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LA STORIA

FRANCESCO LOTORO, L’UOMO CHE LIBERA LA MUSICA DAI LAGER

3,00 da la stra l e d e sil Il men

ERRI DE LUCA I DIECI COMANDAMENTI RACCONTATI DA GRANDI SCRITTORI

www.scarpdetenis.it

Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

dicembre 2014 gennaio 2015 anno 19 numero 187

Volontari a casa nostra CONSEGNANO CIBO. PULISCONO PIAZZE, AIUTANO CHI È IN DIFFICOLTÀ. STORIE DI RIFUGIATI AL SERVIZIO DEI PIÙ DEBOLI

UNA STORIA INEDITA


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EDITORIALE

Il giornale che cambia dentro alla propria storia

LA PROVOCAZIONE

Come diceva don Tonino Bello: «Auguri scomodi di buon Natale!»

di don Roberto Davanzo

di Stefano Lampertico

Come la foggia di un vestito che cambia nel tempo seguendo le stagioni della vita - e della moda. Così Scarp. Cambia, cresce e si rinnova, nella forma e nei contenuti. Ma rimane fedelmente ancorato alla sua storia e al suo progetto. Quello che avete tra le mani è il nuovo Scarp de’ tenis. Siamo partiti con l’idea di dare una rinfrescata – erano dieci anni che non ci mettevamo mano –, ci ritroviamo con un magazine tutto nuovo. Frutto del lavoro di tutta la redazione - grazie a tutti i colleghi innanzitutto - e di Francesco Camagna, bravissimo grafico e amico di vecchia data. Come avete visto già dalla prima pagina rimane l’orma nella testata, la stessa orma che avevamo scelto dieci anni fa per accompagnare le storie della strada. Rimane

l’orma, ma all’interno del nuovo segno grafico che ci contraddistinguerà per i prossimi anni. Un segno che abbiamo imparato a conoscere quando, sullo smartphone o sul computer o sul navigatore, cerchiamo un luogo, una via, un indirizzo. Un segno che ci piace,

perché dice che “ci siamo”, perché dice “dove trovarci”, perché dice a chi ha bisogno “siamo qui!”. Da vent’anni Scarp de’ tenis cammina sulla strada a fianco di chi cerca, di chi esprime un bisogno, di chi chiede una mano per ritrovare dignità o di chi cerca un piccolo lavoro per ripartire. Scarp cambia e si arricchisce di contributi, cambia il ritmo della propria proposta di lettura e di analisi. E apre le proprie pagine, insieme alle biografie e ai contributi di chi vive la strada, anche alle grandi firme del giornalismo italiani come Gianni Mura e Piero Colaprico. E poi il nuovo corso si inaugura con una bella storia inedita di Dylan Dog ambientata nel nostro Rifugio Caritas per senza dimora. Dylan Dog (e Sergio Bonelli Editore ovviamente) sono vecchi amici di Scarp! C’è infine un’altra bellissima notizia. Tra i vincitori del-

l’Ambrogino d’oro che il Comune di Milano ogni anno assegna ci siamo anche noi. Un riconoscimento per chi in questo giornale ha creduto, per chi questo giornale l’ha fatto crescere. Un premio che vorremmo dedicare a tutti i venditori di Scarp. Qualcuno non c’è più; qualcuno si è perso per strada. Questo Premio è anche – e soprattutto – per loro.

Rimane l’orma nella testata, ma all’interno del nuovo segno grafico. Un segno, un indicatore che dice a chi ha bisogno “siamo qui”, “ci siamo”, “ci puoi facilmente trovare”

contatti Per commenti, idee, opinioni e proposte. mail scarp@coopoltre.it facebook scarp de tenis twitter @scarpdetenis www.scarpdetenis.it

Perdonatemi la provocazione, forse l’impudenza: ma non so se sia così giusto continuare a dire che Natale è la festa dei bambini. Più ci penso e più mi convinco che Natale è una festa da adulti, quasi una festa vietata ai minori. E forse quella di farla diventare una festa per bambini è stato un bell’escamotage inventato da noi grandi per metterci la coscienza a posto. Già, perché il problema sta proprio lì: se Natale dovesse essere preso sul serio, allora tutti intuiamo che non avremmo più scuse nel nostro egoismo e nella nostra indifferenza. Se realmente esiste un Dio che ha voluto farsi uno di noi prendendo l’ultimo posto e condividendo la fatica del vivere da uomini, allora capiamo che credere in Lui significherà non tollerare più che ci possano essere uomini e donne privi della possibilità di vivere una vita almeno dignitosa. Se il Natale non fosse solo una festa fatta per abitudine, per trovare una scusa per scambiarci i regali, per far contenti i bambini... Allora capiamo tutti che la questione si farebbe seria e che noi adulti non avremmo più vie d’uscita per giustificare pigrizia e discriminazione. Quel Dio-bambino si è fatto parente di tutti gli esseri umani che appaiono sulla faccia della terra e non potremmo più sopportare che anche un solo essere umano debba vivere una vita di stenti. Perché sarebbe come tollerare che Dio stesso possa essere lasciato ai margini. Pensiamoci bene prima di decidere se andare a messa a Natale anche quest’anno: se lo faremo non avremmo più scuse di fronte a quanti potremmo incontrare nella sofferenza a partire dal prossimo 26 dicembre. E, come amava dire don Tonino Bello, con tanti auguri scomodi di buon Natale! dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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SOMMARIO LA STORIA

FRANCESCO LOTORO, L’UOMO CHE LIBERA LA MUSICA DAI LAGER

ERRI DE LUCA I DIECI COMANDAMENTI RACCONTATI DA GRANDI SCRITTORI

3,00 le della Il mensi

strada

Memoria e web. Il senso del nuovo progetto grafico

www.scarpdetenis.it dicembre 2014 gennaio 2015 anno 19 numero 187

Volontari a casa nostra CONSEGNANO CIBO. PULISCONO PIAZZE, AIUTANO CHI È IN DIFFICOLTÀ. STORIE DI RIFUGIATI AL SERVIZIO DEI PIÙ DEBOLI

UNA STORIA INEDITA

La mano, lo capite dalla pulizia del segno grafico, è sempre la stessa; la mano di un amico di Scarp che ha ridisegnato il giornale che avete tra le mani. È la mano di un giovane professionista con una lunga esperienza alle spalle: Francesco Camagna, l’autore di questo progetto che ci accompagnerà

nei prossimi anni. Ha lavorato per Repubblica, Il Cittadino di Monza, Oggi. Ha disegnato Italia Caritas, Vita, Valori e per Scarp ha avuto, dieci anni fa ormai, l’idea dell’orma, dell’impronta della scarpina sul terreno che i nostri lettori si sono abituati nel tempo a vedere e che ritrovate, come un segno della memoria, nella nuova testata. L’idea forte di questo nuovo Scarp de’ tenis, e ve ne accorgerete sfogliando le pagine del giornale, è il segno grafico della testata e delle sezioni del giornale. Un puntatore,

un indicatore che vi guida e vi accompagna in tutte le pagine di Scarp. Un segno che si rifà alla rete, al web. E che dice a tutti che Scarp c’è. C’è per chi ha bisogno. C’è per chi ci cerca. C’è per chi ci vuole leggere. Cambia il formato, leggermente più alto, cambia il font dei titoli e dei testi. Più tondo, più leggero. Cambia la carta, perché vogliamo far sentire ai nostri lettori anche la consistenza di un giornale di strada come Scarp. Abbiamo lavorato tanto, continuate a seguirci. Sapete dove trovarci!

El portava i scarp del tennis, el parlava de per lú, rincorreva già d El portava i scarp del tennis, el gh’aveva dù oeucc de bon; l’era e

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rubriche

servizi

PAG.7 (IN)VISIBILI di Paolo Lambruschi PAG.9 IL TAGLIO di Piero Colaprico PAG.11 LE STORIE DI MURA di Gianni Mura PAG.13 LA FOTO di Gabriele Basilico PAG.15 I DIECI COMANDAMENTI di Erri De Luca PAG.18 SCIENZE di Federico Baglioni PAG.18 VOCI DALL’AFRICA di Davide Maggiore PAG.20 LO SCAFFALE di Yamada PAG.21 VISIONI di Sandro Patè PAG.31 PIANI BASSI di Sandro Patè PAG.35 POESIE PAG.66 IL VENDITORE DEL MESE

PAG.20 L’INTERVISTA Alberto Fortis: «Togliamo la maschera della furbizia» PAG.22 COPERTINA Volontari a casa nostra PAG.32 SENZA DIMORA Nessuno escluso, l’accoglienza sfida il freddo PAG.34 DYLAN DOG Vent’anni di amicizia. “Il volontario”, la storia inedita PAG.36 LA STORIA L’uomo che libera la musica dai lager PAG.41 RIMINI Housing first, ridare dignità a chi è senza casa PAG.42 LA STORIA Mago Pimpa, con il naso rosso sotto le bombe PAG.45 MILANO Il pane invenduto? Si recupera con lo smartphone PAG.46 L’INCHIESTA Campania (in)felix. Morire di crisi PAG.49 VENEZIA La sfida: dare fiducia, per cambiare PAG.50 VERONA 1,2,3 skeggia. La danza invade le piazze PAG.52 TORINO CasaOz, una speranza per tante famiglie PAG.53 NAPOLI Presepe del popolo, un angolo della Napoli verace PAG.54 VENTUNO Tassa sulle transazioni finanziarie: a che punto siamo? PAG.58 VENTUNO Indebitamento, una spirale senza fine PAG.61 CALEIDOSCOPIO Incontri, laboratori, autobiografie

Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it

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Scarp de’ tenis dicembre 2014 - gennaio 2015

Direttore responsabile Stefano Lampertico Redazione Ettore Sutti, Francesco Chiavarini, Paolo Brivio

Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli

Redazione di strada Roberto Guaglianone, Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Alessandro Pezzoni

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da lla stra sile de n e m Il

aforisma di Merafina Aspettando il Natale Nella città strade sfarzose, stelle colorate, è un gioco la corsa al regalo consumista. I bambini sotto l’albero barattano i regali, sopra, la stella cometa brilla. Viva il Natale!

www.scarpdetenis.it dicembre 2014 gennaio 2015 anno 19 numero 187

Cos’è Scarp de’ tenis è un giornale di strada noprofit nato da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe. È un’impresa sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo per recuperare la dignità.

à da tempo un bel sogno d’amore. a el primm a menà via perché l’era un barbon

Dove vanno i vostri 3 euro

tributo a Enzo Jannacci

Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Per contattarci e chiedere di vendere

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TOP 15

Spesa militare nel 2013 1 2 3 4 5 6 7 8 9

34 Foto Matteo Beltrame, Max Peef (cover), Romano Siciliani, Luca Traversa Disegni Sergio Gerasi, Alessandro Mazzetti, Silva Nesi, Piano Piano Books Bakery

dati 2013, fonte: Sipri

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Stati Uniti Cina Russia Arabia Saudita Francia Gran Bretagna Germania Giappone India Corea del Sud Italia Brasile Australia Turchia Canada

Progetto grafico Francesco Camagna Sito web Roberto Monevi Editore Oltre Soc. Coop. via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti

Direzione e redazione centrale - Milano Cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3 tel. 02.67479017, fax 02.67389112 scarp@coopoltre.it Redazione Torino Casamangrovia, corso Novara 77, tel. 011.2475608 scarptorino@gmail.com Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12 tel. 010.5299528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Verona Il Samaritano, via dell’Artigianato 21 tel. 045.8250384 segreteria@ilsamaritanovr.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38 tel. 0444.304986 vicenza@scarpdetenis.net Redazione Venezia Caritas Venezia, Santa Croce 495/a tel. 041.5289888 info@caritasveneziana.it Redazione Rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69 tel 0541.780666 rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Il Samaritano, via Baracca 150/e tel. 055.3438680 samaritano@caritasfirenze.it Redazione Napoli Cooperativa sociale La Locomotiva largo Donnaregina 12, tel. 081.441507 scarp@lalocomotivaonlus.org

Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber via della Volta 179, 24124 Brescia

Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 13 dicembre 2014 al 31 gennaio 2015 dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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Speciale capodanno in montagna 1T UWLW UQOTQWZM XMZ I[[IXWZIZM T¼I\UW[NMZI LQ Ã…VM IVVW v QUUMZOMZ[Q VMTTI [XTMVLQLI KWZVQKM LMTTM 8ZMITXQ 7ZWJQKPM 7NNMZ\M ^ITQLM LIT LQKMUJZM IT OMVVIQW ˆ XIKKPM\\W" Â )ZZQ^W LQKMUJZM" KMVWVM M XMZVW\\IUMV\W ˆ OMVVIQW" XZQUI KWTIbQWVM M XIZ\MVbI ˆ XIKKPM\\W" Â )ZZQ^W LQKMUJZM" KMVWVM JM^IVLM KWUXZM[M M XMZVW\\IUMV\W ˆ OMVVIQW" XZQUI KWTIbQWVM M XZIVbW JM^IVLM M[KT][M ˆ XIKKPM\\W" Â ,]M OQWZVQ \ZI\\IUMV\W UMbbI XMV[QWVM KMVWVM LQ Ã…VM IVVW KWV JM^IVLM KWUXZM[M ˆ XIKKPM\\W" Â <ZM OQWZVQ \ZI\\IUMV\W UMbbI XMV[QWVM KMVWVM LQ Ã…VM IVVW KWV JM^IVLM KWUXZM[M ˆ XIKKPM\\W" Â ! 9]I\\ZW OQWZVQ \ZI\\IUMV\W UMbbI XMV[QWVM KMVWVM LQ Ã…VM IVVW KWV JM^IVLM KWUXZM[M ˆ XIKKPM\\W" Â ;M\\M OQWZVQ \ZI\\IUMV\W UMbbI XMV[QWVM KMVWVM LQ Ã…VM IVVW KWV JM^IVLM KWUXZM[M 1 XZMbbQ LMQ XIKKPM\\Q [Q QV\MVLWVW I XMZ[WVI \ZI\\IUMV\W LQ UMbbI XMV[QWVM MKT][W TM JM^IVLM M KWUXZMVLWVW" +MVWVM LQ Ã…VM IVVW KWV JM^IVLM KWUXZM[M

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(IN)VISIBILI

Il ragazzino di strada e l’ultima samaritana

di Paolo Lambruschi

Dopo i salvataggi di Mare nostrum, oltre la metà dei 150 mila profughi giunti in Italia in un anno si è spostata nel nord Europa. E sono entrati – spesso per molti mesi – nelle fila del popolo della strada. Stiamo parlando soprattutto di siriani ed eritrei, perlopiù giovanissimi. Le mete finali sono la Gran Bretagna, la Scandinavia e la Germania dove risiedono famigliari e amici e dove il sistema di accoglienza è migliore del nostro. Tra questi invisibili dispersi per le strade d’Europa in viaggi disperati tra treni e camion, in lotta con le polizie c’è un anonimo ragazzino eritreo, uno dei tanti minori non accompagnati che, una volta toccato il suolo italiano, sono ripartiti verso Mentone per raggiungere Calais e da lì attraversare la Manica. Una giovane donna francese, Patrice, lo ha visto in tv agli inizi di novembre mentre la polizia lo arrestava. Il giovane

ha fatto in tempo a dichiarare a un reporter che voleva raggiungere sua sorella a Londra e il video lo

Patrice si è commossa guardando in tv l’anonimo ragazzino eritreo figlio della diaspora. Ha lanciato un appello perché è disposta a ospitarlo in casa, a sfamarlo e ad aiutarlo a coronare il suo sogno

scheda Paolo Lambruschi è nato a Milano nel 1966. Lavora ad Avvenire, come capo degli interni, dopo essere stato per tanti anni inviato. Ha diretto Scarp de’ tenis e il mensile di finanza etica Valori. Nel 2011 ha vinto il prestigioso premio giornalistico “Premiolino” per le inchieste sul traffico di esseri umani nel Sinai.

mostrava disperato, in lacrime, mentre veniva deportato in Italia. Patrice si è commossa e ha lanciato un appello sui siti della diaspora eritrea perché è disponibile a ospitarlo in casa, a sfamarlo e ad aiutarlo a coronare il suo sogno. Non può esporsi molto perché in Francia aiutare un sans papier – la solidarietà - è un reato penalmente perseguibile. Ma si è mossa ugualmente. «Non voglio che un ragazzo così giovane vada a finire a vivere nelle baracche di Calais, al freddo e sotto la pioggia. Non è giusto», ha scritto nel suo appello. Le condizioni di vita nella cosiddetta jungle di Calais sono infatti estreme a detta dell’Unhcr e la Francia non fa nulla per migliorarle, per scoraggiare i profughi. Quello che sconcerta è che un quarto siano ragazzi sotto i 18 anni, come il bambino del video. Dove è finito? Forse sta facendo vita di strada a Ventimiglia, forse è riuscito a rimanere in Costa azzurra. Come lui

in Italia nel 2014 sono passati circa 25 mila ragazzi, un quinto dei quali è sparito. Cinquemila ragazzi di cui

trare nelle stazioni o nelle strade di Roma, dove vivono per qualche tempo nel palazzo occupato a Ponte Mammolo, a Bologna, a Milano in Porta Venezia. Alcuni finiscono nelle spire della criminalità a fare da manovali dello spaccio, altri nel sordido giro della prostituzione minorile. Per fortuna c’è gente come Patrice che si commuove quando vede un ragazzino, che potrebbe essere suo – nostro – figlio o nipote e si domanda perché diavolo debba stare da solo in mezzo alla strada a lottare con la Fortezza Europa, i suoi politicanti e la sua burocrazia. Patrice che è in contatto con tante organizzazioni umanitarie ha smosso gli esuli eritrei per accogliere e dare un nome a quel ragazzo che non conosce e che l’ha commossa. Vuole di-

mostrargli che c’è ancora una samaritana capace di offrire un rifugio e asciugare le lacrime di un bambino diventato uomo troppo in fretta e finito sulle strade di questo continente – come ci ha ricordato Papa Francesco il 24 novembre – invecchiato e incattivito.

non sappiamo più nulla mentre il Belpaese avrebbe dovuto assicurare loro protezione. Molti sono in viaggio verso l’Europa da due anni e si possono incondicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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IL TAGLIO

Ci sono note stonate nel “canto della rivolta” Gli spot nei cinema, in tv, alla radio, via internet parlano di Hunger games, i giochi della

di Piero Colaprico

scheda Piero Colaprico (Putignano 1957), giornalista e scrittore, vive a Milano dal 1976. È inviato speciale di Repubblica, si occupa di giustizia e di cronaca nera. Ha scritto alcuni romanzi, tra cui Trilogia della città di M. (2004), vincitore del Premio Scerbanenco. Una penna tagliente. Come questa rubrica che cura per Scarp.

fame, come del «più atteso evento mondiale». Un film. Una storia di potere e contropotere, di desideri e follie, di diritti negati e abusati. Fantasia. Romanzo. Ma tanto, come si legge sui muri, «il futuro è già passato». Questo immaginario che arriva da Hollywood sta investendo Milano e Roma. Dove? Non nei multisala, ma nelle periferie delle due principali città italiane, e non a caso si cita per prima Milano.

Sotto l’etichetta guerra tra poveri può entrare tutto e il contrario di tutto. Per non farsi etichettare, prima che sia tardi, bisogna cominciare a ragionare. Finzione e realtà si meE cominciare scolano da quando l’uomo ha cominciato a scrivere e a ragionare dei più sognare. Il titolo del secondo deboli, e insieme film della serie Hunger games è «Il con i più deboli canto della rivolta»: e non è di ribellione, lotta, scontri che si sente parlare intorno alle case popolari? Lo slogan che accompagna il film dice: «Se noi bruciamo, voi bruciate con noi». E non è questa la minaccia disperata di chi, «occupante abusivo», viene mandato fuori dall’intervento di carabinieri e poliziotti con il casco e il manganello? San Siro, o il Giambellino, o il Corvetto però non sono palcoscenici. I palazzoni Aler o comunali non sono stati creati da uno sceneggiatore, sono un impasto di mattoni e cemento e dentro ci sono persone vere. Alcune di que-

ste persone – che non sono abusivi, che non sono stranieri, che sono ex operai italiani, pensionati, piccoli commercianti andati in rovina, anziani senza affetti, perché Milano è anche una città di solitudini e di moltitudini – oggi hanno paura quando sentono il “canto della rivolta”. Lo sen-

tono provenire – attenzione – dagli «antagonisti»: dai centri sociali. Lo dicono ai cronisti: e non mentono, non fanno vittimismo. Si raccontano l’un l’altro le storie dei malati andati all’ospedale e, al ritorno, rimasti senza casa, perché qualcuno è entrato al loro posto e dorme nei loro letti, mangia nei loro piatti. Chi sono i più deboli? Queste occupazioni non sono, come si dice, “una questione di polizia”. Sono fatti che riguardano anche i centri sociali. Sotto l’etichetta «guerra tra poveri» può entrare tutto e il contrario di tutto: per non farsi etichettare, prima che sia tardi, bisogna cominciare a ragionare. E cominciare a ragionare dei più deboli, e insieme con i più deboli. Non è detto che i più deboli siano quattro romeni di vent’anni che dormono sui treni e non riescono a immaginarsi un altro inverno all’addiaccio. Non è detto che i più deboli siano una famiglia nomade con figli. Non è detto. È difficile scegliere che cosa fare e da che parte stare. Partecipare agli Hunger games contro l’Aler, contro lo Stato, contro le immobiliari non copre ogni contraddizione.

Quando un giovane di estrema sinistra fa paura a vecchi che non hanno avuto la vita facile dovrebbe chiedersi: sto forse sbagliando qualche cosa? Chiedersi se il

Una scena di Hunger games, film del 2012 diretto da Gary Ross

«canto della rivolta» non abbia qualche nota stonata nella colonna sonora milanese. Se a bruciare non sia anche il cuore malridotto di chi, faticosamente, ha cercato sempre di pagare, con dignità, l’affitto delle case popolari. La realtà è più ricca di scelte di qualsiasi “Hunger games”. dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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LE STORIE DI MURA

Patrice Evra, dalla strada alla Juve Sempre a testa alta

di Gianni Mura

Patrice Evra è nato a Dakar nel maggio 1981 e ha fatto un piccolo giro del mondo. Padre senegalese ma originario della Guinea, madre di Capoverde, quando Patrice ha tre anni la famiglia si sposta a Les Ulis, nella banlieue parigina. Cresce in strada, gioca a palla nei parcheggi. Da calciatore affermato, dirà che la scuola della strada gli è servita: si impara a dare e ricevere rispetto, a reagire alle prepotenze. Dakar-Parigi-Torino-Marsala-Monza-Nizza-Monaco-Manchester-Torino. Questo è il viaggio di Patrice. Quando è nelle giovanili del Paris St. Germain lo nota un talent scout italiano, Salvo Lombardo. Lo porta al Torino, poi lo dirotta al Marsala (serie C). Lì almeno è sicuro di giocare. Patrice ha 17 anni, gioca esterno d’attacco nel 4-3-3 dell’allenatore Cuttone. Non ha un fisico impressionante (1.73x72) ma è molto veloce e tecnico. “Di Marsala ho bellissimi ricordi. Ero il figlio

di tutti. Mi chiamavano dal balcone e m’invitavano a mangiare”. Del ragazzi-

no veloce che gioca a Marsala si comincia a parlare anche nei quartieri alti del calcio italiano (Empoli, Lazio, Bologna, Milan e Juve) ma Evra viene ceduto al Monza. Dove gioca pochissimo in prima squadra: 3 sole partite. Frosio, l’allenatore, non lo valuta all’altezza: poco fisico, poca esperienza. In lacrime alla Stazione A questo punto, disilluso e amareggiato, un ragazzo potrebbe perdersi. Evra no. Rifà le valigie, destinazione Nizza, in apparenza bocciato dall’Italia, ma un po’ d’Italia la trova anche a Nizza: italiano il presidente, Sensi, italiano l’allenatore, Salvioni, che fa una mossa decisiva per la carriera di Evra: gli cambia ruolo. Sempre a sinistra, ma terzino. Da terzino, che sa crossare molto bene per gli attaccanti, Evra s’impone nel Monaco e passa al Manchester United, da sir Alex Ferguson. Nel frattempo, è anche capitano della Nazionale francese che durante il mondiale 2010 si ribella al tecnico Domenech. La ribellione parte da Anelka ma è Evra, come capitano, a esporsi per tutti. Si esporrà da solo de-

nunciando gli insulti razzisti di Suarez (il morsicato-

Mi sento un essere umano, non un africano né un francese, non un nero o un bianco o un giallo. Non ho radici, non so dove andrò a vivere quando smetterò di giocare. Sono felice, era destino che tornassi a giocare in Italia

scheda Gianni Mura è nato a Milano nel 1945. Giornalista e scrittore. Su Repubblica cura la rubrica Sette giorni di cattivi pensieri, nella quale – parlando di sport, s’intende – giudica, con voti da uno a dieci, il mondo intero. In questa rubrica racconta invece le storie di sport che, altrove, faticherebbero a trovare spazio.

partita tra Liverpool e United. Al rientro di Suarez dalla giusta squalifica, Evra gli porge la mano e Suarez la rifiuta, così si capisce una volta di più da che parte stava il torto. Ora Evra gioca nella Juve. In una delle prime interviste ha detto: “Mi sento un essere umano, non un africano né un francese, non un nero o un bianco o un giallo. Non ho radici, non so dove andrò a vivere quando smetterò di giocare. Sono felice, era destino che tornassi in Italia”. Il viaggio, per ora, fa tappa a Torino. Ma Evra non dimentica la Centrale di Milano. Doveva andare a Norcia, dov’era in ritiro il Marsala. Da un’intervista a Emanuele Gamba, di Repubblica: «Non capivo niente, le scritte sui tabelloni cambiavano di continuo, non parlavo una parola d’italiano, non avevo telefono. Mi sedetti a terra e mi misi a piangere. Un senegalese mi raccolse, mi portò a casa sua, mi diede da mangiare, mi fece dormire in una stanza con altri cinque immigrati e la mattina dopo mi caricò sul treno giusto».

re di Chiellini in Brasile) in una dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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Gabriele Basilico, Shangai 2010 (Giovanna Calvenzi)

LA FOTO

di Gabriele Basilico

scheda Gabriele Basilico (Milano 1944-2013). Architetto e fotografo tra i più importanti del panorama mondiale. Partito da Milano, la sua città, ha allargato la sua attenzione all’Italia, all’Europa e poi in modo compatto alle città del mondo globalizzato, in un lungo percorso portato avanti per una vita.

Gabriele Basilico, nell’estate del 2010 era a Shanghai dove si teneva l’Expo, il più costoso e con il maggior numero di partecipanti mai organizzato fino a quel momento. In quei giorni Basilico ha scattato anche altre immagini di Shanghai. Come questa

51.000.000 Le persone che vivono nelle città di Shanghai. L’area urbana è la seconda più popolosa al mondo dopo Tokyo

39% La percentuale relativa ai migranti di lungo termine che abitano nella città

0,6% Il tasso di natalità della città cinese. Secondo l’Economist, il più basso tra le città del mondo

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reclam.com

ph. uezzo.com

Siate egoisti, fate del bene!

Fare del bene è il miglior modo per sentirsi bene. Dare una mano a Opera San Francesco significa dedicare una parte di sè e delle proprie risorse a chi ha bisogno di aiuto e può ricambiarci solo con un sorriso o uno sguardo di gratitudine: significa dare speranza e fiducia e, per questo, sentirsi meglio. Viale Piave, 2 - 20129 Milano ccp n. 456202 Tel. 02.77.122.400

www.operasanfrancesco.it Ringraziamo

Chi sostiene OSF contribuisce a offrire ogni anno 850.000 pasti caldi, 66.000 docce e 40.000 visite mediche a poveri ed emarginati. Da più di 50 anni, con il lavoro di oltre 700 volontari, le donazioni di beni e danaro e i lasciti testamentari, OSF aiuta chi non ha nulla.

Opera San Francesco per i Poveri Una mano all’uomo. Tutti i giorni.


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PENNE PER SCARP

Erri De Luca, il primo racconto sui dieci comandamenti

Non ruberai, così è scritto di Erri De Luca

Non ruberai: così è scritto il comandamento nella sua lingua madre. Esiste la tentazione e tu la estirperai dal futuro dei tuoi gesti. Giusto che il verbo sia rivolto con il tu: è strettamente personale, come il resto dei comandamenti, perché riguarda il rapporto tra la persona e la divinità. Non ruberai: è un’esperienza che i bambini tentano e che perciò si iscrive presto nel repertorio degli atti da escludere. Un amico racconta di quand’era scolaro e andava a fare i compiti a casa di un compagno. Rientrando a casa una sera sua madre si accorge che ha in cartella una scatola di matite colorate. "E queste da dove spuntano?". Non erano sue ma del compagno. La madre gli ordina di tornare subito in quella casa, bussare alla porta e restituire la scatola. Il mio amico racconta di avere patito la più grande vergogna della sua vita, bussando in lacrime a quella casa. Anch’io da bambino, ospite in stanze altrui, mi affascinai di una lente d’ingrandimento, un oggetto mai visto prima, dal potere magico per me in quel momento. Scoprivo la grandezza dei pori, la profondità dei solchi del mio palmo. Ero ospite insieme a mia madre di quella casa. Nascosi l’oggetto tra i miei panni. Mia madre lo trovò e mi costrinse a restituire la lente al proprietario. Potevo semplicemente rimetterla al suo posto, ma lei volle diversamente, alla sua presenza. Chiamò il ragazzo, mio coetaneo, e feci l’atto di restituzione. La sua reazione di disprezzo verso di me , più che un’umiliazione, fu un’ ustione che mi bruciò il nervo della tentazione e ancora mi smuove collera contro me stesso. Fu un’ustione che non mi fece avvicinare più a quel genere di fuoco. Non ruberai: ecco esempio di come si può togliere quella mossa dal futuro.

Abbiamo chiesto a dieci grandi scrittori un racconto per ogni comandamento. Sul prossimo numero Non desiderare la donna d’altri di Maurizio Maggiani

scheda Erri De Luca (Napoli, 1950) ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Ha svolto mestieri manuali per vent’anni. Durante la guerra nella ex Jugoslavia, negli anni ’90, è stato autista di camion di convogli umanitari. Il suo primo romanzo, Non ora, non qui, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Collabora con diversi quotidiani italiani e esteri. Pratica alpinismo, vive nella campagna romana.

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IN BREVE

europa Gli effetti collaterali della crescita secondo l’Ue

di Enrico Panero Nei 28 Paesi dell’Unione Europea circa 123 milioni di persone sono a rischio di povertà o di esclusione sociale. Quasi un quarto della popolazione. Da quando nel 2010 si è celebrato l’Anno europeo di lotta alla povertà ed è stata lanciata la strategia Europa 2020, che ha tra gli obiettivi la diminuzione del numero di poveri, di 20 milioni, la povertà nell’UE non solo non è diminuita ma è aumentata di circa 7 milioni. Le politiche anti-crisi adottate dall’Unione Europea hanno ulteriormente aggravato la situazione sociale, rafforzando una visione cinica secondo cui alcuni livelli di povertà sono semplici “effetti collaterali” di crescita e sviluppo economico. «Dobbiamo riconoscere il fallimento della strategia Europa 2020 per com’è stata concepita finora. Non abbiamo bisogno della crescita che ha prodotto più povertà ed esclusione, abbiamo invece bisogno di sviluppo e di condividere la ricchezza che abbiamo e che produciamo». È quanto sostiene Sérgio Aires, presidente dell’European Anti-Poverty Network (EAPN, rete di Ong presente in 31 Paesi europei), che conclude: «Se mettiamo insieme le tre iniziali delle parole bisogno (need), occasione (opportunity) e volontà (will), otteniamo un’altra parola importante: now. È ora il momento per salvaguardare la democrazia e la libertà».

Genova, raccolta fondi dal volontariato di frontiera, in carcere Adele Teodoro è una giovane ginecologa. Ma è anche la presidente e fondatrice dell’associazione Gravidanza Gaia che si occupa della prevenzione, della cura e della promozione del benessere della donna e del bambino, affrontando le patologie della gravidanza e della sfera femminile, promuovendo e realizzando attività di assistenza sanitaria gratuita. In particolare, Adele ha cominciato a

fare volontariato nelle carceri offrendo quello che sa fare meglio: la prevenzione ginecologica alle detenute. Gravidanza Gaia ha aperto un piccolo studio medico nel carcere di Pontedecimo, a Genova, e Adele va nello studio due sabati al mese per un ciclo di visite gratuite alle detenute, sapendo che nelle nostre carceri manca totalmente la prevenzione. La giovane ginecologa ha acquistato di tasca propria un apparecchio ecografico portatile. Adesso vuole estendere il progetto pilota di screening ginecologico ad altre carceri per questo sta formando ginecologhe volontarie ma ha anche lanciato una campagna di raccolta fondi perché sta cercando denaro per acquistare apparecchi ecograwww.gravidanzagaia.org fici portatili.

street art Blitz illegale a Londra per svuotare le gabbie

la ricetta di Alex Insalata invernale Mondate della lattuga e del radicchio rosso, affettate qualche ravanello e snocciolate delle olive verdi e nere. Aggiungete dei funghi prataioli o chiodini o porcini, affettateli. E, ancora, mettete dei cuori di carciofo innaffiati con limone insieme a piccoli crostini ai cereali che avrete tostato in forno con un po' di olio e scaglie di grana. Mescolate il tutto in una grande insalatiera con olio di oliva, aceto balsamico e sale. A parte servite della maionese alle noci che potrete fare voi stessi aggiungendo alla maionese un po' di noci pestate nel mortaio insieme all'estragone tritato e 3 gocce di tabasco, se gradite... uno spruzzo di grappa.

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Dan Witz (nella foto) è volato in Inghilterra per partecipare alla campagna animalista dell’associazione Peta (People for the Ethical Treatment of Animals, www.peta.org.uk) dal titolo Empty The Cages. Dan è un artista di 56 anni, di Chicago, che vive a Brooklyn. È un vegetariano ortodosso e la campagna made UK lo ha subito convinto. Witz ha tappezzato Londra - in maniera illegale perché privo del permesso delle autorità e dunque rischiando l’arresto - di installazioni e opere interattive che incuriosiscono i passanti e li interrogano in prima persona sulle proprie scelte, alimentari e non solo. L’intento del blitz artistico, illegale, di Witz è quello di informare e rendere consapevoli i cittadini dei maltrattamenti subiti dagli animali negli allevamenti industriali. “Se i macelli avessero pareti di vetro, saremmo tutti vegetariani” è lo slogan della campagna Peta al quale Dan Witz si è ispirato. Sempre più spesso gli artisti di strada mettono le loro opere al servizio della denuncia sociale, confidando nel potere della loro arte per motivare al cambiamento. Le opere londinesi di Dan Witz: emptythecages.org.uk


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[ pagine a cura di Daniela Palumbo ]

Le politiche ambientali cominciano a scuola

Milano, Chagall è anche al Museo Diocesano Fino al primo febbraio 2015 il Museo Diocesano di Milano offre la possibilità di ammirare 60 lavori che Chagall ha dedicato al messaggio biblico. La forza creativa dell’artista si manifesta in modo esplosivo con frammenti narrativi e simbolici che, nel loro insieme, acquistano valore iconico. Chagall, di origini ebraiche, rimase affascinato sin dagli anni giovanili dalla Bibbia, da lui considerata come la più importante e affascinante fonte di poesia e di arte e si confrontò con questi temi per tutta la vita, sino alla realizzazione del ciclo sul Messaggio Biblico, negli anni Sessanta. Fulcro dell’esposizione sono le 22 guaches preparatorie, inedite sino ad ora, che si caratterizzano per l’esito quasi realistico in forza di una rappresentazione immaginifica e fortemente evocativa. Il Museo Diocesano propone tutto ciò all’interno di un allestimento d’eccezione: una grande arca che ripropone www.museodiocesano.it il tema biblico dell’Esodo.

mi riguarda Sportello legale in carcere per informare sui diritti

pillole homeless Project Gregory, casa rifugio finanziata dalla pubblicità L’architetto slovacco Michal Polacek ha inventato una formula redditizia per dare un tetto agli homeless. Si chiama “Project Gregory”. Sono minuscoli ma funzionali alloggi nascosti dietro i cartelloni pubblicitari che troviamo a ogni angolo delle città. Rifugi dignitosi che Polacek ha costruito dietro la luce al neon delle immagini giganti della pubblicità. E per pagare le spese di manutenzione e le bollette degli alloggi? L’architetto suggerisce di utilizzare parte del denaro ricavato dall’affitto dello spazio pubblicitario agli inserzionisti. Per il momento, il giovane architetto insieme ai suoi colleghi designer Matej Nedorolik e Martin Lee Keniz, stanno cercando di raccogliere 41 mila euro su Kickstarter - www.kickstarter.com -, una delle nuove piattaforme digitali di ricerca fondi, per finanziare il primo prototipo di casa e testare la loro nuova idea.

Da novembre è attivo uno sportello giuridico gratuito nelle carceri milanesi di San Vittore, Bollate e Opera per i detenuti che non possono pagarsi la consulenza. L’iniziativa nasce da un accordo fra l’Ordine degli Avvocati di Milano e il Provveditorato per l’Amministrazione Penitenziaria della Regione Lombardia. Sono sessantacinque gli avvocati che fino a ora hanno risposto all’appello. Per ora i ricevimenti saranno un pomeriggio a settimana ma l’Ordine degli Avvocati, promotore dell’iniziativa, spera che possano aumentare con il tempo. Gli avvocati hanno riscontrato che i detenuti, soprattutto gli stranieri che spesso hanno reati minori, ignorano i loro diritti. I legali che hanno dato la loro disponibilità al servizio nelle carceri hanno seguito un corso di formazione ad hoc per dare ai detenuti indicazioni puntuali sulle opportunità e i diritti di cui godono all’interno della loro pena detentiva. Lo Sportello fornirà dunque info a 360°, i temi caldi sono spesso di ordine burocratico ma non per questo meno importanti.

Immagini per la Terra è il titolo del concorso di educazione ambientale ideato e promosso da Green Cross Italia patrocinato dal Ministero dell’Istruzione e aperto a studenti e insegnanti di tutte le scuole di ogni ordine e grado. Per l’anno scolastico in corso Immagini per la Terra ha messo al centro della riflessione il tema dell’alimentazione. Il titolo di questa edizione è “Per un pugno di semi”. Seguendo il tracciato indicato dall’Expo di Milano 2015, “Nutrire il Pianeta, energia per la vita”, il concorso propone di affrontare la questione alimentare prendendo le mosse dai tre princìpi su cui si fonda lo sviluppo sostenibile: porre fine alla povertà estrema; assicurare che la prosperità sia condivisa da tutti; proteggere l’ambiente naturale. Gli studenti dovranno produrre elaborati usando i diversi linguaggi della comunicazione: giornalini, spot, video, reportage, disegni, fumetti, elaborati multimediali, fotografie. Le otto scuole vincitrici riceveranno un premio di mille euro che dovrà essere impiegato per iniziative ambientali. Gli elaborati dovranno essere inviati entro il prossimo 30 marzo 2015. Nella foto sopra, due tra le marionette vincitrici dell’edizione passata nella sezione dell’infanzia, realizzate dalla scuola comunale Ferrante Aporti di Foggia. Info concorso@immaginiperlaterra.it

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IN BREVE

Il futuro del cibo: in mostra a Roma la sfida del secolo Fino al primo marzo 2015 Palazzo delle Esposizioni, a Roma, ospita la mostra fotografica Food. Il futuro del cibo, organizzata da National Geographic Italia. Oltre 90 fotografie scattate dai migliori professionisti e una serie di grafici e testi sulle problematiche legate al futuro del cibo. La mostra nasce con l’intento di rendere consapevole il cittadino della sfida che ci attende nel ventunesimo secolo: come nutrire tutti in modo sostenibile per il pianeta considerando che saremo presto nove miliardi di persone? Con l’aumento della popolazione umana crescono bisogni e problemi legati all’ambiente. E poi il tema dell’ingiustizia sociale: centinaia di milioni di persone soffrono di malnutrizione e di insicurezza alimentare, mentre un miliardo e mezzo di persone sono obese o sovrappeso. info.pde@palaexpo.it

scienze Le cipolle guariscono le malattie: leggenda che viene da lontano

di Federico Baglioni

Torino, condominio artistico: i concerti si fanno sul balcone Nel 2011 Maksim Cristan, scrittore e musicista croato, e Daria Spada, musicista, vanno ad abitare in una nuova casa e in una nuova città: Torino. Per rompere il ghiaccio con i vicini decidono di suonare per loro. Inizia così il Concertino dal Balconcino, performance domenicale alla quale assistono non solo i condomini ma anche spettatori che arrivano da altre parti della città, ogni domenica alle 17. Da un anno alla musica si è aggiunta la piéce teatrale: il Radiocitofono di due giovani attori Davide Simonetti e Daniele Vico. Ma da da qualche mese l’amministratore di condominio vuole azzerare Concertino e Radiocitofono. La battaglia è iniziata, tutti i condomini sono dalla parte dei giovani artisti.

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scheda Federico Baglioni Biotecnologo, divulgatore e animatore scientifico, scrive sia su testate di settore (Le Scienze, Oggi Scienza), che su quelle generaliste (Today, Wired, Il Fatto Quotidiano). Ha fatto parte del programma RAI Nautilus ed è coordinatore nazionale del movimento culturale “Italia Unita Per La Scienza”, con il quale organizza eventi contro la disinformazione scientifica.

Forse avrete sentito parlare su qualche sito delle proprietà magnifiche della cipolla. Iniziamo col chiarire che la cipolla contiene effettivamente composti utili che aiutano a prevenire malattie cardiache e che hanno proprietà anti-infiammatorie. Girano però voci (sul web soprattutto) che presentano la cipolla come rimedio efficace per guarire da tutte le malattie. Il motivo sarebbe la sua capacità di assorbire i germi. In rete si trovano lunghe descrizioni di una storia risalente al 1919 che narra di una famiglia di agricoltori particolarmente in salute che teneva in ogni stanza una mezza cipolla non sbucciata. Con sorpresa, un medico che era lì di passaggio (il cui nome non ci è stato rivelato) avrebbe visto al microscopio il virus dell’influenza nella cipolla, segno che era stato in grado di assorbirlo. Una notizia incredibile che sembrerebbe confermata dal fatto che dopo appena una notte la cipolla era già diventata scura. Niente di tutto questo, purtroppo, è vero. Il primo dato sicuramente sbagliato è che ai tem-

pi non esistevano microscopi in grado di vedere i virus, decisamente troppo piccoli: quindi, ammesso che sia vera la storia, quel medico ha visto sicuramente qualcosa di diverso. Inoltre c’è qualche scienziato che si è preso la briga di verificare questa proprietà di assorbimento e non ha trovato nulla. Lo

scurimento non ha niente a che vedere con l’assorbimento dei batteri e quest’ultimo, semplicemente, non avviene. Il teorema del parrucchiere Vi sono comunque altri passaggi della storia che fanno dubitare dell’attendibilità: il fatto che non vengano citati luoghi, né nomi è, ad esempio, un cattivo segno. Il racconto, poi, prosegue con la testimonianza ricevuta da un parrucchiere che avrebbe descritto una situazione analoga nel suo negozio. Un parrucchiere, però, non sembra essere la persona adatta per affermare se effettivamente le cipolle assorbono i virus oppure no. Questa incomprensione fa girare anche la voce che la cipolla possa essere, al contrario, pericolosa se consumata con un po’ di ritardo da quando è stata cucinata. Anche questa, per i motivi detti sopra, è una vera e propria bufala. Ma se è tutto falso, perché ancora se ne parla e si diffonde così facilmente sul web? Perché è una leggenda metropolitana, coinvolgente dal punto di vista emotivo e che ci fa pensare ai vecchi rimedi casalinghi di una volta, che se a volte hanno un’efficacia comprovata, altre volte sono solamente usanze senza alcuna utilità. L’importante è controllare le fonti prima di condividere queste notizie, specie se eclatanti, perché possono risultare molto, molto pericolose.


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VOCI DALL’AFRICA

La sfida dell’energia pulita negli slum di Port Elizabeth

di Davide Maggiore

scheda Davide Maggiore, nato nel 1983, una laurea in filosofia già vecchia di anni. È stato viaggiatore prima di diventare giornalista e ha incontrato l’Africa grazie a chi da lì è arrivato in Italia: ne ha fatto un lavoro senza perdere la passione. Nel cuore gli è rimasta soprattutto la Tanzania, negli occhi e nella testa il Sudafrica.

In Sudafrica, prima del 1994, i luoghi dei poveri erano le township: ma con la de-

la tecnica, puntando tutto sui pannelli solari, ma anche nel modo di usarla. A ricevere l’elet-

mocrazia, anche i quartieri-dormitorio dei ‘non bianchi’ che erano diventati uno dei simboli dell’apartheid si sono trasformati. Abitare a Soweto, dove si trovava la casa di Nelson Mandela e dove esplosero alcune delle più dure rivolte contro la segregazione razziale, oggi può voler dire vivere in una zona alla moda. Un’area dove per i senza casa non c’è più spazio. E allora chi aspetta da anni in fondo alle interminabili liste d’attesa per un alloggio popolare è spinto sempre più verso i margini delle città, negli “insediamenti informali” (informal settlements): un eufemismo diventato un altro nome per indicare le baraccopoli, in continua espansione.

tricità prodotta grazie a questa tecnologia saranno infatti 3 mila case di un insediamento informale e

Buone notizie da Nelson Mandela Bay, centro vicino a Port Elizabeth dove il municipio ha installato dei pannelli solari per fornire elettricità “pulita” a 3 mila case di un insediamento “informale”. Un primo, importante sforzo per cercare La sfida del solare per tutti Lontane pochi chilometri (e di garantire un’epoca storica) dai giganteschi anche agli abitanti centri commerciali fitti di insegne al neon, che vengono costrui- dei quartieri ti ormai anche negli ex quartieri più poveri segregati, gli abitanti degli in- un’esistenza formal settlements sono alle prese ogni giorno con pro- migliore blemi come la mancanza di servizi igienici, di acqua, e di elettricità. Anche ricaricare un telefonino, indispensabile per essere rintracciati rapidamente da un potenziale datore di lavoro, può diventare impossibile. Ecco perché è luminoso, in tutti i sensi, il segnale che arriva dalla municipalità di Nelson Mandela Bay, vicino a Port Elizabeth, nella regione del Capo orientale. Qui l’amministrazione locale ha deciso di mettersi all’avanguardia non solo del-

dell’impianto collegato a ogni abitazione farà parte anche una presa di corrente. Ma luce ed energia – nelle intenzioni delle autorità – saranno solo l’inizio degli sforzi per restituire agli abitanti degli shacks, i rifugi dei poveri, una quotidianità e una vita ordinarie. Un’esistenza senza la paura, ad esempio, di dover dormire accanto a una bombola del gas o al cavo scoperto di un allaccio abusivo alla rete che, spesso, diventa causa d’incendi. In arrivo cucine e lampioni Quello di Nelson Mandela Bay, in questo senso, è considerato un progetto pilota, da espandere se avrà successo: il prossimo

passo annunciato è l’arrivo di cucine per le famiglie e di lampioni da installare lungo le strade. Tutto alimentato, ancora una volta, a energia solare. Ma la municipalità del Capo orientale può diventare un esempio anche in un altro senso. Perché il “miracolo della luce” è diventato possibile grazie a un impianto

tutto sommato semplice: un pannello fotovoltaico, una batteria, un regolatore di carica per evitare corti circuiti e una presa da 12 volt, come quella dell’accendi-

Un tipico informal settlement di Nelson Mandela Bay

sigari di un’auto. Cambiare la vita di tremila nuclei familiari è stato anche economico: la municipalità ha dovuto stanziare 20 milioni di rand in tutto, circa un milione e mezzo di euro. dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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LO SCAFFALE

Un sorriso e un sospiro Quelle merveille, Ninotchka

Un dvd e un pomeriggio freddo, che accenda il suo imbrunire col proposito di un ozio da conquistare. Una tazza di té, l’accoppiata divano-coperta, e infine il tasto play del videoregistratore per illuminare lo schermo con 106 minuti di meraviglioso cinema. Solo allora il leone della MGM ruggirebbe in bianco e nero, introducendo un trio di commissari bolscevichi, a Parigi per vendere i gioielli confiscati alla granduchessa Swana con l'intento di portar denaro alle casse governative e sfamare il popolo sovietico.

Sono le nove. A quest’ora una metà di Parigi chiede all’altra metà: cosa facciamo?

Il film è il fantastico "Ninotchka", con Greta Garbo e la sceneggiatura – tra gli altri – di Billy Wilder. Girato nel 1939, mostra al mondo il famoso tocco del regista Ernst Lubitsch, un cameo di Bela Lugosi e gli abiti di scena firmati da Adrian, il costumista più famoso della Golden Hollywood. Riprendendo la trama del film, i tre – Iranoff, Bulianoff e Kopalski – cadranno vittime della malìa capitalistico-parigina orchestrata ad arte dal conte Leon, longa manus dell'avida granduchessa, oltremodo piccata dall'entrata in scena dell'austera Ninotchka, ispettore-capo con pieni poteri, fatta calare su Parigi per concludere la travagliata vendita dei gioielli. Questo è il canovaccio su cui fiorisce la bellezza della pellicola, dialetticamente terreno fertile di ideali-

il dvd Ninotchka di Ernst Lubisch (1939) con Greta Garbo e Bela Lugosi

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José Henrique, a 42 anni è il terzo portiere del Benfica. Arriva la partita più importante. Grazie a lui la squadra vincerà la Coppa dei Campioni. Poi si ritira. Perde tutto: moglie, soldi, proprietà. E il buio lo inghiotte. Fino al punto di trovarsi con una pistola in mano, a cercare la vendetta. Chi ha incastrato José Henrique?

smi e modi di vivere contrapposti ma destinati a fondersi per merito di tutti i personaggi e dei due fenomenali protagonisti – Ninotchka e Leon. «Che tipo di donna siete?», sospira Leon cercando risposte nell'espressione glaciale dell'ispettore Nina Yakushova, pronta a sua volta a sciogliersi in una risposta solenne da apparato, tipo: «Sono

John Doe Solo come in area di rigore Edizioni Infinito, 14 euro

una rotella nell'ingranaggio dell'evoluzione...». Con Leon che risponde rapito: «Sì, ma che rotella...»: un piccolo esempio della leggerezza e della perfezione del film, che non sbaglia un colpo nei suoi tempi comici e in quelli romantici. «Da noi c'è ancora tanta neve. Le rondini ci lasciavano per andare nei paesi capitalisti...», dice a se stessa Ninotchka, spalancando la finestra sulla bellezza primaverile della Parigi sottostante. «Adesso capisco: noi abbiamo alti ideali, loro un buon clima...», continua a dirsi. Questa scena è preludio alla vera svolta di Ninotchka: poco dopo indosserà un cappello ardito che scardinerà le sue certezze. Si farà portare da questo cappellino in un territorio nuovo e "egoistico": nel segno dell'Amore vero, lascerà al chiodo la muta mortificata e spenta della vecchia Nina Yakushova. Ad aspettarla all'imbocco di questa nuova vita c'è Leon, con un'altra delle sue mitiche frasi: «Sono le 9. A quest'ora una metà di Parigi chiede all'altra metá: cosa facciamo?». Lo champagne e un volo della ragione (oltre l'ostacolo) sono la risposta. «Quelle merveille», mi dico. E ci scappano un sorriso e un sospiro.

Educatori sociali, mestiere difficile Ventisei casi raccontano i professionisti del lavoro sociale alle prese con sfide etiche sempre più complesse nel mondo globalizzato. Come la ragazza gitana portoghese che, secondo la sua comunità, dopo il matrimonio non dovrebbe più andare a scuola. Indispensabile la formazione, ma anche sensibilità e mediazione. Sarah Banks e Kirsten Nohr L'etica in pratica nel servizio sociale Ed. Erickson, 24 euro

I racconti della sera

[ a cura di Daniela Palumbo ]

di Yamada

Il mistero di José

Oscar Wilde ci fa compagnia nelle sere d'inverno con questa raccolta di racconti dove principi, streghe, nani, giganti e orchi irrompono nell'immaginario dei bambini liberando paure e gioie, dubbi e sogni. Wilde scriveva per i figli fedele all'intento pedagogico della tradizione fiabesca. Per lettori di tutte le età. Oscar Wilde con Cristina Pieropan Il principe felice e altri racconti Ed. ISBN, 23 euro


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VISIONI

Capolavoro al vetriolo In Dvd. Finalmente. Festival di Venezia 1963, Leone d’Oro al miglior film. Con Rod Steiger che era stato Al Capone pochi anni prima. Capolavoro al vetriolo sulla corruzione e la speculazione edilizia. Cinquantadue anni dopo, l’Italia frana...

Frank. Meglio commerciali e famosi o insoliti e soli?

“La vita, amico, è arte dell’incontro” recitava il titolo di un curioso disco dei Sessanta nato dall’incontro di tre artisti veri dell’epoca: Vinicius de Moraes, Giuseppe Ungaretti e Sergio Endrigo. In effetti, per trasformare sogni in realtà, bisogna avere al proprio fianco la persona giusta. Se ne accorgerà Jon, personaggio di “Frank”, impiegato (male), vitaccia e dipendenza da social network. La speranza, tuttavia, è quella di diventare un musicista vero. Il sogno uscirà mai dal cassetto? Ci vorrebbe una persona capace di infondere fiducia, valorizzare il talento e scoprire se è troppo nascosto o proprio assente. Una persona tipo Frank, insomma. Ecco la carta d’identità del protagonista del film di Lenny Abrahamson, da novembre nelle sale cinematografiche italiane dopo l’anteprima al Biografilm Festival 2014: musicista atipico, artista borderline, anima di una band d’avanguardia dal nome impronunciabile, i Soronprfbs, motivatore introverso. Segni particolari: schizofrenico. Nessun della band o tra i pochi estimatori ha mai visto il volto del leader dato che indossa una maschera anche quando mangia (con sistema di cannucce), dorme (con prese d’aria

Creativo, originale e tutto matto. Al cinema arriva Frank uno strano musicista che nessuno può vedere in faccia. Grazie a lui si impara a liberare la propria fantasia

il film Frank di Lenny Abrahamson con Michael Fassbender, Domhnall Gleeson, Maggie Gyllenhaal e Scoot McNairy, co-sceneggiato da Jon Ronson autore dell’altrettanto surreale L’uomo che fissava le capre con George Clooney, Ewan McGregor e Kevin Spacey

per respirare) e si lava (con cuffia di plastica). Eppure, Frank (un grande Michael Fassbender) è una persona speciale. Non solo per Jon. Proprio attraverso i suoi occhi, quelli dell’ultimo arrivato, si conosce lo strano tizio che dà il titolo a questo piccolo-grande gioiello ad uno stesso tempo film musicale, biopic, commedia surreale e altro. All’inizio della storia viene ingaggiato per sostituire il tastierista che, piccolo particolare, a furia di suonare la musica di Frank ha tentato di togliersi la vita. Vivendo mesi senza mai uscire dal gruppo

La partita di Silvia Lotta all’ultimo euro Il lavoro oggi, raccontato dai Dardenne. Marion Cotillard è Silvia che ha un weekend per convincere sedici colleghi a rinunciare al bonus: solo così potrà mantenere il posto. O lei o l’aumento. Scatta un “porta a porta” darwiniano, con selezione naturale all’ultimo sangue. Anzi, all’ultimo euro. Poi lunedì...si vota.

imparerà a coltivare la propria creatività e a suonare con musicisti allergici agli spartiti. Zero album all’attivo ma pezzi estemporanei che recitano: “Abbracciatemi, con dita precise, pantaloncini che prudono. Vi amo tutti”. Meglio essere commerciali e famosi o insoliti e soli? Frank è ispirato alle vicende di Frank Sidebottom, comico misterioso, è influenzato dalla musica dada di gruppi come i Residents ed è vicino a grandi storie sui comici, mai molto comiche, come “Lenny” di Bob Fosse, “Man on the moon” di Milos Forman o persino il “Chaplin” di Richard Attenborough. Vengono in mente anche le provocazioni di Roberto “Freak” Antoni che urlava al proprio stupito pubblico: “Non capite un c***o, questa è avanguardia!”.

Due giorni, una notte regia di J. e L. Dardenne (2014)

Donne e diritti nel docufilm sul Sahara

[ a cura di Daniela Palumbo ]

di Sandro Paté

Le mani sulla città regia di F. Rosi, con R. Steiger (1963)

Storia di sottrazione di diritti nel deserto del Sahara occidentale, dove vive il popolo Saharawi a causa dell’occupazione marocchina dei suoi territori. Emanuela Zuccalà e Simona Ghizzoni raccontano il potere dello spirito umano di superare le difficoltà. Ritratti di donne che amano la vita. Solo per farti sapere che sono viva Docufilm (2014)

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L’INTERVISTA

Melodie intense e forza di scrittura. La cover del nuovo lavoro di Alberto Fortis, uno dei migliori dischi dell’anno prodotto con Lucio Fabbri

Alberto Fortis «Togliamo la maschera della furbizia» di Andrea Pedrinelli

“Do l’anima” segna il ritorno sulla scena del cantautore milanese. Un disco molto intenso sia musicalmente sia a livello testuale 22 Scarp de’ tenis dicembre 2014 - gennaio 2015

Si toglie o si mette la maschera, Alberto Fortis, sulla copertina del nuovo album “Do l’anima”, che ne segna il ritorno dopo quattro anni di silenzio? La risposta si trova, chiarissima, ascoltando l’opera, uno dei migliori cd dell’anno: Fortis la maschera se la toglie. Meglio, segnala quanto sia decisivo che tutti rinunciamo alle maschere: da quelle legate al successo o alla carriera sino a quelle delle convenienze o delle diffidenze. Bisogna riscoprire la comune appartenenza al genere umano, e il cantautore celebre per “Il Duomo di notte” o “La sedia di lillà” lo dice in maniera nitida quanto alta. Sia musicalmente, in un percorso che lo porta anche a duettare con Vecchioni, Antonacci e Carlos Alomar, sia a livello testuale. Tanto che la nostra chiacchierata con lui è quasi co-


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stretta, dalla profondità media dei contenuti di “Do l’anima”, a parlare poco di gioielli del disco, canzoni centrate sull’emozione come “Principe” o “L’attimo”. Fortis, partiamo comunque dalla musica. Cosa l’ha spinta oggi a rinunciare al suo consueto approccio compositivo poliedrico, che spesso sfociava nella sperimentazione? Devo dire che la scelta a favore della melodia in primo piano è stata naturale, dopo aver valutato una rosa di quaranta canzoni insieme al grande Lucio “Violino” Fabbri, con cui ho prodotto l’album. Ho rinunciato a qualche eccitazione ritmica a favore della forza della scrittura. Veniamo subito ai contenuti del cd. Si parte parlando esplicitamente di “maschere”. Quali sono a suo avviso le più pericolose oggi? Direi la maschera dell’autoconvinzione, del tenersi lontani da ogni confronto con gli altri. Una maschera che poi comporta furbizia, corruzione e uccide dignità e meritocrazia. La “maschera” dell’artista quanto è stata per lei privilegio e quanto etichetta? Nei limiti del possibile l’ho sempre allontanata: darle sfogo è una perdita di tempo. “Do l’anima”, title track, è una canzone quasi etica. Canta di silenzio, luce, cielo, profondità… Fortis cosa intende per “anima”, e quanto la vede in pericolo nel 2014? Per me l’Anima, con la maiuscola, è quanto di noi è centrale e lontano dai compromessi della società e del corpo. È il veicolo

Aldilà nasce dalla melodia per sottolineare che l’Oltre che tanto cerchiamo, alla fine, è già davanti ai nostri occhi. Siamo noi, è la nostra vera natura, ben lontana dall’uomo compromesso in cui la società ci spinge a credere che ci fa comprendere tutto da una prospettiva più alta, mai meschina. Il pericolo per l’Anima oggi è alto: ma io spero molto nella frase di Gandhi “Non c’è cosa orribile che non faccia una fine orribile”. Quando lei canta di cielo che arriverà o di eterno in noi, anche in brani come “Infinità infinita”, c’è in lei una prospettiva di fede o solo l’esigenza di pensare che un Oltre esista? Le due cose convivono. Perché anche se non esistesse niente oltre la materia, crederlo aiuta a una considerazione di sé e degli altri molto più elevata. Fa capire meglio il senso dell’uomo. Nel disco spicca “Aldilà”. Com’è nato questo brano? È nato dalla melodia, per sottolineare che l’Oltre che tanto cerchiamo, alla fine, è già davanti ai nostri occhi. Siamo noi, è la nostra vera natura, ben lontana dall’uomo compromesso in cui la società ci spinge a credere. Si sente fuori moda, a cantare di valori, anima, Dio, morte, “magia di un figlio”? Non è che le canzoni

su questi temi siano molto accettate nel mainstream. Anzi, di solito se ne ride… Beh, una volta ridevano anche di Copernico e Cristoforo Colombo! O no? Anche qui canta la metropoli milanese. Secondo lei Milano nel 2014 è più o meno aperta verso chi ha bisogno, rispetto a quella che ha conosciuto “emigrando” dal Piemonte? Milano sta attraversando un momento delicato e critico, che non le consentirà di sbagliare. Si è accentuato in lei sia il meglio che il peggio dell’Italia. E quando parlo di peggio, intendo le collusioni che stanno abbassan-

scheda Quando Alberto Fortis, novarese di adozione meneghina, debuttò nel 1979 (accompagnato dalla PFM), fece subito scalpore. La sua musica era al tempo stesso ammaliante e spiazzante e tale è rimasta nel tempo: declinata in sedici album che l’hanno portato anche Oltreoceano o a collaborare con gente come i produttori di Bowie e dei Beatles, Carlos Alomar e George Martin. Ma oggi, un Alberto Fortis potrebbe dare il via a una carriera o no? La risposta merita attenzione. «Oggi bisognerebbe concedere a un artista il “giusto tempo umano”, cito Quasimodo, richiesto dall’arte. Ci sono belle voci, bravi performer, ma non artisti che comunicano un loro mondo. Il momento non lo favorisce, l’industria neanche, e la gente compra senza accorgersi che la qualità scade. Quando se ne accorgerà non comprerà più: e siamo vicini a quel momento. Che permetterà al chiosco sano, prima ignorato a favore del supermarket, di rubar loro clienti. E nel nome dell’arte finirà l’umiliazione del sentimento». AP

do il livello etico di tutto il Paese. Anche all’estero hanno problemi? Sì, ma da noi si sono oltrepassati i livelli di guardia. Fortunatamente c’è anche la reazione esasperata dei molti che, pur a fatica, vogliono modificare quell’iter. Anche perché se non ci riusciranno, rimarrà poco ai nostri figli e nipoti. Dunque Milano non assomiglia più a quella che lei cantava in brani storici del passato? Beh, Milano ha pur sempre un Dna: è una capitale europea. Non può soffocare questa natura, ed anche per questo deve accelerare il processo di rinascita. Certo sono tempi mutati profondamente, i nostri, rispetto agli anni in cui scrivevo certe canzoni. E l’arte come sta, oggi? Per me rimane un modo di vincere timori, problemi, limiti. E non per caso ho studiato anche medicina: medicina e musica mettono al centro l’uomo, e anche la musica ha un suo potenziale terapeutico: a volte precorre pure i tempi. Il che comporta diritti quanto doveri. Gli insensibili, o quelli che (peggio) non avvertono l’esigenza di dar sfogo alle peculiarità etiche della musica, alla fine sono i primi a cedere. Proprio perché in fondo trascurano l’Anima. Lei è testimonial di Unicef, City Angels e contro la sclerosi multipla per l’Aism. Quali sono i suoi progetti futuri in questo campo? Qualunque occasione serve a sensibilizzare: nei concerti, persino promuovendo il cd. Vorrei dare qualcosa ai bimbi del Kerala, nel Sud dell’India, dove per primo anni fa mi sono messo in gioco con un’adozione.

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Arrivano dopo viaggi della speranza terribili in cui hanno spesso E cercano un luogo dove ricominciare. Sono i richiedenti asilo che, e devono attendere anni prima di avere questo status riconosciuto. con le mani in mano. E si offrono per restituire alla collettivitĂ tutto

Volontari a

Max Peef

Il momento del carico delle bici-carro nere con le rimanenze alimentari messe a disposizione dai supermercati prima di iniziare la distribuzione di viveri tra le case popolari di Rozzano, alle porte di Milano

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perso amici e famigliari. Fuggono da guerre, carestie e violenza. per legge, godono della protezione delle norme internazionali Nel frattempo aspettano. Ma molti non ce la fanno a rimanere il bene che hanno ricevuto. Le storie di Scarp de’ tenis da Lampedusa a Milano

casa nostra

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Si chiama “Rifugiato nella solidarietà” il progetto ideato da Casa di Betania a Rozzano, città di 40 mila abitanti alle porte di Milano, che sostiene famiglie in difficoltà grazie all’aiuto di stranieri

di Francesco Chiavarini foto di Max Peef

scheda Casa di Betania via Carducci 4 - Rozzano (MI) tel / fax 02-30910226 accoglienza@casadibetania.org Nato come centro di prima accoglienza si è trasformato nel 2005 in un centro di seconda accoglienza per rifugiati, titolari di protezione sussidiaria, richiedenti e ricorrenti per un periodo di tempo che può variare dai 6 mesi ai 2 anni a seconda del progetto personale.

Due volte alla settimana Sissoko, 26 anni, originario del Mali, porta la spesa alle famiglie, per lo più italiane, delle case popolari di Rozzano. Alle 11 di mattina carica il cassone della bici-carro nera con quello che il giorno prima è stato tolto dagli scaffali dei supermercati perché non può più essere messo in vendita: cassette di banane e mandarini, buste di insalata e pasta, scatole di piselli e fagioli. Spinge sui pedali e fa il giro fra i palazzi del paesone, 40 mila abitanti separati da Milano dalla tangenziale Ovest. «Cerco un lavoro, uno qualsiasi, ma ancora non l’ho trovato. E allora invece di stare con le mani in mano, faccio il volontario. La gente apprezza. E adesso quando cammino per strada, qualcuno mi riconosce e mi saluta. Mi sento un po’ meno straniero», sorride lasciando che i suoi denti bianchi rischiarino il suo volto scuro. Sissoko è partito dalla Libia nel 2011. Da Lampedusa è arrivato a Milano. Per un anno e mezzo è stato ospite in un albergo a Cini-

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sello Balsamo in attesa di conoscere l’esito della sua richiesta di asilo. Quando è terminato il programma di accoglienza Ena (Emergenza Nord Africa), è stato messo alla porta, con un permesso di soggiorno in mano: ma la sua nuova vita non è cominciata. È stato allora che gli amici di Casa di Betania lo hanno conosciuto e gli hanno dato un posto dove dormire: una modesta branda nella vecchia canonica di una bella chiesa abbandonata nella frazione Pontesesto, dove si trova anche il centro di seconda accoglienza per rifugiati politici gestito dall’associazione. In attesa di trovare un’occupazione vera, Sissoko, per contraccambiare l’ospitalità ricevuta, ha accettato di far parte del progetto “Rifugiato nella solidarietà”. Cucina per gli altri ospiti del centro e consegna i pacchi viveri.

L’iniziativa è partita un anno e mezzo fa da un’idea ambiziosa: combattere lo spreco, sostenere le famiglie in difficoltà, sconfiggere i pregiudizi contro gli stranieri. I centri com-

merciali della zona conferiscono al centro le eccedenze, il lunedì e il mercoledì. Il Comune individua le famiglie che hanno bisogno del sostegno alimentare. Gli ospiti del centro sono coinvolti nella distribuzione. Anche le biciclette sono una trovata intelligente. Vedere qualcuno che per venire a casa tua, decide di pedalare, favorisce le relazioni, assicurano gli operatori. «In realtà non eravamo affatto certi di avere avuto una buona intuizione – racconta Sara Maida, la responsabile –. Pensavamo che le persone, soprattutto le più anziane si sarebbero spaventate, trovandosi sotto casa tipi alti e grossi e che per di più avevano la pelle scura. Invece è andato molto meglio del previsto. Il pomeriggio stesso e poi i giorni successivi, in molti ci hanno telefonato per ringraziarci e invitare i ragazzi a prendere il caffè». Un piccolo miracolo Un piccolo miracolo, sbocciato come un fiore tra le crepe dell’asfalto, in un posto difficile. Nel


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«Pensavamo che le persone si sarebbero spaventate. Invece è andato tutto bene». A sinistra la signora Paola insieme al marito, una delle prime famiglie a beneficiare del servizio

comune a fianco, ad Opera, il sindaco Ettore Fusco è famoso per aver guidato anni fa una manifestazione contro un campo nomadi in seguito alla quale fu accusato e poi assolto per l’incendio di alcune tende. Quando a gennaio del 2013, 400 rifugiati messi dalla Prefettura nel Residence Ripamonti bloccarono per protesta la provinciale, la popolazione non la prese benissimo. «Nessuno ce l’ha con gli stranieri. Gli immigrati fanno fatica come noi, dobbiamo darci una mano a vicenda», abbozza timidamente Paola che divide con il marito, cinque figli e due pincher nani, 65 metri quadrati in uno dei palazzi dell’Aler ed è stata una delle prime famiglie a ricevere i pacchi viveri dai ragazzi di Betania. Nei 6.200 alloggi gestiti dall’istituto vivono 20 mila persone. «È uno dei più grandi agglomerati popolari d’Italia, forse addirittura di Europa – assicura Guido De Vecchi, operatore sociale di lungo corso. Lo costruirono alla fine degli anni ’60 le cooperativa legate al Pci perché qui il partito voleva

AGRIGENTO

Giuseppe e gli altri sbarcati a Lampedusa: «Stranieri, una risorsa»

Due volte alla settimana Sissoko, 26 anni, originario del Mali, porta la spesa alle famiglie, perlopiù italiane, delle case popolari di Rozzano. Alle 11 di mattina carica il cassone della bici-carro nera con quello che il giorno prima è stato tolto dagli scaffali dei supermercati e fa il giro dei palazzi

Ne è passato di tempo da quando Giuseppe è sbarcato a Lampedusa. Allora, non si chiamava nemmeno Giuseppe. Oggi invece lui e sua moglie, che hanno lasciato insieme la Nigeria, sono due attivi residenti di Agrigento, due persone coinvolte nella loro comunità: lui presta servizio per la Caritas quando c’è bisogno e lei dà il suo contributo per far funzionare la ludoteca multietnica “Alveare” gestita dalla Fondazione Mondoaltro, che della Caritas locale è il braccio operativo. Da profughi a volontari. O meglio, da migranti forzati a cittadini impegnati, con il loro permesso di soggiorno, la loro protezione internazionale e le loro due bambine, nate in Italia. «La loro è una storia che racconto sempre con piacere – dice Valerio Landri, direttore di Caritas Agrigento –. La comunità dove si sono stabiliti li ha accolti molto bene, ha fatto un gran lavoro». Il risultato è stato il pieno inserimento della coppia e la conversione di marito e moglie al cattolicesimo. «È stato un battesimo a quattro: padre, madre e le due bambine che nel frattempo sono venute al mondo qui. È in quell’occasione che Giuseppe ha scelto il suo nuovo nome. È stato un momento speciale». Come speciale, ma non isolato, è l’impegno nel volontariato della famiglia. Caritas Agrigento incoraggia anche gli ospiti delle sue strutture a contribuire al loro funzionamento, spiega il direttore. «In un nostro progetto di housing sociale, Casa Rahab, i migranti fanno alcuni lavori insieme agli operatori, dal giardinaggio alla manutenzione. Questo fa capire anche a chi è fuori, alla cittadinanza, che gli stranieri che arrivano qui non hanno solo bisogni, ma anche risorse, che possono dare il loro contributo». Paolo Riva dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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COPERTINA creare un bacino di voti sicuro, come una seconda Sesto San Giovanni – racconta -. Negli anni si sono aggiunti problemi a problemi. Prima ci mandarono i terremotati del Belice, poi le famiglie mafiose al confino. Oggi è una polveriera sempre sul punto di esplodere. Gli abusivi sono pochi, ma tantissimi gli insolventi: residenti che non riescono più a pagare l’affitto per colpa della crisi». Alle due del pomeriggio, Cosimo, gira per i vialetti con al guinzaglio il suo barboncino bianco. «Si chiama Dolly, prima toccava a mia moglie, portarla a spasso, ma da quando la ditta mi ha lasciato a casa, lo faccio io – spiega –. Sono un tipo tranquillo ma quando vedo che il mio vicino di casa che viene dall’Africa ha vestiti che io non posso permettermi, mi girano le balle. Volete chiamarmi razzista? Fate pure. Ma se la Chiesa e il Comune aiutano solo loro, uno razzista ci diventa per forza».

Un ragionamento che il parroco di Sant’Angelo, don Tommaso Lentini, responsabile della Caritas cittadina si è sentito ripetere tante volte. «È diventato un ritornello, ma non è vero. A giugno abbiamo distribuito 126 borse alimentari agli italiani e 71 agli stranieri. Da tre anni gli italiani superano gli stranieri tra gli utenti dei servizi Caritas». Per farlo capire a tutti, don Tommaso ha voluto pubblicare il resoconto dell’attività della Caritas su un volantino e distribuito in chiesa. «Quello che emerge non è la disparità nell’assistenza ma che il numero di richieste di aiuto è triplicato. È questo che dovrebbe preoccupare la politica e le istituzioni perché la povertà è il virus che intossica la convivenza». E che rischia di far appassire anche i fiori sbocciati inaspettatamente, come la solidarietà sui pedali di Casa di Betania.

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Una casacca, una ramazza e la voglia di integrarsi di Ettore Sutti

A Bergamo l’integrazione parte dal volontariato: questo il senso dell’accordo siglato con Comuni e Prefettura per attivare i rifugiati

«Sono convinto che una casacca e una ramazza facciano molta più integrazione di tanti discorsi teorici». Da questa sana e ruvida praticità tutta bergamasca di Bruno Goisis, direttore della cooperativa Ruah, la cooperativa che gestisce l’accoglienza dei rifugiati per conto della Caritas di Bergamo, nasce il protocollo che ha ufficializzato il volontariato di molti di questi ragazzi in alcuni comuni della provincia. Grazie a un accordo siglato tra Caritas, Prefettura, un gruppo di comuni, i sindacati, Inail e Inps, infatti, è stata messa nero su bianco la possibilità da parte dei rifugiati di mettere a disposizione dei comuni il proprio lavoro in maniera del tutto volontaria. «Come cooperativa – spiega Bruno Goisis – gestiamo l’accoglienza di 350 persone in strutture sparse per tutta la provincia di Bergamo. Si tratta di uomini, con età media molto bassa (20/25 an-


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SCHEDA

Casazza, parte da qui la scommessa dell’incontro

I ragazzi ospiti di Casa di Betania con la bicicletta per le vie Rozzano consegnano i pacchi con la spesa per le famiglie che hanno bisogno

BERGAMO

ni) provenienti principalmente dall’Africa subshariana, Pakistan e Afghanistan. Le attività che facciamo con loro sono quelle che abbiamo attivatato già dall’emergenza nordafrica dal 2001: aiuto nel disbrigo delle pratiche amministrative, organizzazione delle pulizie e dei turni di cucina nei centri e corsi di italiano. Possono sembrare attività banali ma vi assicuro che prendere 40 ragazzi giovanissimi con culture molto diverse tra loro e farli convivere forzatamente dentro una struttura, è tutt’altro che semplice. Anche perchè si tratta di persone che vengono da Paesi dove, abitualmente, gli uomino non sono mai stati abituati a cucinare o a fare le pulizie». Restituire parte del bene Da qui comunque, si è cominciato a lavorare sulle persone per favorire il loro incontro con la comunità bergamasca, incontro

tutt’altro che semplice soprattutto nei piccoli paesi delle valli, dove la presenza di un gruppo importante di stranieri risulta a prima vista molto destabilizzante. Questo perchè l’immagine che i media danno dei richiedenti asilo è spesso forviante. Una visione che può essere cambiata solo con la conoscenza e il contatto diretto con queste persone. «A fianco dell’attività ordinaria – continua Goisis – seppur in sordina, per evitare che le

persone se ne rimangano tutto il giorno con le mani in mano, abbiamo sempre cercato di collaborare con alcune parrocchie per fare dei piccoli lavoretti (pulizia delle piazze o degli oratori, organizzazione di feste) ma sempre in maniera estemporanea. Ora abbiamo voluto ufficializzare la cose proprio per far capire come questi ragazzi, impossibilitati dalla legge a lavorare, sono ben

disposti a restituire parte di quel bene che la collettività garantisce loro, accogliendoli nel nostro Paese». Sono stati già identificati i comuni e le associazioni che, tramite l’adesione a questo patto dul volontariato, usufruiranno dell’attività di questi ragazzi. «Ovviamente – precisa Goisis – non stiamo parlando di manodopera che andrà a sostituire il lavoro di aziende e cooperative che già operano in questi settori. Si tratterà, invece, di un supporto gratuito a chi fa già quel lavoro, potenziandolo. Se un comune può permettersi di pagare solo due passaggi di pulizia nei parchi cittadini l’intervento dei volontari potrà garantire un passaggio ulteriore oppure saranno attivate tutte quelle piccole manutenzioni (pulizie dei boschi, riparazione delle piste ciclabili) che le amministrazione locali, in un contesto economico come l’attuale, non potrebbero mai far partire».

Casazza, 4 mila anime, Val Cavallina. Dallo scorso luglio ospita 58 richiedenti asilo. Un inserimento non certo indolore per la comunità. Proprio, qui, però, tra pochissimo partirà il primo esperimento di lavoro volontario così come concepito nel protocollo redatto insieme a comuni e Prefettura. «Si tratta del gruppo di ragazzi della Nigeria e del Gambia, che sono qui da più tempo – spiega Daniela Testa della cooperativa Ruah –. Un momento forte di scambio per tutti». Qualche piccola apertura in questi mesi si è già vista grazie a una cena organizzata dentro la struttura. «Si è trattato di un momento di conoscenza reciproca importante – spiega ancora Caterina Testa – che ha fatto comprendere come aldilà degli stereotipi o della paure , quando le persone si incontrano e si parlano molti steccati sono destinati a cadere». Altro bel momento è stato l’incontro con il gruppo di adolescenti della parrocchia che si sono confrontati con i loro pari età in una sorta di intervista doppia sulle aspettative e le speranze riguardio al loro futuro. «é stato bellissimo vedere come i ragazzi giovani, alla fine, pur nelle differenze di religione, cultura e provenienze, abbiano stessi sogni e identiche aspettative».

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Ovviamente si tratta di lavoro su base esclusivamente volontaria. «Stiamo lavorando con i ragazzi per cercare di far passare il significato di lavoro volontario in culture che, spesso, non hanno nemmeno una parola che lo identifica. Perchè, soprattutto in Africa, chi deve lottare ogni giorno per sopravvivere non ha tempo per aiutare gli altri. Un lavoro importante ma che sta dando importanti risultati: in Val Cavallina, ad esempio, le 29 possibilità di utilizzo dei volontari sono state subito coperte». Questo non vuol dire che la maggioranza dei residenti non abbia “timore” nei confronti di queste persone. Il tentativo è prorio quello di far incontrare le persone per quello che in realtà sono. «Non molliamo sulle regole – continua Goisis – perchè il buonismo non porta da nessuna parte. Anzi, fa solo danni. Quindi ci sono regole comportamentali che tutti devono seguire, pena l’espulsione dal progetto. Posso forse sembrare rigido ma senza regole condivise non si può pensare di impostare un intervento serio di integrazione».

Ancora tanta diffidenza. Ma quando le persone si incontrano e parlano molte di queste diffidenze cadono. Come nel caso dei ragazzi che hanno pulito la piazza di un quartiere che oggi sono benvoluti da chi abita lì, o i tanti che giocano a calcio sui campetti delle parrocchie insieme ai loro coetanei italiani. «Nessuno ha scelto di venire qui e di essere ospitato – conclude Goisis –: abbiamo ragazzi che sono fuggiti da guerra, fame e disperazione. Alcuni sognano di diventare calciatori o, semplicemente, di vivere in tranquillità. Un ragazzo afgano alla mia domanda su cosa si aspettasse nel rimanere in Italia ha risposto con molta tranquillità: “Che nessuno mi uccida quando esco in strada”».

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A giugno a Rozzano sono stati distribuite 126 borse alimentari agli italiani e 71 agli stranieri. Una tendenza che dura ormai da tre anni

PIEMONTE

VICENZA

“Progetto ponte” volontariato tra le vigne

Il talento di Ohis Oserei il mago della bicicletta

Alice Bel Colle è un comune di poco meno di 800 abitanti situato a pochi chilometri da Acqui Terme (AL). Circondato da vasti vigneti è, dal 2004, titolare del “Progetto Ponte” che gestisce i progetti di accoglienza, assistenza e integrazione dei profughi a livello locale. Attualmente ospita 15 richiedenti asilo provenienti da Mali, Costa d’Avorio, Ucraina, Pakistan. Sono proprio alcuni di loro ad essersi resi protagonisti di un’originale iniziativa di volontariato rivolta alla cittadinanza di cui sono ospiti. Come ci spiega Claudio Amerio, responsabile area servizi immigrazione della Cooperativa “Crescere Insieme” Onlus (www.crescere-insieme.it), ente gestore del progetto di Alice Bel Colle: «La proposta di quest’iniziativa è stata fatta agli ospiti per sfuggire all’ozio da una parte e per contrastare la diffidenza, se non la paura, di una parte dei residenti, restii ad attivare progetti di accoglienza. Qualche anno, per esempio, i coltivatori, per la vendemmia, preferivano ricorrere a mano d’opera importata, piuttosto che assumere qualche rifugiato…». In cosa consiste l’attività svolta da questi volontari atipici? «Si tratta di piccoli lavori di manutenzione degli spazi pubblici; un’impegno non gravoso, due mezze giornate alla settimana, ma che ha prodotto effetti molto positivi». Oggi la situazione è molto più distesa, chi lo desidera può scegliere di partecipare alle vendemmie, procurandosi un reddito, ed uno dei tre rifugiati-volontari attualmente in servizio è stato inserito in un progetto formativo presso il comune. Vito Sciacca

«Mi chiamo Ohis Oserei e vengo dalla Nigeria. Sono arrivato in Italia, in Sicilia, quest’estate. Dopo due giorni mi hanno fatto salire su un aereo e su un pullman fino a Vicenza. È qui che ho conosciuto gli operatori della cooperativa Cosmo Sociale. La signora che ci segue si chiama Valentina ed è a lei che devo la possibilità di fare qualche servizio ogni tanto. Quando sono arrivato a Vicenza mi hanno consegnato una bicicletta. Era messa molto male così, insieme agli altri profughi che sono arrivati insieme a me, ci hanno accompagnato al Ciclocomio di Park Fogazzaro. Questo è un luogo dove puoi trovare pezzi di ricambio e attrezzi per eseguire i lavori che ti Il “Ciclocomio” servono per rimettere a nuovo la due ruote. Prima di tutto ho sistemato la mia bici, poi, mi sono dedicato a quelle dei miei amici che erano troppo inesperti per potersi arrangiare. E alla fine, al Ciclocomio ci sono rimasto definitivamente. Tutti i mercoledì sera e il sabato pomeriggio mi unisco ai volontari della ciclofficina e aiuto le persone a risistemare la propria bicicletta». Cristina Salviati La ciclofficina “Ciclocomio” di Vicenza è nata nel 2004 per iniziativa di un gruppo di amici. Il progetto viene sostenuto dalle offerte libere lasciate da quanti usufruiscono dei servizi della ciclofficina. Ohis ora fa parte di quel gruppo di amici.


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PIANI BASSI

Senza censimento si rimane senza dimora

di Paolo Brivio

Contare è un po’ schedare. O almeno così si è soliti pensare. Soprattutto in riferimento a fenomeni per loro natura fluidi. Come nel caso dell’homelessness: il comune buon senso ritiene che chi è senza dimora lo sia per scelta, e allora sottoporre a censimento gli assertori di tale libertà estrema e antisociale (persone che, rinunciando a un domicilio certo, sembrerebbero voler rinunciare a ogni forma di visibilità ufficiale) potrebbe apparire lesivo della loro volontà più profonda. In realtà, in un simile ragionamento sono errate sia la premessa, sia la conclusione. Perché finire sotto un ponte

non è mai (mai!) esito di una deliberazione serena, limpida, davvero libera da condizionamenti (di natura economica, sociale, psichatrica)

subdoli e coercitivi. Di conse-

scheda Paolo Brivio, 47 anni, si è appassionato ai giornali ai tempi dell’università. E ha coniugato questa passione-professione con l’esplorazione dei “piani bassi” della nostra società. Direttore di Scarp dal 2005 al 2014, oggi fa il sindaco: pro tempore, perché rimane “giornalista sociale” in servizio permanente effettivo.

guenza, provare a contare quanti siano e a capire chi siano, gli homeless che popolano oggi le strade italiane, non è un atto di prevaricazione: semmai l’inevitabile presupposto di ogni azione, politica e sociale, che voglia poggiare sul pavimento dei dati di fatto, non sulle sabbie mobili del pregiudizio. Anche i “non usatori” “Conoscere per deliberare”, raccomandava sessant’anni fa Luigi Einaudinella prima delle sue Prediche inutili. Oggi però speriamo (anzi, scommettiamo) che inutile non sarà, il notevole sforzo che

Istat, Fio.psd (Federazione italiana organismi persone senza dimora) e Caritas Italiana stanno producendo, proprio in queste settimane di fine anno, su mandato del ministero del welfare, al fine di aggiornare il primo censimento nazionale delle persone senza dimora e dei servizi cui esse si rivolgono, effettuato esattamente due anni fa, a fine 2012. Da quella indagine, emerse una cifra che questa volta sarà rivista (sicuramente) al rialzo. Le persone senza dimora in Italia furono

Provare a contare quanti siano e a capire chi siano, gli homeless che popolano oggi le strade italiane, non è un atto di prevaricazione: semmai l’inevitabile presupposto di ogni azione che voglia poggiare sul pavimento dei dati di fatto, non sulle sabbie mobili del pregiudizio

stimate in 48 mila circa: ma a quel dato si arrivò lavorando sugli “usatori” dei servizi (dormitori, mense, segretariati sociali), senza riuscire a intercettare (e conteggiare) i “non usatori”, i “non agganciati” − in altre parole, i “cronici” più irriducibili. Questa volta, anche grazie al coinvolgimento di molte unità di strada, i promotori della ricerca quali-quantitativa (l’unica di portata nazionale dotata di comprovata scientificità) puntano a colmare quella lacuna. E a fornire una radiografia dell’homelessness all’italiana non solo più aggiornata (la crisi “produce” esclusi...) e ricca di informazioni, ma anche in grado di orientare delicate scelte politiche, economiche e organizzative. Il conoscere, in-

fatti, anche nel campo della grave marginalità adulta, sarebbe fine a se stesso, se non ispirasse un più giusto e incisivo deliberare. Dati alla mano, il ministero potrà allocare in modo avveduto i tutt’altro che esigui fondi europei destinati al comparto (centinaia di milioni di euro, nel settennato 2014-2020) e scrivere “linee guida” pertinenti ed efficaci. E le organizzazioni promotrici dei servizi di accoglienza e assistenza potranno riorientarli (l’Italia ha un gran bisogno di innovazione, anche in questo settore) sulla base dei bisogni emergenti ed effettivi. Insomma, che conteggio sia. Perché senza censimento, si rimane anche senza dimora. dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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SENZA DIMORA

Nessuno escluso, l’accoglienza sfida il freddo di Generoso Simeone

Con l’arrivo dell’inverno e l’abbassarsi delle temperature si ripropone il problema di come garantire assistenza a chi dorme per strada. Piccolo vademecum di come alcune città si stanno attrezzando per affrontare il problema 32 Scarp de’ tenis dicembre 2014 - gennaio 2015

Anni fa un vecchio clochard, che viveva con le suppellettili di una vita sul marciapiede di un vicolo dietro via Torino, in pieno centro a Milano, raccontava di dispensare consigli ai “colleghi” su come affrontare in strada le notti d’inverno. Diceva che non bisognava mettersi troppi maglioni o giubbotti perché rischiavano di “bloccare la circolazione”. Meglio, secondo lui, stare sotto tante coperte. Il Comune di Milano, lo scorso 25 ottobre, ha comunicato di aver raccolto oltre 15 mila pezzi, tra coperte e indumenti, grazie ai cittadini che li hanno donati rispondendo all’appello dell’assessorato alle Politiche sociali. Se stesse ancora su quel marciapiede, con tutte le sue scatole, le borse e il piccolo fornelletto con cui cucinava cibo in scatola, il nostro vecchio clochard probabilmente avrebbe approvato la raccolta promossa dal Comune. Ma chissà come avrebbe com-


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1,2 mln 1.500

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Euro stanziati per i senzatetto dal Comune di Milano

Posti letto a disposizione dei senzatetto a Torino

Posti letto a disposizione dei senzatetto a Milano

mentato le novità annunciate dall’amministrazione comunale milanese per l’inverno 2014-2015. Oppure cosa avrebbe detto se avesse saputo quanto stavano per organizzare le altre città di Scarp per l’imminente arrivo delle temperature più rigide. Ma andiamo con ordine. Nel capoluogo lombardo, stando a quanto promesso dal Comune, stanno per arrivare dei camper notturni per assistere i senzatetto – che agiranno anche in funzione anti-degrado – e una card che permetterà ai senza dimora di accedere ai servizi sociosanitari.

L’obiettivo delle accoglienze invernali è quello di evitare, come successo negli anni scorsi, nuove morti per assideramento di senza dimora

Stefano Merlini

La prima novità l’hanno chiamata “Unità mobili serali per il monitoraggio del territorio cittadino”. Secon-

Finora a Milano si è lavorato sulla prima emergenza, raddoppiando i posti letto per i senzatetto nei centri di accoglienza. Ora le unità mobili svolgono attività più complesse: aiutare chi ha bisogno, ma anche diventare un occhio attento ai bisogni della città

do quanto riportato dalla stampa locale si tratta di “squadre di operatori con un compito a metà strada fra i servizi sociali e la sicurezza che girano la città, coordinandosi con la polizia locale per segnalare problemi di degrado e prevenire situazioni di pericolo”. Per trovare associazioni ed enti del privato sociale disposti a realizzare il progetto il Comune ha emanato un avviso pubblico. Ai giornali della piazza milanese l’assessore comunale alle Politiche sociali ha spiegato così il provvedimento: «Negli anni scorsi abbiamo lavorato sulla prima emergenza: per aumentare, fino a raddoppiare, i posti letto per i senzatetto nei centri di accoglienza. Ma adesso lavoriamo per tarare i compiti delle unità mobili su un’attività più complessa: devono aiutare chi ha bisogno, ma anche intervenire in funzione anti-degrado, diventando un altro occhio attento sulla città». L’altra novità è la tessera nominativa con foto che sarà rilasciata all’ingresso dei dormitori. Servirà per accedere a mense, docce e guardaroba, oltre che alle strutture sanitarie. Non sarà tuttavia obbligatorio avere la card per usufruire dei servizi e ricevere assistenza. Accanto a queste due novità il Comune ha confermato di voler arrivare ai 2.700 posti let-

to dello scorso anno e, intanto, ha comunicato di aver avviato il Piano per i senzatetto lo scorso 15 novembre stanziando 1,2 milioni di euro e mettendo da subito a disposizione 1.500 posti. Iniziative in tutta Italia

Anche a Torino il Comune ha predisposto il Piano invernale per i senza dimora. Qui la cifra impegnata è di 688 mila euro. Serviranno per allestire un dormitorio da 120 posti estendibili a 170, rafforzare la capacità di accoglienza in strutture già esistenti, intervenire in strada e potenziare i centri diurni e le mense. Come l’anno scorso, inoltre, saranno sostenuti progetti specifici per l’accoglienza temporanea di nuclei famigliari in situazione di grave disagio abitativo e verranno sviluppate iniziative di inserimento lavorativo per i senzatetto.

fondazione Auxilium e dalla cooperativa Il Melograno una struttura di convalescenza protetta rivolta a persone dimesse dall’ospedale e che non hanno una casa.

A Firenze la Caritas diocesana apre i dormitori ai primi di dicembre. Due le strutture dedicate a ospitare i senzatetto. L’accoglienza maschile è alla foresteria Pertini, dove sono disponibili 140 posti, mentre le donne troveranno 20 posti letto al dormitorio di via Gioberti. Novità di quest’anno è l’apertura di una struttura a Scandicci con ulteriori 18 posti per soli uomini.

A Verona l’accoglienza invernale va dal 1 dicembre al 31 marzo. Quest’anno saranno aggiunti 80 posti letto agli usuali 110, con l’ulteriore novità che i posti aggiuntivi sono distribuiti in più realtà, anche piccole.

A Genova il Comune lavora a stretto contatto con quattro realtà (Fondazione

A Napoli il direttore della Caritas diocesana, don Enzo Cozzolino, ha lanciato un appello a cittadini, parroci, co-

Auxilium, associazione San Marcellino, cooperativa Il Melograno, associazione Massoero 2000) con cui ha allestito un centinaio di posti letto in tre strutture. Inoltre, grazie alla collaborazione della Caritas diocesana, saranno messi a disposizione altri 30 posti. Accanto ai ricoveri notturni, gireranno per il capoluogo ligure anche i Gruppi di strada. All’ospedale San Martino, inoltre, è allestita dalla

munità e associazioni a donare coperte, piumoni, plaid, trapunte, sacchi a pelo “per i nostri fratelli senzatetto e poter così fronteggiare per tempo ed efficacemente l’emergenza freddo”. Le coperte possono essere consegnate presso il punto di raccolta al Centro La Tenda (via Sanità 95/96) oppure si può richiedere il ritiro a domicilio chiamando gli uffici Caritas allo 081.5574264.

Infine, a Mestre, hanno lanciato l’operazione “Sos Coperte”. Anche qui l’invito a tutti è donare coperte da consegnare alle persone senza dimora. I punti di raccolta sono Villa Querini (via Verdi 36), la Croce Rossa (via Napoli 3) e la Casa del volontariato (via Brenta Vecchia 41). Attivi anche due centri a Marghera: il centro sociale Rivolta (via Fratelli Bandiera) e la parrocchia Santa Resurrezione (via Palladio). Coperte che, tanto in laguna quanto a Napoli, così come in tutte le città d’Italia, serviranno per tenere al caldo, senza “bloccare la circolazione”, come insegnava il nostro clochard milanese. dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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Vent’anni di amicizia

LA STORIA

Dylan Dog di Stefano Lampertico

scheda Davide Barzi, scrittore, saggista e sceneggiatore. Ha vinto numerosi premi, curato collane di fumetti ed esposizioni legate al fumetto, tra le quali la mostra “La mia gente Enzo Jannacci canzoni a colori”, organizzata dal nostro giornale. Collabora da tempo con la Sergio Bonelli Editore per cui scrive storie per Nathan Never e Dylan Dog. Sergio Gerasi collabora con la Sergio Bonelli Editore dal 2011: attualmente è impegnato su Dylan Dog. Per la Bonelli ha realizzato tra l’altro anche un episodio de Le Storie.

Un’amicizia lunga quasi vent’anni, quella tra Dylan Dog e Scarp de’ tenis. Marzo 1996. Scarp si appresta a distribuire il suo secondo numero e Dylan è in copertina, con il popolo degli emarginati, nella splendida illustrazione realizzata da Corrado Roi con l’indagatore dell’incubo a guidare un “quarto stato” tutto particolare. E ancora per il numero 100 con la cover di Fabio Celoni e per il numero speciale 150 con quella di Giovanni Freghieri. Il personaggio creato da Tiziano Sclavi insomma ha sempre segnato le tappe significative del nostro giornale e accompagnato i nostri cambiamenti, con una sensibilità particolare. Per questo numero che apre la nuova stagione di Scarp de’ tenis, gli amici di Sergio Bonelli Editore (che ringraziamo di cuore) ci hanno fatto uno splendido regalo. Una storia, non una tavola. Una storia concentrata in quattro pagine dal ritmo serrato. Una storia “a mezzetinte” disegnata da Sergio Gerasi e scritta da Davide Barzi (nella foto), ambientata a Milano, nel Rifugio Caritas, la struttura di accoglienza gestita da Caritas Ambrosiana e che ospita ogni notte più di 60 senzatetto e persone con disagio. Rifugio che Caritas ha inaugurato nel 2011 e che si appresta ad ampliare con nuovi servizi nei primi mesi del prossimo anno, perchè l’incubo della povertà, in questa città, è più che mai presente. E allora l’indagatore dell’incubo, l’eroe dei fumetti, non poteva che passare da qui. Con Scarp de’ tenis, insieme al popolo della strada, ritrova nella storia di Barzi e Gerasi un suo vecchio e caro amico in una veste davvero speciale. Ma non vogliamo togliervi la sorpresa. Buona lettura!

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aforismi

POESIE

di Emanuele Merafina

La notte dei desideri Quando la notte si presenta i desideri non invecchiano mai e viaggiano molto lontano Il ladro incompreso Porta via tutto per favore, ma lascia le tue impronte

L’agrifoglio Ho avuto foglie verdi nell’Estate, ma foglie e bacche nessun le ha vedute; ora l’Estate allegra se n’è andata ma foglie e bacche io non ho perdute. L’Inverno è arrivato e soffia il vento, presto la neve e il gelo io sentirò; finalmente è arrivato il mio momento e allora il mio regalo vi farò. Le rondini, ormai, sono oltre il mare, ma il pettirosso resta qui con me, i passeri continuano a saltarmi intorno perché dell’Inverno io sono il Re! Mary

Sogni ad occhi aperti Sogno una casa più tranquilla e più stimolante, con una lavatrice di media grandezza (che qui mi manca), sogno di essere atterrata a Berlino, città moderna, vivibile, con germogli culturali. Sogno un mondo in cui esista giustizia sociale e in cui ognuno possa sentirsi libero. Sogno di tornare giovane e di avere davanti a me una lunga vita d’arte, di sport e d’amore. Sogno un’oasi tranquilla in cui scrivere, leggere, riflettere, disegnare. E vivere in modo semplice e sano. Silvia Giavarotti

Hai voluto

Non mi fermerò Non lascerò che questa luce pomeridiana, persistente ed intensa, diventi scivolo nella malinconia, né che i vocii primaverili scavino vuoti. Detergerò il dolore nelle acque antiche. Disperderò i ricordi nei prati. Camminerò su sabbia vergine. Mi vestirò di foglie nuove ed il mio cuore respirerà. Più su dell’egoismo e dell’incomprensione, più su della paura, più su della fragilità. Gaetano “Toni” Grieco

Tu che non vedi Ancora tu sole nell’ombra… Rincorri pensieri sbiaditi in quest’ora insolente di calura. Spedito e incerto il tuo passo leggero penetra gomitoli di strade, percorre vie tortuose dove anch’io mi smarrisco. Logico esigerti piccolo pensiero inaspettata urgenza dell’afa e i sentimenti… Un incontro sul tram n. 7 anime sole in viaggio si trovano, si perdono… timidi istanti teneri. Stupida, non conosco il tuo nome né tu il mio! Aida Odoardi

Hai voluto che ti cercassi, e ti ho cercata. Hai voluto che mi innamorassi, te lo giuro sono innamorato. Hai voluto il cielo dipinto di mare e il mare dipinto di sole, te li ho dipinti. Adesso perché mi tratti come uno qualunque che non merita nemmeno lo sguardo di un addio? Fabio Schioppa dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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LA STORIA

La missione di Francesco Lotoro è quella di fare memoria della musica clandestina, scritta nei campi di sterminio

L’uomo che libera la musica dai lager di Daniela Palumbo

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Francesco Lotoro, sconosciuto ai più, nasce a Barletta, sconosciuta a molti. Territorio pugliese, rossa la terra e azzurro il mare, città di provincia che forse ha penalizzato Francesco più di quanto lui non dica. Ma è lì che Francesco inizia a sentire che la sua vita nasce e finisce dentro la musica. Dopo la maturità si iscrive al conservatorio di Monopoli. Ma non è soddisfatto. Dopo aver superato un esame di ammissione difficile si trasferisce a Budapest


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Qui sopra il compositore ceco Rudolf Karel, trasferito nella prigione di Pankrac (Praga) e poi alla Kleine Festung di Theresienstadt. A lato l’inizio 1o° movimento del Nonet (scritto da Karel nel Pankrac di Praga)

e qui studia quindici ore al giorno, tutti i giorni. È a Budapest che, dopo aver divorato Bach e Bartòk, si avvicina alla musica dei prigionieri del campo ceco di Terezìn: Viktor Ullmann e Gideon Klein. Comincia a innamorarsi di quelle note che nascono in cattività e non gli danno pace nelle poche ore di sonno. Nel 1990 comincia l’avventura che lo porterà a svegliarsi una mattina consapevole di avere una missione nella vita. La sua storia è raccontata egregiamente dal giornalista francese Thomas Saintourens nel libro Il maestro (traduzione dell’editore Piemme dai francesi Stock). Fra un concorso regionale per diventare insegnante di musica e un concerto, Francesco compra il Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti. Nell’enciclopedia ritrova i musicisti che scrivevano nei campi: Auschwitz e Terezìn sono quelli che ricorrono di più. Terezìn in particolare, la città ghetto vicino Praga: è lì che nel 1990 Francesco Lotoro vola. A Praga c’è Blanka Cervinkova, direttrice del dipartimento di musica della

biblioteca municipale, è lei che apre a Francesco tante porte dentro le quali scopre l’affascinante mondo della musica clandestina scritta dai prigionieri: comporre musica come atto di resistenza ultima, come disobbedienza alle leggi dei campi che annullano l’essere umano e la sua identità.

Uomini e donne che scrivevano su carta igienica, carta da formaggio, quaderni di scuola rimodulati in quaderni di musica, sacchi di iuta rivoltati, giornali, carta gommata. Scrivevano di notte, nascosti nelle latrine o sotto le coperte al buio, in un angolo dell’infermeria o nelle stanze degli esperimenti umani dove neppure le SS osavano aggirarsi la notte. Torna a Barletta ma solo per racimolare altri soldi e ripartire. In testa gli è rimasta la storia di Gideon Klein, fucilato a venticinque anni in un campo satellite di Auschwitz. Il giovane musicista ebreo era stato a Terezìn e aveva composto una quantità enorme di musica, alcune incompiute: sonate per pianoforte, terzetti per strumenti a corda, fughe e ninne nanne.

scheda

Francesco Lotoro nasce a Barletta nel 1964. Pianista, si è diplomato in pianoforte al conservatorio di Bari e si è perfezionato all’Accademia “F. Liszt” di Budapest. È autore dell’Enciclopedia discografica contenente 407 opere scritte nei Lager delle quali è interprete del repertorio pianistico e direttore d’orchestra con la sua Orchestra Musica Concentrationaria; ha pubblicato il 1° volume del Thesaurus Musicae Concentrationariae. Unico pianista ad aver eseguito la Sinfonia n.8 op.99 di Erwin Schulhoff per pianoforte (Wülzburg) e le partitura pianistiche originali del Don Quixote tanzt Fandango di Viktor Ullmann (Theresienstadt) e del Nonet di Rudolf Karel (Praha–Pankrác), ha scritto l’opera Misha e i Lupi, la Suite ebraica Golà e il Requiem Barletta 12.IX.1943 per soli, pianoforte e orchestra. È docente di pianoforte al conservatorio di Foggia.

Oltre 4 mila opere recuperate Quando Francesco torna a Praga conosce la sorella di Gideon Klein: Eliska, anche lei detenuta a Terezìn. Eliska sa che il musicista italiano è a Praga per cercare e conservare la musica nata nei campi di concentramento. Allora gli affida un’intera scatola di spartiti composti dal fratello in prigionia. Gli tende una pergamena ingiallita e con le dita batte il tempo canticchiando per far capire a Francesco Lotoro come bisogna interpretare la musica di Gideon. Eliska lo sa perché è pianista anche lei. Sulla pergamena è scritta una data: 23 ottobre 1943. Terezìn. In quel momento Lotoro capisce che non tornerà mai più indietro.

Oggi ha 50 anni e in 24 anni di ricerche ha recuperato circa 4 mila opere e oltre 13 mila documenti che fanno riferimento a musiche scritte nei campi di concentramento d’Europa, Africa settentrionale e coloniale, Asia, Oceania, Usa e Canada, nel periodo compreso fra il 1933 e il 1945. La musica catalogata e interpretata da Francesco Lotoro e dalla sua Orchestra Musica Concentrationaria proviene da prigionieri di tutte le nazionalità e di tutte le confessioni religiose. È autore dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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LA STORIA dell’Enciclopedia discografica in 24 CD, edita da Musikstrasse, che contiene 407 opere scritte nei Lager. Fino a oggi ha salvato dall’oblio oltre 13 mila documenti. Ha dato memoria di oltre 1.600 musicisti, ha recensito 624 campi di internamento, transito, concentramento, sterminio. Conserva 50 ore di registrazioni con i sopravvissuti dei campi. E non intende fermarsi. La missione non è finita Da circa due anni il pianista pugliese è passato a comporre un’altra opera colossale. Ha pubblicato il primo dei dodici volumi del Thesaurus Musicae Concentrationariae con l’editrice Rotas, di Barletta. Che cosa sia ce lo racconta lo stesso Francesco Lotoro. «Era arrivato il momento di dare a tutta questa produzione musicale il carattere di letteratura che gli spetta. Così ho iniziato la stesura dei dodici volumi del Thesaurus Musicae Concentrationariae che contiene, fra l’altro, tutti i profili biografici dei musicisti ritrovati, le loro storie dentro e fuori il campo. Ogni volume è in 4 lingue: tedesco, italiano, francese e inglese. Spero di finirla entro il 2018 e, comunque, prima della fine della mia vita terrena». Il progetto titanico di Lotoro è solitario. A parte pochi amici fedeli, si è imbarcato in questa impresa sempre a spese sue. E continua a farlo. «Quando ho cominciato spiega - non avevo calcolato che impresa economica fosse. Nel giro di pochi anni sono andato in default. Ho venduto la casa e accumulato debiti. Ho chiesto di finanziare il progetto in Italia e all’estero, a enti, istituzioni, fondazioni e banche. Sono arrivati solo piccoli contributi dalla Regione Puglia. Il resto lo metto di tasca mia, alcuni parenti dei sopravvissuti fanno piccole donazioni,

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Eric Ziegler dirige l’orchestra al pianoforte al Durchgangslager di Westerbork. A fianco il frontespizio e lo spartito della sonata per violino e pianoforte scritta da Herman Gartler a Bolzano-Gries

IN RICERCA

La ricerca continua ma è sempre più complicata Francesco Lotoro sta cercando. Come sempre. Al momento è alla ricerca di un musicista italiano di cui gli ha parlato un informatore del Piemonte che da giovane gli aveva raccontato di aver composto le sue musiche dentro un campo di concentramento. Per Francesco inizia la ricerca. Ma stavolta è più complicata perché “l’informatore” non ha altri ricordi. «Ho iniziato a spulciare i giornali dell’epoca, a ricostruire i concerti grazie agli archivi delle biblioteche del Piemonte. Riuscirò a scoprire il nome e a quel punto chiederò aiuto ai familiari. Ormai non ci sono più i sopravvissuti. Negli anni passati parlavo con loro, il rapporto umano era fondamentale, con tanti siamo diventati amici. Erano persone straordinarie nella maggioranza dei casi. Oggi i parenti a volte sono diffidenti, non si fidano e poi non hanno voglia di ricordare quegli anni bui. Faccio più fatica. Ma proprio per questo bisogna fare in fretta. I ricordi svaniscono». Fra i tanti incontri con i sopravvissuti musicisti uno gli è rimasto, forse più degli altri, nel cuore. «Paul Aron Sandfort (foto). Era trombettista nell’orchestra di Terezin. Aveva 14 anni. Fu chiamato a

suonare nell’orchestra dai nazisti perché il musicista che era al suo posto aveva steccato e per punizione lo avevano mandato ad Auschwitz. Immaginate la paura di Paul quando suonava. Sandfort era danese. Il governo danese tutelò i propri concittadini ebrei. Accettarono che fossero deportati nei campi di concentramento ma a patto che non ci fosse rischio di vita per loro. Diversi anni fa andai a Copenaghen per incontrare Paul. Era un personaggio eccezionale. Paul aveva una malattia deformante e le sue mani non potevano più scrivere. Prima di andare via mi disse: «Ti voglio rivedere Francesco. Devo raccontarti una storia del campo che non ho mai detto a nessuno, non posso scrivertela, ci dobbiamo rivedere». Lo invitai l’anno dopo a Barletta. Venne in estate. Lo vidi arrivare con una carrozzina, era peggiorato molto, e sull’aereo gli era venuta la febbre. Se ne andò due giorni dopo l’arrivo. Ma stava così male che non osai chiedergli della storia che voleva raccontarmi. Se ne andò con il suo segreto, morì quell’anno a dicembre. L’ho perso e mi sono sempre rammaricato di non avergli chiesto cosa aveva urgenza di raccontarmi».


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SCHEDA

Un istituto per salvare la musica “perduta”

Viktor Ullmann, uno dei più grandi compositori del '900 (deportato a Theresienstadt, morto a Birkenau). Qui sopra l’autografo del finale 3o° movimento e abbozzo 4o° movimento della Sonata n.7 scritta a Theresienstadt

nient’altro. Oggi i miei debiti si sono risolti e ho ottimizzato il lavoro ma è una ricerca dove l’incontro personale è tutto. Senza contare il materiale che occorre, le registrazioni, l’orchestra, e tutto il resto. Ho appena inaugurato, a Trani, la Fondazione Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria, è un istituto di ricerca, studio, catalogazione, registrazione e pubblicazione della produzione musicale concentrazionaria (www.ilmc.it). Lì resterà il mio lavoro e dal prossimo anno tutti potranno accedere alle musiche che erano seppellite nei lager. Un giorno si potrà suonare questa musica come se fossero note di Mozart o Beethoven. Non vedrò i frutti di questo lavoro, ma so che andava fatto». È come mappare il dna del genoma. «Io ho completato alcune opere – spiega Lotoro –, ma non con la fantasia. Loro, i musicisti, facevano di tutto per farsi capire: ci sono dei codici nelle partiture che arrivi a capire, sono le spie in gergo musicale, un cifrario che aggiungevano sperando che qual-

cuno capisse e decodificasse». Francesco non nasce ebreo. Lo è diventato. Dal 2004. Il senso del suo lavoro lo ha trovato nell’ebraismo. «Forse dal punto di vista religioso c’è una parola che spiega tutto. Mitzvah, precetto in ebraico. I rabbini dicono: fai il precetto an-

La Favola di Natale di Giovannino Guareschi e musiche di Arturo Coppola, riscoperti da Lotoro

che se non avrai sempre lo stesso entusiasmo nel farlo, ma se quello è il compito della tua vita lo devi compiere e basta». Infatti, il rabbino napoletano Scialom Bahbout quando accetta la conversione di Francesco gli sussurra: «Tu hai un dovere

da compiere. Riportare alla vita le ossa secche». E non solo la musica delle ossa secche ebraiche. Anche se il 65% della musica ritrovata viene da musicisti ebrei. Ma Lotoro non tralascia nessuno. Non ha nazionalità la resistenza e la libertà consegnata a un pezzo di carta. «Da sempre l’ebreo esercita il muscolo della memoria. L’ebraismo è fondato sul concetto stesso di memoria. Basti pensare che nella Torah ci sono 613 precetti, 248 vengono introdotti con la parola Zakhor che significa Ricorda. La giornata inizia con l’esercizio del ricordo. Gli altri 365 vengono introdotti con la parola Shamor che significa custodisci. Per l’ebraismo la memoria è sacra in tutti i popoli, non solo per il popolo ebraico».

È un Istituto di ricerca, studio, catalogazione, registrazione e pubblicazione della produzione musicale concentrazionaria. Per “musica concentrazionaria” si intende il corpus musicale (sinfonico, teatrale, oratoriale, cameristico dal duo al nonetto, strumentale solistico, vocale e corale; cabaret, jazz, canto religioso, popolare e tradizionale, parodia, opere frammentate e incomplete, musica obbligata, opere ricostruite dopo la Guerra) creato nei campi di prigionia, transito, lavori forzati, concentramento, sterminio, penitenziari militari dal 1933 (apertura del KZ Dachau) al 1945 da musicisti di qualsiasi estrazione professionale e artistica nonché provenienti da qualsiasi contesto nazionale, sociale e religioso che abbiano subìto discriminazioni, persecuzioni, ingiusta detenzione e che siano stati deportati, uccisi o che siano sopravvissuti. Concentrazionaria è la musica creata in cattività o in condizioni di privazione dei diritti dell’uomo e la produzione musicale di ogni Campo è spia dello status sociale dei deportati, delle loro capacità creative nonché della possibilità di utilizzare strumenti musicali, scrivere, concertare ed eseguire opere proprie e altrui. www.ilmc.it

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RIMINI ficoltà, avevo paura di non affrontare correttamente l’emergenza casa a tutti i livelli, investendo così tante risorse sui senza dimora. La svolta è arrivata a Dublino, ad un incontro sulla realizzazione di questo progetto in alcune città europee, tra le quali Lisbona, anch’esse a vocazione turistica».

Housing first. Ridare dignità a chi è senza casa di Angela De Rubeis

info

Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII www.apg23.org Via Valverde 10/D, 47923 Rimini Segreteria 0541 909600 info@apg23.org Eucrante www.eucrante.it 329.2381631 info@eucrante.it Fratelli è possibile www.fratellipossibile.it Settore edilizia 347 4783579 Madonna della Carità C/o Caritas Diocesana Rimini associazione@caritas.rimini.it Donarsi onlus C/o Ass. Papa Giovanni XXIII 348 2545710 Arciso.Peretto@apg23.org

Dare una casa a chi vive in strada in condizioni di forte disagio psico-sociale per dare alla persona, insieme a un tetto, anche una responsabilità e una possibilità di riscatto. Si chiama Housing First (casa prima di tutto) il progetto finanziato dal comune di Rimini, che ribalta il tradizionale concetto di assistenza ai senza dimora inseriti in dormitori temporanei, puntando sul “welfare della capacità”, che valorizza l’individuo facendone un soggetto attivo. Un passaggio rivoluzionario «Responsabilizzare una persona che abita in strada da tanto tempo e in situazioni psichiche precarie, dandole le chiavi di un alloggio significa ridarle dignità, reinserendola nel tessuto sociale da cui è esclusa. E spesso neanche vista»,

L’iniziativa del Comune di Rimini che ribalta il tradizionale concetto di assistenza a chi vive nei dormitori

spiega il vicesindaco riminese Gloria Lisi, la prima a credere in questo esperimento. Gli homeless abituali sul territorio sono circa 200 (in crescita). L’investi-

mento per tre anni del comune di Rimini (tra i primi in Italia a realizzare il progetto) è di oltre 200 mila euro (22.500 euro per il 2014 e 90 mila euro all’anno per il 2015 e il 2016). Porterà all’inserimento graduale, dai primi mesi del 2015, di dieci persone sole, senza dimora, presenti da diverso tempo nel Riminese, in altrettanti alloggi sparsi per la città, onde evitare “ghetti”. I beneficiari saranno responsabilizzati, dovendo compartecipare alle spese (dalle utenze a parte dell’affitto, a seconda dei singoli casi e delle possibilità) ma, soprattutto, saranno affiancati da una équipe di supporto sociale e psicologico. Dubbi e benefici «In principio ero perplessa - ammette Gloria Lisi -: in un periodo in cui molte famiglie sono in dif-

Una “rete” protettiva Un altro punto di forza è la stretta collaborazione tra l’ente pubblico e il terzo settore. Il progetto è

stato affidato, tramite bando, alla Comunità Papa Giovanni XXIII che da sempre opera a sostegno dei senzatetto. Al suo fianco, quattro realtà con esperienza nella povertà estrema: il reperimento e la gestione di parte dei dieci alloggi avverrà ad opera della coop “Eucrante”; “Fratelli è possibile” si occuperà della manutenzione ed eventuale riqualificazione degli alloggi; l’associazione “Madonna della Carità” fornirà, al bisogno, beni di prima necessità e aiuti agli utenti una volta inseriti negli alloggi e “Donarsi onlus” schiererà i volontari. «Stiamo facendo una ricognizione dei possibili destinatari, sia uomini che donne, dai 18 agli 80 anni - spiega il coordinatore Carlo Fabbri -. Stiamo poi cercando gli alloggi sul mercato privato e studiando le possibili soluzioni contrattuali. Disponendo di un finanziamento comunale, possiamo pagare in anticipo ai proprietari già tutto il primo anno. Inoltre verrà predisposto un fondo di garanzia a tutela di eventuali casi di morosità».

Un immobile è già stato individuato da tempo: è un bene confiscato alla mafia, a Marina Centro. Per gli altri nove i contatti proseguono. L’interessamento concreto di Rimini al progetto (in mancanza di un supporto nazionale) ha convinto la Regione che sta promuovendo l’Housing First anche nelle altre province. In Emilia Romagna, solo Bologna (pur partita dopo Rimini) registra le prime assegnazioni. Per passare dalle parole ai fatti. dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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LA STORIA

Mago Pimpa, con il naso rosso sotto le bombe di Stefania Culurgioni

Marco Rodari è appena tornato da Gaza dove è rimasto durante Protective Edge, sotto le bombe insieme ai bambini. «In quei momenti non si pensa a cosa sta succedendo, sennò si muore di crepacuore» 42 Scarp de’ tenis dicembre 2014 - gennaio 2015

L’aeroplano arriva nel cielo, scende in picchiata, un attimo di silenzio, poi sgancia le sue bombe. Sembra il gioco di un bambino, non è il gioco di un bambino. È vero, è la guerra, siamo a Gaza. Qualche minuto dopo spunta un clown, viene da pensare a un film dell’orrore, ma lui fa ridere per davvero, l’orrore è quello degli altri, dei cattivi che buttano missili. Intorno gli stanno i bambini della Striscia, lui tira fuori una bottiglia di plastica da sotto l’ascella, infila dentro due dita, estrae un serpentello: «E che cavolo – dice in arabo – volevo dormire e questi mi disturbano sempre». Loro ridono. Si ride lo stesso, si ride più forte, quando la morte ti viene ad annusare e decide che per il momento non gli piaci. È una storia vera, che ha dell’assurdo. Dietro quel naso

rosso e lucido c’è un italiano di 38 anni, Marco Rodari, diresti che è completamente pazzo, ha scelto di fare ironia dove c’è la tragedia, ma la verità è che il sorriso dei bambini vale la pena sempre, anche quando rischi la vita. In fondo la rischiano pure loro, eppure se gliela fai bene, quella piccola mossa col viso, quello


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Nelle foto Marco Rodari, in arte il Mago Pimpa, con i bambini di Gaza. Marco è rimasto in Palestina per tutto Protective Edge strappando sorrisi negli ospedali, a scuola e tra le macerie

I SITI www.Ilpimpa.it http://bbc.in/1k4rmlK http://goo.gl/dQRHJ2

scherzo di clown pasticcione, il loro sorriso rispunta come un’alba nel cielo. Che ci siano dentro le fiamme o le lacrime, un bambino rinnova sempre la sua gioia, ce l’ha lì, dietro gli occhi, e nutre tutto quello che gli sta intorno. Una laurea nel cassetto Marco Rodari è tornato da Gaza da poche settimane. In arte si fa chiamare Mago Pimpa, ma non c’entra niente con il fumetto di Altan. È che suo nonno faceva il musicista e si chiamava Agostino, soprannominato “Il Pin”. Suo padre cominciarono a chiamarlo “Il Pin Pin”.

Ricordo una bambina con 50 punti nella pancia. Aveva perso la mamma e due fratelli nel crollo della loro casa, Quando lui nacque, giocarono a chiamarlo “Pimpa” e aveva smesso così è rimasto: un battesimo di parlare. Le ho giocoso, che lo ha trasformato in fatto una magia, un mago del coraggio. E così è veha fatto un sorriso. nuta fuori la sua strana vocazione: da Leggiuno, in provincia di VareLe mamme se, Marco ha frequentato l’Univermi mettevano sità a Milano e si è laureato in storia. Gli piaceva sapere gli eventi, gli davanti bambini che la vita diventasse in coma sperando sembrava molto più concreta. A parte quanche grazie a me do calciava il pallone, altro momento magico, e sognava di divenparlassero. tare un calciatore della Juve. E poi Ma io non so fare la magia: all’oratorio, dove faceva i miracoli l’educatore, ha conosciuto il clown

Margherito che andava nelle corsie degli ospedali a far ridere i bambini, ed è rimasto colpito: come faceva a far sbocciare sorrisi dove c’era sofferenza? La curiosità è iniziata così, poi è diventata profonda, lo ha spinto lontano da casa, dove i sorrisi sono piantine nascoste. Sotto le bombe. A Gaza Marco Rodari è arrivato lo scorso agosto. Fino a qualche giorno prima stava a Gerusalemme, tra le corsie dell’ospedale St. Joseph. «Non era facile nemmeno lì – ricorda – arrivavano bambini e ragazzini feriti, venivano trasportati fuori dalla Striscia per ricevere

numeri Protective Edge

50 giorni di guerra

2.139 i palestinesi uccisi

490 i bambini uccisi

64 i soldati israeliani uccisi

cure mediche. Alla prima tregua, il 6 agosto, sono riuscito a passare il confine e sono andato direttamente a Gaza, diretto alla Parrocchia Sacra Famiglia. Da lì non sono più uscito: il conflitto era violento, sono rimasto con i bambini».

I bombardamenti avvenivano ogni ora. Spesso Pimpa era per strada a fare lo spettacolo, in lontananza sentivi arrivare l’aereo. Poi l’aereo scendeva, c’era un attimo di silenzio,

quei cosiddetti secondi in cui ti passa davanti la vita, poi l’esplosione. Dura un secondo, fa male alle orecchie, anestetizza il cuore: ti tocchi le guance, dici “Ok sono ancora vivo”, ti giri da un lato, un altro è morto. Cinque secondi, ecco quanto durano queste quattro righe nella realtà. «Mentre cadevano le bombe io continuavo a fare le magie – racconta Pimpa – o dentro la parrocchia con i bambini disabili, oppure, quando la guerra ci prendeva di sorpresa, per strada tra le macerie. Ci fermavamo tutti un secondo, un attimo dopo andavamo avanti. La guerra fa anche questo: non ti dà tempo per ragionare. E tutto diventa molto leggero, non si pensa a cosa realmente sta succedendo, dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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SCHEDA Il Mago Pimpa e i “suoi” bambini. «Il sorriso può scomparire, ma non lo si perde mai, non si dimentica»

sennò si muore di crepacuore, non di bombe». Certamente, quando gli attacchi erano più insistenti, tutti finivano per rifugiarsi nei bunker o dentro casa, pregando che non toccasse a loro, Marco compreso, i bambini di Gaza pure. Poi però torna il silenzio. C’è una nuova magia. «Il punto è che

se mi interrompevo, i bambini si arrabbiavano – ricorda Marco – a volte era assurdo. Io fa-

cevo il mio spettacolo, era il momento della sorpresa che doveva far scoppiare tutti a ridere, dicevo Tadaaaaan, e bum, scoppiava improvvisamente una bomba. Andavo a tempo! Ci piegavamo in due dal ridere». Ma il resto sono giochi semplici. La morte sfalda l’innocenza ma non distrugge lo stupore. Se sparisce un sassolino dentro una mano, ci sono occhi che si strabiliano. Se il Pimpa inciampa

LE STORIE

Da Miloud al Mago Sales: le storie di chi fabbrica sorrisi Dice di essere un prete per vocazione ed un mago per passione. Don Silvio Mantelli è nato giusto un anno prima della fine della seconda guerra mondiale, nel 1944, ma in arte si fa chiamare Mago Sales. Ha viaggiato in più di 25 Paesi dell’Africa, delle Americhe e dell’Asia facendo circa 250 spettacoli all’anno, sempre come volontario. È stato maestro di Arturo Brachetti e di altri artisti del teatro d’animazione e Marco Rodari, il Mago Pimpa, si è ispirato al suo esempio per diventare clown di guerra. «In fondo la vita per me è stata ed è una stupenda avventura, vissuta tra sorprese e magie, a volte un po’ dolorose, ma sempre affascinanti – ha detto di sé il Mago Sales - confesso di aver usato più l’incoscienza che la sana preveggenza. Ho seguito più le vie del cuore che quelle della ragione. Sono stato insofferente di molte regole, a volte anche di quelle della vita religiosa, ma non ho mai rinunciato ad aiutare un piccolo della Terra, anche solo annullando, per un istante, la sua paura e il suo dolore sostituendolo con un sorriso per una magia donata». Ma tra i maghi famosi c’è anche Miloud: ha 42 anni, è nato ad Algeri da mamma francese e padre algerino ma presto si è trasferito a Parigi. Nella periferia della città ha conosciuto la vita dei ragazzi di strada, a 17 anni ha avuto grande successo come fotomodello ma il suo sogno era quello di fare il clown. Dopo essersi diplomato alla scuola di arti circensi ha deciso di trasferirsi in Romania. Da allora, a Bucarest, organizza spettacoli per le strade e per le piazze e ha creato una fondazione per aiutare i bambini poveri che vivono nei sotterranei della città.

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su una scarpa, ci sono risate che esplodono. È un sottile gioco di sguardi, di mosse, di comicità. «Ma poi andavo a trovare bambini sotto shock, che avevano smesso di mangiare, di dormire, che avevano perso i capelli dalla paura – dice Marco – ricordo in ospedale una bambina con 50 punti nella pancia per colpa di una scheggia. Aveva perso la mamma e due fratelli nel crollo della loro casa, aveva smesso di parlare. Sono andato da lei, le ho fatto una magia, ha fatto un piccolo sorriso. Da quel momento le mamme, disperate, hanno cominciato a chiamarmi. Mi mettevano davanti bambini in coma sperando che grazie a me parlassero. Ma era la loro disperazione, io non so fare i miracoli». La paura non è immediata Marco ha ricominciato a pensare solo quando è tornato a casa. «Quanto intorno ti cadono

le bombe, la paura non è il primo dei sentimenti. Si è troppo presi dagli eventi, troppo in tensione – ricorda – semmai lo shock arriva dopo, quando ricominci a pensare. Improvvisamente realizzi quello che hai rischiato. Di scomparire». E forse è così che vivono i bambini della guerra. In una costante oscillazione tra il senso di realtà e un incubo surreale che gli passa davanti agli occhi. Che li riguarda, ma da cui cercano di non farsi toccare, in quei muscoli del cuore zittiti dal panico e improvvisamente anestetizzati, confinati chissà in quale cantina remota dello spirito. E forse è questo il senso della magia: farli uscire allo scoperto, farli battere ancora, ma senza troppo dolore. Dentro un sorriso.

Storia di Marco, dalla provincia al mondo. Con un sogno

Gira il mondo armato di un naso rosso, una valigia di cartone e un ambizioso progetto: far sorridere i bambini nei paesi di guerra. Si chiama Marco Rodari, in arte Mago Pimpa, è originario di Leggiuno (Varese), ha 38 anni ed è appena tornato dalla Striscia di Gaza: doveva restare lì solo quindici giorni per fare l’animatore in un campo estivo, si è fermato fino alla fine di settembre. Ha cominciato dieci anni fa come animatore degli oratori, poi ha iniziato a viaggiare scegliendo sempre situazioni difficili: Iraq, Egitto, Giordania, Israele e poi Gaza, e adesso sta raccogliendo fondi per andare in Siria. Ha un progetto: insegnare agli adulti a diventare clown, in modo che continuino a far ridere i bambini anche quando lui non c’è. «Far ridere i bambini, anche quando c’è la guerra, è un grandissimo regalo – ha detto Marco Rodari –il sorriso a volte scompare, ma non lo si perde mai per sempre, non lo si dimentica. A volte basta solo una piccola magia».


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MILANO to deve avvenire tra le 17.30 e le 18.30 di ogni giorno. Vorremmo contare sull’apporto di mille-duemila volontari, che immagino giovani e dotati di scooter per muoversi agilmente in città».

La Ronda della carità prepara ogni sera più di duecento panini che distribuisce ai senza dimora che dormono in strada, a Milano

Il pane invenduto? Si recupera con lo smartphone di Generoso Simeone

scheda Quello della Ronda della carità non è l’unico sistema ideato per recuperare il pane invenduto. Sei ragazzi milanesi hanno creato Breading, una piattaforma che ha lo scopo di trasferire risorse alimentari dagli esercenti alle associazioni del terzo settore. «L’applicazione – spiegano gli ideatori – permette all’esercente di segnalare la quantità in avanzo a fine giornata; l’input viene quindi trasferito alla piattaforma che si occupa di smistare le segnalazioni ricevute inoltrandole per mezzo di alerts alle associazioni del terzo settore più vicine». L’idea di fondo di Breading è voler realizzare un ciclo vitale del prodotto a 360 gradi in un sistema che minimizza lo spreco alimentare.

Alla ricerca di uno sponsor per finanziare un’idea tanto semplice quanto originale. Che permetterà di recuperare il pane invenduto dai negozi e metterlo a disposizione dei senza dimora. È l’appello dell’associazione Ronda della carità, che ha inventato

un’applicazione per smartphone in grado di mettere in collegamento le panetterie e i volontari incaricati di raccogliere l’avanzo giornaliero. Il merito è di Gianluca, un volontario della Ronda della carità, che ci spiega il meccanismo: «Ci sono altre esperienze di questo tipo – dice –, la nostra è un po’ diversa perché si basa sul cosiddetto push. A fine giornata facciamo partire un sms ai responsabili dei punti vendita. Loro ci rispondono con un numero che indica il quantitativo dei ‘sacchi’ avanzati. Un sacco è l’unità di misura dei panettieri e corrisponde alla

metà di un sacco grande di carta. Contemporaneamente, inviamo un sms a ognuno dei nostri volontari chiedendo loro se sono disponibili a ritirare il pane. A questo punto è la App che, in automatico, incrocia i dati individuando il volontario disponibile più vicino alla panetteria. Il volontario riceve un sms con l’indirizzo del negozio, dove si reca per ricevere il pane e portarcelo in sede». Per realizzare l’applicazione ci vogliono 30 mila euro, necessari a creare il software e il database da far funzionare con il meccanismo della geo-localizzazione. «Ci basiamo sulla velocità – aggiunge Gianluca – perché il tut-

Duecento panini a sera Attualmente la Ronda della carità prepara ogni sera quasi 200 panini per i senza dimora che assiste a Milano. Molto spesso è costretta ad acquistare il pane. Mentre i negozi devono eliminare l’invenduto. «Sappiamo per certo – dice ancora Gianluca – che per le panetterie è un’onta gettare via il pane. Infatti molte sono organizzate per donarlo alle associazioni che assistono le persone in difficoltà oppure ai canili. Con la nostra App, però, non sono loro a cercare gli enti, ma siamo noi che interpelliamo i negozi. E loro ci re-

galano il pane solo quando lo hanno avanzato. In questo modo tutto diventa più semplice per tutti. Se dovesse funzionare potremmo allargarla ad altri tipi di esercizi commerciali, come ad esempio le rosticcerie». L’idea a Gianluca è venuta parlando con un amico che utilizza il sistema della geo-localizzazione per altri servizi. Ha pensato che potesse funzionare anche per mettere in contatto le panetterie e i volontari. Con questo pro-

getto la Ronda della carità ha partecipato anche a un concorso indetto dal mensile di tecnologia Wired e legato all’Expo 2015 di Milano. Per l’occasione, il progetto di applicazione è stato battezzato con il nome di Expolis. Il vincitore avrebbe visto finanziata la realizzazione dell’idea. La App per il recupero del pane purtroppo è arrivata quarta. Per questo adesso si cercano sponsor per trasformare in realtà una brillante intuizione.

L’idea di un giovane volontario della Ronda della carità di Milano: una App contro lo spreco alimentare 45


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INCHIESTA

Campania (in)felix Morire di crisi di Stefania Marino

Secondo il centro studi Ance di Salerno, in Campania nel periodo 2008-2014 sono fallite 1.272 aziende edili. Per un totale di oltre 8 mila posti di lavoro andati in fumo negli ultimi 22 mesi. Ma c’è chi non si arrende 46 Scarp de’ tenis dicembre 2014 - gennaio 2015

Ci sono tarli che ruotano nella testa fino a bucare la mente. È l’immagine più comune di chi guarda, vive e subisce una crisi economica che da anni, come una cappa, assilla e annienta famiglie e imprese. Un’emergenza che da nord a sud non è ferma ma corre e trascina via progetti di vita e legami familiari. Perché non tutti sono riusciti a reggere il peso della crisi economica. Basta scrivere “imprenditori suicidi” su un motore di ricerca e scoprire quanti lavoratori italiani, quanti cittadini, davanti alle difficoltà crescenti, alle solitudini sociali e politiche, hanno deciso di annullare la loro esistenza. Ci sono persone morte con quel tarlo nella testa. A Salerno, provincia compresa, solo nel 2013 sono state 6 le persone che si sono suicidate per motivi economici, che significa trovarsi con l’acqua alla gola per non saper più gestire un’impresa ma significa anche non riuscire a trovare un lavoro, una collocazione, un riconoscimento sociale, per poter dire «io faccio», «io sono». Molti


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1.272

8.000

Suicidi registrati per motivi economici a Salerno nel 2013

Aziende fallite in Campania nel periodo 2008-2014

Posti di lavoro andati in fumo negli ultimi 22 mesi

davanti ad un permanente diniego hanno deciso di non essere più. Su 47 suicidi del 2014, 6 sono riconducibili ad aspetti economici. Nel 2012 se ne registrano 12. E chissà quanti sono se si facesse il conto in tutte le province italiane.

In soli 6 mesi in Campania hanno chiuso 156 aziende, con tutto quello che ne consegue in termini di aggravamento delle tensioni sociali

Tante le aziende fallite Il settore edìle è tra i comparti più colpiti dalla crisi. Secondo il

Luca Traversa

centro studi Ance di Salerno, in Campania nel periodo 2008-2014 sono fallite 1.272 aziende edili. Il picco si

Nonostante il decreto “Sblocca Italia”, valvola aperta per pagare i debiti nei confronti delle imprese oggi si continua a chiudere per crediti non riscossi più che per debiti. I crediti sono quelli vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione

è avuto nel biennio 2010/2011 con un incremento dei fallimenti del 51,9%. Rispetto al 2013, l’incremento è del 34,5%, passando dai 116 fallimenti del primo semestre dello scorso anno ai 156 del primo semestre 2014. «Questi dati – spiega Antonio Lombardi, presidente di Ance Salerno – rappresentano un’ulteriore conferma dello stato di grave crisi nel quale versa il comparto delle costruzioni. Mentre si discute su incentivi e piani straordinari, la triste realtà della Campania ci dice che in soli 6 mesi 156 aziende hanno chiuso i battenti, con tutto quello che ne consegue in termini di occupazione e di aggravamento delle tensioni sociali». Sono 8 mila i posti di lavoro andati in fumo negli ultimi 22 mesi. Operai con i capelli bianchi costretti ad andare a casa con quel po’ di ossigeno della disoccupazione e non si sa quale altra strada da prendere; imprenditori in tribunale a dichiarare il fallimento dopo aver alzato palazzi per una vita e dopo averlo visto fare per decenni dai padri o dai nonni. Lombardi ci racconta di un imprenditore edile che non ha potuto fare altro che fermarsi. Oggi fa il commesso in un supermercato. Perché la dignità del lavoro, quella menzionata in più occasioni da Papa Francesco, quella è rimasta ferma e immobile al di là di ogni cosa. Dritta davanti ad uno Stato che non paga per mesi ed anni i suoi debiti e che al contempo esige con puntualità che vengano però rispettate le scadenze delle tasse.

Demetrio ha una piccola impresa edile messa su nel 2004. Lavora prevalentemente nel salernitano. Nel 2013 ha licenziato 10 operai. «Non è stato un giorno bello. Però l’ho dovuto fare prima di arrivare al punto di non poterli più pagare». Oggi sono rimasti in due con un piazzale pieno di mezzi e attrezzature perlopiù inutilizzati. «Anche molti privati – racconta spesso non pagano. Si va in tribunale ma bisogna pagare un avvocato e con i tempi della giustizia». Giovanni, anche lui imprenditore edile, parla di imprese che «continuano a reggere ma non si lavora come prima perché si è contratto il pubblico e si è contratto il privato». Per lui gli anni più bui sono stati nel 2011 e nel 2012 quando ha dovuto licenziare 20 operai. Come si sente ora? «Azzoppato o meglio con un continuo cappio al collo».

Il Presidente Lombardi ne è certo «Oggi si chiude per crediti non per debiti». I crediti sono quelli vantati dalle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni. La soluzione al problema è stato rinchiusa nel decreto “Sblocca Italia”. Una valvola aperta per pagare i debiti nei confronti delle imprese. Ma quanto è l’effettivo ammontare dei pagamenti? Quanto ossigeno è arrivato fino ad oggi? Quanti imprenditori hanno buttato all’aria il loro lavoro e la loro vita? E quanti senza più credito si sono rivolti all’usuraio della porta accanto? Don Andrea La Regina, Presidente della Fondazione antiusura Nashak, da anni ascolta e supporta situazioni economiche al collasso, in provincia di Salerno ma soprattutto nell’area del Vallo di Diano. Solo nel 2014, sono stati fatti 200 ascolti. Un terzo sono imprenditori.

LA STORIA

Da azienda affermata alla chiusura Pasquale però continua a crederci Non ha la forza di raccontarsi. Chiede che la sua identità resti nascosta perché contiene dolore e vergogna. Perché quando hai superato i settant’anni e hai passato una vita a lavorare e a far lavorare decine di famiglie, quando sei costretto a chiudere le porte del capannone di oltre tremila quadrati dove hai speso fatica e sudore, ogni parola pare non avere senso. Pasquale (nome di fantasia) inizia la sua avventura imprenditoriale nel 1962 pensando ai carretti di legno che costruiva suo padre e pure suo nonno. Con questa immagine familiare avvia la produzione di macchine agricole, di tutto quel mondo meccanico utilizzato in agricoltura. Va in giro per l’Europa e per il mondo, in Spagna, in Sudafrica a promuovere il marchio presente in tante concessionarie in tutta Italia, assume operai, sta sul mercato, produce e vende. Fino a quando inizia ad avvertire già alla fine del 2008 i primi colpi della crisi e inizia la cassa integrazione. Nel 2012, dopo 40 anni, si trova costretto a consegnare la lettera di licenziamento a 35 operai. L’ultimo giorno in azienda, lo allontana da sè. «No, non me lo faccia ricordare». Gli occhi di Pasquale si riempiono di lacrime. Alcuni operai che sono andati a casa avevano oltre 50 anni. Li ha più rivisti? «Alcuni sì. La maggior parte non ha trovato un’altra occupazione». Non si dà pace Pasquale. «Era la mia vita l’azienda. Ho rischiato di buttarmi giù dal quarto piano». Vorrebbe ripartire. Ha già in mente un progetto. «Sono convinto che l’agricoltura ripartirà e al seguito anche l’edilizia. Dobbiamo ripartire». dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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VENEZIA

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La casa dell’Ospitalità di Mestre, da sempre pronta a innovare sul fronte dell’accoglienza e del recupero delle persone senza dimora

La sfida di Venezia: dare fiducia, per cambiare Da giugno 2014 Francesco Pilli ha preso in mano le redini della storica Casa dell’Ospitalità di Mestre.

info Casa dell’Ospitalità di Mestre. Via S.Maria dei Battuti 1/d Mestre (VE) tel. 041-958409. La Casa dell’Ospitalità continua a innovare e cercare vie per il recupero delle persone. In questa linea si è aperto un nuovo servizio: 2 posti letto per persone senza dimora dimesse dall’ospedale e bisognose di cure post ospedaliere. Iniziativa nata in collaborazione con Emergency, la Croce Rossa e le realtà locali dell’ambito sanitario.

Spesso esaminiamo prima il problema e poi le risorse degli individui. Invece le persone si devono autodeterminare

Ma non dipende anche dal tipo di servizio? Solo in parte. Ho visto persone che si sono adattate a tutto pur di non cambiare. Ritengo fondamentale capire come il rapporto tra costi e benefici del cambiamento determini anche queste persone. Quindi si può dire che si preferisce fare meno fatica possibile per non cambiare? Direi che il costo, la fatica del cambiamento determina l’accettazione della situazione. Non importa se si sta bene o male, importante è non faticare per cambiare. Per questo sto cercando quegli strumenti che possano aiutare a supportare il cambiamento, a favorirlo.

di Michele Trabucco

Una struttura molto grande con un primo luogo di pronta accoglienza per uomini di 20 letti, e di 14 letti per donne, entrambi aperti dalle 19.30 alle 8. Poi ci sono le comunità di Mestre con 80 letti e di S. Alvise a Venezia con 23 letti e un piccolo casolare a Mestre di 5 posti letto. Qui le persone vivono gli ambienti e sono chiamati a gestirli e condividerne lo spirito. «Mi ero appena laureato in biologia – racconta Francesco – e ho fatto l’obiettore di coscienza Caritas alle Cucine popolari, una storica presenza di accoglienza per disagiati di Padova. Un’esperienza così significativa che mi a ha convinto a seguire quella strada.

Come hai visto cambiare questa realtà nel tempo? Ho visto tante persone e tanti modi di affrontare la realtà dei senza dimora. Quello che mi domando è quanto i servizi stessi sono un aiuto o un freno alla soluzione del problema. È importante dare dei servizi che diano una risposta al bisogno e all’emergenza. Ma in questo modo si risolve una parte del problema. Perchè all’inizio le persone fanno resistenza ad entrare nel percorso e nei luoghi di accoglienza, poi la resistenza è nel non voler uscire e riprendere la propria autonomia.

Da quella esperienza come hai proseguito? Ho passato quasi dieci anni a lavorare alle Cucine popolari poi, dal 2010, sono passato a Vicenza per la gestione dell’asilo notturno e di altri servizi per senza dimora. Dallo scorso giugno ho colto l’opportunità di venire a lavorare in uno dei luoghi più caratteristici dei servizi ai senza dimora. Una realtà da sempre all’avanguardia nell’offrire servizi e idee innovative.

Intravedi già una via diversa? Troppo spesso consideriamo prima il problema e poi la risorsa della persona. Così rischiamo che i caratteri del servizio determinino il percorso delle persone e non viceversa. Offrendo servizi noi diciamo: “affidati a noi, perchè sappiamo come aiutarti”, invece la persona si deve autodeterminare. E hai potuto sperimentare a Mestre alcune tue intuizioni? Abbiamo da poco iniziato a fare la spesa insieme agli ospiti. La cronicità della situazione di essere senza dimora fa perdere alcune sane abitudini e responsabilità della vita quotidiana che è importante recuperare. dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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VERONA

Matteo Beltrame

La bellezza della skeggia è che si puo organizzare dappertutto. Anche in piazza dei Signori, cuore del centro storico di Verona

1,2,3 skeggia La danza invade le piazze di Elisa Rossignoli

Una sera come tutte le altre in piazza dei Signori, cuore del centro storico di Verona. I pochi che passeggiano seguono la loro strada per andare altrove, traversandola con passo spedito. Il silenzio della sera è quasi palpabile. Poi qualcosa cambia. Non all’improvviso, ma lentamente, quasi impercettibilmente, come avviene con le foglie che spuntano dagli alberi o si indorano con i colori autunnali. Gruppetti di ragazzi, giovani e meno giovani, iniziano ad arrivare

dai quattro lati della piazza e a raccogliersi davanti alla loggia di Frà Giocondo, uno

Poche le regole delle serate danzanti: stare bene insieme e rispettare il luogo in cui ci si trova, lasciandolo in ordine e pulito. E poi, almeno all’inizio, aiutare chi è nuovo per dare la possibilità di imparare i passi 50 Scarp de’ tenis dicembre 2014 - gennaio 2015

dei palazzi storici che la circondano. Arrivano a due, a tre, da soli, si salutano con entusiasmo come se si conoscessero. È chiaro a chi passa che non c’è “una manifestazione ufficiale“, non ci sono transenne né cartelli, né qualcuno che si possa identificare come l’organizzatore ma è altrettanto chiaro che sta per succedere qualcosa. Zainetti, borse, scarpe, maglie, bottiglie d’acqua, thermos di tè si


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posano fiduciosi sugli scalini della Loggia, ed i loro proprietari, al richiamo di una voce confluiscono in ordine sparso e spontaneo in un cerchio. La stessa voce, o un’altra, dà il benvenuto a tutti ed in due parole ricorda le poche

Matteo Beltrame

regole della serata: stare bene insieme e rispettare il luogo in cui ci si trova, lasciandolo in ordine e pulito. Ah, un’ultima cosa: l’esortazione ai ballerini più esperti, almeno nella prima parte della serata, a danzare con chi è nuovo, per dargli la possibilità di imparare ciò che non conosce. Ecco cosa fanno, ballano Sì, ballano in strada. Una fisarmonica, un violino e una chitarra, o anche melodie registrate. Ecco, ci siamo. Una voce che annuncia il nome della prossima danza, per chi ancora non è in grado di riconoscerla dalla musica. E via. La piazza prende vita, si accende di colori e di un’energia vitale, sorridente, poetica, garbata, frizzante. Tutte le tonalità possibili della bellezza. Danzano in cer-

A un tratto la piazza prende vita, si accende di colori e di un’energia chio, in catene, in file che vitale, sorridente, si muovono sinuosamente nello spazio i passi e le melodie poetica, garbata, di tutta l’Europa. Danze occitane, frizzante. inglesi, balcaniche, bretoni, basche, ebraiche. Ogni melodia è coTutte le tonalità me una magia che fa muovere con possibili della passi antichi e nuovi, in un’armobellezza. Danzano nia che avvolge tutti. Si diffonde un’atmosfera irreale, sospesa coin cerchio, me un’incantesimo, eppure realisin catene, in file sima: le pietre antiche si animano. che si muovono Chi passa si ferma a guardare, ranello spazio i passi pito. A volte, ripone la borsa sullo stesso gradino, con la stessa fidue le melodie cia, e si avvicina un po’ titubante. di tutta l’Europa «Posso unirmi a voi?».

INTERVISTA

Esperienza nata quasi per caso: «Ognuno dona il proprio talento» Serate come questa non sono più nuove a Verona. Chiediamo ad Enrico, una delle “voci guida” delle serate danzanti, di cosa si tratta e com’è nata quest’esperienza. «La skeggia, cioè una serata, incarna la voglia di tornare a danzare nelle piazze, nei luoghi della bellezza delle nostre città. Non è un’esperienza solo veronese. Qui è nata quando alcuni di noi, un anno fa, si sono iscritti ad un corso organizzato dal Grdp (Gruppo di ricerca sulle danze popolari di Verona). L’esperienza ci ha fatti innamorare. Da lì a desiderare di condividerla il passo è stato immediato. E siamo partiti con le skegge. Che significato ha quest’esperienza? Sono momenti di ben-essere insieme, nella semplicità e nella bellezza della danza, in un clima positivo e accogliente. Non sempre informalità è sinonimo di rottura, di essere contro. E’ una sorta di rivoluzione pacifica, perchè vissuta nel pieno rispetto del luogo e del contesto, ma pur sempre una rivoluzione perchè è un cambiamento di sguardo, di prospettiva. Qui non ci sono organizzatori e fruitori, non si paga un biglietto. C’è un senso di appartenenza implicito che viene colto da tutti coloro che partecipano. Ciascuno mette ciò che può: tempo, contatti, capacità di suonare o l’apparecchiatura necessaria, esperienza per guidare le danze o insegnare i passi quando serve. Normalmente danzare in strada è a costo zero, ma se e quando serve, chiediamo un’offerta libera e consapevole. Un’organizzazione che, però, si sta ingrandendo... Qualcuno gestisce la pagina facebook, qualcuno ne ha aperta un’altra “in macchina insieme“, perchè quando ci spostiamo per le skegge cerchiamo di ottimizzare i trasporti: si risparmia e si gusta la compagnia durante il viaggio. Un’esperienza di condivisione e sostenibiliità che è possibile solo con la compartecipazione di tutti. Perché proprio le danze popolari? Perchè sono aggregative. Alcune anche semplici da imparare, e poi hanno la magia di ciò che è antico, che viene dalle radici di culture diverse, ma che raggiungono, coinvolgono, prendono, creando momenti di bellezza tutti da vivere e da gustare. dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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TORINO zinioz.it), inaugurati alla fine di ottobre di quest’anno in via Giolitti 19/A, in un palazzo settecentesco nel centro della città, concesso in comodato da Reale Mutua Assicurazione, ne sono un valido esempio. «I magazziniOz sono

CasaOz, accoglie sostiene e assiste le famiglie e i bambini malati, offrendo supporto e compagnia

uno spazio di confronto, in cui trovare e sperimentare nuove forme d’intervento e di innovazione sociale – rac-

CasaOz, una speranza per tante famiglie di Vito Sciacca

La malattia, quando colpisce un bambino, ha subito una ricaduta su tutta la sua famiglia, che si trova a dover af-

info CasaOz Corso Moncalieri 262 10133 Torino, tel. 011.6615680 cell. 328.5427175 casaoz@casaoz.org aperta dal lunedì al venerdì dalle 9,00 alle 19,00

frontare uno sconvolgimento della quotidianità. Costretta a adattare i propri ritmi alle tempistiche del percorso terapeutico, spesso finisce vittima di un profondo senso di solitudine e d’angoscia. Per alleviare questi disagi a Torino, in corso Moncalieri 262, è attiva CasaOz (www.casaoz.org), struttura pensata per accogliere, sostenere e assistere le famiglie ed i bambini malati, offrendo compagnia e supporto sia psicologico, sia logistico e organizzativo. Ideata sette anni fa da un gruppo di persone che hanno vissuto queste problematiche, si è poi arricchita d’iniziative: dalle residenzeOz, mini appartamenti a disposizione di famiglie provenienti da fuori città che debbano fare curare i loro figli negli ospedali torinesi, a laboratori, estate ragazzi, sostegno allo studio. Tutto ciò senza usufruire di finanziamenti pubblici, ma grazie al-

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l’opera di 50 volontari affiancati da assistenti sociali ed educatori professionali, e a contributi di soggetti privati, quali Fondazione CRT, Fondazione Vodafone Italia, compagnia di San Paolo ed EnelCuore. Caratteristica peculiare dell’associazione è la capacità di interagire con il territorio e attivare sinergie: i magazziniOz, (www.magaz-

conta Marco Canta, direttore del servizio casaOz –. È un’iniziativa pensata per sviluppare l’esperienza di CasaOz, offrendo a ragazzi e adulti la possibilità di studiare, lavorare, trascorrere del tempo insieme. C’è spazio anche per attività commerciali, quali la vendita di oggetti di design e libri; vi si svolgono corsi doposcuola per studenti delle superiori e vengono organizzati incontri e corsi di ogni tipo. Le attività, aperte alla cittadinanza, e sono pensate per finanziare casaOz e dare possibilità lavorative ad alcuni dei ragazzi che seguiamo». All’interno dei magazziniOz esistono anche un punto di ristoro e una caffetteria: «Abbiamo quattro ragazzi di casaOz, un disabile fisico, una ragazza autistica ed altri due con deficit intellettivi, che stanno svolgendo un tirocinio lavorativo grazie alla Cooperativa O.R.So (www.cooperativaorso.it), al termine del quale si profila un’assunzione».

SCHEDA

Sempre puntuale al lavoro A. ha 26 anni ed è invalida civile. Molto introversa, ha bisogno di essere avvicinata con dolcezza: difficilmente prende l’iniziativa ma è molto attenta a quello che le si dice, dimostrando buone capacità di comprensione e attenzione. Il suo punto forte è la precisione, mentre le sue debolezze sono la mancanza di capacità di anticipazione e di problem solving. Ha bisogno di un punto di riferimento che le dica cosa fare perché le risulta difficile chiedere. Da quando ha iniziato il tirocinio ai magazziniOz la famiglia non la riconosce più: prima in alcuni giorni per lei era difficile scendere dal letto. Adesso si sveglia da sola al mattino per arrivare puntuale al lavoro.


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NAPOLI

INCONTRI

Passare per vico Anticaglia e fermarsi a parlare con Umberto è l’occasione per conoscere una Napoli che non esiste più

Presepe del Popolo, un angolo della Napoli verace di Massimo de Filippis

Napoli è famosa per la pizza, il mare e il presepe. Infat-

info

Il presepe del Popolo è in via dell’Anticaglia a Napoli presso la bottega artigiana di Umberto Iannaccone. Ingresso gratuito, aperto tutto l’anno

ti, in città, ci sono molti presepi artigianali permanenti, e noi di Scarp ne abbiamo visitato uno in particolare “Il presepe del Popolo” in via dell’Anticaglia e già il nome è tutto un programma. Si trova in una piccola bottega in un basso, ci si può girare intorno e ci si vede attraverso. È un presepe molto vecchio, frutto del lavoro di Umberto Iannaccone, l’artigiano che lo ha ideato. Turisti e passanti possono visitarlo tutto l’anno e lui racconta mille storie: del presepe, del vicolo, degli archi romani che si vedono sulla strada, del teatro greco sotto i nostri piedi, della sua vita passata da ex metalmeccanico nato a San Gregorio Armeno, la strada dei pastori. Vicino alla grotta della Natività, Umberto ha messo un’osteria

Il presepe ha la forma della corona della Santa Vergine, ed è unico, come l’artista che lo ha realizzato

che simboleggia il benessere e la ricchezza. Non a caso le persone sedute al tavolo mangiano senza curarsi della nascita di Cristo, perché pensano ai beni materiali. Poi ha raccontato molte altre storie, come quella della statua della Madonna, che lui ha trovato in una discarica ad Acerra, senza testa e con un foro di proiettile nel petto. Parla anche di se stesso: metalmeccanico, a rischio di entrare nel “sistema”, e salvato dalla Madonna. «Anche se – dice – in passato le ho gettato dei soldi in faccia». Si può girare intorno e osservare nei particolari pastori di tutte le misure, le scenografie di case, i balconi e, soprattutto, i vicoletti riprodotti in tutti i dettagli. Il presepe, guardandolo per intero, ha la forma della corona della Santa Vergine, è alto più di due metri ed è davvero unico, come Umberto. Passare per vico Anticaglia, scoprire il presepe del Popolo, conoscere e fermarsi a parlare con Umberto è l’occasione per conoscere la Napoli verace.

Tra sacro e profano, le contraddizioni di una città dalle mille facce Un presepe tra cielo e terra, sacro e profano che si cercano, oggetti trovati per strada, nei posti più disparati, come in un bidone della spazzatura o in una discarica. Oggetti che vengono messi insieme seguendo una logica molto personale, come una chitarra vicino ad una Madonna, o un vecchio televisore nel bel mezzo della stanza. Insomma, c’è sempre un confondersi tra questo sacro e profano, come una statua della Madonna colpita da un proiettile di pistola: il bene e il male vengono messi insieme e convivono. Questo presepe rappresenta la realtà di Napoli, città di mille contraddizioni, tra quartieri cosiddetti “bene” e quartieri poveri e popolari, dove la vita non è facile: in quei vicoli, riprodotti e costruiti dal signor Umberto, nella sua bottega in via Anticaglia, sembra esserci davvero un po’della nostra “napoletanità”. Luciano D’Aniello

INCONTRI

Un teatro di vita e di valori profondi realizzato con materiali di scarto Il presepe del Popolo è l’espressione semplice tra storia, improvvisazione e fantasia, con l’originale creatività di materiale recuperato, illuminato da messaggi di saggezza per comunicare i propri sentimenti, in cui la passione per l’arte supera ogni ostacolo di natura tecnica. È un teatro di vita e di valori, come il ricordo, la fede, la speranza e l’umiltà dell’essere felici con poco. Esempio da imitare per ritrovare se stessi e gli altri attraverso la comprensione ed il perdono. Antonio Zacco dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

Tassa sulle transazioni finanziarie: a che punto siamo? ZeroZeroCinque. Non è un prefisso telefonico. E neppure un errore di stampa. Ma la percentuale che una campagna internazionale chiede ai Governi di imporre come tassa sulle transazioni finanziarie. Con pochi risultati, finora...

di Andrea Barolini

scheda Ventuno come il secolo nel quale viviamo, come l’agenda per il buon vivere, come l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. Ventuno è la nostra idea di economia. Con qualche proposta per agire contro l’ingiustizia e l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

Se ne parla da anni, ma tra annunci non rispettati, enormi pressioni da parte delle lobby, e governi «ondivaghi», la paura è che i tempi possano essere ancora lunghi. Parliamo della tassa sulle transazioni finanziarie. Per chi non la conoscesse ancora, non allarmatevi: per una volta, infatti, non si tratta di un’imposta che colpirebbe la gente comune. La «TTF» è infatti una piccola tassa che alcuni governi europei stanno ipotizzando di introdurre e che verrebbe applicata alle compravendite di azioni e obbligazioni, così come a quelle di valute o di prodotti finanziari derivati. Ad essere colpite dunque sarebbero le banche, i fondi di investimento e le compagnie d’assicurazione. La percentuale che potrebbe essere richiesta, inoltre, è estremamente bassa: la campagna internazionale che da anni si batte per la TTF chiede di fissarla allo 0,05% del valore di ciascuna transazione.

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Tradotto significa che un risparmiatore che volesse investire una cifra modesta, ad esempio mille euro, dovrebbe sborsare soltanto 50 centesimi. Senza contare che in Europa, finora, si è riflettuto su quote perfino più basse. Ma come mai allora, vi chiederete, una tassa così piccola è in così importante? Ebbene perché il sistema finanziario è diventato talmente gigantesco da far sì che, anche con una percentuale così contenuta, si possano generare cifre astronomiche per gli Stati che applicheranno il prelievo fiscale. De-

naro che, per una volta, transiterebbe dal sistema finanziario verso le casse pubbliche, e che potrebbe, da un lato, essere utilizzato per numerosi scopi benefici; dall’altro, consentire di limitare (finalmente!) gli enormi sacrifici chiesti in questi anni ai cittadini di numerose nazioni del Vecchio Continente. «L’Europa non ha rappresentato l’origine della crisi finanziaria globale, eppure ne ha duramente subito le conseguenze e sembra aver dimenticato rapidamente la lezione della crisi. Come Campagna ZeroZeroCinque riteniamo che l’eccesso di finanziarizzazione si combatta anche attraverso l’introduzione di una TTF, che aumenti il costo dell’attività speculativa rispetto alla vera vocazione del sistema finanziario, che è quella di finanziare l’economia reale», ha spiegato Leonardo Becchetti, docente di Economia all’università Tor Vergata di Roma e portavoce della Campagna ZeroZeroCinque.


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SCHEDA La campagna e un video sul sito È stata lanciata a novembre la “One million petition”, petizione con la quale si punta a raggiungere un milione di firme di cittadini. È ancora possibile sottoscrivere la richiesta, cliccando sul sito internet www.robinhoodpetition. org: a oggi la cifra raggiunta rasenta le 800 mila firme. Sulla stessa pagina è possibile guardare un video creato ad hoc per lanciare la petizione, nel quale viene «raccontata» la TTF tra 10 anni

Gli Stati a difesa delle banche Ad oggi l’Europa è divisa sul tema. Alcuni Paesi, Gran Bretagna in testa, hanno cercato e cercano in tutti i modi di dissuadere i partner dal progetto di introdurre la tassa sulle transazioni. Perché sia proprio Londra a chiedere di lasciar perdere è facile immaginarlo: la piazza finanziaria della capitale britannica è la prima europea, e tra le principali al mondo. Le pressioni dell’industria bancaria sono dunque fortissime, e il governo conservatore inglese difende a spada tratta la posizione degli istituti di credito. Di fronte a tale chiusura, undici governi europei (Germania, Austria, Belgio, Spagna, Estonia, Francia, Grecia, Italia, Portogallo, Slovenia e Slovacchia) hanno deciso di muoversi da soli, sfruttando uno strumento presente nel diritto comunitario: la cooperazione rafforzata. Una sorta di «patto» tra alcuni Paesi, utile per superare l’impasse in caso di man-

canza di unanimità. Un ottimo escamotage per aggirare il «no» britannico, dunque. Il problema, però, è che la scelta di avviare la cooperazione è ormai vecchia di anni, eppure i Paesi coinvolti

Come Campagna ancora non sono riusciti a ZeroZeroCinque mettersi d’accordo sui termini della TTF: la base imporiteniamo nibile, il tipo di prodotti finanziari che l’eccesso colpiti, le percentuali da applicadi finanza re, le tempistiche... Un vero peccato perché l’attesa produce un speculativa economico. si combatta anche danno Quanto varrebbe infatti la tascon l’introduzione sa? Ebbene di ipotesi ne sono state della tassa sulle transazioni finanziarie. La finanza ha la sua vera vocazione nel sostegno dell’economia reale

fatte molte. Una, molto conservativa, è stata pubblicata negli anni scorsi dalla Commissione europea e parla di un gettito tra i 30 e i 35 miliardi di euro, all’anno, per gli undici Stati della cooperazione rafforzata. Per la campagna ZeroZeroCinque, la cifra potrebbe essere di 200 miliardi di euro all’anno se la tassa fosse applicata in tutta Europa, e di 650 miliardi (di dollari, non di euro, stavolta) se introdotta su scala globale. Cifre mostruose, che potrebbero essere utilizzate per favorire la cooperazione internazionale, per la lotta alla povertà nel mondo, per combattere il cambiamento climatico, così come per garantire strutture sanitarie decenti nei Paesi più disagiati (SCHEDA). A tali stime se ne è aggiunta, recentemente, un’altra particolarmente interessante, perché frutto di un’analisi commissionata direttamente dalla Germania, il cui governo voleva comprendere quali fossero i reali benefici che dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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VENTUNO Berlino trarrebbe dall’introduzione del prelievo fiscale. A firmare lo studio è stato l’istituto danese Copenaghen Economics, che ha spiegato come, soltanto per la Germania, la TTF garantirebbe una cifra compresa tra i 17,6 e i 28,2 miliardi di euro all’anno. Tanto per capire di cosa parliamo: si tratta di una corposa manovra finanziaria. Che Berlino si troverebbe «regalata», ogni anno. Perchè bloccare il progetto? Ma allora, se le cifre sono così enormi, e tenuto conto del fatto che a pagarle sarebbero soggetti che certamente possono permettersi l’esborso, perché non si passa subito all’azione? Ebbene da un lato la lobby finanziaria sta producendo uno sforzo enorme nel tentativo di bloccare il progetto. Dall’altro una parte degli scettici sostiene che la TTF sia molto rischiosa. Secondo i detrattori della

tassa, infatti, la sua introduzione farebbe immediatamente fuggire buona parte degli attori finanziari che, dai Paesi che applicano il prelievo, si trasferirebbero in altre piazze, meno esose. Le risposte «scientifiche» a tali argomentazioni sono state numerose. Austrian Institute for Economic Research e Copenaghen Economics hanno affrontato la questione. Il primo ha basato una stima di gettito di 500-1.000 miliardi sull’ipotesi di un gigantesco calo delle

Aumento dell’Iva: e la giustizia sociale?

transazioni: ben il 65%! Il secondo ha invece quantificato direttamente, in termini di Pil, il «danno» che la tassa provocherebbe per la Germania, sempre a causa dell’ipotetica fuga di massa. Anche in questo caso, le argomentazioni di chi teme un esodo di trader, transazioni e capitali sono state sbriciolate. La diminuzione del Pil tedesco, nella peggiore delle ipotesi, sarebbe infatti risibile: non superiore allo 0,09%. Forse anche per questo, nei mesi scorsi si sono moltiplicati gli annunci da parte di membri dei governi europei, che hanno lasciato intuire un cauto ottimismo. «È stato fatto un passo decisivo verso l’applicazione di una tassa sulle transazioni finanziarie in Europa», aveva annunciato nello scorso mese di maggio Michel Sapin, ministro delle Finanze francese, al termine di una riunione dell’Eurogruppo a Bruxelles.

Come tutti sanno il governo italiano deve rispettare un equilibrio nei conti pubblici. Non soltanto per i parametri imposti dall’Ue, ma anche perché il nostro Stato ha deciso di imporre il pareggio di bilancio in Costituzione. È per questo che, nell’ultima legge di Stabilità (la vecchia legge finanziaria), è stata confermata la cosiddetta «clausola di salvaguardia». Dal momento che i conti debbono forzatamente quadrare, ci sono soltanto due cose possibili da fare: o si diminuiscono le uscite, oppure si aumentano le entrate. Sul primo fronte, gli italiani sono stati ampiamente «spremuti» dai tagli. Non resta

che aumentare le entrate.

Nessuna tassa sui trader senza scrupoli, ma aumento dell’Iva all’orizzonte. Scelta poco equa 56 Scarp de’ tenis dicembre 2014 - gennaio 2015

Come? Semplice. Aumentando le tasse. Anche qui, però, c’è modo e modo di farlo. Si potrebbe introdurre una nuova aliquota Irpef per prelevare una percentuale più alta su chi guadagna centinaia di


Illustrazione: Piano Piano Books Bakery

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verni si vedranno di fatto costretti a procedere passo passo: «Inizialmente non potremo far altro che limitarci ad applicare la tassa alle azioni e a qualche derivato», aveva confermato.

SCHEDA

Cosa si potrebbe fare con centinaia di miliardi di euro?

La campagna per la TTF sta moltiplicando i propri sforzi, reclamando dai governi risposte concrete. AnSempre dalla Francia, tuttavia, un ex ministro dei Verdi, Pascal Canfin, si è detto meno ottimista, esprimendo il timore che la tassa possa essere introdotta in una versione annacquata: «Potrebbero applicarla soltanto agli scambi azionari», ha spiegato. Il che, aveva aggiunto, «equivarrebbe a seppellirla». Un rischio in qualche modo confermato dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, secondo il quale i go-

che e soprattutto dall’Italia: per ora, annunci a parte, il nostro governo non sembra infatti esservi voluto battere concretamente per l’introduzione della tassa. «È inaccettabile l’assenza di una reale e coraggiosa volontà politica di rottamare la finanza speculativa. Si gioca una partita decisiva, che ci dirà se il bene comune e la volontà dei popoli europei prevarranno sullo strapotere delle lobby: il governo italiano e quelli europei dimostrino da che parte stanno», conclude Becchetti.

L’ANALISI

migliaia, se non milioni di euro all’anno. Oppure, si potrebbe introdurre una patrimoniale per imporre sacrifici anche a chi ha la fortuna di essere benestante. La realtà ci dice che è molto più facile colpire tutti, indistintamente. È proprio questo il contenuto della «clausola di salvaguardia», che non è altro che un nuovo, ulteriore aumento dell’IVA che potrebbe salire al 24% dal 1 gennaio 2016 (oggi è al 22%), per poi aumentare ancora nel 2017, e toccare il 25,5% nel 2018. Tutto ciò se il governo non riuscirà ad attuare nuovi interventi di spending review capaci di rendere non necessario l’aumento dell’imposta. Un bel paradosso, per una manovra che è stata presentata come quella del taglio delle tasse, del rilancio dei consumi, della ripresa economica. Ma ciò che non convince è la struttura del provvedimento.

Aumentare l’IVA significa

colpire tutti i consumatori senza distinzione di reddito, di composizione familiare, di condizioni di disagio, né tantomeno di patrimonio. In barba all’articolo 53 della Costituzione, che sancisce il principio della progressività nell'imposizione fiscale. Ancor di più, l’aumento colpisce allo stesso modo i consumi di lusso e quelli «incomprimibili». Per un Paese come il nostro, nel quale il numero di persone che versano in condizioni di povertà è attorno ai dieci milioni (Istat), il rischio è che la situazione peggiori ancora. E allora per quali ragioni il governo sceglie di far quadrare i conti aumentando un’imposta che colpisce tutti e tentenna di fronte alla tassa sulle transazioni finanziaria, che graverebbe sulle spalle di colossi bancari e assicurativi, speculatori e trader senza scrupoli? Dov’è la giustizia sociale in tutto questo?

Cosa fare con il gettito che proverrebbe dalla tassa sulle transazioni finanziarie? I promotori della campagna, sin dall’inizio, hanno insistito sulla natura «cittadina» dell’imposta. Il denaro raccolto dovrebbe in qualche modo costituire una «restituzione» di capitali da parte del mondo della finanza. Denaro che tornerebbe nella disponibilità degli Stati, e dunque dei cittadini. È noto infatti come sia stata proprio la bulimia di banche e fondi speculativi a contribuire in modo determinante a generare la crisi che ha colpito il mondo intero negli ultimi anni, e che le popolazioni di tutto il mondo stanno pagando di tasca propria. Proprio per questo, i militanti della ZeroZeroCinque stanno valutando una serie di proposte. Parte del gettito raccolto potrebbe ad esempio essere impiegato per ridurre il debito pubblico e per compensare le spese affrontate di recente per salvare numerosi istituti finanziari dal fallimento, sostenendo al contempo reddito e occupazione. Un’altra parte potrebbe invece essere destinata agli aiuti ai Paesi più poveri. Ma, ancora, si potrebbero creare fondi per affrontare emergenze sanitarie, o piani di lotta alla povertà, o ancora per finanziare la transizione ecologica di fronte al cambiamento climatico. Le proposte, di certo, non mancano. La conditio sine qua non, però, è sempre la stessa: l’esistenza di una reale volontà politica di «cambiare verso», per dirla con le parole del governo italiano.

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VENTUNO

Indebitamento, una spirale senza fine di Alberto Rizzardi

Continuano a crescere le famiglie in grave squilibrio finanziario (1 milione e 300mila lo scorso anno). Colpa della crisi, certo, ma anche del gioco d’azzardo e di errati stili di vita 58 Scarp de’ tenis dicembre 2014 - gennaio 2015

Tra le tante facce della crisi economica in atto, quella del sovraindebitamento delle famiglie è una delle più drammatiche. Perché coinvolge un numero crescente di persone e dà al futuro una connotazione nera, nerissima. I dati dimostrano che il fenomeno è tutt’altro che in calo: anzi, sta aumentando, cambiando e assumendo contorni allarmanti. Perché l’indebitamento – e su questo sono tutti concordi – è la chiave per aprire la porta della povertà e dell’esclusione sociale. Così come diverse sono le facce delle nuove povertà, diverse sono anche le vie d’accesso all’indebitamento. Conoscete le carte revolving? Tecnicamente sono carte di credito, che consentono, però, di comprare oggi e pagare in rate mensili invece che a saldo il mese successivo come avviene


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molto facile che la situazione possa sfuggire di mano. Per non parlare poi dell’eventuale salto di una rata: gli interessi di mora sono elevatissimi.

Sovraindebitamento: ora è allarme. L’indebitamento delle famiglie è la chiave per aprire la porta della povertà e dell’esclusione sociale

Nel 2000 i nuclei familiari sovraindebitati nel nostro Paese erano 190 mila (0,9% del totale), nel 2012 le famiglie in stato di grave squilibrio finanziario erano 1 milione e 300 mila (il 5,4%); dati peggiorati ulteriormente nel 2013

per le carte tradizionali. Una sorta di fido, insomma. Nella realtà sono diabolici strumenti, facilmente ottenibili, che, sì, consentono di comprare subito qualcosa, ma dando l’impressione che quel qualcosa non lo si finisca mai di pagare a causa di tassi molto alti che partono dal 14-15% (i prestiti personali, per intendersi, viaggiano tra il 6 e l’11%) e che arrivano facilmente a sfiorare il 2425%, soglia oltre la quale scatta l’usura. Tante le persone che negli anni sono finite nella spirale delle carte revolving (soprannominate “carte revolver” per la loro pericolosità), finendo sul lastrico. Chiariamo: queste carte non comportano di per sé l’andare in rovina, ma sono strumenti da maneggiare con cura: perché banche e finanziarie non fanno il computo del debito residuo ed è

Il boom delle revolving Difficile dire quante persone negli anni si siano rovinate a causa delle revolving (a fine 2012 in Italia ne circolavano 3,5 milioni). Così come è difficile stabilire quante famiglie siano attualmente indebitate, sovraindebitate o a rischio indebitamento; perché i dati sono pochi e, peraltro, sempre un po’ retrodatati. Secondo una ricerca della Banca d’Italia, ad oggi una famiglia su tre ha contratto debiti e il 5,6% delle famiglie italiane non è in grado di ripagare i debiti contratti prima della crisi. Se nel 2000 i nuclei familiari sovraindebitati erano circa 190 mila (lo 0,9% del totale), nel 2012 le famiglie in stato di grave squilibrio finanziario erano 1 milione e 300mila (il 5,4%); dati peggiorati ulteriormente nel 2013. Il tema del sovraindebitamento delle famiglie non è ancora monitorato con la sufficiente attenzione. Qualcosa in Italia, per la verità, è stato fatto negli ultimi tempi: nel 2012 la Legge 3 ha colmato un primo vuoto legislativo in materia, andando a definire il termine “sovraindebitamento” e a disciplinare, tra l’altro, le situazioni di difficoltà di alcune categorie di debitori, consentendo alle famiglie che non possono ricor-

numeri Indebitamento

5,6% Percentuali di famiglie non più in grado di ripianare i debiti contratti

84,7 I miliardi di euro spesi dagli italiani nel gioco d’azzardo nel 2013

3,5 Milioni di revolving card che circolano nel nostro Paese

rere all’esistente istituto giuridico del fallimento commerciale di avere a disposizione un progetto di ripiano del debito e di continuazione della vita economica sociale. In parole povere: un percorso che dia la possibilità di non essere schiacciati dall’enorme ammontare del debito e che consenta ai creditori di essere almeno in parte soddisfatti. C’è ancora tanto, tuttavia, da fare per comprendere in primis l’esatta portata del fenomeno per poi proporre interventi mirati. Ma qual è oggi la situazione del sovraindebitamento delle famiglie italiane? Com’è cambiato negli ultimi anni? E ancora: qual è la percentuale del gioco d’azzardo sul fenomeno? Per capirlo abbiamo interpellato chi si rapporta quotidianamente con queste criticità. Iniziamo da Biella, dove la Caritas diocesana (oltre mille colloqui nel 2013 nei 12 centri d’ascolto) è una delle realtà più attive in questo ambito: «Negli ultimi due anni – spiega Daniele Albanese della Caritas biellese – stiamo registrando un aumento di famiglie che s’indebitano per far fronte alla crisi e alla mancanza o perdita di lavoro. Soprattutto quando a non avere il lavoro sono persone di 40-50 anni, che, quindi, hanno una famiglia già strutturata. Se fino a un paio d’anni fa riuscivano in qualche modo, grazie ai risparmi o al supporto familiare, a far fronte alle difficoltà, oggi non ce la fanno più e si rivolgono a noi. Si tratta di persone che non trovano possibilità di accesso al prestito e che sono destinatarie di contributi a fondo perduto. Persone che non avranno, nella maggioranza dei casi, la possibilità di restituire neanche nel medio-lungo periodo il prestito ottenuto proprio per le difficoltà del mercato del lavoro». E quando non si riescono a trovare, anche ingegnandosi, altre forme di sostegno e le risorse a disposizione sono sempre inferiori, si ricorre all’indebitamento: «Alcune persone – racconta Albanese – si rivolgono a noi prima di dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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VENTUNO essere sovraindebitate per chiedere una scialuppa di salvataggio; e sono i casi più favorevoli. Altre, di contro, si presentano con situazioni orai compromesse: abbiamo avuto casi anche di 300 mila euro di indebitamento». Tra le cause che hanno concorso all’aumento di casi di sovraindebitamento c’è anche il proliferare di agenzie di credito e prestito personale senza garanzie, che allettano chi è in difficoltà ma che poi, di fatto, va ad aggravare una situazione già pesante. Ma perché ci si indebita? Solo per mancanza di lavoro e di risorse che non consentono di rispettare impegni presi prima della crisi o c’è dell’altro? «C’è dell’altro – spiega Albanese –: le situazioni “ideali” sono quelle legate all’indebitamento per oggettive esigenze materiali, come il pagamento di affitto e bollette o spese mediche impreviste. Ma negli ultimi tempi sono aumentati i casi di indebitamenti dovuti a errati stili di vita: ci si indebita per il battesimo o la cresima del figlio, per una festa di compleanno, per una macchina o un televisore nuovi, per una vacanza. Tutte cose non fondamentali e che potrebbero essere ridimensionate, ma che vengono portate avanti dalle famiglie per status sociale (potersi ancora permettere ciò che era consentito in passato) o familiare (non far vedere a coniuge, figli o parenti che si è difficoltà)». A 1.500 chilometri di distanza, in Sicilia, le cose non sembrano andare molto diversamente: «C’è un aumento costante dei casi d’indebitamento sul territorio negli ultimi anni – conferma Vitto-

zatori sociali. Abbiamo riscontrato parecchi casi di rischio concreto di perdita della prima casa perché, a causa di licenziamenti e della riduzione del reddito, le famiglie non riuscivano più a sostenere il costo delle rate del mutuo stipulato prima della crisi». Azzardo fuori controllo C’è poi il delicato capitolo del gioco d’azzardo. Perché quando si è in difficoltà ci si affida a tutto: anche a vie alternative che sembrano facili scappatoie. I contorni del fenomeno in Italia sono noti: il gioco d’azzardo è la terza industria italiana. Nel 2013 con 84,7 mld di euro giocati, l’Italia è al quarto posto della classifica mondiale. Addirittura seconda, se si

Sempre più persone anche in età avanzata usano internet. E le grandi multinazionali del gioco sono sempre più presenti online con e-mail, rio Alfisi, presidente della annunci Fondazione antiusura di su Facebook Palermo –. La crisi qui ha colpito in modo ancor più forte rispet- o finestre popup to ad altre parti d’Italia. C’è un che incentivano numero corposo di persone che al gioco e agli hanno perso il lavoro o sono in cassa integrazione. E sono tante investimenti anche le persone che lavorano in in borsa, che sono nero e, dunque, non rientrano nelle statistiche ufficiali e non un altro aspetto possono accedere gli ammortiz- dell’indebitamento

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prendono in esame le perdite legate al gioco d’azzardo: prima di noi soltanto l’Australia. E tutti o quasi i giocatori d’azzardo sono indebitati o sovraindebitati.

La Lombardia è la regione in cui si gioca di più e Pavia la capitale italiana con quasi 3 mila euro di spesa pro capite. La Regione ha provato a correre ai ripari introducendo la Legge 8/2013 contro la ludopatia. Ma «a un anno di distanza dalla sua entrata in vigore – ammette la sua promotrice, l’assessore regionale al Territorio, Viviana Beccalossi –, la Legge ha ancora elementi di debolezza, anche se i dati confermano che ha contributo a limitare molto il fenomeno. Entro la fine dell’anno la rinforzeremo dopo aver ascoltato le richieste del territorio. Ma continua a mancare un riferimento legislativo a livello nazionale». Emergono, intanto, nuove forme di gioco d’azzardo online, facili vie d’accesso all’indebitamento: «Sempre più persone anche in età avanzata usano il pc e internet – spiega ancora Albanese della Caritas di Biella –. E le grandi multinazionali del gioco sono sempre più presenti online con email, annunci su Facebook o finestre popup che incentivano al gioco e agli investimenti in borsa, che sono un altro aspetto dell’indebitamento. L’aggancio principale per i giovani sono le app per gli smartphone; per gli adulti, invece, le aziende ricorrono a banner pubblicitari con offerte di denaro per le prime giocate online o per gli investimenti in borsa. Risorse che ovviamente non si possono incassare, ma soltanto giocare. Aprendo la strada a una perdita, superiore alla cifra “offerta”, che è un ulteriore tassello al rischio indebitamento». Insomma, un fenomeno, quello dell’indebitamento, che cresce e si modifica per stare al passo con i tempi e per aggirare le (poche) limitazioni. Un fenomeno da monitorare con attenzione perché il futuro di molte famiglie passa anche da qui.

SCHEDA

Mons. D’Urso: «Vita più sobria per sconfiggere l’indebitamento» «Della questione indebitamento delle famiglie si parla ancora troppo poco – spiega Monsignor Alberto D’Urso, segretario nazionale della Consulta delle fondazioni antiusura –: non c’è l’interesse ad evidenziare una piaga di carattere sociale che coinvolge tutta l’Italia e che si fa sentire in particolare al Sud. Nelle nostre 28 fondazioni antiusura sono in aumento le persone che chiedono di poter sospendere per un anno il mutuo contratto prima della crisi perché non riescono a sopravvivere. Sono in crescita anche le famiglie che vendono la casa di proprietà e vanno in affitto, così da poter ricavare qualche soldo per poter tirare avanti in attesa di tempi migliori. E c’è il gioco d’azzardo, fenomeno raccapricciante che ci preoccupa molto. Qualche iniziativa su questo fronte è stata presa ma, anche in questo caso, è il volontariato che sta dando una risposta positiva, mentre per il resto si assiste a un’incentivazione del gioco per meri interessi, laddove servirebbe un azione per contenerlo. A questi dati oggettivi va poi aggiunto un dato educativo di cui non si è presa ancora coscienza: la mancanza di iniziative per una vita più sobria. Eravamo abituati a vivere meglio e a spendere di più; oggi pare non si voglia capire che dobbiamo ripensare la nostra vita».


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INCONTRI

LABORATORI

AUTOBIOGRAFIE

CALEIDOSCOPIO Senofonte, greco d’origine, architetto e artista, si guadagna da vivere in strada, suonando la chitarra nel mezzanino della metropolitana alla stazione di Porta Venezia a Milano

Il viaggio di Senofonte, architetto e artista Storia di Senofonte, per gli amici Fonte. Storia di un uomo arrivato a Milano, appena maggiorenne, in fuga dalla Grecia dei colonnelli. Siamo alla fine degli anni '70. In Italia si laurea in architettura, perfettamente “in corso” ma non se la sente, nonostante il “papiro” – come lo chiama lui – in tasca, di tornare in Grecia. Si iscrive al Conservatorio, si diploma in chitarra e riprepara il bagaglio, destinazione Parigi dove raggiunge un suo vecchio compagno di liceo. Dopo qualche anno lascia anche la Francia e parte per New York, dove si esibisce come artista e lavora in una pizzeria italiana al Rockefeller Center. Il suo viaggio però non si ferma. Italia, poi ancora Grecia – colpita dalla crisi nera–, poi ancora Italia. Dal 2010 si esibisce nelle stazioni della metropolitana. A Milano Fonte riesce a guadagnare il giusto per vivere. Ha molte persone che lo seguono con affetto. Un artista a tutto tondo con un grande repertorio che spazia Antonio Vanzillotta dai compositori spagnoli classici quali Fernando Sor e Luis de Narvàez passando per Bach e Cesare Negri. dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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NAPOLI

PAROLE

Un viaggio andando a ritroso nella natura

La redazione napoletana di Scarp in visita al Real ortobotanico di Napoli (foto Marta Capuozzo)

L’affascinante memoria dell’orto botanico PAROLE

Libera, come una piuma nel verde Napoli, la città più bella del mondo: noi napoletani siamo unici, abbiamo simpatia, cuore, allegria e molta ricchezza interiore. Nella nostra città abbiamo tesori, monumenti e tanta arte che non tutti i napoletani conoscono o hanno visitato. Io sono una delle tante persone che vive qui dalla nascita e che non conosce le meraviglie che si trovano a due passi da casa. Sono stata a visitare l’orto botanico di via Foria, che molte volte ho visto da lontano. Eravamo quasi tutti noi della redazione e non poteva mancare una grande e bella macchina fotografica, come quelle di un tempo, e una mappa. Uno spazio enorme, verde, grande. Mi sentivo libera, spensierata. Ho visto molti alberi, molte piante, ma non sapevo di poter trovare addirittura delle specie tropicali. Su ogni pianta c’erano scritti il nome e la provenienza: abbiamo ammirato piante e alberi secolari grandissimi. Durante quelle ore, che trascorrevano semplici, piacevoli e interessanti, ci guardavamo intorno alla ricerca di qualche albero in particolare che ci piaceva più di altri. Mi hanno colpito molte piante, soprattutto quelle grasse e quelle dell’America del sud, e ne ho scelta una bellissima, piena di fiori rosa. Successivamente abbiamo visitato il castello, che adesso è un museo, dove si poteva ammirare come le antiche civiltà, con dei pezzi di alberi e tronchi, costruivano palafitte ed attrezzi. Questa cosa qui mi ha affascinata moltissimo. L’orto botanico è un posto stupendo, di cultura e conoscenza ed io, insieme i miei amici di Scarp, ho trascorso una bella giornata, mi sono sentita libera, come una piuma nel verde. Marianna Palma

È stato bello stare a contatto con la natura e passeggiare con tutti con un buon odore di rosmarino che ci accompagnava 62 Scarp de’ tenis dicembre 2014 - gennaio 2015

PAROLE

Un viaggio meraviglioso Sono andato a visitare una cosa meravigliosa, in cui non ero mai entrato e di cui non avevo mai sentito parlare: l’orto botanico. Così, quando con la redazione di Scarp si è deciso di andare, mi sono deciso: appena entrato, sono rimasto incantato nel vedere quelle piante da tutto il mondo, in particolare mi ha colpito un albero brasiliano. Se io avessi un giardino con quell’albero, ci metterei tutta la mia passione per farlo diventare sempre più bello, lo curerei con tanto amore, giorno per giorno, per vederlo crescere con soddisfazione. Per me è stato bello stare a contatto con la natura e passeggiare con tutti con un buon odore di rosmarino che ci accompagnava. Umberto D’Amico

Si può raccontare un viaggio iniziando dalla fine? Stavolta sì, perché mi sono reso conto di quanto mi è piaciuto stare nell’orto botanico. Pardon, nel Real orto botanico di Napoli. Solo quando mi sono avvicinato all’uscita e ho ricominciato a sentire i rumori del traffico – i clacson, le sirene, e tutto il caos cittadino, che ogni dì mi fa da sottofondo – ho capito. Lì dentro la beata, forte, fragile, indispensabile e imperfetta natura la vince, la fa finalmente da padrona. Beata imperfezione. In natura non esiste una sola linea retta, non un cerchio esatto; l’uomo è all’infelice ed eterna ricerca della perfezione, ma le piante e gli alberi se ne fregano, e forse per questo li amiamo, forse per questa ragione li violentiamo: per pura invidia. Io quella palma altissima, esile ma elastica, che poi alla fine si adorna di cinque o sei foglie la invidio: lei è lì a giocare col vento più alto. Lei è lì, che cerca quasi di congiungersi con le nuvole, ed io sono quaggiù col naso per aria, che non gioco più con niente. E quella stramaledetta, enorme quercia, che a guardarla sembra così storta e ammalorata, lei sì che esiste, e ha visto, vede e vedrà tanti come me. Io posso solo ammirare la sua imponenza, la sua autorità. Le piante sono un’eterna sorpresa: quel pino enorme, aperto ad ombrello e quella minuscola piantina di riso sono parenti, così come una balena ed una piccola acciuga. Solo noi umani siamo così simili l’uno all’altro: che vorrà dire? Mah, forse niente. Eppure l’uomo, si dice, è il padrone del pianeta. Che dire, povero pianeta. Bruno Limone


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SALERNO

Una vita nel disagio «Colpa della mia infanzia»

Ho voluto raccontare la mia infanzia per dimostrare come spesso, dietro un sen-

«Mio padre dovette vendere casa e attività. Se le cose fossero andate diversamente, oggi forse sarei un tranquillo edicolante» La mia vita è sempre stata legata alla città di Salerno e in qualche modo ne è stata condizionata. La mia attuale condizione di utente di Scarp e persona con problemi economici affonda le sue radici a quando ero bambino. Sono nato nel 1966 e fino all’età di 7 anni la mia vita era tranquilla e senza particolari problemi. Mio padre gestiva un’edicola di giornali in via Baratta, zona moderna della città a ridosso del centro. Poi, iniziarono i problemi, che peggiorarono la nostra condizione economica e che, probabilmente, hanno determinato, con un effetto a catena, la mia condizione. Nel novembre 1972 nac-

que il mio fratellino, il quarto figlio: ciò scombussolò molto le economie della mia famiglia. C’era un’altra bocca da sfamare e le entrate dell’edicola non bastavano più a pagare le spese. Così, mio padre fu costretto a vendere e a cercare un altro lavoro meglio retribuito. Noi dovemmo rinunciare alla nostra piccola ma bella casa in via Baratta e fummo costretti a riparare in un’abitazione del centro. Mi ritrovai, così, ad abitare in una squallida palazzina di via Torquato Tasso, tra i vicoli della zona antica di Salerno, che a quel tempo versava davvero in cattive condizioni. Oggi quella zona è stata restaurata, vicino vi sorge il bellissimo giardino della Minerva, orto della Scuola Medica

Salernitana, ma allora dire che era indecente è davvero un complimento. Ricordo le pareti completamente nere della casa a causa dell’umidità. Mia madre mi mandava a fare la spesa dal salumiere in fondo alla via. Quando faceva buio era davvero un problema: non c’era illuminazione stradale e dovevo camminare con una torcia. Il luogo era davvero inabitabile, così decidemmo

di trasferirci in un’altra casa della stessa via. Qui la situazione era ugualmente difficile. Il vicinato era molto particolare: io fui preso di mira da alcuni ragazzi del quartiere: mi toglievano il cappello di testa quando passavo e talvolta mi prendevano a botte. Poi scoprii che provenivano da famiglie con precedenti penali, e oggi penso di aver fatto bene a non reagire alle loro prepotenze.

za dimora o una persona con disagi, si nascondono problematiche iniziate molti anni prima e di cui la persona non ha alcuna colpa. Oggi, se le cose fossero andate diversamente, sarei un tranquillo edicolante di Salerno, con una casa e una stabilità economica. Però non mi deprimo e faccio una riflessione: in qualche

modo sono un edicolante, grazie a Scarp de’ tenis e alle vendite che effettuiamo davanti alle parrocchie e negli altri luoghi. Non sono soltanto giornalaio, ma anche, se mi si può passare un “parolone”, un giornalista, attraverso gli articoli che scrivo. Spesso, tutto dipende da Antonio come guardi le cose.

PAROLE

Da Salerno a Milano a soli 13 anni: la mia discesa negli abissi della droga Sono nato a Salerno nel 1967, ma a 13 anni sono andato a vivere in provincia di Milano, in un paesino chiamato Vignate. Conoscevo il paese perché vi lavoravano i miei fratelli ed ero andato a trovarli da bambino. Poi, nel 1978, ci fu la prematura scomparsa di mio padre, ed essendo impossibilitato a continuare gli studi, finite le scuole dell’obbligo nel 1980 mi trasferii da mia sorella a Vignate. Iniziai a lavorare e, dopo neanche tre anni, già vivevo da solo a Melzo. Lavoravo in un bar a Milano, in via Pirelli, dal lunedì al venerdì e nei fine settimana arrotondavo con qualche extra come cameriere. Negli anni Ottanta a Milano e nelle periferie ci fu un vero e proprio boom delle droghe e dello sballo in generale. Ero attirato da quel genere di cose, così ben presto diventai un fumatore e un bevitore. Il passaggio ad altre sostanze fu quasi un’evoluzione naturale. Per me divenne normale andare con gli amici al Parco Lambro, oppure a Pioltello, dove acquistare stupefacenti era come comprare il pane. All’inizio fu tutto facile e spensierato, mi sentivo a mio agio in qualsiasi situazione, non esistevano limitazioni o tabù. Non mi consideravo un tossicodipendente, ed invece lo ero talmente da credere che la mia personalità fosse vera solo quando ero sotto l’effetto delle droghe. Mi sbagliavo. Infatti dopo un breve periodo cominciai ad avere grandi problemi. Non riuscivo più a rimanere concentrato e persi il lavoro. Non potendo più pagare affitto e bollette mi ritrovai in difficoltà. Solo allora decisi di chiedere aiuto ai miei familiari, nonostante provassi imbarazzo: sino a quel momento, infatti, non avevo mai ascoltato i loro consigli. Ma non ne avevo più la forza, la droga mi aveva trascinato troppo in basso, mi mancavano volontà e mezzi economici per uscirne. Così, insieme ai miei parenti decidemmo di rivolgerci ad una comunità terapeutica. Attraverso quella comunità cominciai la mia risalita dal baratro. Negli anni seguenti, tuttavia, mi accaddero molte altre vicissitudini. Ma ci tenevo ad evidenziare quale fosse stata la causa originaria delle mie difficoltà: la droga. Patrizio Fuoco dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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CALEIDOSCOPIO

In circolo l’acqua assenti piastrine minati neuroni umor putrefatti son percorsi di ieri. Eppure il mio corpo ancora concede di vita possibile i sogni snodati. Cammino su foglie in santi sentieri con occhi socchiusi gli artigli ancorati. Per non perdermi più e trovare l’uscita in pennellati raggianti ridecori di vita. Mino Beltrami

Il prato Verde come smeraldo incastonato fra gli abeti fragranti, maestosi, canori. Tu simboleggi la speme della vita. Essi, con la loro cerchia possente, ti proteggono; il cielo si riflette nei tuoi tremuli, teneri germogli, sui quali i cirri leggeri, candidi formano ombre fuggevoli. L’umana creatura ti assomiglia impallidisce la speranza; L’angoscia che spesso la imprigiona nella sua mossa, sia come l‘ombra del cirro, che presto è dissolta dai raggi del sole. Pierluigi Logli

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di Salvatore Couchoud

Vent’anni di Garabombo, l’associazione culturale lariana che tanto ha fatto per avviare quella piccola e fecondissima “rivoluzione” degli stili di vita e dei comportamenti alimentari che quattro lustri or sono sarà verosimilmente apparsa visionaria agli stessi promotori dell’iniziativa, mentre nei fatti era soltanto profetica. Realizzando, quello che più conta, un’operazione di assemblaggio tra le più delicate, alla ricerca del filo unificatore in grado di stringere e coordinare tre concetti a prima vista irriducibili, anche se non necessariamente conflittuali, quali il volontariato, la cultura e il commercio. «Sono due le parole-chiave della nostra azione a sostegno dei piccoli produttori di Paesi come il Perù, la Colombia, l’India, lo Sri Lanka, il Vietnam e la Cambogia – spiega Alessandra Ferrari, presidente della Garabombo che si accinge a soffiare sulle venti candeline – e corrispondono a due vocaboli apparentemente neutri e innocenti come “equo” e “solidale”, ma la cui risonanza sul piano etico e del rinnovamento dei costumi è fuori discussione. Il nostro intento è da sempre quello di dif-

fondere il pensiero equosolidale, abituando cioè gli abitanti della provincia di Como a confrontarsi con nozioni per lungo tempo ostiche e misconosciute come il rispetto per il produttore, l’abolizione di ogni forma di sfruttamento del lavoro agricolo e industriale, la salvaguardia dei diritti della salute e dell’ambiente.

Vendendo i prodotti che importiamo da quelle aree disagiate, raccogliendo fondi attraverso i canali della solidarietà privata e intervenendo economicamente in prima persona quando le circostanze lo impongono, i nostri trenta soci non solo garantiscono il saldo immediato degli ordinativi trasmessi alle realtà che cerchiamo di supportare, ma cooperano al finanziamento di progetti di sviluppo nel Sud del mondo che mirano, appunto, a stimolarne le qualità creative e le sinergie emergenti, a partire dalle scuole per giungere alle comunità rurali e ai laboratori artigianali. Accanto a questo, continuiamo a operare sul versante della promozione delle nostre attività in termini propriamente culturali, e una delle cose che maggiormente ci inorgogliscono, a distanza di vent’anni dagli esordi di quell’esperimento, è che oggi a Como tutti sanno perfettamente cosa sia il commercio equosolidale. Sembrerebbe una notazione pacifica. Ma non lo è».

on

off

Le associazioni migranti crescono nel nostro Paese

Cresce la povertà minorile, colpa della perdita del lavoro

Sono oltre 2 mila, hanno quasi tutte meno di 15 anni e si occupano principalmente di integrazione. Il centro studi e ricerche Idos ha mappato le associazioni di migranti presenti in Italia. E' il Nord Italia ad accogliere la maggior parte delle associazioni. Solo nel Nord Ovest del paese, infatti, ci sono oltre 770 associazioni, un terzo di quelle monitorate. La Lombardia guida la classifica, ne conta 496 (il 23,5% del totale nazionale). Poi il Lazio, l’Emilia Romagna e il Piemonte. Quasi 6 associazioni su dieci (59,7) hanno un numero di iscritti superiore a 10, ma che non supera le cento unità. Il 12% circa ha tra i 100 e 200 iscritti. Sono solo il 6%, infine, quelle che superano quota 500 iscritti. Secondo la ricerca gli scopi più diffusi delle associazioni sono due: 8 associazioni su dieci hanno come finalità quella di favorire l'integrazione dei migranti ma anche (73,9%) quella di promuovere le culture d'origine.

La crisi colpisce di riflesso soprattutto i più indifesi, i minori. Il dato di povertà assoluta per i bambini e i ragazzi nel nostro Paese è cresciuto del 35% arrivando a quota 1,4 milioni di unità. Lo rivela l'Istat che spiega come la condizione dei minori in povertà assoluta sia di fatto legata alla situazione di crisi del lavoro: i capifamiglia che restano senza lavoro. Il 55% dei minori in povertà assoluta (790 mila) vive in famiglie con genitori che hanno meno di 45 anni.

Silva Nesi

Ridecori di vita

Como, vent’anni di Garabombo, ambasciatori dell’equo e solidale


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Foto di gruppo per operatori e ospiti della Casa della Carità alla Marcia della pace Perugia-Assisi

fedele al mandato assegnatole proprio da Martini, ha organizzato un calendario di iniziative culturali aperte alla città, pensate integrando appositamente la sua anima civile e quella ecclesiastica. «Una serie di eventi - ha spiegato il presidente don Virginio Colmegna - all’insegna della cultura concreta, quella con i piedi per terra, legata alle attività di accoglienza che ogni giorno, dal 2004, portiamo avanti». Alla marcia della pace

Convegni e dibattiti, spettacoli e concerti, con ospiti come l’Arcivescovo Angelo Scola e il Sindaco Giuliano Pisa-

Casa della Carità, dieci anni di accoglienza di Paolo Riva

Forse non se lo sarebbe mai immaginato due anni fa

scheda Fondazione Casa della Carità Via Francesco Brambilla 10 Milano Centralino 02.25.935.201 - 337 Fax 02.25.935.235 Il centro d’ascolto è aperto dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 12.30.

quando è arrivato in Italia, eppure, Stephan, domenica 19 ottobre, era sul palco della Marcia per la Pace Perugia-Assisi. Ha parlato con emozione di fronte ai centomila partecipanti, raccontando con coraggio di sé, del suo viaggio e del suo Paese, quel Camerun che si è lasciato alle spalle, ma di cui ben conosce la tesa situazione politica legata agli sconfinamenti del gruppo terroristico nigeriano di Boko Haram. Stephan è un ospite della Casa della Carità. È una delle oltre 140 persone che ogni notte dorme in via Brambilla. E, soprattutto, è uno degli otto ospiti che, insieme a

quattro educatori, ha partecipato all’edizione 2014 della storica manifestazione pacifista. Dodici persone in tutto, una rappresentanza allegra e composita che, idealmente, ha portato a camminare con sé tutte le oltre 2mila persone, di 94 nazionalità diverse, che la Fondazione ha accolto dal 2004 ad oggi. Il 24 novembre, infatti, sono trascorsi esattamente dieci anni dalla nascita della Casa della Carità. Dieci anni da quando la struttura ha aperto le sue porte per accogliere chi è in difficoltà, “gli sprovveduti”, per usare le parole del Cardinal Martini che ha voluto la Fondazione prima di lasciare la Diocesi. Per festeggiare questo compleanno, la Casa della Carità,

Stephan, ospite della Casa della Carità, è salito sul palco della Marcia della Pace Perugia-Assisi per raccontare il suo viaggio dal Camerun a Milano

pia (in base allo statuto, garanti della Fondazione), Romano Prodi e Massimo Cacciari, padre Giovanni La Manna e don Luigi Ciotti. Un programma all’interno del quale si è inserito anche il viaggio per partecipare alla Marcia per la Pace. L’idea è venuta a Stefano, uno degli educatori di maggiore esperienza. «Da un lato - spiega - sentivamo l’esigenza di fare gruppo e tornare a fare una gita, un piccolo viaggio, insieme agli ospiti. Dall’altro, c’era la piena condivisione degli ideali alla base della manifestazione che, quest’anno, chiedeva di fare la luce sulle tante periferie del mondo dimenticate. Quelle lontane, ma anche quelle vicine, come quella in cui noi per primi operiamo». E così, i due pulmini della Casa sono partiti alla volta di Perugia con a bordo Ismail, Razzhak, Fatima, Johanna, Silvano, Abdelhadi, Timnit, Elisa, Ahmed, Iole e ovviamente Stephan, che è stato accompagnato sul palco proprio da Stefano. «Il giorno prima – continua l’educatore – Stephan era molto teso. Durante il viaggio era comprensibilmente agitato e ha fatto fatica ad addormentarsi. Poi, però, è stato veramente in gamba e ha fatto un gran bell’intervento». Una soddisfazione, per lui. Un orgoglio per gli educatori che lo accompagnano da qualche mese. Un regalo per i dieci anni della Casa della Carità. dicembre 2014 - gennaio 2015 Scarp de’ tenis

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Le persone in stato di difficoltà a cui Scarp de’ tenis ha dato lavoro nel 2013 (venditori-disegnatori-collaboratori). In 20 anni di storia ha aiutato oltre 800 persone a ritrovare la propria dignità

IL VENDITORE DEL MESE

Drissa, grazie ai soldi guadagnati con Scarp, per la prima volta dopo otto anni è tornato a casa a riabbracciare la mamma e la figlia

Drissa «Avevo perso la speranza Scarp mi ha ridato il sorriso» di Ettore Sutti

scheda

LECCO

Drissa vende Scarp de' tenis in tutte le parrocchie del decanato di Lecco. Nei mesi di dicembre e gennaio lo si può trovare nelle parrocchie di San Nicolò, San Giovanni, Ospedale di Lecco (Lecco), Civate, Olginate e San Francesco (Lecco).

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Drissa, 37 anni, è nato e vissuto in Costa d’Avorio fino al 2001, anno in cui a seguito dello scoppio della guerra civile nel suo Paese, fu costretto a scappare in Italia. Drissa si stabilisce a Napoli e da lì prima a Rosarno per la raccolta delle arance e più giù a Foggia per la raccolta di pomodori. Lavori duri. E pagati pochissimo. «Il peggio era a Rosarno – racconta – perchè le arance si raccolgono quando fa freddo. Ti pagavano pochissimo e dormivi in casolari abbandonati e senza finestre. In Puglia, almeno, faceva caldo». Tornato a Napoli Drissa trova un lavoro regolare e nel 2003 ottiene il permesso di soggiorno. Decide di spostarsi al Nord. Prima a Milano. Poi a Lecco. «Ho trovato lavoro in una ditta metalmeccanica – ricorda – e accoglienza al dormitorio comunale. Per diversi anni non ci sono stati problemi. Poi, un giorno è cambiato tutto». Già, perchè nel 2011 la ditta in cui lavora chiude. Fino al 2012 riesce ad andare avanti con la disoccupazione e con qualche lavoretto

in nero ma, a fine 2013, solo – il fratello è dovuto tornare in patria – e senza un soldo, finisce in strada. «Mi sono trasferito a Milano – ricorda Drissa –. Dormivo in stazione centrale. Ero a terra. Avevo perso ogni speranza». Idris però continua a mantenere i contatti con la vita di prima. Al mattino prende il treno per Lecco per poi tornare a Milano a dormire. E lì incontra don Egidio. «Grazie a lui ho conosciuto la Caritas e Scarp de’ tenis – racconta –. Ho accettato di buon grado di farne parte.

Scarp mi ha fatto tornare il sorriso. Ci sono state famiglie che mi hanno invitato a pranzo a casa loro. Hanno voluto sapere la mia storia, chi ero. Un regalo bellissimo. Fa sentire vivi». Ora Drissa ha una stanza dove dormire e un piccolo introito. Ma, intanto, un piccolo grande successo l’ha già ottenuto. «Grazie ai soldi guadagnati con Scarp – conclude – quest’anno per la prima volta dopo otto anni, sono tornato al mio Paese per riabbracciare mia mamma e la mia bimba. Un dono bellissimo».


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LA STORIA

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dicembre 2014 gennaio 2015 anno 19 numero 187

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