Sdt186

numero 186 anno 19 novembre 2014

300€

Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

il mensile della strada

de’tenis www.scarpdetenis.it

ventuno High tech. La campagna di due ong

L’accoglienza corre lungo i binari del treno Il viaggio di Scarp tra le stazioni rinate a nuova vita. Da luoghi insicuri a oasi di socialità per il territorio. Ferrovie dello Stato ha assegnato più di 400 spazi a enti e associazioni di volontariato.

Milano Volontari “straordinari” Como Mastro fiammiferaio Torino Lavoro da casa Genova Angeli del fango Verona La casa di Raffaele Vicenza Notte in piazza Venezia Vita di Vicenzo Firenze Si riparte dal Samaritano Rimini Il mondo a scuola Napoli Coscienza in piazza Salerno La vita dopo la strage

editoriali

Socialità, aggregazione e volontariato.

Così rinasce la stazione del treno Stefano Lampertico

A

Mai più la guerra

vrei potuto cominciare questo editoriale commentando la decisione del Sindaco Pd (sic!) di Borgaro Torinese di istituire due linee distinte per il bus 69 che arriva da quelle parti: “una per noi e una per i Rom”. Poi gli amici della redazione di Torino ci hanno mandato le straordinarie fotografie in bianco e nero che raccontano la baraccopoli in cui vivono più di mille persone, prevalentemente rom di nazionalità ruRoberto Davanzo mena, in condizioni igienico-sanitarie e ambientali disumane, tra mondirettore Caritas Ambrosiana tagne di rifiuti e fango, colonie di topi e nugoli di zanzare nell’area non autorizzata più grande d’Europa che si estende per oltre un chilometro l centenario dello scoppio della nella periferia nord-est lungo lo Stura. Le immagini valgono più di milprima guerra mondiale merita un le parole. E soprattutto, non mi andava di iniziare dando risalto a una atto di memoria anche su queste boutade, facile di consenso, ma povera - estremamente povera - di pagine che raccontano di altre “guerre”, valore. Meglio partire con le notizie buone. Lo spunto arriva allora dal quelle di tanti uomini e donne segnati dalla servizio di apertura dove vi raccontiamo una buona prassi, gestita dalprivazione, dal non riconoscimento dei loro le Ferrovie dello Stato italiane e dai network delle associazioni di diritti, dalla marginalità. Papa Francesco ha volontariato. È una bella storia di rinascita che ha visto coinvolte in parlato di “terza guerra mondiale spezzettata” questi ultimi anni molte stazioni del treno abbandonate o diper descrivere il tempo che il pianeta sta attrasmesse (mi perdoneranno le Ferrovie, ma il termine di “stazioni versando. Tempo di inequità, di squilibri che geimpresenziate” mi suona strano). Decine di stazioni rinate a nuonerano conflitti più o meno palesi, più o meno diva vita. Stazioni che si sono trasformate da luoghi insicuri e spesmenticati. La memoria della prima guerra monso sfregiati da graffiti e vandalismi, in oasi di incontro e sociadiale definita dal Papa di allora, Benedetto XV, lità non solo per chi utilizza il treno ma per tutto il territorio. Parun’“inutile strage” si pone come ammonimento seliamo di 400 spazi assegnati da Fs per un totale di oltre 65 vero rispetto alla radicale incapacità dei conflitti armila quadrati. E parliamo di stazioni, come quella di Cornimati di risolvere le contese. Un monito per nulla ascolgliano, nel genovese, all’interno della quale è ospitata una tato da allora fino ad oggi. A dimostrazione dell’esistenmensa per i poveri che distribuisce 20 mila pasti l’anno. O za di forze e centri di potere che hanno tutto l’interesse a come quella di Osnago, nel lecchese, dove il Circolo Arci mantenere il pianeta in uno stato di belligeranza contiche ha sede proprio lì, ha 1.600 iscritti su una popolanua. A dimostrazione che, malgrado la crisi nella quale ci zione di 5.000 abitanti. E non è tutto: scuole di breakdibattiamo, mancano la volontà politica e gli strumenti sodance per i giovani immigrati, botteghe equosolidali ai vranazionali per prevedere una equa distribuzione delle ricmercati second hand, circoli ricreativi e culturali, gallechezze, condizione prima per il superamento di moltissime rie di arte. Insomma un panorama variegato e straorcontese. Non è un argomento da Scarp, ma se abbiamo bisogno di dare voce al mondo degli esclusi, se ancora nelle dinario che segue i binari del treno lungo tutto lo Stivaricche società occidentali si allarga il numero dei gravi le. Piccola divagazione. Noi italiani, al treno e alle sue emarginati, allora occorre riflettere sul perverso utilizzo stazioni ci siamo affezionati: il mio amico Giovanni – della ricchezza da parte di chi la detiene. Se fino al primo grande conoscitore della commedia degli anni ’80 (lui conflitto la morale della Chiesa cattolica ad alcune concome tanti altri) – conosce a memoria le battute di un dizioni ipotizzava la liceità di una “guerra giusta”, dopo film con Renato Pozzetto, “Il ragazzo di campagna”, dove quell’evento – e dagli orrori che ne sono derivati – ne è il protagonista, Artemio, con altri dieci amici, si accomoda seguito un progressivo divorzio teologico nei confronlungo i binari per godersi lo “spettacolo” del passaggio del ti di quel teorema. La giustizia non potrà più coniugarconvoglio nella campagna e recita quella battuta cult, “eh si con la guerra, ma con la diplomazia, con illuminate beh, il treno è sempre il treno!”. Ecco. La storia delle stazioni politiche internazionali atte a comporre gli interessi che rinascono è una bella storia per Scarp. Come è bella la delle parti e ad evitare ogni forma di umiliazione delstoria dei ragazzi disabili di Milano che si trasformano ogni l’avversario. Fino a che i Paesi che si autodichiarano svigiorno in volontari e si mettono al servizio del quartiere. E luppati non vivranno questo salto culturale dovremo come sono belle le storie dei detenuti del carcere di Torino fare i conti con gli effetti collaterali di un mondo incapache giocano insieme a rugby in una squadra che si chiace di riconoscere il diritto di tutti a vivere con dignità. Efma “La Drola”, la strana. fetti collaterali che si misureranno con questi “scarti” di A noi i tipi strani, le storie strane piacciono molto! produzione che sono il mondo degli emarginati e degli Non dimenticate, infine, le novità in arrivo. Sono tanesclusi al cui servizio dedichiamo il nostro impegno. te. Saranno tante. Qualcosa sta cambiando.

I

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sommario L’intervento

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Rom a Torino: uomini e topi p.6

Scarp Italia Cos’è È un giornale di strada non profit. È un’impresa sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo per recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese.

Come leggerci Scarp de’ tenis è una tribuna per i pensieri e i racconti di chi vive sulla strada. È uno strumento di analisi delle questioni sociali e dei fenomeni di povertà.

Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale.

Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali.

Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vita e globalizzazione. Infine, Caleidoscopio: vetrina di appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!

dove vanno i vostri 3 euro Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

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L’inchiesta Binario giusto, le stazioni rinascono sociali p.12

Lo speciale Homeless, la sfida danese p.20

La storia Ovale oltre le sbarre: la mèta, la vita p.24

Lo speciale Coworking, l’ufficio zero stress p.26

Testimoni Cammariere: «La speranza dentro una canzone» p.30

Scarp città Milano Volontari straordinari: i ruoli si ribaltano p.32 Sbaracca e baratta, tutto torna a nuova vita p.36

Como Giovanni, mastro fiammiferaio p.38

Torino Lavoro e servizi, contro l’esclusione p.40

Genova Gli angeli del fango p.42

Verona Raffaele aveva trovato la “sua” casa p.44

Vicenza Notte in piazza insieme agli ultimi p.46

Firenze Scarp riparte dal Samaritano p.49

Venezia Vicenzo, dal palco alla Caritas p.50

Rimini Il mondo sui banchi di scuola p.52

Napoli La coscienza scende in piazza p.54

Salerno Un’altra vita dopo la strage p.56

Scarp ventuno Dossier Etica ed elettronica, legame complicato p.60

Economia Famiglie in difficoltà: saltano gli affitti p.64

Caleidoscopio Rubriche e notizie in breve p.69

scarp de’ tenis Il mensile della strada Da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe - anno 19 n. 186 novembre 2014 costo di una copia: 3 euro

Per abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 30 € c/c postale 37696200 (causale AbbonAMento SCArP de’ tenIS) Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano (lunedì-giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel. 02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Stefano Lampertico Redazione Ettore Sutti, Francesco Chiavarini, Paolo Brivio Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Roberto Guaglianone, Alessandro Pezzoni Sito web Roberto Monevi Foto di copertina Germana Lavagna Foto Archivio Scarp Disegni Silva Nesi Progetto grafico Francesco Camagna e Simona Corvaia Editore Oltre Soc. Coop., via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber, via della Volta 179, 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 9 novembre al 13 dicembre 2014

Uomini e topi Una baraccopoli in cui vivono più di mille persone, prevalentemente rom di nazionalità rumena, in condizioni igienico-sanitarie e ambientali disumane, tra montagne di rifiuti e fango, branchi di topi e nugoli di zanzare: siamo a Torino, anno 2014, nell’area non autorizzata più grande d’Europa che si estende per oltre un chilometro nella periferia nord-est lungo lo Stura. Quest’area, di proprietà privata al 90% e sotto sequestro giudiziario, dovrebbe essere completamente sgomberata entro la fine dell’anno per diventare parco fluviale. Un terzo dell’area è già stato evacuato: dal dicembre 2013 è in corso un progetto denominato “La città possibile” con cui il Comune ha affidato a un gruppo di organizzazioni cittadine la realizzazione di percorsi di integrazione per i rom che abitano 5 aree della città, di cui questa è la più rilevante. L’adesione volontaria a un “patto di emersione” garantisce così soluzioni abitative dignitose ma le persone sono tante, le difficoltà enormi e la fine dell’anno troppo vicina.

Il fotoreportage è di Enrico Panero e Vito Sciacca.

Per informazioni: “La città possibile – iniziative a favore della popolazione rom” (direttore Massimiliano Ferrua, ferruam@lavaldocco.it). Si ringraziano per la collaborazione Massimiliano e Gianluca Deserio

6. scarp de’ tenis novembre 2014

Sommersi dai rifiuti I bambini trascorrono le giornate in mezzo alla sporcizia, in condizioni igieniche e ambientali terribili, montagne di rifiuti e tossicità del terreno a livelli elevati. Da quando è iniziata la raccolta differenziata porta a porta il volume di rifiuti portati qui (anche con camion, di notte) dalla città è triplicato.

fotoreportage

novembre 2014 scarp de’ tenis

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Uomini e topi

Questo non è un normale campo rom, piuttosto richiama alla mente una povertà definitiva, assoluta. Qui si vive ammassati in baracche disseminate sull’argine dello Stura tra i ponti di Corso Giulio Cesare e Strada Settimo: ovunque fang. Un’acquazzone e il campo si trasforma in un pantano.

L’economia del campo Si riparano biciclette (il più comune mezzo di trasporto), la raccolta dei rottami dai cassonetti che verranno venduti a Porta Palazzo, poi c’è chi va a depredare il rame, non importa dove… Gli scarti della città, qualche mobile recuperato dai rifiuti: tutto può servire per continuare a sopravvivere.

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fotoreportage

Le famiglie che accettano il patto di emersione devono impegnarsi a decostruire la propria baracca (auto decostruzione assistita) e a suddividere i detriti in modo differenziato: azione che sta tra il simbolico e il concreto.

Si tagliano i ponti col passato per un nuovo inizio.

novembre 2014 scarp de’ tenis

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reclam.com

ph. uezzo.com

Siate egoisti, fate del bene!

Fare del bene è il miglior modo per sentirsi bene.

Dare una mano a Opera San Francesco significa dedicare una parte di sè e delle proprie risorse a chi ha bisogno di aiuto e può ricambiarci solo con un sorriso o uno sguardo di gratitudine: significa dare speranza e fiducia e, per questo, sentirsi meglio.

Viale Piave, 2 - 20129 Milano ccp n. 456202 Tel. 02.77.122.400

www.operasanfrancesco.it Ringraziamo

Chi sostiene OSF contribuisce a offrire ogni anno 850.000 pasti caldi, 66.000 docce e 40.000 visite mediche a poveri ed emarginati. Da più di 50 anni, con il lavoro di oltre 700 volontari, le donazioni di beni e danaro e i lasciti testamentari, OSF aiuta chi non ha nulla.

Opera San Francesco per i Poveri Una mano all’uomo.

Tutti i giorni.

anticamera Aforismi di Merafina A CARO PREZZO II prezzo che sto per pagare, non ti sembra un po’ caro?

IL MATRIMONIO Il matrimonio è un contratto, l’amore un sovrappiù TEMPO LIBERO Io con il tempo libero non sono mai andato d’accordo, penso a cosa dovrò fare il giorno dopo.

Sprecare parole Perché sprecare parole e rumori per chi non sa ascoltare, verrà il giorno in cui con una sola parola potremo fare tanto rumore.

Se nuotassi nei miei occhi non saresti altro che un naufrago da salvare poichè i miei occhi hanno visto troppi mari in tempesta.

Ho dato per scontato che ero il vincitore e ho combattuto contro di te senza sapere che eri l’amore.

Dessert Caro budino serale, buonanotte!

Tu mi addolcisci le papille gustative e mi nobiliti lo spirito con svariati gusti leccorniosi: il budino al crème caramel ti solleva dalla strada, dove giganteschi tir fanno tremare il pavé.

Il budino al cioccolato è molto simile al gelato: ti disinfiamma la gola, se ti hanno fumato addosso.

Il budino alla vaniglia è una vera meraviglia: è quel che mi mancava a Marsiglia o in Spagna quando ho visitato Siviglia.

Meraviglia a Milano, non solo miracolo!

E se fai attenzione, in alcune strade caratteristiche nel centro del capoluogo lombardo si respira profumo di fior fiore di vaniglia…

Silvia Giavarotti

Raggio di luce Cade un sasso, in una pozzanghera fatta dall’odio rosso di sangue, mentre in preghiera aspetto un raggio, raggio di luce all’io che langue.

E’ luce che aspetto, qui sotto il mio tetto.

E loro a trascinarsi per le strade, rosi dall’odio inculcato da chi mai ha amato, da chi è reso servo.

Con un modo protervo, da ipocrita vive pagato o no, sulle rive d’un male struggente che ottunde la mente.

Mentre il veggente soffre e capisce che quelli rosi han solo per sorte il buio e la morte.

Gaetano “Toni” Grieco

Fabio Schioppa

novembre 2014 scarp de’ tenis

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Binario giusto di Paolo Riva Fotografie di: Matteo Cogliati (Gaggiano e Abbiategrasso) Germana Lavagna (Osnago) www.mondoqui.it (Mondovì)

All’inizio fu l’ostello per persone senza dimora della Stazione Termini a Roma, voluto dall’allora direttore della Caritas, don Luigi Di Liegro. Era il 1987 e, da allora, di spazi nelle nostre stazioni ne sono stati assegnati tanti al no profit, alle grandi realtà del terzo settore come alle piccole associazioni di volontariato, negli scali cittadini come in quelli dei piccoli paesi. «L’anno scorso i comodati d’uso attivati tra Fs ed enti no profit erano 350, quest’anno toccheremo quota 400 per circa 65 mila metri quadrati di superfici rigenerate – si inorgoglisce Fabrizio Torella, responsabile delle Attività Sociali di Ferrovie dello Stato Italiane –. «La domanda è in crescita esponenziale» – gli fa eco Giuseppe De Stefano, presidente del Centro Servizi per il Volontariato di Napoli e delegato nazionale di Csvnet per questo tema.

12. scarp de’ tenis novembre 2014

l’inchiesta

Nuova vita per le stazioni dismesse: da luoghi insicuri e sfregiati da graffiti e vandalismi diventano oasi di incontro e socialità non solo per chi utilizza il treno ma per tutto il territorio.

Sono ormai 400 gli spazi che Ferrovie dello Stato ha assegnato a enti o associazioni di volontariato per un totale di oltre 65 mila metri quadrati di superfici rigenerate. Dalle mense per i poveri, alle scuole di breakdance per i giovani immigrati, dalle botteghe equosolidali ai mercati second hand, dai circoli ricreativi a quelli culturali: il panorama dell’offerta nelle “stazioni sociali” è ricco e variegato.

Un affare “perfetto” per tutti gli attori in campo e a guadagnarci, una volta tanto, è tutta la comunità.

Ora, però, visti gli ottimi risultati ottenuti, servirebbe un nuovo cambio di passo novembre 2014 scarp de’ tenis

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Binario giusto

Mondovì

Luogo di incontro e integrazione, tra balli hip hop e breakdance La stazione ferroviaria di Mondovì, città di quasi 23 mila abitanti in provincia di Cuneo, entrò in servizio nei primi anni Trenta con l’attivazione della tratta Fossano-Ceva. Negli ultimi anni la stazione, complici la soppressione di alcune linee e l’automatizzazione del traffico, ha iniziato ad essere malfrequentata e, quindi, insicura. Questo stato di cose è radicalmente cambiato dal gennaio 2014: la stazione si è trasformata grazie ad una sinergia intercorsa tra Reti Ferroviarie Italiane, Comune e associazione MondoQui (www.mondoqui.it), impegnata da anni sul fronte dell’integrazione e del dialogo tra residenti e immigrati.

«Tre anni fa eravamo venuti a conoscenza della dismissione della sala di aspetto di prima classe della stazione – spiega il presidente di MondoQui, Claudio Boasso – e dal momento che eravamo in cerca di una sede facemmo domanda per l’uso del locale, che venne concesso in comodato unitamente ad un magazzino dismesso (divenuto l’attuale sala “Franco Centro”). Il Comune ci affidò la conduzione per un periodo di cinque anni. Dopo aver svolto i lavori di messa a norma portammo dentro i locali della stazione il progetto “ex prima classe”, finanziato dal Centro servizi per il volontariato di Cuneo e finalizzato al coinvolgimento di ragazzi immigrati nelle attività dell’associazione. Da qui sono poi nate tantissime altre iniziative su idea dei ragazzi stessi: laboratori gratuiti e aperti a tutti di breakdance ed hip-pop fino alla proposta di realizzare una sala di registrazione».

Negli ultimi mesi poi si sono moltiplicate le iniziative rivolte alla cittadinanza: dibattiti, un corso d’ebraico antico, serate di tango ma anche il “club della risata”, una tecnica ideata da un medico di Mumbay diffusa in 60 nazioni finalizzata ad ottenere un diffuso senso di benessere psicofisico tramite l’atto del ridere. Ma le ricadute sulla cittadinanza non finiscono qui: da più di quattro mesi lo storico bar della stazione ha chiuso i battenti, con disappunto dei pendolari.

«Siamo in trattativa – spiega Boasso – per una sua presa in gestione da parte dell’associazione: l’obiettivo è un bar etico, che oltre a fornire un servizio ai viaggiatori costituisca un’occasione d’inserimento lavorativo a giovani disagiati».

Vito Sciacca

14. scarp de’ tenis novembre 2014

«D’altra parte – continua Giuseppe De Stefano – si tratta davvero di un affare “perfetto”. Il terzo settore, e il volontariato in particolare, hanno una fame enorme di spazi perché devono far fronte a una domanda di servizi in crescita con budget sempre più risicati.

Per contro, le Ferrovie possiedono un grande patrimonio immobiliare che rischia, con l’aumento delle stazioni non presidiate di essere lasciato nel completo degrado».

Ad inizio anno, infatti, le stazioni impresenziate (cioè attive, ma senza personale) erano circa 1.700, un numero in crescita perché, spiega ancora Torella, «dagli anni ‘90 la trasformazione tecnologica ha fatto sì che sempre meno scali necessitino della presenza dei ferrovieri». Il risultato è spesso il degrado e così, per combatterlo e non far perdere valore al proprio patrimonio, Fs ormai da quasi due decenni fornisce gli spazi in comodato gratuito a quegli enti no profit che garantiscono la manutenzione e un presidio del territorio.

I casi sono innumerevoli e vanno da realtà che si occupano di ambiente e turismo a quelle impegnate nell’assistenza, da associazioni che fanno cultura e aggregazione alla protezione civile.

Entra il grande associazionismo «La novità dell’ultimo biennio – prosegue Torella – è l’aver dedicato delle corsie preferenziali al grande associazionismo». Nel marzo 2013, la scelta ha portato Fs a firmare quattro protocolli con Legambiente, Associazione italiana turismo responsabile, Legacoopsociali e Csvnet, il Coordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato. Un’intesa, quest’ultima, che è stata messa a frutto, tra i primi, proprio da De Stefano.

«A dicembre inaugureremo i nuovi uffici del Csv locale all’interno della stazione impresenziata di Napoli Gianturco. Si tratta di un edificio di 700 metri quadri che ospiterà corsi di formazione, una biblioteca, aree espositive, un internet point, un centro per persone in difficoltà. Ci sarà anche il nuovo bar dello scalo, con prodotti del commercio equo solidale e inserimenti lavorativi protetti. Nel progetto sono stati coinvolti anche Comune e Regione, attraverso cui abbiamo ottenuto dei fon-

A tutti ritmo Hip hop e break dance protagoniste nella stazione di Mondovì

l’inchiesta

novembre 2014 scarp de’ tenis

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Binario giusto di europei. Sono convinto che questo luogo ha le potenzialità per diventare il cuore pulsante del quartiere. E, soprattutto, mi auguro che venga preso ad esempio, che diventi un modello replicabile anche altrove».

Le Ferrovie, infatti, sembrano intenzionate a proseguire sul binario percorso in questi anni. «Progetti come questo – conclude Torella – hanno ricadute positive non solo sulle associazioni o sui soggetti che questi enti raggiungono ma su tutta la cittadinanza.

Per noi, il terzo settore, soprattutto in un momento di crisi per il mercato immobiliare come quello che stiamo vivendo, è una risorsa assolutamente affidabile, spesso anche dal punto di vista commerciale».

E Ferrovie dello Stato, invece, che compagno di viaggio è per il no profit italiano? Assolutamente sorprendente, secondo De Stefano, molto lontano dagli stereotipi di lentezza e burocrazia che spesso accompagnano pezzi di enti pubblici.

«Sta facendo grossi sforzi per venirci incontro – conclude il presidente di Csv di Napoli – e, fino ad ora, non abbiamo avuto a che fare con quell’ottusa burocrazia contro cui spesso ci scontriamo in altri ambiti».

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Milano-Mortara, linea di so

Da San Cristoforo ad Abbiategrasso, da Corsico a Gaggiano: un viaggio tr Una sala d’aspetto, un casello, un magazzino e un intero scalo. Tutti impresenziati, abbandonati o degradati e tutti tornati a vivere. Tutti lungo i binari che uniscono il grigio della città al verde della campagna pavese. La Lombardia, insieme all’Emilia Romagna, è una delle regioni in cui si concentra il maggior numero di stazioni “rigenerate” in Italia e la Milano-Mortara è una linea ricca di luoghi e storie da scoprire.

La stazione di San Cristoforo, per esempio, dal 2012, si è trasformata nel magazzino dell’Unitalsi. Al suo interno si preparano i treni speciali che ogni anno portano oltre 2 mila malati in pellegrinaggio a Lourdes. Ad Abbiategrasso, dall’altro capo della linea, invece, si organizza La Terra Trema, una fiera enogastronomica riconosciuta in Italia e Europa, realizzata in autogestione, senza sponsor, né patrocini,

16. scarp de’ tenis novembre 2014

negli storici spazi del Leoncavallo di Milano. È l’evento principale di un progetto più ampio di agricoltura a filiera corta ed è nata nei locali dell’ex casello ferroviario, diventato, a fine 2000, il centro sociale Folletto 25603, come i chilometri di binari che lo separano da Milano.

«All’epoca – racconta Paolo, uno dei ragazzi che da allora è parte del progetto – il casello era in stato di totale abbandono, malfamato e sporco. Noi l’abbiamo rimesso in sesto e ne abbiamo fatto uno spazio di aggregazione».

Dall’attenzione per il cibo e l’ambiente alla passione per l’arte e il riciclo il passo è breve. Meno di venti chilometri, quelli che separano Abbiategrasso dalla stazione di Corsico. Qui, nell’ex magazzino merci aveva trovato casa il

l’inchiesta

La ricerca

Euricse: «Risultati incoraggianti: ora serve un salto di qualità» «Si impegna, è bravo, ma potrebbe dare di più». Se proprio si vedesse costretto a dare una pagella, potrebbe essere questo, in sintesi, il giudizio che Flaviano Zandonai darebbe al progetto delle stazioni rigenerate. Il ricercatore di Euricse ha curato un rapporto dedicato a queste esperienze, “numerose e variegate”, generatrici di “coesione sociale”, ma ancora prive di “una politica nazionale e locale in grado di mettere a sistema l’innovazione sperimentata sul campo”.

Circolo Arci Musica, cibo, cultura e socialità.

La ricetta vincente de La Lo.co. di OSnago

ocialità

ra le stazioni “rigenerate” Gheroartè. Nato grazie a un corso Ue nel 1999, è stato fino a pochi mesi fa un vivace centro culturale, un luogo per mostre e spettacoli, concerti e laboratori, dalla tessitura al mosaico, dalla pittura alla cartapesta. Poi, i gestori hanno iniziato a sentire la fatica e, complice l’apertura della nuova stazione, hanno deciso di non rinnovare il comodato con Fs. Lasceranno lo spazio a fine mese, in attesa che qualcuno raccolga la loro eredità.

Chi invece non ha nessuna voglia di mollare è Ezio, un attivo pensionato di Gaggiano. Non fa più il pendolare, ma alla stazione continua ad andarci praticamente ogni giorno. È un volontario della cooperativa Terra e Cielo, che nei locali dello scalo ha aperto da oltre un

Zandonai, i protocolli firmati da Fs con Legambiente, Aitr, Legacoopsociali e Csvnet lo scorso anno non vanno in questa direzione?

In parte sì. Fino ad ora, però, la maggior parte dei progetti si è affidata all’intraprendenza e alla fantasia delle singole organizzazioni. Per aiutarle si potrebbe fornire loro maggiore sostegno, non solo economico, ma anche a livello di esperienza e competenze. Consorzi o enti come i Centri servizi di volontariato potrebbero trovare molto spazio.

La questione dei fondi però rimane cruciale, soprattutto quando le stazioni richiedono degli interventi importanti per poter cambiare la loro destinazione d’uso…

Senza dubbio. Per questo, servirebbe un sistema che unisca sovvenzioni a fondo perduto a veri e propri investimenti a sostegno di questi enti.

Considerato che esiste un’ampia base di esperienze positive, quello delle stazioni è un ambito all’interno del quale si potrebbero sperimentare nuove soluzioni di finanziamento per il no profit. Magari guardando all’estero, nel Regno Unito, per esempio, dove la rigenerazione è prassi consolidata non solo per le stazioni.

E, in questo quadro, Fs che ruolo gioca?

Finora le Ferrovie hanno sostanzialmente fatto filantropia. Potrebbero, invece, iniziare a incoraggiare un utilizzo degli spazi più dinamico, stimolando la crescita di tutta una serie di attività economiche autosostenibili. I bar e le biglietterie degli scali sono esempi che già esistono, ma restano poco incentivati. Fs potrebbe sostenere maggiormente lo sviluppo dell’impresa sociale, magari mettendo anche sul piatto delle risorse proprie con la consapevolezza che, spesso, al rischio d’impresa seguono poi anche profitti.

Le istituzioni, invece, cosa dovrebbero fare?

Dovrebbero svolgere compiti di indirizzo, capendo che le stazioni non sono locali buoni solo per diventare sedi di associazioni, ma potenziali presidi di welfare territoriale e motori di sviluppo locale. Anche perché se, come pare, la riforma del Terzo settore assegnerà al no profit una parte del patrimonio degli edifici pubblici, bisognerà farsi trovare pronti e non trasformare un’opportunità in un problema. Quello delle stazioni è un bagaglio di conoscenze prezioso.

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Binario giusto

decennio una bottega del commercio equo e solidale.

Una bottega che offre servizi «Gli ultimi anni di lavoro, i ferrovieri non c’erano già più – ricorda – e la stazione ne aveva risentito. Si andava in fondo al binario, la mattina, per scorgere i convogli in lontananza, nella nebbia, e capire se si sarebbero fermati al primo o al secondo. La sala d’aspetto, dopo diversi atti di vandalismo era stata chiusa».

Oggi invece c’è la bottega, aperta praticamente tutti i giorni da una quindicina di volontari. Al suo interno, tra un guaranito sudamericano e un pacco di pasta di Libera Terra, trovano posto anche la macchinetta del caffè, il terminale per i biglietti e la classica obliteratrice gialla, restaurata e personalizzata con degli adesivi fairtrade. «Con la crisi, gli affari non vanno benissimo», – confessa Ezio. La cooperativa, però, resiste. È sostenibile, grazie all’impegno di persone come lui e alla sede ottenuta in comodato gratuito. «Non paghiamo nulla, nemmeno luce e acqua, ma in cambio teniamo a posto la stazione, presidiamo il luogo e forniamo un servizio ai pendolari».

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Sapori da tutto il mondo Ezio nella bottega equo solidale sorta nella stazione di Gaggiano

Qui Cornigliano

Una mensa da 20 mila pasti all’anno. In stazione

«Cornigliano, stazione di Cornigliano». A Genova, la delegazione di Cornigliano, nel primo ponente della città, ha una storia tutta sua. Le cartoline di fine Ottocento mostrano ancora una splendida località balneare, residenze di principi, ville nobiliari, il castello Raggio sullo sfondo. Poi la grande industrializzazione – Ansaldo, Italsider, Ilva – cambia completamente lo scenario: porta il bene del lavoro ad una popolazione che cresce in modo esponenziale, ma inghiotte il mare e semina polveri che non si fermano certamente davanti alle finestre chiuse. Oggi, una nuova trasformazione è in atto: il territorio è al centro di importanti rinnovamenti, la città cerca di capovolgere il limite imposto dalla crisi della siderurgia in una risorsa per la riqualificazione urbana.

La stazione di Cornigliano, costruita in bello stile negli anni Trenta davanti agli stabilimenti balneari, ha seguito il flusso degli eventi: divenuta punto nevralgico per lo spostamento di migliaia di viaggiatori, tra lavoratori pendolari e nuovi residenti, oggi è consegnata ad un ruolo di secondo piano: non più una “vera” stazione ma una semplice “fermata”, seppure molto apprezzata nell’ambito della mobilità urbana genovese.

In questo quadro, però, entra in scena “Soleluna Onlus”, associazione nata nel 2002 da un gruppo di volontari attivi nella distribuzione serale di cibi e vivande alle persone senza

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dimora. «Dopo alcuni anni di servizio su strada – spiega Marco Girella – eravamo alla ricerca di una struttura in cui realizzare accoglienza in condizioni di maggiore dignità e comfort. Nel 2004 abbiamo trovato disponibilità nelle Ferrovie, che ci hanno concesso in comodato d’uso un appartamento dentro la stazione di Cornigliano. Lo abbiamo completamente ristrutturato, grazie al contributo di Carige e delle istituzioni cittadine».

Per la stazione comincia una nuova vita, con quel tanto di carica simbolica che dai locomotori e dai vagoni si trasferisce agli uomini e alla città: “riparte” un luogo sotto l’impulso della solidarietà, fermata per persone gravemente emarginate in cui sostare, riprendere il viaggio e, se possibile, decidere di cambiare destinazione.

«Abbiamo ricavato una sala mensa da 60 posti aperta sei sere la settimana, una cucina, locali accessori e servizi igienici.

Distribuiamo circa 20 mila pasti all’anno. Siamo 120 volontari.

Provvediamo anche alla pulizia degli spazi esterni della stazione, perché crediamo che il servizio che prestiamo si debba inserire nello sforzo che questo quartiere sta compiendo per recuperare l’integrazione sociale ed urbana».

Le cose funzionano e, dopo pochi anni, Ferrovie decide di raddoppiare i locali messi a disposizione dell’associazione:

l’inchiesta

Qui Osnago

Un circolo da 1.600 soci: luogo che crea incontro

Cibo e binari Volontarie all’opera nella mensa nata nella stazione di Cornigliano

Soleluna allora ristruttura e nascono anche un servizio docce, uno studio medico e uno odontoiatrico. Il tutto anche con i contributi di enti di solidarietà e di aziende. Tra cui vale la pena citare Ansaldo Energia. Attraverso trasformazioni (e le storiche contraddizioni) di Cornigliano e della sua Stazione, è un binario che continua, ma sullo scambio giusto.

Una stazione con 1.600 soci. È quella di Osnago, un paese di 4.500 abitanti in provincia di Lecco dove, dal 2011, i locali dello scalo posto sulla linea Monza-Lecco sono stati affidati al circolo Arci La Lo.Co. Con ottimi risultati. «Nel panorama nazionale, si tratta di un’esperienza estremamente interessante – spiega Flaviano Zandonai che ha analizzato il progetto per un rapporto di Euricse – perché coinvolge la cittadinanza. Ha una dimensione comunitaria allargata, fa proposte culturali e formative, ma al tempo stesso le coniuga con una sana dimensione di mercato che mantiene la stazione viva anche dal punto di vista economico». La Lo.Co, che ha ottenuto in comodato la struttura per nove anni di comune intesa con l’amministrazione cittadina, ha ristrutturato e ampliato la stazione a proprie spese e la fa vivere tutta settimana, grazie all’impegno dei soci pensionati durante il giorno e a quello di giovani e lavoratori la sera. La sala d’aspetto è ovviamente aperta a tutti, mentre per accedere al punto ristoro e alle varie attività del circolo è necessaria la tessera Arci. Ma, fanno sapere da La Lo.Co., le adesioni sono in crescita.

In effetti, per essere in un piccolo centro di provincia, l’offerta culturale, ricreativa e formativa del circolo-stazione (o della stazione-circolo) è ampia. Si va dai concerti alle mostre, dal knit cafè (un appuntamento settimanale per lavorare a maglia) ai pranzi sociali, dall’aperitivo in lingua inglese ai corsi pomeridiani. Senza contare il Gruppo di acquisto solidale o le postazioni di co-working. Ce n’è per i gusti e gli interessi di tutti i soci, dai sedici agli ottant’anni.

Ma non mancano i benefici anche per pendolari e viaggiatori. A disposizione di tutti ci sono una connessione internet wi-fi e uno spazio per il bookcrossing (lo scambio gratuito di libri), mentre sono stati inaugurati lo scorso anno un servizio di custodia, riparazione, noleggio biciclette e uno spazio giochi per i più piccoli. «Se nel 1991 era la Cenerentola della linea, ora non lo è più» disse in quell’occasione il sindaco di Osnago, ricordando il periodo in cui la fermata rischiava la soppressione. Oggi, invece, sostengono con orgoglio gli abitanti, la “loro” stazione è diventata punto di riferimento anche per centinaia di pendolari dei paesi vicini.

Info www.arcilaloco.org novembre 2014 scarp de’ tenis

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Viaggio di Scarp a Copenaghen alla scoperta dei progetti di inserimento lavorativo per le persone che si trovano in difficoltà

La sfida danese di Caterina Corrias Si chiama See Light il progetto europeo, finanziato dal programma Grundtvig, che sovvenziona visite di scambio nei paesi partner con l’obiettivo di arricchire le competenze di operatori e volontari che si occupano dell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, condividere buone prassi di imprenditorialità sociale, migliorando così gli strumenti e i servizi a supporto di chi si trova in difficoltà. Capofila del progetto è la Caritas di Vilnius, in Lituania (Vilniaus arkivyskupijos caritas socialiniai projektai), mentre i partner sono Caritas Ambrosiana, il servizio pubblico danese per senza dimora Aktivitetscentret Sundholm, due Caritas della Repubblica Ceca (Charita Opava e Charita Sv. Alexandra), la federazione spagnola Red Artemisa e l’organizzazione no profit inglese St Mungo’s Broadway. In queste pagine vi raccontiamo tre interessanti iniziative sociali sei anni della sua vita è rimasto senza realizzate dal no profit e dall’amminicasa, con la fortuna di essere sempre strazione comunale di Copenhagen, in ospitato da amici o parenti, mai per Danimarca. strada. Oggi è il manager responsabile *** delle vendite del giornale, ma anche teHus Forbi letteralmente significa “senza rapeuta per vittime di abuso, educatore più casa”, ma è anche un gioco di paroe massaggiatore. le che in danese suona come “lavarsene «Il progetto è nato nel 1996 sul mole mani” o “non è affar mio”. Non è solo dello dell’inglese The Big Issue – racconun giornale di strada, è il primo mensile ta –, modello che ha ispirato molte iniin Danimarca per numero di copie venziative simili in tutto il mondo. L’inizio è dute. Incontriamo Jimmy Rohde nella stato lento e faticoso: siamo partiti grazie redazione di Copenaghen. Lavora con i un finanziamento pubblico con tre nusenza dimora da 28 anni e lui stesso per

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meri all’anno stampati in 45 mila copie.

Oggi usciamo ogni mese, stampiamo 100 mila copie e ne vendiamo tra le 80 e le 85 mila in tutta la Danimarca, compresa la Groenlandia, con un fatturato pari a circa 3 milioni di euro. Raggiungiamo 500 mila lettori, quasi uno su dieci dei 5,6 milioni di Danesi».

Un giornale indipendente Hus Forbi è diventato economicamente sostenibile e indipendente grazie agli introiti derivanti dalle vendite e dalle (pochissime) pubblicità. L’indipendenza è una caratteristica a cui il giornale tiene molto: dal 2006 non hanno più finanziamenti pubblici e questo li rende liberi politicamente, né sono costretti ad accettare tutte le pubblicità che gli propongono, ma possono selezionare le imprese in base al loro comportamento etico e sociale. «Il giornale oggi può contare su uno staff di sei persone – continua Rohde – incluso l’editor e l’ammini-

lo speciale Collaborazione pubblico-privato A sinistra la sede di Hus Forbi a Copenaghen.

A destra parte della produzione di miele di città ad opera della cooperativa sociale Bybi

Il progetto

Bybi produce miele in città: «Diamo lavoro a 10 persone»

strazione, collabora con 20 freelance, spesso giornalisti di altre testate danesi.

Ma il suo cuore sono gli oltre 2 mila venditori che raggiungono ogni angolo della Danimarca, persino all’interno di ospedali e prigioni. Alcuni vendono solo saltuariamente, 900 sono attivi tutti i giorni, tutti sono persone senza dimora oppure ex senza dimora che hanno sofferto di una grave emarginazione. Acquistano le copie del giornale alla metà del prezzo di copertina (20 corone danesi, circa 3 euro) e lo rivendono per strada vestiti di tutto punto con la divisa fornita dal giornale in versione estiva e invernale, completa di scarponcini impermeabili e cappellino».

La redazione, una famiglia In sede, oltre ai vestiti i venditori possono ricevere un pasto caldo e accedere a visite mediche un paio di volte a settimana. Ma non vengono trattati come persone assistite, bensì come veri e propri lavoratori professionisti. «L’identità è importante, aiuta a creare un senso di normalità – spiega ancora Rohde –. Sono introdotti al mestiere da colleghi con maggior esperienza, i mentor, ricchi di consigli utili su come scegliere un buon posto e come approcciare i clienti. Questi vengono eletti ogni sei mesi nell’assemblea che riunisce mensilmente tutti i venditori e contribuisce alle decisioni del giornale. I clienti migliori? L’85% sono donne». Dal 2007 Hus Forbi produce anche un calendario, che i venditori comprano a 20 corone e rivendono a 50 (poco meno di 7 euro).

La rivista tratta gli argomenti più diversi, ma soprattutto temi politici e sociali. La storia di copertina di questo mese tratta la difficoltà di chi non può permettersi di comprare le medicine, con un’intervista al ministro della salute. Il mese prossimo uscirà l’intervista alla protagonista di “The Killing” (serie tv danese che ha riscosso successo in tutto il mondo), che ha interpretato una ragazza homeless e per prepararsi ha incontrato alcuni venditori nella sede del giornale.

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L’estate è ormai finita e gli apicoltori della cooperativa sociale Bybi (che significa “ape di città”) hanno concluso la raccolta del miele.

Quest’anno hanno stabilito un nuovo record, con quasi 5 tonnellate di miele prodotto nella città di Copenaghen. Ora le api stanno raccogliendo l’ultimo polline e si preparano al letargo invernale.

L’iniziativa è nata 4 anni fa da un’idea di Oliver Maxwell, direttore del progetto, ispirato dalla conferenza sul clima tenutasi nella capitale danese nel 2009. Oggi ci lavorano 10 persone e una squadra di apprendisti e operatori volontari, oltre a più di 10 milioni di api. Tra gli apprendisti, molti sono disoccupati di lungo periodo, senza dimora, richiedenti asilo o persone affette da dipendenza da droghe o alcol, che qui imparano a prendersi cura delle api, a raccogliere il miele e a produrre le candele con la cera.

Anette Larsen, assistente apicoltrice che si occupa anche delle visite al progetto, ci mostra alcune arnie, tra le 150 che la cooperativa ha posizionato in città sui tetti di alcune imprese private che supportano l’iniziativa. Ce ne sono alcune anche sul tetto del Comune. Lei lavora a Bybi dal 2013, dopo essere stata homeless per un breve periodo della sua vita.

Adesso ha una casa, il lavoro e molte speranze per il futuro.

Qualcuno potrebbe preoccuparsi del fatto che le città sono troppo inquinate, ma per assurdo sono meno pericolose per le api rispetto alla campagna, dove insetticidi e pesticidi sono utilizzati spesso intensivamente nelle aree agricole. In ogni caso, le api trattengono tutto l’inquinamento nei loro corpi, mentre il miele che producono è sempre puro e privo di sostanze inquinanti. Per questo sono così sensibili alle sostanze chimiche e oggi assistiamo ad un pericoloso declino della popolazione di questi preziosi insetti in tutto il mondo, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa.

Imparare a prendersi cura delle api è una questione, come si suol dire, di vita o di morte. Le api rappresentano infatti una forza lavoro immensa, che impollina il 75% delle piante che coltiviamo e che promuove la biodiversità.

Progetti come Bybi diventano quindi particolarmente importanti anche per educare le persone. «Crediamo di poter imparare molto dalle api, non solo dalla loro rinomata capacità di lavorare e produrre insieme, ma anche dalla loro attitudine a condividere e ad occuparsi del proprio futuro». novembre 2014 scarp de’ tenis

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Ferro Comunicazionedesign

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lla a solidarietà solidarietà h ha au una na c carta piÚ arta iin np iÚ Se paghi la tua spesa alla Coop con car ta Equa dai un contributo corrispondente all’1% del valore della spesa a un fondo gestito da Caritas Ambrosiana, che ser ve ad aiutare persone bisognose.

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La storia

Visite guidate alla città proibita: la sfida vincente di “voci di strada” Vesterbro è il distretto a luci rosse di Copenaghen, centro dello spaccio di droga, della ricettazione e della prostituzione in città. Martin Fernandes ci accompagna alla scoperta dei suoi segreti nell’ambito del progetto Gadensstemmer “Voci di strada”.

L’iniziativa è nata nel 2010 come un progetto finanziato con fondi pubblici e privati promosso dalla ong Projekt Udenfor, ispirati da un’impresa simile a Bruxelles che offriva tour guidati in cui homeless, persone emarginate e tossicodipendenti presentavano la loro storia e la “loro” città. Un anno dopo il progetto è stato inserito nello schema di pubblico impiego che offre opportunità lavorative a chi ne ha bisogno, gestito dal Comune di Copenaghen. Dal 2013 è diventata un’impresa sociale indipendente finalizzata all’inserimento lavorativo, con un fatturato di circa 70 mila euro.

Oggi dà lavoro a sette guide e riceve ancora fondi dal Comune, ma aspira alla piena sostenibilità economica.

Martin, una guida speciale Martin è una guida da poco più di sei mesi. Ci racconta Vesterbro in tutta la sua durezza, e allo stesso tempo ci racconta la sua vita, di «come ha usato Vesterbro e di come Vesterbro ha usato lui». È una storia di tossicodipendenza, droga e crimine organizzato.

Nato da padre portoghese, fuggito in Danimarca dalla dittatura di Salazar, e da madre danese, fin dall’infanzia inizia a sperimentare il fascino del crimine quando guadagna il rispetto dei suoi coetanei per non aver fatto la spia dopo essere stato scoperto durante un atto vandalico a scuola. In seconda superiore prova per la prima volta la cocaina: «Copiavamo quello che vedevamo nei film americani e ci sentivamo cool». Per un periodo è riuscito a mantenere una vita quasi normale, mentendo alla sua famiglia e iscrivendosi all’università. Già all’età di 20 anni aveva però bisogno di dosi sempre maggiori di cocaina e per

Arte contemporanea L’ingresso del Copenaghen museum a Vesterbro

trovare i soldi ha iniziato a venderla, prima ai suoi amici e poi ad un mercato più ampio. «Improvvisamente avevo vestiti firmati, una macchina, tante ragazze e il rispetto della gente».

Martin fa carriera nella criminalità organizzata di Copenaghen, compra un ristorante e inizia a girare con la pistola.

Nel frattempo diventa sempre più paranoico – un altro effetto tipico della cocaina – e abbandona l’università.

Entra un paio di volte in un centro di riabilitazione, ma più per mettere a tacere la propria famiglia che per vera convinzione. Nel frattempo si innamora di una ragazza, però, dice, «amavo di più la cocaina». Tant’è vero che, quando lei muore di overdose, non vive veramente il lutto e nasconde ogni reazione dietro altra droga. Oggi, invece, ha incubi su di lei quasi ogni notte.

Poi, un giorno, la svolta: si innamora di una ragazza che non fa uso di droghe e che, quando si accorge della sua dipendenza, lo lascia. La madre e il padre (separati da tempo) si rifiutano di vederlo persino a Natale; incontra una terapista molto brava che riesce a “guardargli dentro” e rivede i suoi amici

di infanzia, che gli offrono aiuto.

«Sono stato molto fortunato». Così è uscito dalla gang di cui faceva parte pagandoli con tutto ciò che aveva (compresa la macchina e il ristorante), si è fatto rimuovere tutti i tatuaggi e ha iniziato un percorso di cura.

Nell’aprile 2014 viene a conoscenza del progetto “Voci di Strada” e decide di mettere a frutto la propria esperienza di vita e i suoi studi in storia.

Oggi è pulito da due anni, ha ripreso l’università (si laureerà il prossimo gennaio) e ha già fatto da cicerone in 40 tour guidati di Vesterbro. «Alcuni giorni sono paralizzato dai sensi di colpa e dall’ansia, ma non dovete aver compassione di me, ho fatto scelte sbagliate e adesso ne pago il prezzo. Le cose che ho fatto sono parte di me e devo convivere con i miei incubi».

Se passate da Copenaghen e volete uscire dai soliti giri turistici visitate il sito www.gadensstemmer.dk Il costo di un tour guidato è di circa 16 euro a persona tra i 200 e i 400 euro per i gruppi.

Per i gruppi scrivere a: booking@gadensstemmer.dk novembre 2014 scarp de’ tenis

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Ovale oltre le sbarre: la mèta, la vita Si chiama La Drola la strana squadra di rugby nata nel carcere Le Vallette di Torino

di Daniela Palumbo La Drola in dialetto piemontese significa la strana. Strana squadra, La Drola. Per tanti motivi. Innanzitutto perché è fatta interamente, prima in Italia, di detenuti del carcere torinese Le Vallette, l’Istituto penitenziario Lorusso e Cutugno.

Poi perché qualcuno ha pensato a “curare” il disagio con uno sport ancora considerato minore, il rugby, in un Paese che ormai ha più commissari tecnici di calcio che lavoratori. La Drola, infine, è una strana squadra di rugby perché nessuno dei giocatori, pochi mesi prima del debutto, aveva mai giocato a rugby, né mai aveva conosciuto le regole, né tantomeno aveva mai visto una partita. Eppure dal 2011 (anno in cui è cominciata l’avventura) La Drola ha fatto talmente bene che oggi disputa un campionato federale. Attualmente infatti la squadra è in serie C Territoriale piemontese. L’anno scorso i rugbisti de La Drola sono arrivati quarti nel campionato. Dodici partite vinte e otto perse. Davanti a loro sono arrivate solo le squadre finite ai playoff. Ma tanto loro i playoff mica li avrebbero potuti giocare. Non possono nemmeno essere promossi per dirla tutta. Perché non hanno la possibilità di giocare fuori. I giocatori de La Drola possono giocare solo in casa – chiamiamola casa –, ovvero dentro il carcere di Torino. Per questo Gughi Fassino, fotografo e videomaker, per raccontare la storia di questi ragazzi e di questi uomini, ha girato il suo docufilm, “Liberi a meta(‘)”, scritto con Sara Benedetti, tutto dentro il carcere di Torino.

Ovale oltre le spalle «Era da tempo che volevo fare un docufilm sui carcerati – racconta il regista torinese –. L’occasione è arrivata per un servizio che ho fatto per Sportweek. Sono entrato nella sezione Arcobaleno del carcere di Torino. Qui possono andare a vivere i carcerati che, per i benefici di legge, hanno la possibilità di accedere a programmi particolari. All’Arcobaleno ce ne sono tre: uno per il recupero di chi è tossicodipendente, nel secondo puoi fare l’Università e nel terzo c’è il rugby. Il terzo lo ha inventato e curato tutto Rista, piemontese vecchio stampo, un si-

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gnore di altri tempi, ex campione azzurro di rugby. Grazie anche alla onlus “Ovale oltre le sbarre” (ovaleoltrelesbarre.org), che nasce nel maggio 2010 con l’obiettivo di perseguire attraverso il gioco del rugby il recupero fisico, sociale ed educativo di detenuti e giovani disagiati. Il presidente è sempre Walter Rista, l’ha fondata lui. L’incontro con Walter è stato decisivo, mi sono subito innamorato del suo progetto» Il figlio di Walter, Stefano, allena i dete-

nuti. Non è stato facile farli giocare facendogli capire che il rugby non è quel gioco di ammucchiate feroci dove si menano le mani, ma richiede regole rigide e severe, e la meta, il placcaggio e la touche devono essere fatti a regola d’arte: può essere tralasciata l’arte ma le regole no.

“Liberi a meta(‘)” racconta, non senza una bella leggerezza, la storia di trentacinque detenuti e un allenatore, cinque giorni di allenamenti alla settimana e il sabato la partita. Con il rugby hanno iniziato in primavera ma in autunno la squadra non c’è ancora. Ognuno gioca per sé, senza regole. I mesi scorrono e i giocatori e detenuti, chiusi tra un passato pesante e un futuro difficile da immaginare, raccontano, stringono legami, si scontrano. In campo però, settimana dopo settimana, il gioco migliora, i rapporti si saldano, fino a che la speranza della libertà si fonde con le vittorie che cominciano ad arrivare. E arriva anche la solidarietà fra i detenuti, la certezza che la vittoria arriva quando il gioco è di squadra, lo ripete spesso Walter Rista.

La Drola, dalla primavera del 2011, non si è più fermata e oggi non si limita ad avere in dotazione 27 giocatori (in una squadra di rugby giocano 15 giocatori) di cui 9 italiani e il resto stranieri, ma in futuro potrà contare sugli elementi più interessanti che verranno selezionati tra altre quattro case circondariali piemontesi: Asti, Saluzzo e le due di Alessandria.

Segno che il progetto funziona. E qualcuno a Bologna sta copiando l’idea, nascerà infatti una squadra di rugby anche dentro il carcere di Dozza.

Le storie dei rugbisti che sono rimaste impresse a Gughi sono tante. Due in

la storia

particolare, vengono dall’est. Marius, nome di fantasia, ha 24 anni. Arriva dai confini più vicini e tormentati dalla povertà.

Marius e Spartak, atleti in cella «È vero che facciamo i viaggi da voi per rubare e portare qualcosa a casa – gli raccontava Marius a Gughi durante la lavorazione del film – ma adesso i giudici italiani sono diventati feroci. Insieme al reato con scasso ti affibbiano il reato di ricettazione perché con quello ti possono dare più anni di carcere. Mi avevano già preso per furto con scasso qui in Italia ma in fondo il rischio valeva la candela perché in carcere da voi, almeno mangiamo. Qualche mese e ritornavamo a casa. L’ultima volta ho rubato con un camion in un negozio di biciclette. Venti biciclette. Mi hanno ripreso. Il giudice in tribunale mi ha dato il reato di ricettazione perché, secondo lui, avevo comprato il camion rubato da un amico. No, gli ho detto io, io il camion non l’ho comprato, l’ho rubato.

Ma tanto mi ha dato lo stesso ricettazione, tre anni e mezzo qui dentro» Oppure, ancora un nome di fantasia: Spartak, albanese. Il padre insegna all’Università e la madre è un pezzo

La palla ovale che libera Una bella immagine dello spogliatoio de La Drola, la squadra di rugby del carcere Le Vallette di Torino.

A sinistra la locandina di Liberi a meta(’) il docufilm di Gughi Fassino che racconta la storia della squadra

grosso di un Ministero. Spartak è intelligentissimo – racconta Gughi – conosce 12 lingue, ha studiato negli Stati Uniti e poi c’è rimasto. Aveva un lavoro da manager, guadagnava molto. Ogni anno ospitava un suo connazionale, un ragazzo paraplegico sulla carrozzina. Gli regalava le vacanze negli Stati Uniti. Per Spartak era un modo per restare legato al suo popolo. Poi lo riaccompagnava e facevano il viaggio insieme. Con qualche deviazione per vedere più cose possibili. Per tanti anni così. Un giorno li fermano alla frontiera italiana e Spartak scopre che la carrozzina del suo amico è imbottita di cocaina. Spartak si prende 12 anni. Sono sicuro che è innocente e che l’amico paraplegico l’ha fregato.

Non solo perché non avrebbe avuto nessun motivo per far credere a me che

lo fosse, ma anche per altre due ragioni: se fosse stato lui il mandante non avrebbe rischiato e avrebbe mandato qualcun altro con il suo amico. Se avesse fatto il viaggio con la coca per conto di un terzo non gli sarebbe convenuto perché quanto gli avrebbe fruttato quel viaggio con coca lui lo guadagnava in due mesi con il suo stipendio. Adesso Spartak è uscito, dopo sette anni, è ai domiciliari per buona condotta, siccome parla 12 lingue lo fanno lavorare al Comune di Torino, agli uffici per gli esteri».

Gughi Fassino adesso sta lavorando a un altro progetto di documentario, anche se: «Non ci mangi con queste cose qui. Sono belle, spesso si produce cultura e qualità ma vanno poco in giro e li vedono in pochi. In Italia manca la cultura del documentario, non siamo in Francia che per gli artisti che non lavorano c’è un fondo dello Stato». “Liberi a meta(’) è passato in Rai e il 17 novembre sarà proiettato in Cascina Cuccagna, a Milano.

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Chi fosse interessato alla proiezione del docufilm può scrivere regista: gughi.fassino@gmail.com.

Link al trailer: https://vimeo.com/40151910. novembre 2014 scarp de’ tenis

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Condividere gli spazi pur facendo lavori diversi: per risparmiare, certo, ma anche per continuare a coltivare contatti e relazioni

Coworking, l’ufficio zero stress di Alberto Rizzardi All’estero è una realtà consolidata già da tempo. In Italia sta pian piano prendendo piede, complice la crisi in atto che, da un lato, impone un’ottimizzazione dei costi per risparmiare il più possibile e, dall’altro, invita a riscoprire il contatto e le relazioni con gli altri per sentirsi meno soli e darsi una mano. Parliamo del coworking, ovvero della condivisione di un medesimo spazio lavorativo da parte di professionisti che mantengono in molti casi attività indipendenti e diverse tra loro. L’Italia è sempre più un Paese fondato sul telelavoro: sarà la crisi, saranno le aziende che ci marciano un po’ sopra, sta di fatto che negli ultimi anni si è allargata a macchia d’olio la famiglia di professionisti che ogni mattina si alzano, fanno colazione e (non) escono di casa per andare al lavoro; perché il lavoro è a con nessuno, se non tramite un’e-mail casa. Inizialmente la cosa riguardava i o una conversazione via Skype. Che liberi professionisti; ora tocca anche a non è proprio la stessa cosa. consulenti, impiegati d’azienda e imprenditori. «Bello» direte voi: niente Conciliare famiglia e lavoro seccature con i colleghi, niente ore perC’è sicuramente tutto questo dietro alse in coda in auto o in interminabili la diffusione del coworking in Italia. Ma viaggi in treno, niente panini tranguc’è anche dell’altro: la volontà di una digiati in tutta fretta. Già, ma c’è anche il versa e migliore conciliazione tra vita e rovescio della medaglia: il rischio di lavoro, dando il giusto peso alla sfera alienazione, di perdere quelle normali professionale, che di questi tempi è da relazioni tipiche di un ambiente di labenedire per il solo fatto di esserci, ma voro. Chi lavora da casa lo fa anche per riscoprendo anche il piacere di dedicadieci, dodici ore al giorno e, magari, al re del tempo a sé e agli altri. termine della giornata non ha parlato Secondo una ricerca dell’Osserva-

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torio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, lo smart working, ovvero un approccio innovativo all’organizzazione del lavoro caratterizzato da flessibilità e autonomia di spazi, orari e strumenti, sta facendo lentamente breccia nel cuore di aziende e lavoratori: dai dati dell’indagine, condotta su 230 executive di 211 aziende medio-grandi, il 67% delle aziende ha già attivato iniziative in questa direzione, anche se soltanto l’8% adotta realmente un modello di smart working. Sul fronte lavoratori, la metà degli intervistati ha dichiarato di lavorare già in mobilità all’esterno dell’ufficio (anche se, in molti casi, per periodi limitati di tempo), con un 27% che lavora da casa. Iniziano a farsi strada altre modalità di lavoro in spazi di coworking (19%) e luoghi pubblici come bar e biblioteche (16%); ma appena 2 lavoratori su 10 sarebbero pronti a diventare veri smart worker. Le cause? Soprattutto timori per la scarsa prevedibilità e pia-

lo speciale Milano

Piano C, servizio a mamme e papà: «Lavoro e figli crescono insieme»

nificabilità dell’attività e per il poco coinvolgimento nelle decisioni ai vertici. Insomma, di strada da fare ce n’è ancora parecchia, ma il percorso almeno è tracciato.

In Italia, da nord a sud, gli spazi di coworking si stanno moltiplicando. Gli esempi sono tanti e con diverse sfumature: dalle grandi città, come Milano e Roma, alle realtà più piccole. Due le parole d’ordine: creatività e voglia di cambiare l’approccio al lavoro, facendo rete e unendo spesso pubblico e privato.

In provincia più creatività E proprio nelle realtà più piccole la creatività incide molto di più. Nell’ambito dell’iniziativa “Progettare la parità 2014”, la Regione Lombardia ha stanziato contributi per il finanziamento di progetti legati alle pari opportunità e, nello specifico, riguardanti la conciliazione, le differenze di genere e le discriminazioni.

Uno dei 29 progetti vincitori è a Pavia, dove nel luglio scorso ha preso il via “Women in Coworking”, che vede coinvolti dieci partner di cui è capofila la sezione pavese della Federazione Italiana Laureate e Diplomate negli istituti superiori. Obiettivi: la realizzazione di un percorso in favore dell’autoimprenditorialità al femminile e la valorizzazione delle competenze professionali di lavoratrici autonome con necessità e problematiche di conciliazione vita-lavoro, attraverso l’uso gratuito di posta-

A Milano alla fine del 2012 è nato Piano C, società guidata da nove soci che ha l’obiettivo di partecipare alla creazione di una nuova organizzazione del lavoro, più a misura di vita e con una serie di servizi per mamme e papà. Il tema del disagio femminile di fronte all’attuale mondo del lavoro (anche se sarebbe più corretto invertire i fattori) è oggi al centro del dibattito perché i dati confermano che c’è ancora tanto da fare su questo tema. La Lombardia, per esempio, è solo al 13° posto tra le regioni italiane nell’indice di uguaglianza di genere della Banca d’Italia e il nostro Paese si piazza al 71° posto nel Global Gender Gap Index del World Economic Forum (97° per partecipazione socioeconomica): dato, quest’ultimo, andato peggiorando negli ultimi anni.

In questo contesto si è inserito Piano C, che è anche un’associazione non profit: «Siamo un’impresa a finalità sociale – precisa Riccarda Zezza, fondatrice e amministratrice unica di Piano C –. Sopra alle attività di coworking e agli altri servizi costruiamo un’attività consulenziale verso aziende e istituzioni con l’obiettivo di avere un impatto che vada oltre il mero spazio fisico».

Ma come è nata l’idea di Piano C? «Lavorando per anni in grandi aziende, anche all’estero – racconta Zezza – ho visto che mi venivano proposte due possibilità: il piano A, ovvero dedicarmi solo alla carriera, oppure il piano B, cioè avere anche dei figli e una famiglia ma dare molto meno dal punto di vista lavorativo. Mi è sembrato ingiusto e poco efficiente; quindi ho pensato a un piano C. Fisicamente il progetto è nato come uno spazio dove sperimentare un nuovo modo di lavorare: lo facciamo quotidianamente qui con il coworking e con una serie di servizi, ma esportiamo questo modello anche fuori, perché il nostro obiettivo è cambiare l’organizzazione del lavoro». Obiettivo ambizioso, ma che pare stia dando ottimi frutti.

Piano C non offre solo uno spazio lavorativo condiviso (19 postazioni di coworking e 6 sale per riunioni), ma anche una serie di servizi che definire accessori sarebbe errato, perché, di fatto, concorrono alla creazione di un diverso modo di lavorare: dai “servizi salva tempo” come spesa, lavanderia o cena take away al servizio cobaby, uno spazio-gioco con due sale dedicate ai bimbi da 3 mesi a 3 anni, sia figli di coworker che di esterni; passando per lo Skype corner, l’area relax con biblioteca per bookcrossing.

Un delizioso e vibrante laboratorio di idee per il lavoro del futuro da attuare, però, già nel presente.

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zioni di coworking e l’organizzazione di attività collaterali aperte a tutti.

«Il progetto prevede tre azioni principali – spiega Giulia Carlini di Spazio Geco –: la prima riguarda l’attivazione di servizi di coworking all’interno di Spazio Geco e Labora Coworking, due diversi coworking nati da poco a Pavia che hanno deciso di non farsi concorrenza ma di collaborare, condividendo la stessa idea di un diverso modo di lavorare. La seconda fase è partita a settembre e andrà avanti fino a fine anno: un ciclo di incontri pomeridiani dove donne imprenditrici e lavoratrici in diversi settori portano la loro testimonianza di conciliazione tra carriera e vita familiare. Organizziamo poi aperitivi di networking, ovvero occasioni d’incontro tra professionisti dalle quali possono nascere future sinergie e collaborazioni».

“Women in Coworking” è un progetto delle donne per le donne. Ma la conciliazione vita-lavoro è questione che interessa sempre più da vicino anche gli uomini. E il coworking, in questo senso, è una soluzione che pare migliorare la vita: facilita la comodità e la flessibilità lavorative, fa risparmiare qualche soldo, abbatte la paura di isolamento e alienazione dal mondo esterno di cui soffrono molti telelavoratori, favorendo nel contempo nuove forme di socialità. «La filosofia di base è che il coworking non sia uno spazio chiuso, dove uno trova solo un posto dove lavorare – spiega Alessandro Caliandro di Labora Coworking Sociale – ma un luogo dove si possono creare realmente dei progetti insieme ad altre persone, dentro o fuori lo spazio lavorativo». Una delle 8 professioniste selezionate dal progetto “Women in coworking” è Manuela, 28 anni, di professione scrittrice e traduttrice, che racconta la sua esperienza: «Il mio lavoro è molto bello ma a volte tende a isolarti dal resto del mondo, soprattutto in questa fase storica in cui le redazioni dei giornali o le case editrici tendono a esternalizzare i lavoro dei propri collaboratori. Questo fa perdere il contatto con altri che fanno il tuo lavoro o mestieri affini. Mi sto trovando bene qui: sono di buonumore e ho ricominciato a distinguere tra giornata e giornata lavorativa, cosa che non è sempre facile da fare».

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Roma

Aperto l’alveare di Centocelle: un ufficio con uno spazio baby

A Roma a fine settembre in zona Centocelle è stato inaugurato “L’alveare”, progetto dell’associazione Città delle Mamme, nata nel 2009 nella Capitale (ma con diversi affiliati in giro per l’Italia) per ideare e sviluppare progetti di sostegno alla genitorialità e, nel dettaglio, piccoli eventi dedicati alle neo mamme che consentissero loro di uscire dal frequente isolamento post partum. “L’alveare”, progetto vincitore nel 2013 del bando Call for social ideas promosso da Italia Camp e Unicredit, è uno spazio di 200 mq con 30 postazioni di lavoro, 2 uffici e una sala riunioni; con uno spazio baby, una cucina, un parcheggio e due giardini. Uno spazio lavorativo comune a disposizione di professionisti, associazioni, cooperative e aziende, ma anche a utenti interessati soltanto allo spazio baby. E, in più, come a Milano, una serie di iniziative e attività per promuovere un nuovo modello di lavoro, all’insegna della conciliazione e della tutela della genitorialità.

Chiunque può accedervi, con tariffe che partono da 3 euro l’ora e agevolazioni per chi usufruisce di più servizi contemporaneamente e per un tempo prolungato. Le aziende possono convenzionarsi con il coworking, offrendo alle dipendenti neomamme la possibilità di lavorare a distanza, con la formula del telelavoro, mentre i loro bambini sono in mani esperte, ma a pochi metri da loro: una soluzione ideale per favorire il rientro al lavoro fin dai primi mesi del bambino e già durante l’allattamento. Lo spazio viene poi sfruttato per l’organizzazione di corsi di formazione professionale, di orientamento al lavoro, di progettazione europea e di lingue, in collaborazione con enti formatori, cooperative sociali, istituti di lingue del territorio. Il tutto arricchito da una community per condividere le modalità lavorative, coprogettare servizi e attività, stimolare la creazione di sinergie e l’adozione di buone pratiche di cooperazione fra le diverse professionalità.

Anche qui ci sono i “servizi salvatempo”: spesa a domicilio, gruppi di acquisto solidale, ma anche disbrigo di pratiche, pranzi e cene take away, tintoria e stireria. Per uno spazio che vive anche fuori dall’orario di lavoro e nei fine settimana, a disposizione per presentazioni di libri, feste, riunioni di associazioni ed eventi vari. Il tutto con il coinvolgimento anche del Comune di Roma, che ha creduto nel progetto. novembre 2014 scarp de’ tenis

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Segni di speranza, dentro una canzone Sergio Cammariere non fa sconti: «Non possiamo lasciare da parte i nostri valori»

di Andrea Pedrinelli

Sono convinto che la funzione dell’artista sia quella di dare segni di speranza.

Alcuni brani del Cd nascono partendo dalle suggestioni della musica, altri dagli ideali che mi spingono a sottolineare valori e termini ben precisi. Che comunque è un dovere dire, se hai la fortuna di poter raggiungere tante persone 30. scarp de’ tenis novembre 2014

Lui li definisce di “operoso silenzio”, i tre anni trascorsi lontano dalle scene a separare il precedente album (intitolato semplicemente “Sergio Cammariere”) da questo appena uscito, “Mano nella mano”: undici inediti scritti con gli abituali compagni di viaggio (Kunstler, Casale), fra etnico, jazz e canzone d’autore, con le collaborazioni di Alfredo Paixao, da dell’oggi. Che per me si declina anAntonello Salis, Fabrizio Bosso, Roberto che in musica, ovviamente: per questo Taufic. E quando gli chiedi cosa signifiho inserito nel Cd sonorità africane. Sochi “operoso silenzio”, Sergio Cammano dentro un mio viaggio alla ricerca di riere sorride. «Significa che ho vissuto una espressività musicale che possa come fossi in un convento, a studiare giungere a chiunque, ed in Marocco ho pianoforte, a pensare le nuove compoapprofondito i riff “gnawa” scoperti lagsizioni e i loro suoni. Perché per me la giù. Mi hanno persino nominato loro musica è un modo di avvicinarmi al“collega”, i musicisti locali, da tanto mi l’Oltre, e per questo ne curo ogni dettasono appassionato a quei suoni. glio in modo maniacale. Poi, a dire la verità, ho anche viaggiato». Già: e proprio da questi viaggi, fra l’Andalusia e l’AfriMa quanto ha visto alle frontiere tra ca, partono le riflessioni centrali del Nord e Sud del mondo, corrisponde a nuovo lavoro del pianista-compositore quanto vediamo riportato dai telecalabrese, incentrato nei testi su una giornali? parola fondamentale quanto mai tropMannaggia a lei, che mi fa dire… Sepo detta, nell’oggi: condivisione. condo me c’è molto da capire, sulle frizioni religiose tra i due mondi. Io non le ho viste. E anche per questo, come artiChe cosa ha imparato dai suoi viagsta che ingrandisce la realtà nella cangi? zone, canto unità e non divisione.

Quando vedi l’Africa a due passi, come accade a Tarifa nel Sud della Spagna, capisci che il mondo è davvero unico, senMa in che modo Sergio Cammariere za confini: anche se complesso. Perché prova a fare solidarietà, oltre che cannon è solo il fatto che ti ricordi del dotarla? vere di essere fratelli con chi emigra sulPenso che la funzione dell’artista sia le nostre sponde; è un discorso di conquella di dare segni di speranza. E quinsapevolezza etica di certi valori, come di spero che il brano centrale del Cd, appunto la condivisione. Che compor“Ed ora”, diventi una sorta di inno. Un ta la solidarietà e fonda la pace. mio amico affetto da sclerosi multipla lo vorrebbe cantare in coro con altri malati, mentre un sogno mio è quello di Tutte faccende che lei canta nei brani del Cd, assieme alla gratuità del poterlo registrare con un coro di bamdonarsi agli altri… bini di tutte le razze, in tutte le lingue.

Nel disco non è stato possibile farlo, ma Beh, la gratuità vera è quella di Dio. Noi mi auguro di riuscirci presto. non saremo mai in grado di darci del tutto. Però fare un balzo verso l’altro, lasciare il certo per l’incerto, è un’altra sfiLei da sempre ha messo in musica

testimoni

anche il suo credo religioso. Quanto è scomodo, nello show business di oggi, essere credente?

A quindici anni cantavo nel coro il Vecchio Testamento, i Salmi, i profeti. Era un arricchimento, la musica mi portava oltre la realtà tangibile. Questa esperienza, questo coinvolgimento sono parte di me, non potrei rinunciarvi. E non mi importa se per qualcuno sono convinzioni scomode.

Ma lei si trova bene nella realtà della musica leggera italiana del 2014?

Mi sento giusto, del resto ho cinquant’anni e le mie certezze. E finché avrò voglia continuerò a proporre quanto mi fa vibrare, non altro. Certo sento il dovere di cantare i valori, quelli che si perdono tra reality e facebook, dove ci si stacca dalla vita reale e temo anche dalla ragione, alla fine. La mia missione etica da artista è dire invece proprio quei valori. E musicalmente continuo a guardare a Tenco, Paoli, Endrigo… Già a 19 anni, facendo pianobar all’Hotel Palace di Milano, pescavo in quel repertorio: perché è di classe.

Noi che siamo venuti dopo non abbiamo creato gioielli analoghi. Mi ricordo un aneddoto con il grandissimo Enzo

Credere nella solidarietà Sergio Cammariere non rinuncia mettere i propri valori nelle canzoni.

Nella foto a fianco la copertina del suo ultimo disco “Mano nella mano”

Jannacci. Ad inizio anni Duemila ci fu una serata in suo onore, e io eseguii “Passaggio a livello”, un pezzo dei suoi primissimi anni. Lui alla fine mi abbracciò e mi disse: “Mi hai fatto ricordare una cosa bella che ho scritto e che avevo dimenticato”. Ecco, i giovani non si devono dimenticare l’eredità di quei primi immensi cantautori, e noi abbiamo anche il compito di ricordargliela.

Ma Sergio Cammariere oggi è più vicino all’impegno o più vicino all’infinito, per citare il testo di una sua canzone nuova?

Quella canzone, “La vita ci vuole”, è molto Aznavour, a proposito di modelli certo non contemporanei ma decisivi.

Diciamo che sono a metà: tanto che alcuni brani nascono partendo dalle suggestioni della musica, altri dagli ideali che mi spingono a sottolineare valori e termini ben precisi. Che comunque è un dovere dire, se hai la fortuna di poter raggiungere tante persone.

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Tributo a Lauzi: «Un vero maestro» Tra i solchi del nuovo album di Cammariere c’è anche un delizioso brano intitolato “Io senza te, tu senza me”. L’artista l’ha ripreso dal repertorio di Bruno Lauzi, uno dei grandissimi della nostra scena.

«A Bruno devo tanto –, dice Cammariere –. Mi ha insegnato a tener duro, è stato prezioso quando veniva a casa mia negli anni Ottanta, per session vere e proprie con amici di ogni razza. Cantava a cappella “Autumn in New York”, suonavamo James Taylor, un giorno mi fece sentire “Io senza te, tu senza me”.

Quando se n’è andato, ha lasciato un disco capolavoro, “Cioccolatino” (in genovese “Ciocco” e “Latino” staccati significano “Sciocco Latino”, nda) al quale però manca questo pezzo. Mi sono sentito quasi obbligato a riprenderlo». Lauzi, un grande artista che è meno considerato dei vari De André, Gaber, Paoli… «Bruno era liberale, e tutti si iscrivevano al partito delle feste e delle piazze (il Pci, nda). I media non parlavano di lui apposta. Negli anni Novanta noi giovani suonavamo a Roma e veniva spesso. Un giorno Repubblica scrisse di me mettendo la sua foto, era in prima fila: mi telefonò subito. “Grazie a te mi citano dopo vent’anni” Aveva ragione, a protestare. Ha inventato il modo di essere autore in Italia».

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milano I ragazzi speciali del centro diurno della “Cardinal Colombo” di Milano in prima linea nel supportare le persone più sfortunate

Volontari straordinari, e i ruoli si ribaltano Como Giovanni, mastro fiammiferaio Torino Lavoro e servizi contro l’esclusione Genova Gli angeli del fango Verona Raffaele aveva trovato la “sua” casa Vicenza Notte in piazza insieme agli ultimi Venezia Dal palco alla Caritas, le due vite di Vicenzo Firenze Scarp riparte dal Samaritano Rimini C’è tutto il mondo sui banchi di scuola Napoli Quando la coscienza scende in piazza Salerno Un’altra vita dopo la straga

di Stefania Culurgioni Per anni la signora Rosa non ha fatto entrare nessuno. Ritirare quella scatola del Banco Alimentare piena di zucchero, pasta, biscotti, le metteva una profonda vergogna e una grande rabbia per la sua condizione. Aspettava che il volontario di turno la depositasse fuori dalla porta e le suonasse il campanello, poi quando lui se ne andava lei usciva di soppiatto, la afferrava e si barricava in casa, silenziosa e scontrosa. Poi qualcosa è cambiato. Un giorno dietro lo spioncino ha visto un ragazzo “diverso”: poteva avere vent’anni, con i capelli riccioli e biondi, la barba fine e appena spuntata, cieco e in carrozzina. Il pacco alimentare ce l’aveva sul grembo, aspettava che lei gli aprisse la porta e lo accogliesse. In quel viso paziente e giovane, Rosa ha vinto la sua vergogna, ha superato i suoi dubbi, ha ritrovato quel senso di gratuità di cui aveva ri della religione cattolica. Alla fine, riubisogno. Oggi Rosa aspetta ogni settiscì a convincere i suoi amici e insieme mana quel momento: oltre alla pasta e fondarono la cooperativa “Cura e Riabial tonno, ha bisogno di parlare, di ascollitazione”. L’allora Cardinal Colombo tare, della compagnia di quel ragazzo donò 500 mila lire, il centro venne aperfestoso. to nel 1994 e in questi vent’anni di fonLui si chiama Federico, ha 21 anni e questa è una storia di ribaltamento di ruoli: chi l’ha detto che i disabili possono solo essere l’oggetto della carità degli altri, i destinatari passivi dell’altruismo dei “normali”? Insieme ai suoi compagni del Centro diurno disabili “Cardinal Colombo” di via Terruggia a Milano, Federico ha deciso di mettersi a disposizione di chi ha bisogno: in una parola, è diventato un volontario. Una volta al mese si reca al Banco di solidarietà di Cusano Milanino, ritira i pacchi e va a consegnarli alle famiglie bisognose della città e di Sesto San Giovanni. E così facendo, proprio come tutti, si sente contento, soddisfatto di sé, motivato a dare il meglio e a fare progetti per il futuro.

Cardinal Colombo: rete di servizi Il Centro “Cardinal Colombo” è nato nel 1994 grazie ad un gruppo di imprenditori e professionisti milanesi: uno di loro aveva una figlia down e cercava per lei un luogo dove potesse essere attiva, ma anche conservare e praticare i valo-

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scarpmilano Volontari al lavoro Sotto foto di gruppo per i ragazzi del centro diurno disabili della “Cardinal Colombo” di Milano.

Qui a lato Annamaria (a destra) e Francesca (a sinistra)

dazione la onlus ha creato due centri diurni per disabili gravi, uno a Milano e uno a Vanzago, una Residenza Temporanea a Mozzate (Como) dove i ragazzi disabili possono passare insieme le loro serate, una comunità socio sanitaria sempre a Vanzago aperta dalle 17 alle 9 del mattino (in pratica, una vera e propria casa dove alcuni di loro vivono), una comunità residenziale e un centro socio educativo ancora a Vanzago, per persone con disabilità lieve.

«Nella sede di via Terruggia a Milano accogliamo trenta persone con una disabilità medio grave, determinata da un ritardo mentale e fisico – spiega Margherita Brivio, 53 anni, coordinatrice –

La storia

Annamaria e i suoi “bambini”: «Basta poco per fare del bene»

Oltre a consegnare come volontari i pacchi del Banco Alimentare alle famiglie che ne hanno bisogno, i ragazzi del centro diurno disabili “Cardinal Colombo” di Milano portano anche vestiti e giocattoli in una Casa famiglia della città. La promotrice di questa iniziativa è Annamaria Pesce, 30 anni, utente del gruppo: «Ho chiesto ai miei amici e parenti se avevano vestiti che non usavano più, sono riuscita a raccoglierne tantissimi – racconta – poi mi è venuto in mente che potevo fare la stessa cosa con i giocattoli. Devo dire che all’inizio i bambini mi hanno guardato un po’ straniti, e anche io sono rimasta sulle mie, ma poi abbiamo fatto amicizia e adesso ogni volta che ci vediamo è una festa». Anche Francesca, 33 anni, sua compagna di gruppo, l’ha accompagnata: «Abbiamo portato loro un uovo di cioccolato di 4 chili – ricorda – ci siamo seduti tutti intorno ad un tavolo e lo abbiamo mangiato».

«Quello che mi colpisce e che mi commuove – ha detto la coordinatrice Margherita Brivio – è che i nostri ragazzi sono pieni di limiti e manchevolezze, ma sentono ugualmente di poter aiutare gli altri. È una lezione di vita, ma allo stesso tempo permettergli di farlo è un grande passo verso l’autonomia. A volte le famiglie arrivano qui esasperate: i genitori lavano, nutrono, viziano il loro figlio disabile cercando sempre di anticipare le sue esigenze, e alla fine quel figlio si abitua e diventa un despota, e inoltre perde la sua capacità di pensiero e di espressione. Finisce che si stancano tutti, i genitori e i figli. Quando arrivano qui cerchiamo di spezzare questo circolo vizioso, cerchiamo di restituire alla persona disabile la sua capacità di iniziativa personale e al genitore un po’ di respiro».

ci interessa soprattutto occuparci della riabilitazione sociale, ecco perché siamo attenti alle proposte che arrivano da loro. Questa attività di volontariato, che noi chiamiamo caritativa, è nata proprio così: da Federico, che ci raccontava della sua esperienza con una vicina di casa, e da Diego, un altro ragazzo che

non voleva più tornare dal viaggio di Lourdes perché voleva restare lì ad aiutare le persone in carrozzina».

Federico, il ragazzo biondo, coltivava questo desiderio da tempo: fin da piccolo conosceva la sua vicina di casa, una signora anziana che col tempo restò sola. La sentiva sempre piangere e novembre 2014 scarp de’ tenis

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scarpmilano

Michele

lamentarsi della sua solitudine, quindi chiese al padre di accompagnarlo a trovarla. Ogni tanto le suonava il campanello per scherzo, ogni tanto guardavano insieme la televisione, lei gli offriva le caramelle, lui la sua compagnia.

«Ho capito che c’era qualcosa che non andava – racconta Federico – la mia vicina di casa soffriva e aveva paura perché era sola. Io e mio padre abbiamo cominciato a farle compagnia. Da questa esperienza ho capito quanto è bello aiutare gli altri».

Ognuno possiede un talento «In questo centro ci sono 30 persone disabili, molti fanno stage in fonderia, in aziende di assemblaggio, in tipografia ad imbustare, a scuola come bidelli – racconta Jonathan Ziella, 32 anni, educatore – ma quelli che non hanno abilità manuali o motorie che cosa fanno?

Ci siamo resi conto che anche loro hanno un talento: quello di parlare, stare insieme, ascoltare. Così, una volta al mese li portiamo a fare il giro delle famiglie a cui loro stessi consegnano il pacco alimentare, ed è impressionante vedere le

Federico

Roberto

signore anziane che prima non aprivano neanche la porta aspettarli, accoglierli tutti insieme nelle loro case minuscole e modeste, fare il caffé, offrire la coca cola, raccontare le loro vicende personali, pregare insieme».

Michele ha 26 anni e il suo forte è raccontare barzellette: «Il mio compito è prendere la scatola con dentro salsa, riso, sale, olio, biscotti e appoggiarla sul tavolo – dice – ma ho un lato comico, e questo aiuta le persone che incontro. Le faccio ridere, è il mio punto forte». Diego ha 37 anni e ha trovato il suo modo di conquistare le anziane a cui fa la consegna: le lusinga, come un latin lover:

Diego

«Maria è una signora di 75 anni, siamo diventati amici. Le dico sempre che è bella, e lei mi riempie di caramelle. Ormai sono di casa».

Poi c’è Roberto, 22 anni, che invece canta: quando con gli educatori partono per la caritativa, si ricorda sempre di prendere la chitarra e una volta a casa delle sue famiglie preferite intona le canzoni di Marco Mengoni, il suo cantante preferito. «La verità – spiega Alessandra, 38 anni, educatrice – è che tutti quanti siamo fatti per interessarci agli altri, lo facciamo innanzitutto per noi stessi perché aiutando gli altri ci sentiamo più felici».

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Sacra Famiglia: gli utenti del centro diurno disabili ogni martedì si trasformano nei “Folletti della spesa” Anche alla Fondazione Sacra Famiglia di Cesano Boscone, Milano, gli utenti del centro diurno psichiatrico “Il Camaleonte” fanno i volontari per gli anziani della città. Si fanno chiamare “I Folletti della spesa” e il progetto è promosso dalla parrocchia San Giovanni Battista e dal comune di Cesano Boscone. Gli ospiti del centro, con l’aiuto dell’educatore Rocco Mastrolonardo portano il loro aiuto ogni martedì dalle 9.30 alle 12: dopo aver raccolto i dati e gli ordini della spesa, si recano insieme al centro commerciale, acquistano e consegnano insieme la merce agli anziani del paese che non sono autosufficienti. Il nome del centro diurno psichiatrico “Il Camaleonte” indica metaforicamente la funzione fondamentale che intende svolgere il servizio, cioè quella di accompagnare chi vive la condizione della diversità in un progressivo mescolamento nella normalità della vita sociale, fino a confondersi con essa. Gli ospiti coinvolti sono dieci e il servizio consiste nella spesa a domicilio a titolo di volontariato.

«Mettere al servizio degli altri il proprio tempo sperimentando nella gratuità relazioni di aiuto – spiega la responsabile Emanuela Cafiso – restituisce un senso positivo all’esistenza di chiunque. In particolare, nelle persone precipitate nella cronicità della malattia psichica, il volontariato riattiva il tempo diventato sempre uguale, dove non succede nulla, e recupera la motivazione a rimettere in gioco la vita diventata vuota di senso. Fare il volontario per il malato psichico significa riattivare relazioni, uscire dall’isolamento, recuperare valori morali e creatività che contrastino i vissuti di angoscia, ansia e inutilità del vivere».

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Il fascino dello scambio unisce la voglia di riutilizzare ciò che si ha in casa e il desiderio di incontrarsi e socializzare

Sbaracca e baratta, tutto torna a nuova vita di Simona Brambilla “Sbaracca e Baratta”: questo è il titolo del progetto, ideato da Claudia Bartolomei insegnate 36enne, i cui i partecipanti, “Gli amici del baratto”, si incontrano in giro per Milano al fine di scambiarsi libri e oggetti. «Il progetto è nato l'anno scorso – racconta Claudia –. Un'idea, semplice ma funzionale, è quella di utilizzare il suolo pubblico come il parco o le piazze di Milano per creare un momento di aggregazione spontaneo e gratuito». Un progetto nato quasi per caso, ma che, piano piano, sta iniziando a riscuotere sempre più successo in giro per la città. «Ho iniziato a barattare libri che avevo nella mia libreria con un gruppo di amici – ha proseguito –. Poi gli amici hanno chiamato altri amici e siamo diventati in tanti. Alcuni spazi aggregativi si sono in seguito mostrati interessati al progetto e mi hanno proposto di ospitare “Sbaracca e Baratta” direttamente via della Chiesa Rossa 55. Non esistonei loro locali». Quando c’è bel tempo no preclusioni. L’unica condizione gli incontri si svolgono nel luogo dove fondamentale per Claudia è che gli il progetto è partito: il parco di Porta spazi in cui “Sbaracca e Baratta” si svolVenezia, proprio davanti al Planetario. ge non abbiano fini di lucro e che i proMa sono già diverse le strutture che prietari siano interessati in maniera hanno accolto i momenti di aggregaautentica al progetto. zione e scambio. Come lo “Yatta! Fai da E sono sempre di più le persone che noi!” di viale Pasubio 14, il “Macao” di prendono parte alle serate di baratto, viale Molise o il “Circolo dei Talenti” in spinte non solo dalla voglia di scamBaratto e socialità Uno dei ritrovi di “Sbaracca e Baratta” davanti al Planetario

biare libri e oggetti, ma anche e soprattutto dall’intento di fare nuove amicizie. «L’età dei partecipanti agli eventi – racconta amcora Claudia – va dai 25 ai 50 anni. Il loro interesse culturale è molto vivo, sono persone appassionate alla lettura, alle arti, al teatro e curiose. Le professioni che svolgono sono svariate: dall’architetto, allo psicologo, dall’artista, al fotografo, dall’insegnante, al grafico, dall’impiegato, all’educatore. C'è veramente di tutto e ognuno può partecipare. La cosa bella è che le persone vengono, soprattutto, per fare due chiacchere, cenare insieme e conoscere persone nuove. Ogni incontro è infatti un vero e proprio momento di socialità. Il baratto, utile e assolutamente condivisibile in un’ottica anti spreco, è solo uno dei momenti forti di “Sbaracca e Baratta”.

La vera forza del progetto è la sua capacità di generare relazioni e incontri tra le persone».

A partire dal 2014 gli incontri mensili di “Sbaracca e Baratta” si sono evoluti: Claudia e i suoi amici hanno infatti pensato di condividere con gli altri partecipanti non solo libri o oggetti, ma anche capacità artistiche, lettura di libri, momenti di musica e di teatro, inserendo brevi interventi artistici in ogni baratto.

Fondamentali per il buon esito dell'iniziativa sono il gruppo Facebook (Il baratto del libro) e il blog (sbaraccaebaratta.wordpress.com), i quali, attraverso foto e frasi sul baratto, hanno permesso di far conoscere al grande pubblico questo evento sociale e di tenere aggiornate tutti gli interessati riguardo i prossimi appuntamenti di “Sbaracca e Baratta”.

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solidarietà Dal 28 novembre al 2 dicembre è in programma “ArchèNatale 2014»

Archè: il mercatino solidale per aiutare mamme e bambini di Stefania Culurgioni

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I SARANNO CAPI DI ABBIGLIAMENTO NUOVI E USATI, giocattoli, oggetti per la casa e chin-

caglierie, borse etniche, ciabatte, grembiuli e asciugamani e persino prodotti tipici alimentari. Ma soprattutto, il ricavato di qualunque cosa venduta andrà a sostegno delle mamme e dei bambini di Arché, onlus milanese che dal 1991 aiuta le donne, e i loro figli, che vivono una situazione di difficoltà. Si chiama “ArchéNatale 2014” ed è il tradizionale mercatino che la fondazione, creata da Padre Giuseppe Bettoni e attiva tra Roma, Milano, San Benedetto del Tronto e Africa apre prima delle feste natalizie: l’inaugurazione è in programma per giovedì 27 novembre alle 18, l’appuntamento è dal 28 novembre al 2 dicembre 2014 dalle 10 alle 19 all’Unione femminile Nazionale di Corso di Porta Nuova 32 a Milano. Un piccolo bazar imperdibile per chi vuole trovare un regalo alternativo, originale e curioso e unire lo shopping ad un gesto solidale.

L’associazione nacque a Milano nel 1991 per aiutare i bambini colpiti da Aids e oggi si occupa del disagio, dell’emarginazione, della prevenzione, della malattia e della sofferenza dei bambini e delle loro famiglie in Italia e nel sud del mondo. In particolare, Arché porta avanti cinque progetti: nella “Casa Accoglienza” di Milano accoglie bambini e mamme che stanno vivendo una condizione di disagio. Sono donne provate dalla vita, spesso vittime di abusi o sole in un Paese che non è il loro. Casa Accoglienza offre loro l’opportunità di reinventare la propria vita sia a livello sociale che emotivo, aiutandole nella quotidianità a focalizzarsi sulla relazione con i propri bambini e con se stesse.

Con il “Progetto Assistenza ai Minori”, Arché aiuta invece le mamme e i bambini quando c’è una malattia grave che può mettere a dura prova la loro relazione. L’obiettivo è di “percorrere un tratto di strada insieme”, alleggerendo così le mamme da un peso spesso troppo pesante da portare aventi da sole e garantendo continuità nelle terapie mediche. Con l’”Housing Sociale”, la onlus fornisce un alloggio alle famiglie in difficoltà aiutandole a riprogettare la propria vita e tornare a gestirla in autonomia. Arché è presente poi in diversi ospedali in Italia con molteplici attività, come lo spazio di animazione in day hospital di neuropsichiatria infantile, dove i volontari giocano con i bambini e danno supporto alle mamme aiutandole ad orientarsi all’interno dell’ospedale.

Infine c’è il progetto in Zambia, uno dei Paesi dell’Africa più colpiti dall’epidemia di Aids, che ha causato almeno 800 mila bambini orfani. Dal 2002 Arché è presente nella missione di Chikuni dove incontra circa 1500 orfani ogni anno. Le famiglie che li accolgono sono pronte ad autosostenersi: Arché le introdurrà a nuove possibilità di lavoro, come l’apicoltura o la produzione di olio di semi, rendendole in grado di coprire le spese per la cura e l’educazione degli orfani.

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latitudine como Vittima della crisi ha ritrovato la voglia di vivere grazie all’aiuto della città

Giovanni, mastro fiammiferaio: «Pronto per ricominciare» di Salvatore Couchoud

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TORIA DI GIOVANNI, OVVERO QUANDO IL TALENTO SI RIVELA PIÙ FORTE DELLA CRISI, delle se-

parazioni e degli strali acuminati del fato avverso. “Fratello d’arte” di Nino “l’eremita”, che a Palermo ha ricavato dall’antico faro borbonico una sorta di santuario personale sontuosamente decorato con i mosaici di cui è artefice, Giovanni ha lavorato per anni come artigiano e muratore accanto al fratello, apprendendone la difficile tecnica del mosaico e riversandola in tutte le ville siciliane nelle quali ha operato, da solo o con Nino. Poi la scelta di mettersi in proprio, dettata anche dal ritiro appunto “eremitico” del fratello, l’avvio di una carriera imprenditoriale, il trasferimento nel Nord Italia, i buoni affari realizzati a Mestre e a Vicenza, il matrimonio e i quattro figli giunti a coronamento di una parabola lavorativa ed esistenziale benedetta dal talento e dalla dea bendata. Ma, nel 2008, il crollo, in coincidenza con i primi venti contrari della crisi economica: cessa l’attività, la moglie si dilegua, Giovanni finisce in strada, sino a raggiungere dopo alterne vicissitudini le sponde del Lario.

Accolto al dormitorio di via Napoleona, diventa un ospite tra i più “prestigiosi” del Centro Diurno Caritas di via Giovio, per il comportamento sempre corretto, la disponibilità a collaborare nelle piccole incombenze quotidiane, la capacità nel risolvere qualche problemino di manutenzione della struttura. E l’abilità nell’eseguire decorazioni e oggetti d’arredo tutt’altro che banali, nello stile a lui congeniale dell’arte povera.

«L’idea è nata per scherzo al centro diurno – racconta –, quando Cecilia (la responsabile del servizio, ndr) ci ha invitato a disegnare le immagini per i cartelli con gli auguri di compleanno degli ospiti, e io ho prima fatto un fiore con i fiammiferi che ho trovato in un cassetto, poi un carrettino, quindi uno scrigno e altri oggetti ancora. Da li in poi non mi sono più fermato».

Il passo successivo lo ha compiuto il parroco di S. Fedele monsignor Carlo Calori, che ha autorizzato Giovanni a esporre i suoi prodotti sul sagrato della chiesa, ed è lì che l’artista fiammiferaio ha avuto modo di sperimentare la solidarietà di Como. Giovanni ritiene di poter risolvere ogni problema a condizione che gli sia concesso uno spazio, sia pure angusto, dove lavorare e custodire gli oggetti. La sua idea fissa è quella di prendere un appartamentino in affitto e comprare un furgoncino per ripartire con rinnovata vitalità. Le premesse ci sono, anche perché Como si sta innamorando dei suoi lavori e ha lanciato una gara di generosità che coinvolge soprattutto i bambini. D’altra parte, se è vero che la speranza è una fiammella esile ma tenace da tenere ininterrottamente accesa, quale altro materiale potrebbe assumere una valenza simbolica tanto pregnante quanto quella dei suoi adorati fiammiferi?.

«L’idea di creare oggetti è nata, per scherzo, al centro diurno.

Oggi sono convinto che mi basta davvero poco per tornare in pista»

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38. scarp de’ tenis novembre 2014

numero 184 anno 19 settembre 2014

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il mensile della strada

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Qualcosa sta cambiando

foto Cezaro De Luca

ventuno Lobbisti e centri del potere

Vicini di strada vicini di casa, vicini di vita Da via Fondazza, a Bologna, l’idea delle social street si è espansa a macchia d’olio in tutta Italia.

Grazie a internet e ai social media cresce la voglia di conoscersi, di stare insieme e anche di aiutarsi Milano Il racket dei passatori Como Cure gratis Torino La nuova vita di Emilia Genova Fuga senza meta Verona La mappa di Felix Vicenza La strada come palco Venezia Homeless in laguna Rimini Vita di strada Napoli Parole e affetti Salerno Profughi e accoglienza Catania Sorjan a Palazzo Bernini

torino

Lavoro e servizi, contro l’esclusione Le case di quartiere offrono opportunità di reinserimento sociale

di Vito Sciacca Le case di quartiere nascono a Torino a partire dal 2007, come conseguenza del processo di sviluppo delle politiche urbane promosso dalla città che prevedeva, tra le altre cose, la riqualificazione delle periferie attraverso la valorizzazione dei territori ed il coinvolgimento dei residenti. Nel giro di pochi anni il loro numero è cresciuto fino alle attuali nove unità mantenendo invariate le caratteristiche comuni: spazi pubblici riqualificati (grazie alla collaborazione tra istituzioni locali, fondazioni bancarie, imprese sociali ed associazioni) destinati a creare momenti di socializzazione e svago, offrire servizi, corsi e laboratori.

Recentemente sono stati attivati sette percorsi di sostegno al reddito alla Casa del quartiere di San Salvario (via Oddino Morgari 14), i bagni pubblici di via Aglié 9, il Laboratorio di Barriera di via Baltea 3 e il polo culturale di via Lombroso 16, abitativa (www.feantsa.org). Il progetto che attualmente coinvolgono quattro “ reciproca solidarietà e lavoro accessouomini e tre donne, tutti rientranti nei rio” realizzato dal comune con la Comparametri Ethos che definiscono parapagnia di San Paolo, ha il duplice obietdigmi di identificazione dell’esclusione tivo di sostenere i cittadini in situazioni Luoghi di socializzazione I bagni pubblici di via Aglié

di disagio economico e di offrire alla collettività ulteriori servizi impiegando sul territorio risorse lavoro altrimenti inoccupate.

L’attività lavorativa, quantificata in 300 ore annuali viene retribuita tramite buoni lavoro in accordo con gli articoli 70 e 72 del D.Lgs. 276/03 che disciplinano il lavoro accessorio occasionale e costituisce quindi un reale sostegno al reddito dei partecipanti al progetto, ma questo non è l’unico beneficio derivante da questa iniziativa, come spiega Giovanni, operatore dell’associazione Opportunanda (www.opportunanda.it) promotrice dell’iniziativa: «Uno degli effetti collaterali del disagio economico estremo è l’esclusione sociale, che si concretizza nella perdita delle reti sul territorio o la limitazione dei contatti sociali a quello che viene definito “circuito della strada”; proprio la tipologia dei luoghi scelti favorisce invece la partecipazione ad iniziative culturali e l’incontro con persone nuove, quindi non si tratta di un mero progetto di sostegno economico ma anche di un’iniziativa volta al recupero della propria identità nell’ambito della comunità».

Rivalutare competenze La situazione economica attuale non lascia molto spazio di manovra, tuttavia un’iniziativa come questa può, talvolta, dare esiti insperati. «Le persone inserite nel progetto – prosegue Giovanni – hanno la possibilità di rimettersi in gioco mostrando le loro capacità e competenze, e nel corso dell’anno passato un analogo inserimento presso la Casa del Quartiere di San Salvario si è poi concretizzato in un’assunzione».

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scarptorino Il progetto

La Crocetta al fianco di “Scarp”

Da sempre l’associazione Opportunanda pone un occhio di riguardo alla socializzazione, ed il nuovo progetto “in strada per casa” varato in questi giorni grazie al contributo di Compagnia di San Paolo e dell’Ufficio Pio è orientato in questa direzione: nel suo ambito persone bisognose di ricostruire un loro ambito relazionale possono, all’interno delle case di quartiere, partecipare ad attività ed iniziative con lo scopo di socializzare.

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«Troppo spesso si delega alle organizzazioni e associazioni la presa in carico dei problemi, come quello della povertà e dell’esclusione sociale. Con Scarp invece si viene a contatto diretto con questa realtà, quindi c’è un’assunzione di responsabilità in proprio e non la delega, che è pericolosissima».

Così monsignor Guido Fiandino, parroco della Beata Vergine delle Grazie nel quartiere torinese della Crocetta, spiega perché il consiglio pastorale della sua parrocchia ha deciso nel 2012 di collaborare al progetto Scarp de’ tenis, «con l’intenzione non tanto di ospitarlo quanto di adottarlo».

Una parrocchia, quella della Crocetta, animata dal desiderio di diventare sempre più una “famiglia di famiglie”, spiegano le volontarie Luisa e Benedetta: «E come in molte famiglie ci si prova ad aiutare a vicenda, quindi chi

è più fortunato in qualcosa prova a sostenere chi lo è meno». Con questo spirito si svolgono, grazie ai volontari, attività di supporto scolastico a bambini e ragazzi, di affiancamento e aiuto ad anziani in difficoltà, e attraverso lo storico servizio della San Vincenzo si distribuiscono ogni mese borse della spesa a circa 80 famiglie in difficoltà. È anche prevista la prossima apertura di un centro di ascolto per rispondere alle crescenti richieste che giungono quotidianamente, attivando il territorio e in particolare il tessuto parrocchiale nella creazione di nuove reti di solidarietà.

E poi c’è Scarp, venduto l’ultimo fine settimana di ogni mese: «Abbiamo spiegato il progetto alla comunità, perché nessuno lo conosceva. Ora molta gente si ferma a parlare con la venditrice, acquista la rivista e l’apprezza – dice don Guido». Una parrocchia attiva nella sensibilizzazione e nella cooperazione concreta e semplice, azioni che le due volontarie riassumono così: «Piccoli segni per una crescente attenzione al prossimo».

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Gli angeli del fango Sono centinaia, migliaia i ragazzi che si sono attivati per ripulire la propria città uniti dalla voglia di fare qualcosa tutti insieme di Mirco Mazzoli

Domenica 12 ottobre, tre giorni dopo la nuova alluvione di Genova.

Mi avvicino a piedi al centro città, per cercare di dare una mano. I segni del passaggio dell’acqua diventano evidenti all’improvviso. Carcasse di auto, scooter carichi di melma e di ramaglie che si sono ficcate nelle carene come fiocine, saracinesche deformi, polvere di fango che si solleva dalle ruote dei mezzi di soccorso e si mescola allo sfarfallio dei lampeggianti. Ai miei occhi l’immagine più eloquente di questa sventura annunciata è un negozio scoppiato dall’interno. Se ti affacci sulla soglia, lo scenario sembra uno scherzo di prospettive: il muro di fondo è stato abbattuto dal Bisagno che corre sotto terra, ora al posto della parete vedi le campate dei binari della Stazione Brignole che poggiano sul greto del torrente e, centinaia di metri più in là, l’acqua che scorre sul suo letto. È come in un ne Ottocento ad oggi lo hanno soffocaromanzo di avventure (terribili) in cui to con nuove strade e coperture, senza qualcuno apre la porta di un armadio più fermarsi. Un mondo dove è morta e dentro c’è un mondo rovesciato. Un una persona e 2.500 esercizi commermondo in cui gli antichi lasciavano che ciali e piccole imprese sono dannegil torrente Bisagno scorresse su un letgiati in tutto o in parte. to profondo ed ampio, tanto che il ponte medioevale che lo attraversava conTantissimi ragazzi al lavoro tava 28 arcate, mentre i moderni da fiOvunque, mentre il cielo promette an-

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cora pioggia, con badili, secchi, raschiatori, scope brulicano i giovani e i giovanissimi – dai 13 anni in sù – che ormai tutta Italia conosce. Sul loro conto c’è forse una cosa che non è stata detta o che io non ho letto. E l’ho sperimentata, così. Raggiungo un teatro in centro. I fondi sono allagati, stanno tirando via ed accatastando assi di legno e materiali di magazzino. Cerco di introdurmi nel lavoro di sgombero, ma mi accorgo che non è facile: i ragazzi sono disposti nell’area, raccolti in gruppi coesi, e sono così tanti che la catena di “smontaggio” non ha interruzione, semmai talvolta ha il problema contrario e va in sovraccarico. Riesco solo a passare di mano un paio di assi.

Mi rendo conto di non essere utile di fronte ad una manifestazione così par-

scarpgenova xxxxx Xxxx xxxxxxx

tecipata di aiuto. Mi sposto e mi chiedo come mai loro continuano mentre io me ne sto andando.

Ora sono in via Invrea, nelle vicinanze della Stazione Brignole. I ragazzi tirano via il fango dalle cantine dai palazzi, dagli androni, dai primi piani, lo ammassano davanti ai portoni, in attesa dei camion che lo aspireranno.

Cerco di introdurmi, scendo nei fondi: quelle che erano cantine sembrano catacombe, senza più luce elettrica negli stretti corridoi, con l’odore acre dell’acqua marcia. Mi sposto per far passare conche riempite di melma, chiedo se posso dare una mano, chissà, forse.

Mi affaccio in una cantina, mi sposto e mi risposto, mi scanso, mi scuso, sono d’impaccio. Risalgo. Esco. E allora realizzo.

Insieme per Genova Sono stati tantissimi i ragazzi, anche giovanissimi, che si sono attivati per ripulire le strade del capoluogo ligure dopo l’alluvione di inizio ottobre (foto di Valeria Chiara Puppo)

La forza del gruppo Non serve la buona volontà dei singoli. Il fattore vincente è il gruppo – o in termini etici la comunità. Se c’è un elemento ancora da raccontare su questi ragazzi, allora, è proprio che non hanno desiderato soltanto di fare qualcosa di bene, ma di farlo insieme. Con il gruppo di amici, con l’associazione che si frequenta, con la parrocchia, i ragaz-

zi Scouts o l’Azione Cattolica Ragazzi, con la squadra di pallavolo. Sarà banale, ma io non ci ho pensato. Ho detto: “vado e faccio”, dovevo dire: “andiamo e facciamo”. Però li guardo e penso che la mia inutilità sarà brutta a vedersi qui sul momento, ma è il miglior segnale per il domani della nostra città. Più che stupirci per una solidarietà che solo il cinismo e la memoria a breve termine del quotidiano possono vedere come straordinaria (chi c’era nel 1970, anno dell’alluvione genovese per definizione con 44 morti, racconta che anche allora i giovani si riversarono in strada ad aiutare), ci fa bene pensare che, un domani, questi giovani spalatori saranno cittadini maturi capaci di trattarsi ancora con amicizia e di attivarsi per amore della loro città.

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verona “Casa solidale” è un progetto pensato per accogliere e non far sentire sole le persone che escono dai centri di accoglienza

Raffaele aveva trovato la “sua” casa di Elisa Rossignoli Il progetto “Casa Solidale” ha avuto inizio nel 2010 a Verona per iniziativa della casa di accoglienza “Il Samaritano”. L’idea centrale è la consapevolezza che non sia sufficiente trovare una soluzione abitativa e un lavoro per considerare compiuto un percorso di reinclusione sociale. Spesso, infatti, la conquista impegnativa, faticosa e anche dai tempi lunghi, di una dimora e di un impiego significa il ritorno alla situazione di isolamento dalla quale si è caduti, perdendosi. L’elemento cruciale in tutte le storie di esclusione e marginalità è infatti la solitudine. La riflessione sulle storie delle persone accolte presso Il Samaritano ha portato dunque a sognare, immaginare e progettare un luogo che sapesse di casa, in cui si creasse lo spazio per la nascita di una rete di relazioil luogo giusto. Da tempo si lavorava in ni significative ed essenziale per ritrovarete con don Paolo dal Fior, il parroco, re la strada che conduce a se stessi. Casa che a sua volta preparava il terreno delSolidale vuole essere un luogo da chiala comunità, già “fertile” e sensibile almare casa, ove abitare come singoli o in l’accoglienza. Era il momento di particondivisione, inserito in un contesto acre. «È stato facile coinvolgere Raffaele – cogliente. Come in tutte le storie abitatiricorda don Paolo – perché lui per prive, in fondo, non basta la pur essenziamo cercava di entrare in relazione. Sale rete di relazioni costituita dagli opepeva comunicare. Restavano tutti sturatori e dai volontari: serve la partecipiti da quanto fosse in grado di trapazione del territorio, della comunità smettere. Senza mai nascondere il suo locale. Il progetto Casa Solidale è partipassato e la sua situazione, fin dall’inito con la costituzione di una casa famizio, lui per primo cercava il contatto con glia in un appartamento che ospitava, e le persone. Raffaele sentiva di non essetutt’ora ospita, 4 persone nella comure soltanto un “ospite” qui, ma una pernità di S. Maria in Stelle, sulle colline acsona accolta fino in fondo e che poteva canto a Verona. Ed è proprio qui che si è vissuta la prima storia di ritorno a casa. essere utile, poteva dare, non solo ricevere. E ci ha dato moltissimo. È stato un cammino lungo, che abbiamo compreRinascere in una casa so davvero fino in fondo una volta che si Era arrivato al Samaritano dopo più di è compiuto, ma è iniziato da subito con dieci anni sulla strada, con la salute miuna grande fiducia reciproca». nata da una malattia che peggiorava di giorno in giorno. Era riuscito, grazie all’aiuto di volontari e operatori, a libeUn custode fedelissimo rarsi dalla dipendenza dall’alcol, a reL’équipe del Samaritano ed i volontari cuperare il rapporto con alcuni memhanno seguito passo passo questo bri della sua famiglia e a raggiungere cammino. E hanno visto Raffaele metuna certa serenità. A questo punto si tere sempre più radici fra quelle colline. era pensato per lui un luogo meno Tant’è che dopo l’uscita dalla casa fastrutturato del dormitorio, che gli conmiglia, negli ultimi due anni della sua sentisse ritmi di vita adeguati alla sua vita, è rimasto a vivere a S. Maria, in una situazione. La casa famiglia di S. Maria casa messa a disposizione dal parroco. in Stelle, che allora stava nascendo, era «Ne era orgogliosissimo – ricorda Fio-

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Sentirsi accolti Una bella immagine di Raffaele (al centro) insieme ai volontari del Samaritano davanti alla “sua” casa

renza, un’amica della parrocchia –. Lì è davvero rifiorito. Teneva tantissimo alla sua casa, che era sempre pulita ed in perfetto ordine». Paolo Ottaviani, operatore del Samaritano, aggiunge: «Che entusiasmo e che impegno ci ha messo, per sistemarla, meticolosamente

scarpverona «Io sono rinato. Raffaele di prima non esiste più, sono un’altra persona ora. Prima non c’ero, ora ci sono».

Questo Raffaele ripeteva sempre gli operatori del Samaritano

dato tutta quella fiducia, la risposta è che non lo so neanch’io. Sapevo che potevo farlo, e non è mai successo nulla che mi facesse ricredere. Si comportava sempre con grandissimo rispetto ed era sempre disponibile ad aiutare.

Quando lo avvertivo che sarei uscito, immancabilmente mi diceva: “Vada, qui ci penso io”. Ed era vero».

Una famiglia tutta nuova

com’era il suo stile, pezzo per pezzo».

Don Paolo sorride: «Gli avevo affidato il compito di tenere in ordine i locali della parrocchia, e lui lo faceva con una scrupolosità incredibile. Aveva le chiavi di tutto, anche quelle che non avevo io. Se mi chiedete perché gli ho

L’ultimo periodo della sua vita è stato sempre più difficile per il progredire della sua malattia. Lucido nel descrivere la propria situazione, ma senza mai indulgere al rimpianto o all’autocommiserazione, Raffaele vedeva una cosa più di tutte : «Io sono rinato. Raffaele di prima non esiste più, io sono un’altra persona ora. Prima non c’ero, ora ci sono» diceva anche a volontari e agli operatori del Samaritano, che non mancava di tornare a trovare quando poteva.

E in quelle occasioni parlava a tutti di don Paolo e dei suoi amici di Santa Maria. Si sentiva che non era solo.

«Quando l’ho incontrato la prima volta – ricorda Fiorenza – era già molto malato, e nel vederlo, la mia professione di infermiera mi diceva che quella persona non sarebbe vissuta a lungo.

Eppure Raffaele è vissuto un anno e mezzo oltre ogni previsione». L’essere finalmente a casa, sentire di appartenere alla comunità lo ha tenuto in vita.

«Non era solo ricambiare la fiducia che riceveva – afferma don Paolo–. Lui per primo la donava. E’ ciò che di lui è rimasto a tutti noi». Ed è ciò che resta anche a chi ha progettato Casa Solidale: ritornare a casa, ritrovarsi, è possibile.

Il “coinvolgimento del territorio”, in questa storia è stato talmente determi-

nante da ricordarci che a volte la somma dei nostri sforzi non è uguale al risultato ottenuto: il risultato va ben oltre.

Lei è il mio papà Raffaele aveva un rapporto speciale con don Paolo, di rispetto profondo e di fiducia totale: «Lei è per me mio papà», era arrivato a dirgli. Quante parole antiche e nuove si riscoprono, che sapore diverso possono avere, quando si è finalmente a casa. Non importa a che punto del cammino è accaduto. L’importante è che sia accaduto. La gioia di poter finalmente dare. Come chiedere dall’ospedale – telefonando in corridoio, perché gli interessati non sentissero – un po’ di biancheria di ricambio.

Non per lui ma per i suo vicini di stanza, che facevano “la vita che io facevo prima”, e non avevano nulla…

Raccomandare a Fiorenza, l’amica che l’ha accompagnato fino all’ultimo respiro, «Don Paolo ha tanto da fare, bisogna aiutarlo, non lasciatelo solo», quando sapeva che lui non avrebbe potuto farlo ancora per molto. La gioia di poter finalmente custodire, dopo aver finalmente sperimentato quanto fa bene, quanto è prezioso esser accolti e custoditi. La gioia di appartenere.L’ultimo giorno della sua vita, il 24 dicembre 2013, non era stato facile convincerlo ad andare in ospedale. «Volevo andare con lui, vedendo come stava, ma lui mi ha detto: “No, perché lei ha da fare, è la vigilia di Natale”. «Soltanto più tardi – racconta Fiorenza –, quando ormai era vicino il Passaggio, e orma non parlava quasi più, mi ha chiesto: “Dov’è don Paolo?” E don Paolo è arrivato. Raffaele è stato sepolto nel cimitero di S. Maria in Stelle, accanto alla chiesa dove ha voluto il suo funerale.

A casa sua, appunto.

3E Franca, parrocchiana di S. Maria nonché sarta di fiducia della Casa Famiglia, ricorda che la cercava sempre per sistemare gli orli dei pantaloni e il suo vestiario, sempre impeccabilmente in ordine come la sua persona, fino alla fine. Sorride al ricordo dei pantaloni che dovevano avere l’orlo precisissimo, e di come lui lo apprezzava. «Raffaele si faceva coinvolgere e si lasciava aiutare, era facile interagire con lui. Per me – conclude – lui era uno di noi». È proprio così che dev’essere.

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vicenza Senza residenza non sei nessuno: lanciata una raccolta firme

Notte in piazza, insieme agli ultimi Per la Giornata Mondiale della Povertà, la diocesi di Vicenza si è riempita di feste. In cinque città contemporaneamente si è svolta la “Notte dei senza dimora” occasione per far conoscere da vicino le persone che vivono in strada ai cittadini di Arzignano, Bassano del Grappa, Lonigo, Schio e Vicenza.

In queste piazze si sono raccontate storie, si è mangiato, si è ballato e si sono raccolte le firme della petizione “per come e perché la via anagrafica nei nostri comuni”.

A Vicenza nel cortile della sede Comunale e a Bassano del Grappa in piazza Libertà si è dormito all’aperto con cartoni e coperte 46. scarp de’ tenis novembre 2014

Notte con gli ultimi La Murga Saltimbanco invita i vicentini a entrare nel Municipio dei senza tetto (sopra) In contrà Cavour si gioca al monopoli delle vie anagrafiche (qui sotto)

Tutti insieme per chiedere diritti per chi non ha voce A Bassano sono gli scatoloni a spiegare cos’è la via anagrafica (sopra) A Vicenza lo fanno le Carte d’identità giganti (in basso a sinistra) M. si prepara a dormire con il nuovo kit di cartoni portatili (in basso a destra)

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scarpvicenza

Continua l’iniziativa dei volontari Caritas per far istituire la residenza anagrafica in ognuno dei 140 comuni del vicentino

Una raccolta firme per “via del Comune” di Cristina Salviati Potrebbe chiamarsi via del Comune o è meglio via San Giuseppe? La domanda si riferisce alla via non territoriale (chiamata via anagrafica) di cui i comuni italiani possono dotarsi per dare la residenza a chi non ha una casa e quindi dorme in strada o nei ricoveri notturni. A porsi questa domanda è stato un gruppo di volontari che, nel vicentino, in occasione della giornata mondiale di lotta alle povertà hanno aderito a “La Notte dei senza dimora” decidendo, per l’occasione, di fare un’indagine tra tutti i comuni della provincia e della diocesi (allargando perciò la zona fino a comprendere anche una piccola parte del Veronese e del Padovano). L’indagine ha coinvolto 140 Comuni, di cui solo 4 non hanno risposto, e ha permesso di scoprire che ben 67 hanno istituito la via, mentre 69 non Durante “La Notte dei senza dimora”, l’hanno ancora fatto. A proposito di che si è svolta a Vicenza, Lonigo, Arziquesti ultimi, si tratta per lo più di picgnano e Bassano del Grappa lo scorso coli paesi, dove non si è mai verificato il 18 ottobre e a Schio il 25 ottobre, in tutcaso di una persona senza tetto che te le cinque piazze con cartelli e slide ci chiedesse la residenza. Alla Caritas visi è impegnati a spiegare ai propri concentina, però, questa risposta non è cittadini il perché di questa richiesta, e sembrata soddisfacente, dal momento ci si è attivati per la raccolta di firme. che alcuni mesi fa era stata contattata Anche numerose scuole sono state da un comune di montagna che chiecoinvolte, direttamente in classe o perdeva come fare per istituire la via anaché intervenute all’incontro del 17 otgrafica in tempi brevi. La necessità imtobre con il giudice Gherardo Colombo, pellente derivava dal fatto che era rienmagistrato oggi in pensione ma sempre trato in paese un migrante in condiziosimbolo di Mani Pulite. ni di estrema indigenza e allo stesso È bello precisare che questa iniziatitempo gravemente malato. Senza la va ha fatto breccia nel cuore di tanti racarta d’identità non si ha diritto a nulla, gazzi convincendoli facilmente a firné all’assistenza medica né a quella delmare la petizione. Il prossimo obbiettil’ente pubblico. Ma si può abbandonavo, una volta raccolte tutte le firme, re un proprio concittadino con gravi consiste nel dare la maggiore diffusioproblemi di salute? Al comune di Velo ne possibile ai risultati della ricerca.

D’Astico non se la sono sentita, ed ecco Mentre si procedeva con l’indagine che hanno immediatamente istituito la è stato gratificante vedere come il solo via anagrafica. interessamento di alcuni cittadini abbia prodotto frutti. Nell’arco di questi Già quattro comuni hanno deciso mesi d’indagine quattro amministraA partire da quest’esperienza, ma anzioni, probabilmente sollecitate dall’iche dai molti altri casi che ogni giorno niziativa, hanno deciso di istituire la via impegnano gli operatori delle case di anagrafica e altre due ne hanno camaccoglienza della rete territoriale d’inbiato il nome. clusione sociale nel Vicentino è nata l’iLa petizione Caritas invita infatti dea di una petizione affinché tutti i 140 l’ente pubblico a una riflessione globacomuni si dotino di questo strumento.

48. scarp de’ tenis novembre 2014

le su quanto ha realizzato in tema di via anagrafica, a cominciare dal nome attribuito a questa strada. Sono ben 23 le vie “Senza fissa dimora”, retaggio di una scelta ormai superata dal mutare dei tempi, ma anche i nomi come via Del Comune o Della Casa Comunale oppure le vie che portano lo stesso nome del comune (via Quinto Vicentino a Quinto Vicentino) sono espressione di una mentalità burocratica che non tiene conto del rispetto di chi a tutti gli effetti in queste strade risiede.

Via il marchio senza dimora Se si vuole che una persona senza casa abbia la possibilità di uscire da questa indigenza non si deve costringerla a ripartire con addosso il marchio di “senza dimora” evidenziandolo sulla carta d’identità. E questo vale proprio per i comuni piccoli, dove ci si conosce un po’ tutti e dove una via anomala si presta più facilmente a essere oggetto di discriminazione. È importante sottolineare che solo 10 vie anagrafiche hanno superato compiutamente il simbolico testo di ammissione ideato dal gruppo di volontari-ricercatori.

Si tratta di strade il cui nome corrisponde a tutti i requisiti ritenuti indispensabili per la via anagrafica: dignità, non identificabilità, rispetto della privacy e un pizzico di fantasia che mai nuoce. Nel Vicentino una delle vie più presenti è di sicuro via Pasubio, dato che questo monte storicamente importante si trova nella nostra provincia.

Aver intitolato la via anagrafica via Monte Pasubio 100 rende merito a un Comune vicentino che in questo modo tutela nel modo migliore questi suoi cittadini in difficoltà.

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firenze Gli ospiti del centro di accoglienza venderanno la rivista per la città: un’opportunita di guadagno e di promozione sociale

Scarp riparte dal Samaritano di Francesco Vedele Pronti a ripartire. A Firenze torna il progetto Scarp de’ tenis; dopo una breve sospensione l’attività di promozione sociale cambia sede e si trasferisce al Samaritano, il un servizio di accoglienza per uomini in esecuzione penale esterna.

I servizi sociali del territorio fiorentino ci segnalano persone con problemi di natura giudiziaria, con riferimenti familiari carenti e difficoltà di tipo economico, in altre parole soggetti, se non marginali, fortemente a rischio marginalità. Con il servizio educativo del Samaritano, queste persone mettono in rendita il periodo di restrizione della libertà per acquisire consapevolezza delle proprie azioni, capacità e possibilità, allontanando i comportamenti devianti che li hanno portati ad una condanna penale. Gli operatori del Samaritano dedicano gran parte del loro lavoto sentita, ecco il motivo per cui il proro all’ascolto delle persone accolte, con getto Scarp de’ tenis viene accolto con loro e per loro si lavora per potenziare molto interesse; è infatti un’attività che le risorse individuali e per trovare nuofinanzia le esigenze quotidiane di chi ve strade percorribili all’insegna della non ha alcuna risorsa economica. Un legalità. Attuando queste dinamiche di impegno che incrementa l’autostima, sostegno, si instaurano e si costruiscono attraverso l’incarico a loro assegnato ed rapporti di reciproca fiducia e collaboil riconoscimento remunerativo delle razione per il raggiungimento degli loro mansioni. obiettivi posti.

Tutti elementi molto importanti per chi, oltre che limitato nella libertà, è totalmente privato di ogni risorsa econoRisorse per gli ospiti mica. Attraverso la vendita e la pubbliIl problema delle scarse risorse financazione di articoli e tutte le attività legaziarie dei nostri ospiti è una realtà mol-

te a Scarp, riteniamo si possa apportare un significativo sostegno al reinserimento graduale in società dei nostri “detenuti”.

Un capitolo a se stante per importanza, è da considerarsi l’opportunità offerta dalle pubblicazioni sulla rivista.

Il significato che assume il poter raccontare e raccontarsi, il potersi sentire ascoltati ed autori di qualcosa degna di essere narrata, conduce alla consapevolezza di essere parte della società. È con questo auspicio e con tanto entusiasmo che siamo pronti a ripartire con questo importante progetto che verrà presentato in occasione dell’evento open day Samaritano che si terrà il 28 novembre nella nostra struttura di accoglienza.

Chi fosse interessato a seguire il nostro lavoro e i nostri progetti può farlo attraverso le pagine di Facebook.

Info www.facebook.com/samaritano.isama

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Scarp al Samaritano Due futuri venditori di Scarp opsitati dal centro di accoglienza fiorentino

novembre 2014 scarp de’ tenis

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venezia

Dal palco alla Caritas le due vite di Vicenzo Era un musicista affermato, un vero animale da palcoscenico.

Poi scelte sbagliate e la caduta. Ora cerca di ricominciare di Michele Trabucco Da animale notturno ad animale randagio. È la definizione che Vicenzo B. stesso, un amico ospite di Caritas, dà della sua vita. Il declino lento ma traumatico e doloroso che lo ha portato dalla gloria delle prima pagine di giornale, come musicista affermato, ai lavoretti saltuari e provvisori di ogni giorno, aiutato da tante persone. Dalle stelle alle stalle, o meglio, riprendendo il titolo di un famoso giornale svizzero che lo intervistava, e riportiamo in foto, “da animale da night life ad animale randagio” della strada. Un percorso in discesa iniziato quasi per caso, senza accorgersene, preso dall’euforia della “gloria e fama del palcoscenico” per finire senza nulla, o quasi. Perché a Vicenzo, nonostante sia finito senza lavoro e senza famiglia, non è sparita la voglia di vivere, di parlare, di incontrare le persone, e se possibile anche di aiutarle, lui che per ora ha trovato aiuto nelle strutture della Caritas.

Nato sessant’anni fa a Vercelli, è cresciuto fin da piccolo avvolto dal suono dolce e raffinato della musica che suo Quando mi alzo padre suonava come professione, essendo diplomato al conservatorio di Milaal mattino no. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua storia, una delle tante che segnavedo una giornata no la vita degli amici che vivono e frequentano le case della Caritas veneziadi sole che na. Una vita come tante ma che ha premi dà il buongiorno, so una piega inaspettata e indesiderata, in attesa di una nuova chance per è un altro giorno riprendersela nuovamente in mano.

Buongiorno

La musica ti ha accompagnato fin da piccolo….

Sì, ma mio papà non voleva che diventassi un musicista, che diventasse il mio lavoro, perché sapeva bene quanto difficile è questo mondo. Bisogna essere bravi, ma anche fortunati e giudiziosi. Ricordo che quando lui provava gli strumenti a fiato andavo di nascosto ad ascoltarlo, senza che mi vedesse.

E invece…

E invece la musica mi è rimasta dentro e appena ho potuto ho seguito il mio cuore, la mia passione. Così a 15 anni ho iniziato a suonare nei primi locali, a

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di speranza nella vita, e io ringrazio il Signore che mi dà la gioia di vedere un altro giorno così.

Umberto D’Amico

guadagnarmi da vivere. Ho imparato da solo a suonare, non sono andato a scuola, solo con l’esercizio, la passione e la costanza. Ho fatto di tutto per suonare e cantare, e mi sono ritrovato a farlo nelle navi-traghetto e da crociera.

Ogni giorno fino a sera inoltrata ad allietare i tantissimi spettatori con musi-

scarpvenezia

ca e canti di canzoni famose, e di giorno a riposare e visitare i tanti posti dove la nave attraccava.

Mi mostra i timbri sui tre passaporti che ancora possiede e tiene per ricordo. Segni del passaggio in paesi quali Canada, Stati Uniti, tanti dell’Europa, SudaPronto a ricominciare Vicenzo vorrebbe tornare a fare musica.

Nella foto sopra Vicenzo in copertina di una rivista svizzera

frica, l’allora Unione Sovietica e altri ancora. Un uomo che ancora oggi ama la visibilità, essere al centro dell’attenzione, come un tempo lo era sul palco, circondato dalla gioia, dall’entusiasmo del pubblico che lo seguiva e acclamava mentre cantava le canzoni di rock, di jazz, di samba e liscio. Un camaleonte che si adattava alle esigenze del pubblico, e per questo capace di coinvolgere e trascinare. Un “animale da palcoscenico”, come si dice. La sua carriera di girovago trova tappa nella Svizzera italiana dove incontra anche il suo primo amore, che gli dona una figlia meravigliosa. Si ferma un po’ di anni, ma il successo, il denaro e le donne, creano le prime avvisaglie di crisi familiare.

Cosa è andato storto?

Ero troppo preso dalla musica e dal successo, quello che guadagnavo lo spendevo subito, non avevo orari, anche perché oltre a suonare nei locali, avevo due negozi di strumenti musicali, ed essere al centro dell’attenzione mi creava qualche problema anche nel rapporto con le donne e quindi con la mia compagna. Così la nostra relazione è andata in crisi.

E poi cosa è successo?

Per seguire mia figlia mi sono spostato in Veneto e nel veneziano dove ho continuato a suonare nei locali, continuando il successo e la fama. Ho incontrato un’altra donna con cui ho vissuto qualche anno insieme, e da cui ho avuto un’altra bellissima bambina. Ma anche qui si sono ripresentati i soliti problemi.

Insomma non sei riuscito a mettere la testa a posto?

Beh, lo ammetto, mi piace la musica e il successo, mi piace regalare alla gente un po’ di felicità, soddisfazione attraverso la musica, il canto. Mi piace stare con la gente, essere sotto i riflettori e avere la loro attenzione e gli applausi. Fin troppo. Questo mi ha creato alcuni problemi.

E ora come vivi questa situazione?

Male! Mi manca la mia vita, la mia musica, il contatto con la gente.

E con le persone che incontri per la strada e nella Caritas?

Io sto con tutti, so bene che ci sono persone pericolose e cattive, malvagie, ma io cerco di essere amico di tutti, di stare con tutti e se posso anche di aiutare. Ci sono tante persone che soffrono e stanno male come me, con cui si può stare bene insieme e condividere bei momenti di convivialità e allegria.

Cosa vorresti adesso?

Vorrei riavere una tastiera per riprendere a suonare, a divertirmi e divertire, lavorando. Perché la crisi ha colpito anche questo settore, io che fino a qualche mese fa suonavo in un ristorante qui vicino a piazzale Roma, a Venezia, e dove avevo il mio alloggio, adesso mi hanno lasciato a casa. Ma il peggio è che i miei strumenti, che custodivo in una cantina, con l’acqua alta si sono rovinati. Già l’umidità di Venezia non aiuta, ma questo ha proprio dato il ko finale. Ora vorrei poter acquistare una nuova tastiera, per riprendere a lavorare e a vivere con la mia musica, quello che mi riesce meglio e mi piace di più.

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rimini

C’è tutto il mondo sui banchi di scuola Visita al Centro provinciale per l’istruzione degli adulti, un luogo di crescita e integrazione. Dove stranieri e italiani imparano insieme di Paola Guiducci

La giostra Accanto a me ti sei accomodata Su una carrozza non prenotata Sorridente mi hai accompagnato A visitar tutto il creato A sfiorar alture da lasciar senza fiato A rotear in sù Oltre le stelle e l’infinito blu Infine in mare e ancor più giù In abissi oscuri mi hai trascinato Ed è allora che più non ti ho trovato Ora Lei voglio ritrovare Un altro biglietto, se le pare Qui il denaro non ha valore Ogni giro è vinto E’ una prova d’Amore.

Mino Beltrami

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La campanella suona alle 14.30, il trillo di uscita si ripete alle 22.30. Che razza di scuola è mai questa, con orari continuati e porte sempre aperte? C’è chi le chiama “scuole serali” e chi ricorda la denominazione “150 ore”. Quest’anno hanno nuovamente modificato termine: l’acronimo Cpia sta per Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, un orizzonte educativo fatto di alfabetizzazione e scuola media per persone di almeno sedici anni. «Il mio obiettivo è raggiungere il diploma italiano di scuola media: ormai è richiesto per qualsiasi tipo di professione – ammette sorridente Olena, 37 anni, nata in Ucraina, ma di nazionalità bulgara». Olena Kissa vive in Italia da cinque anni. Alle scuole “Bertola” ci viene allegramente in bicicletta. «Stavo cerCon i suoi quasi 30 anni di insegnamento, è la “mamma” dell’istruzione per adulti riminese.

«In queste classi si formano dei rapporti umani che danno la vera dimensione di cosa significa educazione». Con un gesto elegante Rossella Emiliani si sistema i capelli e allunga lo sguardo. Verso un orizzonte di uomini, donne e storie.

E pensare che al Cpia ci è capitata per caso. «Era il 1985 e si chiamava ancora “150 ore”. Quattro classi affollattissime a Riccione, lezioni serali, sui banchi solo italiani.

Una scelta forzata?

Dopo la laurea sono stata a spasso per un lustro, poi ho dato il concorso finendo il primo anno a Verghereto: con tre bambini piccoli a casa potete immaginare i disagi. L’anno seguente ho chiesto l’avvicinamento e mi è stato proposto il corso per lavoratori. Confesso: non sapevo cosa fosse. La certezza di tornare in Riviera mi ha spinto ad accettare.

Mai tentato di ritornare nelle classi “normali” di ragazzi?

Mi sono trovata così bene che non mi sono più mossa. Ne sono orgogliosa.

Rossella, la mamma di tutte le insegnanti ima

scarprimini cando un istituto per adulti su internet e mi sono imbattuta nel Centro provinciale per l’istruzione degli adulti. Ho terminato i test necessari per l’iscrizione e ora sono pronta a sedermi in aula: qui mi trovo a mio agio e spero in un anno di raggiungere il diploma». L’italiano non lo parla perfettamente ma si fa capire, Olena. Ha un compagno italiano e vanta diverse esperienze professionali in Riviera: badante, aiuto cuoca, cameriera. Con il quaderno sottobraccio saluta i prof e se ne va. Appuntamento a mercoledì 15 ottobre, data di inizio delle lezioni.

Studenti da tutto il mondo Olena non è l’unica straniera a sedersi sui banchi del Cpia. Il 90% di alunni e studenti è di nazionalità diversa dall’italiana. Per la prima volta quest’anno ci sono studenti originari del Kirghizistan ma afgani, bengalesi, pakistani sono di casa. C’è stato lo sbarco degli egiziani, marocchini e tunisini. I filippini frequentano da tempo, come pure senegalesi, ivoriani, originari del Mali. In

Istruzione per gli adulti

Venti classi pronte al via: offerta personalizzata e di qualità Alfabetizzazione, test per il permesso CE per gli stranieri soggiornanti di lungo periodo, educazione civica e corsi di terza media.

L’offerta del Centro provinciale per l’istruzione degli apdulti è ampia. E in gennaio si allargherà ancora, proponendo corsi brevi serali d‘informatica e di varie lingue straniere. Da quest’anno il Cpia è tutto nuovo nuovo: nuova sede (piazzale Bornaccini 1), nuova segreteria, nuova dirigente scolastica. Ma l’anima di questa scuola statale è sempre la stessa, al passo coi tempi. La formazione per l’età adulta, ad esempio. «È personalizzata – assicura la preside Filomena Saggiomo –. Negli anni si sono allargati gli orizzonti dell’istruzione degli adulti e del sistema di apprendimento permanente».

Le classi pronte alla prima campanella del 15 ottobre sono una ventina: tre presso la media “Bertola” di Rimini (di cui pomeridiane dalle 14.30 alle 18.30, e una serale 19.30-22.30), una ciascuno a Bellaria, Santarcangelo e Riccione, due al carcere di Rimini e una alla comunità di San Patrignano. A queste si aggiungono circa dieci classi di alfabetizzazione. Un punto interrogativo pende sulla testa della media di Morciano ma dalla segreteria sono convinti di risolvere la questione iscritti e dunque anche la Valconca prenderà parte alla bandiera a scacchi dell’anno scolastico 2014/15. Sono oltre centoventi gli iscritti, ma altri sono in procinto di terminare l’accoglienza e, tradizionalmente, altri alunni e studenti si accodano alle classi strada facendo.

La scuola per adulti è quasi una famiglia. E molti “figli” tornano per mostrare ai padri-prof i nuovi percorsi intrapresi. Adela, ad esempio, una ragazza rumena che dopo la scuola per ottico ora si iscrive all’Università.

Oppure Angelo, il peruviano imbianchino e studenti ai geometri, imitato dal “collega” Ahmed.

Angela, riminese, ha deciso di rimettersi in gioco alla bella età di 74 anni. «Voglio farlo prima che sia troppo tardi». Petrit Bregesi, albanese, di anni ne ha 65, si esprime correttamente in italiano e ha già il diploma in tasca. La palma della più veneranda va senza dubbio all’ottuagenaria Roberta Bianchi. Riminese, non sposata, con la licenza media presa a suo tempo, Roberta ha raggiunto la sede delle “Bertola” in bici (anche sotto la pioggia) per rimettersi in discussione.

una classe un anno si è arrivati a contare nove nazionalità su quattordici studenti. Unica eccezione i cinesi. I figli dell’impero celeste, infatti, più volentieri optano per i corsi di alfabetizzazione. La massiccia presenza di stranieri rivela anche la forte caratterizzazione sociale del Centro: «I corsisti, provenienti da paesi distanti e culture diverse, migliorano le loro capacità di relazione, all’interno della scuola, nell’ambiente esterno e nel mondo lavorativo – rilancia soddisfatta la preside, Filomena Saggiomo». Provare Facebook per credere. La pagina “I carbonelli” sembra una favola moderna.

Prof, alunni e studenti che a braccetto

organizzano gite e uscite scolastiche ma senza scuola, cioè alla domenica per non cadere nei vincoli della burocrazia e lasciare invece le porte aperte a mogli, figli e parenti.

Risultato: per il viaggio CortonaArezzo-Badia Tedalda si è reso necessario un doppio pullman per contenere tutti gli iscritti. Anche le gite – e i social – testimoniano di una riuscita aggregazione sociale e interreligiosa.

Un sistema che funziona. Ed anche bene. Come testimonia la riminese Silvia. Diplomatasi due anni fa, ha frequentato cinque anni in uno all’“Alberti” ed ora è pronta per frequentare l’università.

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napoli Grazie al Sermig piazza del Plebiscito è diventata un luogo di incontro e riflessione su pace, legalità e fraternità

Quando la “coscienza” scende in piazza di Laura Guerra Il Sermig li ha chiamati a raccolta in piazza a Napoli e loro, i giovani sono arrivati a decine di migliaia, riempiendo Piazza del Plebiscito per condividere riflessioni e testimonianze di coscienza. La giornata infatti si chiamava “Appuntamento con la coscienza”, organizzato e promosso dai giovani per la pace del Sermig di Torino e ha visto insieme ragazzi arrivati da tutta Italia e anche dall’estero. Giovanni del gruppone numeroso e colorato del Piemonte dice: «Coscienza significa essere fedeli alla propria storia e quindi non tradire le proprie origini: i miei genitori sono artigiani, ogni giorno mi danno esempio di onestà e di lavoro». Per Alesla sua città; Mike Mwenda, 25 anni, un sia, potentina: «passare questa giornata ex bambino di strada in Zambia che oginsieme a tanti ragazzi come me signifigi frequenta l’università e vuole divenca condividere valori come la fede, l’atare giornalista e Lucia Capuzzi che ha micizia, la solidarietà, la speranza nel furaccontato delle sue inchieste a ritroso, turo, ma anche le stesse preoccupaziole rotte della cocaina dall’Italia verso l’Ani come le ansie verso il domani, la difmerica Latina. ficoltà di combattere le ingiustizie, la E poi ci sono le mamme della terra mancanza di lavoro». dei fuochi, Anna, Marzia e Luisa che Sul palco si sono alternate le voci e hanno perso i loro piccoli per un tumole storie di Februnye Akyol, giovane crire. A fine della serata anche la danza di stiana della minoranza etnica aramea Simona Atzori, pittrice, scrittrice e balche ha rivendicato e vinto il suo diritto lerina pur essendo nata senza le bracallo studio fino a diventare sindaca delcia. In prima fila ad ascoltare il sindaco

Qualcosa di contagioso, che contamina tutto Coscienza è imparare a leggere e studiare con impegno, perché il futuro della società dipende anche dalla mia coscienza. Mi sembra una cosa scontata, ma, in realtà, ascoltare quello che ti dice la coscienza non è un fatto personale, utile semplicemente a vivere meglio, ma è qualcosa di contagioso, come buttare un sasso in uno stagno: i cerchi nell’acqua si allargano e propagano sempre di più. Così immagino la coscienza: un beneficio per tutti.

Domenico Capuozzo

Ce l’hai dentro di te. Ma molti non lo sanno La coscienza è un qualcosa che hai dentro di te, che ti spinge a fare le cose buone. Io credo che la mia sia una buona coscienza, infatti mi fa fare sempre cose belle e non brutte, come invece si vedono fare tutti i giorni dalle persone per strada. La loro cattiveria mi fa crescere la rabbia, soprattutto quando li sento parlare. Queste persone non l’hanno mai avuta nella vita, credono che sia l’unico modo per stare al mondo, perciò non è possibile comunicare con loro.

Domenico Capuozzo

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di Napoli, Luigi de Magistris, e l’arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe. «Grazie a voi – ha detto Sepe – oggi Napoli è capitale della pace. Da qui parte il grido di pace rivolto al mondo. Ci sono coscienze che sprigionano guerra, che offendono l’uomo: voi siete le coscienze pulite del mondo che basano la propria esistenza su Gesù Cristo».

Ernesto Olivero, fondatore del Sermig ha lanciato la “La lettera alla coscienza” un testo che, fra l’altro, recita: “La coscienza non fa chiacchiere. Fa e fa essere persone disposte a diventare gli occhi di un cieco, gli orecchi di un sordo, il pane di un affamato. La coscienza mi fa amare l’oggi guardando già al domani, mi apre al mondo, alla legalità e alla fraternità”.

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scarpnapoli La coscienza non si inventa Nella nostra città, sabato 4 ottobre, è partito un appello alla coscienza dell’umanità, con centinaia di giovani presenti. Ho molta stima dell’universo "giovanilistico", qualcuno della mia età, spesso, mi vuole far notare he la gioventù attuale non ha ideali. Io rispondo che non è la verità, e che noi “anziani” siamo troppo legati ai nostri – molte volte falsi – ideali. Se pensassi che i ragazzi non hanno coscienza morirei di rammarico; significherebbe che nel futuro la nostra Italia, ma anche le altre parti del mondo, diventerebbe un enorme salotto dove pletore di insipienti si racconterebbero facezie.

La coscienza è un sentimento assai nobile, bisogna che la si coltivi, passo dopo passo, è una piccola pianta da salvaguardare, con gocce di rugiada.

La coscienza del buon filantropo, per esempio: sì, d’accordo, magari dispone di un patrimonio esagerato, ma almeno si priva di qualcosa di suo per regalarlo ai meno fortunati.

La coscienza di un buon politico: uno che lavora per il bene della patria. Qualcuno sicuro c’è, spero.

La coscienza di un buon amico, che ti ascolta, ti capisce, non ti compatisce solamente.

La coscienza dei giovani palestinesi, che difendono la loro terra dagli assalitori, mai stanchi di appropriarsi delle altrui cose.

La coscienza di un buon medico, quella che gli fa dire “staccate quella spina, quest’uomo non può essere umiliato. Lasciatelo andare”.

La coscienza di un padre che lavora 12 ore al giorno per sfamare la sua prole.

La coscienza di un sacerdote, che ti ascolta e non ti punisce ciecamente con quattro Pater Noster.

Coscienza, coscienza, per favore, fai una capatina nei cuori aridi?

Risveglia le anime assopite, quelle che “tanto chi se ne frega”, che poi ti dicono “Ho la coscienza pulita”.

Certo. Non l’hanno mai usata!

Ho una certa età ormai, e il resto della mia vita vorrei viverlo attorniato da esseri coscienziosi.

Sogno, realtà o il mio solito essere utopico?

Ma poi, cosa avete contro l’utopia?

Spesso, chi è utopico, la coscienza ce l’ha, ed è anche pulita.

Coscienza di pace Anche Scarp in piazza per l’iniziativa del Sermig

Aldo Cascella

L’intervento

Così si fa del bene È sempre difficile parlar di sentimenti, son mica cose pratiche, tangibili, son mica cose, appunto.

Però è proprio coi sentimenti che si fanno le cose.

Una cosa fatta con tutti i sentimenti, è fatta bene, con coscienza. Quel sentimento, o meglio dire, quello stato dell’anima che ha mosso il Sermig - Arsenale della Pace e custode di buona coscienza, ha radunato tantissimi giovani e meno giovani, da tutta Italia ed altri paesi, a Napoli, nella grande piazza del Plebiscito.

In senso religioso, acquisire una coscienza vuol dire, inevitabilmente, mettersi nei panni di chi ha bisogno di te, e offrire la tua opera per alleviare le sue pene. È precisamente ciò che fa il Sermig ed io lo ammetto, non sapevo lo facesse così bene. A Torino, dove è stato fondato da un “emigrante” campano, Ernesto Olivero, è molto presente al punto che ormai sarebbe impensabile, per loro, farne a meno: mense, dormitori, scuole, assistenza a chiunque sia in difficoltà, è il sogno realizzato di tanti giovani che, semplicemente, riconoscono nell’altro il loro volto. Perché se “la misura è uscita di misura”, come dice Ernesto Olivero nella “Lettera alla Coscienza”, avremo sempre mani, cuore ed intelligenza per limitare i danni.

Bruno Limone

La riflessione

È ciò che ti fa vivere La coscienza è il tuo essere, è il tuo interlocutore, è un arricchimento, è un canale che trasmette stati positivi e negativi. Noi nasciamo con la coscienza, molti di noi fanno i conti con la propria coscienza. Molto spesso ti fa riflettere, è li pronta a suonare al campanello della tua anima. Penso che tutti, nella vita quotidiana, cercano di essere a posto con la propria coscienza. Per me “essere a posto con la coscienza” significa cercare di operare nel migliore dei modi, cercando di non fare del male a nessuno, facendo cose buone, aiutando le persone in difficoltà.

Poi ci sono alcune persone che hanno molte cose negative sulla coscienza: quelli che fanno o hanno fatto parte di clan che ammazzano le persone, specialmente quelle più indifese, innocenti, ed io trovo che questa sia una delle cose più brutte che ci siano.

Oppure quelli che usano la violenza sui bambini, gli adulti, i figli… queste persone, secondo me, non potranno mai vivere in pace con loro stesse, faranno sempre i conti con la loro coscienza, avranno sempre dentro di loro un rimorso, un dolore, un ricordo. C’è chi se ne pente, e chi no, sono quelli che con la coscienza non hanno nulla a che fare.

In ogni caso, io credo che solo il Signore, Dio deciderà per la loro coscienza.

Marianna Palma novembre 2014 scarp de’ tenis

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salerno Tre giovani musicisti locali commemorano i tragici fatti di Sassano con un rap struggente. Perchè La meglio gioventù esiste. E lotta.

Un’altra vita, dopo la strage di Patrizio Fuoco Molto si è detto e scritto sul terribile incidente (o forse è meglio chiamarla strage) che ha portato lo scorso 28 settembre alla morte di quattro giovani, investiti da una Bmw che a tutta velocità si è schiantata contro un bar, nella frazione Silla del comune di Sassano. Molto si è detto e scritto anche sulla già nota abitudine del conducente della Bmw, più volte visto percorrere le strade del paese ben oltre il limite di velocità consentito. Da tutta Italia si è ragionato sul problema dell’alta velocità e su quello ancora più grave del sempre crescente uso di alcolici da parte dei giovani. É vero, aumentano sempre più i ragazzi che consumano alcol, ma in paesi come Sassano ci sono ben altri esempi di giovani. Ci sono ragazzi che hanno talento e si sforzano di portare avanti con determinazione e spirito di sacrificio i loro sogni. Ragazzi che rappresentano il futuro di una comunità, grazie ai valori che portano avanti. Parliamo, ad esempio, di tre giovani musicisti, Gaetano RomaCigola l’altalena degli eventi. nelli (in arte Romans) e Deborah AbAnni prigionieri di se’ batemarco (Edrien) originari proprio di Sassano, e Antonio Senatore di Sanza siedono a dondolare (paese non lontano).

L’altalena

Un rap per la prevenzione I tre hanno di recente realizzato un bellissimo pezzo rap, in cui commemorano i giovani morti nella strage di Sassano, e tutte le persone scomparse prematuramente a causa di incidenti stradali. La canzone si chiama “Un’altra vita” e ha un testo bello e forte: “Le lacrime nel petto non portano soluzione/ho un vuoto nel petto come la generazione/quella mia che ha visto partire troppi amici…” - cantano i tre rapper. E poi ancora: “Vorrei interrogare Dio e chiedergli domenica alle 5 dov’era”. E ancora: “Non puoi fermare un angelo quando prende il decollo e quando vola/vorrei provarlo a mandar giù ma ho ancora un nodo in gola”, con riferimento ai ragazzi che hanno perso la vita quella maledetta domenica.

Sassano è una località di circa 5 mila abitanti, sito nel Vallo di Diano, zona della provincia di Salerno confinante

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schegge minuscole di gioie sassi spigolosi di dolore.

Ancora una panchina nei miei giorni…

Quel sostare esatto alla calura del primo pomeriggio dell’ultimo giardino…

Nel cielo arso di luce non un minimo accenno di sereno.

Aida Odoardi

con la Basilicata. Una zona meravigliosa dal punto di vista artistico e naturalistico: a pochi chilometri da Sassano vi è Padula, bellissimo borgo che ospita la splendida Certosa, una delle più grandi e importanti d’Europa. A poca distanza vi è Teggiano, borgo medievale che è un vero e proprio museo a cielo aperto. E numerose sono le attrattive ambientali. Un territorio che dovrebbe dunque puntare sulle sue giovani e talentuose risorse umane (quali, ad

scarpsalerno Un rap per far pensare Nella foto sotto Gaetano Romanelli (in arte Romans), Deborah Abbatemarco (Edrien) originari di Sassano, e Antonio Senatore di Sanza i tre giovani autori di “Un’altra vita”.

esempio, i tre musicisti di cui abbiamo parlato in questo articolo) e sulle splendide risorse artistiche per rialzarsi. In questo modo i ragazzi sarebbero influenzati positivamente da un clima culturale fecondo e, forse, tante giovani vite potrebbero essere salvate.

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È possibile guardare il videoclip della canzone su youtube: http://youtu.be/8sMKXk39djo

Il 28 settembre la tragedia nel salernitano

Con la macchina contro il bar: quattro ragazzi morti a Sassano È accaduto in provincia di Salerno, precisamente a Sassano, un fatto raccapricciante che mi ha seriamente scosso e per il quale non riesco a darmi pace. Un fatto che ha avuto grande risalto su tutti i giornali e le tv nazionali, a causa della sua gravità.

In un pomeriggio domenicale come tanti (era lo scorso 28 settembre) un giovane alla guida di una Bmw, auto di grossa cilindrata, si è lanciato in un rettilineo del comune di Sassano, in una zona abitata, alla folle velocità di 130 chilometri orari, tentando di prendere una rotatoria posta alla fine del rettilineo. Chiaramente la manovra non gli è riuscita; la Bmw è sbandata e, sempre a folle velocità si è scagliata contro i tavolini di un vicino bar.

Quattro giovani avventori del bar sono morti a causa del tremendo impatto con l’auto; tra loro anche il giovanissimo fratello del conducente della Bmw. Quest’ultimo, invece, si è salvato.

Davvero una notizia terribile, prima di tutto per il proprietario del bar, che ha visto morire sotto i suoi occhi i suoi due figli nell’incidente. Poi per tutta la comunità di Sassano, ma in genere per tutti noi italiani.

C’è molto da riflettere, a mio parere, su un evento del genere. Prima di tutto, sul silenzio e il lassismo delle istituzioni: tutti nel paese conoscevano il brutto vizio del conducente, il 22enne Gianni (preferiamo non scrivere il cognome), che spesso schiacciava il piede sull’acceleratore ben oltre i limiti consentiti. E nessuno, nel corso degli anni, gli ha tolto la patente, o sequestrato l’auto. Gianni ha potuto continuare imperterrito a correre per le strade del paese.

Altro punto fondamentale su cui riflettere: Gianni è stato trovato con un tasso alcolemico nel sangue ben oltre il limite consentito. Forse proprio per la scarsa lucidità ha provato un “numero” da stuntman assolutamente impossibile, ossia affrontare una rotonda a 130 km all’ora.

Al di là delle sue gravi responsabilità personali, ciò apre altri scenari: dove sono i controlli alcolemici per chi è al volante? Perché i baristi servono alcol a chi è visibilmente già brillo e deve mettersi al volante? Ma soprattutto, dov’è l’educazione civica e familiare verso i corretti stili di vita?

C’è da dire che nei paesi i giovani soffrono probabilmente di un senso di noia più forte che in passato; si sentono frustrati dai social network, nel vedere loro coetanei “cittadini” fare attività e frequentare posti che non esistono in un piccolo centro. E così, sempre più spesso tendono a rifugiarsi in vizi e strane abitudini.

Le “stragi” del sabato sera hanno lasciato il posto a quelle della “domenica pomeriggio” (come accaduto a Sassano) ossia del momento della settimana per antonomasia più fiacco e noioso. L’uso di alcolici nei paesi del salernitano è aumentato in maniera esponenziale tra i giovani, così come nascono come funghi le sale slot e centri scommesse, con cui perdono le ore e la testa i giovani del Cilento e del Vallo di Diano (le due zone della provincia sud di Salerno). La società civile deve reagire.

Antonio Minutolo

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Tetraedro

ventuno Ventuno. Come il secolo nel ventunodossier «High Tech, No quale viviamo, come l’agenda Rights?». La campagna di due per il buon vivere, come associazioni svizzere per tutelare l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. lavoratori (e consumatori) dell’high Ventuno è la nostra tech. E intanto, all’orizzonte, si profila idea di economia.

Con qualche proposta per il cellulare etico. agire contro l’ingiustizia e di Andrea Barolini l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

Ventunoeconomia Famiglie sempre più povere. Saltano le spese per la casa. E sul fronte della lotta all’indigenza ancora molti ostacoli sono da superare.

21 di Sandra Tognarini e Daniela Palumbo

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21ventunodossier Quante ombre: ambiente, diritti, salute. Cosa nascondono i nostri telefoni cellulari e i nostri computer?

Etica ed elettronica legame complicato di Andrea Barolini

La campagna lanciata da Le terre rare per i chip valgono più dell’oro due associazioni cattoliche della Svizzera per tutelare i diritti dei lavoratori (e Li abbiamo continuamente tra le mani. Negli ultimi decenni sono diconsumatori) che ventati strumenti comuni e familiari, che ci accompagnano quotidianamente, e dei quali non possiamo più fare a meno. Ma proprio la loro diffusione, il loro conooperano nel settore scerli a menadito e vederli ovunque, rischia di farceli “notare” sempre meno. E di fardell’high tech. Dove ci porre troppe poche domande sul loro conto. Parliamo di telefoni cellulari, computer, portatili e tablet. La cui produzione implica numerosi problemi che in pochi sfruttamento e casi sono conosciuti dai consumatori. mancanza di diritti sono Due associazioni caritatevoli svizzere, Action de Carême e Pain pour le prochaina (Sacrificio Quaresimale e Pane per tutti), hanno cercato di accendere un rifletall’ordine del giorno. E in tore sulla questione, attraverso un rapCongo si fa la guerra per porto intitolato Quel sang y a-t-il dans nos téléphones portables (Che sangue nici abbia cominciato a lavorare nella le terre rare, elementi c’è dentro ai nostri cellulari?), nel quale direzione di migliorare i propri standard preziosi e indispensabili si analizzano numerosi aspetti legati al- ambientali, le condizioni di lavoro di chi per quei telefoni cellulari la produzione di telefoni portatili e è coinvolto nella produzione e la salucomputer. Il risultato è rappresentato brità dei materiali utilizzati. Se Hewlettche abbiamo – sempre da un mix di luce ed ombre: se alcuni Packard e Nokia, però, sono state clasmarchi, infatti, hanno dimostrato buosificate «sulla buona via», Apple e Dell di più – e na volontà e si sono impegnati nel mihanno invece ottenuto un giudizio continuamente, tra le gliorare i loro standard etici, altri sono «medio». Mentre l’impegno di Acer, Leancora molto indietro. novo, Samsung e Sony è stato considemani.

E in Congo si fa la guerra per il coltan e la cassiterite

In questo senso, quella di Action de Carême e Pain pour le prochain può essere considerata una prima guida all’acquisto etico per i consumatori. Partiamo, allora, proprio dai risultati. L’inchiesta rivela come la maggior parte dei grandi produttori di strumenti elettro-

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rato «insufficiente». Del tutto «inaccettabili», infine, sono stati giudicati i prodotti di Asus e Htc. Inoltre, va detto che i progressi sono per la maggior parte concentrati sulla questione del rispetto dell’ambiente: molto meno soddisfacenti sono i risul-

La campagna “High tech, No Rights?”

tati raggiunti per quanto riguarda le condizioni di lavoro nelle fabbriche. In particolare, i maggiori punti oscuri riguardano la salute e la sicurezza degli operai, i livelli salariali, e i diritti sindacali. «È per questo – spiega a Scarp Daniela Renaud, responsabile della campagna «High tech - No Rights?» per le due associazioni (vedi intervista a pag. 63) che chiediamo ai grandi marchi di esigere dai loro fornitori un miglioramento delle condizioni di lavoro, nonché garanzie dal punto di vista ecologico».

Una questione su tutte appare particolarmente allarmante: quella delle materie prime necessarie per la costruzione di computer e telefoni che riempiono le vetrine dei negozi. Come raccontato da Scarp nell’ultimo numero, infatti, esiste una ristretta serie di minerali – chiamati «terre rare» – che sono presenti in quasi tutti gli strumenti elettronici. Essi sono sempre più ambiti, ma spesso sono difficili da reperire: i giacimenti sono concentrati infatti soprattutto in alcune aree del mondo, in particolare in Cina e in alcune nazioni africane. Ed è proprio in queste due ma-

cro-regioni che si concentrano anche i problemi.

Congo, gli effetti delle estrazioni Quantitativi ingenti di minerali vengono estratti ad esempio nella Repubblica Democratica del Congo: «Tale produzione – hanno spiegato le due associazioni in un comunicato – comporta in molti casi l’esodo di popolazioni, inquinamento ambientale e conflitti sanguinosi». «L’industria estrattiva non contribuisce affatto al miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti nelle regioni minerarie – ha constatato Fridolin Ambongo, vescovo di Bokungu-Ikela e presidente della Commissione episcopale per le Risorse naturali.

Eppure, per il settore delle nuove tecnologie il nostro Paese è una delle principali riserve di questi elementi indispensabili. Analisi scientifiche dimostrano infatti che nei nostri telefoni portatili è presente un mix costituito da un 45% di plastiche, un 20% di rame, e un altro 20% di materiali come l’alluminio, l’oro, il tantalo, il coltan o ancora la cassiterite. Questi ultimi arrivano, molto

spesso, proprio dalle province di Katanga, Maniema, Sud-Kivu e Nord-Kivu: terre toccate dalle guerre più sanguinarie che la Repubblica Democratica del Congo abbia mai conosciuto, e che non si arrestano da due decenni. Laggiù, sono le bande armate che si contendono le risorse».

I gruppi armati, infatti, si impadroniscono delle miniere, e con esse dei ricavi derivanti dalla vendita dei materiali. «Ad esempio – prosegue Ambongo –, il prezzo del coltan è passato dai 30 a 210 dollari alla libbra negli anni scorsi, incrementando esponenzialmente i guadagni dei ribelli. Ma c’è di più: l’impatto dell’estrazione dei minerali è disastroso per le popolazioni locali. Sul piano economico, ciò che viene concesso ai lavoratori è una miseria, e non è in grado di migliorare il loro tenore di vita.

Le zone, inoltre, sono spesso isolate, il che rende difficili i controlli, incrementa le violazioni dei diritti umani e favorisce i casi di vera e propria schiavitù».

Non di rado, poi, i metodi utilizzati per lo sfruttamento dei giacimenti non garantiscono standard accettabili di rinovembre 2014 scarp de’ tenis

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ventunodossier

I dati dall’estremo Oriente: operaie ed operai costretti a lavorare per 14 ore al giorno per salari da fame.

spetto dell’ambiente: in alcuni casi viene utilizzato mercurio per la pulizia dell’oro, vengono scavate gallerie più profonde rispetto ai limiti stabiliti dalle leggi e vengono fortemente inquinati i bacini d’acqua circostanti.

In estremo oriente, invece, è la scarsità di diritti per i lavoratori a preoccu-

pare di più. «Gli operai e le operaie – proseguono le due onlus – sono spesso costretti a lavorare fino a 14 ore al giorno, per salari da fame. Secondo un’inchiesta di un’organizzazione di Hong Kong, la Sacom, la situazione è drammatica. Per ridurre le spese di stoccaggio, i produttori esigono l’evasione degli ordinativi in tempi sempre più ristretti, il che impone ai lavoratori di rimanere in fabbrica fino a 50 ore in più alla settimana rispetto agli orari normali. E la maggior parte di loro è di fatto obbligata a fare tali straordinari, perché i salari di base non consentono di far fronte neppure alle necessità di base».

«I ricercatori – ha spiegato Kwan Liang, responsabile della Sacom, nel corso della presentazione del rapporto – hanno realizzato l’inchiesta tra gennaio e giugno 2014, concentrandosi sulle società che forniscono prodotti a Samsung, Hewlett-Packard, Asus e Lenovo.

Ebbene, in nessuna delle cinque fabbri-

che esaminate viene rispettato il limite delle 36 ore massime di straordinario. In alcuni casi si è arrivati a 170-200 ore mensili in più, e i lavoratori sono rimasti in fabbrica dalle 8 alle 22, senza diritto a fermarsi neppure un giorno nei periodi di grande produzione. I salari generalmente non si discostano dai minimi imposti, e in alcuni casi si fermano ai 1.130 yuan, quando le spese medie mensili di un operaio sono di almeno 3.000 yuan». Ma si parla anche di contratti firmati in bianco, programmi di previdenza sociale manchevoli o inesistenti e di rappresentanti sindacali nominati dai dirigenti delle aziende. È per questo che è fondamentale lanciare un messaggio ai grandi marchi, premiando coloro che si sono dimostrati più attenti. Anche attraverso le scelte dei consumatori.

Solo in questo modo si può innescare una spirale virtuosa e “costringere” al cambiamento.

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FairPhone nasce da un’idea di un giovane imprenditore olandese

Un cellulare che rispetta l’ambiente, la dignità umana.

E che ha anche un prezzo accettabile Cari lettori, potete tirare un sospiro di sollievo. Il fatto che la presenza di un cellulare nelle nostre tasche sia pressoché indispensabile, e che la sua fabbricazione sia eticamente poco convincente, non significa che dobbiamo necessariamente contribuire ad un mercato che non accettiamo. Un’alternativa, ad esempio, esiste, ed è anche piuttosto ragionevole dal punto di vista economico. A proporla è un giovane imprenditore olandese, Bas Van Abel, che ha lanciato il suo FairPhone (letteralmente, telefono “giusto”). Un cellulare concepito per rispettare l’ambiente e la dignità umana.

Una parte dei materiali utilizzati per la fabbricazione del cellulare “etico” non proviene infatti dalle miniere controllate da gruppi armati o da reti illegali. Nelle fabbriche cinesi in cui si producono le componenti, inoltre, le condizioni di lavoro sono monitorate e mantenute a standard accettabili, verificati da ispettori internazionali. Da non sottovalutare, poi, è il fatto che lo smartphone è stato prodotto grazie ad un finanziamento partecipativo: sono gli

62. scarp de’ tenis novembre 2014

internauti ad aver consentito la produzione dei primi 20 mila esemplari.

I compromessi, dal punto delle caratteristiche, non sono molti. L’apparecchio non è dotato della nuova tecnologia 4G, ma è presente la connessione veloce 3G. Il sistema operativo è Android 4.2, lo schermo è un HD da 4,3 pollici, e sono presenti GPS, Wi-Fi, Bluetooth e giroscopio. Uno slot per una scheda di memoria SD consente di aumentare la capacità fino a 64 GB (oltre ai 16 standard di memoria interna), ed è possibile inserire due sim allo stesso tempo: si è, perciò, raggiungibili su due numeri contemporaneamente sullo stesso telefono. Scatola e imballaggio, infine, sono in cartone riciclato. E il telefono è anche consegnato con una serie di pezzi i ricambio utili per prolungarne la vita (alla faccia dell’obsolescenza programmata).

Il prezzo non è estremamente economico: si può ordinare il telefono sul sito del produttore a 310 euro. Ma, bisogna tenerlo a mente, è quasi come se una quota di tale costo fosse devoluta in beneficenza: chi può permetterselo, fa una buona azione per se stesso e per il mondo intero!

La campagna “High Tech, No Rights?”

Parla Daniela Renaud, coordinatrice della campagna “High tech, No Rights?”

Salari accettabili, libertà sindacali.

Quanta strada ancora da fare...

Daniela Renaud è responsabile della campagna «High Tech, No Rights?» per le associazioni svizzere Action de Carême e Pain pour le prochain. Il suo è un bilancio che parte dal 2008. Fatto di luce, ombre e speranze.

Leggendo il vostro rapporto, si evince che qualche miglioramento c’è stato nel modo in cui gli strumenti elettronici vengono prodotti. Si ritiene più soddisfatta o più delusa?

In effetti abbiamo constatato che, rispetto al nostro ultimo studio, che era datato 2008, le imprese hanno effettuato qualche passo in avanti. Ma l’attenzione si è concentrata in larga parte sull’ambiente, mentre per quanto riguarda altri aspetti etici il cammino è ancora lungo.

Qual è l’aspetto sul quale si sono fatti meno passi in avanti? È chiaro che la priorità delle imprese è stata data all’ecologia: un tema sul quale sono stati fatti molti sforzi, e le politiche di informazione sono relativamente trasparenti. Al contrario, l’impegno in tema di diritti dei lavoratori resta assolutamente insufficiente. La trasparenza è scarsa e i dirigenti tentennano quando si tratta di migliorare le condizioni di lavoro nelle fabbriche. Tuttavia, le differenze tra i marchi sono ampie: se il fanalino di coda, Htc, non pubblica neppure un rapporto annuale sulla responsabilità sociale, l’agli apparecchi potrebbe funzionare anzienda più virtuosa, la Hp, collabora con cora a lungo. Ecco, un consumatore reOng e sindacati indipendenti. Nell’insiesponsabile di prodotti “hi-tech” deve fare me, possiamo dire che i risultati sono anla propria parte nel limitare l’utilizzo di cora insufficienti: le imprese prediligono materie prime e nel difendere l’ambienla strategia di adottare codici di condotta te. Perché, proprio in quanto consumain materia sociale ed ecologia per i loro tori, noi possiamo agire. Quando parliafornitori, e svolgono monitoraggi più o mo con le persone ci accorgiamo che someno credibili per verificarne l’applicano aperte e pronte a cambiare le cose: il zione. Ma non basta: occorre un impeproblema è che spesso non sanno bene gno chiaro e concreto per la libertà sincome fare. Occorre portare ancora avandacale, bisogna esigere salari accettabili ti un lungo lavoro di sensibilizzazione, nelle fabbriche dei fornitori e collaborare come fanno le nostre due associazioni, e attivamente con le organizzazioni non anche altre Ong. governative.

Chi sono i maggiori responsabili? Le istituzioni o le imprese?

I consumatori, in Europa, sono sufficientemente coscienti dei problemi Le imprese sono le prime a doversi cometici legati agli strumenti elettronici? portare in modo etico: devono assumersi la responsabilità dei loro prodotti in tePosso parlare soprattutto della situazioma di diritti umani, di ambiente e di mane dei consumatori in Svizzera, ma creterie prime provenienti da zone di guerra. do che le cose non siano molto diverse Ma anche le istituzioni, ad esempio negli altri Paesi europei. Qui si cambiano quando acquistano strumenti elettronii telefoni cellulari, in media, una volta ci. E poi, insisto, noi consumatori. ogni 12 mesi, mentre la maggior parte de-

Daniela Renaud, resposnabile della Campagna “High Tech, No Rights?”

Esistono delle alternative, come nel caso del FairPhone. Ma si tratta davvero di prodotti etici?

Siamo in contatto con il team che produce il FairPhone dalla primavera del 2013.

Bas Van Abel, l’amministratore delegato, è stato presente in occasione di nostre conferenze. Il loro telefono è prodotto nelle condizioni migliori possibili, certo.

Benché non sia perfetto, rappresenta un gigantesco passo in avanti. Lo stesso Van Abel ha spiegato che il prodotto viene “migliorato passo passo, informando i consumatori”. Per ora, solamente due dei trenta materiali utilizzati provengono da miniere garantite “conflict free”. Si tratta dello stagno che arriva dall’iniziativa “Etain sans conflit”, nella provincia orientale del Sud-Kivu, e del tantalo, che è fornito nell’ambito del progetto “Solutions for Hope” nella provincia meridionale del Katanga. Noi non possiamo che accogliere con soddisfazione l’impegno di questa piccola squadra olandese.

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21ventunoeconomia Due milioni di abitazioni sfitte in Italia, specchio di politiche poco lungimiranti. Cresce l’incapacità di far fronte alle spese per la casa

Famiglie sempre più povere.

Saltano gli affitti di Sandra Tognarini

La crisi ha messo in pericolo la capacità delle famiglie di fare fronte alle spese quotidiane.

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La crisi economica mette in pericolo la capacità dei cittadini di trovare un lavoro. Spesso anche la sicurezza di un contratto a tempo indeterminato diventa una chimera. Ciò ovviamente influisce sulla capacità di spesa quotidiana (per il cibo, il vestiario e le varie utenze), ma soprattutto rende impossibile il pagamento costante e puntuale dell’affitto di casa.

Nel 2013 sono stati emessi in Italia 73.385 provvedimenti di sfratto con 129.577 richieste di esecuzione e 31.399 sfratti eseguiti (fonte: dati Sunia - Sindacato nazionale unitario inquilini e assegnatari). L’80% è rappresentato da sfratti per morosità, il resto per finita locazione o necessità del proprietario. Negli ultimi tre anni i provvedimenti di sfratto sono stati 205.021, mentre dal 2008 al 2010 erano stati circa 157 mila.

Sofferenze in tutto il Paese Il fenomeno non riguarda più soltanto i quartieri degradati della aree urbane, ma si sovrappone ai territori più penalizzati dalla crisi occupazionale, ovvero la culla della piccola e media impresa, con picchi di sofferenza in Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Piemonte.

Perché i prezzi degli affitti non scendono se vi sono sempre meno persone disposte a pagare i prezzi attuali? Il fatto è che molti proprietari preferiscono tenere le loro case sfitte piuttosto che metterle sul mercato a un prezzo più basso. Ma quante sono le case sfitte in Italia? Il numero è incerto: 2,7 milioni per l’Istat, 2 milioni per la Cgil. Mettere sul mercato più case sarebbe un primo passo verso affitti più bassi e ciò farebbe istantaneamente calare il numero degli sfratti che coinvolgono persone con bassi redditi. C’è poi un’altra variabile da prendere in considerazione. Le politiche abitative italiane non seguono l’esempio europeo: nel nostro Paese solo il 6% delle costruzioni è di edilizia residenziale pubblica, in Francia è il 18%, in Germania è il 21% (dati Confabitare). Gli italiani in attesa di una casa popolare sono 600 mila e ogni anno in media solo un 2-3% del totale riesce a entrarvi.

Il Sunia ha osservato che «l’attuale momento di crisi economica continua a manifestare ricadute estremamente negative sui redditi delle famiglie, che faticano fra l’altro a sostenere i costi del canone di locazione,

Ritorno alla terra Nel 2014 a Milano sono state presentate 18 mila domande di sfratto

Assoedilizia: «I costi della crisi sono tutti sulle spalle dei proprietari. I comuni facciano la loro parte» Qual è la situazione degli sfratti a Milano? Le richieste di esecuzione presentate all’Ufficiale Giudiziario nel 2014 sono finora 18 mila. E l’anno non è ancora finito. Erano 11.525 nel 2013, 17.945 nel 2012 e 18.216 nel 2011.

Gli sfratti eseguiti con l’intervento della Forza Pubblica sono stati 1.818 nel 2013, 2.676 nel 2012 e 2.512 nel 2011. Come il relativo dato nazionale, anche a Milano l’80% degli sfratti si deve a morosità e il 20% per finita locazione o necessità del proprietario. Soltanto 600 famiglie hanno avuto recentemente l’assegnazione di una casa popolare. Di queste, la metà ha lo sfratto già eseguito senza che sia avvenuto il passaggio da casa a casa. La fonte dei dati è il Sunia.

Per dare un po’ di respiro agli inquilini, il Prefetto di Milano, con l’accordo dell’amministrazione comunale, aveva deciso il blocco degli sfratti con l’intervento della Forza Pubblica fino al 31 ottobre. In proposito, il presidente di Assoedilizia Achille Colombo Clerici ha affermato: «Assoedilizia apprende con grande disappunto che gli sfratti, compresi quelli per morosità, non verranno

eseguiti per tutto il mese di ottobre perché il Prefetto di Milano ha deciso di negare l’impiego della forza pubblica fino al 31 ottobre prossimo. Oltre tutto con il plauso del Comune di Milano. Si tratta all’evidenza di un provvedimento illegittimo, non motivato – tale non può essere il generico riferimento a impegni internazionali e istituzionali – e generalizzato. Un provvedimento preso in carenza di potere e fuori e in contrasto con ogni norma di legge. Come se non bastasse, un provvedimento che pone nel nulla le decisioni della magistratura munite di formula esecutiva. Oltretutto il provvedimento rende evidente l’incapacità di Prefettura e Comune di svolgere i compiti loro affidati dalla legge. Ancora una volta, i costi della situazione di crisi sono fatti pagare ai proprietari immobiliari che non solo devono pagare imposte e tasse più che raddoppiate, ma che neppure possono contare sul concreto esercizio del diritto costituzionale della tutela giudiziaria, anche nei casi di morosità. Assoedilizia si opporrà in tutte le sedi deputate a questo ennesimo arbitrio».

ventunoeconomia

Un decreto legge del Governo ha istituito di recente un fondo per la “morosità incolpevole”: perdita del posto di lavoro, cassa integrazione, mancato rinnovo dei contratti a termine

incorrendo in situazioni di morosità e rischiando di essere sfrattate. In particolare l’attuale situazione ha fatto emergere con forza un nuovo bisogno abitativo, ovvero quello delle famiglie che non sono più in grado di sostenere i costi della locazione richiesti dal libero mercato, ma dispongono ancora di una capacità di reddito incompatibile con l’accesso all’Edilizia Residenziale Pubblica». Il “nodo” rappresentato dalle famiglie che non possono pagarsi l’affitto a libero

mercato, ma sono ancora troppo “ricche” per accedere alle graduatorie per le case popolari dovrà essere sciolto al più presto.

Intanto, il decreto legge 102/2013 ha introdotto l’istituto della “morosità incolpevole” e un fondo di 40 milioni di euro per gli anni 2014-2015 destinato a quelle amministrazioni comunali che hanno deliberato iniziative in favore di inquilini morosi incolpevoli (ogni nucleo familiare può ottenere un contributo fino a 8mila euro).

Le cause di morosità incolpevole comprendono la perdita del posto di lavoro per licenziamento; la cassa integrazione ordinaria o straordinaria

Welfare e benessere delle famiglie.

Occorre un cambiamento di rotta Sembra un bollettino di guerra. Su Scarp dello scorso giugno abbiamo scritto che nel 2012 erano in povertà assoluta l’ 8% delle persone. Ovvero 4 milioni e 800 mila persone secondo l’Istat. Nel 2007 erano 2,4 milioni. Oggi i dati sono già cambiati: l’ultimo rapporto Istat sulla povertà in Italia ha messo nero su bianco che nel 2013 i beni e servizi essenziali sono venuti a mancare a 6 milioni e 20 mila persone residenti in Italia, pari al 9,9% della popolazione. Oltre un milione e 200 mila persone in più rispetto al 2012. Nessuno di loro, fra l’altro, ha potuto usufruire del bonus di 80 euro deciso dal governo. Non ci rientravano. Troppresentato il piano con nove mesi di po poveri. ritardo. Il governo ha spedito a settembre 2014 la richiesta per gli aiuti alimentari all’Unione Europea. La Ue, programmi cambiati Francia già alla fine del 2013 aveva Per i più poveri c’era il Pead: il Propresentato all’Europa il proprio piagramma di distribuzione di derrate no in modo da non avere interruzioni alimentari agli indigenti, dell’Unione nella distribuzione alimentare. AdesEuropea. Ma nel frattempo le cose soso l’Italia è in attesa dell’approvaziono cambiate. Il 31 dicembre 2013 l’Une Ue del piano. Nel frattempo, il gonione Europea ha decretato la fine del verno ha approvato un’anticipazione Pead, così hanno voluto i tedeschi sefinanziaria di 40 milioni di euro sulle guiti dagli svedesi e dagli austriaci. Si risorse europee con i quali verranno è passati al Fead, ovvero il Fondo di bandite le gare per le prime forniture aiuti europei agli indigenti. Il Fead di alcuni prodotti: latte, formaggi, però condiziona l’emissione degli carne in scatola, polpa di pomodoro, aiuti europei (per l’Italia, nel periodo olio di semi, minestrone di verdure e fra 2014-2020 sono stati previsti 595 succo di frutta. Ma queste forniture – milioni di euro, circa 85 milioni di eufanno sapere dal Banco Alimentare – ro l’anno) alla stesura del Programma raggiungeranno i magazzini a partire operativo per la fornitura di prodotti dai primi di dicembre. alimentari e/o assistenza materiale di Un altro fronte sul quale si gioca la base (Poi). Peccato che l’Italia abbia

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E il reddito minimo, proposto dall’Alleanza contro la povertà, si scontra coi conti possibilità di combattere la povertà assoluta è quella dell’Alleanza contro la povertà, formata da diversi soggetti sociali fra cui Caritas Italiana, Acli, Fondazione Banco Alimentare, Save the children, Fio-PSD, Action Aid, Anci, Azione Cattolica Italiana. L’Alleanza da tempo chiede la necessità di prevedere un cambiamento di rotta nel welfare in modo da orientare la spesa sociale verso misure strutturali che consentano di migliorare le condizioni di vita delle famiglie più disagiate e, nello stesso tempo, riducano i rischi di caduta (e ricaduta) in povertà. Il 14 ottobre scorso, l’Alleanza ha presentato il progetto del Reddito di Inclusione Sociale (Reis): è stato chiesto al governo il varo di un Piano Nazionale contro la povertà assoluta e l’indicazione, nella legge di stabilità, delle risorse per farlo partire dal 2015.

Ritorno alla terra

con notevole riduzione del proprio reddito; il mancato rinnovo dei contratti di lavoro a termine o di lavori atipici; la cessazione dell’attività di libero professionista (attribuibile a causa di forza maggiore); la malattia grave o infortunio o decesso di un componente del nucleo familiare. I comuni raccolgono le domande che, se in possesso dei requisiti, vengono poi trasmesse alle Prefetture.

I requisiti per l’accesso al fondo prevedono il contratto di locazione a uso abitativo regolarmente registrato; la residenza in un alloggio oggetto di procedure di rilascio da almeno un anno; il rispetto dei parametri

Ise/Isee previsti dal decreto, cioè 35mila euro per Ise, 26mila euro per Isee; la cittadinanza italiana/di un Paese Ue o regolare titolo di soggiorno se extracomunitari; l’avvenuta ricezione dell’atto di sfratto per morosità, con citazione per la convalida.

Titoli preferenziali per l’avanzamento in graduatoria sono la presenza all’interno del nucleo familiare di un componente che sia ultrasettantenne e/o minore e la presenza in famiglia di un invalido per almeno il 67% o in carico ai servizi sociali o alle competenti aziende sanitarie locali per l’attuazione di un progetto assistenziale individuale.

Il Sunia «giudica favorevolmente il provvedimento del Governo che ha stanziato fondi per il sostegno delle morosità incolpevoli, nonché la riduzione della cedolare secca sul canale concordato che dovrebbe favorire l’accesso ai contratti a canone moderato, ma ritiene che ciò non sia ancora sufficiente e che sia necessario un intervento drastico, sia economico che normativo, sul piano della politica dell’affitto nel nostro Paese».

Durante l’incontro, svoltosi a Roma, c’era Franca Biondelli, sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in rappresentanza del governo. Biondelli ha riconosciuto il lavoro importante svolto dal vasto cartello di soggetti che propone il Reis: «Anche l’Ue ritiene importante la lotta alla povertà con il sostegno all’inclusione attiva (Sia)», ha affermato. Il sottosegretario ha detto che il governo intende sostenere l’inclusione attiva potenziando la sperimentazione della social card, attiva in 12 città, cercando nella legge di stabilità le risorse per estenderla all’intero

Paese. A fronte di ciò, ha continuato il sottosegretario, sono stati avviati, intanto, i pagamenti di 50 milioni di euro per le 12 città. E ha concluso dicendo che sul Reis il governo ha comunanze di vedute ma ci sono limiti di bilancio con cui si deve fare i conti.

to di inclusione sociale perché: «Essa si fonda su una comune idea di diritti e di come si possa oggi costruire un percorso possibile di contrasto alla povertà». Il professor Cristiano Gori, che ha curato il progetto, ha sottolineato come sia urgente avviare un piano nazionale contro la povertà a partire dal 2015, impiegando inizialmente almeno 1,7 miliardi di euro per arrivare in un quadriennio a una spesa di 7,1 miliardi. Un cambiamento strutturale nelle politiche italiane di welfare che suona come una vera e propria rivoluzione.

[Daniela Palumbo]

Un Piano contro la povertà Per il presidente delle Acli, Gianni Bottalico: «La social card non è la risposta alla povertà in termini strutturali». Per Marsico, di Caritas Italiana, le difficoltà di bilancio del Paese sono reali ma l’Alleanza resta determinata a portare avanti il progetto del Reddi-

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lo scaffale

Le dritte di Yamada «Vento dell’Est, la nebbia è là, qualcosa di strano tra poco accadrà. Troppo difficile capire cos’è, ma penso che un ospite arrivi per me».

La sapete cantare?

Senza misteri Il mondo La sua metrica va a pennello su quel “cam caminí, cam come sarebbe visto dagli adolescenti la vita? caminí” suonata in tonalità minore, che è il tema di “Mary Poppins”. Notti fa c’era un vento – non so se delBianca Calò, Elena La natura ultima l’Est – che faceva suonare tutto quello che aveva a tiro.

Gianotti, Andrea della vita, per Persino la mia cervicale, che ha intimato – all’insonne Munforte, Susanna Hoffman, il fisico qui – di andare nello scaffale dei “libri-meraviglia-faroRusso, Sara che dirige il Saccoccio, laboratorio di nella-notte” e prendere un titolo, Next Stop Grand Carolina Sacconi, Nanomeccanica Central, della super geniale Maira Kalman, autrice e Giulio Segre, Paolo alla Wayne State illustratrice fantasmagorica.

Stucchi e Valentina University di Non credo di aver esagerato con gli aggettivi.

Testa: sono i Detroit, non ha Se ho carenze di buonumore, ispirazione o potassio, liceali, del Parini di misteri. Il moto Milano e del Giulio caotico e casuale basta che infili la testa – anche a caso – nella doppia Cesare di Roma, delle molecole, pagina di uno dei suoi dodici libri che ho racimolato nel che hanno unito alla necessità tempo: sto meglio all’istante e mi perdo nella miriade di partecipato imposta dalle leggi personaggi verosimili-ma-magici che affollano i suoi all’operazione di fisiche, è tutto ciò disegni e le storie che scrive. scouting realizzata che serve per dalla casa editrice spiegare la vita.

Il suo mondo d’artista esce colorato e trasfigurante per romana 80144.

Ma davvero il far sorridere chi lo guarda, e incoraggiarlo, quasi, a far la Il progetto è curato mistero per stessa cosa: usa i tuoi filtri, sembra dirci Maira, per guarda Alessia Caputo eccellenza è solo dare il mondo ed esserci. che ha scelto nove un brulicante Per intenderci, nel 2007 e nel 2009, Maira ha tenuto due racconti di processo chimico? adolescenti con la Il libro di Hoffman blog per il New York Times,The Principles of Uncertainty passione per la riesce a spiegare e And The Pursuit of Happiness: in quest’ultimo ha narrativa. Un i meccanismi della messo nei suoi disegni l’entusiasmo per i risultati eletmosaico piacevole fisica con torali del 2008, raccontando storia, politica e realtà che racconta semplicità d’America a modo suo. Orsù torno alla casella del via l’immaginario dei e coerenza. nostri quindicenni. per parlarvi del libro citato, Next Stop Grand Central.

Peter M. Hoffman Nel 1999 Maira pubblica questa meraviglia (non esiste Alessia Caputo Gli ingranaggi un’edizione italiana) che è il reportage della sua osserA cura di di Dio. Dal caos vazione – ostinata continuata e meravigliata – del Facce da liceo molecolare alla vita passaggio di esseri umani nella Gran Central Station di 80144 edizioni Bollati Boringhieri pagine 176 Pagine 299 New York. euro 12 euro 22 Da “newyorker” qual è, Kalman non poteva certo sottrarsi al potenziale umano e creativo proprio di “quella” stazione. La sua bellezza è immortalata nella scena del film “La Leggenda del Re Pescatore”: il suo gigantesco atrio, luogo d’incontro perenne, si trasforma in un salone danzante al cui cospetto quello del concerto di Capodanno sembra uno stanzone stuccato qui e là.

E l’orologio a quattro facciate tutto dorato messo sopra il punto informazioni, o il soffitto dipinto di blu, con una mappa celeste fatta al contrario (per simulare, disse il committente, ai tempi, il punto di vista di Dio)? Maira ha girato la stazione in lungo e in largo e ne ha creata una sua, immaginando dove andavano questo e quell’altro, cosa c’era in una valigia e cosa dietro un sorriso rivolto a un altro sorriso; ha disegnato Ed, responsabile del fantastiliardico cambio delle lampadine fulminate, fatto ritratti al capo della sicurezza, al responsabile dei treni (ai tempi 548 al giorno, su 67 binari), piuttosto che allo chef dell’Oyster Bar. Ha ritratto passeggeri di fretta, controllori, oggetti smarriti e cagnolini ritrovati. E orchestrali, bambini, innamorati e spazzini.

«Ciao, sono felice di vederti. Come sei cresciuto. Da quanto tempo. Mi mancherai. Stai attento. Non prenderti un raffreddore. Scrivimi. Ti amo. Arrivederci». Nel commovente finale, non manca proprio niente di noi umani in transito, in questo libro.

Next Stop Grand Central Maira Kalman (Putman)

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Siamo poveri per colpa di Charlie Brown Nessuno vorrebbe essere stressato, inefficiente e con i conti in rosso. Ma spesso lo siamo: come individui e come Paese.

Perché siamo così difficili da governare? Perché si parte dal presupposto che siamo esseri economicamente razionali. In realtà, siamo insicuri come Charlie Brown, egocentrici come Lucy, pigri come Snoopy. Il filosofo Matteo Motterlini, delinea una strategia di cambiamento economico praticabile in tre passi, grazie all’immaginario dei Peanuts.

Mario Motterlini La psicoeconomia di Charlie Brown Rizzoli pagine 263 euro 17

On

Pillole senza dimora

In onore di Ruben, il senzatetto che a Milano non trovò ristoro Ruben ha lavorato per tre generazioni nella famiglia di Ernesto Pellegrini, ex patron dell’Inter e proprietario del business della ristorazione milanese. Ruben è morto di stenti in una baracca 50 anni fa e il rammarico di Pellegrini è stato quello di non averlo potuto aiutare. E a Ruben, e ai tanti come lui che vivono in strada e fanno fatica a sopravvivere, Pellegrini, attraverso la sua fondazione benefica, ha dedicato il ristorante nato a Milano in via Gonin 52, che si chiama, appunto, Ruben. La particolarità è che da Ruben (500 coperti in un ambiente confortevole) si mangia a 1 euro e la scommessa di Ernesto Pellegrini è far sopravvivere il ristorante e dare pasti dignitosi a padri separati, cinquantenni licenziati, persone schiantate dai debiti, ex carcerati, profughi appena sbarcati e parenti dei malati in trasferta.

INFO www.fondazionepellegrinionlus.it

Milano

Carcere di Opera: le poesie dei giorni dell’anno che verrà Dal 1994 i partecipanti al Laboratorio di scrittura creativa – che viene realizzato da vent’anni nel carcere di Milano-Opera grazie al progetto di Silvana Ceruti – affidano ai fogli di un calendario “il compito di ristabilire una comunicazione interrotta, per giungere alla mente e al cuore degli “altri”. Di quelli che non hanno sbarre alle finestre. E proprio dalle sbarre e dalle grate, metafora di una reclusione senza appello, che prende spunto il calendario 2015, con le belle

immagini della fotografa Margherita Lazzati. Chi lo regala a Natale contribuisce a far vivere il progetto del laboratorio di scrittura dentro il carcere. Particolarmente sentite, evidentemente il tema ha toccato le corde giuste, le poesie dei carcerati che arricchiscono i mesi del calendario. Una, per tutte: Apro il cancello del cuore spinto da un buio che mi inonda Trovo la forza per piangere stelle di cristallo che scendono lentamente, di Boris Zubine.

Il calendario, dal titolo “Porte e Finestre”, si può ordinare in tutte le librerie o acquistare on line dal sito della casa editrice che lo produce.

INFO www.lavitafelice.it

Generazioni 3.0

Navigazione dei minori sul web: una guida impedisce i naufragi Consigli per giovani naviganti: nasce la guida per ragazzi che spiega in modo ironico alcune tematiche legate all’utilizzo sicuro del web. Nel kit anche un ausilio per i genitori dal titolo: Essere genitori ai tempi di internet. I leaflet sono scaricabili al link www.generazioniconnesse.it/materialicomunicati/materiali.

L’iniziativa è del Sic – Safer internet centre italia (generazioni connesse),

70. scarp de’ tenis novembre 2014

L’energia pulita è il futuro, all’estero La start up sulle energie pulite arriva dall’Olanda. Un sito in stile Airbnb dove si può scambiare energia elettrica. Rinnovabile, pulita e più economica. Vandebron è il nome della nuova start up che permette a chiunque di comprare energia pulita da produttori indipendenti e di piccola taglia. Sul sito ci sono, per ora, 12 produttori in grado di fornire energia pulita per 20 mila famiglie. I consumatori possono andare sul sito e specificare di quanta energia hanno bisogno e per quanto tempo, scelgono il produttore e attraverso la pagina dedicata possono contattarli. Se il produttore di eolica, o simili, e il nuovo consumatore si mettono d’accordo, si stipula un contratto regolare. È sostenibile, oltre che più leggero dal punto di vista economico.

INFO vandebron.nl Le vecchie cabine rosse del telefono sono ancora un must per il turista in viaggio a Londra. Ancora per poco però. C’è chi le sta trasformando in cabine verdi. Grazie a una start up recente le vecchie cabine stanno infatti diventando punti di ricarica gratuita per smartphone, tablet e altri gadget elettronici: le “nuove” cabine si chiamano Solarbox e stanno nascendo in tutta Londra.

Non producono un solo grammo di anidride carbonica. A fornire l’energia elettrica è un pannello fotovoltaico installato sulla copertura. L’idea è di Kirsty Kenney e Harold Craston, due studenti della London School of Economics.

INFO www.solarboxlondon.org

il partenariato composto da alcune tra le principali realtà italiane che si occupano di promuovere fra i giovani un uso consapevole della Rete: Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Polizia di Stato, Save the Children Italia, Telefono Azzurro,

caleidoscopio Off Sempre più italiani in fuga, l’emorragia si intensifica.

Il rapporto Italiani nel mondo 2014, di Migrantes, evidenzia la fuga degli italiani all’estero. In un anno sono 141 mila in più. In totale sono 4,5 milioni, con un aumento nel 2014 del 3,1%. La maggior parte sono per espatrio (2.379.977) e per nascita (1.747.409). Il paese con più emigranti italiani resta l’Argentina. Secondo il rapporto gli emigrati dall’Italia, nel 2013, hanno registrato un aumento del 16%. L’identikit del migrante italiano nel 2013: il 56,3% è composto da uomini, non sposati nel 60% dei casi e coniugati nel 34,3%. La classe di età più rappresentata è quella dei giovani: 18-34 anni nel 36,2%. I minori sono il 18,8%. La prima meta dei nuovi migranti resta il Regno Unito.

INFO www.migrantes.it

Cooperativa Edi, Movimento difesa del cittadino. Il progetto è co-finanziato dalla Commissione Europea. Il tema della sicurezza in rete è stata affrontata nelle scuole anche con un concorso dal titolo: “Se mi posti ti cancello”. I vincitori dei 5 video migliori selezionati dalla giuria hanno partecipato alla realizzazione delle puntate di una miniserie web Tv dove si ritrovano i temi della sicurezza in rete e in particolare su cyberbullismo, sexting, esposizione ai media, sessualità online e digital divide. I materiali scaricabili su FTP, nella cartella “Se mi posti ti cancello”.

All’indirizzo: ftp://sftp.mtvne.com username: Press2010 password: Pr3$$2o1o.

Infine, sul sito Generazioni Connesse si accede alla helpline e alla hotline attraverso le quali è possibile ricevere aiuto in situazioni di disagio o pericolo e segnalare la presenza di contenuti pedopornografici e illegali diffusi attraverso la rete.

INFO www.generazioniconnesse.it

Miriguarda di Emma Neri

Storytelling a Scampia, territorio abbandonato L’associazione italiana scrittori per ragazzi (Icwa) organizza a Scampia, il quartiere di Napoli con gravi problemi di malessere sociale e microcriminalità, una maratona di letture, accompagnata da arti visive, musica e danza. Dal 27 al 30 novembre i ragazzi ascolteranno le storie degli scrittori per ragazzi che, gratuitamente, interverranno nelle scuole e negli spazi associativi. L’impegno dell’associazione è finalizzato ad avviare un progetto stabile e continuativo che stabilisca tra i ragazzi e gli scrittori un contatto costante nel tempo.

«Scampia ha la condanna nel nome – racconta Tiziana Bruno, pedagogista e scrittrice, responsabile del progetto –, nella lingua antica, infatti, Scampia sta per "campo non coltivato, abbandonato”. Quando l’Icwa mi ha chiesto di organizzare l’evento, il mio primo pensiero è stato di trovare una strada nuova per favorire la libera espressione dei ragazzi e il loro avvicinamento alla lettura. Da questo presupposto è nato Scampia Storytelling, perché la letteratura è essenzialmente un viaggio, un’opportunità d’incontro». Il fotoreporter Carlo Hermann condurrà i bambini alla scoperta delle potenzialità del reportage giornalistico, per invogliarli a raccontare il loro quartiere, così come lo vedono con i loro occhi, lo scrittore Roberto Piumini ha raccontato in poesia gli sguardi sul mondo dei bambini di Scampia.

INFO scampiastories.wordpress.com

Milano

Appuntamento di teatro al buio ispirato a Giorgio Gaber “Come è bella la città”: è il titolo dello spettacolo, rigorosamente al buio, con Gianfelice Facchetti e Stefano Covri, di Alessandra Scotti, tutto dedicato a Milano, agli ultimi cinquant’anni di vita della città: la storia di un uomo si intreccia con la storia delle trasformazioni, le fabbriche, le case di

ringhiera, i palazzi, i cinema, il bar Motta, la Scala, San Siro, la Fiera Campionaria. All’interno di “Dialogo nel Buio” lo spettacolo “Come è bella la città” prende ispirazione da Giorgio Gaber, l’artista che ha saputo come pochi cantare l’amore per la sua città.

Diverse le date: 20 novembre, 18 dicembre, 15 gennaio 2015, 19 febbraio, 19 marzo, 15-19 aprile, 21 maggio. .

INFO www.www.dialogonelbuio.org novembre 2014 scarp de’ tenis

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tre domande a... Silvio Mengotto di Daniela Palumbo

Piccole storie di famiglie e bimbi rom, cercando di far brillare il “sole di periferia”

Sole di periferia è il libro delle Edizioni Paoline a favore dei rom. Un testo coraggioso che rema contro il pregiudizio. Silvio Mengotto, giornalista e scrittore con la passione per la pittura www.silviomengotto.jimdo.com, affronta il problema da un punto di vista dell'accoglienza e della conoscenza: è l'esclusione che crea la microcriminalità dei nomadi, alimentando il pregiudizio. Politiche inclusive del popolo rom farebbero un favore ai rom e ai cittadini che convivono con loro.

Eppure, il problema dei campi abusivi rom esiste ed è grave nelle grandi città. Chi abita vicino a campi rom sa che i fumi nocivi e i furti sono all'ordine del giorno...

Se un rom ruba è un ladro, ma non per questo ho il diritto di criminalizzare tutto il popolo rom. Se in Italia c’è la mafia non per questo tutti gli italiani sono mafiosi. Einstein diceva «è più facile disintegrare l’atomo che il pregiudizio» e non aveva tutti i torti, ma è la sfida che abbiamo di fronte. Il pregiudizio rafforza il muro dell’incomunicabilità mentre la conoscenza, e il rispetto reciproco, costruiscono il ponte dove è possibile l’incontro, il dialogo e dove si rafforza la reciproca identità.

Le istituzioni non hanno mai risolto il problema dei campi abusivi alla radice. Forse occorrerebbe più coraggio del semplice sgombero...

A non voler vivere nei campi nomadi sono proprio i rom, sembrano autentiche riserve indiane. In Romania, Francia, Germania ma anche nell’Italia centrale sono molti i rom che vivono nelle case. Vitale lo sviluppo di una accoglienza intelligente e responsabile. Gli sgomberi a tappeto, senza alternativa credibile, si sono rivelati costosi, controproducenti e non hanno scalfito il problema della sicurezza e dell’integrazione. La metà dei soldi spesi sarebbero stati sufficienti per costruire un’alternativa credibile.

A Milano che aria tira per il popolo rom?

Adesso, a parole, il Comune di Milano si è impegnato in una direzione diversa dagli sgomberi che hanno effettuato fino a poco tempo fa: scolarizzazione dei bambini, possibilità di avere una casa e quella di una attività lavorativa. E intanto, l’amore per la musica di strada dei rom in Casa della Carità

72. scarp de’ tenis novembre 2014

Storie di persone che cercano normalità Qui sopra Rebecca Covaciù. ragazza rom e studentessa al liceo artistico Boccioni di Milano mentre “espone” alcune sue opere sul Naviglio.

Rebecca è una delle protagoniste dell’ultimo libro si Silvio Mengotto (a fianco la copertina illustrata da un altro bellissimo disegno di Rebecca Covaciù)

è stata trasformata in un’occasione di lavoro creando la Banda del villaggio che organizza intrattenimenti e feste.

La sartoria Taivè, creata da Caritas Ambrosiana, ha saputo coinvolgere creativamente un gruppo di donne rom nel lavoro e non solo. A Milano, in questi ultimi quindici anni, sono nate molte realtà di volontariato e famiglie che con coraggio hanno aiutato, e aiutano, tanti bambini rom nella loro attività scolastica coinvolgendo la famiglia e le donne. È interessante notare, infine, che la maggioranza dei protagonisti del libro sono femminili come Rebecca Covaciù, ragazza rom e studentessa al liceo artistico Boccioni di Milan: oltre a suonare il violino Rebecca dipinge quadri per venderli sul Naviglio. La suggestiva copertina del libro riproduce un suo quadro.

caleidoscopio Milano

Incontri culinari, gustando l’arte alle Gallerie D’Italia Tre aperitivi per assaporare le opere della Collezione delle Gallerie d’Italia, in piazza della Scala. Il 20 novembre alle 19 è la volta di: “Bocconi di Arte Povera”. I prodotti della terra verranno rielaborati in chiave contemporanea per dare un nuovo sapore a quel passato contadino della nostra tradizione. Durante la visita guidata verranno illustrate le opere di esponenti dell’Arte Povera come ad

Ricette d’Alex Spezzatino di pollo con patate alla contadina

Alex, chef internazionale, ha lavorato in ristoranti dopo aver appreso l’arte della cucina nell’albergo di famiglia, a Rovigo. Oggi – i casi della vita... – vende Scarp.

Ricetta per 4 persone. Prendete un pollo e tagliatelo in 12 parti. In una casseruola soffriggete con olio mezza cipolla, mezza carota, un po' di sedano, salvia, rosmarino, il tutto ben battuto. Unite il pollo a pezzi che dovete far rosolare con il battuto e aggiungete un po' di sale. Sfumate con vino bianco. Aggiungete dei pelati, non troppi però: deve risultare un colore rosa. Aggiungete 4 patate grandi che avrete precedentemente sbucciato e tagliatele come preferite. Coprite il tutto con acqua e cuocete per circa 40 minuti, a temperatura media. Se durante la cottura dovesse asciugarsi troppo aggiungete un poco di acqua. capolavori del fondatore dello Spazialismo. Infine, il 15 gennaio 2015, sempre alle 19: “Aricò, Assaggi svelati”. In occasione della mostra: Rodolfo Aricò. Pittura inquieta. Con l’opportunità di conoscere i lavori enigmatici di Rodolfo Aricò abbinati a sapori che si ispirano alle suggestioni che la città di Milano ha svelato all’artista. L’aperitivo d’arte ha il costo di 15 euro.

INFO www.gallerieditalia.com

Catania

Nino che affronta il vento: una serie web dedicata ai ragazzi esempio Michelangelo Pistoletto. Il secondo incontro, l’11 dicembre: “Fontana e il gusto delle Attese”.

Le fasi principali della carriera dell’artista più discusso del Novecento saranno ripercorse attraverso la rivisitazione culinaria di alcune sue opere. Una serata per gustare i

Nino vive in un quartiere di periferia a Catania ha 17 anni e viene condannato e arrestato per spaccio.

Dopo sei mesi di carcere è affidato all’associazione Centro Koros, di Catania, che promuove la navigazione

a vela come strumento di riabilitazione sociale. Michael è il migliore amico di Nino, non ha mai commesso reati ma spiega che spesso si è costretti a spacciare per la semplice sopravvivenza in un quartiere popolare della stessa periferia catanese. Questo il contesto da cui prende il via la serie web “Lo decide il vento”. Il docufilm racconta la realtà sociale siciliana attraverso l’azione del Centro Koros impegnato in percorsi di riabilitazione di ragazzi in difficoltà. Giuseppe Consales è regista e produttore. Secondo Consales, la metafora tra la navigazione a vela e la vita è «nell’idea che sia il vento a decidere, ma poi ci sei tu, protagonista che puoi affrontare il vento e trovare la tua strada. Tutti i ragazzi dicono che in barca dimenticano i problemi. Ma senza accorgersi imparano le regole.

Imparano a stare al mondo».

INFO youtu.be/ToSIiXuY-LU

pagine a cura di Daniela Palumbo per segnalazioni dpalumbo@coopoltre.it

Tarchiato Tappo - Il sollevatore di pesi

novembre 2014 scarp de’ tenis

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street of america Il progetto pilota di Salt Lake City inizia a dare i primi importanti frutti

Steve ora ha una casa tutta sua: la scommessa dell’housing first di Damiano Beltrami da New York

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Una casa subito Consegnare le chiavi di un appartamento ad alcolizzati, tossicodipendenti e malati di mente può sembrare uno spreco di denaro pubblico.

Ma si è rivelato il contrario: l’housing first, infatti, non solo si è rilevato essere uno strumento efficace ma ha fatto anche risparmiare soldi al governo.

N TERMOSIFONE CALDO, UN VERO TETTO SOPRA LA TESTA, e la notte gelida di Salt Lake City fa meno paura. Steve Rader, 40 anni, di cui metà passati in strada, ex tossicodipendente e come ama dire “ex molto altro”, da un paio d’anni abita in un piccolo appartamento, e da allora non è più tornato sui marciapiedi. Rader è parte di un gruppo di ex senza dimora al centro del decennale progetto pilota housing first, un nuovo approccio per risolvere il problema degli homeless cronici sostenuto dallo stato dello Utah. L’iniziativa, nonostante le ruvide critiche iniziali in uno stato noto per il suo granitico conservatorismo, sta funzionando. In Utah la sfida è cominciata nel 2005 quando lo stato contava quasi duemila persone cronicamente senza dimora (in strada da oltre un anno, secondo la classificazione statale). A quell’epoca, l'approccio standard era rendere gli homeless housing ready, ovvero in prima battuta sistemarli in ostelli o in alloggi provvisori, poi, dopo cure e percorsi di recupero, dar loro una casa permanente. housing first ha invece introdotto il concetto di offrire subito agli homeless case permanenti.

Consegnare le chiavi di un appartamento a tossicodipendenti e malati di mente può sembrare uno spreco di denaro pubblico. Ma si è rivelato il contrario: housing first, infatti, non solo funziona ma ha fatto anche risparmiare soldi al governo. Lloyd Pendleton, direttore della Utah’s homeless task force, racconta di un senzatetto la cui cura di un anno è costata quasi un milione di dollari, tra ricoveri, visite al pronto soccorso, trasporto in ambulanze e interventi della polizia. Per Pendleton con l'approccio tradizionale l’homeless cronico costava mediamente allo Utah più di 20mila dollari l'anno. Affidargli invece da subito un alloggio costa allo Stato molto meno: 8mila dollari, compresi gli stipendi degli assistenti sociali.

Sia pure non si tratti di una panacea e non possa essere adottato ovunque con gli stessi risultati, il sistema housing first sta facendo proseliti. È stato adottato anche in Colorado, per esempio. Qui mediamente un senza dimora ha un costo per lo Stato di 40mila dollari l'anno; la sua sistemazione immediata in un alloggio, invece, è meno della metà. Ma l’appeal di questo approccio sembra derivare non tanto dalla convenienza quanto dalla sua efficacia. «Sistemare la gente in abitazioni definitive prima – dice Nan Roman, presidente e amministratore delegato di National alliance for homelessness – e poi offrire loro aiuto, sembra semplicemente funzionare meglio, ed è naturale, in un certo senso. La gente si comporta meglio quando ha un po’ di stabilità».

Il primo progetto pilota dello Utah ha messo diciassette persone in case nella zona di Salt Lake City. Dopo 22 mesi neppure una di loro era di nuovo in strada. Anzi, negli anni successivi il numero dei senzatetto cronici dello Utah è diminuito del 74% per cento.

«Il fatto è che ti senti più sicuro – conclude Rader, l’ex homeless che da due anni vive in un bilocale a Salt Lake –. È una bella sensazione».

74. scarp de’ tenis novembre 2014

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