Sdt188

LA STORIA

TERRA DEI FUOCHI, LA CHIESA IN PRIMA LINEA CONTRO LE MAFIE

3,50 ada lla str e d e l si Il men

MAURIZIO MAGGIANI I DIECI COMANDAMENTI RACCONTATI DA GRANDI SCRITTORI

www.scarpdetenis.it

Beppe De Palo

Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

febbraio 2015 anno 19 numero 188

Nicolò “colpevole” di integrazione volontaria LA CONDIVISIONE E LA CIVILE CONVIVENZA COME STILE DI VITA. IL VIAGGIO TRA CASE APERTE, HOUSING SOCIALE E PROGETTI DI AIUTO PER FAMIGLIE A RISCHIO

EDITORIALE

Ioan è morto in strada Senza colpa. E ora?

LA PROVOCAZIONE

Il sogno di una convivenza dove tutti si sentano a “casa propria”

di don Roberto Davanzo

di Stefano Lampertico [

@stelamp ]

L’unica colpa di Ioan era quella di essere ubriaco. In quella notte, già fredda, in ottobre, a Cusano Milanino, alle porte di Milano, Ioan aveva bevuto troppo. Forse per scaldarsi. O forse, come succede a chi la notte la passa su un marciapiede o sotto un portico, perchè quello dell’alcol è un vizio impossibile da estirpare a certe condizioni.

ma, tutti guardano la scena impietriti. Ioan è lì immobile. I ragazzi si spaventano.

Scappano. Sono le 2.40 del 15 ottobre, quando il proprietario del pub torna per prendere una bottiglia per gli amici. Allerta i soccorsi, ma non c’è nulla da fare: Ioan muore dieci lunghe ore dopo, all’ospedale milanese di Niguarda. Dopo tre mesi le indagini dei carabinieri hanno spezzato il muro di omertà. Il resto lo farà la giustizia.

Si muore per strada.

Aggrediti, senza colpe; o per il rigore dell’inverno e il freddo. O perché, come ci racconta Ioan è morto in quella notuno studio te. È sfortunato. Si imbatte alfrancese, una l’uscita di un pub in un gruppo di C’è un altro dato scon- persona che vive ragazzi, tra i quali un giovane 22enne, incensurato, con un ca- fortante che, questa volta, in condizioni di ne, un dogo argentino. Ioan è ci arriva dalla Francia. Uno sfortunato. Perchè a quel gruppo studio molto recente ci dice che povertà ha una di ragazzi, e con qualche bicchie- in Francia – ma il risultato non aspettativa di vita rino di troppo nello stomaco, ri- cambia se scriviamo Italia – una inferiore di 28 anni volge la sua attenzione. Tende persona in condizioni di estreuna mano verso il cane del gio- ma povertà e disagio vive 28 an- rispetto alla media vane, forse vuole solo accarez- ni di meno rispetto alla media di chi sta bene. zarlo, ma il ragazzo lo allontana.

Insiste, dice di avere un parente in Romania esperto della razza, che li alleva, sa come trattarli. Ritenta. Il 22enne perde il controllo: gli salta addosso, calci, pugni, due forti colpi al cranio lo lasciano privo di sensi e con il volto insanguinato sul marciapiede.

Nessuno degli amici lo fer-

della popolazione francese. La speranza di vita infatti si ferma a soli 49 anni. Non solo. Lo

studio ci dice che, oltre a far vivere di meno, la strada fa invecchiare precocemente.

Scordiamoci allora una volta per tutte la figura del clochard romantico illuminato dalla luce fioca del lampione liberty. A chi oggi finisce in strada va concessa una via d’uscita, una possibilità di riscatto. Senza se e senza ma.

E anche alla svelta.

contatti Per commenti, idee, opinioni e proposte: mail scarp@coopoltre.it facebook scarp de tenis twitter @scarpdetenis www.scarpdetenis.it

La follia terrorista che ha insanguinato la Francia mi costringe ad aprire con queste riflessioni il primo numero di Scarp de’ tenis del nuovo anno. Il fatto che ad essere colpito sia stato un simbolo della libertà di espressione, non può non lasciare traccia su una realtà come il nostro giornale. Già, perché la straordinaria reazione corale di denuncia che ha fatto seguito alle azioni criminali deve lasciare ora lo spazio ad un sincero e coraggioso esame di coscienza rispetto per esempio: • alla concezione di una libertà di espressione che non può – specie quando assume la forma della satira - non tenere conto delle diverse sensibilità e culture e dunque non può pensarsi scevra da alcun vincolo; • alla necessità di non dimenticare mai che la stessa rivoluzione francese legò il principio della libertà a quelli dell’uguaglianza e della fraternità, orizzonti ben più impegnativi e responsabilizzanti, specie in un contesto di forti flussi migratori; • all’affinamento di un sempre più efficace dialogo, unica strategia capace di contrastare la barbarie.

Con l’augurio che lo scatto di orgoglio della nostra società, che si è espresso nelle grandi manifestazioni di questi giorni, possa preludere alla ricerca di un collante nuovo capace di tenere assieme i popoli della nostra Europa, ben al di là dei pur legittimi interessi economici. Un collante che potrebbe essere laicamente e oggettivamente riconosciuto nel patrimonio valoriale delle radici ebraico-cristiane del nostro continente. Ma anche col sogno obbligatorio di imparare a costruire una civile convivenza in grado di far sentire un po’ tutti “a casa propria”, senza mortificazioni ed umiliazioni per nessuno. febbraio 2015 Scarp de’ tenis

3

SOMMARIO

Un sacrificio per tutti Il prezzo di copertina passa a 3,50 euro Sappiamo che sarà per tutti i nostri affezionati lettori un grande sacrificio. Sappiamo che sono tempi difficili per tutti, tempi in cui la crisi morde i consumi delle famiglie e colpisce soprattutto i redditi più bassi.

Ma conosciamo anche la generosità di chi ci sostiene e ci compra tutti mesi, di chi ci cerca ogni domenica

sul sagrato della chiesa, in strada.

E conosciamo la generosità di chi accompagna i nostri venditori e i nostri diffusori in quello straordinario percorso di reinserimento sociale e di recupero dei fondamentali diritti di cittadinanza che permette molto spesso di ripartire. E di ricominciare guardare alla vita a testa alta.

Il prezzo di Scarp era bloccato ormai da molti anni. E nel tempo i costi di produzione, nonostante l’attenzione del lavoro di tutti, sono aumentati.

Come è aumentato il costo della carta, il costo del lavoro. All’aumento

del prezzo di copertina cerchiamo di rispondere con una qualità sempre più alta del giornale che avete tra le mani. Dal numero scorso abbiamo apportato, e ve ne sarete accorti, importanti cambiamenti sia nella parte grafica sia rispetto ai contenuti. Proponendo riflessioni di importanti firme del giornalismo e biografie e storie di chi la strada invece la vive ogni giorno. Perché Scarp in fondo è questo. Una miscela di contenuti, idee, proposte, provocazioni, storie. Che ne fanno un prodotto unico. Continuate a seguirci.

Quelli che dicono “la mia serva”, oh yes! Oh yes! Quelli che Quelli che organizzano tutto, oh yes! Quelli che perdono la

22

36

rubriche

servizi

PAG.7 (IN)VISIBILI di Paolo Lambruschi PAG.9 IL TAGLIO di Piero Colaprico PAG.11 LE STORIE DI MURA di Gianni Mura PAG.12 LA FOTO di Bruno Zanzottera PAG.14 PENNE PER SCARP di Maurizio Maggiani PAG.19 PIANI BASSI di Paolo Brivio PAG.20 LO SCAFFALE di Yamada PAG.21 VISIONI di Sandro Patè PAG.39 POESIE PAG.53 VOCI DALL’AMERICA di Damiano Beltrami PAG.65 SCIENZE di Federico Baglioni PAG.66 IL VENDITORE DEL MESE

PAG.22 L’INTERVISTA Ron: «Lucio, Mango, Pino. Quanti vuoti ci sono» PAG.24 COPERTINA L’integrazione dentro casa PAG.32 DOSSIER La sfida di Expo: spezzare il pane con gli ultimi PAG.36 LA STORIA Il tango? Si balla ad occhi chiusi PAG.40 INCHIESTA Terra dei fuochi, la Chiesa in prima linea PAG.43 VICENZA Alla guida del pedibus ci sono i rifugiati PAG.45 GENOVA Sempre più anziani: liguri “salvati” dagli immigrati PAG.46 REPORTAGE Bruxelles, Emilia: la scommessa di Giacomo PAG.48 VERONA Ritorno in Africa alla scoperta delle radici PAG.49 VENEZIA Il Patriarca al pranzo di Natale con gli homeless PAG.50 RIMINI Rinascere, grazie a una radio PAG.54 VENTUNO La palude della deflazione e gli effetti sui redditi PAG.58 VENTUNO Beni confiscati, tempi lunghi e burocrazia PAG.61 CALEIDOSCOPIO Incontri, laboratori, autobiografie PAG.62 NAPOLI Il ricordo di Pino Daniele PAG.64 COMO La colazione per gli homeless è gratis

Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it

4

24

Scarp de’ tenis febbraio 2015

Direttore responsabile Stefano Lampertico Redazione Ettore Sutti, Francesco Chiavarini, Paolo Brivio

Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli

Redazione di strada Roberto Guaglianone, Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Alessandro Pezzoni

40

da

lla stra sile de Il men

aforisma di Merafina Il libro Ci sono tante pagine che possono cambiare la tua vita e il mondo

www.scarpdetenis.it febbraio anno 19 numero 188

Cos’è

organizzano la marcia per la guerra, oh yes! guerra… per un pelo, oh yes! Oh yes! tributo a Enzo Jannacci

Scarp de’ tenis è un giornale di strada noprofit nato da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe. È un’impresa sociale che dà voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione.

Dove vanno i vostri 3,50 euro Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore.

Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Per contattarci

46

49

54

TOP 15

Libertà di stampa 1 2 3

32 Foto Beppe De Palo, Bruno Zanzottera, Stefano Rossini, Gianluca Rizzo.

Disegni Sergio Gerasi, Alessandro Mazzetti, Silva Nesi, Psichedelio, Giampaolo Zecca, Luigi Zetti.

dati 2014, fonte: Reporters sans frontieres

4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 39 49

Finlandia Olanda Norvegia Lussemburgo Andorra Liechtenstein Danimarca Islanda Nuova Zelanda Svezia Estonia Austria Repubblica Ceca Francia Italia

Progetto grafico Francesco Camagna Sito web Roberto Monevi Editore Oltre Soc. Coop. via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti

Direzione e redazione centrale - Milano Cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3 tel. 02.67479017 scarp@coopoltre.it Redazione Torino Casamangrovia, corso Novara 77, tel. 011.2475608 scarptorino@gmail.com Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12 tel. 010.5299528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Verona Il Samaritano, via dell’Artigianato 21 tel. 045.8250384 segreteria@ilsamaritanovr.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38 tel. 0444.304986 vicenza@scarpdetenis.net Redazione Venezia Caritas Venezia, Santa Croce 495/a tel. 041.5289888 info@caritasveneziana.it Redazione Rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69 tel 0541.780666 rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Il Samaritano, via Baracca 150/e tel. 055.3438680 samaritano@caritasfirenze.it Redazione Napoli Cooperativa sociale La Locomotiva largo Donnaregina 12, tel. 081.441507 scarp@lalocomotivaonlus.org Redazione Salerno Caritas Salerno, Via Bastioni 4 tel.089 226000 caritas@diocesisalerno.it

Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber via della Volta 179, 24124 Brescia

Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 1 febbraio al 28 febbraio 2015 febbraio 2015 Scarp de’ tenis

5

(IN)VISIBILI

Gli sceriffi di ritorno e la pancia del Belpaese Sotto l’etichetta guerra tra poveri può entrare tutto e il contrario di tutto. Per non di Paolo Lambruschi farsi etichettare, prima che sia tardi, Speravamo di esserci lasciati alle spalle il venten- bisogna cominciare nio “legge&ordine” e la sta- a ragionare. gione degli sceriffi. Stagione E cominciare memorabile e ideologica contro e non a favore degli ultimi. Quella a ragionare dei più dei tg e giornali inondati dalle no- deboli, e insieme tizie dei reati – i più odiosi – comcon i più deboli messi quotidianamente dai “clandestini” per compiacere il Palazzo e generare ansia nella popolazione. Quella delle ronde contro gli “extracomunitari” –sgonfiatesi in fretta, mancavano i volontari – , degli inutili pacchetti sicurezza, con norme smontate una alla volta dalla Corte costituzionale.

Quella della guerra agli invisibili, ai più deboli, ai diversi. Un caso su tutti, il tentativo abortito nel biennio 20082009 del Viminale di schedare i senza dimora. Per fortuna nel frattempo l’Istat e il mondo del volontariato hanno avviato un censimento decisamente più utile ai fini delle politiche sociali. Ma quegli anni da non dimenticare – e che non dimenticheremo, garantito – hanno lasciato, oltre a un sostrato di odio e intolleranza rilevabile soprattutto nel vile anonimato dei social network, strascichi incistati nei regolamenti e nelle ordinanze

scheda Paolo Lambruschi è nato a Milano nel 1966. Lavora ad Avvenire, come capo degli interni, dopo essere stato per tanti anni inviato. Ha diretto Scarp de’ tenis e il mensile di finanza etica Valori. Nel 2011 ha vinto il prestigioso premio giornalistico “Premiolino” per le inchieste sul traffico di esseri umani nel Sinai.

comunali, spesso applicati senza troppa umanità e buon senso.

Un esempio è la multa elevata sotto Natale a Padova, la città del sindaco leghista Bitonci, uno che si presenta come un duro, a un clochard 48enne di origini torinesi rimasto senza lavoro e costretto a vivere per strada e a mendicare.

«Si sdraiava a terra sul marciapiede utilizzandolo come giaciglio per dormire. Nell’occasione utilizzava cartoni e coperte che venivano fatte rimuovere», recita il verbale della contravvenzione.

E fare intervenire, che so, unità di strada o operatori specializzati per convincerlo a non dormire all’addiaccio con il suo carico di disperazione prima di multarlo?

Tempo perso. Sulla stampa locale la giunta patavina, centrodestra, ha fatto presente che i vigili hanno applicato una norma del regolamento di polizia municipale.

Appunto. Che, però vieta sì di “sedersi o sdraiarsi per terra in luoghi diversi da parchi, giardini pubblici ed argini”, ma fatto salvo “diversa prescrizione dell'Amministrazione”. Che non c‘è stata. Illuminante la versione ufficiale; “la persona è stata multata perché malgrado fosse stato invitato più volte ad andare in una struttura, non solo ha rifiutato, ma ha assunto atteggiamenti che hanno provocato la segnalazione dei residenti”. Invitata, non convinta.

Chissà se la multa è stata pagata e da chi. Certo, quei cittadini si

sentiranno più sicuri. Una curiosità: la notte del 24 dicembre, dopo la Messa, almeno un pensierino per quel cristiano cacciato dai suoi cartoni li ha sfiorati?

Anche a Saluzzo, guidata dal centrosinistra, non si scappa. Specie se si vive da anni come Marc, marsigliese di 55 anni, su un furgone assicurato, e – ahi non revisionato, anche se parcheggiato stabilmente.

Qui lo zelante vigile gli ha elevato 338 euro per il parcheggio, 157 per patente scaduta e 100 aver girato senza condurre la cagnetta al guinzaglio, come da regolamento. In questo caso sappiamo che almeno la cittadinanza è stata solidale e ha fatto una colletta per estinguere le pendenze del clochard mentre il sindaco Calderoni si è beccato un Tapiro. Almeno lui ha ammesso che il vigile doveva girarsi dall’altra parte.

Segnali inquietanti del ritorno di una stagione che, tutto sommato, ci ha fatto perdere anni preziosi, lasciando un’Italia invecchiata e rancorosa. Domandiamoci

se oggi, con i jihadisti in agguato, ci sentiamo più sicuri. O se invece gli sceriffi non ci abbiano preso in giro mirando ai poveri, il bersaglio più facile e comodo per rassicurare la pancia del Belpaese.

febbraio 2015 Scarp de’ tenis

7

Un sereno soggiorno nel cuore della natura piÚ bella, da oltre mezzo secolo al vostro servizio A Costa Costa Valle Va Valle Imagna Bergamo Imagna, in provincia di Bergamo (950 m s.l.m.) ai piedi del monte Resegone, circondato dal verde e dall’incantevole scenario realpi O robie, si trova, in posizione delle P Prealpi Orobie splendidamente panoramica e tranquilla, esidence H otel P rimula. il R Residence Hotel Primula L’hotel, dotato di ampi spazi comuni, sala ristorante interna tipica, sala lettura con caminetto, bar caffetteria, solarium al qquuarto piano e pineta, vi offre il meglio per le vostre vacanze.

Dispone di camere doppie, singole e suite con servizi, TV-sat, cassaforte, telefono diretto, phon, ascensore, biblioteca, servizio lavanderia, SDUUXFFKLHUD ÀVLRWHUDSLVWD H EXV QDYHWWD

Solarium

Residence Hotel Primula

Via XXIV maggio, 104 24030 Costa Valle Imagna Imag (Bergamo) Per informazioni: tel. e fax 035.865.277 cell. 3487814942 info@primulahotel.it www.primulahotel.it

CA R M I N T I STA M PATOR E A LM Ăˆ BG 035541662 R I PRODUZ ION E V I ETATA

33HU OD WHU]D HWj DXWRVXIĂ€FLHQWL H SDU]LDOPHQWH HU OD WHU]D HWj DXWRVXIĂ€FLHQWL H SDU]LDOPHQWH QRQ DXWRVXIĂ€FLHQWL QRQ DXWRVXIĂ€FLHQWL A Assistenza ssistenza aalla lla pe persona rsona 24 24 ore ore su su 2244

L’hotel è gestito direttamente dalla famiglia Brumana; mamma Pia, che si occupa dellla cucina vi vizierà con i suoi deliziosi manicaretti.

Alla reception Sara vi accoglierĂ al vostro arrivo in hotel.

Andrea, laureato in scienze infermieristiche, responsabile del servizio di assistenza, sempre a disposizione per qquualsiasi vostra necessitĂ .

Marta, la piccola di casa, iscritta all’istituto alberghiero, addetta al servizio bar e ad organizzare passeggiate per ffaarvi ammirare le bellezze della nostra natura.

Il tutto sapientemente diretto da papĂ Mario.

Tutta la fa famiglia ed il personale saranno costantemente impegnatii perchĂŠ vi sentiate a vostro agio, protetti, in un clima caloroso e sereno.

IL TAGLIO

Quella zona grigia dentro i nemici della libertà di pensiero Ai vecchi cronisti capita anche di trovare strambe analogie. La grande manifestazione

Esiste una zona grigia, dentro i nuovi assassini, dentro silenzio talmente importan- i nemici della te da non essere spezzato, libertà di pensiero: ricordava un altro silenzio.

C'era meno gente in piazza del le biografie rivelano Duomo, dicembre 1969, ma erano rapper mancati 300 mila i milanesi con un messagperché scrivevano gio esplicito indirizzato a chi aveva messo la bomba in piazza Fontana: nelle metropoli no, non ci stiamo alla ferocia, alle e nelle città di m. stragi, alla violenza politica. strofe troppo banali, Quello di Parigi nel 2015 constorie d'immigrati tro la redazione di "Charlie Hebdo" è stato il più grave atto di ter- schiantati dal fatto rorismo dal dopoguerra in Francia, così come quello di Milano di non saper fare alla banca dell'Agricoltura lo fu in niente, sono emerse Italia. No alla paura, non siamo con i mitra e il tritolo come voi, vi sconfiggeremo, presto o tardi, ma siete finiti, questo persone che la vita mandarono e mandano a dire le sociale e le città folle delle persone comuni agli as- moderne avevano sassini, e ai loro amici, complici e emarginato e lasciato mandanti.

Un antico proverbio cinese, ci- senza amici

popolare di Parigi, senza una bandiera e senza un simbolo di partito, con tutte quelle matite, con i cartelli «Io sono Charlie», con quel

di Piero Colaprico

scheda Piero Colaprico (Putignano 1957), giornalista e scrittore, vive a Milano dal 1976. È inviato speciale di Repubblica, si occupa di giustizia e di cronaca nera. Ha scritto alcuni romanzi, tra cui Trilogia della città di M. (2004), vincitore del Premio Scerbanenco. Una penna tagliente. Come questa rubrica che cura per Scarp.

tato da Hannah Arendt, dice che «Vivere un’epoca interessante è una maledizione». Oggi è il tempo di maledizioni, come quella che si è beccata Salman Rushdie. Dopo un capolavoro come «I figli della mezzanotte» scrisse «Versetti satanici», libro così così, ma destinato a dargli la massima visibilità mondiale: perché – e questa storia non va dimenticata, mentre a Parigi vengono uccisi uomini perché usavano la matita, il cervello e il cuore – l'iman iraniano Khomeini emanò una fatwa contro lo scrittore, un privato cittadino aggiunse una ricca taglia, il suo traduttore giapponese venne ammazzato dagli iraniani, il tradutto-

re italiano ferito, così come l’editore norvegese, mentre Rushdie da allora vive, sì, vive, ma sotto scorta.

Per troppo tempo, la “zona grigia” che c’è tra l’intolleranza ottusa dei capi religiosi e la rabbia dei tagliagole islamisti è stata ignorata: ora lo è di meno. Ma esiste

un'altra zona grigia, dentro i nuovi assassini, dentro i nemici della libertà di pensiero: le biografie rivelano rapper mancati perché scrivevano nelle metropoli e nelle città di m. strofe troppo banali, storie d'immigrati schiantati dal fatto di non saper fare niente, sono emerse con i mitra e il tritolo persone che la vita sociale e le città moderne avevano emarginato e lasciato senza amici, sono esseri umani usciti sconfitti dalla giovinezza, ventenni e trentenni che non immaginano più di poter diventare vecchi.

Non fanno analisi, come succedeva ai vecchi terroristi europei, con le loro risoluzioni strategiche.

Vogliono soprattutto "essere qualcuno", vogliono lo stesso quarto d'ora di popolarità della società dello spettacolo, la "visibilità " senza meriti. E infatti la via più breve non è costruire, è distruggere e autodistruggersi, è sentirsi chiamati da Dio e fare lo stesso dei nazisti: non dicono infatti, nazisti e islamisti, che Dio è con loro? E tanto gli basta, lo rivendicano nelle auto-interviste. Ma quale ter-

rore? Questo è puro orrore.

Perciò ai vecchi giornalisti capita di pensare che definire questi criminali dell’Is, o di Al Qaeda, terroristi è fargli un bel favore. Il terrore e i terroristi sono una cosa, l’orrore è un’altra cosa. Forse bisogna trovare altre parole, per gli orroristi della porta accanto. febbraio 2015 Scarp de’ tenis

9

MOVIES, COMICS & GAMES

13-14-15 MARZO 2015 O H R O N A L I M A FIER SUD e T S E I S S E R ING

0 2 / 6 1 .

PAD 19.30

SC ON BU O Va NO lid

WWW.CARTOOMICS.IT

o da pe in pr r un bi es in gl en g ie ta re t t e r e ss ria o

TO

€

2

E L L A 0 3 .

9 E L L DA

LE STORIE DI MURA

Elseid Hysaj, il figlio di Gzim, il muratore, ora è un campione

di Gianni Mura

Un’altra storia di calcio, che in parte ricorda la prima, quella di Evra. Un altro terzino sinistro, ma molto più giovane e senza lunghi viaggi alle spalle. Il Parigi-Marsala-Monza-NizzaMontecarlo-Manchester-Torino di Evra non è paragonabile al Tirana- Firenze, in aereo, di Elseid Hysaj, albanese, nato a Shkoder (Scutari) il 2 febbraio 1994. C’è un gommone di

mezzo, quello su cui sale Gzim,suo padre, nella primavera del ’94, con la speranza di non essere respinto alla base come accadde la prima volta. Quel viaggio Gzim lo ricorderà tutta la vita, e non solo perché gli era costato quattro milioni (in lire). Perché il mare era molto mosso, onde di sei-sette metri, chi cadeva in mare era morto. Ma le porte dell’Italia stavolta si aprono. Gzim, muratore di mestiere, va a Firenze, dove ha amici che lo possono introdurre nel mondo del lavoro. è partito da solo, la moglie è rimasta a Scutari, deve badare ai figli e ai genitori, anziani.

A Gzim piace lo sport. Tifa Inter, segue il tennis. Al figlio ha

C’è un gommone di mezzo, quello su cui sale Gzim, suo padre, nella primavera del ’94, con la speranza di non essere respinto alla base come accadde la prima volta. Quel viaggio Gzim lo ricorderà tutta la vita, e non solo perché gli era costato quattro milioni (in lire).

Perché il mare era molto mosso e chi cadeva era morto

scheda Gianni Mura è nato a Milano nel 1945. Giornalista e scrittore. Su Repubblica cura la rubrica Sette giorni di cattivi pensieri, nella quale – parlando di sport, s’intende – giudica il mondo intero.

In questa rubrica racconta invece le storie di sport che, altrove, faticherebbero a trovare spazio.

trasmesso il tifo per l’Inter, Elseid gioca a pallone e promette bene, ma è ancora un bambino.

Un giorno Gzim è chiamato a fare dei lavori in casa di Marco Piccioli, procuratore sportivo, e tra un muretto da tirare su e un caffè da mandare giù gli parla di quel figlio calciatore. Non si potrebbe fargli un provino? «Quanti anni ha?» chiede Piccioli. «Dieci». «Troppo presto. Possiamo riparlarne quando ne ha compiuti 14». Si scambiano i numeri di telefono.

A risentirci. Passano quattro anni e Gzim chiama Piccioli, che ha scordato l’episodio. Gzim glielo ricorda. E Piccioli mantiene la parola. Due provini in due giorni, Fiorentina e poi Empoli.

Gzim s’è messo in proprio Il ragazzino ci sa fare, la Fiorentina lo prenderebbe ma tarda a rispondere per qualche impiccio burocratico. L’Empoli no, lo acchiappa al volo, gli fa firmare un contratto, lo inserisce nelle giovanili dove fa tutta la trafila.

L’Empoli l’anno scorso è promosso in A, Hysaj è una co-

lonna della difesa, terzino destro che può stare anche a sinistra. Il mese scorso ha rinnovato il contratto fino al giugno 2017. Ed è stato uno dei più giovani debuttanti nella nazionale albanese, a 18 anni. Con qualche soddisfazione: 1-1 con la Francia di Pogba in amichevole,

ma soprattutto vittoria 1-0 in casa del Portogallo di Cristiano Ronaldo, una vittoria che pesa nella qualificazione per i campionati europei. Tra l’altro, ct dell’Albania è un italiano, Gianni De Biasi.

L’Empoli ha un bravo allenatore, Maurizio Sarri, che crede nei giovani. Obiettivo salvezza, oltre alla valorizzazione dei giovani. Hysaj è già nel mirino di alcune squadre più ricche: in Italia la Lazio, in Francia Lilla e Lione, in Germania Bayer Leverkusen.

Fisico atletico (1.80 x 70 kg), grande corsa, deve migliorare nell’autocontrollo perché il suo gioco esuberante lo porta a collezionare cartellini gialli, e qualche rosso. Parla un ottimo italiano con accento toscano. Il suo idolo calcistico è Javier Zanetti ma il punto di riferimento è Igli Tare, direttore sportivo della Lazio, albanese come lui. «Ha ben rappresentato l’Albania quando in tanti facevano a gara a parlarne male. Ogni tanto ci sentiamo, mi dà dei consigli». Quanto a

Gzim, da un po’ s’è messo in proprio. Ha una sua aziendina e non si perde una partita dell’Empoli. La gomma serve per cancellare ma il gommone per costruire, quando tutto va per il verso giusto.

febbraio 2015 Scarp de’ tenis

11

12 Scarp de’ tenis febbraio 2015

LA FOTO

di Bruno Zanzottera

scheda Bruno Zanzottera, fotografo, è l’autore di “Il frate e il califfo”, storia di amicizia oltre ogni frontiera, mostra fotografica che racconta il viaggio di alcuni malati di Kiota verso l'ospedale di Tanguiéta.

Realizzata dal Gruppo Solidarietà Africa di Seregno, può essere richiesta a: gsafrica@tin.it

Fra’ Fiorenzo Paoli è un frate e un chirurgo. Sta a Tanguiéta, nel Benin, dirige l’ospedale Saint Jean de Dieu dei Fatebenefratelli.

Moussa Aboubakar Hassoumi è il califfo di Kiota, in Niger. In quasi trent’anni, come già fece suo padre, ha inviato centinaia di malati a Tanguiéta.

Fra’ Fiorenzo Paoli abbraccia un malato mandatogli dal Califfo Moussa Aboubakar

1.090,35 mln È il dato relativo al numero di persone che vivono nel continente africano. Il dato si riferisce al 2012, ma le stime sono in aumento

53% La stima relativa alla popolazione africana di fede musulmana

30% La stima relativa alla popolazione del Benin – il Paese in cui lavora Fra’ Paoli – di fede cristiana

febbraio 2015 Scarp de’ tenis

13

Maurizio Maggiani, non desiderare la donna d’altri

Se non c’è malizia, è libertà di Maurizio Maggiani

scheda Maurizio Maggiani (Castelnuovo di Magra 1951) con Feltrinelli ha pubblicato Vi ho già tutti sognato una volta (1990), Felice alla guerra(1992), Il coraggio del pettirosso (1995, premi Viareggio Rèpaci e Campiello 1995), màuri màuri (1996), La regina disadorna (1998, premi Alassio e Stresa per la Narrativa 1999), È stata una vertigine (2002, Il viaggiatore notturno (2005, Mi sono perso a Genova(2007), Meccanica celeste (2010), Quello che ancora vive (2011) e I figli della Repubblica. Un'invettiva (2014).

14 Scarp de’ tenis febbraio 2015

Le Tavole delle Legge. E questa antica e santa legge è fatta di dieci comandamenti, che di più sarebbero anche difficili da ricordare. Dieci è un buon numero, dieci sta nelle dita delle mani, dieci lo puoi portare sempre con te.

E bastano dieci comandamenti, bastano e avanzano. Forse ne basterebbero anche di meno. C’è persino una certa prolissità in quei dieci comandamenti. Forse perché l’amanuense, il vecchio Mosè, non era così fiducioso come alla sua gente sarebbe piaciuto che fosse, e voleva che quei comandamenti si ficcassero chiari e tondi nelle zucche del suo riottoso popolo. Quando si ha poca fiducia nel popolo si tende sempre alla prolissità.

Tanto per dire, il terzo comandamento, che i cattolici oggi sintetizzano blandamente con Ricordati di santificare le feste, e che viene perlopiù ottemperato vedendo di fare una scappatina in chiesa per la Messa, Mosè lo aveva ingiunto con grande puntiglio di particolari. Osserva il giorno di sabato per santificarlo, come il Signore Dio tuo ti ha comandato. Sei giorni faticherai e farai ogni lavoro, ma il settimo giorno è il sabato per il Signore tuo Dio: non fare lavoro alcuno né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bue, né il tuo asino, né alcuna delle tue bestie, né il forestiero, che sta entro le tue porte, perché il tuo schiavo e la tua schiava si riposino come te. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d'Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato.

Mosè temeva le scappatoie, subornava negli uomini la malizia e l’ingegno nel cavillare e nell’evadere. Dunque si dilungava, specificava.

Faceva bene, immagino. O forse no, forse bisogna avere più fiducia negli uomini. I cristiani dovrebbero averne. Infatti il Cristo, che nel popolo era assai più fiducioso di Mosè, di dieci comandamenti ne ha fatto due soli e assai sintetici.

«Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti». Tutto il resto viene da sé.

Viene da sé se il cuore è sgombro dalla malizia.

Il Cristo pensava che sì, che chi lo stava ad ascoltare, chi prendeva e se ne andava con lui era tutta gente che avrebbe potuto liberarsi dalla malizia, da tutto quello schifo che gli uomini si portano in saccoccia nella stupida ma inveterata idea di farla franca.

Forse che la donna è di qualcuno?

Detto ciò, a me ‘sta Tavola delle Leggi, ‘sti Dieci comandamenti, versione deuteronomica e versione catechistica stessa storia, destano, come dire, più di una perplessità. E una virulenta avversione almeno per uno, per l’ultimo deuteronomico che è diventato il penultimo del catechismo.

Deuteronomio ebraico: Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo.

Tradizione cattolica dal Deuteronomio Non desiderare la moglie del tuo prossimo.

Non desiderare la casa del tuo prossimo... né alcuna delle cose che sono del tuo prossimo.

Catechismo: 9, Non desiderare la donna d'altri.

10, Non desiderare la roba d'altri.

Leggere con attenzione e meditare. C’è stata qualche revisione dunque nel corso dei millenni. Prima hanno messo un a capo, poi hanno fatto lo scorporo. Per pudore, immagino, per non farla troppo grossa. Ma resta il fatto, la sostanza. Il fatto è che per il vecchio Mosè la

PENNE PER SCARP

illustrazione di Giampaolo Zecca

donna, l’asino, i campi, sono tutta roba. Roba di proprietà. Le donne, i somari e gli orti sempre, i maschi solo quando sono schiavi. Insidiare la donna d’altri è un peccato contro la proprietà.

Come portarsi via un bue, un po’ peggio che rubare un grappolo d’uva, c’è da immaginare, come portargli via uno schiavo, più o meno.

Non commenterei.

Ma non è che le cose siano andate migliorando davvero. Si è messo un a capo, forse ce l’ha messo Girolamo, quell’intelligentone grecista iracondo e governativo, peccatore impudente; ma ora non mi sovviene e dovrei andare a leggermi la Vulgata che non so più dove è andata a finire. Quell’a capo comunque ha facilitato il lavoro dei politici assisi nelle poltrone del concilio di Trento. Assodato che la donna avesse una qualche forma di anima, ci hanno ragionato su e hanno stabilito che la donna non è roba, non proprio. Non come il bue o il campo. Di schiavi non se ne parla, si tralasciano, e non perché al tempo non ce n’era e non ce li avessero i buoni cristiani; diciamo che non era roba il cui possesso fosse vivamente raccomandato, almeno in circostanze normali. C’è stato addirittura chi ha avanzato il sospetto che possedere schiavi fosse peccato. Lo era, lo era, ma come pensava Mosè, la malizia è sempre lì che la fa da padrona. E così la malizia si affaccia anche nel catechismo cat-

Abbiamo chiesto a dieci grandi scrittori un racconto per ogni comandamento.

Sul prossimo numero Non desiderare la roba d’altri di Eraldo Affinati

Cosa vogliamo mettere in testa ai ragazzini e alle ragazzine?

Forse che la donna è di qualcuno?

Forse che anche adesso che ha la sua anima rimane pur sempre una proprietà?

tolico, in quella parte che chiamiamo ancora, adulti e bambini, “andare a dottrina”.

Non desiderare la donna d’altri.

Perché non desiderare la donna d’altri? Cosa vogliamo mettere in testa a ragazzini, alle ragazzine? Forse che la donna è di qualcuno? Forse che anche adesso che ha la sua anima rimane pur sempre una proprietà? Io sono mia non è uno slogan femminista, mi sembra più che altro un semplice, ineludibile dato di fatto. Del resto anch’io sono mio. E se così non fosse, perché non c’è nel catechismo un comandamento appropriato alla mia condizione maschile: non desiderare l’uomo d’altre?

Legarsi, un gesto di santità

Io lo so che non c’è niente di più bello che promettersi e legarsi. È un gesto di straordinaria libertà. Un gesto di santità, se posso permettermi.

Se è libera promessa, se è libero legame. La libertà è là dove c’è assenza di malizia, la libertà è casta. E solo la libertà lo è.

Detto ciò, vorrei dire una parola su un comandamento che a me piace un sacco, ma così com’è è un po’ troppo stringato, Non commettere atti impuri.

In questo caso una certa prolissità gli andrebbe a rendere giustizia. Perché bisogna intenderci sugli atti impuri. Che sono, per come la vedo io, gli atti, e i pensieri, della malizia. Non mi si venga a dire che se un ragazzino si tocca il pisello, il suo è un atto della malizia, per favore, no.

In lui, in lei, abita la castità delle colombe. Che, e il Cristo che era sempre per strada e per campi le vedeva bene le colombe, hanno una vita sessuale gioiosa e spensierata. Invece se insidi l’uomo promesso a un’altra, quella roba lì invece sì che può grondare malizia. Ma anche dare e ricevere una mazzetta è un atto di impurissima malizia.

Anche inquinare un torrente, e lasciare il rubinetto aperto e la luce accesa, penso io. E votare una legge stupida o cattiva è un atto impuro, e anche preparare un cibo cattivo lo è. E ancora, ancora; se prima di metterci a letto la sera, guardassimo con attenzione le nostre mani, quanto sapone dovremmo metterci sopra per riportarle non dico alla purezza, ma anche solo alla decenza? Ci vorrebbe un undicesimo comandamento: non desiderare le mani d’altri.

Mah, in sostanza bisogna che qualcuno di quelli che contano metta mano il più presto possibile ai Dieci Comandamenti. Bisogna che lo faccia per amore d’Iddio e per amore degli uomini. febbraio 2015 Scarp de’ tenis

15

IN BREVE

europa Un reddito minimo per l’Europa sociale

di Enrico Panero Non basta parlare di “modello sociale europeo”, servono misure concrete per garantire un’Europa sociale e coesa: ad esempio, una direttiva-quadro su adeguati regimi di reddito minimo. Questa la sollecitazione rivolta ai responsabili dell’Ue dai partecipanti alla Conferenza europea di alto livello sugli schemi di reddito minimo, svoltasi a Bruxelles su iniziativa dell’European Minimum Income Network (Emin), la Rete che promuove lo scambio di buone prassi in materia di reddito minimo. Tra i 30 Paesi in cui è attiva, solo Italia e Grecia non dispongono di un sistema di reddito minimo, ma le differenze tra i Paesi sono molte. Si va da 22 euro in Bulgaria a 1.433 euro in Danimarca per una sola persona, e da 100 euro in Polonia a 3.808 euro in Danimarca per una coppia con due figli. Profonde anche le differenze tra le misure adottate, così da determinare una cittadinanza sociale diseguale nel territorio dell’Ue. Eppure il «diritto alla protezione sociale e a standard di vita dignitosi per tutti i cittadini che risiedono nei Paesi dell’Ue» è sancito dall’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Certo, si tratta di una materia in cui non esistono soluzioni standard, valide sempre e per ogni contesto ma regimi di reddito minimo adeguati ed accessibili sono utili non solo per le persone che ne hanno bisogno, ma anche per gli effetti positivi in termini di stabilizzazione economica e di coesione sociale, di cui l’Europa ha gran bisogno.

Info http://emin-eu.net

16 Scarp de’ tenis febbraio 2015

tamento, aperto a tutta la cittadinanza. Con la redazione vicentina di Scarp de' tenis, il vicariato Caritas cittadino invita a scoprire attraverso le parole di persone senza dimora e di carcerati, realtà di disperazione e sofferenza, ma anche di speranza, riscatto e ritorno alla vita. Ap-

Il reading del riscatto curato da Scarp a Vicenza La Giornata di animazione alla prossimità evangelica è un evento Caritas

puntamento il 28 febbraio 2015, parrocchia di San Lazzaro in via Da Palestrina 82, alle 21 con il reading “Le strade del riscatto” a cura di Scarp de’ tenis

e si celebra annualmente in una delle domeniche di Quaresima. Si tratta del momento in cui la Caritas invita alla carità evangelica attraverso la preghiera e la conoscenza dei “servizi segno”, allo scopo di sostenere e incentivare il volontariato di ispirazione cristiana. Quest'anno a Vicenza si sperimenta un nuovo appun-

Vicenza con la collaborazione dei musicisti Bruno Montorio e Bobo Righi e della regista Manuela Frontoni. Dopo lo spettacolo la degustazione di dolci prodotti dalla cooperativa sociale "Saldo & Mecc", che opera all'interno della Casa Circondariale di Vicenza per dare occasioni di lavoro alle persone ristrette.

street art L’artista che illustra i sogni degli homeless Skid Robot è il nome dello street artist che disegna i sogni dei clochard, inventando dei mondi fantastici nei quali, secondo Skid, immaginano di trovarsi quando cala la notte. Skid ha cominciato ad andare in giro per le città americane a disegnare (mai senza barrette di cioccolato e qualche bene di prima necessità di cui i clochard possono aver bisogno, oltre a kit di pronto soccorso) palazzi da sultani, automobili lussuose, camere da letto da sogno: sono queste le ambientazioni in cui l’artista americano decide di calare i senzatetto che incontra per strada. Lo street artist prima di cominciare a disegnare intorno alle sagome dei senza dimora ci chiacchiera un bel po' per guadagnarsi la fiducia e avere il loro permesso. Le sue illustrazioni stanno portando un po' di attenzione sulle persone che vivono in strada: sono sempre di più a fermarsi per guardare i sogni degli invisibili.

Le opere di Skid Robot: skidrobot.tumblr.com

on

off

Le associazioni migranti crescono nel nostro Paese

Cresce la povertà minorile, colpa della perdita del lavoro

Sono oltre 2 mila, hanno quasi tutte meno di 15 anni e si occupano principalmente di integrazione. Il centro studi e ricerche Idos ha mappato le associazioni di migranti presenti in Italia. E' il Nord Italia ad accogliere la maggior parte delle associazioni. Solo nel Nord Ovest del paese, infatti, ci sono oltre 770 associazioni, un terzo di quelle monitorate. La Lombardia guida la classifica, ne conta 496 (il 23,5% del totale nazionale). Poi il Lazio, l’Emilia Romagna e il Piemonte. Quasi 6 associazioni su dieci (59,7) hanno un numero di iscritti superiore a 10, ma che non supera le cento unità. Il 12% circa ha tra i 100 e 200 iscritti. Sono solo il 6%, infine, quelle che superano quota 500 iscritti. Secondo la ricerca gli scopi più diffusi delle associazioni sono due: 8 associazioni su dieci hanno come finalità quella di favorire l'integrazione dei migranti ma anche (73,9%) quella di promuovere le culture d'origine.

La crisi colpisce di riflesso soprattutto i più indifesi, i minori. Il dato di povertà assoluta per i bambini e i ragazzi nel nostro Paese è cresciuto del 35% arrivando a quota 1,4 milioni di unità. Lo rivela l'Istat che spiega come la condizione dei minori in povertà assoluta sia di fatto legata alla situazione di crisi del lavoro: i capifamiglia che restano senza lavoro. Il 55% dei minori in povertà assoluta (790 mila) vive in famiglie con genitori che hanno meno di 45 anni.

[ pagine a cura di Daniela Palumbo ]

Antartide, quadrante neozelandese (novembre-dicembre 1976)

Stop Slot Dal carcere il no al gioco d’azzardo

Milano, una mostra dedicata a Walter Bonatti Per la prima volta una mostra tutta dedicata a Walter Bonatti, alpinista, giornalista, viaggiatore, uomo di grandi passioni. Walter Bonatti nasce a Bergamo nel 1930. Il 1951 è l'anno della sua prima grande impresa alpinistica: con Luciano Ghigo scala la parete est del Grand Capucin nel gruppo del Monte Bianco. Poi il K2 e il Petit Dru del Monte Bianco. Nel 1965 scala in solitaria la parete nord del Cervino aprendo una nuova via. È la sua ultima impresa di alpinista estremo. Si dedicherà all’esplorazione come inviato del settimanale Epoca, fino al 1979. Muore a Roma il 13 settembre 2011, all’età di 81 anni. Fino all'8 marzo 2015. www.palazzodellaragionefotografia.it

mi riguarda Abuso sessuale sui minori, come favorire l’ascolto

pillole homeless Il sindaco di Londra e il magnate russo, “senza dimora” per una notte È per il progetto No Second Night Out che il sindaco di Londra Boris Johnson e Evgeny Lebedev, proprietario di Indipendent e Evening Standard, si sono ritrovati a passare una notte sul marciapiede di Gresham Street, nei pressi di St.Paul Cathedral, dentro a un sacco a pelo e coperti da cartoni. L’intento? Simbolico, per sensibilizzare i londinesi al supporto per i veterani senza dimora, in collaborazione con la campagna Homeless Veterans.

«Le persone che hanno servito il nostro paese nelle situazioni più difficili meritano tutto l’aiuto che possiamo dare loro«, ha detto il sindaco Johnson. «Abbiamo fatto grandi progressi nel ridurre drasticamente il numero dei veterani nelle strade negli ultimi due decenni (nonostante il numero dei senzatetto in generale sia incrementato del 13% nel 2013 secondo il Guardian),ma è tragico notare quanti di loro siano ancora lì». [ Alessia Cantù]

Il Centro Studi Erickson di Trento organizza il 27 e il 28 febbraio 2015 un corso sul trauma dell’abuso sui minori. La sessione formativa intende mettere insegnanti ed educatori nelle condizioni di saper cogliere i segnali dell’abuso ed essere in grado di applicare i principi dell’ascolto attivo. Secondo i dati forniti dalla Polizia di Stato, nel 2009, gli Uffici Minori delle Questure italiane hanno rilevato 4.755 casi di violenza sessuale, di cui 311 a danno di minori di 14 anni e 469 casi di atti sessuali con minorenni, come riportato dall’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, www.osservatoriopedofilia.gov.it.

Al terzo Congresso mondiale sullo sfruttamento sessuale dei minori di Rio de Janeiro nel 2008, è emerso che sono 150 milioni le bambine e circa 75 milioni gli under 18 che hanno avuto rapporti sessuali forzati nella loro vita.

Info formazione@erickson.it

Stop Slot: i giovani detenuti del carcere minorile di Milano hanno ideato e realizzato il logo, si tratta di una vetrofania dell’impronta di una mano gialla con un foro al centro. Una bella immagine da incollare all’ingresso degli esercizi commerciali, dopo la mano gialla dello Stop si nota la scritta: Questo negozio NON promuove il gioco di azzardo.

Un’immagine insolita che si nota subito e il cui colore giallo richiama, non a caso, quello dell’oro. La campagna con la mano gialla è una iniziativa del Comune di Milano e fa parte della campagna contro la diffusione del gioco d’azzardo patologica promossa dallo stesso Comune che ha chiesto il coinvolgimento degli studenti dell’Istituto penale minorile Beccaria.

L’arte di annodare i tappeti, memoria collettiva L’allestimento Calpestare la Guerra - fino al primo marzo alla Casa d’Arte Futurista Depero presenta parte di una delle maggiori collezioni d’Europa di tappeti di guerra. Il museo dedicato alla creatività di Fortunato Depero ospita 50 tappeti di guerra provenienti dall’Afghanistan, prodotti a partire dal 1979, a seguito dell’invasione sovietica.

Realizzati tradizionalmente dai maestri annodatori, per uso domestico, i tappeti rappresentano la memoria collettiva e l’arte dei diversi gruppi etnici che, disorganicamente, compongono la popolazione dell’Afghanistan.

Insieme ai tappeti, in mostra a Casa Depero i “fazzoletti della pace”, realizzati da donne e bambini, rappresentano scene della vita quotidiana di chi vive la guerra come condizione abituale.

Info info@mart.trento.it

febbraio 2015 Scarp de’ tenis

17

IN BREVE

INTERVISTA

Fino a quando la mia stella brillerà Era una sera come le altre: settembre del 1938. Il papà Alberto disse alla sua Liliana che non potrà più andare a scuola.

Perché? Cosa ho fatto? È la prima reazione di Liliana, che ha otto anni. Non aveva fatto nulla, era ebrea. Iniziano le leggi razziali in Italia e Liliana, come tutti i bambini ebrei, diventa diversa. Ma lei non sa nemmeno di essere ebrea. In poco tempo i giochi, le corse coi cavalli, i sorrisi spensierati insieme al nonno Pippo, i regali di suo papà diventano un ricordo e Liliana si ritrova prima emarginata, poi rifugiata, senza una casa, infine in fuga con il papà e arrestata. A tredici anni viene deportata ad Auschwitz.

Partirà il 30 gennaio 1944 dal binario 21 della stazione Centrale di Milano e sarà l’unica bambina di quel treno a tornare indietro.

Ogni giorno, ricorda Liliana, una gamba dietro l’altra senza guardare l’orrore che aveva intorno, ingoiando il dolore delle botte e le grida delle compagne. Ogni sera nel campo cercava in cielo la sua stella. Poi, ripeteva dentro di sé: finché io sarò viva, tu continuerai a brillare. Il libro nasce da un incontro dall’autrice Daniela Palumbo, collaboratrice di Scarp, e Liliana Segre. Per la prima volta la storia di Liliana è raccontata in un libro dedicato ai ragazzi. Con la prefazione di Ferruccio de Bortoli. L’illustrazione della cover è di Desideria Guicciardini. Edizioni Piemme, dagli 11 anni in poi, euro 15.

Info danielapalumbo .wordpress.com

18 Scarp de’ tenis febbraio 2015

Avonto: «Basta giudicare gli homeless. Diamo loro una casa» di Emma Neri

Cristina Avonto è, da pochi mesi, la nuova presidente della Fio.psd (federazione italiana per le persone senza dimora). Cristina Avonto è anche presidente della cooperativa sociale Progetto Tenda Onlus, di Torino. La cooperativa – fondata nel 1999 anche dalla stessa Avonto - diventa da subito laboratorio di sperimentazione di un nuovo modello sociale, praticando azioni innovative di conciliazione tempo di vita e di lavoro per le donne/ mamme lavoratrici e investendo sullo sviluppo di politiche di parità.

Ci racconta questo suo inizio mandato?

Il mio mandato inizia in un momento cruciale: la costruzione delle alleanze e della raccolta delle idee e azioni di orientamento nella programmazione dell’uso dei fondi per il settennio 20142020. Stiamo dialogando con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con le Regioni, i Comuni, il privato sociale per costruire azioni di lobbying per sostenere azioni innovative di contrasto alla grave emarginazione adulta. Il Network Housing First Italia va proprio in questa direzione: più di 50 organizzazioni si sono costituite in rete per sperimentare sui territori questa politica così semplice ma al contempo così rivoluzionaria che, laddove praticata, permetterebbe un cambiamento importante nella filosofia degli interventi. La casa è un diritto e non una conquista se si è stati bravi. Anche l’indagine sui servizi e le persone senza dimora, che è alla sua seconda edizione, in collaborazione con il Ministero, l'Istat e la Caritas Italiana, è un’azione fondamentale: chi sono i senza dimora? Quali sono i loro bisogni, i loro problemi, quali le risposte in questo momento sui territori? Infine, la stesura delle Linee Guida per il contrasto alla Povertà, che sarà strumento fondamentale per i Comuni, per de-

finire quali azioni sono prioritarie e quali sono i parametri della qualità degli interventi, le buone prassi, i progetti da sostenere.

Le donne homeless. Se ne parla poco ma aumentano. Come guarda a questo fenomeno?

Le donne senza dimora sono in aumento negli ultimi anni ma sono anche un fenomeno nascosto.

Per le donne la perdita della casa è la più grave rottura della propria biografia, è la perdita del proprio sé più profondo. Il fenomeno è nascosto, perché quando arrivano in strada hanno perso ogni possibilità di alternative. La vita in strada per le donne è molto pericolosa, sono esposte alle malattie e alle violenze. Le donne sembrano rappresentare circa il 20% della popolazione homeless, non ci sono ancora dati certi ma sono in netto aumento anche perché sono più fragili sul versante lavoro.

Aumentano i minori in strada. Questo fenomeno, che riguardava in misura maggiore gli Usa e l'Inghilterra, sta montando anche da noi?

I minorenni sono tutelati da una specifica normativa nazionale, molto all’avanguardia in Europa, che ancora dà i suoi frutti. Nei nostri servizi crescono però ogni giorno le richieste di nuclei familiari con figli minori che sono in deprivazione alimentare, impossibilitati a sostenere i percorsi scolastici dei bambini. Questa situazione sta diventando ogni giorno più drammatica.

Quali sono i numeri della Fio.psd ad oggi?

La nostra è una federazione “leggera”. Le cariche in direttivo e presidenza sono gratuite. I nostri numeri rappresentano le organizzazioni che si occupano di homeless: oltre 110 associazioni e Comuni soci; più di 5 mila collaboratori, più di 10 mila volontari impegnati ogni giorno in servizi destinati ai più poveri.

PIANI BASSI

Il fuoco tra le acque e noi che ci sentiamo invasi

Chi scappa si lascia alle spalle ogni certezza. Anche di Paolo Brivio

scheda Paolo Brivio, 48 anni, si è appassionato ai giornali ai tempi dell’università.

E ha coniugato questa passione-professione con l’esplorazione dei “piani bassi” della nostra società. Direttore di Scarp dal 2005 al 2014, oggi fa il sindaco: pro tempore, perché rimane “giornalista sociale” in servizio permanente effettivo

quella che avrà sepoltura, riconoscimento e dignità, il giorno in cui le cose dovessero andare per il peggio.

Perché se una guerra o una persecuzione ti incalzano, obbligandoti a fare coriandoli dei tuoi documenti e a chiedere passaggi clandestini per arrivare dove speri che il futuro abbia un senso, c’è il rischio che in un incidente vada persa non solo la vita, ma anche la traccia del tuo transito su questa terra.

Tale amara verità l’hanno sperimentata sulla loro pelle, negli ultimi anni, migliaia di esseri umani che cercavano di varcare il Mediterraneo sulle barche sbagliate. Più di recente l’hanno scoperta anche uomini che pensavano di aver preso la nave giusta, grande e grossa com’era. Si erano sistemati ai piani bassi di quel traghetto, viaggiatori di una classe ufficialmente inesistente. Ma pensavano che l’unico rischio l’avrebbero corso al porto d’arrivo, se doganieri troppo solerti avessero ficcato il naso nel doppio fondo dei tir in cui si erano dovuti accucciare. Tutto temevano, in mezzo alle grandi acque, meno che il divampare impetuoso del fuoco.

Primato di “forzati” Il naufragio del traghetto Norman Atlanticha svelato all’opinione pubblica italiana che l’assalto alla fortezza Europa lo si può dare anche dalla pancia di un camion che viaggia nella pancia di una nave. Svelato, ovviamente, si fa per dire. Per-

ché è almeno un ventennio che accade: basterebbe leggere chilometri di reportage giornalistici e rivedersi un vibrante film del 2002, Cose di questo mondo (vinse l’Orso d’Oro al Festival di Berlino).

Vien da chiedersi, peraltro, com’è che un fenomeno e un traffico tanto raccapriccianti possano essere tollerati e durare tanto a lungo. Per capirlo, può essere utile un numero: 51,2 milioni. È il record (vabbé...) che si è raggiunto nel mondo a fine 2013, in materia di “migrazioni forzate”:

I “clandestini” morti sul traghetto Norman Atlantic “svelano” un dramma e un traffico che in realtà durano da decenni.

Perché si protrae?

Anche perché si gonfia a livelli record, nel mondo, il numero dei profughi.

E non si intravedono soluzioni radicali

l’Onu ha attestato che per la prima volta, dalla fine della seconda guerra mondiale, rifugiati, sfollati interni e richiedenti asilo hanno superato la quota simbolo di 50 milioni, poco meno della popolazione del nostro paese.

Coloro che nei modi più disperati e disparati fanno rotta verso le nostre coste non sono, naturalmente, soltanto profughi. Ma lo sono sempre di più. E mentre è chiaro che tali masse di uomini non possono, a gioco lungo, essere gestite con i soli strumenti dell’umanitario, si stentano a intravedere, su scala globale, soluzioni che vadano alla radice del problema.

Finché ci saranno guerre e sistematiche violazioni dei diritti umani, infatti, ci sarà produzione di uomini in fuga: una politica di pace è la miglior prevenzione dell’ingigantirsi dei flussi migratori. Canali

umanitari, e regolati, di accesso ai paesi avanzati sarebbero inoltre lo strumento più razionale per sgonfiare il cinico business gestito da passeur e scafisti, e per distribuire il dolente serbatoio di sradicati che s’accumula nei paesi confinanti con quelli in guerra. Se in Italia dovessimo ospitare, in proporzione ai residenti, tanti rifugiati e richiedenti asilo quanti oggi ne accoglie il Libano, arriveremmo a contarne 15 milioni. Invece sono 100 mila. Solo provando a fare qualcosa di innovativo e di serio, per affrontare alla radice i drammi di tanti uomini e tanti popoli, riusciremo a sentirci meno invasi. febbraio 2015 Scarp de’ tenis

19

LO SCAFFALE

Irisée tra i capelli-nido di mamma Méduse “Tu sei la mia perla, e io la tua conchiglia”: Kitty Crowther dipinge un amorevole e ineludibile guscio materno

libro illustrato di Kitty Crowther, formidabile illustratrice belga giá insignita nel 2010 dell’Astrid Lindgren Memorial Award, la più preziosa e alta onorificenza nella letteratura per ragazzi. Ora la rabdo-mano della Crowther ha trovato una storia bellissima che è pretesto per parlare della relazione tra una madre (Mère Méduse) e una figlia (Irisée). La Méduse è una mamma un po’ arcaica, selvatica, possessiva e limitante. Ha una selva intricata e lunga di capelli biondi che la ricoprono completamente e agiscono come suo prolungamento emotivo e corporeo: possono assumere le forme più rassicuranti e giocose, o quelle più inquietanti. Sono la sua sicurezza, il suo scudo per nascondersi dagli altri. Al contempo, però, “contengono” il rapporto esclusivo che intesse con Irisée, che comincia la sua vita proprio tra i capelli-nido di Méduse. Ha chiamato la fi-

glia Irisée come la madre-

20 Scarp de’ tenis febbraio 2015

il libro Mère Meduse di Kitty Crowther ed. Pastel

la tua conchiglia”, le dice Méduse in un soffio. “Gli altri” abitanti del piccolo villaggio sul mare – dov’è disegnata mirabilmente questa storia – guardano alla piccola come un prodigio. L’aperta solarità della bimba illumina la sincopata goffaggine della madre (cui si guarda con tenerezza): Méduse ha cosí paura di perderla che chiude tutto il mondo al di là del sipario dei suoi capelli.

Al di qua (dei capelli), Méduse non fa mancare nulla alla crescita di Irisée: la nutre, la fa divertire, riscopre il mare con lei, coi suoi capelli la fa volare su in alto nel cielo. Le insegna a leggere, coi suoi capelli che diventano un alfabeto biondo. Legge per lei tante storie magiche, sera dopo sera. Pagina dopo pagina, i tanti pastelli governati da Kitty Crowther ci raccontano di un guscio materno amorevole ma sempre più ineludibile per Irisée. Senonché, Méduse prende sempre più coraggio verso l’intuizione-illuminata di volere, nel profondo, il bene della figlia. L’immensa bravura della Crowther dá forma a questa intuizione nella penultima pagina illustrata, che ha un centro pulsante cui il vostro occhio arriverà solo alla fine, dopo aver guardato tutto quello che gli sta intorno: la postura di Mé-

duse e la tenera mestizia di Irisée, prima di voltarsi verso la madre, valgono l’intera storia. Che vola verso un abbraccio scomposto vivo indimenticabile, a rimetterle al mondo.

Barbara Garlaschelli Sirena (mezzo pesante in movimento) Laurana, euro 12

Le fiabe per la buonanotte Tanti i personaggi che popolano il mondo fantastico delle nove fiabe di Oscar Wilde: principi ingenui, regine bellissime, giganti indecisi. Il volume, con le illustrazioni di Cristina Pieropan, unisce le raccolte Il principe felice e Una casa di melograni. composte da Wilde per i suoi figli allo scopo di educarli a una vita giusta e felice.

Oscar Wilde (disegni di Cristina Pieropan) Il principe felice e altri racconti Isbn Edizioni, 23 euro

Ucciso per non aver taciuto la verità

[ a cura di Daniela Palumbo ]

Questo mese la recensione va a illuminare l’operato ritmico di tante, tantissime matite colorate, che han tracciato per noi la storia di Mère Méduse. Uscito per l’editore francese L’école des Loisirs (ma reperibilissimo on line), Mère Méduse è l’ultimo

Un racconto autobiografico.

Lucido, intenso e allo stesso lieve, sui dieci mesi che l’autrice passò in diversi ospedali tra l’Italia e la Germania tra il 1981 e il 1982, quando dopo essersi tuffata in mare in un giorno d’agosto aveva riportato una lesione alla quinta vertebra cervicale rimanendo così tetraplegica.

perla che ricopre e protegge l’interno di certe conchiglie: “Tu sei la mia perla, e io

di Yamada

La linea disegnata da una matita riesce a parlare al cuore. C’è bisogno di non dimenticarlo,trovarle un foglio bianco, farla agire, e guardare cos’ha fatto.

Un giorno d’agosto, un tuffo

Ottobre 1972, Alberto Spampinato ha 22 anni quando il fratello Giovanni, cronista, viene ucciso a Ragusa. A distanza di 40 anni, Alberto ha scritto la storia di Giovanni e la sua perché quel delitto, come tanti altri, non ha ancora mandanti. In controluce la storia del nostro Paese con tante ombre.

Alberto Spampinato C’erano bei cani ma molto seri Melampo, 15 euro

VISIONI

Dice Omar Sandrini attore di Tre Tocchi: «La vita è fatta d’incontri. Un giorno è arrivato il film con Marco Risi, grande principe del cinema italiano”.

Quando il gioco diventa patologia Un film sul gioco realizzato con la formula del crowdfunding e il sostegno di Banca Etica. Il titolo richiama il nome di un Gratta e Vinci che promette vincite stratosferiche. La trappola è scattata, pochi resistono, molti si ammalano e il gioco è patologia.

Attori, eroi e precari Il cinema di Marco Risi sto o no in quel determinato ruolo. E per quel ruolo ce ne sono almeno altri cento». Il tutto è

ne che non lavorano, ma che aspettano la telefonata buona.

Qualcuno dice: «Mi volto, vedo le mie decisioni e so di non essere diventato quello che volevo». Scarp l’ha contattato: «I protagonisti pensano di aver scelto la strada artistica, convinti di poter fare arte ma non ci riescono».

“Tre tocchi” è un film diverso, libero e “al contrario”. Gli attori conosciuti dal grande pubblico si intravedono appena e chi solitamente contratta sul numero di pose diventa protagonista. Vita difficile per questo film nelle sale durante l’abbuffata di cine-panettoni, ma vale la pena parlarne con chi l’ha pensato e ci ha recitato.

Qui si mette in scena il precariato.

«La ricerca del lavoro - dice ancora Risi - non solo in campo artistico, crea frustrazioni indicibili.

Quello dell'attore è il lavoro più precario del mondo: non dipende mai dalla tua volontà ma sempre da quella di qualcun altro che ti guarda come se fossi un animale.

Non gliene frega niente delle frustrazioni e delle delusioni, gli importa solo che tu possa essere giu-

Il mio ultimo film Tre Tocchi è veramente indipendente e per questo doveva costare poco. Metà del budget l'ho messa io.

il film Tre tocchi di Marco Risi con Massimiliano Benvenuto, Leandro Amato, Emiliano Ragno, Vincenzo De Michele, Antonio Folletto, Gilles Rocca e con Luca Argentero, Marco Giallini, Valentina Lodovini, Maurizio Mattioli, Claudio Santamaria, Paolo Sorrentino

ambientato ai giorni nostri, ma tra ragazzine urlanti, furbetti del quartierino, promesse degli amici e quelle degli amici degli amici potremmo essere anche nell’Italia di 10-15 anni fa. Ci sono ancora Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Clark Gable, Al Pacino, ma anche chi è pronto a tutto per avere un ruolo di secondo piano in un film di mafia, l’unico nostro prodotto audiovisivo di successo internazionale. Durissimo su questo Marco, figlio del grande Dino: «Non è rimasto niente di un'epoca che io per fortuna ho conosciuto. Oggi è diverso, non posso dire peggio... che dico? È peggio. Si è perso il fascino e anche la capacità di saper guardare alla realtà in un certo modo.

Per quello mi son trovato bene a girare al sud, “Mery per sempre” e “Ragazzi fuori” a Palermo, “Fortapàsc” nei dintorni di Napoli. Mi piace raccontare l'animo umano che riesce a entrare nei pensieri dei personaggi, al di là che siano comici, tragici o avventurosi». E nella testa degli attori la macchina da presa di Marco Risi ci va, cerca di comprenderne le preoccupazioni, le gelosie, le rabbie e le gioie di un gruppo di attori non famosi ma bravi. Eccome.

Sabato anticipa il nuovo disco di Jovanotti Sabato è il singolo che anticipa il nuovo album in uscita a febbraio.

Il video, girato insieme al rapper Salmo, è ambientato in una Las Vegas di provincia dove l'allegria diventa malinconica e di forte impatto poetico. Una canzone dall'atmosfera sospesa, quasi magnetica.

Lorenzo 2015 cc Jovanotti (dal 24 febbraio 2015)

Le emozioni di Giulia in un docufilm [ a cura di Daniela Palumbo ]

di Sandro Paté

Vite sospese. In “Tre tocchi”, piccolo grande esperimento cinematografico di Marco Risi, ce ne sono 6, perso-

Vivere alla grande regia di Fabio Leli (2015)

Ultimi giorni di scuola di una quinta elementare. Giulia è una bambina che si rifugia in un mondo fantastico che gli altri vorrebbero conoscere. Le sue emozioni e quelle dei compagni raccontano l'universo misterioso e puro di chi non è più bambino.

Educazione affettiva di F. Bondi e C. Bicocchi (2015) febbraio 2015 Scarp de’ tenis

21

Rosalino Cellamare, in arte Ron, si racconta in quest’intervista all’amico giornalista, con il quale ha condiviso molti dietro le quinte e molte tournée

Ron «Lucio, Mango, Pino. Quanti vuoti ci sono»

L’intervista che state per leggere contravviene a una delle regole non scritte del giornalismo. In essa, infatti, io e Rosalino Cellamare, in arte Ron, cantautore e musicista fra i più raffinati e sensibili del panorama italiano, ci diamo del tu. Il tutto dipende

di Andrea Pedrinelli

dall’aver condiviso molti giorni insieme, durante la stesura di un libro (“Ron si racconta”) in cui Rosalino mi confidava i dietro le quinte di dischi, festival, gavetta, tournée, gioie e solitudini della vita d’artista. L’ho seguito in tour, l’ho

L’impegno per gli ultimi, il ricordo dei grandi amici scomparsi come Lucio Dalla, il pensiero sui rapper e sui cantautori. L’artista si racconta.

accompagnato durante innumerevoli iniziative di beneficenza, l’ho visto penare per progetti sfortunati e gioire per dischi finalmente portati a termine. Non aveva senso, dun-

22 Scarp de’ tenis febbraio 2015

L’INTERVISTA que, fingere di darci del lei. Non l’abbiamo fatto, quando l’ho chiamato per Scarp al suo ritorno da un periodo di vacanza in montagna e Ron mi ha raccontato quanto in quel libro non c’è, perché è avvenuto dopo.

Ron, cosa stai facendo in questo periodo?

Sto pensando a un progetto nuovo, che porti alla luce un momento meraviglioso della mia vita, dal tour di “Banana Republic” sino al 1985. Io e Lucio Dalla, sì. Il tanto fatto insieme, lui che scriveva per me, io per lui. Sarà una cosa grossa, se ne parlerà a Natale, non posso dirti altro per ora. Ma non sarò da solo.

Intanto ho visto che appoggi i City Angels. Com’è nata questa partnership?

Mi piacciono i pazzi sani che vogliono dare il più possibile per gli altri. Io in fondo ho offerto loro solo la disponibilità a fargli da testimonial, e il giorno dell’Epifania vicino alla Stazione Centrale di Milano ho incontrato i senzatetto a pranzo.

Un’esperienza sana, bella, di cui avevo bisogno.

Sono diversi i senzatetto che hai incontrato da quelli raccontati dai media?

Li ho trovati molto teneri, bisognosi di affetto. Sai, non mi hanno raccontato le loro storie, anche se intuivo fossero diverse da quelle di chi era senza casa anni fa: avevano bisogno di parlare normalmente con qualcuno. Ce ne dovrebbero essere tante, di iniziative del genere.

Non è solo questione di amicizia, è che i grandi anche se non li segui ti segnano.

Le canzoni sono importanti, lasciano qualcosa al di là della tristezza che mi viene se ora penso a chi non c’è più

Passiamo alla musica. Con “Un abbraccio unico” sei tornato a Sanremo. Ne è valsa la pena?

Non è servito a nulla, potevo fare da solo. Sanremo oggi serve a rilanciare richieste per un tuo tour, ma devi arrivare in alta classifica, non penultimo… (ride, nda). La cosa più bella è stato il picco di ascolti ottenuto cantando “Cara” di Lucio. È davvero tanto più difficile, oggi, fare l’artista?

Forse il concetto di disco è sorpassato: questo è il punto. La gente si concentra su una canzone e stop, e così gli uffici stampa e i media. Se piace bene, se no va tutto in un cassetto. Quindi, che senso ha lavorare a un disco di dieci pezzi pensati e prodotti con attenzione? Certo, se lavori con serietà c’è sempre qualcuno che se ne accorge…

Ma ormai si tratta più di gratificazioni personali che non di raggiungimento del cosiddetto successo.

Quindi le canzoni valgono meno di una volta?

No, al contrario. Ma vanno

pensate in canali diversi. Il Premio Lunezia ad esempio ha pensato a me per il concorso “Parole Liberate”, che premia testi scritti da carcerati, e mi hanno chiesto di musicare il brano vincitore. Così ho incontrato questo Lupetto, si fa chiamare così, è un ex detenuto di San Vittore ora libero per gravi problemi di salute, che ha scritto il brano “Clown Fail”. L’ho musicato, e presto lo lancerò come singolo. Ecco, queste faccende, che ti fanno uscire dalle case discografiche e andare nella realtà della gente, sono i canali giusti per canzoni vere.

Dobbiamo trovarne tanti, inve-

scheda “Mi potrai ferire ancora, ma non vincerai. La mia penna è la mia spada”. Così, nel cd Un abbraccio unico, Ron cantava Malala, la ragazza pakistana che ha rischiato la vita per il diritto della sua generazione a istruirsi, sfidando gli editti talebani. “Malala”, intesa come canzone, è uscita nella primavera del 2014, e pochi mesi dopo la fanciulla ha vinto il Nobel per la pace. In altri tempi della discografia, il brano sarebbe stato rilanciato come grido di gioia e speranza. Oggi invece, quanto accaduto ce lo racconta, amaro, Ron. «Quando ho sentito che Malala aveva ricevuto il Nobel mi è presa un’emozione grande. Cui è seguita rabbia, però. Intendiamoci: non per me, io in fondo il brano l’ho solo scritto, cantato, inciso. Però forse si poteva rilanciare, anche solo per dire grazie a questa ragazza. Niente, i discografici non mi hanno neppure risposto. Del resto mi misero sotto contratto solo perché andavo a Sanremo.

E già lì, pensa, mi salutavano a stento. Sono interessati solo ai talent. E sono cose che onestamente, a uno come me che crede in certi valori umani, lasciano un segno forte». AP

ce che chiedere la carità ai manager del disco.

Senti, Ron: cosa provi di fronte a questo periodo tanto doloroso per la canzone italiana, prima l’addio a Lucio, poi Francesco Di Giacomo, Mango, Pino Daniele… Quanto perdiamo allo spegnersi di certe luci artistiche?

Sono vuoti grandi. Non è solo questione di amicizia, è che i grandi anche se non li segui ti segnano. Ci sono cose di Mango che ricordo perfettamente quando le ho sentite la prima volta, e ciò è segno della grandezza della scrittura. Anche per questo le canzoni sono importanti, lasciano qualcosa al di là della tristezza che mi viene se ora penso a chi non c’è più.

Sono i rapper i nuovi cantautori, gli eredi di certi giganti?

Ma no, non c’entrano nulla. E ho fatto un bel duetto con Dargen D’Amico in “Sabato animale”, nel mio ultimo disco. Ma il cantante canta, per definizione: loro declamano.

E ci sono cantautori di nuova generazione che ti convincono?

C’è chi sa scrivere. Però è il concetto di cantautore che secondo me si è perso, non è nel mirino dei ragazzi di oggi.

Cui tu insisti a fare scuola.

Con il risultato di…?

Io ci tengo, a passare la filosofia di lavorare e crescere, senza pensare subito e solo al successo. Certo i tempi fotografati in America da “Fame”, quella voglia di studiare, di impegnarsi, di imparare, non ci sono più. Ma qualcosa viene fuori.

febbraio 2015 Scarp de’ tenis

23

COPERTINA

Consapevoli e solidali: storia di vicinanza e vicinato, di famiglie tutte unite nella lotta all’illegalità. Dall’housing sociale, alle social street, di quartieri a rischio attivati da parrocchie e associazioni. Viaggio di

L’integrazione

Beppe De Palo

In via Padova 36 vivono diciannove famiglie italiane e tredici straniere provenienti da Albania, Egitto, Marocco, Sengal, Congo, Sri Lanka e Perù. Bere un caffè insieme tra vicini, allora, diventa un momento di amicizia e di confronto

24 Scarp de’ tenis febbraio 2015

diverse tra loro ma accomunate dalla voglia di conoscere i propri vicini dai comitati di cittadine nella case Aler, ai progetti sociali per adolescenti Scarp dentro alcune realtĂ che cercano di farcela. Insieme. Nonostante tutto.

dentro casa

febbraio 2015 Scarp de’ tenis

25

COPERTINA

di Generoso Simeone foto di Beppe De Palo

scheda Via Padova 36 via Padova 36 - Milano www.viapadova36.it è un progetto di housing sociale realizzato attraverso il recupero e la valorizzazione di uno stabile d’epoca situato nel cuore del quartiere di Via Padova ideato da Fondazione Cariplo in collaborazione con Fondazione Housing Sociale e Regione Lombardia. Ospita 41 alloggi, un residence di 22 posti, sei alloggi protetti e due negozi sociali.

26 Scarp de’ tenis febbraio 2015

Ci dispiace, ma lei non può fare la domanda per l'assegnazione di una casa popolare. Non risiede in Lombardia da almeno cinque anni». Aveva subito uno sfratto perché non riusciva più a pagare l'affitto e aveva provato a chiedere un alloggio Aler, l'agenzia lombarda che si occupa di edilizia residenziale pubblica. La risposta degli uffici non ha lasciato speranze. Lui è un padre di famiglia, sposato e con tre figli minori.

Non è, come si può supporre, uno straniero, bensì un cittadino italiano. Di origini venete, per la precisione. Che non possedeva i requisiti nemmeno per avanzare una domanda in deroga. E allora non ha trovato di meglio che sistemarsi in una cantina “gentilmen-

te” offerta da un amico. Passano sei mesi, arriva la segnalazione della scuola ai servizi sociali. «Lì i bambini non possono stare, li porteremo in comunità», hanno rimproverato gli assistenti sociali del Comune. Il papà, a quel punto, assicura di aver trovato un appartamento, saranno ospiti di un amico. In realtà trasferisce la famiglia in una casa popolare. Occupandola. Per quattro mesi rimane senza acqua, luce e gas. Non voleva essere scoperto e per questo non allaccia le utenze. Altrimenti avrebbe perso per altri cinque anni la possibilità di entrare nella graduatoria delle case popolari. L'intenzione era aspettare di maturare il requisito dei cinque anni di residenza in Lombardia. Il proposito dura appena tre mesi, poi non può

far altro che attivare i contratti delle forniture e diventare preoccupante a tutti gli effetti.

La crisi non c’entra «Sono tante le storie come questa – assicura Leo Spinelli, responsabile del Sicet, il sindacato inquilini della Cisl -. È sbagliato parlare di emergenza perché quanto stiamo vivendo non nasce con la crisi. Sono vent'anni che ci troviamo in questa situazione. Perché la questione della casa riguarda il reddito e perché non si fanno politiche abitative per chi guadagna poco. Il problema sta esplodendo perché aumentano le persone con basso reddito».

A Milano, tra chi non riesce più a sostenere l'affitto e chi fatica a pagare, sono stimati circa 35-40 mila nu-

MILANO

Via Padova 36: l’housing sociale come filosofia di vita

A sinistra l’androne di via Padova 36 con tanto di “custode sociale”.

In alto Angelo e la sua zampogna. Qui sopra foto di gruppo per le “coppie consapevoli” che vivono l’esperienza di housing.

Sotto l’ingresso del palazzo

Nella graduatoria per l'assegnazione di una casa popolare ci sono 24 mila famiglie con punteggio e requisiti in regola. Il 60 per clei famigliari in difficoltà alloggiativa. Nella graduatoria cento sono stranieri. per l'assegnazione di una casa po- Ma le richieste, polare ci sono 24 mila famiglie in dal 2006 a oggi, sono posizione utile, cioè con punteggio e requisiti in regola. Il 60 per state oltre 40 mila cento sono stranieri. Ma le richie- e continuano ad ste, dal 2006 a oggi, sono state olaumentare, specie tre 40 mila e continuano ad autra gli italiani mentare, specie tra gli italiani.

«Nelle fasce a basso reddito – spiega Spinelli – ci sono tante famiglie spiazzate dal costo delle locazioni. La precarizzazione con i suoi salari minimi e la scomparsa del lavoro nero, hanno diminuito le risorse a disposizione accelerando la caduta di molte famiglie. Tra l'altro si tratta, nella stragrande maggioranza, di casi noti, seguiti dai servizi sociali. Dove le difficoltà, anche sul piano sociale, sono molte. Oc-

Marco e Silvia, Angelo e Paola, Nicolò e Marta. Sono loro le “coppie consapevoli” scelte da Abitare sociale metropolitano, nuova realtà di housing milanese promossa dai consorzi Farsi Prossimo e Sis e dalle cooperative Chico Mendes e La Strada, per animare la vita di via Padova 36.

Che non è solo l'indirizzo di uno stabile d'epoca dove sono stati ricavati 41 alloggi grazie a un'operazione che ha coinvolto Fondazione Cariplo, Polaris Real Estate e Regione Lombardia, ma è anche un esperimento di convivenza e solidarietà tra famiglie italiane e straniere e tra giovani e anziani. Per facilitare l'obiettivo sono stati individuati sei ragazzi tra i 22 e i 33 anni. Anche loro dovevano essere in possesso dei requisiti stabiliti dal bando per vedersi assegnato un appartamento e cioè guadagnare complessivamente meno di 40 mila euro Isee all'anno. E anche loro ora pagano un canone d'affitto tra i 77 e gli 80 euro al metro quadro.

Vivono qui da novembre e hanno un grande entusiasmo. Marco e Silvia sono due architetti. «A parte la motivazione economica – dicono –, siamo entrati nel progetto per conoscere altre culture. Nel nostro lavoro ci capita di incontrare molti stranieri, ma rimangono e parlano tra loro. Vogliamo entrare in relazione con tutti».

In via Padova 36 ci sono diciannove famiglie italiane e tredici straniere provenienti da Albania, Egitto, Marocco, Sengal, Congo, Sri Lanka e Perù. Otto i nuclei preesistenti, che già vivevano lì prima delle ristrutturazioni. Paola e Angelo sottolineano l'importanza di aprirsi al quartiere. «In via Padova – dice lei – ho la sensazione di vivere in una città moderna, sembra di stare a Berlino o a Londra.

Con un'amica, che abita poco distante, ci siamo già attivate per fondare una social street».

Lui invece è pronto a portare qui le sue relazioni. «Sono abituato a condividere – spiega Angelo – perché vengo da un piccolo paese della Calabria dove è forte il senso della comunità. Vivo a Milano da oltre dieci anni e ho intenzione di coinvolgere in via Padova 36 le conoscenze e le amicizie fatte nell'ambiente della musica – suono la zampogna – e delle escursioni in montagna».

Nicolò e Marta sono i più giovani, lui è un medico specializzando, lei una laureata a Brera temporaneamente commessa. Hanno aderito a via Padova 36 per «vivere le relazioni con gli altri e non chiuderci in casa». Entrambi hanno alle spalle esperienze famigliari di accoglienza e ospitalità e hanno voluto anche loro cimentarsi con questo stile di vita.

In via Padova 36 c'è spazio anche per un residence con 22 posti, per sei alloggi destinati a persone fragili e a mamme con bambini e uno spazio d'ascolto. Sulla strada anche due negozi sociali, uno di abbigliamento di seconda mano, l'altro un punto vendita di caffè equo e solidale. Le “coppie consapevoli” hanno in mente diverse iniziative, dal cinema nel cortile, alla coltivazione nelle cassette, dai corsi di musica alle cene interculturali. Intanto si salutano quando si incontrano. E si aiutano volentieri.

febbraio 2015 Scarp de’ tenis

27

COPERTINA cupare diventa una necessità anche perché mancano le risposte delle istituzioni».

A Milano ci sono quasi 10 mila alloggi pubblici vuoti, oltre ad altre 40-45 mila case private sfitte o invendute. «Il problema – attacca Spinelli – è la cattiva gestione. Va fatta una seria ricognizione del patrimonio per capire l'effettivo stato degli appartamenti. Perché non sono pochi quelli che possono essere sistemati con poco (2-3 mila euro) ed essere subito assegnati.

Così come vanno messi a disposizione i cosiddetti alloggi di risulta, vale a dire quelli lasciati liberi a seguito di trasferimenti, decessi o sgomberi da occupazioni. Invece rimangono vuoti per anni. Anzi, quelli occupati vengono perfino distrutti, vi sembra normale?».

Il responsabile del Sicet di Milano rivedrebbe anche la politica di assegnazione di case al terzo settore ed è critico verso l'housing sociale. «Non sono queste piccole esperienze a risolvere il problema – conclude –. Il pubblico deve aumentare l'offerta di suoi alloggi per le categorie a basso reddito».

SCHEDA

Social Club: i lavoratori sono soci non numeri

Una Buena Vista per combattere il degrado di Vito Sciacca ed Enrico Panero

28 Scarp de’ tenis febbraio 2015

Il Social Club offre ai propri associati un nuovo modo di intendere e vivere la casa, occasioni e opportunità per il tempo libero, accesso ad un credito equo e solidale, consulenze fiscali, forme per tutelare la salute, proposte per

acquisti garantiti e a prezzi convenzionati. «Ci ispiriamo al modello “olivettiano”, chi lavora con noi non sono solo lavoratori ma persone, famiglie, alle quali non potendo riconoscere retribuzioni più elevate cerchiamo di offrire

Due palazzine arancioni in cui si sperimenta un progetto di housing sociale, ma anche e soprattutto la costruzione di reti di solidarietà e vicinato. E qui ce n’è un gran bisogno, perché siamo nell’ex Villaggio olimpico di Borgo Filadelfia, a Torino, zona che negli ultimi dieci anni ha subito uno stravolgimento a seguito della dislocazione degli storici mercati ortofrutticoli generali e all’edificazione di strutture per ospitare le Olimpiadi invernali 2006. Il termine dei Giochi ha però coinciso con il decadimento del quartiere, che si è visto privato dei mercati e ha subito gli effetti dell’abbandono delle aree edificate. Le promesse di creare un im-

un supporto su vari fronti – spiega – Georges Tabacchi, presidente del Social Club –. Un’alleanza di soggetti del terzo settore che lavora insieme per eliminare i pregiudizi, accorciare le distanze e creare utili sinergie».

portante polo commerciale o universitario sono rimaste tali; le palazzine adibite ad alloggi per gli atleti avrebbero dovuto essere riconvertite in edilizia residenziale invece, abbandonate per anni, sono andate incontro ad un rapido degrado.

Nel novembre 2012, però, un’associazione di promozione sociale denominata “Social Club”, costituita da varie organizzazioni e cooperative sociali torinesi, ha dato vita al progetto di social housing “Buena Vista”: in due palazzine, prese in affitto dalla fondazione incaricata di gestire la fase post-olimpica e adeguatamente rifunzionalizzate, sono state attivate 42 unità abitative a canone calmierato destinate prevalente-

GENOVA

Missione in strada, per incontrare i bisogni

Solo a Milano ci sono 10 mila alloggi pubblici vuoti. In alto a destra il custode di via Padova 36

Le periferie di Genova portano al loro interno i segni di un disagio, di una crisi, divenuti uno stato d’animo. In una di queste periferie è presente un progetto di fraternità.

Che affonda le proprie radici in vere e proprie missioni in strada. Itineranti. In Italia, ma anche all’estero. Esperienze senza denaro in tasca, in condivisione totale con la grave marginalità; con un modo di essere accanto, di essere “tra”, dove non c’è richiesta da parte delle persone in difficoltà e dove si vive una relazione allo stesso livello.

A Genova si sperimenta la frequentazione delle persone lavorando in strada, muovendosi a piedi, senza mezzi di trasporto. I tempi si allungano, ma gli incontri non preordinati risultano veri, autentici. E di rara bellezza.

Il primo invito a casa è nato proprio così: “una volta venite a trovarmi”. Un percorso di vicinanza con chi abita in una zona di periferia, dove fondamentale è la fedeltà nello stare accanto. Solo così si genera fiducia, e si aprono le porte.

Non si tratta quindi di un aiuto economico. Vengono

sì dati aiuti anche molto concreti (pulizie, ricerca e trasporto di mobilio, piccole manutenzioni). Ma il vero scopo è la relazione. Il cercare di risolvere problemi spesso distoglie dall’ascoltare la vita, le storie. Viene offerta una presenza, paziente e costante, che fornisce “altri due occhi” per guardare e affrontare il quotidiano. Con semplicità. È quindi una esperienza di pazienza: spesso vi è da parte delle persone il racconto di un disagio. Ma senza uno spazio di grande confronto. È necessaria una conoscenza, un avvicinamento, con il progressivo instaurarsi di un rapporto di fiducia.

Tante, tantissime sono le situazioni. C’è chi ha deciso di non buttare più l’immondizia e la tiene in casa. Dopo un primo contatto la persona sparisce, svicola, non risponde al citofono. Per paura, o per vergogna. È necessario allora, una volta re-incontrata, non affrontare subito lo stesso argomento, per non mettersi in una posizione di giudizio. C’è la famiglia con enormi problemi sanitari al proprio interno, cui viene offerta una relazione fraterna come luogo di incontro.

Tre persone facenti parte di questo progetto si muovono come una famiglia, all’interno di altre famiglie. È come una tenda che si muove, che cerca di essere “fraternità accogliente”. Questa discrezione, questo “parlare piano” colpisce le persone e le avvicina. Visitare le famiglie significa anche visitare tanti doni, capacità, manualità: tesori nascosti, tasselli di una preziosa umanità che già Stefano Neri c’è e va recuperata e coltivata.

TORINO

mente a lavoratori del no profit, che ospitano in forma stabile nuclei familiari, single e coabitanti e, in forma temporanea, persone in emergenza abitativa e studenti fuori sede.

Gli stabili offrono diverse soluzioni abitative: 17 alloggi residenziali, 3 alloggi arredati per chi è alla ricerca di una residenza temporanea, 2 alloggi con 5 posti letto per coabitazioni in permanenza e un’offerta alberghiera costituita da 32 posti letto suddivisi in 16 camere singole e 8 doppie.

Visitando l’edificio colpisce la presenza di aree comuni: lavanderia, sala tv, giardino con orto pensile e altri ambienti pensati proprio per favorire l’incontro tra i residenti, in una gestione condi-

visa sia degli spazi sia degli impegni familiari.

info

L’occupazione dei migranti Dal marzo 2013, poi, quattro palazzine disabitate dell’ex Villaggio olimpico, vicine al “Buena Vista”, sono state occupate da profughi provenienti dal programma “Emergenza Nord Africa”: conclusa l’emergenza, i profughi furono abbandonati a loro stessi e la sistemazione nelle palazzine deserte sembrò una soluzione, anche se illegale.

Dopo una sostanziale solidarietà iniziale, la situazione è via via peggiorata: la gente del quartiere ha manifestato un crescente disagio per il degrado delle palazzine occupate, l’amministrazione

www.resocialclub.it Il Social Club è un’associazione di promozione sociale fondata a Torino nel 2009 e oggi costituita da una trentina di associazioni e cooperative sociali. Gli obiettivi sono il miglioramento della qualità della vita e il potere d’acquisto degli oltre 2mila lavoratori appartenenti alle organizzazioni associate, lo sviluppo del capitale sociale, favorire una cultura locale a sostegno dei lavoratori del sociale, promuovere attività di visibilità e sensibilizzazione.

comunale non ha dato risposte, decine di attività commerciali della zona hanno chiuso e gli abitanti del “Buena Vista” si sono trovati a dover gestire una difficile situazione di vicinato.

Come sottolinea il presidente della Circoscrizione 9, Giorgio Rizzuto, «senza la presenza del Buena Vista e il lavoro di mediazione che stiamo svolgendo insieme la situazione sarebbe già esplosa». Oggi i residenti stranieri abusivi sono circa 700, di almeno 10 diverse etnie, in maggior parte maschi soli, senza lavoro. C’è stato un ricambio quasi totale rispetto ai profughi della prima occupazione, anche per questo sono aumentati i problefebbraio 2015 Scarp de’ tenis

29

COPERTINA mi: furti, spaccio e atteggiamenti ostili sono solo alcuni dei problemi segnalati, ai quali tenta di rispondere la Circoscrizione.

«Abbiamo attivato un tavolo di confronto, di buon vicinato, spiega Rizzuto – coinvolgendo rappresentanti di tutti gli abitanti dell’area, compresi naturalmente i migranti. Si tratta di una “gestione tra pari”, con tutte le difficoltà del caso, ma qualche risultato l’abbiamo ottenuto: pulizia e smaltimento dei rifiuti, limitazione degli schiamazzi e delle attività illegali. Se una maggiore presenza delle istituzioni può favorire una maggiore tranquillità sociale, è solo tramite il rilancio economico dell’area che si potrà disinnescare una situazione di potenziale conflitto. Perché in un quartiere rimasto privo di identità è alto il rischio che questa sia ricercata nell’individuazione di un “nemico”, un “diverso” su cui sfogare la frustrazione».

Una delle palazzine dell’ex villaggio olimpico di Torino che ospitano il progetto sociale Buena Vista

Residenti uniti per battere l’illegalità di Stefania Culurgioni

I residenti di Molise-Calvairate hanno scelto di non arrendersi all’illegalità: negli anni hanno avviato una rete di mutuo aiuto 30 Scarp de’ tenis febbraio 2015

Colpi di martello in piena notte, c’è un tizio che sta sfondando la porta dell’appartamento sfitto. Sonia è inviperita, chiama la Polizia, quello scappa. Comincia così la sua personale battaglia contro le occupazioni abusive, e continuerà per mesi. In cambio, le bruceranno l’uscio di casa per cinque volte e le faranno la cacca sullo zerbino.

Milano, Quartiere Molise Calvairate: 2mila 689 alloggi Aler, 3mila 846 residenti. Passato alle cronache, quest’estate, per il racket dell’abusivismo, con famiglie che hanno pagato anche duemila euro agli scassinatori per conquistarsi una casa vuota. Gli altri inquilini, quelli regolari che pagano regolarmente un affitto e cercano di difendere la legalità nel loro quartiere, si sono ribellati.

Sonia in lotta con gli abusivi Come Sonia, all’anagrafe Sanija

Osman Ramadan, 57 anni, egiziana, un appartamento di 38 metri quadri, 200 euro al mese di affitto, cuoca.

«Gli anziani nella mia scala avevano tutti paura, io no. Ho denunciato. Sempre e comunque. E anche quando mi hanno minacciato, non mi sono mai arresa». È stata così testarda, che il Comune di Milano, lo scorso dicembre, le ha dato l’attestato di benemerenza.

Ma a noi interessa il racconto di come si può far funzionare bene l’integrazione più che la cronaca degli sconosciuti con i piedi di porco. La incontriamo in casa di Antonio Rocca, per vent’anni custode al civico 4.

«In realtà – è proprio lui a spiegarci – questo è un quartiere sereno. I nostri quattro figli sono cresciuti qui, giocando in cortile con i figli di marocchini, egiziani, peruviani».

PROGETTO

Uno “Stanzino” per ricreare la socialità.

Anche a Baggio

Uno scorcio di un appartamento della case Aler di MoliseCalvairate. Sopra, Sonia e Antonio, tra i difensori della legalità del quartiere.

MILANO

Le famiglie di Molise Calvairate hanno sviluppato negli anni una rete di solidarietà: quando la porta di Sonia bruciava, è stata la nonna dirimpettaia a gettarci i secchi d’acqua sopra. È italiana. Quando un anziano si ammala e sta a letto per settimane, sono i vicini che gli fanno la spesa e le lavatrici. Di recente, qualcuno ha segato le sbarre dei cortili per spacciare meglio la droga. Gli inquilini, insieme, le hanno riparate. Quando il racket delle case urinava sulla Madonnina e distruggeva le aiuole, un altro anziano si è messo a sistemarle. Un gruppo di ragazzi ha fatto la spola tra le vecchiette terrorizzate per rassicurarle e chiedere se avevano bisogno di qualcosa. In tutto questo, non c’è differenza religiosa, culturale, linguistica, economica che incrini di rapporti. Ogni cortile è una famiglia.

LA CHIESA

Vicinanza e solidarietà: la ricetta di don Giuseppe La Chiesa ambrosiana ha ben presente che esiste un problema casa. E che questo “problema casa” non significa solo che ci sono persone senza un tetto, oppure occupazioni abusive, ma anche che ci sono contesti problematici di case popolari dove serve costruire buoni rapporti di vicinato.

Gli esempi sono tanti: sempre nelle case Aler di via Quarti del quartiere Baggio di Milano, c’è la Parrocchia di Sant’Anselmo.

Siamo in via Manaresi 13 e l’oratorio si chiama “San Filippo Neri”: «Qui arrivano tutti i ragazzini dei sette palazzoni Aler. Con i più problematici abbiamo creato una squadra di calcio – racconta don Giuseppe Nichetti, 52 anni, da due parroco del quartiere –.

Con loro facciamo un lavoro di educazione al rispetto delle regole, li spingiamo a mettere a frutto le loro capacità, e spesso questo si riversa positivamente anche sui genitori».

Quel lavoro di risanamento c’è poi chi lo fa da anni, anche se a riflettori spenti: il Centro Vincenziano composto da Suore Figlie della Carità sostiene le famiglie in difficoltà; l’associazione “Giovani e Famiglia” invece aiuta i bambini nei compiti.

Recentemente, a Milano, Fondazione San Carlo (emanazione di Caritas ambrosiana) metterà a disposizione 2 milioni di euro (uno dell’8 per mille e uno dei fondi della Curia) per la ristrutturazione e la gestione di 100 appartamenti. La Fondazione dispone anche di alcuni alloggi liberi, che saranno messi a disposizione dalle comunità parrocchiali.

Alex di undici anni entra senza salutare e apostrofa un ragazzino: «Marocchino di m. te ne devi andare». Un educatore lo ferma: dietrofront, deve rientrare salutando tutti, compreso il compagno marocchino. È il paziente lavoro di filigrana che “Lo Stanzino”, il centro di prossimità, in pratica due locali a pianterreno di via Quarti 10 gestiti dalla Cooperativa “Il Filo di Arianna”, fa tutti i giorni con gli adolescenti delle case Aler. Per raggiungerlo si deve andare a Baggio e poi ai confini col Parco delle Cave. Sette palazzoni, 450 famiglie, 102 abusive. Lì ti senti fuori dal mondo.

«Cerchiamo di promuovere la mediazione attraverso la parola – spiega la coordinatrice Marialuisa Arruzza – sembra impossibile, ma funziona». Esempio: quando quest’estate i giornali dipingevano il quartiere come un inferno di degrado, gli inquilini, compresi gli abusivi storici, hanno fatto una colletta.

Hanno imbiancato le porte, gli androni, le cancellate.

«Li aiutiamo ad avere tra loro rapporti positivi – continua Marialuisa – i litigi sono tanti. Il motivo? Lasci la porta aperta per far andare via la puzza di cibo? Il mio gatto scappa.

Sei rom e hai guardato mia moglie in un certo modo, io sono marocchino e ti picchio. Noi li mettiamo uno di fronte all’altro e li spingiamo al dialogo».

Sembra impossibile.

Ma le cose migliorano.

febbraio 2015 Scarp de’ tenis

31

DOSSIER

La sfida di Expo: spezzare il pane con gli ultimi di Francesco Chiavarini

32 Scarp de’ tenis febbraio 2015

Spezzare il pane per condividerlo e moltiplicarlo. Questo il senso della presenza di Caritas ad Expo.

Sotto padre Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose che richiama i valori dell’eucarestia

«Quando, la mia amica, l’ha saputo, c’è rimasta di sasso.

Tu sei matta, m’ha detto, metterti in casa una straniera che nemmeno conosci. Ma alla fine del pranzo s’è dovuta ricredere e mi ha ringraziato».

Quest’anno Valeria Braggion a Natale ha messo attorno al tavolo, nella sua semplice ma perfetta casa nel popolare quartiere del Giambellino, oltre ai figli Paola e Giorgio, alla nipote Maddalena, alla nuora Alessandra, a una cop-

SCHEDA

Enzo Bianchi: «Dobbiamo tenere viva la speranza. È nostro dovere» A colloquio con padre Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose, sui temi di Expo: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.

pia di amici anche Sabia: una donna somala, arrivata in Italia 20 anni fa, come rifugiata politica, che a Milano vive con la figlia Manua.

Due ospiti insolite, insieme a quelli di sempre. «Un esperimento», lo definisce lei.

L’idea le è venuta leggendo il giornale. Un articolo parlava dell’iniziativa della Caritas Ambrosiana “il pane spezzato è più buono dell’aragosta” e così ha deciso di chiamare.

«Ho telefonato, mi hanno ringraziato per la disponibilità e mi hanno detto che mi avrebbero fatto sapere. Ed è andata proprio così. Dopo qualche giorno mi hanno comunicato che sarebbe venuta da me una donna con una figlia di 8 anni e ho subito pensato che sarebbe stato perfetto perché anche mia nipote ha la stessa età. Ma non potevo immaginare che sarebbe stato così naturale e facile, come hanno riconosciuto anche i più scettici tra i miei commensali».

Valeria ha preparato antipasti, ravioli in brodo, uno sformato di verdure e un cappone lessato in omaggio alle proprie origini venete. Tra una portata e l’altra si è parlato del più e del meno. Anche

di religione. «Io sono molto legata alla parrocchia e mi incuriosiva sapere cosa ne pensasse Sabia che si è presentata con il capo coperto da un bel velo colorato. E devo dire che sono stata molto colpita quando mi ha detto che più importante del velo è ciò che si ha nel cuore e per questo non lo imporrà alla figlia che è nata e cresciuta in Italia».

Il dono dello stare insieme Il pranzo è durato tre ore. Dopo i brindisi Manua ha scartato i regali gli stessi che ha ricevuto Maddalena: il diario e la borsa firmati da Violetta, la nuova eroina delle teenager. «Ma il dono più prezioso che la signora Valeria ci ha fatto – racconta Sabia – è stata la sua famiglia. Da quando mio marito se ne è andato io e mia figlia siamo sole. Mia madre, le mie sorelle e i miei fratelli sono tutti in Somalia e non li vedo da molto tempo».

Alla solitudine, inoltre, da qualche tempo si sono poi aggiunte le difficoltà economiche. Da quando, tre anni fa, è morta la donna anziana che curava, Sabia non ha più trovato un’altra occupazione. Va avanti grazie alla parrocchia che l’aiuta con pacchi viveri e un po’ di

Tra poco aprirà Expo sul tema della nutrizione. Il Vaticano costruirà un padiglione intitolato “Non di solo pane”. Caritas sarà presente con uno proprio che farà riferimento all’episodio evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Il tema di Expo pare proprio prestarsi a una lettura religiosa...

Il cibo è al centro della simbologia cristiana. Si pensi alla messa domenicale, cuore della vita dei credenti. Che cosa è la messa se non un banchetto rituale, in cui si condivide il corpo e il sangue di Cristo? Il punto è che non bastano i simboli. I cristiani devono ricordare che cosa significa l’eucaristia e viverla di conseguenza.

E l’eucaristia è sempre frazione del pane, dunque condivisione.

E la condivisione va praticata, non può rimanere un gesto senza alcuna corrispondenza con la realtà quotidiana che si vive tutti i giorni. Se le nostre celebrazioni perdono questo ancoramento con la realtà, si ammalano, diventano patologiche.

Caritas ha lanciato una campagna contro la fame nel mondo e si è impegnata a presentarne i risultati proprio all’apertura di Expo. Un mondo dove non ci sia più nessun bambino malnutrito è un obiettivo raggiungibile?

Quando c’è un grido disperato, la reazione può esser quella di assecondarlo. Noi abbiamo bisogno - proprio perché si spenga il grido disperato degli affamati - di tenere viva la speranza. Con convinzione e responsabilità. Dobbiamo avere fiducia che è possibile alleviare la condizione disperata e negativa di chi soffre.

Certo ci vuole molto impegno. Ma dipende da noi, che viviamo da questa parte del mondo, promuovere un tipo di sviluppo che sia di aiuto agli altri e non sia solo una crescita egoistica per noi.

Un tempo quando si parlava di sviluppo si pensava a paesi lontani. Oggi con le migrazioni, i mali del mondo, ce li ritroviamo sotto casa. Si poteva sperare che questo ci avrebbe reso più solidali. Invece, in un mondo sempre più interconnesso, vediamo diffondersi anche la globalizzazione dell’indifferenza, come la chiama papa Francesco...

In pochi anni la situazione si è capovolta non sono più lontani quelli che stanno nel bisogno, ma sono venuti da noi e vivono nelle nostre città, nei nostri quartieri. Inoltre abbiamo assistito ultimamente a un’altra novità: l’impoverimento della nostra società. Gli appartenenti alla nostra cittadinanza sono in situazione di povertà: non hanno il necessario per arrivare alla fine del mese. È comprensibile che questa situazione faccia spavento. Ma abbiamo le risorse per trovare soluzioni intelligenti e creative. Dobbiamo avere fiducia e la piena convinzione che possediamo i mezzi necessari per affrontare e risolvere questi problemi. febbraio 2015 Scarp de’ tenis

33

DOSSIER soldi per pagare le bollette e l’affitto della casa dell’Aler.

Il sostegno materiale è fondamentale ma se offerto senza un sorriso diventa avvilente per chi lo riceve.

Per questo la Caritas ha voluto affiancare all’aiuto concreto, costante e quotidiano offerto dai suoi operatori e volontari, anche un’esperienza simbolica per tutti i cittadini, in un momento particolare dell’anno come il Natale.

L’iniziativa, lanciata poco prima delle feste, è stato il banco di prova della proposta di Caritas per Expo 2015 che avrà al centro appunto proprio il tema della condivisione.

“Dividere per moltiplicare”, cioè condividere, sarà il titolo del padiglione che Caritas costruirà all’interno del sito espositivo e il cappello sotto il quale si svilupperà il palinsesto culturale concepito per l’esposizione: circa 20 eventi, con centinaia di esperti e testimoni provenienti da tutto il mondo.

Dividere per moltiplicare «Noi crediamo – osserva Luciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas Ambrosiana – che la condivisione sia il solo modo per nutrire il pianeta, come pretende di fare Expo». Ora proprio “Il pane spezzato è più buono dell’aragosta” è stata un’anticipazione di questo programma. Chi prova a spezzare il pane con gli altri, sa quanta energia può sprigionarsi dal quel semplice gesto.

«Dopo aver ascoltato la sua storia e diviso con lei il pranzo di Natale ora per me Sabia non è più una donna straniera che ha bisogno come tante altre – conclude Valeria–. Penso a lei e alla sua bambina. Cerco di fare qualcosa. Sto domandando in giro nel quartiere: spero di trovare presto qualcuno che ha bisogno di una badante. Voglio proporre lei, perché l’ho conosciuta e so che ci si può fidare».

34 Scarp de’ tenis febbraio 2015

I numeri della Cena dell’Amicizia: più di 16 mila pasti serviti in un anno, 90 ospiti accolti a settimana, 101 volontari, 4 équipe multidisciplinari, 10 operatori professionali, 1.200 colloqui in un anno, 1.500 persone seguite.

Cenare con gli ultimi per creare accoglienza di Maria Assunta Casati

Lo scopo non è fornire servizio di mensa ma offrire amicizia, accoglienza e condivisione, un sostegno a chi è in difficoltà

Un martedì del 1968 un gruppo di giovani organizzarono una cena per un alcuni senza dimora. Da allora la cena del martedì è diventato un appuntamento fisso: la Cena dell’Amicizia.

Negli anni la sede è cambiata, attualmente sono ospitati nei locali della parrocchia di via Lattanzio a Milano, ma lo spirito è rimasto lo stesso. Ogni martedì sera alle 19.30 dai 50 ai 70 ospiti siedono a tavola, quasi sempre gli stessi e di età compresa tra i 35 e i 75 anni, la maggior parte di loro sono italiani, alcuni vivono per la strada, altri nei centri di accoglienza, altri ancora nei dormitori, altri sono semplicemente poveri hanno pensioni minime e vivono in case popolari. Per tutti l’appuntamento del martedì rappresenta la possibilità di consumare un pasto in compagnia di persone amiche.

I volontari che da oltre 40 anni sono gli artefici della riuscita di

Ecco il rendering dell’edicola multimediale che Caritas allestirà sul Decumano di Expo per spiegare il senso della propria presenza all’esposizione mondiale di Milano: “Dividere per moltiplicare”

IL PROGETTO

questo progetto, sono una ventina ogni settimana, oltre agli adulti ci sono giovani provenienti dal mondo scout di età compresa tra i 16 e i 20 anni e studenti universitari della Bocconi.

I volontari del martedì sera sono sempre gli stessi e, ci tengono a sottolineare, che il loro scopo non è fornire servizio di mensa, bensì offrire amicizia, accoglienza e condivisione, un modo per dare sostegno a persone in difficoltà. La continuità dei volontari è importante per stabilire un rapporto di fiducia con gli ospiti: vedere gli stessi volti e incontrare le stesse persone aiuta a stabilire un rapporto, a creare relazioni, condizione fondamentale per stabilire un legame di amicizia e condivisione, condizione importante anche per conoscere le loro storie, necessità, emozioni e speranze.

Disponibilità e apertura al-

l’ascolto, una tavola apparecchiata e la condivisione del cibo sono gli ingredienti di queste cene.

A ogni tavolo siedono dalle 4 alle 6 persone di cui uno è volontario, condizione importante per la conoscenza dell’ospite.

E con il tempo i volontari imparano anche a capire quali, tra i racconti che gli ospiti fanno della loro vita sono reali e quali invece invenzioni (che col tempo a volte diventano convinzioni), un’evasione spesso necessaria è uno dei modi che mettono in atto per sopravvivere alla dura realtà della vita quotidiana.

L’atmosfera che si respira durante la cena è di convivialità, ai tavoli si ride e si parla, la sensazione è di una cena “aperta”, intesa come apertura dei volontari all’ascolto, di “apertura” alla normalità. «Sono accolto bene e in amicizia, sono tutte persone generose e buone – racconta un ospite, che da 3 anni partecipa alla

Cena–. Vivo in dormitorio e spesso la sera mi demoralizzo, mentre quando vengo qui mi rigenero e per qualche ora non pensa alla mia situazione e alle condizioni in cui vivo. Ti fanno sentire “normale”, esisti ti conoscono, non sei invisibile».

Non è facile mettere a tavola così tante persone ogni settimana nonostante le donazioni di supermercati e amici. Per questo i volontari, oltre a prestare la loro opera si autotassano e pagano ogni settimana la cena che consumano.

La sera che siamo stati ospiti della Cena hanno cucinato, gratuitamente, i ragazzi di The cooking factory associazione appena costituita. Quando, al termine della cena, si sono presentati in sala sono stati accolti da un grande applauso e la gratitudine espressa dagli ospiti con i loro “grazie” è stato commovente.

SCHEDA

Caritas a Expo: un’”edicola” per far capire la condivisione Anche Caritas sarà ad Expo. Il padiglione della Caritas, che si svilupperà su circa 800 metri quadri e ribattezzato l’Edicola, sarà collocato lungo l’arteria principale del sito espositivo, il cosiddetto decumano.

I visitatori che entreranno nell’Edicola della Caritas, o per meglio dire nel tempietto, come l’etimologia del nome suggerisce avranno l’opportunità di compiere un’immersione totale dentro il tema con cui Caritas ha provato a reinterpretare il titolo dell’esposizione “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, promettono i progettisti dello studio di architettura Piuarch.

«Papa Francesco – spiega Luciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas Ambrosiana – ricorda che la parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci ci insegna che se c’è la volontà, quello che abbiamo non finisce, anzi ne avanza e non va perso.

Ecco perché noi pensiamo che per nutrire il pianeta, non vi sia altra strada che quella della condivisione, la sola divisione che non diminuisce ma moltiplica le risorse e le energie. Da qui il titolo che abbiamo scelto come segno della nostra presenza in Expo: “Dividere per moltiplicare”».

Nel progetto dell’Edicola, anche Scarp de’ tenis, avrà un ruolo. Un’edizione speciale del nostro magazine sarà stampata e diffusa nel padiglione.

febbraio 2015 Scarp de’ tenis

35

Il tango?

Si balla ad occhi chiusi di Alberto Rizzardi

Alla scoperta del progetto “Ballare a occhi chiusi” dell’associazione Retinite Pigmentosa onlus, che aiuta chi è affetto da questa patologia, migliorando la vita di tutti i giorni. Attraverso corsi di tango argentino 36 Scarp de’ tenis febbraio 2015

C’è un bellissimo aforisma di Antoine de Saint-Exupéry che dice: “Gli occhi sono ciechi; bisogna cercare con il cuore”. E c’è una scena di un film che, in qualche modo, ha messo su pellicola questa frase.

Ricordate “Scent of a woman”? Era il 1992 e fu uno dei remake meglio riusciti nella storia recente del cinema (l’originale era “Profumo di donna”, pluripremiato film del 1974 di Dino Risi con Vittorio Gassman): Al Pacino interpretava Frank Slade, un colonnello in pensione cieco, alcolista e dal carattere scorbutico. Un personaggio spigoloso e irascibile, ma anche ironico e incredibilmente affascinante: come nella famosa scena in cui invita a ballare un perfetto tango argentino la giovane Dana, fidanzata di Charlie, suo accompagnatore temporaneo.

Questo lungo preambolo per farvi conoscere una bella iniziativa partita a Bologna quasi un an-

Alcuni protagonisti di “Ballare ad occhi chiusi” il corso di tango argentino per ipovedenti organizzato dall’associazione Retinite Pigmentosa in quel di Bologna

LA STORIA no fa e che lega proprio tango e disabilità visiva: si chiama “Ballare a occhi chiusi” ed è un corso di tango argentino per ipovedenti, organizzato dall’associazione Retinite Pigmentosa onlus, che dal 1992 riunisce in Emilia Romagna le persone affette da patologie rare della retina. Che cos’è la retinite pigmentosa? È il nome dato a un gruppo di distrofie degenerative ereditarie della retina, molto complesse e rare, che nel tempo riducono il campo visivo periferico mantenendo la visione centrale. Insomma, chi ne è affetto di norma non diventa cieco ma è ipovedente.

La malattia colpisce sia anziani sia persone più giovani, i cui fotorecettori dell’occhio, ovvero le cellule della retina che hanno il compito di cogliere il segnale visivo per inviarlo al cervello,

Matteo Ardit: «Il judo è più adatto a chi ha difficoltà visive perché si è sempre a contatto con l’avversario.

Le difficoltà si trovano nello sport come nella vita: la cosa importante è avere sempre il coraggio di affrontarle senza mai mollare»

si danneggiano progressivamente.

Qualche dato: nel mondo circa 1 milione e mezzo di persone sono affette da retinite pigmentosa; in Europa la patologia colpisce circa 3 persone ogni 10 mila, per un totale di oltre 150 mila pazienti (15 mila in Italia). Al momento non esistono cure che consentano di guarire o di arrestare lo sviluppo della malattia. Ma la ricerca scientifica è al lavoro da tempo su varie strategie: dalle terapie geniche ai trapianti di retina, passando per la retina artificiale. E l’Italia, nonostante poche risorse, è tra i pionieri: in cinque ospedali, tra cui il Gemelli di Roma e il San Paolo di Milano, si sta sperimentando un collirio a base del Nerve Growth Factor ricombinante umano, la molecola che nel 1986 valse a Rita Levi Montalcini il premio Nobel per la Medicina. Il farmaco, il primo a essere approvato dalla Food and Drug Administration e dall’Agenzia Europea per i medicinali per una sperimentazione per la retinite pigmentosa, punta – questa è la speranza dei ricercatori – a un recupero della visione, in particolare a un allargamento del campo visivo e a una riduzione della nictalopia, ovvero l’incapacità di ve-

dere in condizioni di scarsa luce. I primi risultati sono incoraggianti, ma servirà del tempo per capire se questa terapia potrà essere un tassello importante per contrastare la patologia.

Maestro di judo. Al buio Intanto, chi ne è affetto deve fare i conti con la vita di tutti i giorni: perché questa malattia, come tante altre che rendono ipovedenti o ciechi, provoca notevoli disagi anche nei gesti apparentemente più semplici, con il rischio concreto di solitudine ed esclusione sociale.

Ci sono, tuttavia, tante storie di persone che, pur ipovedenti, affrontano la vita a testa alta e con coraggio: Jeroen Perk, trentacinquenne olandese sottopostosi nel 2013 a un intervento per l’impian-

to della protesi retinica, il cosiddetto “occhio bionico”, è, per esempio, ora in grado addirittura di tirare con l’arco. Ma non serve andare così lontano: in Italia Matteo Ardit, 42 anni, ipovedente dalla nascita a causa della retinite, è cintura nera di judo e affianca i maestri nella Nazionale non vedenti.

Si è avvicinato a questo sport anni fa all’Istituto Configliachi per non vedenti di Padova, laddove conobbe il compianto Walter Monti, argento alle Paralimpiadi di Seul 1992 ed ex allenatore della Nazionale. «Ho oltre venticinque anni di esperienza nel judo – racconta Matteo – e sono convinto che sia il più adatto a chi ha difficoltà visive perché si è sempre a contatto con l’avversario. È vero che questa disciplina richiede molta precisione,

NAPOLI

“C’è Luce in cucina” con Lucia: cuoca, food blogger e non vedente La sua storia di food blogger non vedente Lucia Esposito la racconta con la serenità di donna che cucina tutti i giorni. Napoletana, vive a Portici, 33 anni, un figlio di 7, non vedente da quando ne aveva 21, ha messo la sua passione per la cucina tradizionale napoletana nel canale “C’è Luce in Cucina”. Uno spazio creativo on line tutto suo e molto seguito dove pubblica le sue videoricette: piatti della tradizione tipica locale spiegati passaggio per passaggio.

Nessuna differenza con la miriade di cuochi e appassionati che condividono ricette on line. Eppure la differenza c’è: Lucia “sente” dal fruscìo della fiamma del fornello se il calore è troppo forte, col tatto sa se un pomodoro è maturo per diventare sugo o verde per essere gustato in insalata; profumi emanati dai punti di cottura non hanno segreti per il suo olfatto. Tutta questa sapienzale è stata tramandata da suo padre Vincenzo, per molti anni professionista della ristorazione, diventato poi anch’egli cieco. La figlia lo ha visto per anni all’opera in cucina e ammirata, si chiedeva come facesse a “pesare gli ingredienti con le mani, a sapere il giusto punto di calore dell’olio per friggere, a scegliere i tagli di carne adatti per ogni ricetta”. La decisione di aprire il videoblog con l’aiuto di suo marito, è maturata nell’attesa di un impiego come centralinista; Lucia infatti è abilitata per questo ruolo ed è entrata nella graduatoria che ne regola l’accesso al lavoro. Per il futuro ha desideri semplici: continuare a cucinare ogni giorno, formarsi per cucinare sempre meglio, conoscere Salvatore de Riso e Antonino Cannavacciuolo il suo pasticcere e Canale Youtube: http://tiny.cc/qb5jsx chef preferiti. febbraio 2015 Scarp de’ tenis

37

SCHEDA

NvApple.it, un portale per favorire l’accessibilità

perciò chi non vede o vede poco è svantaggiato, ma il problema si può superare. Le difficoltà si trovano nello sport come nella vita, ma la cosa importante è avere sempre il coraggio di affrontarle nel modo giusto senza mai mollare». Avere coraggio, dunque, e non arrendersi, lasciando spazio alla fantasia. E qui torniamo al progetto “Ballare a occhi chiusi” dell’associazione Retinite Pigmentosa onlus, che vuole provare ad aiutare concretamente chi è affetto da questa patologia, migliorando la vita di tutti i giorni. Come? Attraverso un corso di tango argentino.

Bisogna sempre divertirsi «In questi primi vent’anni di attività – spiega Antonella Gambini,

responsabile progettazione sociale dell’associazione – abbiamo capito che per queste persone con alle spalle un vissuto così impegnativo è molto importante divertirsi e avere delle esperienze gratificanti. Abbiamo fatto molte attività, dai corsi di cucina a quelli di decorazione floreale, ma da tempo cercavamo qualcosa che comportasse anche un impegno fisico per migliorare la coordinazione e permettere di avere una buona conoscenza del proprio corpo, una piena consapevolezza dei propri movimenti e dell’equilibrio; tutti elementi che aiutano molto chi non vede». È così che entra in gioco il tango. Come spesso avviene per una casualità: perché una persona ne conosce

BELLE STORIE

On line “Non virtual radio”, dal web un progetto senza barriere Di retinite pigmentosa e ipovisione si è parlato lo scorso 29 novembre a Bologna nell’ambito di Handimatica, la mostra-convegno dedicata a tecnologie e disabilità organizzata annualmente dalla Fondazione Asphi. E Handimatica ha, di fatto, tenuto a battesimo “Non Virtual Radio”, un progetto avviato proprio a novembre da sei ragazzi non vedenti esperti di nuove tecnologie (Elena Brescacin, Vainer Broccoli, Simone Dal Maso, Vincenzo Rubano, Gianluca Casalino e Alessio Lenzi) che vivono e lavorano in varie città d’Italia: una web radio che alterna musica e approfondimenti su tecnologia, accessibilità e disabilità. Una passione comune, quella per la radio, che ha consentito di trasformare in breve tempo un’idea nata quasi per scherzo l’estate scorsa in un’iniziativa concreta, con l’obiettivo di offrire presto anche programmi d’intrattenimento, notiziari e rubriche su vari temi per poter parlare a tutti ed essere ascoltati da tutti. «Vogliamo dare un messaggio d’inclusione – specifica Elena –: la radio è un mezzo di comunicazione senza barriere; non importa che tu sia cieco, zoppo o altro. In radio sei te stesso e vali per quello che riesci a trasmettere a chi ti ascolta». www.nvapple.it/nvradio

38 Scarp de’ tenis febbraio 2015

La schermata iniziale di NvApple.it, portale che aiuta disabili visivi a usare la tecnologia

un’altra e così via. I maestri sono giovanissimi: Andrea Vighi e

Chiara Benati, 20 anni lui, 17 lei, campioni italiani ed europei in carica e vincitori della Coppa del mondo di danze argentine. «Abbiamo pensato al tango – continua Gambini – perché è un ballo che mette in campo tante dinamiche come la fiducia, il contatto, il guidare e il farsi guidare. È un ballo coinvolgente che ha una sua esteticità legata proprio alle movenze. Tutti elementi in cui noi ipovedenti non rientriamo nei canoni tradizionali. Ma proprio questa è stata la scommessa».

Sette al momento le coppie che ogni domenica si ritrovano allo Sport Village di Bologna, in via San Donato, per cimentarsi con il tango argentino. In pista giovani e meno giovani: si va dai 25 ai 60 anni. «Si è creato un gruppo – spiega Gambini – che, anche con difficoltà, frequenta i corsi con costanza e sa di avere un impegno settimanale che lo “costringe” a uscire di casa; elemento, quest’ultimo, non così facile da affrontare per persone con funzione visiva limitata». Ci si mette in gioco, insomma, e i risultati sono sorprendenti. Il tutto in un corso che, oltre a proporsi come aiuto concreto per la vita di tutti i giorni, si pone anche come strumento di socializzazione per persone che, a causa della disabilità, sono a rischio emarginazione.

Sì, aveva ragione de Saint-Exupéry: per vedere, basta il cuore.

“Non Virtual Radio” fa parte di un percorso più ampio, iniziato più di un anno fa con la creazione del portale NvApple.it: una piattaforma online dedicata alla tecnologia assistiva onboard dei prodotti made in Cupertino per le persone disabili. «Apple – spiega Elena – è stata, dal 2009, la prima azienda a rendere effettivamente accessibile il touch screen a chi ha una disabilità della vista assoluta. Il programma usato, Voice over, era già nativo nei Mac, ma è stato esteso anche ad iPhone e iPad. Per noi è stato come se si aprisse un mondo e abbiamo sentito l’esigenza di condividere questo tipo di tecnologia con chi ha voglia di imparare e magari è alle prime armi; sia lato utente, sia dal punto di vista di genitori e scuole». Da qui l’idea di creare il portale NvApple.it, che nel tempo è cresciuto e si è arricchito: «Abbiamo ora anche una serie di recensioni di applicazioni e accessori utili perché il nostro obiettivo è quello di rivolgersi anche a chi produce e sviluppa, visto che il tema dell’accessibilità è trattato ancora marginalmente, specie al di fuori della ristretta cerchia di addetti ai lavori. Siamo noi i primi ad avere il dovere di informare per far conoscere e sensibilizzare sull’argomento». www.nvapple.it

aforismi

POESIE

di Emanuele Merafina

Il libro Ci sono tante pagine che possono cambiare la tua vita e il mondo

Poesia pulita Acqua da bere, Acqua per nuotare, Acqua per lavarsi e per lavare.

Acqua per sciare (neve),

La lotta Devi lottare se vuoi vincere

Acqua per pattinare (ghiaccio), Acqua per tuffarsi, Acqua per curarsi, Acqua per vivere.

Senza acqua non ci sarebbe la vita degli uomini degli animali delle piante.

Il corpo umano è composto per il 65% di acqua.

Perché lo ignoriamo e ci distruggiamo?

E distruggiamo il mondo?

Solo gli animali hanno la saggezza della natura e rimangono coerenti a se stessi!

Silvia Giavarotti

Al vento Con impeto soffi, venendo dal mare. spazi il crinale dei colli.

Ti insinui fra le insenature ubbidienti dei pini fra le erbe odorose dei prati e dei boschi E ne porti gli effluvi lontano.

Tu sei il negligente Signore di questa assolata contrada.

Poi, d’improvviso, ti plachi, trasformato in brezza leggera che accarezza e rinfresca la sera.

Ogni cosa, allora, riposa serena, dopo il lungo meriggio spezzato dal sole.

La tua voce addolcita diventa un sussurro indistinto che s’invola dalla terra al cielo.

E porta sulle sue eteree Le angosce e le speranze di noi mortali.

Pierluigi Logli

Senza senza Ho tolto il senza alla fiducia Ho tolto il senza agli affetti Ho tolto il senza alle emozioni Ho tolto il senza alla partecipazione Ci sono lavori in corso per toglierlo a me stesso e all'amore, e passo passo la mia esistenza Sta diventando vita.

Roberto

Inverno Parole senza vita sulla tastiera del computer si sciolgono in battiti incerti La donna falsa di un dialogo senza voce, intrisi di pensieri sommessi e si mischiano all’odore acre Dolente e misteriosa, la donna cammina del sugo scontato e dell’arrosto bruciato. Lente scendono le lacrime amare nel suo passo leggero. nel ristagno del cuore, quando la vita cancella le emozioni nella fredda sera d’inverno. Il vento l’accarezza, Il cielo sfuma al tramonto e all’imbrunire l’anima tace mentre il sole pallido della sera la luce la sfiora.

Confusa nei suoi pensieri, si nasconde dietro le cime del monte dorato. S’ode lontano col viso sereno e gli occhi stanchi.

L’idea un giovane volontario il rintocco dell’Ave Maria ritorna di nuovo il sole adi tenermi compagnia.

Lei ti dimostra nel soffrire

Gaetano Toni Grieco della Ronda della carità diquanto Milano: è brava a recitare.

Schioppa una App contro lo sprecoFabio alimentare

febbraio 2015 Scarp de’ tenis

39

INCHIESTA

Terra dei fuochi: la Chiesa è in prima linea di Stefania Marino

Una vera e propria ecatombe. In atto nei territori a Nord di Napoli e a sud di Caserta: la terra dei fuochi.

Contro la quale i sacerdoti sono a fianco della gente 40 Scarp de’ tenis febbraio 2015

«I territori campani a Nord di Napoli e a sud di Caserta sono stati in questi anni terribilmente e incredibilmente feriti e violentati da milioni di tonnellate di rifiuti industriali, altamente tossici, interrati o dati alle fiamme. Criminali senza scrupoli hanno avvelenato la terra, l’acqua, l’aria». È il 16 novembre del 2012 e così inizia la lettera aperta scritta dai vescovi delle diocesi di Napoli, Caserta, Acerra, Aversa, Capua, Nola e Pozzuoli. Non sono bandiere di partito a denunciarlo ma è la Chiesa che scende in campo e denuncia lo scempio definito “insopportabile”. Nero su bianco si firmano “noi Vescovi della Terra dei Fuochi”.

Ma non è una solo una battaglia di inchiostro. La Chiesa scen-

1806

443

9.789.511

persone denunciate nelle inchieste sulle ecomafie

le aziende coinvolte nel traffico dei rifiuti

Le tonnellate di rifiuti che sono stati smaltiti iillegalmente

fonte: Legambiente 2013

de in strada, in testa ai cortei, davanti alle telecamere.

Don Maurizio che non ci sta Don Maurizio Patriciello, è il prete che da Caivano, si è fatto carico di questo dramma. Sono le 20 di sera quando risponde al telefono.

Lo hanno appena chiamato dall’ospedale perché c’è una donna di 46, ammalata di tumore, in fase terminale, indigente, madre di due bambini che vuole tornare a morire nella sua casa. L’unico rifugio fisico e affettivo in un deserto di indifferenza. Quell’indifferenza istituzionale e sociale che da troppi anni come una cappa copre quel disastro ambientale passato alla cronaca con la riduttiva locuzione “Terra dei Fuochi”.

Don Maurizio mentre in un minuto ci fa la conta dei morti degli ul-

sto sistema criminale di smaltimento illecito di rifiuti si mantiene sulle sacche di povertà e di emarginazione.

A gennaio i Carabinieri della Stazione di Villa Literno hanno arresto un cittadino ghanese che aveva appiccato il fuoco a dei rifiuti speciali di varia tipologia.

Stessa cosa accaduta a Maddaloni. In manette sono finite due donne bulgare, entrambe giovanissime. Si prestano a fare il lavoro sporco per pochi spiccioli senza sapere nemmeno da dove vengono i materiali. La maggior parte dei fuochi vengono accesi sotto i ponti del cosiddetto asse mediano. Ma non solo.

«Ho visto spettacoli desolanti nelle campagne». Sono le parole di monsignor Angelo Spinillo, Vescovo della Diocesi di Aversa.

Nel suo studio presso il Vescovado ci racconta tutti i passaggi di questa eterna e drammatica cronaca. È arrivato qui nel febbraio del 2011. Ha colto da subito le ferite ambientali di questo territorio. E ci parla di quando don Maurizio gli raccontava delle finestre chiuse delle case della povera gente in piena estate perché «non si respirava».

I vescovi a fianco della gente Dopo quel manifesto di qualche

Psichedelio

dell’ordine abbiano beccato un immigrato dello Sri Lanka a cui avevano dato 5 euro per appiccare un rogo.

Non conosceva una parola di italiano. Altre volte sono rom, disoccupati. Perché que-

L'intervento dei vigili del fuoco impegnati a spegnere uno dei tanti roghi di rifiuti speciali e tossici appiccato sotto un cavalcavia di una strada provinciale nella zona di Afragola, in provincia di Napoli

Gianluca Rizzi

Gianluca Rizzi

timi giorni ce lo conferma.

«Io la chiamo la terra dei fumi e dei veleni». I fuochi, i fumi neri che si alzano dalla terra sono i roghi di rifiuti industriali tossici fatti appiccare da mandanti invisibili. Il codice penale prevede l’arresto per chi viene sorpreso in flagranza di reato. Capita spesso però che chi viene sorpreso sul fatto non corrisponda al mandante ma sia solo l’ultima ruota del carro. Spesso immigrati che nemmeno hanno consapevolezza del reato. È capitato che le forze

È previsto l’arresto per chi viene sorpreso in flagranza di reato.

Capita però che chi viene sorpreso ad appiccare il fuoco non sia il mandante ma l’ultima ruota del carro.

Spesso immigrati che non hanno consapevolezza del reato.

mese prima in cui i vescovi denunciano «l’ecatombe» perché «nelle nostre diocesi il cancro miete vittime innocenti più che altrove»la battaglia della Chiesa va avanti. A luglio dello stesso anno il vescovo Spinillo firma un intervento presentato alla Commissione per le Petizioni a Bruxelles in cui senza mezzi termini punta il dito contro i rifiuti industriali «provenienti dal Nord Italia e interrati o dati alle fiamme in modo illegale, illecito, criminale».

Ma accusa anche tutto quel sistema locale di aziende che smaltiscono in nero gli scarti delle lavorazioni. La Chiesa si muove e smuove migliaia di cittadini. Si costituisce o si risveglia quella coscienza civile capace di indignarsi, di reagire davanti allo scempio ambientale, alla latitanza delle febbraio 2015 Scarp de’ tenis

41

INCHIESTA istituzioni, davanti ai cimiteri di vittime innocenti.

È rimasta una pagina di storia la marcia del 4 ottobre 2013 da Orta di Atella a Caivano. Migliaia di persone, forse 50 mila, famiglie con i bambini in braccio in strada per dire basta. Un cartello recitava “Emigrare in cerca di lavoro è comprensibile, emigrare in cerca di salute è intollerabile”. La Chiesa dopo il decreto legge del 2013 poi convertito in legge che prevede provvedimenti per rimediare al tempo perso e arginare un consolidato flusso criminale, firma un secondo appello.

C’è ancora nolto da fare È gennaio 2014 e i Vescovi, chiedono di intervenire. Riprendono l’appello di Sandro Pertini davanti ai morti del terremoto del 1980 e scrivono “Fate presto”. Chiedono bonifiche, perimetrazione dei terreni malati e “tutela della buona agricoltura e dei produttori onesti”. Perché è accaduto anche questo. Che siano finiti nel calderone del tossico e del nocivo. E non è cosi. Stefano Di Foggia è il responsabile della Pastorale sociale della Diocesi di Aversa. Conosce bene gli aspetti normativi che stanno caratterizzando la vicenda di questa terra dove per anni sono stati seppelliti milioni di tonnellate di rifiuti industriali, dove nessuno dice che questo concentrato di veleni sia correlato ai tanti casi di tumore.

Sono passati quasi 3 anni da quando è iniziata questa battaglia civile, culturale, etica. Dorme in senato un disegno di legge che andrebbe ad inasprire le pene per i reati ambientali. C’è molta confusione. Mons. Spinillo ad oggi dice di «avere la sensazione che si stia fermi». Anche lui conserva il ricordo di una giovane donna di Frattaminore. Stava per morire.

Parte di un’ecatombe ancora in corso. Qui, in Italia.

42 Scarp de’ tenis febbraio 2015

Le famiglie che fanno parte dell’Associazione “Noi genitori di tutti”, che hanno perso un figlio per un male incurabile, sono impegnate nel denunciare la situazione terribile che si vive nella terra dei fuochi

LA STORIA

“Noi genitori di tutti”: la lotta di chi ha perso un figlio Si può dare un senso civile alla morte di un figlio? La risposta è nell’attività di denuncia e sensibilizzazione dell’associazione “Noi genitori di tutti” nata dalla volontà di 13 mamme e 13 papà, accumunati da quell’identico dolore, che l’hanno fondata per testimoniare e tenere alta l’attenzione sulla questione dei rifiuti illegali interrati nella Terra dei Fuochi.

Tina Zaccaria, presidente dell’associazione, conduce la sua battaglia di denuncia in nome della figlia Dalia, nata a Casalnuovo, uno dei 57 comuni racchiusi nei 1100 chilometri quadrati fra Napoli e Caserta e morta a 13 anni per un tumore.

«A qualcuno non piace che si dica, ancor meno che si scriva – ribadisce -. Esiste una stretta correlazione tra salute e rifiuti. Esiste un legame sinistro tra smaltimento criminale di rifiuti industriali e urbani e tasso di mortalità infantile. Aumentano i bambini cui le neoplasie vengono diagnosticate a tre mesi, vuol dire che si sono ammalati nel ventre materno e non è questione di “stile di vita scelto” come anche qualche rappresentante istituzionale ha dichiarato. Siamo state ricevute dall’ex presidente Giorgio Napolitano, siamo andate in udienza dal Santo Padre, abbiamo avuto una grande attenzione, ma nulla di più. Chiediamo leggi che

inaspriscano le pene per reati ambientali; controlli sulla filiera dei prodotti agroalimentari più rigorosi e non a campione. Noi viviamo qui e sappiamo perché lo vediamo ogni giorno, che su vasti appezzamenti di terreni che coprono rifiuti speciali si continua a coltivare ortaggi, così come si producono le verdure in terre confinanti la Resit, la discarica di Giugliano. Esiste l’agricoltura di qualità anche da noi, ma per quel che vediamo e viviamo non possiamo accettare il messaggio rassicurante per cui non abbiamo niente da temere, che non è successo niente e che siamo degli allarmisti».

Tutt’altro. La signora Tina e il marito, come tanti altri genitori continuano a vivere qui e a testimoniare la loro esperienza proprio per offrire e contribuire alla costruzione di un futuro sano per i figli che stanno crescendo qui.

Poi, ritornando alla dolorosa esperienza della malattia di Dalia, che scelsero di curare a Genova, dove hanno beneficiato di una serie di servizi di supporto e accompagnamento per le famiglie: dall’alloggio, ai gruppi di condivisione, al supporto psicologico, la signora Tina chiede con forza che anche «in Campania, che è Italia quanto la Liguria, si attivino servizi regionali di sostegno alle famiglie dei bambini malati». Laura Guerra

VICENZA voro ha siglato una convenzione con questa struttura, che fornisce vitto e alloggio.

E perché loro sono qui?

Eh, questa è dura Manu, ognuno ha la sua storia alle spalle, ma in generale vogliono poter avere un'opportunità per vivere.

Grazie alla disponibilità di comune e genitori alcuni rifugiati garantiscono l’assistenza al Pedibus

Se i rifugiati guidano il Pedibus di Martina Copiello

Manuela è di Jesi ma abita a Roma. A Roma ci campa ma

info Sandrigo è un paese di circa 8.600 abitanti in provincia di Vicenza che ospita dallo scorso 14 settembre una trentina di rifugiati provenienti principalmente da Mali e Gambia. Dopo i primi momenti di difficoltà il gruppo sta iniziando lentamente a farsi ben volere dalla comunità: alcuni di loro hanno preso parte, come volontari, alla tradizionale “Festa del Bacalà”, organizzata dalla Pro Loco che richiama a Sandrigo visitatori da tutto il Veneto.

Da gennaio è partita invece la sperimentazione per supportare le mamme del Pedibus.

Il centro di accoglienza è gestito dalla Cooperativa Altrestade di Padova. www.altrestrade.it

non ci vive, a Roma le piace il gelato, ma non prende i supplì e quando arriva in terre venete non si capisce se il suo sia un soffio che dice “che freddo, che nebbia” oppure un sospiro di sollievo per essere lontana dalla capitale.

Manuela è un'amica. Ieri sera è arrivata alla stazione. Il programma è cenetta e a letto presto, perché il giorno dopo c'è l'esame di stato, a Padova. Sarà psicologa.

Ma ho una sorpresa: «Ciao Manu, sì sì, la cena è pronta, ma poi dovremmo passare all'ospedale.

Uno dei richiedenti asilo con cui lavoro sta aspettando al pronto soccorso». A Manu regalo un pò della mia quotidianità e durante il tragitto inizia la saga dei perché.

Marti, perché sono in due qui all'ospedale?

Perchè Youssuf sta male, ma parla solo bambarà e Amadou ci fa da traduttore.

Perché siete al pronto soccorso?

Perché abbiamo il medico assegnato a Sandrigo, che oggi ci ha detto di venire qui» Perché vivono in un albergo?

Perché la cooperativa per cui la-

Ma Marti, che ci fanno loro tutto il giorno a Sandrigo?

Eh, qui la risposta è più lunga. Ma poi uso un espediente. Ecco un esempio: oggi ci chiama una signora del comitato genitori delle scuole elementari di Sandrigo e penso, aiuto. Forse rogne in vista.

Cosa sarà successo? E invece, ecco che sopraggiunge la proposta, e mi dicono: “Volete che i vostri ragazzi ci aiutino con il Pedibus?

Potrebbero affiancare due cittadini di Sandrigo, cosa ne pensate?” Ehm, avrò capito giusto? Stiamo parlando di accompagnare i bambini a piedi a scuola? Per le strade del paese? Momento di smarrimento, breve valutazione mentale. Si, ok, certo, grazie.

Vedi Manu, questo è solo un esempio di quello che si dovrebbe innescare, che loro diventino risorse, risorse per la comunità.

SCHEDA

Altre Strade, servizio alla comunità La cooperativa Altre Strade è nata a Padova nel 2003 e da una decina d’anni gestisce un servizio territoriale in collaborazione con diverse Ulss nella presa in carico di minori in tutela e del rispettivo contesto familiare, scolastico e di amicizia secondo una proposta tecnica specialistica costruita insieme all'Università di Padova. Si prova a risolvere le problematiche dando al minore e al suo contesto gli strumenti per gestirle lì dove si generano, anziché allontanarlo inserendolo in comunità. Altri progetti riguardano la mediazione e la promozione della salute comunitaria, in collaborazione con Comuni e Province, e hanno lo scopo di rendere gli attori della comunità competenti nella gestione delle problematiche che li riguardano; creare connessioni nuove tra snodi formali e informali del territorio e ri-direzionare le connessioni già esistenti, secondo il costrutto di architettura di servizi generativa, costruito in collaborazione con l'Università di Padova.

Nel 2014 ha iniziato a occuparsi di profughi unendo al più abituale accompagnamento istituzionale questo nuovo sistema di intervento. febbraio 2015 Scarp de’ tenis

43

ci sono scarpe e

Abbonati.

Prezzo bloccato.

30 euro dieci numeri Versamento sul c/c postale 37696200 anche su www.scarpdetenis.it

è sempre una bella storia!

Nomadic Lass - Creative commons

da a stra l l e d sile Il men

GENOVA

L’alto numero di anziani favorisce l’accudimento familiare e trova nelle straniere una risorsa fondamentale

Sempre più anziani: liguri “salvati” dagli immigrati di Mirco Mazzoli

scheda Dal Rapporto emerge che in Liguria la presenza straniera non è un elemento di competizione con gli italiani: gli immigrati non tolgono diritti e spazi ma, al contrario, aiutano un territorio che, con i suoi dati demografici, farebbe fatica a competere. In certi quartieri di Genova la concentrazione di stranieri, specie di giovani a rischio devianza, è così evidente da sollevare problemi di accoglienza e di convivenza.

Più che dal tipo di popolazione che ci vive, il problema è creato dal tipo di politiche che sono state promosse.

Il centro studi Medì – Migrazioni nel Mediterraneo, riferimento a Genova per lo studio del fenomeno migratorio, ha scattato la prima fotografia all’immigrazione ligure: dopo sette anni di indagine sul solo territorio genovese esce infatti in questi giorni il “Primo rapporto sull’immigrazione in Liguria”.

Il dato di massima è che gli stranieri residenti in Liguria sono 111.416 (censimento 2011): dieci anni prima erano 35.950. Nello stesso periodo, i genovesi sono diminuiti di 76 mila unità mentre gli stranieri sono cresciuti di 75 mila, con una variazione percentuale di +209,9%. Hanno dunque ragione quanti parlano di invasione? «No - risponde Andrea T. Torre, direttore di Medì e curatore del rapporto con altri ricercatori

Dal 1981 la Liguria ha perso 310 mila abitanti: un calo costante che solo in parte è stato colmato dagli immigrati

e studiosi, tra cui Maurizio Ambrosini, sociologo e docente dell’Università di Milano –: direi piuttosto che studiando l’andamento degli stranieri in Liguria, e in particolare a Genova, si percepiscono con maggiore consapevolezza i problemi della società che li accoglie». Cioè, in primo luogo, la natalità negativa e l’invecchiamento della popolazione autoctona: la Liguria e il suo capoluogo sono la regione e la città più anziane d’Europa. Che succederebbe se non ci fossero gli immigrati a controbilanciare la tendenza?

Saldo demografico a picco Spiega Torre: «Dal censimento del 1981, che registra il picco demografico massimo, la popolazione ligure è calata fino a perdere, ad oggi, 310 mila abitanti: per avere una idea concreta, è come se si fosse persa una intera città delle dimensioni di Catania. Più che spaventarci per la crescita degli immigrati, quindi, dovremmo riflettere sul nostro invecchiamen-

to e sulla denatalità, problemi che appaiono sottovalutati nella percezione comune e che invece diverranno complessi sul mediolungo periodo. Basti pensare ai tanti single che oggi sono adulti autonomi e spesso immersi in una rete di relazioni socialmente ricche, ma che domani saranno anziani soli, senza l’aiuto di una famiglia e presumibilmente bisognosi di assistenza».

Visti con gli occhiali giusti, gli immigrati costituiscono un essenziale rimbalzo, anche se ciò non consente di farsi illusioni perché il loro apporto non riesce ad invertire del tutto il saldo demografico. E una regione con meno abitanti che stenta a rinnovarsi è più esposta a fragili conseguenze sul piano sociale, economico, produttivo e anche sul piano culturale. «È per questo che occorrerebbe favorire la stabilizzazione verso l’alto dei giovani stranieri - sottolineano i curatori del Rapporto - in prima istanza attraverso la scuola: in Liguria, su un totale di 170.470 alunni, abbiamo 21.548 alunni stranieri che continuano a riscontrare difficoltà di accesso all’università. A questo proposito il Rapporto analizza i percorsi degli studenti stranieri giunti fino ai diversi atenei: una piccola percentuale che dimostra che, quanto più la società emancipa i nuovi cittadini, tanto più si riducono marginalità e malessere sociale».

Nel campo occupazionale: nel 2012 su 632mila occupati liguri gli stranieri risultavano 67mila di cui 53mila non appartenenti alla Ue. La crisi ha colpito ovviamente anche il lavoro straniero: il Rapporto mette in evidenza come siano peggiorate tutte le situazioni nei comparti dove gli immigrati trovano lavoro. Discorso a parte per il settore dell’accudimento familiare, che impiega le donne, che sono il 55% della popolazione straniera: l’alto numero di anziani favorisce questo lavoro e trova nelle straniere una risorsa irrinunciabile per molte famiglie. febbraio 2015 Scarp de’ tenis

45

REPORTAGE

Bruxelles, Emilia La scommessa di Giacomo di Paolo Riva

Giacomo Toschi è uno degli 82 mila nostri connazionali che nel corso del 2013 hanno lasciato l’Italia per cercare fortuna all’estero.

Lui ha aperto un’osteria emiliana nel quartiere africano di Bruxelles. E non tornerebbe indietro 46 Scarp de’ tenis febbraio 2015

«Ripeto sempre ai miei clienti che, quando entrano qui, devono sentirsi per un paio d’ore come a Bologna.

Poi, mangiato e bevuto, bene e in un clima amichevole, possono uscire e tornare a Bruxelles».

Quel che dice Giacomo Toschi è tutto vero. Nella sua “Osteria bolognese” sembra proprio di stare in Emilia. L’unico dettaglio inesatto è che chi si è fermato da lui per gustare un bel piatto di tagliatelle o un tagliere di affettati e gnocco fritto, una volta uscito, non si ritrova proprio a Bruxelles, ma a Matonge, che della capitale belga è lo storico quartiere africano, o meglio, congolese. È qui, in un quartiere di immigrati africani (e non solo), che questo trentenne emiliano, anche lui immigrato, ha aperto il suo ristorante poco più di un anno fa, dopo aver lasciato l’Italia nel 2013, insieme ad altri 82 mila nostri connazionali. «Dopo anni di lavoro nel settore della ristorazione come dipendente, avevo voglia di respirare un’aria diversa, meno provinciale – spiega –. Bruxelles si è rivelata perfetta: vicina, ma internazionale. E poi ci abitava già mio fratello, che

Nella foto a sinistra Giacomo Toschi davanti al suo locale a Bruxelles. Qui sopra uno scorcio del quartiere “africano” di Matonge

All’inizio mi immaginavo chissà cosa.

C’era gente che mi diceva “Ti chiederanno il pizzo, non ti lasceranno lavorare” e, invece non ho mai avuto inconvenienti, anzi, tra ristoratori e negozianti ci conosciamo tutti e c’è protezione reciproca.

82.095

12.962

279.000

Italiani che hano deciso di espatriare nel corso del 2013

Italiani che lo scorso anno si sono trasferiti nel Regno Unito

Migranti arrivati nel 2013: (erano stati 321.000 nel 2012)

lavora al Parlamento Europeo».

La scelta di Matongeinvece è stata casuale. «Non avevo in men-

te di venire qui. All’inizio mi faceva un po’ paura. La conoscevo, capitavo qui a volte, ma non mi è mai passata per la testa l’idea di aprirci un ristorante. Poi, per una serie di coincidenze, ho trovato questo locale, mi sono innamorato di questo spazio e delle sue grandi vetrate e, complice l’affitto non esorbitante, ho deciso di prenderlo.

Certo, qualche timore legato alla sicurezza e al tipo di clientela che si sarebbe presentata c’era, ma oggi ne sono assolutamente soddisfatto».

Un pezzo di Africa L’indecisione di Giacomo è lo specchio delle fasi alterne vissute dal quartiere. Nato negli anni ‘60, dopo l’indipendenza del Congo dal Belgio, Matonge, che prende il nome da un omonimo quartiere di Kinshasa (la capitale), ha vissuto un periodo d’oro durante il quale era meta di politici e diplomatici, uomini d’affari e artisti. In gran parte, si trattava di congolesi, che a Bruxelles potevamo permettersi svaghi e divertimento, per esempio, alla discoteca Mambo, ancora oggi aperta ma con molta meno fortuna che in passato. La stessa scarsa fortuna che nei decenni successivi ha avuto l’intero quartiere dove, a partire dai primi anni novanta, i ricchi di passaggio hanno lasciato il posto a rifugiati e migranti economici che sono arrivati in Belgio per rimanerci, che hanno rilevato in molti casi le attività commerciali della zona e che hanno creato nei dintorni della Galerie d’Ixelles quell’insieme di parrucchieri, agenzie di viaggi, money transfer, negozi di cibi e vestiti tipici che ancora oggi rendono l’area molto simile a una città africana in tutto e per tutto.

È in questi anni, soprattutto all’inizio del nuovo millennio, che a causa di alcuni episodi di criminalità e violenza la reputazione del quartiere peggiora e, nonostante gli sforzi di tante realtà culturali e sociali del territorio, arriva quasi inalterata fino alle orecchie di Giaco-

mo, al suo arrivo in città nel 2013.

«All’inizio mi immaginavo chissà cosa. C’era gente che mi diceva “Ti chiederanno il pizzo. Ti minacceranno. Non ti lasceranno lavorare” e, invece, niente, niente. Non ho mai avuto inconvenienti, mai nessun episodio spiacevole. Anzi, tra ristoratori e negozianti ci conosciamo tutti e c’è molta protezione reciproca. Certo, ci sono alcuni spacciatori, ma non danno mai fastidio.

Tutti sanno chi sono e cosa vendono (soprattutto marijuana n.d.r.).

Purtroppo o per fortuna, fanno parte anche loro del quartiere».

A leggere i quotidiani locali, sono una costante. Ad essere delle novità, invece, sono posti come l’”Osteria bolognese”, oppure come “Stam Cafè” o “Unico”, due locali citati da

un articolo del Guardian che alcuni mesi fa ha definito Matonge“una calamita per i giovani belgi”.

Un bel luogo dove vivere Giacomo conferma: «Il quartie-

re sta diventando sempre più movimentato. Hanno aperto parecchi nuovi locali e sono le tante le occasioni di incontro, come il brocante che, una volta al mese, ci dà la possibilità di occupare la strada, appositamente chiusa al traffico, con i nostri tavoli.

Sono iniziative che migliorano la vita del quartiere dove, bisogna dirlo, anche gli affitti si stanno gradatamente alzando. Fra cinque, dieci anni penso che dei parrucchieri che oggi affollano la Galerie d’Ixelles non ne vedremo più manco uno.

LA SCHEDA

La fuga degli Italiani all’estero: Giacomo è in buona compagnia 82.095. Tanti sono stati nel 2013 gli italiani che, come Giacomo, hanno deciso di lasciare il Bel paese. Il 21 per cento in più rispetto all’anno precedente. Lo ha rivelato l’Istat, specificando che a scegliere il Belgio, proprio come ha fatto il ristoratore bolognese, sono stati 2.429 connazionali. Un discreto drappello che però impallidisce se viene messo a confronto con quelli di Regno Unito (12.962), Germania (11.441), Svizzera (9.872) e Francia (7.796). In aumento, nel 2013, anche le partenze di cittadini stranieri residenti nel nostro Paese, salite da 38 a 44 mila. Per contro, rispetto al 2012, sono diminuiti sia gli arrivi di migranti di altre nazionalità (da 321 mila a 279 mila) sia i rientri a casa di italiani (da 29 mila a 28 mila). L’Italia, dunque, continua ad attrarre più persone di quante decidano di lasciarla, ma in maniera molto minore rispetto al passato. Il saldo migratorio netto con l’estero del 2013 di 182 mila unità è infatti in forte diminuzione rispetto all'anno prima (-25,7%) è il valore più basso dal 2007. febbraio 2015 Scarp de’ tenis

47

VERONA po. Loro vogliono solo dimenticare tutto questo, lasciarselo alle spalle e pensare alla vita che hanno davanti, tutta da costruire.

Giovanni li comprende, però non smette di pensarci: quelle storie sono vita, ed in

Miniere d’oro nel sud del Mali, dove uomini e bambini scavano a mani nude in cerca di un sogno impossibile

Ritorno in Africa alla scoperta delle radici di Elisa Rossignoli

Giovanni Cobianchi è un fotografo di Verona. Tra il 2012 e il 2013 lavora come educatore in una struttura per minorenni che accoglie anche minori stranieri non accompagnati. Molti di essi

info www.jereviens.org

Polifemo La Fabbrica del Vapore via G. C. Procaccini 4 - Milano 02.36521349 www.polifemo.milano.it info@polifemo.org

48 Scarp de’ tenis febbraio 2015

sono giunti in Italia in seguito alle turbinose vicende della Libia dal 2011 in poi. Durante i mesi vissuti accanto a loro, accompagnandoli nell'avventura dell'inserimento nel nostro paese, Giovanni, come molti educatori nella sua situazione, raccoglie i loro racconti, frammento dopo frammento, e a tratti a rigagnoli che talvolta diventano veri e propri fiumi. Racconti drammatici, soprattutto, che parlano della traversata del Mediterraneo, del deserto, della morte dei compagni di viaggio, delle vessazioni subite, delle prigioni libiche.

Storie che coinvolgono chi ascolta, e si chiede con sgomento e certo con sollievo "Ma come hanno fatto questi ragazzini ad essere ancora vivi?".

Giovanni rimane colpito da

queste storie, e perchè non vadano perdute, propone ai loro protagonisti di realizzare un libro di testimonianze che le raccolga.

L’idea però non viene accolta dai ragazzi, che non vogliono più tornare in quell'esperienza. Già con il pensiero, con la parola, è difficile ma vedere scritte quelle parole, riviverle per fissarle sulla carta e nella memoria di altri no, è trop-

qualche modo lui sente di dover loro, e ai loro protagonisti, il rispetto dell'esistenza e della memoria. E capisce cosa fare: ne sarà lui stesso il testimone. Come?

Partendo. O meglio ritornando.

Non soltanto sulle rotte di Lampedusa e della Libia, ma oltre, del deserto del Niger verso l'Africa sub sahariana da cui provengono i "suoi" ragazzi, verso i paesi da cui sono partiti. Verso le loro case, dove sarà possibile.

Un viaggio che durerà sei mesi e lo porterà in Tunisia, Niger, Costa d’Avorio, Mali e Libia. «Durante i sei mesi vissuti in Africa, vivo la strada, incontro nuovi amici, sono protagonista di esperienze che raccolgo attraverso la fotografia, la forma di espressione che mi è più congeniale ».

Durante il tragitto, passo dopo passo, Giovanni racconta nel suo blog (www.jereviens.org) ciò che vive, chi incontra, ciò che vede, ascolta, pensa. Le sue foto immortalano istanti, volti, luoghi sintetizzano ed esprimono vissuti. Un anno dopo, le storie raccontate sono diventate una mostra fotografica e un libro dal titolo Je reviens, Io ritorno.

SCHEDA

Una mostra e un libro Je reviens, Io ritorno. Si intitolano così la mostra fotografica e il libro realizzati da Giovanni Cobianchi al rientro dalla lunga appendice africana. Una necessità. «Perché questo viaggio è stato un tornare – racconta l’autore – verso luoghi altri e di altri, non propri, ma divenuti tali attraverso i racconti dei loro protagonisti e con l'immersione nella realtà che li ha generati».

Chi volesse acquistare il libro trova tutte le informazioni necessarie sul blog jereviens.org. La mostra fotografica sarà invece a Milano dal 3 al 27 marzo presso la fabbrica del Vapore, ospitata dallo spazio fotografico Polifemo.

VENEZIA

Un momento del pranzo di Natale nella centralissima chiesa rettoriale di San Girolamo.

Sotto, foto di gruppo per volontari e suore

Il Patriarca al pranzo di Natale con gli homeless di Michele Trabucco

Il terzo anno di un pranzo speciale per 170 ospiti senza dimora della città di Mestre. La san Vincenzo mestrina

info San Vincenzo mestrina Via S.Via Querini 19/a Mestre (VE) tel. 041/959359.

La mensa Cà Letizia, che ha una disponibilità di 122 posti, offre servizio di colazione e cena. La struttura offre anche un servizio docce (lunedì e giovedì 7.00 - 9.00) e di distribuzione vestiario (martedì e venerdi dalle 14.30 alle 16.30)

insieme alla Caritas e alle suore Figlie della Chiesa e a tanti volontari hanno organizzato e animato uno splendido momento di festa e allegria per i tanti senza dimora che anche a Natale hanno potuto sentire il calore e l’amicizia degli amici che hanno servito loro il pranzo di Natale. Con un ospite e amico in più: il patriarca Francesco Moraglia.

Stefano Bozzi, il presidente della associazione san Vincenzo di Mestre, che gestisce durante l’anno la mensa di Ca’ Letizia, per oltre 100 pasti serali, ha voluto offrire ai cittadini di Mestre un’occasione di solidarietà, vicinanza, affetto, amicizia e allegria ai poveri il giorno di Natale.

Non è stato difficile coinvolgere 25 volontari che hanno servito con il sorriso e l’affetto oltre 170 pasti

«E’ stato un’idea che fin da subito ha raccolto – ha spiegato Stefano – l’entusiasmo del Patriarca Francesco, appena entrato in diocesi, del direttore della Caritas, don Dino Pistolato, e di tutti i volontari e realtà che offrono in Mestre un servizio per i senza dimora».

Voleva e vuole essere un segno di unità e di attenzione anche in uno dei giorni più delicati dell’anno, quando il vuoto degli affetti e delle amicizie morde maggiormente, e lo stridente contrasto tra le luci e gli addobbi natalizi e il buio della vita in strada, fa sentire ancora più forte il peso della solitudine.

Aperta San Girolamo È stata scelta la chiesa di san Girolamo, la più antica della città di Mestre, la cui posizione centrale, la realtà di chiesa rettoriale, gestita e custodita dalle suore Figlie della Chiesa, è stata perfetta.

Le organizzazioni hanno lasciato libertà di partecipazione ai volontari che già durante il resto dell’anno fanno servizio nelle mense cittadine di Ca’ Letizia, dei frati cappuccini, dei frati somaschi e della Caritas, cercando di coinvolgere nuovi volontari.

Non è stato difficile arrivare a coinvolgere 25 volontari che dalle 12.30 fino alle 14.30 hanno servito con il sorriso e l’affetto oltre 170 pasti. Rispettando la buona tradizione natalizia sono state portate in tavola: lasagne, pollo (per rispetto anche ai musulmani), patatine, la frutta e l’immancabile panettone con un bicchierino di spumante. Alla fine a ciascuno è stato consegnato un piccolo regalino, per l’igiene personale o l’abbigliamento.

«Davvero una bella festa – ha commentato Stefano Bozzi – per noi che abbiamo partecipato e ancora una volta abbiamo portato a casa un sorriso, un grazie, un abbraccio di chi abbiamo servito, e per i tanti ospiti che hanno sentito in qualche modo il calore di una famiglia che anche a Natale non li abbandona».

La gioia degli amici è stata rafforzata anche per la presenza del Patriarca Francesco, che ha voluto salutare ciascuno e fermarsi ad ascoltarli sedendosi accanto a loro. Non ha mancato di stringere le mani, di dare dei consigli, di consolare qualche lacrima, di condividere un sorriso e un ricordo. Un pastore che ha voluto dare un segno concreto del suo amore per i poveri e i semplici, di chi è in difficoltà e di chi soffre. febbraio 2015 Scarp de’ tenis

49

RIMINI

Rinascere, grazie a una radio di Angela De Rubeis

50 Scarp de’ tenis febbraio 2015

“Mercoledì 14 gennaio, visita ReginaWebRadio, dj con disagi, senza casa, senza lavoro ore 11, Cattolica, Rimini, via don Minzoni, 31. Portare fotografo!”.

Questo leggo sulla mia agenda alla consultazione mattutina.

L’appuntamento è per le 11 ma ci tengo ad arrivare in tempo, per individuare un indirizzo che conosco solo su carta. Alle 10.48 sono davanti alla via e al civico indicati sulla mia agenda, ma comincio a

Stefano Rossini

Matteo Beltrame

Alessandro durante la conduzione del suo programma a base di musica e quiz. A destra i volontari del gruppo che sostiene il cammino della radio.

Daniele Franchi è il “padre” di questa banda strampalata, di disc jockey per caso. Ci ha messo il sotterraneo, che ha ristrutturato e messo in sicurezza, ci sta lavorando da due anni coprendo tutte le spese: «Gratuitamente abbiamo ricevuto e gratuitamente dobbiamo ridare»

guardarmi intorno. C’è qualcosa che non va. Sono davanti ad una palazzina curata, in una traversa calma e assonnata dall’inverno della Riviera. «Una radio? Dov’è la radio, qui. Fammi ricontrollare l’agenda». Stefano Rossini, il fotografo, mi guarda incerto e fa spallucce, come a dire: “Sei tu quella con l’agenda”.

Una radio “invisibile” Indirizzo giusto, ultimo campanello in basso leggo “ReginaWebRadio”. Giro tutt’intorno alla casa, scalini verso un sotterraneo, ed eccoci: tre stanze e un piccolo corridoio con tenda che copre un altro ambiente. Siamo arrivati nella sede di ReginaWebRadio.

Ci ho tenuto a raccontare questo ingresso strampalato non per eccesso di zelo nel farvi sapere cosa succede nel mio lavoro ma per darvi la cifra del leit motiv di questa realtà: introvabile, sotterranea, e solo dopo bellissima.

Ad accoglierci Daniele Franchi il “padre” di questa banda di disc jockey per caso. Lui ci ha messo il sotterraneo, che ha ristrutturato e messo in sicurezza “perché era un cantina”, racconta. Lui ci sta lavorando da due anni, lui ha coperto – e continua a coprire – le spese vive di luce, riscaldamento, Siae, Scf, 10 mila brani musicali, assicurazione per le malattie da lavoro e altro ancora. Lui ci sta mettendo, ogni giorno, 6 ore della sua vita. Gua-

dagno zero, ascolti 15-20 persone al giorno, pubblicità zero, ritorno economico nullo.

Dopo un quarto d’ora d’intervista, dopo aver raccolto queste poche informazioni, presa da una certo pragmatismo (del quale mi vergognerò a fine mattinata) faccio quella che secondo me era la domanda delle domande: “Perché?”.

Daniele mi guarda incerto e sgrana gli occhi: «Perché, cosa?».

“Perché fai questa radio? Che ci guadagni?”. E qui ricevo il primo calcio tra i denti della giornata: «Perché gratuitamente abbiamo ricevuto e gratuitamente dobbiamo ridare».

Messaggio ecumenico del donare che non sconvolge chi, come me, frequenta gli ambienti legati alla Caritas ed alle parrocchie ma che diventa strano se messo in bocca ad un privato che si paga tutto da solo, che non riceve un soldo da nessuno e che nemmeno tenta di farsi un poco di pubblicità. E nemmeno un comunicato stampa piccolo, piccolo. Niente.

Adesso che ho capito con chi ho a che fare posso cominciare la mia intervista.

Daniele, come nasce questa avventura?

Io ho un’edicola-tabaccheria da 15 anni. Negli anni il mio negozio è diventato un punto di riferimento per molti: persone sole, oppure malate, che vivono in situazioni febbraio 2015 Scarp de’ tenis

51

SCHEDA

Alessandro, regista e autore: «Bello stare qui, mi diverto molto»

La regia della web radio nata in una cantina e che, nel tempo, è diventata una piccola “ragione di impegno e di vita” per tante persone.

info ReginaWebRadio Nata dalla voglia di un gruppo di amici di mettere in pratica un’esperienza di condivisione, ReginaWebRadio coinvolge persone “periferiche” facendo loro percorrere un cammino educativo attraverso la conduzione di programmi e introducendoli all’ascolto. www.reginawebradio.it

52 Scarp de’ tenis febbraio 2015

pesanti, in disagio economico.

Insomma, avevi una bella squadra...

Eccome, una squadra di disperati (sorride, ndr). Tornando a noi, ho capito che quel posto non ci bastava più. Che dovevavmo fare il salto di qualità e fare qualcosa di veramente bello.

hanno una vita di “normale routine”, ma non lo è per nulla.

Come ha fatto il tuo Tabacchi a diventare un luogo d’incontro?

Forse perché io li ho ascoltati. E ho continuato ad ascoltarli anche dopo quando tutti insieme abbiamo pensato di fare un passo avanti. Così è nata la radio.

Ho dato un’occhiata al palinsesto: ci sono trasmissioni registrate ma anche diversi programmi dal vivo, uscite ed interviste in esterna...

Si, naturalmente i programmi condotti dal vivo sono più costruttivi, così come le uscite.

Quest’anno abbiamo avuto modo di andare al Meeting dei Popoli e intervistare dei personaggi importanti. Uscire di più sarebbe molto bello e gratificante ma mancano i mezzi sia economici che di persone che possano seguire progetti più importanti.

Dai, raccontaci gli inizi.

Abbiamo cominciato in quattro.

Ragazzi che avevano bisogno e che hanno trovato in questa radio una piccola “ragione di vita”, e scusami se uso queste parole che possono sembrare forti. Però è una cosa che ho notato. A parte la soddisfazione di andare in onda diventa fondamentale anche l’avere un posto dove andare la mattina, avere qualcosa da fare. Forse può sembrare banale per molti di noi che

Io ancora non ci credo: ma non ti aiuta nessuno?

Si, in realtà dietro alla radio c’è un associazione che, anche se composta da poche persone, per me è un punto di riferimento davvero fondamentale. Vado da loro quando succede qualcosa, quando ho bisogno di confrontarmi sui percorsi.

Qui ci sono persone che hanno dai 25 ai 50 anni, con diversi problemi, e di questioni ne sollevano parecchie.

Dall’altra parte del vetro, alla regia, c’è Alessandro. Mi fa un cenno con la mano, mi chiama e io vado. «Alessandro, raccontami quello che stai facendo». Mi guarda incerto, prima di parlarmi vuole sapere chi sono e cosa sto facendo: «Sono Angela e devo scrivere un articolo per Scarp de’ tenis, lo conosci?». «Come no? Antonio (Antonio è uno dei nostri venditori, ndr). Tutte le volte parla di questo giornale. Io l’ho pure comprato qualche volta».

Ma non pare molto convinto, evidentemente Antonio non gli sta proprio simpatico.

Io forse un po’, anche se il suo grande interesse, in questo momento, sta nelle mani di Stefano Rossini: la macchina fotografica. «Ma che teleobiettivo hai? E lo specchietto 3d tridimensionale l’hai?».

Stefano gli fa vedere la macchina, ci giochicchia un po’ e poi parliamo. «Questa è la regia. Guarda sto facendo la trasmissione, metto su la musica». Di tanto in tanto, quando il brano finisce, mi lascia in tronco e parla al suo microfono per annunciare la prossima canzone. Torniamo, mi fa vedere il programma e prosegue: «Non metto solo la musica ma faccio anche un quiz. Lo prendo dal Trivial, per ora mi rispondono solo mio padre e mio cugino, però spero che il pubblico aumenti». Il pomeriggio Alessandro sarà di nuovo in onda con Daniele e un altro amico.

«Daniele è cieco. Io gli racconto le canzoni, gli faccio le proposte e lui sceglie. Ci divertiamo tantissimo». Lasciamo la radio. Appena usciti il fotografo mi dice: «Lo specchietto 3d non esiste. Ma sarebbe fighissimo averne uno».

VOCI DALL’AMERICA

Williston, eldorado per pochi che “produce” homeless Lavorava in una fattoria tra Madison e Janesville in Wisconsin. Mungeva mucche e la paga era magra. Poi a volte spuntava qualche altro impieguccio: tagliar legna

di Damiano Beltrami

scheda Damiano Beltrami, nato a Genova. Classe 1982. Reporter.

Negli Stati Uniti dal 2008 con una borsa Fulbright. I suoi articoli e i suoi video sono apparsi su testate americane e italiane, tra cui il New York Times, l’Huffington Post e il magazine mensile del Sole-24Ore IL. Nel tempo libero ama camminare nei boschi.

per i vicini, sistemare i giardini dei signorotti di Milwaukee con il ghiribizzo dei ritmi agresti o mettere in sesto le bici di amici. La vita di Matthew Lasee non era una favola, eppure s’era rassegnato al tran tran della provincia americana.

Fin quando, un annetto fa, Lasee ha visto un articolo sul sito Madison.com che parlava del nuovo eldorado americano. Si leggeva che a Williston, un paese del North Dakota occidentale, a 14 ore di macchina dalla casa di Lasee, negli ultimi anni la scoperta del gas e del petrolio nel terreno argilloso della zona, estratti tramite il fracking, la tecnica della fratturazione idraulica, aveva creato migliaia di posti di lavoro. Ogni lunedì venivano assunti gruisti, idraulici, tubisti, meccanici, operai, camionisti. Gente quasi sempre senza istruzione formale e non di rado con la fedina penale sporca, che però poteva guadagnare 100 mila dollari all’anno.

In cerca di una nuova vita «Insomma, mi son detto, “e perché non ci vado anch’io in North Dakota?” – racconta il quarantaseienne Lasee –. Ma ero combattuto. Non ho mai fatto lavori pesanti come il muratore o il gruista, e io in North Dakota non conoscevo nessuno».

Dopo diversi giorni affollati di dubbi Lasee è partito. «Seduto su quel pullman che mi portava in North Dakota mi sentivo rinascere – dice –. Era come fosse il primo

Lo scorso anno il North Dakota ha fatto registrare un aumento del 200 per cento del numero di senzatetto.

Si tratta dell’incremento maggiore tra tutti gli Stati dell’Unione.

Adesso ci sono 2.069 persone senza dimora in uno stato di 699.628 abitanti.

E a Williston la situazione è ancor più paradossale.

Su 33 mila abitanti ben mille sono homeless.

Una spianata di case mobili a Williston in Nord Dakota

giorno del resto della mia vita».

Quel che però l’articolo letto da Lasee non aveva sottolineato erano i prezzi proibitivi degli immobili a Williston dove affittare un appartamento di 70 metri quadrati può costare 2.400 dollari al mese (1.900 euro) e trovare lavoro non è semplice come si potrebbe pensare.

Un esercito di senza dimora Così Lasee per via degli scarsi risparmi e dei pochi contatti, dopo appena due settimane è diventato un overnighter, ovvero uno dei tanti che in questo gelido eldorado passa le notti a dormire in auto, nel suo caso, quella di un amico di sventura. E quando poi la generosità del conoscente si è esaurita, è finito in strada.

Quella di Lasee non è una storia isolata. Lo scorso anno il North Dakota ha fatto registrare un aumento del 200 per cento del numero di senzatetto. Si tratta dell’incremento maggiore tra tutti gli Stati dell’Unione. Adesso ci sono 2.069 persone senza dimora in uno stato di 699.628 abitanti, secondo i dati del Department of Housing and Urban Development. Il che vuol dire 28,6 senzatetto ogni 10 mila abitanti, dato abbondantemente sopra la media nazionale che si attesta intorno a 19. E a Williston la situazione è ancor più paradossale. Su 33 mila abitanti ben mille sono homeless.

«Un esercito di disperati si riversa qui allettato dall’illusione di posti di lavoro ottenibili all’istante – spiega Michael Carbone, direttore della North Dakota coalition for Homeless people –. Quel che a molti sfugge è che gli alloggi sono pochi e ormai costosissimi. Ma vallo a spiegare a chi si mette in testa di diventare milionario». febbraio 2015 Scarp de’ tenis

53

VENTUNO

La palude della deflazione e gli effetti sui redditi L’allarme degli esperti. Al calo dei prezzi al consumo – petrolio compreso – non corrispondono sempre benefici per i redditi delle famiglie e delle imprese. Si rischiano infatti meccanismi perversi in grado di bloccare le economie

di Andrea Barolini

scheda Ventuno come il secolo nel quale viviamo, come l’agenda per il buon vivere, come l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione.

Ventuno è la nostra idea di economia.

Con qualche proposta per agire contro l’ingiustizia e l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

La caduta verticale che ha caratterizzato il prezzo del petrolio negli ultimi mesi potrebbe, a prima vista, rallegrarci. A tale andamento corrisponde infatti un calo di benzina e diesel (sebbene infinitamente meno sostenuto rispetto a quello del greggio, che è sceso da 110 dollari al barile nello scorso mese di giugno fino agli attuali 50). Alzi la mano chi non ha accennato un sorriso facendo il pieno. Inoltre, per un Paese importatore come l’Italia, quello che in economia è noto come «shock sui prezzi» potrebbe essere particolarmente benefico: le aziende pagano meno il carburante e possono produrre con maggiori margini di guadagno.

Tutto questo ragionamento non è sbagliato in sé. Solo che in questa fase è vero solo in parte. O, meglio, i vantaggi che il calo del petrolio potrà garantire rischiano di essere letteralmente divorati dagli svantaggi. Il motivo? Il fatto che l’andamento attuale dei prezzi, un po’

54 Scarp de’ tenis febbraio 2015

ovunque in Europa, ma soprattutto nei Paesi con le economie più deboli, è già prossimo allo zero. Detto in altri termini, l’inflazione è nulla, e in alcuni comparti ha già cominciato ad entrare in territorio negativo.

Meglio ancora, si dirà, se i prezzi scendono, ci guadagnano i consumatori e le imprese! Sfortunatamente, le cose non sono così semplici. Se si entra in quella che si chiama deflazione, e vi si rimane per un periodo di tempo che supera qual-

che mese, il rischio è che si inneschi una spirale recessiva difficilissima da sradicare, che rischia di affossare proprio consumi ed investimenti.

Possibile? Possibile, come conferma la teoria economica e come indicano anche le esperienze concrete. La ragione, in realtà è piuttosto intuitiva: una famiglia che de-

ve acquistare un bene immobiliare, o un imprenditore che vuole investire per comprare un nuovo macchinario, ad esempio, in condizio-

Andamento prezzo del barile di petrolio negli ultimi anni (dati Opec) 110 100 90 80 70 60 50 40 30 20 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015

Angelo Amboldi

SCHEDA L’Economist in controtendenza Per l’Economist, il primo vincitore del calo del prezzo del petrolio è l’economia mondiale.

«Una variazione del 10 per centro del prezzo del petrolio è associato a una variazione dello 0,2 per cento del Prodotto Interno Lordo globale» – dicono dal Fondo Monetario Internazionale.

Quando cala il prezzo del petrolio le risorse si spostano dai produttori ai consumatori.

In queste pagine l’analisi del nostro Andrea Barolini ci dimostra il contrario.

ni di deflazione avranno tutto l’interesse ad ritardare l’operazione. Meglio farla tra tre, sei o dodici mesi, se non tra due o tre anni, perché nel frattempo i prezzi caleranno e si potranno risparmiare molti, molti soldi. Ciò potrebbe innescare un meccanismo perverso, con il rischio di bloccare le economie proprio mentre, con estrema fatica, si tenta disperatamente di rilanciarle.

Non solo: la reticenza dei consumatori a spendere convince le imprese a «venire incontro» ai clienti, abbassando ancor di più i prezzi (già in diminuzione). E come può farlo? Diminuendo i propri costi, ovvero agendo principalmente sui salari, che infatti in caso di deflazione, nel medio periodo, cominciano a diminuire. Ciò, a sua volta, alimenta la dinamica recessiva, innescando una spirale negativa.

Almeno le imprese potrebbero guadagnarci qualcosa? Difficilmente. Per le aziende, infatti, se si escludono alcuni settori speci-

fici, i guadagni sarebbero limitati alla sola componente di spesa energetica, come è ovvio che sia.

Quella cioè «gratificata» dal calo del greggio. Tutte le altre voci (altre materie prime, mano d’opera, ammortamenti, salari, ecc.) rimarrebbero, almeno inizialmente, invariate. Occorre poi considerare che i beni verrebbero sì prodotti a costi inferiori, ma poi anche venduti a prezzi via via più bassi, il che ridurrebbe - se non azzererebbe - i vantaggi acquisiti grazie al petrolio «economico».

La caduta verticale del prezzo del petrolio può a prima vista rallegrarci visto il calo – comunque L’allarme lanciato da Draghi Ecco perché negli ultimi mesi contenuto – si sono moltiplicati gli allardi benzina e diesel. mi, soprattutto da parte del presidente della Banca Centrale EuroMa gli effetti Mario Draghi. Nella conferenbenefici di questa pea, za stampa tenuta lo scorso 4 caduta rischiano dicembre, all’indomani di un teso consiglio generale all’Eurotower, di essere l’economista italiano ha spiegato compromessi senza mezzi termini che «contro dalla deflazione. l’andamento recente dei prezzi del

petrolio, è cruciale ricordare che le nostre previsioni e proiezioni (sull’andamento economico dell’Europa, ndr) sono basate su assunzioni tecniche. E lo sono, in particolare, proprio per quello che riguarda il petrolio e i tassi di cambio». Ciò significa che, «sulla base delle informazioni in nostro possesso alla metà di novembre, avevamo ipotizzato un’inflazione dello 0,55% nell’Eurozona nel 2014, dello 0,7% nel 2015 e dell‘1,3% nel 2016». Ma si tratta di stime ormai vecchie: «Significativamente ridimensionate rispetto a quelle pubblicate a settembre». E che non tengono neppure conto «dei nuovi cali dei prezzi delle ultime settimane».

Alle parole di Draghi si sono affiancate poi quelle di Lorenzo Bini Smaghi, che in un’intervista alla rivista specializzata Energia, riassume efficacemente l’intero ragionamento: «Il calo dei prezzi dei prodotti petroliferi rappresenta sicuramente un impulso positivo per i Paesi più colpiti dalfebbraio 2015 Scarp de’ tenis

55

VENTUNO la crisi. Ma produce anche effetti collaterali che non sono irrilevanti. Il primo effetto è la deflazione: una riduzione dei prezzi importati è pericolosa perché, se si radica nelle aspettative degli operatori, tende a far rinviare alle famiglie e alle imprese le loro decisioni di consumo e di investimento. Ciò contribuisce a rallentare la

domanda, con effetti a ricaduta sui prezzi, innescando un circuito perverso». Un pericolo contro il quale aveva messo in guardia anche il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman, già nel marzo scorso, parlando di rischio di «disastro continuato».

Un esempio concreto può aiutare a comprendere il problema. Si chiama Giappone. Il Paese asiatico è finito nella morsa della deflazione e non è riuscito ad uscirne per ben quindici anni. Ancora oggi il primo ministro Shinzo Abe, fatica a far uscire l’economia dal pantano

nel quale si è cacciata, nonostante una politica estremamente aggressiva, ribattezzata «Abeconomics», soprattutto in materia di «quantitative easing». Ovvero di manovre basate su massicce iniezioni di liquidità nel sistema, al fine di alimentare l’economia, sostenere consumi ed investimenti e scongiurarne la stagnazione. La stessa ricetta sulla quale, non a caso, punta sempre più Draghi. Il governatore della BCE, tuttavia, deve vincere la resistenza dogmatica della Germania, ed in particolare del numero uno della Bundesbank Jens Weidmann, membro del consiglio direttivo della Bce, che da sempre si schiera contro un cambiamento di rotta che potrebbe non essere così utile per la prima economia europea (che rischia molto meno degli altri Paesi di finire in deflazione).

Una fermezza, quella tedesca, che si scontra anche con le indi-

cazioni provenienti dai centri di ricerca specializzati, che levano ormai da tempo grida d’allarme.

Il quotidiano inglese Business Insider ha pubblicato nello scorso mese di dicembre i risultati di un’analisi di Oxford Economics, che attraverso alcuni grafici ha quantificato benefici e danni del calo del prezzo del petrolio.

Gli effetti sulle famiglie

Ma non è tutto: la deflazione potrebbe colpire anche le tasche dei cittadini, e farlo in modo diretto. Come detto, la deflazione provoca un abbassamento dei salari nel mediolungo periodo, legato al calo dei prezzi generalizzato (servizi inclusi) e al tentativo delle imprese di tentare di abbassare i loro costi per rendere ancor più appetibili i prezzi al consumo. E con i salari in calo (ma anche solo invariati), sul lungo periodo le famiglie si ritro-

Gli squali della finanza e il rischio speculazione

Se i prezzi al consumo dovessero cominciare a scendere, e a mantenersi a lungo in territorio negativo, i rischi non sarebbero solo per consumi, investimenti e per chi ha contratto un debito a lungo termine. Anche i conti pubblici potrebbero ritrovarsi in condizioni ancor più catastrofiche di quelle attuali, soprattutto per i Paesi con situazioni finanziare non particolarmente rosee.

Il perché è semplice. È noto come lo «stato di salute» delle economie venga rilevato soprattutto sulla base di due indicatori: il rapporto tra deficit e Pil e quello tra debito e Pil. In entrambi i casi, il denominatore delle due frazioni è dunque il

In un Paese come l’Italia, dove il debito pubblico è già oltre il 130% del Pil la deflazione potrebbe avere effetti molto pesanti sull’economia

prodotto interno lordo, e quest’ultimo, in condizioni di deflazione prolungata, scende in termini nominali.

56 Scarp de’ tenis febbraio 2015

Ciò significa che, scendendo i prezzi di beni e servizi, nonché i salari, il reddito nazionale a sua

50

1.566

1.471

dollari al barile. La rilevazione del prezzo del greggio (12 gen)

Prezzo medio del costo della benzina in Italia (12 gen)

Prezzo medio del costo del diesel in Italia (12 gen)

verebbero a pagare mutui e prestiti sempre più onerosi. Il meccanismo, anche in questo caso, è semplice: l’inflazione abbassa

nel tempo il valore delle esposizioni debitorie. Chi stipula un mutuo con una rata, poniamo, di 1.000 euro al mese, a tasso fisso, tra 20 anni pagherà la stessa cifra nominale (ovvero gli stessi mille euro). Ma, nel frattempo, in condizioni di normalità, grazie all’inflazione i salari saranno cresciuti, e quei 1.000 euro saranno diventati meno onerosi in termini reali. Se invece si in-

contrasse un periodo di lunga deflazione, e i salari dovessero scendere, il rischio è che quel mutuo divenga sempre più difficile da pagare. Lo stesso vale per le imprese che abbiano contratto un debito. E entrambe le categorie, cittadini ed imprenditori, saranno

SCHEDA

Petrolio, inquinamento, sostanze nocive.

I luoghi invivibili Sono i “buchi neri” della Terra: regioni altamente contaminate da rifiuti tossici, discariche grandi come città, che si trovano in Africa ma anche in Asia e in America Latina. La denuncia arriva dalla ong Blacksmith Institute che ha stilato una lista nera dei luoghi del pianeta più invivibili per l’uomo.

Nella “hit parade” troviamo il Citarum, il fiume più inquinato del mondo, in Indonesia. In Argentina, il bacino Matanza-Riachelo gravemente inquinato dalle scorie industriali. In Africa, il petrolio fuoriesce dalle vecchie condutture contaminando il delta del Niger.

così sempre meno in grado di consacrare una parte dei loro redditi a consumi ed investimenti.

Lo stesso governatore di Bankitalia Ignazio Visco, ha lanciato di recente un monito sul rischiodeflazione provocato dall’andamento del prezzo del petrolio: «Occorre stare molto attenti», ha spiegato, aggiungendo che il periodo di inflazione molto bassa, se non negativa, potrebbe durare molto a lungo: secondo le stime di alcuni operatori di mercato il ritorno al di sopra del 2% (quotaobiettivo della Bce) è infatti addirittura posticipato al 2025.

Un vero e proprio circolo vizioso, dunque, contro il quale l’Eurotower potrebbe, a breve, lanciare la propria offensiva. Ma anche se in queste settimane Draghi dovesse riuscire a convincere i tedeschi, ciò che rimarrebbe è un notevole ritardo nella risposta.

L’ANALISI

volta cala. E dunque cala anche il Pil in valore assoluto. Ci ritroveremmo perciò – anche immaginando un debito (numeratore, nella frazione debito/Pil) che resta invariato – con un Pil (denominatore), in diminuzione. Il rapporto tra i due fattori perciò crescerebbe, con tutto quello che consegue per un Paese come il nostro, che presenta già un debito pari ad oltre il 130% del prodotto interno lordo.

Ciò potrebbe esporci al rischio

Marco Fedele

di nuove ondate di speculazione da parte degli squali della finanza, come già accaduto negli anni scorsi; lo spread con i bund tedeschi potrebbe tornare a crescere e tutti gli sforzi fatti finora per superare la crisi potrebbero essere vanificati.

«Si tratta – ha confermato recentemente l’economista Lorenzo Bini Smaghi – di un altro aspetto negativo di una dinamica di inflazione insufficiente». Essa rischia

«di rendere molto più difficile il processo di riduzione del debito, sia per il settore pubblico sia per quello privato. Quando l'inflazione è bassa, il Pil nominale cresce di meno, il che rende il debito meno sostenibile.

L'aggiustamento fiscale, dal lato della spesa o delle entrate, deve essere a quel punto maggiore, rendendo ancor più restrittive le manovre correttive. In altre parole, con inflazione bassa ci vuole più austerità per evitare che il debito aumenti». Cioè più tagli alla spesa e più tasse, per evitare un’esplosione dei conti pubblici.

Inoltre, come ha spiegato il giornalista economico Federico Rubini sulle colonne del quotidiano La Repubblica, ogni anno il Tesoro emette circa 450 miliardi di obbligazioni per finanziare il proprio funzionamento. Il rendimento medio negli ultimi tempi è sceso, ma l’inflazione lo ha fatto an-

cora di più: «Dunque il costo di ogni euro di nuovo debito pubblico dell’Italia sale in termini reali anche quando lo spread fra Bund tedeschi e Btp scende. Per ogni euro degli oltre duemila miliardi di vecchio debito pubblico l’onere da bassa inflazione poi è ancora più forte, perché i tassi d’interesse sui vecchi titoli sono più alti».

In pratica, per lo Stato le cose funzionano come per qualsiasi cittadino: in caso di deflazione, i de-

biti diventano in termini reali più onerosi. Risultato, conclude il giornalista: «In queste condizioni il debito pubblico non scenderà mai».

Un allarme condiviso anche dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco, secondo il quale «se si hanno variazioni dei prezzi così basse o negative, le conseguenze possono essere gravissime per le economie con un debito pubblico molto alto, come l'Italia» febbraio 2015 Scarp de’ tenis

57

Beni confiscati, tempi lunghi e burocrazia di Daniela Palumbo

Ci sono luci e ombre sulla storia dei beni confiscati alle mafie. Da una parte tempi lunghi e difficoltà nel mantenere produttive le attività, dall’altra uno straordinario patrimonio restituito alla legalità 58 Scarp de’ tenis febbraio 2015

Nell'ultima Relazione sui Beni Confiscati della Commissione Antimafia, si legge che i beni con confisca definitiva sono 15.400. La tipologia prevalente sono i beni immobili (5.491), seguono i beni mobili come contanti e conti correnti ma anche arredi e oggetti di valore (2.181), poi i beni finanziari, come titoli di Stato e azioni (1.649), infine le aziende (877).

Nella maggioranza dei casi la destinazione allo Stato è stata per finalità di ordine pubblico (caserme e stazioni di polizia), poi per la Protezione Civile e infine al settore giustizia. Per gli enti locali nelle destinazioni si trovano 53 scuole, 220 beni per l’emergenza abitativa, 600 beni ad attività sociali.

La legislazione italiana dal 1982 rende possibile la confisca

VENTUNO rettore del Centro Transcrime, Ernesto Savona, la responsabilità è della mala gestione dell'Agenzia Nazionale per i beni confiscati.

Sono circa 4 mila i beni in attesa di destinazione. Scarp ha raccolto due storie dai territori dove i beni confiscati sono diventati opportunità di lavoro per la collettività.

Volontari impegnati nella raccolta dei pomodorini coltivati dalla cooperativa Terre di Puglia - Libera Terra, su terreni confiscati alle cosche mafiose del territorio

Andria, tempi lunghi Ad Andria ci sono 21 beni confiscati, di questi solo 6 sono stati assegnati. Sono strutture che appartenevano alle organizzazioni malavitose locali. «Interessante racconta don Domenico Francavilla, direttore della Caritas di Andria - è il terreno di Contrada Scinati ora affidato a Libera che a sua volta lo ha concesso in comodato d'uso alla cooperativa S. Agostino con la quale noi di Caritas stiamo avviando il progetto Green Life: coltivazione del terreno e distribuzione a KmZero dei prodotti».

I problemi sono comunque tanti. Come quelli relativi ai tempi di assegnazione. «I tempi che

intercorrono dalla confisca del bene all'assegnazione dello stesso al comune di appartenenza sono molto lunghi, anche 15 anni! Capita

Tra luci e ombre.

Secondo Transcrime, il centro di ricerca della Cattolica di Milano, di tutti i beni confiscati negli anni alle mafie ne restano in piedi solo due su dieci, il restante 60% è in liquidazione

dei beni alla criminalità organizzata e dal 1996 – dopo una petizione di Libera che raccolse oltre un milione di firme dei cittadini italiani – la richiesta di riutilizzarli per finalità sociali divenne anch'essa legge. Libera ha rileva-

to che in Italia sono più di 450 le associazioni che gestiscono beni confiscati per finalità educative, di formazione, di accoglienza, di servizi alla persona e di reinserimento lavorativo.

Ma non mancano le ombre.

Secondo un'indagine del centro studi Transcrime, dell'Università Cattolica, dal 1983 sono state confiscate circa 2 mila aziende alle mafie. Ma ne restano in piedi solo due su dieci, il 60% è in liquidazione. Ci perde lo Stato che non incassa le tasse e i lavoratori che perdono il lavoro. Secondo il di-

che nel frattempo il bene venga ancora gestito dalla malavita con prestanome. Da due anni stiamo sollecitando le forze politiche all'assegnazione degli altri 15 beni in possesso del Comune di Andria.

Dopo tante riunioni il bando non è stato ancora pubblicato, i terre-

numeri 15.400 I beni confiscati alla Mafia in via definitiva

4.000 I beni ancora in attesa di destinazione e assegnazione

450 Le Cooperative sociali che gestiscono in Italia i beni sottratti alle cosche

ni e gli immobili restano incustoditi e non si creano opportunità di lavoro». Come si potrebbe garantire un uso appropriato dei beni confiscati alle mafie? «Affidandoli – conclude don Domenico –, fino alla confisca definitiva, non ai curatori ma ad enti riconosciuti che possano garantire la legalità delle ricchezze sottratte alla mafia, penso a Libera Terra e alla stessa Caritas Italiana».

Vigevano, i beni alla Caritas Don Moreno Locatelli, 46 anni, è direttore della Caritas diocesana di Vigevano. La città negli anni '80 è stata teatro di omicidi e intimidazioni da parte della cosca Valle-Lampada. Lo stesso don Moreno ricorda la figura di Maria Grazia Trotti, gioielliera e vittima dell'usura mafiosa. «Con coraggio nel 1992 permise l'arresto di diversi esponenti del clan. Proprio negli anni Novanta si è dato inizio alla confisca di gran parte dei beni della famiglia mafiosa dominante. Attualmente a Vigevano i beni confiscati alle mafie sono 11. In viale Artigianato 35 si trova un bene confiscato a Francesco Valle nel 1995. Era il bar Giada, i locali venivano utilizzati dal clan per incontrare collaboratori e vittime. Oggi è in gestione alla Caritas diocesana, prende il nome di Casa Josef ed è utilizzato come centro di prima e seconda accoglienza».

Ma quanta fatica si fa a portare avanti progetti di recupero per i beni confiscati? «Per snellire le procedure di assegnazione – ci dice don Moreno – si decise nel 2010 di istituire l’Agenzia Nazionale affidandole il compito di censire i beni, amministrarli, custodirli e poi destinarli. Oggi, a di-

stanza di cinque anni, si pensa a una riforma dell’Agenzia perché i problemi sono rimasti tali e quali.

Sappiamo che vi sono liquidità rimaste troppo a lungo bloccate nel Fondo Unico Giustizia, perché non utilizzarle e garantire ai giovani l’accesso al credito per le start up di cooperative e imprese?» febbraio 2015 Scarp de’ tenis

59

INCONTRI

LABORATORI

AUTOBIOGRAFIE

CALEIDOSCOPIO Giacomo e Marika nel loro atelier mobile in centro città. Armati di lima e scalpello sono in grado di realizzare una scultura in un paio di giorni, in cambio di poche decine di euro. La fantasia è arte.

Giacomo e Marika, scultori “a cappello” Giacomo e Marika, una scommessa vinta. Festività natalizie, centro di Milano, artisti a “cappello”: incontriamo così Giacomo e Marika. Un percorso di studi artistici alle spalle di tutto rispetto (Brera e scuola artistica del Castello), qualche lavoretto disparato, troppo difficile entrare in un giro di gallerie… così si mettono in pista: una richiesta in Comune, uniscono qualche risparmio, «Qui realizziamo veramente il nostro sogno – con lime e martellino diamo un volto a queste pietre». E così, a cielo aperto, da un blocchetto di tufo artificiale, nascono pezzi unici ispirati a grandi come Modigliani o Rodin. Un giorno e mezzo è il minimo per realizzare una scultura, ma non tornano mai a mani vuote: il costante capannello di passanti e turisti ne è la conferma, per opere dai 15 ai 40 euro sono molte le richieste. Si sono rimboccati le maniche, credono in quello che fanno, si spostano, ma va bene: più volti da incantare.

Facebook: sileno ceramiche. Contatti: 348 3911092

Antonio Vanzillotta febbraio 2015 Scarp de’ tenis

61

NAPOLI

PAROLE

Napolipower: i bei vecchi tempi che non torneranno più

Napoli piange nel ricordo di Pino Daniele

Un’immagine di Pino Daniele, considerato una della voci più rappresentative di Napoli.

Prima della fine dell’anno grazie a un’idea di Marta Capuozzo, volontaria del servizio civile nazionale, abbiamo realizzato un laboratorio di scrittura a tema musicale. Ogni redattore di strada di Scarp de’ tenis doveva scegliere la “propria” canzone, quella che, in qualche modo, era la colonna sonora più importante della propria vita e raccontare il perché della sua scelta. Il brano preferito di Maria è “Quando Quando” di Pino Daniele, cantautore napoletano che solo qualche settimana più tardi avrebbe lasciato un vuoto incolmabile nella musica e nella sua Napoli. Insieme al ricordo di Bruno, che ha vissuto da musicista il periodo del Napolipower, questo è l’omaggio che la redazione napoletana ha voluto attribuire al bluesman di “Nero a Metà”.

Le sue canzoni, il mio primo amore

PAROLE

Seduta su una panchina nella piazzetta del mio paese natio, immaginavo il mio primo amore. Faceva freddo quel pomeriggio, avevo circa quindici anni ed io, come tutti i miei coetanei, ascoltavo Pino Daniele con il walkman e la cassetta.

Così misi le cuffie, chiusi gli occhi per un istante ed iniziai ad ascoltare la mia canzone preferita : «Tu dimmi quando quando, dove sono i tuoi occhi e la tua bocca? Forse in Africa che importa». Ascoltandola immaginavo il mio vero amore, che già esisteva, che forse un giorno avrei incontrato e mi avrebbe protetta, ed immaginavo che anche lui stesse ascoltando questa canzone e, perchè no?, provando le mie stesse emozioni e sensazioni.

Sono passati tanti anni da allora ma dentro il mio cuore conservo dei bei ricordi di quei giorni, avevo il cuore sereno e sentire ”Quando” mi emozionava, ed anche oggi quando l’ascolto mi fa questo effetto: Pino Daniele è stato il mio primo vero amore. Grazie Pino per il tuo talento innato, grazie per le emozioni che ci hai donato, grazie per l’eredità che ci hai lasciato, per le poesie, per le parole e il blues che tu amavi tanto. La tua musica e le tue parole ci hanno accompagnati nella vita e ci accompagneranno per sempre. La città di Napoli ti ringrazia perché qui non c’è solo camorra e ignoranza ma ci sono tante persone con talento come te che fanno conoscere Napoli e i suoi mille colori.

Maria Esposito

62 Scarp de’ tenis febbraio 2015

PAROLE

Epifania, pranzo nel nome di Pino Il giorno dell’Epifania siamo stati invitati a pranzare nella chiesa Santa Maria Incoronata ai Turchini, in via Medina.

L’atmosfera era molto cordiale, i volontari ci hanno messo a nostro agio: il loro calore si percepiva dai sorrisi, dalle strette di mano, dalle pacche sulle spalle. Ci hanno accolto in un salone con tavoli apparecchiati con belle tovaglie rosse e, al centro, una rosa rossa e una stellina color argento. Mentre pranzavamo Antonio, che aveva con sé la chitarra, ha cominciato a suonare e così, abbiamo cantato tutti insieme “Napul’è”, in omaggio al nostro Pino Daniele. È stata un’emozione speciale cantare tutti insieme e sentire come la musica unisce i nostri cuori, anche nei momenti difficili.

Luciano D’Aniello

Certo, gli anziani stanno sempre a di’ : «Eh, quando ero giovane io, quelli sì che erano bei tempi». E i ragazzi si divertono a prenderli in giro, è sempre così. Eppure, almeno per la musica, la seconda metà degli anni ‘70 è stata seme di un fermento fino ad allora sconosciuto.

C’era la scuola dei genovesi, da Canzi a De Andrè, da Tenco a Paglia; Roma era il “folkstudio”, con Venditti in testa, e poi il Prog che prendeva sempre più piede.

Il Banco, il jazz-rock del Perigeo, le varie contaminazioni, la PFM, voce incredibile di Demetrio Stratos. E poi il Napolipower, parto naturale di musicisti che avevano assorbito la tradizione antica, ma sentivano anche le musiche degli americani; con la radio della Nato avevano diffuso il rock in tutta la città. I tempi andavano veloci, all’improvviso dall’Inghilterra arrivava il nuovo beat e dall’America il vecchio blues, indimenticabile ed immortale, pronto a far innamorare nuove leve di musicisti, come Pino Daniele, che poi ha fatto innamorare anche noi. Il Napolipower è stato proprio un mix di questi sentimenti: l’amore, la tradizione partenopea, la rabbia e la voglia di cambiare, tipica di quei tempi. E i giovani tacciano: se è vero che quelli sono stati anche gli anni del piombo, questo era solo limitato ad alcuni terroristi. Per il resto c’era musica, la musica di Pino, di James Senese, di Tony Esposito, una musica che vive ancora adesso.

Bruno Limone

Contagiarsi con l’Hiv: «L’Aids non è un gioco» Un servizio realizzato da “Le Iene” ha portato alla luce un fenomeno sconvolgente. Ma questa malattia non perdona Qualche tempo fa, in un servizio della trasmissione “Le Iene”, si parlava di alcune persone che, attraverso un sito web, contattavano soggetti sieropositivi per farsi volontariamente contagiare dal virus.

Come sostenevano nelle interviste, costoro avevano preso questa assurda decisione per poter vivere in modo “libero” e “senza condizionamenti” la loro vita sessuale, fino a quel momento limitata dalla paura di incappare in partner sieropositivi e di essere contagiati. Tale paura, secondo queste persone, generava una limitazione nella loro vita sessuale.

Addirittura, alcune di queste persone aspettavano il momento del “contagio” come un sospirato ingresso in un club esclusivo, quello dei sieropositivi: d’allora in poi non avrebbero avuto più paura del contagio, perché già contagiati!

So bene cosa vuol dire essere sieropositivo, avendo vissuto in maniera a me molto vicina il fenomeno. Ho osservato una persona sieropositiva, ho visto i disagi a cui va incontro, le terapie a cui deve sottoporsi e i farmaci che deve assumere quotidianamente. È vero che, per fortuna, grazie alla ricerca medica, il virus dell’Hiv non è oggi più mortale, ma viene curato (almeno nei paesi ricchi del mondo) attraverso i farmaci antiretrovirali.

Ma il paziente, oltre alle terapie quotidiane, dovrà

sottoporsi ad esami per tutta la vita e, soprattutto, dovrà sobbarcarsi un carico di angoscia tutte le volte che contrae qualunque piccola malattia, anche una semplice influenza: il virus Hiv, infatti, tende a distruggere le difese immunitarie, dunque anche semplici malattie devono essere trattate con attenzione.

Senza contare le discriminazioni ed i pregiudizi cui i siero-

positivi ancora oggi sono soggetti. Perché è vero che ormai la malattia è curabile, ma, ad esempio, rimane un problema poter trovare una moglie o una compagna capace di accettare le problematiche della sieropositività; inoltre in alcuni ambienti, a causa dei pregiudizi e, in questo caso, dell’ignoranza è ancora difficile trovare lavoro quando si è sieropositivi. Eppu-

SALERNO re, com’è noto, solo il contatto con il sangue o un rapporto sessuale possono portare al contagio: cosa c’entra con il lavoro?

Per cui, non riesco proprio ad accettare l’atteggiamento delle persone intervistate da “Le Iene”.

Come si può arrivare a banalizzare una malattia così grave, mettendo davanti ai disagi che essa comporta solo e unicamente il libertinaggio sessuale e la volontà di non usare precauzioni? Come si può essere così stolti da arrivare ad ammalarsi per poi generare quasi un inferno medico-sanitario nella propria vita?

L’Aids non è un gioco, ma una vita di privazioni e sacrifici: è davvero pericoloso trattare questi argomenti in tal modo.

Patrizio Fuoco

PAROLE

In ricordo di don Antonio Pizzuti: uomo straordinario che ha vissuto per la carità Come recita un vecchio detto, credo che la vita sulla Terra sia come un viaggio in treno: saliamo su di esso quando veniamo al mondo, poi vi rimaniamo per un certo periodo, finché ciascuno di noi scende ad un diverso capolinea. Nelle carrozze può capitare di incontrare persone che rimarranno sempre estranee, o altre che rimarranno importanti per tutta la vita: e una di queste ultime, per me, è stata don Antonio Pizzuti.

Aveva oltre settant’anni la prima volta che lo conobbi, ma la sua straordinaria umanità la incontrai sin da quel giorno, nella sagrestia della parrocchia della Chiesa di Santa Lucia, a Salerno. Mi regalò un crocifisso di legno, realizzato dai suoi bambini. Cominciò a raccontare. Le fotografie alle sue spalle sembravano animarsi mentre mi narrava la sua storia. Da oltre quarant’anni, ogni anno, partiva per portare aiuti umanitari in Congo, per poi tornare a Salerno ad organizzare adozioni a distanza per i bambini, quelli del mio crocifisso. Continuò ad andarci quasi fino alla sua morte, ben oltre gli ottanta, nel 2012.

Era così: aveva un’attenzione per tutti. Un saluto per strada. Un consiglio.

Un aiuto, anche per me. Sì, perché non me la passavo proprio bene in quel periodo. Mi affidò l’incarico di aiutare nelle pulizie settimanali della Chiesa e per me, quella piccola paga settimanale, fu una grande boccata d’ossigeno.

Diceva sempre che il sacerdote era il tramite tra l’uomo e Dio e suo compito era fare amicizia con entrambi. E furono amicizia e affetto a riempire la chiesa all’inverosimile il giorno del suo funerale. Scout, Azione Cattolica, missionari, poveri, senzatetto, semplici fedeli: tanto diversi e tanto uniti, per rendere il giusto omaggio ad un uomo tanto semplice, quanto straordinario.

Pioveva, e le gocce si mescolavano alle lacrime. Ma don Antonio guardava avanti: dal Paradiso stava già elargendo una delicata carezza a tutti i presenti, per spronarci a proseguire, anche senza di lui.

Antonio Minutolo febbraio 2015 Scarp de’ tenis

63

CALEIDOSCOPIO

Il cane, lui che non pone domande Ho appena di che vivere soverchio per “andare”… non fossi così appesa a questo giogo, al sudario dell’essere, tra schiere di apparenti prenderei un cane.

Ne maturo l’urgenza saremmo insieme nelle sere di pioggia quando i vetri accolgono brividi di lacrime, lo avrei al mio fianco in ogni situazione.

Chi migliore, chi devoto, di più chi senza ombre?

Lui, essere unico non fugge la miseria né scarica il dolore come mera zavorra.

Ama soltanto, sempre senza porsi domande.

Aida Odoardi

Sursum Da sottoterra venne un bruco, s’arrampicò su un fiore; due petali ne prese e se li appiccicò.

E con quell’ali svolazzò nell’aria in cerca di bellezze, gustando libertà.

Ludovico Grimoldi (tratto da “Versi alla buona”)

64 Scarp de’ tenis febbraio 2015

A Como, la colazione per gli homeless è gratis! E buonissima di Salvatore Couchoud

Como, nella storica e centralissima piazza S. Fedele, di fronte all’omonima basilica, opera dal 1983 la pasticceria Aida, azienda di proprietà di Francesco Tortora che consente di sbarcare dignitosamente il lunario, tra il personale stabilmente occupato e quello saltuariamente impiegato, a quattordici lavoratori. Nulla di sorprendente o di particolarmente eclatante in tutto ciò, considerati i chiari di luna, se non fosse che la pasticceria Aida non si è mai limitata a sfornare leccornie e prelibatezze dolciarie per i palati più esigenti o per i semplici habitué della “colazione al bar”, ma ha saputo negli anni estrarre dal suo laboratorio tanta e lodevolissima solidarietà, questa sì dolcissima dal primo all’ultimo morso.

Ogni anno partecipa attivamente a Telethon, organizza mercatini per raccogliere fondi da destinare a iniziative solidali, ha collaborato al finanziamento di un progetto per la costruzione di un padiglione riservato ai bambini colpiti da leucemia all’ospedale di Monza. E da un anno a questa parte da quel laboratorio sono

la ricetta di Alex Risotto al salmone Comprate del salmone affumicato e sminuzzatelo leggermente con un quarto di cipolla tritata che farete soffriggere a fuoco leggero. Aggiungete il riso, 40 grammi a persona, sfumatelo con del vino bianco e cuocete il tutto con del brodo di pesce.

Quando il riso sarà quasi cotto, aggiungete il salmone e spruzzate con del brandy. Infine mantecate il riso con un pezzetto di burro.

partiti, con destinazione centro diurno Caritas di via Giovio, quantitativi esorbitanti di cotture di pasticceria e lievitati per garantire una degnissima prima colazione alla quarantina di senza dimora che abitualmente si radunano, con ricorrenza trisettimanale, in quei locali. E che manifestano, ma sarebbe superfluo precisarlo, un altissimo indice di gradimento nei confronti dell’iniziativa.

«L’idea è venuta un anno fa a mio fratello Emilio – racconta il titolare dell’azienda Francesco Tortora– che, svolgendo servizio di volontariato in quella struttura, aveva avuto modo di verificare quanto i prodotti distribuiti agli ospiti (generalmente croissant cellophanati provenienti dagli scaffali dei supermercati), fossero inadeguati alle esigenze di una platea così folta e composita di avventori, e che in loro sostituzione si sarebbero potute somministrare le nostre eccedenze o i prodotti non vendibili (vale a dire con qualche irrisoria deformazione o lieve imperfezione nell’aspetto estetico, ndr). Anche perché noi non riscaldiamo ciò che resta invenduto per offrirlo ai clienti il giorno dopo, e il fatto che il Centro sia vicino alla nostra pasticceria ha semplificato anche il rifornimento in tempi celeri e puntuali».

Giorni invernali Sono le 15 del pomeriggio e la calma e la pace risiedono nel mio cuore.

Che adagio cerca un po’ d’amore e l’anima al richiamo della coscienza visiona un sentimento nel segreto della stanza.

Dove un sogno vive di stenti in questi giorni invernali dove un’ignota paura di questa avventura che è la vita.

Armando Marchesi

Chemio e radioterapia, nonostante i forti effetti collaterali, sono cure certe e collaudate

SCIENZE tro la sua volontà. Una diffusione così virale che ha spinto la stessa Roberta Benetti a chiarire più volte le reali prospettive della ricerca e ribadendo che “nessuno di

noi ricercatori si è mai permesso di affermare che possa sostituire la chemioterapia”. Già.

Nessun complotto quindi, nessuna cura pronta per i malati e nascosta dalle lobby farmaceutiche in combutta con governi e medici. Semplicemente un promettente tentativo di una ricercatrice italiana che, come tanti, si impegna ogni giorno per migliorare la salute dei cittadini e trovare una cura alle malattie che ci affliggono. Un piccolo risultato parziale che è stato malamente interpretato e diffuso.

Chemio, cura che funziona nonostante le tante bufale di Federico Baglioni

Navigando su internet vi potrebbe capitare di leggere la storia di Roberta Benetti, la ricercatrice italiana che

scheda Federico Baglioni Biotecnologo, divulgatore e animatore scientifico, scrive sia su testate di settore (Le Scienze, Oggi Scienza), che su quelle generaliste (Today, Wired, Il Fatto Quotidiano). Ha fatto parte del programma RAI Nautilus ed è coordinatore nazionale del movimento culturale “Italia Unita Per La Scienza”, con il quale organizza eventi contro la disinformazione scientifica.

ha scoperto come curare il cancro con una nuova molecola da lei scoperta. Secondo alcune fonti che trovate sempre in rete si tratta di una scoperta rivoluzionaria perché costituisce una “alternativa alla chemio e alla radioterapia”.

E proprio per questo motivo, la notizia sarebbe stata oscurata dai media (e dai medici).

In verità le cose non stanno esattamente così. La verità è che, purtroppo, nessuno ha scoperto ancora come curare il cancro e tantomeno c’è qualcuno che lo sta nascondendo.

Ma allora da dove nasce questa notizia-bufala?

A dire il vero, non si tratta di una

vera bufala. La ricercatrice Roberta Benetti esiste davvero così come esiste anche la sua ricerca. Si tratta di uno studio un po’ vecchio (2010) nel quale, effettivamente, si afferma la scoperta di una nuova strategia promettente per contrastare i tumori.

Una ricerca preliminare Si tratta però solo di una ricerca preliminare e siamo ancora molto lontani da qualsiasi applicazione pratica, visto che se ne deve ancora testare l’efficacia prima sulle cavie e poi sull’essere umano. Basta effetture una ricerca appena più approfondita per scoprire che, in verità, l’autrice del lavoro è pienamente consapevole dei limiti della ricerca, nonostante lo “scoop” sensazionalistico si sia diffuso in maniera spropositata e con-

Notizie come queste non sono solamente imprecise (o addirittura sbagliate), ma altamente pericolose.

Non esiste nessun complotto Pericolose perché illudono i malati e li convincono che ci sia un’alternativa alle terapie attuali. È vero, infatti, che purtroppo terapie come chemioterapia e radioterapia non sono sempre efficaci e presentano numerosi effetti collaterali, ma hanno portato a numerosi successi e in tutto il mondo e si sta cercando di affinarle e, se possibile, sostituirle con metodi migliori.

Se, invece, si fa credere che esistano dei ricercatori che, nonostante abbiano trovato la cura, non sono stati ascoltati, diminuisce la fiducia della gente nella scienza e nella medicina. Questo rischia di avvicinare bisognosi e disperati a pseudoterapie mai dimostrate, ciarlatani e guaritori “mangiasoldi” e senza scrupoli. Il primo modo di evitare questo è assicurarsi che quello che si sta diffondendo è vero e sia stato interpretato correttamente.

febbraio 2015 Scarp de’ tenis

65

150

Le persone in stato di difficoltà a cui Scarp de’ tenis ha dato lavoro nel 2013 (venditori-disegnatori-collaboratori).

In 20 anni di storia ha aiutato oltre 800 persone a ritrovare la propria dignità

IL VENDITORE DEL MESE

Luciano, vende Scarp de’ tenis a Napoli.

La redazione per lui, lupo solitario, è diventata una famiglia.

Per tutti è “il poeta”

Luciano «Ero un solitario Scarp mi ha insegnato a condividere» di Marta Capuozzo

info

Luciano è andato in scena a gennaio con ““Mettersi nei panni degli altri. Vestire gli ignudi” di Davie Jodice, in una replica voluta dal teatro stabile di Napoli “Mercadante” che, dopo il successo nello scorso Napoli Teatro Festival lo ha voluto in cartellone: lo spettacolo si è svolto nel centro di accoglienza dove dorme Luciano

66 Scarp de’ tenis febbraio 2015

NAPOLI

Luciano, classe '61, cappellino sportivo, giubbotto di pelle ed aspetto da duro. Per tutti quanti a Scarp de’ tenis è “il poeta”; viene in redazione da poco più di un anno e da più di otto alloggia al centro di prima accoglienza del comune di Napoli.

Nato nella zona marittima di Napoli, a 18 anni va via di casa, fuggendo a Londra nel suo primo, grande, tentativo di emancipazione: «Sono sempre stato un tipo solitario, vivevo nella mia stanza, dormivo da solo. A scuola non sopportavo l'odore delle quattro mura, mi sentivo prigioniero, anche a casa era lo stesso, non riuscivo a respirare». Dopo il primo viaggio, Luciano ha continuato ad allontanarsi sempre più spesso dalla casa dei suoi genitori, dove si sentiva sempre meno libero.

Nel suo girovagare, tra lavori saltuari e servizi di volontariato, la sua vita procede tra alti e bassi: i lavori sono precari, i posti dove dormire cominciano a scarseggiare, così, dopo sistemazioni provvisorie a casa di amici, cominciano le notti in garage e nei treni, al

freddo del binario 5 della stazione di Napoli, per poi arrivare alla casafamiglia Casa Gaia e al centro di prima accoglienza comunale.

La poesia è un suo tratto distintivo ben marcato, come il suo viso segnato dagli anni e dalla vita: «Ho iniziato presto a scrivere poesie, era il mio personale modo per sentirmi libero, ma anche meno solo. La poesia era la mia compagna, attraverso di lei ho trovato un rimedio alla malinconia, alle delusioni, ai momenti di tristezza».

Attitudine che è saltata all'occhio del regista teatrale Davide Jodice che, nell'ambito del Napoli Teatro Festival Italia, ha messo in scena lo spettacolo “Mettersi nei panni degli altri. Vestire gli ignudi”, in cui Luciano milita tra gli attori protagonisti, insieme alle sue poesia, una sua canzone e le sue caramelle, quelle che porta sempre con sé solo per il gusto di offrirle in giro. «Da quando sono a Scarp ho imparato il valore della condivisione e dello stare a contatto con le persone. Questo mi ha cambiato molto».

Beppe De Palo

Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano