoglienza. I ragazzi ospitati hanno fra i 14 e i 18 anni. INFO www.la-madonnina.com

Milano

Il teatro di qualità in città, in omaggio all’integrazione Si chiama Tramedautore il festival internazionale della nuova drammaturgia e si svolgerà in diverse location della città: al Piccolo Teatro Grassi, Chiostro Nina Vinchi e al Teatro Studio, dal 18 al 28 settembre. Quest’anno saranno quindici gli spettacoli dal vivo che vedranno impegnati autori della scena italiana e internazionale. Oltre agli spettacoli ci saranno tavole rotonde, focus, interviste agli attori e ai registi del festival in modo che gli spettatori potranno conoscere meglio la poetica degli artisti. Il festival ha un’identità giovane e propone spettacoli innovativi e all’insegna della contemporaneità. Tramedautore è impegnato da tempo nella direzione dello scambio e dell’integrazione. La prossima edizione di settembre è dedicata a Eurasia, ovvero ai continenti Europa e Asia, in

Street art di Emma Neri

Torino, conoscere la storia della città attraverso i murales Il cerchio e le gocce è un’associazione di writer che accompagna i visitatori a conoscere i murales di Torino, come in un grande museo all'aperto, seguendo

un’idea già consolidata in altre metropoli, da Berlino a New York. Lo street tour torinese è stato subito un successo perché le tre guide che si alternano nelle visite faticano a stare dietro alle richieste che arrivano su Facebook o attraverso il sito dell’associazione, fondata una decina di anni fa da Riccardo Lanfranco e Fijodor Benzo. Nonostante la street art si stia affermando come una forma d’arte riconosciuta, infatti, finora era difficile capire chi fossero gli autori dei tanti murales che sono in città, e cosa rappresentano. Le visite sono a offerta libera a seconda del gradimento e il ricavato viene usato principalmente per stampare le cartine Inkmap, con la posizione delle murate più importanti di Torino. INFO www.ilcerchioelegocce.com

particolare Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna, Grecia, Francia, ma anche Corea del Sud e Singapore. Fra le produzioni segnaliamo quella francese, Remolus, sul conflitto tra nomadismo e stanzialità, a partire dal concetto di cittadinanza, con una drammaturgia “collettiva” che riunisce autori italiani, rumeni, tedeschi, francesi. La sezione


caleidoscopio italiana presenta un omaggio a Dario Fo con Studio per Storia di Qu, diretto da Massimo Navone, con un cast di oltre 25 giovani attori e musicisti, a seguire Il partigiano Franca, dedicato a Franca Rame. A chiudere il festival una

storia di femminilità umiliata, picchiata e tradita e, insieme, un omaggio alla lingua siciliana con lo spettacolo Taddrarite scritto e diretto da Luana Rondinelli, vincitore al Roma Fringe Festival 2014. INFO www.outis.it/tramedautore/

Milano

A Cascina Cuccagna al via il programma per nutrire il pianeta Si chiama “Per tutti i gusti” il menù della Cuccagna che prevede corsi e progetti promossi dai cittadini o dalle associazioni, ispirate al tema Expo, Nutrire il Pianeta. Le iniziative interpretano il concetto in tanti modi diversi: dalla relazione tra cibo e cultura al rispetto dell’ambiente, dalla qualità della vita alla sostenibilità. In programma laboratori pratici, incontri, corsi e percorsi per grandi e bambini che si avvicendano dal martedì al giovedì, da mattina a sera. Alimentazione, benessere, erboristeria, cosmesi naturale, creatività e movimento. Ultima novità, il tango. Le iscrizioni sono aperte. INFO www.cuccagna.org

Genova

Prossimità in mostra, per trasmettere idee ed esperienze dal basso La Biennale della Prossimità è il primo appuntamento dedicato alle comunità locali, alle persone e ai loro bisogni guardati in ottica di “prossimità”. Promossa dalla Rete Nazionale per la Prossimità, la Biennale racconterà come andare incontro ai bisogni – sempre più vari e complicati, quasi mai coincidenti con le categorie rigide delle burocrazie – possa coincidere con la definizione di una nuova relazione in cui il soggetto destinatario è coprotagonista della risposta. A Genova da venerdì 10 a sabato 12 ottobre 2014. La Biennale della Prossimità raccoglierà le idee e le esperienze che la società civile sta scrivendo un pezzo nella società di domani. I protagonisti: cooperative, associazioni, gruppi di cittadini, attivisti, organizzazioni pubbliche, tutti quei soggetti, anche molto diversi tra loro, che si muovono dal basso e diventano risorse per la società. La Biennale della Prossimità sarà un luogo dove portare esperienze. Sarà una simbiosi di momenti culturali, e di esperienze, di arte e di approfondimento. Si parlerà di Prossimità con workshop, testimonianze, mostre, reading, storie, performance, laboratori, esposizioni. Tanti i temi, come i bisogni delle persone e dei territori: gli acquisti collettivi, il bisogno di cibo e di beni primari, la casa e il co-housing, la qualità della vita, la mutualità, la cittadinanza, il credito, la rigenerazione urbana, l’imprenditorialità sociale, la salute e altro ancora. INFO www.prossimita.net

Off Crisi, una catastrofe il Rapporto sui diritti globali 27 milioni di disoccupati e 13 milioni di nuovi poveri in Europa. E in Italia la povertà è raddoppiata tra il 2007 e il 2012. A fotografare la situazione della povertà è il Rapporto sui diritti globali 2014, realizzato dall’Associazione Società Informazione onlus e promosso da Cgil con la partecipazione di ActionAid, Antigone, Arci, Cnca, Fondazione Basso-Sezione Internazionale, Forum ambientalista, Gruppo Abele e Legambiente. In Europa le persone che hanno perso il lavoro sono cresciute di 10 milioni, portando a 27 milioni il totale di disoccupati. Per il quinto anno consecutivo l’occupazione è in calo nel continente. Nell’Europa a 28 Paesi, già nel 2012, le persone già povere e quelle a rischio di esclusione erano ben 124 milioni, poco meno di una ogni quattro, con una crescita di 2 milioni e mezzo rispetto all’anno precedente. In Italia il tasso di occupazione nel 2013 è tornato ai livelli del 2002: 59,8 per cento; all’inizio della crisi, nel 2008, era al 63 per cento. Numeri moltiplicati e non meno tragici sul panorama mondiale: nel 2013 i disoccupati erano 202 milioni. Lievita anche il fenomeno dei lavoratori poveri ("working poor"): sono 200 milioni e sopravvivono in media con meno di due dollari al giorno. INFO www.dirittiglobali.it

Vicenza

In viaggio nel Paese dei balocchi: un giro virtuale in autobus Venerdì 19 settembre appuntamento in piazza Castello (ore 20 e 21.30) per il progetto “Nella pancia della balena”: ovvero dodici attori e trenta spettatori su un autobus, in viaggio per il Paese dei balocchi, secondo l’originale formula individuata dal Laboratorio Teatro Interculturale EDA del CTP Vicenza Ovest. L’iniziativa, nata da un’idea di Rosella Pizzolato, con la collaborazione

artistica di Carlo Presotto, consiste nel mettere insieme spettatori e attori che si troveranno trasformati, oplà, in passeggeri di un autobus urbano che, seppur fermo, condurrà i partecipanti di quest’inusuale esperienza teatrale in un viaggio di grande intensità, tra memorie, desideri e paure, rielaborati sotto forma di racconti e azioni sceniche, in un teatro di prossimità coinvolgente. Dal “Pinocchio” di Collodi deriva il tema del viaggio e la partenza per il Paese dei settembre 2014 scarp de’ tenis

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Balocchi: metafora del momento di passaggio tra la perdita di un’identità e la costruzione di una nuova identità. L’esperienza della migrazione, ad esempio, porta con sé la necessità di fare i conti con la propria identità culturale e costruire un nuovo equilibrio tra il proprio passato e ciò che si diventerà. Ecco allora che la pancia della balena può essere la sala d’aspetto di un aeroporto, la tenda di un centro di accoglienza o, appunto, un autobus. Consigliata la prenotazione. INFO info@oltrefrontierelab.com

Torino

La resilienza nell’arte: declinare la creatività nella società civile Fino al 19 settembre, presso l’Appartamento Padronale di Palazzo Saluzzo Paesana si visita la mostra collettiva di arte contemporanea dal titolo “Resilenze 2.0" co-curata da Luciana Littizzetto e Caterina Fossati. La kermesse si ispira al concetto di “resilienza”, che in psicologia definisce la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà. È la capacità di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza perdere la propria umanità e, cosa più importante, senza rassegnarsi al peggio. La mostra raccoglie le opere di 10 artisti italiani e internazionali invitate dalle curatrici a declinare il concetto di resilienza che oggi è usato in tantissimi campi. Resilienza in ingegneria significa la capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi. In informatica vuol dire resistere all’usura. In ecologia indica la capacità dell’ecosistema di mantenere un equilibrio quando arriva un agente esterno e invenzione di strategie per ricostruirlo.

Miriguarda di Emma Neri

Scarp de’ tenis diventa partner del Fondo Famiglia Lavoro della Diocesi Le casse del Fondo Famiglia della Diocesi sono vuote. Da gennaio 2013 sono stati distribuiti 5 milioni di euro e sono oltre 2 mila le famiglie donatrici, altrettante le famiglie aiutate. Ma la crisi non è finita: il 70% di chi chiede aiuto ha perso il lavoro quest'anno. Per questo motivo la Diocesi rilancia e chiede a chi ha la possibilità di collaborare per sostenere chi perde il lavoro. In media sono state circa 170 le domande pervenute al Fondo ogni mese. L’invito alle istituzioni e alle aziende è di investire in queste persone desiderose di ripartire. Nella prima fase, il Fondo ha soprattutto ridistribuito le risorse raccolte attraverso aiuti in denaro diretti; nella seconda fase oltre ad offrire assistenza economica per le necessità quotidiane (pagamento delle bollette, delle rate del mutuo, etc), il Fondo Famiglia Lavoro ha aiutato le famiglie attraverso nuovi strumenti: indirizzando le persone alla formazione professionale e coprendo le spese per i corsi, erogando micro-crediti, seguendo lo sviluppo di progetti imprenditoriali. Le donazioni sono arrivare soprattutto da privati (32%). Seguono la Fondazione Cariplo (19%), la Diocesi di Milano con i fondi dell’8 per mille (19%) enti e società (16,5%). Il resto viene da altri donatori: offerte personali dei cardinali Scola e Tettamanzi e da altre fondazioni. I singoli cittadini che hanno donato sono stati oltre 2000 con un contributo medio pro-capite di circa 600 euro. Scarp de’ tenis, promosso da Caritas Ambrosiana, è entrato a far parte della rete di partner del Fondo Famiglia Lavoro. In virtù di questo accordo, le persone che chiedono aiuto al Fondo potranno essere inserite nello staff dello street magazine come venditori, con contratto regolare di venditore porta a porta. A ognuno di loro sarà assegnato a turno un certo numero di parrocchie nelle quali proporre il mensile al termine delle messe. L’attività di vendita garantirà un piccolo reddito di accompagnamento. INFO Tel. 02 58431212 - www.fondofamiglialavoro.it

NFO www.palazzosaluzzopaesana.it

Pesaro

Ho messo le tue scarpe. La normalità esplora il disagio psichico Il 20 e il 21 settembre la città marchigiana ospita l’iniziativa: Stamattina ho messo le tue scarpe. Un cammino di avvicinamento alla malattia

72. scarp de’ tenis settembre 2014

mentale che intende avvicinare le persone al disagio attraverso un’esperienza partecipativa strutturata in forma di percorso, vissuto da gruppi ristretti di persone e diviso in tre momenti chiamati: assenza, scoperta e ritorno. Durante il momento dell’assenza i partecipanti sono condotti all’interno di una struttura


caleidoscopio riabilitativa residenziale a Bevano, a 15 minuti da Pesaro, per scoprire il quotidiano, gli spazi, gli oggetti di chi soffre di malattia mentale; la scoperta, invece, permette, in un cammino guidato dentro la città di Pesaro, di tendere l’orecchio a storie altrimenti senza voce, riproposte attraverso alcune proiezioni; il terzo momento, il ritorno, è una condivisione delle proprie percezioni nell’ambito di un confronto collettivo, che si trasforma in scambio aperto sulla malattia mentale. “Stamattina ho messo le tue scarpe” è anche un contenitore di materiali originali, ma rielaborati, che raccontano senza sconti e in modo diretto la realtà della malattia mentale. I contenuti saranno pubblicati sul sito web e tradotti visivamente dall’illustratore Giordano Polon. INFO www.homessoletuescarpe.it

Trento

Muse: comprendere lo sviluppo dell’uomo, e il suo futuro A luglio il Muse, il museo delle Scienze di Trento, costruito su progetto di Renzo Piano, ha compiuto il primo anno di vita. E con i suoi 12.600 metri quadrati di superficie ha ottenuto subito grandi numeri, oltre 500 mila presenze. Un risultato che colloca il Muse tra le prime dieci istituzioni museali italiane in termini di numero di visitatori. Il Muse è un luogo dove la conoscenza scientifico-tecnologica rappresenta lo strumento per studiare le relazioni tra uomo e ambiente e allo stesso tempo

Ricette d’Alex Arrosto di tacchino alla salsa di zucca

Alex, chef internazionale, ha lavorato in ristoranti dopo aver appreso l’arte della cucina nell’albergo di famiglia, a Rovigo. Oggi – i casi della vita... – vende Scarp. Per 4 persone. Arrostite al forno 400 grammi di petto di tacchino intero, con rosmarino, salvia e uno spicchio di aglio intero. Dopo averlo affettato servitelo su piatti freddi con la salsa accanto. Salsa di zucca: prendete 300 grammi di zucca, pulitela e tagliate a dadini. Aggiungete mezza mela mondata, rosolatele in una padella con un po' di olio e sale, quando saranno ben cotte e raffreddate, passatele al passatutto, otterrete una salsa omogenea, mettete delle zenzero grattuggiato o mostarda. Se troppo densa aggiungete un po' di panna liquida.

indirizzare le scelte future di sostenibilità. Multimedialità, giochi interattivi, sperimentazioni in prima persona, cultura del fare, sono gli strumenti con cui si entra in contatto, a misura di piccoli e grandi. Il Muse di Trento si candida così a diventare uno dei musei scientifici più innovativi in Europa. Ogni spazio è finalizzato a stimolare l’apprendimento anche attraverso momenti di gioco, di relax, di comunicazione e apprendimento informale. Consigliamo la visita guidata perché si percorre il museo a 360 gradi grazie all’entusiasmo di ragazzi molto giovani, neolaureati, provenienti da tutta Italia. Tra gli spazi speciali del Muse

segnaliamo il Maxi Ooh!, la zona dei piccolissimi dove anche la toilette diventa un modo per esplorare l’ambiente. Per adulti e imprese, il FabLab, un laboratorio di digital fabrication, un luogo per scambiare idee e realizzare progetti, in cui tutti possono progettare e realizzare oggetti. Accanto al FabLab c’è lo Show room sull’innovazione, uno spazio dedicato alle start up o alle aziende innovative che sono invitate a presentare i loro prodotti non per la vendita ma per far comprendere come innovazione e sostenibilità rappresentino uno straordinario volano per lo sviluppo del territorio. INFO www.muse.it

pagine a cura di Daniela Palumbo per segnalazioni dpalumbo@coopoltre.it

Tarchiato Tappo - Il sollevatore di pesi

settembre 2014 scarp de’ tenis

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street of america Più igiene significa più fiducia in se stessi: la scommessa di Dionice

“Lava Mae”: a San Francisco docce e bagni sono itineranti di Damiano Beltrami da New York

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Docce e bagni a “domicilio” L’autobus di Lava Mae il bus con docce e bagni gratuiti che si sposta nei quartieri di San Francisco per garantire tali servizi agli oltre 6.400 senza tetto presenti in città. La recessione ha ridotto da dieci a sette le strutture in cui è possibile fare la doccia a San Francisco costringendo i senza tetto a liste d’attesa molto lunghe solo per potersi lavare. Lava Mae cerca di risolvere il problema

ER MESI A SAN FRANCISCO SI È PARLATO DEGLI AUTOBUS DELLA DISCORDIA. Quelli che fanno la spola tra la città e i quartieri generali delle grandi aziende tech, da Google a Facebook. Trasportano giovani informatici i cui stipendi sono visti da molti residenti come la causa di un mercato immobiliare impazzito che rende loro la vita sempre più difficile. Ebbene, da qualche giorno a San Francisco è spuntato un nuovo tipo di autobus, che mette tutti d’accordo. Da lontano sembra un food truck, uno di quei camioncini che servono cibo di qualità. Si tratta, invece, di un autobus-toilette, che offre all’esercito dei 6.400 homeless della città il lusso di una doccia calda, di una vasca pulita con sapone, shampoo e asciugamani. «Ogni autobus ha due bagni completi con doccia, lavabo, toilette e un piccolo spogliatoio – ci racconta Dionice Sandoval, l’inventrice del bagno-bus mobile – che utilizza acqua pagata dal Comune». Due anni fa Sandoval ha avuto l’idea e ha chiamato il progetto “Lava Mae”. Il che richiama l’espressione “lavami” in spagnolo. Le donazioni sono arrivate da una manciata di privati e aziende tra cui Google. I vantaggi di un bagno su quattro ruote a San Francisco sono almeno due: permette di raggiungere i senza fissa dimora in vari quartieri e tutela dall’aumento degli affitti in una città in cui i prezzi degli immobili sono ormai stellari e non accennano a stabilizzarsi. La grande recessione ha ridotto le strutture che consentono di fare la doccia da dieci a sette, costringendo i 6.400 senzatetto di San Francisco (indagine del 2013 del Comune) a segnarsi in liste d’attesa. Sandoval spera di poter colmare questa lacuna, aiutando gli homeless a ritrovare dignità. «Più igiene – dice –vuole dire più fiducia in se stessi, e forse l’inizio di un nuovo cammino». Uno dei primi homeless a provare il bus-doccia è stata Crystal Hart. Nei suoi giorni più critici, Hart è stata persino due settimane senza potersi rinfrescare. Ora sentire scrosciare l’acqua sulla testa cullata da una leggera musica di sottofondo le dà l’impressione di essere in vacanza, lontana dalle battaglie della vita di strada. «Mi ha aiutato molto, – racconta –. Ti fa pensare che vivere in modo dignitoso è ancora a portata di mano. Se uno vuole migliorare la sua situazione, qualche risorsa c’è». Il bus-bagno è proprio pensato come una risorsa per il numero crescente di homeless che tirano a campare in quartieri come Tenderloin e Mission. Le toilette su quattro ruote non sono economiche (per la riconversione sono serviti 75 mila dollari), ma quest’idea “made in SF” sta ricevendo attenzione nei cinque continenti. «Mi hanno chiamato da Singapore, da San Paolo, da Lisbona, da Atene e da molte altre città – racconta con orgoglio Sandoval –. La nostra visione è piantare un seme e crediamo di poter raccogliere molti frutti». Per ora il bus di “Lava Mae” è in funzione soprattutto nel weekend e in due location (Tenderloin e Mission), ma presto il servizio diventerà più capillare. Altri bus-bagno sono in cantiere.

74. scarp de’ tenis settembre 2014

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