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INTERVISTA

FRANCESCO DE GREGORI, L’ANIMO DISPOSTO ALLA LEGGEREZZA

3,50

Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

da a stra l l e d sile Il men

www.scarpdetenis.it marzo 2015 anno 20 numero 189

Il welfare della terra

Romano Siciliani

IL VIAGGIO DI SCARP NELLE REALTÀ PIÙ BELLE DI AGRICOLTURA SOCIALE DOVE PRENDERSI CURA DELLA TERRA È PRENDERSI CURA DI SE STESSI

Enzo Jannacci UNA (RI)SCOPERTA STRAORDINARIA

ERALDO AFFINATI I DIECI COMANDAMENTI RACCONTATI DA GRANDI SCRITTORI



EDITORIALE

La “Barberia del Papa” e i diritti negati

LA PROVOCAZIONE

Casa e affitti. Meglio l’antibiotico che il taglio netto

di don Giovanni Sandonà [ direttore della Caritas Vicentina ]

di Stefano Lampertico [

@StefanoLamp ]

Non finisce di stupire Papa Francesco. Dopo aver

usufruire dei servizi perché questi gli vengono negati».

aperto bagni e docce per i clochard sotto il colonnato di San Pietro, nei giorni scorsi, di

La storia si ripete. è sempre questione di diritti. Diritti negati. Come quelli

che noi vogliamo – ha detto l’Arcivescovo all’agenzia Ansa – è dare dignità alla persona. La

Bozzetto. Ed è l’omaggio che il grande disegnatore ha voluto riservare al cantautore milanese per la mostra “La mia gente Enzo Jannacci canzoni a colori”, che come giornale abbiamo promosso, e ancora promuoviamo. La storia, invece, è la

La persona lunedì, ha aperto agli ho- che descrive Gianni Mura all’in- che non ha la meless che gravitano in- terno del giornale raccontando possibilità di lavarsi torno al Vaticano la “Bar- la storia dei due americani e è una persona beria del Papa”. Inutile dire, dell’australiano che sono saliti un grande successo. Un succes- sul podio olimpico a Città del socialmente so anche per l’arcivescovo Kon- Messico ’68 protestando – insie- rifiutata e tutti noi rad Krajewski, il polacco che me neri e bianchi – contro il razsappiamo che un Bergoglio ha voluto alla guida zismo e la negazione dei diritti dell’Elemosineria apostolica, e di cittadinanza fondamentali. clochard non può che poi è il braccio operativo del Un pezzo da maestro. presentarsi in un E, per restare in tema di Papa rispetto agli ultimi degli ulposto pubblico timi. Krajewski non sta eviden- maestri, non potevamo sul nutemente con le mani in mano. mero di marzo, a tre anni dalla per chiedere Dopo aver organizzato la costru- morte, non ricordare Enzo Jan- di usufruire zione delle docce ha fatto riser- nacci. Lo facciamo con un disedei servizi vare un'area dei nuovi locali am- gno e con una storia, ovviamenpliati sotto al Colonnato ad una te. Il disegno, e lo trovate perché questi sala da barbiere. «La prima cosa in copertina, è di Bruno gli vengono negati

persona che non ha la possibilità di lavarsi è una persona socialmente rifiutata e tutti noi sappiamo che un clochard non può presentarsi in un posto pubblico come un bar o un ristorante per chiedere di

storia di un ritrovamento. Ce la racconta il nostro amico e collaboratore Sandro Patè al centro del giornale. Sono le storie che trovate, come ci piace dire oggi usando il linguaggio della rete, #solosuscarp.

contatti Per commenti, idee, opinioni e proposte: mail scarp@coopoltre.it facebook scarp de tenis twitter @scarpdetenis www.scarpdetenis.it

La Caritas Diocesana Vicentina ha lanciato da alcuni mesi un servizio chiamato Affitti Sociali, una “rete” ideata per ridare un’”anima” al canone d’affitto. In questo momento di crisi dove tante famiglie si trovano a dover fare i conti con redditi ridotti e dimezzati bisogna cercare risposte di senso e di solidarietà. Visto che ci troviamo continuamente ad affrontare le emergenze che ci assalgono di spalla, stavolta abbiamo cercato di prendere di viso il problema, proponendo alle amministrazioni comunali e ai proprietari di case di riflettere sui vantaggi di una relazione positiva e propositiva. Tutti insieme, Comune, proprietario e Caritas contribuiamo al reddito di una famiglia che fino a ieri era “normale” e oggi non ce la fa. È un’operazione che conviene a tutti: alla famiglia che non perde la casa, al comune che nell’emergenza spende di più, al proprietario che per tenere il canone di ieri ci rimette intere mensilità, spese legali, ansia, rabbia e preoccupazione, e alla Caritas perché in questo modo realizza la propria mission finalizzata ai diritti della comunità. Abbiamo bisogno dell’impegno etico dei proprietari di case: è arrivato il momento (in realtà lo è già da un pezzo) di ribassare gli affitti. Guadagnare meno è meglio che perdere tutto. Allo stesso tempo quel proprietario contribuisce al benessere di tutti noi come cittadini, perché una comunità dove il vicino di casa riesce a far fronte alle proprie difficoltà è meglio di una società che deve affrontare l’emergenza diffusa, con tutte le sue potenziali e inquietanti conseguenze, di persone che non hanno più una casa, un letto, un pasto caldo.

marzo 2015 Scarp de’ tenis

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SOMMARIO

Scarp a Cartoomics. Il giornale e i fumetti, storia di una bella amicizia. Saremo a Cartoomics. Scarp e i fumetti celebrano vent’anni di amicizia al Salone milanese del fumetto che si terrà alla Fiera di Rho dal 13 al 15 marzo 2015. Fondato nel 1992 Cartoomics si è ormai imposto all’attenzione di pubblico e media come uno degli appuntamenti più importanti

del calendario fumettistico italiano. Un appuntamento che si evolve, arricchendosi di novità e “contaminazioni” con settori che fumetto non sono, ma che dal mondo dei comics hanno tratto e traggono ispirazioni e linfa. E allora per gli appassionati del fumetto e per i collezionisti avremo un’edizione speciale di Scarp de’ tenis, solo per Cartoomics, numerata, in edizione limitata e stampata su carta di pregio. Scarp ha un altro grande amico, Enzo Jannacci. Le canzoni del grande autore milanese sono state illustrate

dai più importanti fumettisti italiani in occasione della mostra La mia gente–Enzo Jannacci, canzoni a colori curata da Davide Barzi e Sandro Patè. In occasione di Cartoomics 2015 Scarp ha preparato un estratto della mostra ed esporrà alcune tavole originali, tra le quali l’Omaggio a Jannacci di Bruno Bozzetto. Ma ci saranno anche altre soprese. A partire dai nuovi personaggio che saranno protagonisti, ogni mese su queste pagine, di una striscia. Barzi, Usai e Florio ci stanno lavorando da un po’. Una bella novità per i nostri lettori!

Quando capirai che non potrò neanche aggrapparmi a quel Quando arriverà la sera e penserai che la mattina dopo non

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rubriche

servizi

PAG.7 (IN)VISIBILI di Paolo Lambruschi PAG.9 IL TAGLIO di Piero Colaprico PAG.11 LE STORIE DI MURA di Gianni Mura PAG.12 LA FOTO di Silvestre Loconsolo PAG.14 PENNE PER SCARP di Eraldo Affinati PAG.19 PIANI BASSI di Paolo Brivio PAG.20 LO SCAFFALE di Yamada PAG.21 VISIONI di Sandro Patè PAG.39 POESIE PAG.53 VOCI DALL’EUROPA di Mauro Meggiolaro PAG.65 SCIENZE di Federico Baglioni PAG.66 IL VENDITORE DEL MESE

PAG.22 L’INTERVISTA De Gregori: «Lucio, Mango, Pino. Quanti vuoti ci sono» PAG.24 COPERTINA L’integrazione dentro casa PAG.32 DOSSIER La sfida di Expo: spezzare il pane con gli ultimi PAG.36 LA STORIA Il tango? Si balla ad occhi chiusi PAG.40 INCHIESTA Terra dei fuochi, la Chiesa in prima linea PAG.43 VICENZA Alla guida del pedibus ci sono i rifugiati PAG.45 GENOVA Sempre più anziani: liguri “salvati” dagli immigrati PAG.46 REPORTAGE Bruxelles, Emilia: la scommessa di Giacomo PAG.48 VERONA Ritorno in Africa alla scoperta delle radici PAG.49 VENEZIA Il Patriarca al pranzo di Natale con gli homeless PAG.50 RIMINI Rinascere, grazie a una radio PAG.54 VENTUNO La palude della deflazione e gli effetti sui redditi PAG.58 VENTUNO Beni confiscati, tempi lunghi e burocrazia PAG.61 CALEIDOSCOPIO Incontri, laboratori, autobiografie PAG.62 NAPOLI Il ricordo di Pino Daniele PAG.64 COMO La colazione per gli homeless è gratis

Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it

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Scarp de’ tenis marzo 2015

Direttore responsabile Stefano Lampertico Redazione Ettore Sutti, Francesco Chiavarini, Paolo Brivio

Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli

Redazione di strada Roberto Guaglianone, Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Alessandro Pezzoni

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da

lla stra sile de Il men

aforisma di Merafina La felicità La felicità è stare bene in salute e avere cattiva memoria

www.scarpdetenis.it febbraio anno 19 numero 188

Cos’è Scarp de’ tenis è un giornale di strada noprofit nato da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe. È un’impresa sociale che dà voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione.

balcone, che c'è in mezzo alla strada? potrebbe arrivar mai

Dove vanno i vostri 3,50 euro

tributo a Enzo Jannacci

Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Per contattarci

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TOP 15

Percezione della corruzione 1 2 3 4 5

32 Foto Beppe De Palo, Bruno Zanzottera, Stefano Rossini, Gianluca Rizzo. Disegni Sergio Gerasi, Alessandro Mazzetti, Silva Nesi, Psichedelio, Giampaolo Zecca, Luigi Zetti.

dati 2014, fonte: Transaprency.org

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Danimarca Nuova Zelanda Finlandia Svezia Norvegia Svizzera Singapore Olanda Lussemburgo Canada Australia Germania Islanda Gran Bretagna Italia

Progetto grafico Francesco Camagna Sito web Roberto Monevi Editore Oltre Soc. Coop. via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti

Direzione e redazione centrale - Milano Cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3 tel. 02.67479017 scarp@coopoltre.it Redazione Torino Casamangrovia, corso Novara 77, tel. 011.2475608 scarptorino@gmail.com Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12 tel. 010.5299528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Verona Il Samaritano, via dell’Artigianato 21 tel. 045.8250384 segreteria@ilsamaritanovr.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38 tel. 0444.304986 scarp@caritas.vicenza.it Redazione Venezia Caritas Venezia, Santa Croce 495/a tel. 041.5289888 info@caritasveneziana.it Redazione Rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69 tel 0541.780666 rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Il Samaritano, via Baracca 150/e tel. 055.3438680 samaritano@caritasfirenze.it Redazione Napoli Cooperativa sociale La Locomotiva largo Donnaregina 12, tel. 081.441507 scarp@lalocomotivaonlus.org Redazione Salerno Caritas Salerno, Via Bastioni 4 tel.089 226000 caritas@diocesisalerno.it

Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber via della Volta 179, 24124 Brescia

Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 1 marzo al 3 aprile 2015 marzo 2015 Scarp de’ tenis

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(IN)VISIBILI

Gli sceriffi di ritorno e la pancia del Belpaese Sotto l’etichetta guerra tra poveri può entrare tutto e il contrario di tutto. Per non di Paolo Lambruschi farsi etichettare, prima che sia tardi, Speravamo di esserci lasciati alle spalle il venten- bisogna cominciare nio “legge&ordine” e la sta- a ragionare. gione degli sceriffi. Stagione E cominciare memorabile e ideologica contro e non a favore degli ultimi. Quella a ragionare dei più dei tg e giornali inondati dalle no- deboli, e insieme tizie dei reati – i più odiosi – comcon i più deboli messi quotidianamente dai “clandestini” per compiacere il Palazzo e generare anveri, il bersaglio più facile e comodo per rassicurare la pancia del Belpaese.

scheda Paolo Lambruschi è nato a Milano nel 1966. Lavora ad Avvenire, come capo degli interni, dopo essere stato per tanti anni inviato. Ha diretto Scarp de’ tenis e il mensile di finanza etica Valori. Nel 2011 ha vinto il prestigioso premio giornalistico “Premiolino” per le inchieste sul traffico di esseri umani nel Sinai.

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IL TAGLIO

In Lombardia la mafia esiste perché la si combatte Circola una mappa sulle cosche criminali in Italia. Uno la guarda e dice: «Ma com’è possibile? Ma da quando la Lombardia è diventata peggio della Calabria?». La do-

di Piero Colaprico

scheda Piero Colaprico (Putignano 1957), giornalista e scrittore, vive a Milano dal 1976. È inviato speciale di Repubblica, si occupa di giustizia e di cronaca nera. Ha scritto alcuni romanzi, tra cui Trilogia della città di M. (2004), vincitore del Premio Scerbanenco. Una penna tagliente. Come questa rubrica che cura per Scarp.

tarsi, due capiclan si sono incontrati. Ora, la domanda vera è: ma

La mappa delle cosche in Lombardia. manda è legittima. Ma è alla rispo- Boss che sta che bisogna stare molto attenti. si incontrano, È meglio procedere con i piedi di giuramenti piombo quando si parla del piombo che ammazza. Per non farci di ‘ndrangheta. fuorviare dai luoghi comuni, basia- E una domanda moci su alcuni fatti certi. Per coscomoda: perché minciare, l’incredibile, ma videoregistrato, giuramento questi fatti esistono della ‘ndrangheta. È stato ri- solo a Milano? preso in un capanno agricolo, il 12 aprile 2014, siamo a 30 chilometri circa dalla grande Milano. La cerimonia comincia con un saluto: «Buon vespero e santa sera ai santisti». Prosegue con un rito: «Giusto appunto in questa santa sera, nel silenzio della notte e sotto la luce delle stelle e lo splendore della luna , formo la santa catena!». Arriva chi dev’essere affiliato: «Se prima lo conoscevo da camorrista di sgarro fatto e fidelizzato completo, d'ora innanzi (...) lo conosco per un nostro fratello di santa, fatto e non fidelizzato. Dite appresso a me: «Giuro di rinnegare tutto sino alla settima generazione...». Finito il giuramento, tra fratelli si dovrà dividere «centesimo per centesimo, millesimo per millesimo, come prescrivono le regole sociali...».

Secondo documento, ripreso il 31 ottobre del 2009. Questa volta siamo a Paderno Dugnano, nel circolo per anziani «Falcone e Borsellino», affittato per una cerimonia speciale. Ci sono una trentina e passa di uomini, sono i capi e i rappresentanti delle «locali» milanesi, e cioè dei clan della ‘ndrangheta: hanno votato per alzata di mano il

loro rappresentante nei rapporti con i capimafia del Sud e alzano il bicchiere alla sua salute. A questi e altri filmati, che si trovano anche su youtube, sui siti dei giornali e delle tv, va aggiunto il breve

passo di un’intercettazione telefonica. Risale al giugno del 2008. Due boss si parlano e uno dice all’altro: «Vedi che qua in

Lombardia siamo venti locali, siamo 500 uomini». Certo, c’è chi continua a ignorare l’esistenza della ‘ndrangheta, specie tra i politici, nel senso che non ne parla mai. E per sbugiardare i collusi spunta la famosa «mappa», con la Lombardia piena di cosche. Una visione agghiacciante. Ma, pensiamo più oggettivamente ai tre documenti che abbiamo citato. Per far giurare nel nome di Mazzini, Garibaldi e Lamarmora un malavitoso del Nord, è «salito» un boss dal Sud. Per decidere chi sia il «capo», i boss si sono riuniti. E per dirsi le cose come stanno, per con-

queste cose succedono solo a Milano? O, com’è più che plausibile, accadono in tutt’Italia? Non accadono forse in Liguria, in Piemonte, in Veneto? O non in Romagna, dove hanno di recente sgominato un intero clan che si aggiudicava appalti pubblici su appalti pubblici? E in Calabria?

La risposta, dunque, esiste, anche se può non piacere a tutti: qui le cosche vengono scoperte, altrove no, o molto meno. È stata la procura antimafia milanese, coordinata da Ilda Boccassini, a far piazzare dagli investigatori le «microspie» in luoghi impensati per gli stessi mafiosi. E lo stesso schema filosofico si registrò durante Tangentopoli. Milano sembrava la città più corrotta d’Italia, di sicuro qui giravano e girano moltissimi soldi, più che altrove. Ma mentre a Milano l’indagine Mani Pulite sfondò ogni resistenza, in ogni partito, a Bologna, Firenze, Torino, e al Sud, l’inchiesta anti-corruzione ebbe la stessa efficacia? E come mai non la ebbe? Ripetiamolo, il discorso è

scomodo. Riguarda anche i metodi di lavoro e di selezione dei magistrati. Ma Scarp de’ tenis non va in giro per dire ai lettori «State comodi, non ci pensate». Anzi, un giornale di strada vive se porta notizie «di strada»: e qui, le strade, raccontano che spesso detective e magistrati di Milano seguono il cosiddetto «rito ambrosiano». Entrano in polemica, commettono errori, non c’è dubbio. Ma nella media sono pragmatici e - soprattutto - non guardano in faccia nessuno. Per alcuni imputati (e non solo) tutto ciò è scomodo, ma per noi cittadini? marzo 2015 Scarp de’ tenis

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Messico ‘68. I guanti, il pugno e la coccarda. Così cambia la storia il sinistro. Chiusi e guantati di

La foto è famosissima: Olimpiade 1968, Città del Messico. Alla premiazione dei

di Gianni Mura

200 metri sul gradino più alto c’è Tommie Smith, primo al mondo a scendere sotto i 20” con 19”83. Ha corso gli ultimi dieci metri a braccia alzate. Sul secondo gradino c’è un bianco poco noto, un australiano, Peter Norman. Ai 100 metri era in sesta posizione, ha rimontato John Carlos che ha finito in anticipo la benzina: 20”6 contro 20”10.

Il 1968, molti lo ricordano per il Maggio francese. Ma nel mondo sono successe tante altre cose.

Quando lo sport cambia il corso della storia. Smith, Carlos e Norman. Sul podio per la premiazione dei 200 metri all’Olimpiade di Città del Messico

scheda Gianni Mura è nato a Milano nel 1945. Giornalista e scrittore. Su Repubblica cura la rubrica Sette giorni di cattivi pensieri, nella quale – parlando di sport, s’intende – giudica il mondo intero. In questa rubrica racconta invece le storie di sport che, altrove, faticherebbero a trovare spazio.

Il 16 marzo la strage di My Lai, il 4 aprile l’assassinio di Martin Luther King, il 5 giugno quello di Bob Kennedy. Aggiungiamoci il Biafra, i carri armati sovietici a stritolare la primavera di Praga, la strage di piazza delle Tre culture nella capitale messicana, poco prima dell’inizio dei Giochi (mai parola suonò tanto inadeguata). I due atleti neri studiano sociologia in California, a San Josè. Uno degli insegnanti si chiama Harry Edwards, ex atleta (disco). Nel ’67 ha fondato l’Ophr (Olympic program for human rights). Vorrebbe il boicottaggio olimpico da parte degli atleti neri ("perché correre in Messico quando dobbiamo strisciare a casa nostra?") ma si rende conto che questa forma di protesta è molto difficile da attuare. Così agli atleti più politicizzati viene consegnata una coccarda, simbolo dell’Ophr, e ognuno è lasciato libero di manifestare la sua protesta come meglio crede. Smith e Carlos

erano sicuri di salire sul podio. Ma non vogliono 10 Scarp de’ tenis marzo 2015

Tommie Smith e John Carlos erano sicuri di salire su quel podio. Ma non vogliono passare alla storia per questa vittoria, piuttosto per quello che verrà dopo: la premiazione.

passare alla storia per questa vittoria, piuttosto per quello che verrà dopo: la premiazione. Si presentano senza scarpe (simbolo di povertà), Carlos ha al collo una collanina con tante pietruzze (una per ogni nero ucciso mentre difendeva i diritti civili). Hanno guanti neri. Norman li ha sentiti discutere nello spogliatoio. Denise, la moglie di Smith, ne aveva comprati quattro ma Carlos ha dimenticato i suoi al Villaggio. «Perché non li dividete, uno tu e uno tu?», suggerisce Norman. E così sarà: Smith al-

za il pugno destro, Carlos

nero, la testa rivolta a terra mentre sventola sul pennone più alto la bandiera a stelle e strisce.

Norman guarda fisso davanti a sé, anche lui ha sul petto la coccarda dell’Ophr, per solidarietà e perché sa che, quanto al rispetto dei diritti umani, anche l’Australia ha le sue colpe (con gli aborigeni). «Sto con voi, perché si nasce tutti uguali e con gli stessi diritti», dice Norman. La pagheranno tutta la vita «Se ne pentiranno tutta la vita», dice sotto il podio Payton Jordan, capodelegazione Usa. Tanto più che il presidente del Cio è Avery Brundage, che nel ’36 da presidente del comitato Usa si era battuto contro il boicottaggio delle Olimpiadi di Hitler. Vedremo come la pagheranno, intanto guardiamoli sul podio i tre più veloci del mondo. Smith, 24 anni, è settimo di undici figli, suo padre raccoglie cotone. Carlos ha 23 anni, nato e cresciuto ad Harlem, figlio di un calzolaio. Norman è il più anziano, 26 anni, suo padre è macellaio, famiglia molto religiosa.

La pagheranno salata e per tutta la vita, ma senza pentirsi. Smith e Carlos sono espulsi dal Villaggio olimpico, Smith per “indegnità” anche dall’esercito. Non correranno più, non rappresenteranno più gli Usa. Smith tira avanti lavando auto, poi giocherà in una squadra di football americano per tre stagioni. Carlos fa lo scaricatore al porto e il buttafuori in un night. A casa di Smith, che vive in Alabama, arrivano le minacce di morte del Ku Klux Klan e pacchi pieni di escrementi. A


Galimberti - Olycom

LE STORIE DI MURA

casa di Carlos minacce telefoniche a ogni ora del giorno e della notte. Sua moglie si uccide.

Norman, il più grande sprinter nella storia dell’atletica australiana, viene semplicemente cancellato. Non esiste più. Chi gliel’ha fatto fare di aderire a una protesta che riguardava solo gli americani neri? Continua a correre, supera 13 volte il tempo di qualificazione sui 200 e 5 quello sui 100 che lo porterebbero alle Olimpiadi di Monaco ’72, ma la federazione australiana non lo iscrive e non gli dà nessuna spiegazione. Prova a giocare a football ma si rompe un tendine e rischia l’amputazione di una gamba. Insegna educazione fisica, arrotonda in una macelleria, lavora con il sindacato. Non è

coinvolto nemmeno nell’organizzazione delle Olimpiadi in Australia (Sydney, 2000). Dove col suo tempo del Messico avrebbe vinto la medaglia d’oro. Ha tre by-pass, soffre di cuore, muore il 3 ottobre 2006. Il 9,

giorno del funerale, Smith e Carlos reggono la sua bara, sulle note di “Chariots of fire”. Dice Carlos alla famiglia di Norman: «Avete perso un grande soldato, per me era come un fratello». Dice Smith fuori dal camposanto: «Peter non ha girato gli occhi dall’altra parte, e un bianco poteva anche farlo». Da quel giorno del ’68 in

Messico a quel giorno del 2006 a Sydney si erano visti una volta sola: nel 2005, quando nel

campus di San Josè venne inaugurata una scultura in fibra di vetro, opera del portoghese Rigo, che riproduce il podio messicano. Il secondo gradino del monumento è vuoto, non c’è Norman. Perché chiunque la pensi come Norman possa salirci. La federa-

zione americana il 10 ottobre 2006 ha dichiarato giornata mondiale dell’atletica il 9 ottobre. Si chiama Peter Norman day. Il 12 ottobre 2012 il parlamento australiano si è scusato per il trattamento riservato in vita a Norman. Sul secondo gradino, in California, continuano in tanti a salire.

La foto Cesare Galimberti È suo lo scatto che immortala il gol di Rivera in Italia-Germania 4-3. Sua la foto di Bob Beamon a Città del Messico. Sua la foto con la clamorosa protesta in guanti neri sul podio olimpico. Cesare Galimberti, 74 anni, fotoreporter di Olycom è il maestro della fotografia sportiva. Ha raccontato 9 Olimpiadi estive e 7 invernali, 9 Mondiali di calcio, 22 Giri d’Italia, 9 Tour de France, 43 campionati. Scrive Roberto Perrone sul Corriere della Sera: «Una volta costrinse Gimondi stremato a uscire dall’albergo dopo una tappa per rifare una foto che non era venuta bene». Altri tempi, già.

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LA FOTO

Questa fotografia di Loconsolo, del 1971, proviene dall’Archivio del Lavoro-Cgil di Milano

di Silvestre Loconsolo

scheda I lavoratori del cibo. Un racconto attraverso fotografie, parole e documenti mostra a cura dell’Archivio del Lavoro e Comune Milano, Cultura, Polo Musei Storici e Musei Archeologici Fino al 29 marzo Museo del risorgimento Via Borgonuovo, 23 Milano

Expo e cibo. “Le raccoglitrici di pomodori” di Loconsolo sono parte di una mostra che vuole far conoscere l’identità culturale lombarda attraverso le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti nel secondo dopo-guerra, recuperando le tradizioni e i mestieri tipici delle cascine milanesi.

1.620.844 È il numero delle aziende agricole attive in Italia (-32,4% rispetto al 2000). La dimensione media è di 7,9 ettari di superficie agricola utilizzata.

96,1% Le aziende agricole basate su unità aziendali di tipo individuale o familiare

233.000 Gli stranieri che lavorano in aziende agricole. Sono il 24,8% della manodopera aziendale non familiare

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Eraldo Affinati, non desiderare la roba d’altri

I sandali di gomma di Nadir

scheda Eraldo Affinati (Roma 1956) Insegna italiano e storia in un Istituto Professionale. Ha esordito con Veglia d'armi. L'uomo di Tolstoj (Marietti 1992), con Mondadori ha pubblicato Bandiera bianca (1995), Campo del sangue (1997), Uomini pericolosi (1998), Il nemico negli occhi (2001), Un teologo contro Hitler. Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer (2002), Secoli di gioventù (2004), La Città dei Ragazzi (2008), Peregrin d'amore (2010), Elogio del ripetente (2013), Vita di vita (2014), Insieme alla moglie, Anna Luce Lenzi, ha fondato la Penny Wirton, scuola di italiano per stranieri.

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Sare Gubu è un pugno di capanne sparse nella terra arida. Siamo in Gambia ma già quasi ai confini del Senegal, durante la stagione secca, quando i vecchi stanno fermi immobili sotto le zone d’ombra, gli uomini fanno il minimo indispensabile, le donne pestano la manioca nel mortaio e custodiscono gli animali nelle catapecchie poste accanto alle abitazioni. Solo i bambini corrono scatenati sotto il sole implacabile della pianura brulla cosparsa di letame. Giocano a football con devozione cocciuta, quasi fossero impegnati in un rito ancestrale. Vogliono diventare come i campioni di cui indossano le magliette trovate nei mercati di Banjul, improbabile capitale del più piccolo stato africano. Torres ha gli occhi neri di Jamal. Messi rivive nei sandali di gomma azzurra di Nadir. Drogba calcia in porta mettendo in campo la potenza di Samad. Balotelli salta vittorioso in mezzo al groviglio dei difensori. Ibrahimovic segna con la testa di Mohamed. Avevo comprato da Decathlon per pochi euro il pallone della Champions schiacciandolo dentro lo zaino. Non immaginavo che da queste parti potesse essere prezioso più dell’oro. Appena siamo arrivati nel villaggio, l’abbiamo regalato a Kaman, il quale timidamente si era presentato la mattina presto sulla soglia della nostra capanna di paglia, senza sapere cosa avrebbe potuto ottenere ma pieno di speranza, fiducioso nel futuro. Avrà otto anni e sembra nato per dettare i passaggi agli attaccanti. Un centrocampista naturale. L’ho visto subito mentre correva festoso a fare le squadre chia-

mando a gran voce i compagni pronti a sbucare da ogni angolo per giocare insieme a lui. Siamo andati alla periferia del villaggio, vicino alla moschea, l’unica costruzione in muratura, nel grande piazzale dove ci sono i pannelli solari fuori uso realizzati dalla Comunità europea. I piccoli calciatori hanno cominciato a sfidarsi. Io sono rimasto incantato a guardarli. Amo il calcio e sono un insegnante, quindi mi trovavo nel mio elemento naturale. Tuttavia non mi sentivo preparato ad assistere allo spettacolo che i bambini mi stavano riservando. Quella partita pareva interminabile. Passavano le ore e non finiva mai. Con il procedere della giornata il caldo cresceva ma i contendenti non mostravano alcun desiderio di smettere. Continuavano a darci dentro, come invasati. Saranno stati venti contro venti. Le porte, assai distanti, erano fatte da mucchi di vecchi copertoni accatastati. Le linee laterali non esistevano perché il pallone schizzava ovunque e veniva comunque ripreso. Il campo, prima ancora di rappresentare uno spazio fisico, era una dimensione mentale che ogni giocatore aveva nella testa e sulla quale si misurava. Il talento di Kaman

Nella calca e nei grovigli Kaman dava l’impressione di essere un eroe. Usciva e rientrava dalle mischie con la leggerezza di una piuma. Scartava gli avversari. Distribuiva il gioco. Metteva ordine negli intasamenti. Creava gli spazi. Anticipava i movimenti delle ali. Batteva le punizioni. Riprendeva i compagni meno avveduti. Insomma dimostrava tutto il talento di

illustrazione di Giampaolo Zecca

di Eraldo Affinati


PENNE PER SCARP

In seguito più volte sono tornato a interrogarmi sulla natura di quegli sguardi: invidia, fragilità, violenza, paura, oppure il silenzio misterioso della frazione di secondo che precede il salto del predatore.

Abbiamo chiesto a dieci grandi scrittori un racconto per ogni comandamento. Sul prossimo numero Non commettere atti impuri di Antonella Cilento

cui disponeva. Ogni tanto alzava gli occhi verso di me per controllare che non me ne fossi andato. In quegli istanti ridiventava un bambino, lo sguardo ansioso alla ricerca di una conferma, il naso gocciolante, la testa lucida come una palla da biliardo. Restarono le stelle

Chissà, forse io per lui potevo essere un osservatore speciale che, al ritorno in Italia, lo avrebbe segnalato alla corte di qualche società calcistica. Nel corso della partita passarono altri ragazzi, più grandi di quelli impegnati nel gioco, che prima considerarono me, alla stregua di un oggetto raro, e poi, quasi ipnotizzati, fissarono i bambini. Sentii nella loro attenzione spasmodica, lucidamente febbrile, una miscela esplosiva di cui non compresi il significato. In seguito più volte sono tornato a interrogarmi sulla natura di quegli sguardi: invidia, fragilità, violenza, paura, oppure il silenzio misterioso della frazione di secondo che precede il salto del predatore. Non ricordo quanto tempo trascorsi a bordo campo, all’ombra di un vecchio muro scalcinato. L’intera giornata passò come un lampo fra dribbling, goal e calci piazzati. I giocatori caddero sfiniti nell’ora del tramonto che ai Tropici arriva rapida, senza preavviso. Anche noi, come gli abitanti di Sare Gubu, andammo a mangiare il riso seduti intorno alla ciotola posta in mezzo agli avventori. Il buio avvolse il villaggio custodendolo dentro di sé alla maniera di un segreto. In cielo restarono soltanto le stelle a punteggiare di luci smarrite la nostra inquietudine. L’indomani mi svegliai di soprassalto, quasi avessi un presentimento. Uscendo nel piazzale vidi Kamal tutto solo, la testa bassa, l’aria triste, avvilita. Cosa era successo? Fu lui stesso a prendermi per mano e trascinarmi con caparbia determinazione verso la capanna dove viveva, a due passi dalla mia. Proprio all’ingresso, in terra, c’era il pallone fatto a pezzi. Qualcuno lo aveva bucato col coltello e poi lacerato fino a renderlo inutilizzabile. Kamal raccolse i trucioli di plastica mostrandomeli come fossero ciò che restava di un sogno. marzo 2015 Scarp de’ tenis

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IN BREVE

europa Un reddito minimo per l’Europa sociale

di Enrico Panero Per l’Ue è più importante salvare vite umane o proteggere i propri confini? La domanda, purtroppo, sorge spontanea dopo le continue tragedie delle migrazioni nel mare di Lampedusa, che hanno ormai portato a oltre 21.500 la stima delle vittime dell’immigrazione verso l’Europa in 25 anni, circa 9 mila delle quali nel Canale di Sicilia. Una media pazzesca di 860 persone decedute ogni anno nel tentativo di raggiungere l’Europa, e si tratta di una stima per difetto perché basata solo sulle notizie della stampa internazionale. Sono i numeri di una guerra, non di fatalità. Ai quali andrebbero aggiunti i costi sociali dello sfruttamento e delle condizioni degradanti di molti migranti “fortunatamente” sopravvissuti. Dagli accordi di Schengen del 1985 i Paesi europei hanno progressivamente esteso il cosiddetto Spazio di giustizia, libertà e sicurezza, abolendo i controlli alle frontiere interne e intensificandoli a quelle esterne. Ma non è accettabile un tale prezzo in vite umane per la creazione della “Fortezza Europa”. Alle richieste di una politica migratoria europea l’Ue risponde con le operazioni di Frontex, come se un fenomeno di tali proporzioni fosse governabile con i soli controlli in mare. Dovrebbe invece intervenire in modo efficace per porre fine a questa assurda carneficina, valutare l’estremo bisogno di immigrati in prospettiva, e considerare l’immigrazione non un problema ma una risorsa, non un’emergenza ma un fenomeno strutturale.

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neri culinari: fast, cheap, gourmet, design. In ogni città in cui farà tappa lo Streeat Food Truck Festival sarà una tre giorni dove il cibo sarà il protagonista assoluto: non solo con i piaceri del palato, ma anche grazie a una serie di eventi collaterali come workshop, presentazioni, musica e intrattenimento. Tutto rigorosamente in tema di street food. Dopo il successo delle due edizioni milanesi che hanno visto la partecipazione di quasi 50 mila persone, lo Streeat Food Truck Festival, l’unico festival italiano interamente dedicato al cibo di qualità su ruote e a ingresso gratuito, diventa quest'anno itinerante. Prima tappa, a marzo, Roma, presso la Città Altra Economia.

Streeat Food Truck Festival. Prima tappa, a marzo, a Roma Bologna, Milano, Roma, Firenze: lo Streeat Food Truck Festival diventa itinerante e fa tappa nelle quattro città da marzo a settembre. Cibo italiano e internazionale, dal dolce al salato, con il gusto italiano e internazionale e la praticità del cibo di strada. Le proposte gastronomiche verranno allestite sui camioncini, vere e proprie cucine itineranti, che proporranno i diversi ge-

Facebook: StreeatFoodTruck

street art Due tour per scoprire le opere sui muri di Milano È in arrivo la primavera. La street art diventa protagonista delle città. Oltre ai festival dedicati fioriscono le visite guidate per scoprire i murales degli street artist. Quest’anno anche a Milano, da metà marzo, due associazioni culturali - Superground e whyZ hanno preparato due tour per scoprire le opere d’arte della città. Ci si muoverà in Nineboot, sorta di monociclo elettrico. Nel primo, il Light tour, si viene condotti a scoprire, in tre ore, la street art delle vie Tortona, la Darsena, i Navigli e nello spazio Superground. Il Bold tour dura cinque ore e oltre alle vie del Light si aggiungono i murales della riqualificazione urbana tra via S. Calimero e via Mercalli, quartiere Ticinese, dintorni delle colonne di S. Lorenzo e infine le opere del Padiglione d’arte contemporanea. Le guide saranno gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera. Visite, oltre che in italiano,anche in inglese, francese e tedesco. info produzione@superground.it

on

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Anche in Toscana, la Caritas fa nascere la casa per padri separati

Un sistema contributivo anticostituzionale

Si chiama Casa Francesco la prima struttura Caritas a Prato e in Toscana per i padri separati. Una residenza attrezzata per sostenere i genitori con difficoltà economiche e abitative. I padri separati alloggeranno in Casa Francesco e avranno la possibilità di vivere la quotidianità con i loro bambini, per consumare un pasto insieme e vedere un film in tv. L’iniziativa è della parrocchia di Santa Maria delle Carceri e Insieme per la famiglia, associazione nata nella Caritas diocesana. In Casa Francesco ci sono, oltre a una cucina in comune, quattro camere, ciascuna con un bagno personale. La residenza non è una risposta alla crisi abitativa, i padri potranno pernottare a Casa Francesco per sei mesi, rinnovabili per un massimo di altri sei. Non è previsto un affitto ma solo un contributo al pagamento delle utenze domestiche e l’acquisto degli alimenti. Il progetto è finanziato in parte con i fondi dell’otto per mille, complessivamente il costo della Casa è stato di 50 mila euro.

Vivere con 173 euro mensili. È l’importo medio delle nuove pensioni di invalidità. Oltre 50 mila cittadini si trovano in queste condizioni. Un esempio che viene dalle Acli: Luca è un operaio di 55 anni che aveva uno stipendio di 830 euro netti al mese. Causa malattia grave l’Inps riconosce che si trova nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. Luca cessa il lavoro, ha 12 anni circa di contributi come lavoratore dipendente la sua pensione è pari a 192,17 mensili, ben al di sotto della soglia di povertà. Ma l’articolo 38 della Costituzione sancisce che per i lavoratori siano previsti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Per questo la Federazione Anziani Pensionati Acli con il supporto del Patronato Acli ha pronta una proposta di legge per istituire l’integrazione al minimo vitale per trattamenti pensionistici calcolati esclusivamente con il sistema contributivo.


[ pagine a cura di Daniela Palumbo ]

Margherita Lazzati, particolare di una foto in mostra

La guida di Roma per mangiare, dormire e lavarsi

Il dolore degli invisibili in una mostra Fino al primo aprile presso la Fondazione Ambrosianeum, in via delle Ore 3, a Milano, Margherita Lazzati presenta la mostra fotografica Visibili. InVisibili. Reportage. Le immagini raccontano e e immortalano con consapevolezza una città, Milano, che spesso si attraversa di fretta e non vede il dolore degli invisibili. A cominciare da quello degli homeless, primi protagonisti della mostra, definiti da Margherita Lazzati “grovigli umani, sguardi smarriti che interpellano le nostre coscienze”. Ecco perché l’autrice delle fotografie ha deciso di devolvere i proventi www.ambrosianeum.org della vendita del catalogo dell’esposizione a progetti di solidarietà.

mi riguarda A Vicenza, città di pace, è tempo di diritti

pillole homeless Quelle sciarpe annodate sui tronchi per scaldare le notti dei senza dimora A Winnipeg ci sono tante sciarpe annodate ai tronchi degli alberi. Colorate e fatte a mano. Winnipeg, nella provincia canadese del Manitoba è la città più fredda del mondo. Dal 2011, il primo sabato di dicembre è dedicato a Chase the Chill, caccia il gelo. La città è invasa di gomitoli. I partecipanti confezionano lunghe sciarpe per i senzatetto della città e poi le appendono sugli alberi. Le persone senza dimora scelgono la loro sciarpa di lana colorata. Ogni anno vengono distribuite fra le 250 e le 300 sciarpe. L'iniziativa, grazie al passaparola è passata in altre città del Canada e poi è arrivata anche negli Stati Uniti, in Pennsylvania e poi a Carolina Beach sull'Oceano Atlantico. Racconta sul suo profilo facebook una persona che ha beneficiato del dono: «Quando tre anni dopo aver avuto in dono la sciarpa ho lasciato la strada, la prima volta che ho visto un senza dimora gli ho donato la mia sciarpa. È stato bellissimo sentirsi in grado di aiutare qualcun altro».

Fino al 21 marzo la città ospita la seconda edizione della rassegna: Vicenza città di pace e nonviolenza. Incontri, aperitivi, film e dibattiti, animazioni per famiglie e seminari di approfondimento, mostre e testimonianze sul tema dei diritti umani. I sette colori della bandiera della pace parleranno di uguaglianza sociale, dignità e occupazione, di educazione come prevenzione, di sostenibilità ambientale, di migrazione, di cittadinanza attiva e di diritti che non hanno ancora il pieno riconoscimento come il diritto universale alla pace. Durante gli eventi saranno proposti progetti e prodotti della sartoria Profilo e di EquoBar, e vi sarà la possibilità di acquistare la nostra rivista Scarp de’ tenis. Facebook: È tempo di diritti - Vicenza città di pace e nonviolenza

Torna la guida realizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, arrivata alla venticinquesima edizione. “Dove mangiare, dormire, lavarsi. 2015”. Un vademecum per chi non ha dimora e vive in strada perché la guida aiuta a sopravvivere a Roma. Negli anni si è rivelato uno strumento fondamentale per la città di Roma e per le sue istituzioni perché è diventata un punto di riferimento di tutte le associazioni, cooperative, servizi sociali. Il volumetto ha 232 pagine con 14 sezioni e 800 indirizzi utili. La guida non viene pubblicata solo a Roma ma anche nelle città di Genova, Milano, Napoli, Firenze, Padova, Barcellona, Madrid e Buenos Aires. Info www.santegidio.org

Un centro di supporto per le vittime di reati Un servizio a disposizione delle persone e delle istituzioni presenti sul territorio che offrirà personale qualificato per fornire aiuto a tutti coloro che si trovano in una condizione di vulnerabilità, che hanno subito violenza personale a causa di reati sessuali, violenza domestica, incidenti stradali con lesioni corporali, oppure si trovano in una condizione di dipendenza patologica da gioco d'azzardo o che hanno subito atti di persecuzione o che siano vittime di malasanità. Il Centro fornirà ascolto, sostegno e assistenza grazie a professionisti, operatori e psicologi qualificati che, attraverso un percorso di ascolto del vissuto traumatico della vittima, accompagneranno e sosterranno le persone fino alla loro ritrovata condizione di serenità. Ogni reato richiede una tipologia di supporto diverso. Il Centro metterà a disposizione professionisti qualificati per accogliere queste diverse esigenze. Info ufficiostampa@unimeier.eu

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IN BREVE

Il festival delle lettere quest’anno è su Expo L’edizione 2015 del Festival delle Lettere è dedicato all’Expo. Stanno cominciando ad arrivare i brevi manoscritti della decima edizione del concorso Lettere di Pancia in onore all’Esposizione universale che si terrà a Milano dal titolo: Nutrire il Pianeta. Energia per la vita. Il componimento dovrà essere in cartaceo e saranno premiate 4 categorie di lettera: di pancia, a tema libero, under 14 e infine lettera dal cassetto. Per ognuna delle 4 categorie verrà premiata la più bella, con 400 euro. C’è tempo fino al 30 giugno. Il festival si terrà a Milano, dal 29 settembre al 4 ottobre, presso il Teatro Litta di corso Magenta. Info www.festivaldellelettere.it

“Per sempre in scarpe da tennis”. Omaggio a Enzo Jannacci. 23 marzo, ore 21 Legend Club, viale Fermi 98 - Milano

IL RICORDO

A Milano, una serata in scarpe da tennis, tutta per Enzo di Andrea Pedrinelli

La rassegna cinematografica sulla Grande Guerra Dal 15 gennaio al 30 luglio 2015 le Gallerie d’Italia di Milano Napoli e Vicenza ospiteranno una rassegna cinematografica sulla Grande Guerra. A Milano, in particolare, i film saranno proiettati presso la sala didattica delle Gallerie d’Italia, in Piazza della Scala. Oltre sessanta titoli realizzati in un arco di tempo che prende il via dagli anni Dieci. La proposta si articola in tre sezioni: 23 film e documentari d’archivio, 8 capolavori del cinema muto e 27 lungometraggi sonori, attraverso questi lavori sarà possibile scoprire come il cinema, in quanto nuovo strumento di comunicazione del Novecento, ha saputo raccontare la Prima Guerra Mondiale, mettendosi al suo servizio dal primo giorno del conflitto fino ai giorni nostri. Ingresso libero. Info e prenotazioni 02 87242114

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L’unicità e la grandezza di Enzo Jannacci sono state testimoniate nel momento stesso in cui anziché dedicargli – da artista – una strada, una piazza, una statua o un teatro, gli è invece stata intitolata la casa dell’accoglienza di Milano. All’Enzo artista, certo, ma soprattutto all’Enzo uomo, il medico, il benefattore di tanti, la persona bella dal sorriso bellissimo che io come molti ho avuto la fortuna di incontrare. Da milanese, da

giornalista, da piccolo operatore culturale, ho voluto che anche quest’anno si creasse un’occasione per condividere e rilanciare l’eredità e la memoria di Jannacci. In una serata tutta per Enzo ci saranno gli allievi del maestro – Bove & Limardi – e gli amici: da quelli di Scarp de’ tenis, la nostra rivista che applica nel concreto il suo impegno per gli ultimi, a Ranuccio Sodi, il suo storico regista televisivo che ancora ci regalerà filmati nascosti e ricordi inediti di un’amicizia. E , ovviamente, Susanna Parigi che con il lavoro “Il Saltimbanco e la Luna” ha raggiunto anche Musicultura e il Club Tenco, venendo candidata nella rosa dei migliori interpreti del 2014. Ci sarà Andrea Mirò che l’anno scorso ci fece il regalo di esserci, fra il pubblico, al ricordo di Enzo. Quest’anno lo testimonierà, dall’alto di una qualità autorale riconosciuta da chiunque. E Danilo Sacco, persona impegnata socialmente e spiritualmente, che proporrà sia brani di impegno civile sia pezzi “forti” di Jannacci, con la sua voce

da magistrale interprete della canzone d’autore. Ci saranno Alti & Bassi, gruppo vocale che si esibisce a cappella e Barbara Errico, che io per primo da giornalista confesso di non aver colpevolmente scoperto prima: con la sua grintosa ma elegantemente misurata vocalità jazz che l’ha portata sulle strade del blues, di Sergio Endrigo, di Lelio Luttazzi. E che la porterà sulle strade di Enzo. Ci sarà anche altro, a sorpresa, al Legend Club. Che abbiamo scelto con la piccola ambizione di fare un ulteriore omaggio a Enzo, ricreando l’atmosfera di condivisione, curiosità, scoperta tipica del suo sfortunato Bolgia Umana. Abbiamo persino i protagonisti di quell’avventura, Andrea Bove ed Enzo Limardi, coi loro commossi ricordi e la loro jannacciana, intelligente, comicità. Vorremmo avere anche tante persone. Per ricordare En-

zo insieme, per appunto condividere un viaggio di parole, risate e musica ispirato, dedicato, dovuto a un artista immenso, un uomo che si è speso per tanti. Un uomo dal sorriso da bambino che mi manca, e che ci manca, deve restare patrimonio eterno di Milano. A Enzo, in scarpe da tennis, con pudore, per sempre.

Lunedì 23 marzo, ore 21 Legend Club, viale Fermi 98 - Milano (MM3 Affori) Per sempre in scarpe da tennis. Omaggio a Enzo Jannacci Ideato e condotto da Andrea Pedrinelli. Con Alti & Bassi, Bove & Limardi, Barbara Errico, Andrea Mirò, Danilo Sacco e Susanna Parigi. Info e prenotazioni 02 89452015 info@ultraitaly.com Prevendita presso la redazione di Scarp de’ tenis, via degli Olivetani 3, Milano. 02 67479017


PIANI BASSI

Metà torta ai paperoni, sull’orlo dell’abisso giusto

Lo aveva detto, Quel Tale. di Paolo Brivio

Con tutt’altre intenzioni, ma lo aveva detto: «A chi ha, sarà dato. E a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha». Si sono dovuti aspettare duemila anni, ma ce la stiamo facendo. Ancora un annetto, e l’1%

della popolazione mondiale deterrà patrimoni più ingenti di quelli messi insieme dal restante 99%. Nel 2009, i paperoni erano proprietari del 44% della ricchezza planetaria. L’anno scorso, erano saliti al 48%. Se la tendenza non si inverte, sfonderanno la soglia del 50% nel 2016. Quando a tutti gli altri (noi altri) non resterà che spartirsi meno della metà della torta globale.

scheda Paolo Brivio, 48 anni, si è appassionato ai giornali ai tempi dell’università. E ha coniugato questa passione-professione con l’esplorazione dei “piani bassi” della nostra società. Direttore di Scarp dal 2005 al 2014, oggi fa il sindaco: pro tempore, perché rimane “giornalista sociale” in servizio permanente effettivo

Disuguaglianze crescono. Il recente rapporto dell’organizzazione Oxfam, da cui sono tratti i dati e le previsioni sopra sintetizzati, reca un titolo che sembra un epitaffio. Sopra uno dei tre sogni che la rivoluzione francese aveva scolpito in fronte al mondo, è stata posta la

lastra tombale dell’ingiustizia redistributiva. Radice – tuttalpiù – di invidia sociale per molti (il 20% del 99% di non-ultraricchi possiede comunque il 46% del patrimonio terrestre), scafandro

di fatica, di fame e di morte per miliardi di esseri umani (il rimanente 79% della popolazione del pianeta, che si disputa il restante 5,5% delle ricchezze). Insomma, c’è di che avvilirsi. Perché se certe ricerche vanno prese con le pinze (molte informazio-

ni sui patrimoni non sono pubbliche, le stime possono presentare difetti, certi valori, per esempio quelli immobiliari, sono soggetti a cambiamenti rapidi), la tenden-

za appare consolidata. E il risultato abnorme, persino insultante: è vero che il denaro non fa la felicità né la dignità, ma se la voragine tra i patrimoni si fa ogni giorno più profonda, chi ci assicura che nei luoghi dove si comanda si continui a pensare a tutti i cittadini di questo mondo, gli iperpatrimonializzati e i frequentatori dei piani

Nel 2016 l’1% più ricco della popolazione mondiale deterrà oltre il 50% del patrimonio planetario. E il 79% degli abitanti della terra si spartiranno il 5,5% delle risorse. È l’insultante (e pericoloso) effetto di scelte politiche, foraggiate dalla ricchezza che si fa lobby

medio-bassi, come appartenenti a un’unica, in teoria fraterna specie? Volta ad autoperpetrarsi Il grave, anzi lo scandaloso, sta proprio nel fatto che a scavare l’abisso non siano certo la natura, o la fortuna, né solo il talento o il merito o le libere (ma regolabilissime) leggi di mercato. Sono invece scelte politiche, ispirate da quella che lucidamente papa Bergoglio chiama “cultura dello scarto” (che a differenza della “cultura dell’esclusione” non solo tollera, ma addirittura programma eccedenze umane). E foraggiate, oltre che da fattori “tecnici”, dallo sfacciato utilizzo

della ricchezza come strumento lobbystico volto ad autoperpetrarsi (nel solo 2013, dati Oxfam, finanzieri e assicuratori hanno speso 550 milioni di dollari per azioni di pressione tra Washington e Bruxelles). Morale: i ricchi si arricchiscono ad ogni costo (né si preoccupano più di mascherarlo) e i poveri impoveriscono. Quanto a lungo

possa reggere, un tale circolo vizioso, sarà la storia a dirlo. Chiaro che – tanto per fare un esempio attuale – non c’è iniquità socio-economica che possa giustificare le bestialità del Califfato intento ad atterrire mezzo mondo. Ma è un fatto che la spada dei fa-

natici fa più proseliti, quando e dove si allarga la forbice delle disuguaglianze. Se vogliamo davvero farci del male, siamo sull’orlo dell’abisso giusto. marzo 2015 Scarp de’ tenis

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LE DRITTE DI YAMADA

Due artisti, due canzoni Lo stesso titolo di Yamada

Due canzoni. Lo stesso titolo. On The Beach. Neil Young e Chris Rea. ca e delle parole, non potrebbero Due voci, essere più diverse. Eppure eppudue stili re, nella trasmissione del loro senso, sono accomunate da una accomunate certa malinconia, dolce e nostal- da una certa gica. Svelo i nomi: Neil malinconia, Young e Chris Rea. Ciascuno dei due, rispettivamente nel 1974 dolce e nel 1986, ha scritto una hit dal e nostalgica

Due canzoni. La recensione di questo mese mette sull’“on” gli altoparlanti per far volare due canzoni che hanno il titolo identico. Visti i proprietari della musi-

titolo On The Beach. «On The Beach è stato

un disco molto spontaneo. Dovevo essere particolarmente giù, credo, ma facevo solo quello che volevo veramente fare. Penso che chiunque, ripensando alla propria vita, capisca di aver vissuto una situazione simile». È Neil Young a

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Guarda a ripetizione lo stesso video centinaia di volte. Mangerebbe sempre e solo patatine fritte. Ama le canzoni di James Taylor. È Luca, che quasi non parla, che non capisce le regole e non può restare mai solo. La storia di una giornata, che è come una vita intera, che mamma e figlio trascorrono insieme. Una lunga avventura piena di ostacoli, perché è difficile accettare chi amiamo per come è.

si vorrebbe non finisse mai. Ha una struttura blues, con poche frasi cantate dalla sua meravigliosa e esile voce, inquilina di un arrangiamento scarno che tende la mano a chi ascolta. «Il mondo sta girando / e io non voglio vederlo svanire»: Neil Young si aggrappa alla sua chitarra per cantare e capire questo suo momento un po’ sospeso, deluso nel post-sbornia peace&love, stranito da uno scandalo in atto (il Watergate), e bisognoso di tregua dalla sua depressione. Per fortuna le canzoni piene di buona musica di On The Beach lo risarciscono. Ruvide nella fattura e meravigliose nell’atmosfera, diventano il suo buen ritiro visibile nel concept della copertina: una spiaggia, lui di spalle face à la mer, un ombrellone, due sedie vuote, un giornale e l’alettone di una Cadillac che spunta dalla sabbia.

Marina Viola Storia del mio bambino perfetto Rizzoli, euro 14

Tanti sospettati per una vittima perfetta Michelle Carlsson, popolare conduttrice televisiva, viene assassinata durante la registrazione di un talk-show in un castello. La reporter Annika Bengtzon si butta nell'inchiesta. Al momento dell'omicidio, oltre alla vittima, dodici sono le persone presenti nel castello. Ognuno ha un buon motivo per uccidere.

Giocando un po’, sulla seconda sedia vuota potrebbe sedersi Chris Rea, autore dell’altra On The Beach. Arriverebbe in spiaggia

il disco On The Beach di Neil Young (e anche di Chris Rea)

con la sua Fender Stratocaster, e sono sicura che Neil Young lo inviterebbe a unirsi a lui con una birra fresca. Quanto differenti le loro voci: eterea quella di Young, profonda e screpolata quella di Chris Rea, appoggiata su salde radici blues e arginata, come i suoni della sua chitarra, in rivoli confortevoli e pop, accoglienti come la sua On The Beach. Tre le versioni di questo pezzo, proposte nel tempo. La migliore è l’originale: 5 minuti e 5 secondi di spleen dinamico con ritorno alla base. Wow!

Liza Marklund I dodici sospetti Marsilio Editore, euro 18.50

Prima il popolo, poi la gerarchia

[ a cura di Daniela Palumbo ]

dire così, presentando l’album omonimo del pezzo e tratteggiando un momento particolare della sua carriera, oltre che della sua vita. Il successo di Harvest e le folle oceaniche dei concerti con Crosby e Stills son già lasciati indietro dallo specchietto retrovisore, e la strada che sta percorrendo nel 1974 ha come compagna di viaggio il dolore, che declina accordi e parole in una cosiddetta “trilogia” che avrà in On The Beach il suo capitolo di mezzo. La sua On The Beach dura quasi 7 minuti, e ha l’alchimia delle grandi canzoni. L’ascolto

Una giornata dura, ma speciale

Il vescovo emerito di Ivrea, Luigi Bettazzi, guida il lettore lungo la storia della Chiesa e dei suoi protagonisti, alla luce del Concilio Vaticano II. E grazie al ministero di papa Francesco, che privilegia poveri e periferie, comprende, per esperienza e testimonianza, che è lì che si giocherà il futuro. Alberto Spampinato Quale Chiesa? Quale Papa? Emi, euro 12


VISIONI

La storia di una donna a metà che collezionava di tutto, non parlava mai di se stessa e non sapeva di essere artista. Ecco la tata-Vivian, la più grande fotografa del Novecento.

La vita di una piazza in una giornata parigina Parigi, Place de la République. 24 Heures sur Place, il film francese di Ila Bêka & Louise Lemoine, omaggio a Louis Malle, descrive una giornata estiva nella piazza parigina. Premio Speciale della Giuria al Film Festival di Torino.

Tutti alla ricerca di Vivian Maier

24 Heures sur Place regia di Ila Bêka e Louis Lemoine

molte storie.

Con meno di quattrocento dollari John Maloof si porta a piccola ricerca scolastica, questo casa una cassa ragazzo dai mille hobby si trova a piena di negativi. cercare foto scattate a Los Angeles Oggi chi vuole a partire dagli anni ’40. Per caso, il curioso protagonista di Alla ricerca organizzare una di Vivian Maier, incappa in alcune mostra o una immagini in bianco e nero davvero catalogo di foto molto suggestive. Si vedono bambini che giocano in strada, persone di Vivian Maier in abiti da lavoro e persino alcuni deve contattare selfie ante litteram. Chi è la fotografa? Dove ha vissuto? la Maloof Qual è la sua storia persona- Collection. Chi cercava il giovane John Maloof intorno al 2005 lo poteva trovare con il naso infilato in qualche scatolone. In quel periodo, per via di una

le? La risposta la troverà solo grazie a fiere dell’usato, piccoli mercati e aste fallimentari. Buona ricerca. L’Academy lo ha inserito nella categoria Best Documentary Feauture, la Fondazione FORMA per la fotografia a Milano ha organizzato una proiezione in anteprima lo scorso aprile e la collana Feltrinelli Real Cinema ne ha comprato i diritti per l’Italia perché Alla ricer-

ca di Vivian Maier racconta

il film Alla ricerca di Vivian Maier un film di John Maloof e Charlie Siskel

C’è quella del giovane John che, ispirato da queste foto di cui nessuno sa nulla, parte per una ricerca matta e disperatissima, quella di un’artista vera e della sua mitica Rolleiflex 6x6, una scatola magica che “scattava” solo se tenuta sul cuore. E c’è la vicenda personale di Vivian Maier, la babysitter di lontane origini francesi che tra rimborsi del fisco mai incassati, lettere e rullini non gettava proprio niente.

Un curioso viaggio nel corteggiamento Love Is All è un documentario prodotto da Gran Bretagna e Stati Uniti. La regista, grazie a immagini, video, notizie e scene di film illustra in modo poetico gli amori e i corteggiamenti del XX secolo. Attraverso l’amore, la società che muta. Musiche di Richard Hawley.

Appassionante come un film, misterioso come un’indagine giornalistica e fuori dall’ordinario come un romanzo. Vivian Maier, provocatrice e sorniona, ha avuto successo solo dopo la sua morte avvenuta nel 2009. Il documentario di John Maloof e Charlie Siskel rivoluziona la storia della street photography perché trova un posto a questa bambinaia che appena aveva un minuto libero scattava fotografie. Per i “colleghi” Mary Ellen Mark e Joel Meyerowitz la poetica di Vivian, tuttavia, acquista un senso diverso se si conoscono i dettagli della sua riservatissima esistenza. Ecco, quindi, il documentario dell’anno, ritratto di una geniale autodidatta diventata celebre grazie alle ricerche di un nerd.

Love is all regia di Kim Longinotto

Guerra e pace nel capolavoro di Renoir

[ a cura di Daniela Palumbo ]

di Sandro Paté

La Grande Illusione di Jean Renoir è in Dvd. Nel 1916 è ambientata la storia di due aviatori francesi, il proletario tenente Maréchal e l’aristocratico capitano de Boïeldieu, abbattuti dal tedesco barone von Rauffenstein. I due lo ritroveranno in un campo di concentramento comandato proprio da Von Rauffenstein. La Grande Illusione di J.Renoir (1937) marzo 2015 Scarp de’ tenis

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L’attesissimo VivaVoce Tour di Francesco De Gregori prende avvio il 20 marzo da Roma. Sarà, tra le altre date, il 23 marzo al Forum di Assago (Milano) e il 25 a Firenze.

De Gregori «Il segreto? L’animo disposto alla leggerezza»

Era il 1973, Francesco De Gregori era al suo secondo album, Alice non lo sa. Il suo primo successo. La title-track Alice partecipò alla manifestazione “Un disco per l’Estate”, classificandosi ultima. Ma ormai De Gregori se ne poteva già fregare, come sempre, delle gare ufficiali. Con Alice era entrato fin da subito nei cuori dei ragazzi e delle ragazze che avevano vissuto la protesta studentesca del 1968. Oggi, la protesta è scomparsa, o quasi, ma lui c’è, per molti versi uguale a quando cantava Alice: ama

di Daniela Palumbo foto di Daniele Barraco

niente le celebrazioni e poco le domande banali.

Tra i cantautori è il più schivo. Ma il più profondo. A Scarp racconta cosa cerca un artista quando scrive canzoni. E dice, tra i giovani, di ammirare Caparezza

Nel 2015 ha realizzato un nuovo album: VivaVoce, 28 canzoni rinnovate nelle sonorità. Per cambiare Alice ha chiesto a Ligabue di cantarla insieme a lui: il duetto gli ha permesso di

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L’INTERVISTA reinterpretare uno dei suoi grandi successi. In VivaVoce ci sono testi come Non c’è niente da capire, o Caterina, canzoni inconsuete per il repertorio del De Gregori impegnato, che si ascoltano con un senso di leggerezza. Oggi le scriverebbe ancora? Credo di sì. In fondo scrivere una canzone è la testimonianza di un animo disposto alla leggerezza, al voler comunicare agli altri un’emozione cosa che dura tre minuti, qualcosa destinato a un ascolto distratto, piacevole, leggero. Questa è la bellezza della canzone, puoi dire tutto, puoi parlare del Titanic, della morte o di un amore infelice, ma tutto è condotto sul piano, apparente o sostanziale, del gioco. Che mondo è quello dei rapper? I rapper rappresentano un disagio che esiste, è reale, e va testimoniato. Certo, ci sono delle cose più nobili e meno nobili, come nella canzone d’autore. Quelli che apprezzo dal punto di vista della resa musicale e della vocalità sono Fabri Fibra e Fedez: diversissimi fra loro, però sanno quello che fanno. Mi piace moltissimo – anche se non è un rapper al cento per cento – Caparezza. Crede in questa Europa? Non mi appassiona la politica europea. È un dato che sono nell’Europa come cittadino e mi piace starci, sia che ci sia l’Euro-

Chi vive un dramma personale merita rispetto, attenzione, non certo essere cacciato come un ladro. Però la società non è riuscita ad adeguarsi a questo aumento di povertà

pa unita sia che non ci sia, sia che sia quella di Altiero Spinelli, sia quella della Merkel. In realtà non ho alternative. Posso dire che pago volentieri le tasse da cittadino. Lo considero il mio contributo all’Italia e all’Europa e mi sembra sacrosanto perché fa parte del mio appartenere al mondo ed essere solidale. Qual è il rapporto con il mondo, oggi, di De Gregori? Un rapporto più basato sulla spiritualità, sulla filosofia, sull’estetica, sull’arte, sono queste le cose che mi rendono felice, che mi toccano nell’intimo. Credo che gli artisti abbiano, necessariamente, una spinta verso la spiritualità, un senso di trascendenza che però non è sempre codificabile, come nel mio caso: certamente non è confessionale. Ma è difficile che un artista viva solo nell’immanenza, ha sempre un rapporto con qualcosa che lo sovrasta, di cui si nutre. Il mio rapporto con il mondo non è mediato dalla contingenza storica o politica, so che c’è, ma la politica non è in cima ai miei pensieri.

Chi è l’artista che la emoziona di più? Un artista che amo sempre, anche lo vedessi mille volte, in qualsiasi stato d’animo o momento della mia vita... è Van Gogh. Mi dà sempre una botta, come diciamo noi romani, un forte coinvolgimento estetico ed emotivo, che sia una cartolina, un quadro, un catalogo, mi emoziona sempre. Van Gogh è un uomo solo, non è ascrivibile, come in genere è per gli altri artisti, a una corrente artistica definita. La sua solitudine la leggi nelle sue opere e non mi lascia mai indifferente. Quand’è che le scatta l’urgenza di scrivere e raccontare quello che vede e sente?

scheda Francesco De Gregori nasce a Roma il 4 aprile del 1951. Frequenta il liceo classico Virgilio, dove vive in prima persona gli eventi e i fermenti politici del movimento studentesco del ‘68. Il 1972 è l’anno dell’esordio discografico ma è il 1973 l’anno del successo con il 33 giri, Alice non lo sa. Il 1974 esce l’intimo Francesco De Gregori, in cui trovano spazio canzoni visionarie ed ermetiche. Allo stesso anno risale la collaborazione con Fabrizio De Andrè. Il 1975 è l’anno di Rimmel, album che contiene canzoni destinate a diventare classici della musica italiana. In seguito è tutto un crescendo di successi importanti fino a VivaVoce in cui l’artista rivisita 28 brani del suo repertorio. Prima di VivaVoce era uscito un racconto fotografico sull’artista: Guarda che non sono io curato da Silvia Viglietti e Alessandro Arianti. Il volume raccoglie una selezione di immagini e parole. Un viaggio dentro il modo di fare musica di Francesco scandito dai dischi, dai concerti, i viaggi, gli incontri. Edizioni SVpressS. DP

È davvero come nel fanciullino di Pascoli che guardava con occhi infantili la realtà. I bambini sono tutti artisti, quando li ascolti che descrivono una cosa, loro usano un linguaggio che ha registri diversi dai nostri, capisci che arrivano alla profondità delle cose. È questo che cercano di fare gli artisti: cercare dentro se stessi un linguaggio infantile, primitivo. Parliamo della missione di Scarp. Aumentano le persone che vivono in strada. Le risposte al fenomeno sono diverse. Alcune città li multano perché occupano suolo pubblico, li scacciano perché chiedono elemosina. La povertà è diventata illegale? O è normale tutto questo? Normale non è. Chi vive un dramma personale merita rispetto, merita attenzione, non certo essere cacciato come un ladro. Però la società non è riuscita ad adeguarsi a questo aumento di povertà. Non siamo stati capaci di organizzare i servizi di aiuto su percorsi diversi e la realtà è che dopo l’opulenza adesso, con la crisi, si fa fatica a dare attenzione e rispetto a chi ne ha bisogno. Le cose non cambiano con la bacchetta magica, evidentemente se non ti adegui subito ai cambiamenti ti ritroverai peggio fra dieci, vent’anni. Cosa è la speranza per De Gregori? È come avere appetito. Io non ne posso fare a meno, se l’uomo non spera non si alza la mattina. Lo fa e basta, anche quando la situazione oggettiva sembra dirti: no guarda, tu non hai niente per cui sperare, non hai nemmeno il diritto di farlo. È la grande ricchezza dell’essere umano.

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COPERTINA

Uno dei campi di Fuori di Zucca, la fattoria sociale nata e sviluppatasi rivitalizzando un vecchio fabbricato dell’area manicomiale “Santa Maria Maddalena” ad Aversa in provincia di Caserta, proprio dentro la “terra dei fuochi”

Il welfare Coltivare, prendersi cura della terra per curare se stessi. È questo semplice quanto geniale: attraverso iniziative promosse da aziende di soggetti “svantaggiati” e allo stesso tempo si producono beni

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della terra il concetto di welfare che promuove l’agricoltura sociale, una ricetta tanto agricole, così come da cooperative sociali, si favorisce il reinserimento in maniera sostenibile. Il viaggio di Scarp de’ tenis nella “terra che cura”

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COPERTINA

di Alberto Rizzardi

scheda Agricoltura sociale In Italia sta crescendo la cosiddetta agricoltura sociale, ovvero, l’insieme delle varie pratiche messe in campo a beneficio di soggetti a bassa contrattualità (persone con disabilità fisica e psichica, detenuti o alle prese con dipendenze) o indirizzate a fasce della popolazione, come bambini e anziani, per cui risulta carente l’offerta di servizi.

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L’agricoltura e la zootecnia diventano occasioni di promozione concreta di azioni terapeutiche, educativo-ricreative, di inclusione sociale e lavorativa in risposta a problematiche locali.

Lo scrittore, poeta e alpinista Mauro Corona, dall’alto del suo eremo montanaro di Erto, paesino di 400 anime vicino a Longarone, lo va ripetendo da anni: «Il nostro futuro è nella terra perché a ogni cosa si può rinunciare tranne che a soddisfare la fame. L’idiozia è restare vittime della dittatura del superfluo». Insomma, una zappa ci salverà e torneremo a coltivare la terra con i calli sulle mani: «Una zappa per tutti e impareremo presto a essere imprenditori della terra, cioè di noi stessi, e capiremo che è una cosa bellissima». Qualcuno, limitandosi al suo aspetto a metà tra un navigatore solitario e un fricchettone anni Settanta, lo ha bollato come visionario e fuori dal mondo. E se, invece, Mauro Corona avesse sempre avuto ragione? Negli ultimi anni in Italia, dati alla mano, c’è stato un effettivo ritorno alla terra di giovani e meno giovani. Tra le motivazioni, la crisi economica e le difficoltà del mer-

cato lavorativo, che hanno indotto molti a cambiare professione e a cercar fortuna in modi alternativi. Non senza mille difficoltà, in primis economiche. Ma c’è anche dell’altro. In Italia negli ultimi anni è cresciuta sensibilmente anche la cosiddetta agricoltura sociale, ovvero, da definizione, l’insieme delle varie pratiche messe in campo a beneficio di soggetti a bassa contrattualità (come persone con disabilità fisica e psichica, detenuti o alle prese con dipendenze) o indirizzate a fasce della popolazione, come bambini e anziani, per cui risulta carente l’offerta di servizi. In buona sostanza: si usano l’agricoltura e la zootecnia come occasioni di promozione concreta di azioni terapeutiche, educativo-ricreative, di inclusione sociale e lavorativa in risposta a problematiche ed esigenze locali. Diverse le declinazioni che ha assunto in Italia già dalla fine degli anni Settanta l’agricoltura sociale: si va dall’inserimento lavorativo di persone con difficoltà temporanee

o permanenti in aziende o cooperative sociali agricole ad attività di co-terapia, in collaborazione con i servizi socio sanitari locali; da progetti di formazione (soprattutto con la formula della borsa lavoro), punto di partenza per futuri inserimenti lavorativi, alla realizzazione di servizi per la popolazione (agri-nidi e orti sociali, ma anche assistenza, fornitura di pasti e attività per il tempo libero).

In tutti i casi, una delle caratteristiche principali che accomuna questi progetti di agricoltura sociale è la compartecipazione di più soggetti attivi (imprese, cooperative sociali, Asl, Comuni e terzo settore), suggellata spesso da accordi, protocolli d’intesa o piani di zona. Due i vantaggi principali: si riesce a rispondere con puntualità ed efficacia a esigenze specifiche, unendo competenze e professionalità diverse, e lo si fa a costi molto più bassi rispetto ai normali servizi socio sanitari. E con risultati davvero sorprendenti. Qualche


«Pensavamo che le persone, soprattutto le più anziane si sarebbero spaventate, trovandosi sotto casa tipi alti e grossi e che per di più avevano la pelle scura. Invece è andato tutto bene»

numero: l’Italia, fanalino di coda in molte classifiche europee, sul fronte dell’agricoltura sociale è, di contro, ai primi posti con più di mille progetti attivi, anche se una quantificazione esatta e soprattutto aggiornata è difficile. Secondo un’indagine di Euricse condotta nel 2012 per Inea, l’istituto nazionale di economia agraria, nel nostro Paese sono 389 le cooperative agricole di tipo B, cioè quelle che prevedono tra i soci lavoratori persone a bassa contrattualità o con problematiche di diverso tipo; circa 4 mila i lavoratori impiegati. Lombardia all’avanguardia In Lombardia nel 2012 c’erano 70 realtà di agricoltura sociale (di cui 44 imprese agricole e 22 cooperative sociali), in Sicilia 77, in Lazio e Piemonte più di una trentina. Ma da allora sono passati quasi tre anni e i numeri sono verosimilmente cambiati, ritoccati verso l’alto sia in termini numerici che di qualità dei servizi offerti, come confermano molti operatori. Un contributo importante all’ulteriore crescita in

L’Italia, fanalino di coda in molte classifiche europee, sul fronte dell’agricoltura sociale è ai primi posti con più di mille progetti attivi, anche se una quantificazione esatta e soprattutto aggiornata è difficile. Secondo un’indagine di Euricse nel nostro Paese sono 389 le cooperative agricole di tipo B

IL MINISTRO

Martina: «Agricoltura sostenibile, la vera sfida del nostro futuro» L’agricoltura rappresenta per il nostro Paese una risorsa importante non soltanto dal punto di vista economico, ma anche culturale e sociale. Per consentire a questo settore di continuare a crescere è importante puntare sulla multifunzionalità e sulla sostenibilità come elementi fondanti del modello agricolo. Possiamo e dobbiamo agire su questo fronte in sintonia con le misure dello Sviluppo rurale, con l’obiettivo di creare nuova occupazione, senza lasciare indietro chi è più svantaggiato. Un modello di agricoltura sostenibile e che rappresenti un’occasione vera anche per i soggetti più svantaggiati è la strada che dobbiamo percorrere perché è attraverso queste buone pratiche che possiamo puntare su una coltivazione della terra che sappia coniugare sicurezza alimentare, equilibrio territoriale e conservazione del paesaggio e dell’ambiente. Stiamo lavorando per garantire il giusto sostegno all’agricoltura sociale con misure che possano promuovere un’economia solidale e del territorio, difendendo il reddito degli agricoltori anche grazie alla riorganizzazione della filiera. Nella programmazione europea dei programmi di sviluppo rurale 2014-2020 una delle priorità individuate è proprio quella della coesione sociale, anche attraverso il settore primario. A livello nazionale invece, stiamo lavorando affinché arrivi all’approvazione finale la legge sull’agricoltura sociale. Una novità molto importante che apre al sostegno di nuove iniziative assai rilevanti per il nostro Paese. La legge infatti introduce strumenti utili a favore dell'interazione fra sociale e settore primario ed è ancor più significativa perché abbina ai valori e agli obiettivi del sociale quelli del settore agricolo. Un tema importante come l’agricoltura sociale troverà ampio spazio di discussione anche all’interno del grande evento che l’Italia si prepara ad affrontare tra pochi mesi. Expo Milano 2015 infatti sarà una vetrina di prestigio non solo per la promozione delle eccellenze italiane ma soprattutto per la discussione di tematiche legate alla nutrizione, alla sicurezza e alla sostenibilità dei modelli agricoli del futuro. Proprio su queste tematiche sarà improntata la riflessione della “Carta di Milano”, documento che rappresenterà la vera eredità immateriale dell’Esposizione, una carta di intenti che potrà essere sottoscritta dai cittadini durante i sei mesi di Expo e che potrà quindi trasformare i 20 milioni di visitatori in 20 milioni di ambasciatori del tema dell’Esposizione “Nutrire il Pianeta, energie per la vita”. Con Expo Milano 2015, per la prima volta nella storia delle esposizioni universali, la società civile avrà un intero spazio, quello della Cascina Triulza, dove organizzazioni nazionali e internazionali potranno dare voce e rappresentazione ai propri lavori e progetti. Un esempio molto significativo di quanto la società civile può fare è il progetto della Caritas Ambrosiana in collaborazione con lo chef italiano Massimo Bottura “Refettorio Ambrosiano”. Qui 40 grandi chef cucineranno con le eccedenze alimentari dell’esposizione per i giovani a pranzo e per gli indigenti la sera. Un’iniziativa che mette in luce uno dei grandi problemi che saranno al centro del dibattito di Expo come quello dello spreco di cibo. Un’esperienza che racconterà la vera anima dell’esposizione milanese e che mi auguro possa continuare ed essere da esempio anche al termine di Expo. Maurizio Martina

Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali marzo 2015 Scarp de’ tenis

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COPERTINA Italia dell’agricoltura sociale potrebbe essere rappresentato dalla Legge in materia, approvata dalla Camera lo scorso luglio e (ancora) al vaglio del Senato. Si spera possa diventare realtà entro la prossima primavera. Cosa prevede? Fon-

damentalmente dà una definizione di agricoltura sociale, istituisce un osservatorio per la promozione e il monitoraggio delle varie attività sul territorio e, pur non prevedendo incentivi finanziari, individua una serie di interventi di sostegno per le imprese riconosciute, iscritte in un elenco ufficiale costituito a livello regionale. Positivo il giudizio del Forum agricoltura sociale e di Aiab, l’associazione italiana per l’agricoltura biologica, che da anni si battono per avere un quadro normativo di riferimento per il settore. Certo, il testo è migliorabile; ma sarebbe un primo passaggio per mettere a sistema le tante esperienze virtuose nate finora in Italia, mappando e monitorando il settore. Per fare di più e meglio.

SCHEDA

Nicola oggi vende ortaggi E finalmente può sorridere

Nicola è davanti al banchetto degli ortaggi. Come ogni mattina aspetta coloro che decidono di comprare la verdura prodotta su questo fazzoletto di terra della Fattoria Fuori di Zucca. Qualcuno viene anche da Napoli. Nicola,

Fuori di zucca, l’ex manicomio fa crescere buoni frutti di Stefania Marino

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a poco a poco ci parla della sua vita, del suo percorso, degli affondi e della grande risalita. Si è fatto un’idea chiara dell’agricoltura sociale elaborando ciò che ha vissuto sulla sua pelle e ciò che vede accadere ogni giorno intorno

Percorri il viale dove una volta si entrava nell’ex manicomio civile Santa Maria Maddalena ad Aversa e pensi che lì il tempo si è fermato. Le pareti scrostate degli edifici, assaliti oramai dalla vegetazione, la ruggine delle cancellate, il silenzio e l’abbandono. Sono i segni di un passato che non c’è più. È finito il tempo della malattia mentale imprigionata dietro le grate. Sembra che non ci sia più vita oltre quel cancello. Continuiamo a seguire la strada costeggiata da stabili oramai vuoti e disabilitati dove chissà quanta sofferenza umana ha albergato per anni ed anni. Dopo questa carto-

a lui. «È un modo alternativo per recuperare le persone». Già, recuperarle… dalla sofferenza, a volte dall’indifferenza, a volte dal baratro. Nicola qui ha trovato una sua dimensione. Tutta racchiusa nella serenità del suo volto.

lina grigia, si apre un mondo nuovo, innovativo, gioioso, positivo, produttivo. Si chiama Fuori di Zucca ed è una fattoria sociale nata e sviluppatasi proprio rivitalizzando un vecchio fabbricato dell’area manicomiale. In Campania sono 8 le fattorie sociali censite. Questa realtà, nel casertano, nasce nel 2006 grazie alla Cooperativa Un fiore per la vita. Pasquale Gaudino, uno dei soci della cooperativa ci racconta i giorni dell’incipit. Quando si trovarono lì con i funzionari dell’Asl di Caserta, davanti a muri seppelliti dalle sterpaglie. La loro richiesta di fare di quel luogo una fattoria rivolta al recupero e all’inserimento di persone in difficoltà e forse dall’altro lato la naturale diffidenza


L’INTERVISTA

Il Forum: «Il nostro vanto? Produrre relazioni e servizi» Ilaria Signoriello, 34 anni, è portavoce del Forum nazionale Agricoltura Sociale, nato nel 2011 per valorizzare e promuovere le diverse esperienze di agricoltura sociale sul territorio.

A destra la portavoce del forum nazionale Agricoltura Sociale, Ilaria Signoriello

Che cos’è, per voi, l’agricoltura sociale? L’Agricoltura sociale usa l’aspetto multifunzionale dell’agricoltura, ovvero la sua capacità di produrre non solo beni ma anche servizi alla persona e relazioni. Come Forum abbiamo fatto una chiara distinzione tra l’utilizzo terapeutico del rapporto con la natura a fini riabilitativi e l’agricoltura sociale, che per noi resta fortemente connessa al fattore produttivo, ovvero alla capacità di fare inserimenti lavorativi di persone a bassa contrattualità o con disagi vari all’interno della produzione agricola a 360°. Tante esperienze, pochi (al momento) i dati certi... Negli ultimi anni si è passati da una fase pioneristica a una di assoluta diffusione in Italia dell’Agricoltura

sociale con caratteristiche che variano da regione a regione, essendo un fenomeno dal basso. Sono ancora poche le realtà schedate, ma c’è un mondo sommerso davvero ricchissimo. L’Agricoltura sociale è un fenomeno che va censito sia nella sua diffusione sia nella sua eterogeneità, perché mette insieme mondi che finora non avevano mai dialogato (agricoltura, sociale, politiche del lavoro): per le sue peculiarità è un fenomeno difficile da quantificare e analizzare, ma come Forum stiamo procedendo a una mappatura in Lombardia, Lazio e altre regioni. Le esperienze in Italia sono sicuramente aumentate dal 2012, sia in termini numerici che qualitativi, abbracciando in molti casi le eccellenze enogastronomiche del territorio. Come giudicate la Legge approvata nel luglio scorso dalla Camera? La Legge è buona perché riconosce il valore della cooperazione sociale come soggetto titolato a fare attività di AS e perché inserisce degli strumenti a supporto di essa, non solo finanziari ma anche di accesso alla terra (come la possibilità di usare beni confiscati alla criminalità). Importanti poi l’istituzione di un osservatorio nazionale e l’obbligatorietà della concertazione delle politiche a favore dell’agricoltura sociale. La Legge ha, insomma, tanti punti di forza ma anche delle criticità, come il limite del 30% del fatturato agricolo per la cooperazione sociale, che la rendono perfettibile. Alberto Rizzardi

AVERSA

che tutto ciò fosse possibile. E invece è accaduto. L’agricoltura che include «Abbiamo voluto impegnarci su questo territorio martoriato – racconta Pasquale – puntando sul valore includente dell’agricoltura». Quel “martoriato” è il riferimento diretto alla cosiddetta Terra dei Fuochi. La fattoria Fuori di Zucca, giudicato qualche anno fa, come progetto d’eccellenza dal Ministero dello sviluppo economico, si sviluppa su un’area di quattro ettari. All’interno della struttura ci sono la cucina, gli uffici, la sala ristorante, la bottega dove vengono venduti i prodotti genuini e certificati. Poco più in là i campi dove

si applica l’agricoltura biologica. Ci sono due donne che sono intende a ripulire le piantine di insalata dalle erbacce. Qui il primo comandamento è rispettare i tempi della natura. Ogni stagione ha i suoi ortaggi. Negli anni, alcune delle persone provenienti soprattutto da percorsi di tossicodipendenza e di salute mentale, qui hanno ritrovato la loro identità e il loro equilibrio. Oggi sono soci della cooperativa Un fiore per la vita e questo è il loro luogo di lavoro. Chi impegnato nella didattica, chi nella ristorazione dell’agriturismo, chi nella vendita degli ortaggi. Nel prato bagnato dalla pioggia, galline ed asini fanno da scenografia a questa fattoria dove so-

info Fattoria Fuori di zucca via Giovanni Linguiti 54, Parco della Maddalena, Aversa (ex ospedale Pschiatrico). Tel: 081.8149433 www.fattoriafuoridizucca.it Un fiore per la vita onlus Via Provinciale Botteghelle di Portici 139, Napoli

prattutto nel periodo primaverile si organizzano specifici percorsi didattici per le scuole. Si punta a far avvicinare i bambini, i ragazzi al mondo della natura, si insegna il rispetto per l’ambiente, per le sue piante e per i suoi animali. In questo contesto è inserito anche il “Giardino della Legalità”, realizzato dagli studenti in collaborazione con Libera. Legalità che significa lotta alla criminalità, lotta alla camorra.

«Se stai su questo territorio – dice Pasquale – non puoi far finta che il problema non esiste». In mezzo ai ciclamini, due file di ceramiche riportano le vittime delle mafie: Giuseppe Impastato, Don Peppe Diana, marzo 2015 Scarp de’ tenis

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COPERTINA

Giancarlo Siani, Simonetta Lamberti. In questi anni a Fuori di Zucca sono stati avviati oltre 60 inserimenti lavorativi. Non sempre è stato facile. «Le borse lavoro vanno seguite – spiega Pasquale –. Sono arrivati ragazzi da zone e famiglie difficili, dove non c’era proprio il concetto di alzarsi la mattina e andare al lavoro. Non è scontato far capire le regole». Si concentrano qui aspetti educativi e lavorativi. Giuseppe, dal sorriso contagioso, si occupa di seguire le attività in agricoltura. «A volte troviamo delle resistenze, ma bisogna sempre dare una motivazione. Spiegargli che togliere l’erba significa dare vita alla piantina». La cooperativa Un fiore per la vita fa parte del Consorzio Nco, Nuova cooperazione organizzata. Sul sito la loro mission è “contribuire ad una crescita civile del territorio, sostenuta dalla cultura dell’inclusione e della legalità, attraverso attività di economia sociale sostenibili”.

Sono molti i terreni sequestrati alla mafia destinati all’agricoltura sociale. A fianco la vendita di verdura alla fattoria Fuori di Zucca

Lombardia ai vertici: opportunità per tanti di Alberto Rizzardi

È una delle regioni più vivaci con 70 realtà presenti tra imprese, cooperative sociali e associazioni del terzo settore 30 Scarp de’ tenis marzo 2015

La Lombardia è una delle regioni più vivaci sul fronte dell’agricoltura sociale con 70 realtà presenti (dati 2012 di Regione Lombardia) tra imprese agricole, cooperative sociali e associazioni del terzo settore. In provincia di Pavia, dove le imprese agricole registrate alla Camera di Commercio sono 6.747, di cui 516 gestite da imprenditori giovani (105 quelle registrate solo nel 2014), sono due le realtà più interessanti: la prima, Casa La Pallavicina, è alle porte di Voghera, in frazione Campoferro. Un’azienda agricola storica, gestita da più di trent’anni dall’Opera don Guanella, che l’ha trasformata in una struttura articolata che accoglie persone svantaggiate, disabili e con disagio psichico, offrendo, assie-

me a comune, Asl e varie espressioni del terzo settore locale, un centro diurno disabili, comunità socio sanitarie e un centro diurno psichiatrico con programmi di residenzialità leggera. Il tutto arricchito da consolidate esperienze di agricoltura sociale in cui gli ospiti della struttura sono i protagonisti (orgogliosi) di un grande orto e della cura degli animali presenti. Con risultati davvero sorprendenti. Ad appena una trentina di chilometri, alla frazione Moriano di Montù Beccaria, nel cuore dell’Oltrepò, c’è l’azienda agricola biodinamica Andi Fausto: nata sul finire dell’800 e tramandata di generazione in generazione, oggi è specializzata nella produzione di vino e nella trasformazione della frutta in confettura e succhi. Qui già dal 2004 si sperimen-


NAPOLI

I malati ora curano le erbe aromatiche

CARITAS

Marsico: «Una sfida per il futuro, curare significa prendersi cura»

LOMBARDIA

ta l’agricoltura sociale con il progetto Fuori dalla mischia, che accoglie 8 persone diversamente abili e trasforma i prodotti dell’azienda stessa e di altre a conduzione biologica. Nel 2006 l’azienda è diventata fattoria didattica accreditata. Il laboratorio sociale Fuori dalla mischia coordinato dalla moglie del titolare, Elisabetta Scabrosetti, operatrice sociale, promuove l’integrazione sociale di disabili, sperimentando socialità e autonomia in una dimensione di piccola comunità e di accoglienza non passiva, attraverso un’esperienza continuativa di lavoro. Ridare fiducia con il lavoro Ma sono tante le declinazioni dell’agricoltura sociale: una delle più recenti è nata a Mantova l’anno scorso. Il progetto Hortus, so-

«L’agricoltura sociale ha radici profonde – spiega il responsabile area nazionale di Caritas Italiana, Francesco Marsico (nella foto sotto) – che affondano in quelle Fattorie sociali che, all’inizio del 2000, nacquero sul territorio per garantire forme di inserimento professionale a determinate categorie di persone, detenuti o ex detenuti, che difficilmente avrebbero potuto trovare altri tipo di lavoro». Con l’avvento della crisi economica questa visione un po’ “marginale” è stata via via superata in favore di progetti che, grazie anche all’utilizzo di terreni di molte Diocesi rimasti incolti per anni, sono serviti per allargare la platea, inserendo soprattutto migranti ma anche, grazie ai cosiddetti orti sociali, categorie estremamente fragili. «Se le fattorie solidali avevano un valore soprattutto sul piano educativo – continua Marsico – la nuova progettualità si pone il problema di dare risposte ai bisogni primari delle persone coinvolte (leggi autoconsumo) ma anche garantendo sostentamento attraverso microredditi. Tutte attività che intervengono sulla costruzione di un orizzonte di senso per persone che spesso hanno alle spalle storie tutt’altro che semplici. E questo avviene con percorsi tutt’altro che semplici visto che prendersi cura della terra significa innanzitutto “fare fatica” e dover reimparare un’attività che negli anni è stata abbandonata o dimenticata. Percorsi tutt’altro che semplici per persone con delle fragilità. E infatti non è così facile trovare persone disposte a reinventarsi una vita diversa da quella che hanno vissuto fino a quel momento». Il rischio maggiore di questo tipo di attività e di non porsi il problema della sostenibilità economica. «Queste iniziative – concude Marsico – hanno il problema di creare forme di economia alternativa che siano in grado di sostenersi sul lungo termine. Aldilà dei piccoli progetti che non vanno oltre l’autoconsumo, le attività che puntano ad essere produttive devono necessariamente interconnettersi con circuiti (botteghe dell'equo, mercati biologici e a chilometro zero) che garantiscano una sostenibilità economica rendendo credibili e replicabili questo genere di progetti».

Una volta provate si prende la buona abitudine di tenerne sempre in dispensa perché il misto di erbe aromatiche biologiche garantisce alle patate al forno un gusto davvero unico. Deve essere sicuramente per la cura che ci mettono le persone che le coltivano, raccolgono, essiccano e confezionano; il mazzetto odoroso infatti è frutto del lavoro degli ospiti della casa famiglia “Sisto Riario Sforza”, opera Segno della Caritas diocesana di Napoli, che accoglie persone sieropositive. Da diversi anni alcuni fra loro si occupano di un orto biologico a Marigliano appena fuori città. Per tre giorni a settimana lo raggiungono in pullmino, accompagnati spesso da Giovanni Sabatino per seminare, piantare, innaffiare e raccogliere anche bellissimi fiori ornamentali e gustosi ortaggi destinati alla tavola della casa o agli amici di una rete informale che li acquistano. «Prendersi cura di uno spazio e ricavarne cose buone da mangiare – racconta la coordinatrice della casa, suor Giovanna Pantaleo – il contatto con la natura, l’aria aperta, l’occasione di scoprire delle attitudini, il lavorare in gruppo fanno benissimo ai nostri ragazzi». Questa esperienza ha gemmato il progetto “Disseminazione Assistita” insieme all’ospedale malattie infettive Cotugno di Napoli. Laura Guerra

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COPERTINA stenuto da Cei e Caritas, partito come associazione e divenuto da poche settimane azienda autosufficiente, consente a donne in difficoltà (4 al momento) di coltivare un orto in un terreno messo a disposizione dalle Ancelle della Carità: produrre in modo naturale i frutti della terra per restituire fiducia a chi, per varie vicissitudini, l’ha persa. Prossime tappe: organizzare la consegna a domicilio un paio di volte alla settimana. Con l’obiettivo, in prospettiva, di far sì che queste donne possano (ri)entrare nel mondo del lavoro.

Tra le realtà attive da più tempo spicca, invece, l’agriturismo Dosso S. Andrea, immerso nel parco dell’Oglio, in provincia di Brescia: qui da oltre vent’anni si lavora con i ragazzi disabili e con disagio psichico tra i 14 e i 18 anni, a ognuno dei quali è dedicato un progetto specifico, condotto con volontari ed educatori-psicologi di una cooperativa esterna. Una seconda chance Diversa ma ugualmente vincente è, infine, la storia della cooperativa Le cinque pertiche di Fara Olivana con Sola, in provincia di Bergamo: tutto partì nel 2003 con la concessione in comodato d’uso di un terreno da parte dell’Opera Misericordia Maggiore di Bergamo per offrire un’occasione di lavoro a persone socialmente svantaggiate. Detto,

fatto: quasi 12 anni dopo, la onlus si occupa del reinserimento socio-lavorativo di detenuti, ex tossicodipendenti, disabili, persone con disagio psichico e disturbi comportamentali. Due le attività principali: l’agricoltura biologica di prodotti ortofrutticoli (ortaggi ma anche fragole e meloni) e la loro commercializzazione.

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Terra Mia, coltivare al ritmo di rap di Enrico Panero

Partito come scommessa oggi il progetto vende prodotti biologici di qualità in negozio e on-line. E sperimenta nuove opportunità

«L’agricoltura sociale è uno degli esempi più chiari del valore che ha in sé il lavoro, certo monetario ma in primo luogo di carattere sociale: il lavoro permette l’inserimento come individuo all’interno di una società, condizione fondamentale soprattutto per tutte le persone che vivono gli ambiti dell’emarginazione. Per questo noi pratichiamo un’agricoltura sociale dove l’accento è posto più sul sociale che sull’agricolo, ma questo sociale lo facciamo appunto attraverso l’agricoltura». Così don Domenico Cravero spiega le basi dell’attività che la cooperativa sociale Terra mia, di cui è fondatore e responsabile dei progetti terapeutico e del lavoro, svolge nel Torinese fin dal 1985. Un’attività di agricoltura sociale iniziata appunto trent’anni fa, «esclusivamente di tipo biologico, tra i primi in Piemonte a farlo» sottolinea Cravero, e da allora sempre potenziata, terapeutica anche ma soprattutto di


IL COMMENTO

Una scuola per diventare contadini. Contro l’abbandono

La quotidianità del lavoro alla cooperativa sociale Terra Mia. Da oltre trent’anni questo progetto si occupa dell’integrazione di giovani tramite il lavoro nei campi

TORINO

riscatto sociale: «Quando abbiamo iniziato, per molti ragazzi che accoglievamo nelle nostre comunità la strada e la piazza erano diventati luoghi di abbandono e di consumo di sostanze; perché, ci siamo chiesti, non trasformarli invece in luoghi dove questi ragazzi “stigmatizzati” potessero essere “ammirati” dalla gente per il loro lavoro e le loro capacità?». Nacque così il primo banco in un mercato rionale cittadino, dove i ragazzi vendevano i prodotti coltivati negli appezzamenti di terreno che intanto la cooperativa aveva acquisito. Da uno si passò a vari mercati, con una crescente fidelizzazione dei clienti attratti dalla qualità dei prodotti e dalla condivisione del progetto: «È stata una bellissima esperienza, si è creato un tale rapporto con le persone che organizzavamo una “festa annuale dei clienti” invitandoli a visitare i nostri a cui hanno aderito centinaia di persone».

Negli ultimi anni, in se-

guito alle diverse normative sui mercati rionali, Terra mia ha deciso di passare dalla vendita in piazza a quella in negozio, aprendo un piccolo supermercato di tutte le produzioni agricole e di trasformazione della cooperativa, e a quella on-line attraverso la quale è possibile acquistare panieri di prodotti agricoli. Nel corso degli anni sono cambiate anche le tipologie di persone impegnate: ai ragazzi di strada, prevalentemente tossicodipendenti, si sono aggiunti immigrati, adolescenti, e i ragazzi delle comunità di minori, preadolescenti e adolescenti con disturbi del comportamento. «Nel caso dei ragazzi stranieri abbiamo constatato una forte motivazione al lavoro e all’apprendimento, mentre i ragazzi con disturbi del comportamento rappresentano un’utenza più difficile, ma che si è rivelata molto sensibile ai valori dell’agricoltura non tanto come produzione ma come mezzo terapeutico.

Siamo riusciti a ottenere buoni risultati attraverso l’attività agricola» – spiega don Domenico, indicando due nuovi filoni di attività.

Dato che la cooperativa sociale pratica un’“agricoltura sociale giovanile”, cioè rivolta ai giovani, spesso adolescenti, si sta sperimentando un collegamento tra agricoltura, musica e sport: la musica (soprattutto rap, perché facilita la narrazione), e lo sport (si è iniziato con il Bike Trial) sono praticati nei poderi agricoli in occasione di eventi quali la semina e il raccolto. «L’obiettivo è di introdurre le nuove generazioni all’agricoltura di qualità creando un legame tra i linguaggi dei ragazzi di oggi e il lavoro agricolo – spiega il fondatore di Terra mia –. Inoltre, pur essendo rivolti ai giovani questi eventi diventano intergenerazionali, perché si invitano tutti i contadini vicini a partecipare».

Impareranno come si pota una pianta, come si zappa la terra e come si munge una mucca. Studieranno quali sono i trattamenti biologici che bisogna fare sui terreni affinché le colture non si perdano, sapranno distinguere e far sbocciare tutte le varietà di fiori e riconoscere quand’è il momento di cogliere la frutta dagli alberi, impareranno a manovrare i macchinari. Sarà insomma un’avventura mani e piedi dentro la terra, non solo dietro al banco di scuola. A San Casciano in Val di Pesa, provincia di Firenze, nasce il primo corso scolastico riservato agli adolescenti tra i 16 e i 18 anni non compiuti, gratuito grazie al finanziamento di 130 mila euro della Provincia, rivolto ai ragazzi che hanno abbandonato il tradizionale percorso di studi. «In Toscana, il 19 per cento dei ragazzi lascia la scuola non appena termina gli anni dell’obbligo – rivela Franco Agnoletti di Chiantifarm, l’agenzia formativa che ha organizzato il corso –: da anni proponiamo diverse alternative e abbiamo voluto provare con l’agricoltura. Non stiamo parlando di fare qualche lavoretto ma di diventare dei professionisti. Per fare questo mestiere bisogna aggiornarsi anche sul fronte tecnologico. La scuola offrirà opportunità di qualificazione professionale e diplomerà una quindicina di studenti». Stefania Culurgioni

www.terramiaonlus.org marzo 2015 Scarp de’ tenis

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Una perla, scritta a mano

LA STORIA

Enzo Jannacci Scarp del tennis». Scarp de’ tenis? Scarp del tennis? Scarp de’ tenis? Difficile decidere visto che questo pezzo di fatto cambiava in maniera imprevedibile ogni sera e negli anni ha avuto versioni diverse.

di Sandro Paté

In un libro, ormai fuori catologo, di Giancarlo Iliprandi abbiamo ritrovato il testo, scritto a mano, di El purtava i scarp del tennis

Enzo Jannacci era un grande raccontatore. A un certo punto attaccava, su un palco o tra amici, sceglieva poche parole precise o si perdeva in spunti infiniti che toccavano mille argomenti. Uno spettacolo. Ti te se no oppure discorsi che annullavano il tempo. Rapiva. Che fossero discor-

si o canzoni, il suo era un cabaret che non finiva mai. Le storie di Enzo Jannacci non sono terminate il 29 marzo di due anni fa. Scarp de’ tenis, per fortuna, ha trovato quella della canzone che ha ispirato il titolo della rivista. El purtava i scarp del tennis nasce “per colpa di” Paolo Tomelleri, il jazzista che ha suonato di più con Jannacci e suo antico amico. «Non copiava e non si ispirava – dice il musicista milanese – riusciva a creare tutto in maniera istintiva partendo dalla follia di un momento. Scarp de’ tennis è nata

proprio così. Venne a casa mia e mi disse: “Ecco il pezzo. Dovrai suonarlo con il sassofono...”. Me lo cantò con il suo modo strampa-

scheda Sandro Paté, giornalista, critico cinematografico e scrittore un giorno incontra Enzo Jannacci. Comincia a frequentarlo, segue un suo corso di cabaret, lo intervista più volte, ricostruisce la sua carriera e lo assilla. Si laurea con una tesi sulle sue canzoni e poi scrive la sua biografia dal titolo “Peccato l’argomento – biografia a più voci di Enzo Jannacci”. Scrive di tutto e di niente da Milano.

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lato e incomprensibile. Gli dissi: “Ma come fa il sassofono a produrre un suono del genere? Scusa, Enzo, la melodia mi sembra divertente, ma non credo si adatti al mio strumento. Prova a metterci un testo magari”. Lui l’ha fatto ed è uscito El purtava i scarp del tennis, un capolavoro». Nel 1963, ben prima dell’incisione su 45 giri del singolo El purtava i scarp del tennis / Ti te se no, si esibisce all’Intra’s Derby Club. In quel piccolo locale, nato nel sottoscala di un ristorante a pochi minuti dallo stadio San Siro, mette a punto il suo racconto. Dice Enrico Intra, musicista e primo direttore artistico: «Io lo conoscevo come pianista jazz. Molto portato, per natura, a questo genere musicale. Non a caso poi ha cominciato a improvvisare anche con i testi. La sua voglia di creare era molto personale, individuale ed emergeva inevitabilmente anche in pezzi come

Una sera del 1963, seduto tra balordi, artisti e sciuri, c’è Giancarlo Iliprandi, designer e habitué del Derby, che colpito dalle prime canzoni di Jannacci ha un’idea: «Il pubblico gli chiedeva sempre di fare El purtava i scarp del tennis. Mi raccomando “del” tennis, non “da” tennis. Una piccola finezza milanese per milanesi. Quando iniziava con il parlato del brano, “bella 'sta macchina... c'ha tutto questa macchina”, ti conquistava. La vi-

cenda dell’uomo in scarpe del tennis che aveva dentro gioia, malinconia ed emozioni forti, era davvero un’altra cosa. Tanto è vero che ho scelto questa canzone come titolo del mio libro». Già, perché Giancarlo Iliprandi, ascoltando tutte le sere le avventure del barbun in scarpe da ginnastica e quelle di altre persone semplici protagoniste delle canzoni di Jannacci, decide di raccoglierle tutte in volume. Il suo “El purtava i scarp del tennis”, appunto, pubblicato da Edizioni del Diaframma, è ad oggi il primo libro sulle piccole grandi opere scritte, cantate e recitate da Jannacci. Solo poche copie per la raccolta di Iliprandi. Racconta ancora Giancarlo: «I diritti delle canzoni erano di Ricordi e c'era l'assoluto divieto di commerciare il mio libro tanto che l'editore ne ha regalate qualche copia. Io avevo

avuto i testi delle canzoni in milanese direttamente da Enzo. Non è stato semplice. Il milanese in effetti ha le sue regole. Abbiamo cercato aiuto, ma la cosa strana è che quando poi chiedi come si scrivono alcune parole ognuno dice la sua. Al-

la fine ho pubblicato i testi così come me li ha dati lui una sera al Derby». Nella prima pagina del libro di Iliprandi, oggi una rarità, una piccola perla per collezionisti, c’è un foglio scritto a mano da Enzo Jannacci con il brano El purtava i scarp del tennis. Eccolo qui. Non certo roba minima.


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SOLIDARIETÀ sta e l’ha rilanciata in rete ai propri follower, ideando il cooking contest, cucinacon3euro, in collaborazione con le redazione di Scarp de’ tenis.

Dietro questo gioco, c’è una questione seria: la fame nel mondo e gli squilibri nella distribuzione delle risorse. Nel mondo siamo 7 miliardi di persone; secondo la Fao siamo in grado di produrre cibo per 12 miliardi. Le

#Cucinacon3euro, ricette in gara contro lo spreco di Francesco Chiavarini

info #Cucinacon3euro Scrivete la ricetta di un piatto per quattro persone, indicando per ogni ingrediente oltre alla quantità anche il prezzo e poi scattare una foto al piatto. Foto e ricetta vanno condivisi sulla propria pagina facebook fino al 15 di aprile utilizzando l’hashtag #cucinacon3euro. Tutte le ricette compariranno sulla pagina facebook ufficiale di cucinacon3euro. Quelle più votate saranno premiate dalla giuria. In palio, un biglietto gratuito per Expo

Ancora oggi in molte zone del mondo, una famiglia ha a disposizione meno di tre euro al giorno per mangiare. Voi riuscireste a farlo? Alla fine di gennaio, a meno di 100 giorni dall’apertura di Expo 2015 a Milano, Caritas Ambrosiana, in collaborazione con Scarp de’ tenis, ha lanciato il suo primo cooking contest contro la fame nel mondo. Obiettivo: provare a cucinare un piatto per almeno quattro persone con il budget che in diversi Paesi si spende per vivere, tre euro appunto. Una piccola provocazione per riflettere sulle disuguaglianze nell’accesso al cibo. Per partecipare occorre immaginare di preparare una cena per quattro persone, scrivere la ricetta indicando per ogni ingrediente ol-

«Cucinare con poco ci aiuta anche ad apprezzare il cibo e a non sprecarlo. Tutti insieme possiamo fare qualcosa»

tre alla quantità anche il prezzo e poi scattare una foto al piatto. Foto e ricetta vanno condivisi sulla propria pagina facebook fino al 15 di aprile utilizzando l’hashtag #cucinacon3euro. Tutte le ricette compariranno sulla pagina facebook ufficiale del contest cucinacon3euro. Quelle più votate saranno premiate dalla giuria. In palio, un biglietto gratuito per Expo per ognuno dei primi tre vincitori. Inoltre, le migliori 10 ricette saranno pubblicate sulla nostra rivista nell’edizione straordinaria che sarà diffusa in occasione di Expo 2015. Proposta nata negli Usa Una proposta che viene da lontano partita dagli Stati Uniti da padre Larry Snyder di Caritas Usa, nell’ambito di One human family, food for all, la campagna globale di Caritas Internationalis contro la fame nel mondo. Sfida subito raccolta in Italia dalla chef romana, Francesca Cicchinelli, che con quel budget ha cucinato per la sua famiglia di cinque persone. Caritas Ambrosiana ha prontamente raccolto la propo-

risorse ambientali e la tecnologia attuali ci consentirebbero di nutrire un pianeta e mezzo. Tuttavia ancora oggi un miliardo di persone soffre la fame. Questo paradosso è stato denunciato da Papa Francesco ancora una volta nel video messaggio che ha inviato all’“Expo delle Idee”, la grande kermesse che lo scorso 7 febbraio ha riunito nel capoluogo lombardo 500 esperti per scrivere la carta di Milano sui temi dello sviluppo sostenibile e della sicurezza alimentare. «C’è cibo per tutti, ma non tutti mangiano», ha sintetizzato il Pontefice in uno dei suoi passaggi più efficaci. Non solo. Alle disuguaglianze inaccettabili nell’accesso al cibo si associa il forse ancora più scandaloso tema dello spreco, che riguarda i paesi ricchi. Si calcola che in Europa lo spreco alimentare pro capite sia di 180 chili ogni anno. In Italia, a metà classifica tra i paesi più spreconi, il valore economico dei rifiuti alimentari ammonta a una cifra compresa tra gli 8 e il 13 miliardi annui, metà di una finanziaria. Secondo gli esperti ogni italiano getterebbe nella spezzatura 5 chili di cibo al mese.

«Cucinare con poco, ci aiuta anche ad apprezzare meglio il valore del cibo e ci educa a non sprecarlo. Questa iniziativa può essere un modo semplice e molto concreto con cui ognuno di noi può cominciare a cambiare il proprio approccio all’alimentazione e alle risorse, grande tema che noi porteremo ad Expo» – sostiene don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana. marzo 2015 Scarp de’ tenis

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LA STORIA

Adozioni, la difficile ricerca delle origini di Daniela Palumbo

Sono tantissime le persone adottate che vogliono conoscere le propria storia: la legge italiana, però, non permette al figlio, nel caso in cui non sia stato riconosciuto, di sapere il nome della madre. La lotta delle associazioni 38 Scarp de’ tenis marzo 2015

Oggi in Italia le persone adottate che vogliono conoscere le proprie origini spesso si trovano di fronte all'impossibilità di accedere alle informazioni che riguardano i genitori naturali. La normativa italiana sulle adozioni, modificata nel 2001, infatti, concede sì il diritto all'adottato che ha compiuto 25 anni di età di avere accesso all'identità dei propri genitori biologici, ma il diritto decade nel caso in cui la madre non abbia riconosciuto il figlio. Una volta che si è cominciato a cercare, però, è difficile fermarsi. La ricerca nasce sempre da un bisogno profondo. Lo spiega in modo efficace Augusto Bonato, Giudice onorario del Tribunale per i Minorenni di Milano (nonché psicoterapeuta) incaricato di ascoltare le persone adottate attraverso l’adozione nazionale che chiedono al tribunale l'accesso all'identità dei genitori


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400.000

Le istanze presentate a Milano sulla ricerca origini (2006/2010).

i provvedimenti emessi dal Tribunale nello stesso periodo

ad oggi i bambini non riconosciuti alla nascita nel nostro Paese

biologici. Scrive Augusto Bonato nel numero 68 dei “Quaderni di psicoterapia infantile”, (giugno 2013 – ed. Borla): «Quasi tutte le persone che si rivolgono al tribunale per ottenere notizie sulle proprie origini, sulla loro storia “di prima”, e per conoscere il nome dei genitori di nascita, sono mosse da un desiderio trepidante e dalla speranza di ri-trovare le parti ignorate, dimenticate e nascoste della propria vita per poterle integrare. Ogni identità è fecondata da tutte le esperienze e da tutte le identificazioni, specie quelle con i genitori adottivi e i genitori originari conosciuti o fantasticati. Tutti ci dissetiamo all’acqua di mille sorgenti». Alcuni appartenenti al comitato nazionale per il diritto alle origini biologiche che si sta battendo strenuamente per cambiare la legislazione italiana. Dopo 7 anni pronto un testo alla Camera

Tanti sono alla ricerca «Attualmente i figli non riconosciuti alla nascita sono circa 400 mila. Il 20% ha affrontato la ricerca per l'appartenenza biologica. Di questi, non più del 15% sono riusciti a conoscere la verità». Emilia Rosati è una delle tre fondatrici del Comitato Nazionale per il diritto alle origini biologiche (www.comitatodirittooriginibiologiche.com), nato nel 2009 a Napoli. Il Comitato si batte per cambiare la legislazione italiana. Emilia stessa, così come l'altra fondatrice, Anna Arecchia, sono state adottate e non riconosciute alla nascita. «Io ho 54 anni – racconta Emilia – e Anna 62. Abbiamo 30 anni di ricerche alle spalle. Mi sono anche esposta in trasmissioni come Chi l'ha visto, ho fatto appelli sui giornali, proprio perché la legge non ci riconosce il diritto all'identità. Dopo tanto cercare la casualità, a entrambe, ha fatto trovare la soluzione. Né io né Anna abbiamo trovato in vita le nostre madri, ma abbiamo rapporti con i nostri fratelli. E io, caso raro, ho ritrovato anche mio padre biologico. È stato un rapporto di vicinanza e di affetto, per quattro anni è stato bello ritrovarsi. Pochi mesi fa è venuto a mancare ma è stato bello trovarci».

I figli non riconosciuti alla nascita in Italia sono circa 400 mila. Il 20% ha affrontato la ricerca per l'appartenenza biologica. Di questi, non più del 15% sono riusciti a conoscere la verità e a riallacciare qualche contatto Una scossa al cambiacon la famiglia mento è arrivato nel setd’origine tembre 2012. «La Corte eu-

ropea dei diritti dell'uomo, di Strasburgo – dice Anna Arecchia - ha dichiarato che il divieto di conoscere le proprie origini è contrario alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, mettendo in discussione la normativa italiana. In seguito, anche la nostra Corte costituzionale, nel 2013, ha dichiarato incostituzionale l'art. 28 della legge 184 nella parte in cui non prevede la possibilità per la madre di revocare l'anonimato espresso all'epoca del parto. In linea con la sentenza, il nostro Comitato chiede che anche il figlio non riconosciuto, raggiunta l'età di 25 anni (così come avviene per i riconosciuti), possa richiedere al tribunale dei minori di residenza di interpellare la madre naturale, in modo che si possa esprimere sulla eventuale revoca dell'anoni-

mato. Chiediamo inoltre che, in caso di madre deceduta, irreperibile o mentalmente incapace, si possa procedere alla conoscenza della sua identità. E, infine, che ogni barriera decada al raggiungimento dei 40 anni del figlio che, pertanto, potrà venire in possesso, anche senza interpello, di tutti i dati». Dopo 7 anni di dibattimento in Commissione giustizia alla Camera, ora è stato redatto un testo base che accoglie queste proposte. La speranza dei promotori è che presto possa approdare alla Camera, per il voto». Intanto, il Comitato ha avviato una petizione per sostenere l'approvazione della legge: www.petizioni24.com/per_il_diritto_alla_conoscenza_delle_proprie_o rigini. La rete, una risorsa per le associazioni e per i figli in cerca di iden-

LE STORIE

Un blog raccoglie gli appelli, la necessità di colmare un “vuoto” Davvero tante le storie, soprattutto donne, di chi si affida alla rete. Sul sito http://appellideifigliadottiviallaricercadelleproprieorigini.myblog.it gli appelli sono addirittura divisi per gli anni di nascita delle persone adottate. Eccone alcune in cui, pur essendo pubbliche, abbiamo scelto di omettere i particolari più intimi. C'è chi scrive due righe sintetiche: «Ciao, ti sto cercando! Mi hai messa al mondo il 3 febbraio 1983 a Milano, verso le 15.30 del pomeriggio. Dove sei?». E chi invece racconta la propria storia: «Mi chiamo Sabrina, il 2 marzo ho compiuto 38 anni, attorniata da tutte le persone che mi vogliono bene. I miei genitori adottivi sono davvero i i migliori genitori che potessi desiderare. Sono stata una figlia tanto desiderata e altrettanto molto amata. Però mi manca sempre quel pezzetto di cuore, la mia “mamma naturale”. Al momento della mia nascita mia madre era minorenne, sono nata all’ospedale di Trento. So che ho lo stesso nome della donna che mi ha dato la vita. Vi chiedo di condividere il mio post amici, per avere una possibilità in più di riuscire a trovare le mie origini». Luigi scrive una lettera forte: «Mi aggiungo a voi che sapete come si soffre a non avere la possibilità di sapere chi siamo e quale male c'è dentro di noi che ci rende incompleti. Io sono nato a Vizzolo Predabissi da madre X. E vorrei morire dal vuoto che ho. Dove sei ? Grazie a tutti quelli come me che non possono sapere le proprie origini per la legge italiana». C'è un senso di vicinanza fra le persone che scrivono gli appelli, si sentono una comunità ma niente affatto virtuale. marzo 2015 Scarp de’ tenis

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SCHEDA

La Francia, un modello per la ricerca delle origini La ricerca delle origini resta una dei punti fondamentali per le persone che sono state adottate

tità. In attesa della nuova normativa il web già da tempo ha dato slancio alla ricerca delle origini.

La rete pullula soprattutto degli appelli di quanti, di fronte al no dei Tribunali, cercano la verità delle origini mettendo annunci e, di fatto, scrivendo lettere alle madri. Messaggi brevi e concisi oppure appelli accorati: in entrambi i casi si leg-

gono fra le righe vite irrisolte o semplicemente in attesa di dare risposta a una domanda identitaria: Chi sono io? La stessa pagina Facebook del comitato è un contenitore di storie di figli che cercano le madri naturali (Facebook - La punizione dei 100 anni. Sostegno ai figli adottivi non riconosciuti). Ma in rete le associazioni, blog

LA RICERCA

I tribunali sono un risorsa, troppe le disparità di trattamento Ma che ruolo hanno i Tribunali dei Minorenni nella ricerca alle origini? Sono davvero un aiuto e un sostegno per le persone che sono state adottate? Informano in aniera puntuale i richiedenti su quali siano i loro reali loro diritti? L'Istituto degli Innocenti di Firenze, la più antica istituzione pubblica italiana dedicata alla tutela dei bambini che da oltre sei secoli opera ininterrottamente a favore dell'infanzia e della famiglia, ha condotto un'indagine su modalità e procedure consolidate in risposta alle richieste degli adottati. È risultato che in alcune aree risulta più facile la ricerca, in altre città diventa difficile anche accedere alla richiesta. La ricerca ha monitorato 16 sedi di tribunale distribuite fra Nord e Sud. Secondo la ricerca ben sette sedi non hanno un ufficio, un referente, né una modulistica ad hoc. Al contrario, Lecce, Genova e Potenza hanno sia un ufficio specifico, sia un giudice a cui rivolgersi. Dieci tribunali non hanno neppure un giudice a cui rivolgersi. Insomma, una realtà in cui vige il disequilibrio. La ricerca sottolinea inoltre che nel nostro Paese non ci sono – al contrario di diversi Paesi europei – servizi dedicati a orientare, sostenere e accompagnare la persona in cerca delle proprie origini e i suoi stessi genitori adottivi. Un'agenzia nazionale deputata a questo scopo sarebbe utile, conferma l'indagine dell'Istituto di Firenze.

40 Scarp de’ tenis marzo 2015

e siti proliferano velocemente in un gioco di rimandi che la rete moltiplica all'infinito. Annunci che somigliano ai messaggi arrotolati dentro una bottiglia e lasciati alle onde del mare, al caso. Allo stesso modo, gli appelli vagano nella rete, in balia di lettori distratti e solo qualche rara volta accade che siano raccolti e letti dalla persona giusta. Ma la rete ha moltiplicato anche le trappole. Tanti gli sciacalli on-line È quanto ci racconta Loris Coen Antonucci che ha fondato l'associazione Astro Nascente. La pagina facebook Astro Nascente nasce con lo scopo di offrire uno spazio di discussione e condivisione di idee ed esperienze sul tema delle origini biologiche e dell'adozione in genere. «Internet e i social network, che per molte persone hanno rappresentato un valido strumento per conoscere la verità sulle proprie origini, hanno anche generato fenomeni di sciacallaggio – denuncia Coen Antonucci –. Diverse persone che lasciano annunci sui siti vengono avvicinate da fantomatiche “agenzie di servizi” che chiedono soldi (anche 300 euro) in cambio della rivelazione di dati del Tribunale che dovrebbero essere protetti da anonimato. E la cosa grave è che spesso i certificati spuntano fuori, e non sono falsi. Un vasto giro d’affari gestito tra privati, associazioni e agenzie di servizi. Io chiedo alle persone di denunciare chi compie questi atti illegali ma molti hanno paura».

In Francia, la legislazione in materia di adozione ha subito nel corso degli anni diverse modifiche. Nel 1978 è comparsa nel sistema normativo la possibilità per gli utenti di accedere ai propri dossier. Nel 1996 la grande svolta: ovvero la possibilità per la madre di togliere, in qualsiasi momento, il segreto dell’anonimato. Nel 2002 viene fondato un istituto ad hoc: il Consiglio nazionale per l’accesso alle origini personali (Cnaop); l’obiettivo, più volte ribadito dai vertici dello stesso istituto, è quello di facilitare l’accesso alle origini da parte delle persone adottate che ne avessero fatto richiesta, in collegamento con gli organismi autorizzati per l’adozione. In Francia attualmente possono depositare domanda per l'accesso alla documentazione sulla propria nascita sia le persone adulte adottate che gli orfani, ma anche i minori nel caso in cui siano autorizzati dai genitori adottivi. Fino al 31 dicembre 2012, il 48,8% dei genitori biologici francesi avevano accettato di togliere il segreto e uscire così dall'anonimato. A quel punto, la ricerca giunge finalmente a termine.


aforismi

POESIE

di Emanuele Merafina

L’ospedale Toc, toc, chi è? Sono la Tac Lo spettacolo La gente è il più grande spettacolo del mondo e non si paga il biglietto

Orson L’orso è l’animale più bello, il simbolo della forza, della natura e del suo mistero. I cuccioli sono dei batuffoli di pelo e di tenerezza. Evviva gli orsi bianchi agli occhi azzurri e dallo sguardo fiero: sono degli abilissimi nuotatori, ma per il riscaldamento anomalo del pianeta si stanno lentamente estinguendo. Evviva l’orso bruno, ghiotto di miele, di frutta secca e purtroppo anche di galline e conigli. Evviva il segreto degli orsi, che sono belli, indipendenti e dolci. Gli uomini odiano gli orsi e li cacciano, io invece mi alleo con loro, bianchi, bruni, panda, koala, neri, e anche, perché no? Rossoneri. Silvia Giavarotti

Non posso volare Ti giuro farei di tutto per tornare lì al tuo fianco ma ho cemento sulle mie ali. Non so cosa darei per dormirti accanto ma ho ferro fuso sulle mie ali. Posso soltanto stringerti nei sogni e accarezzarti col pensiero.

Ninfee Nel torrente delle chiome ondulate e ordinate dalla corrente, stanno le mie donne, ossigenate, desiderate ninfee. Alghe onde, riflessi d'Amore che non ti aspetti. Mi sento volo d’impalpabile aria. Solo con le mie lacrime posso immergermi in loro, nell’acqua di limpida purezza. Non mi venga a catturarle, alle mie mani sgusceranno, potrò solamente accoglierle. Ma solo di una potrò sentirne il battito del capriolo che trova il suo pascolo tranquillo sotto il manto del nostro cielo calmo. Mino Beltrami

Viva le donne Festa della donna; ma di quale? Quella di casa, quella della via, quella ch’è bbona, quella che non vale, la donna tua che poi è andata via? Noi oggidì le ricordiamo tutte: la tua, la mia, quella di nessuno, giovani e vecchie, che sian belle o brutte; vivano tutte,…ma di più la mia!. Lodovico Grimoldi

Per Monica Monica sei stupenda. Come un’alba d’estate. Come il mare impetuoso del tramonto. E la tua bellezza mi ammalia il cuore. E il mio amore in un segreto vince in un sentimento plausibile alla gioia. Dove la mia sensibilità racchiude ogni sortita d’amore di fronte al tuo bel viso. In quel sorriso che ama la vita.E affascina il silenzio.

L’ideaforti diper unnon giovane volontario Sarà il tempo a curare le mie piume pesanti e renderli cadere più.

della Ronda carità di Milano: Ma tu aspettami, per iniziare il tuo volo, perché ora nondella posso volare.

Marchesi Fabio Schioppa una App contro lo sprecoArmando alimentare

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Cooperanti: tutti i rischi di un lavoro utile di Paolo Riva

Le attività internazionali comportano rischi maggiori del starsene a casa. Affrontarli, con coscienza, è fondamentale per portare aiuto 42 Scarp de’ tenis marzo 2015

«In cooperazione non esistono puri e impuri». Sergio Marelli nel 1997 è stato il primo presidente dell’associazione Ong Italiane e oggi insegna in università cooperazione internazionale. Non è certo un interlocutore che non consideri quella del cooperante una professione vera e propria, quale è. Eppure, quando si parla di classificare gli interventi di aiuto, non traccia distinzioni nette tra grandi organizzazioni e realtà più piccole. «La cooperazione è fatta di persone che, con modalità e motivazioni diverse, offrono dei servizi: alcuni sono utili, altri inutili, altri ancora dannosi». Il rischio è sempre presente Nel dibattito scatenato dal rapimento e dalla liberazione delle volontarie Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, al di là dei pareri perso-


Profughi siriani nel campo di Za’atri, in Giordania. (foto Unhcr) Nella foto a fianco un volontario al lavoro con bambini rifugiati siriani in Libano. (foto Oxfam)

L’INCHIESTA

nali sulla storia delle due ventenni partite per la Siria con una piccola associazione, quella di Marelli è una voce da ascoltare. «Il rischio – riflette l’ex segretario della Focsiv – è un presupposto di tutti gli interventi umanitari in aree di crisi. Per questo, è necessario scegliere il personale da inviare secondo criteri precisi. Molta attenzione va data anche alla formazione. L’esperienza, poi, diventa un elemento imprescindibile in zone come la Siria». Nel Paese mediorientale, la

storie «Non siamo cooperanti, siamo volontari. Facciamo tutto attingendo ai fondi che raccogliamo e pagandoci i viaggi di tasca nostra». Gaetano Turrini è il presidente dell’associazione Speranza Hope for Children (speranzahopeforchildren.org), che ha fondato con la moglie in Trentino. Il viaggio di cui parla è quello verso la Siria dove è stato lui stesso. «A Bab-al-Salam, poco oltre il confine turco» precisa. È in questa zona, nei dintorni di Aleppo, che Hope porta avanti i suoi progetti: cinque scuole, due cliniche e un panificio per le vittime del conflitto che prosegue dal 2011. «Ci appoggiamo a partner locali, selezionati e collaudati».

guerra ha fatto oltre 200 mila vittime, milioni di profughi e sfollati. Secondo l’Onu, è la peggior crisi umanitaria dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. E tra le realtà impe-

gnate a fronteggiarla c’è anche Caritas Italiana. «Al momento – spiega il responsabile dell’area internazionale Paolo Beccegato – non abbiamo espatriati in Siria: gli interventi sono portati avanti da locali in stretta collaborazione con noi. Capita spesso quando la sicurezza è a rischio e un cittadino occidentale può diventare un bersaglio». Non sempre, però: in Afghanistan, in Somalia e ad Haiti, per esempio, uomini e donne di Caritas Italiana hanno operato sul campo. «Solidarietà per noi significa anche avere persone disponibili a correre rischi. Detto ciò, la scelta viene fatta caso per caso, secondo pre-

cisi codici di sicurezza, consultando istituzioni e i contatti locali, fondamentali». Le variabili sono numerose e tutte da valutare con prudenza,

ma, conclude Beccegato, «bisogna partire dal presupposto che le attività internazionali comportano rischi maggiori dello starsene a casa. Affrontarli, con coscienza, è fondamentale per portare aiuto, ma anche per costruire dal basso ponti e non muri». Il rischio, altrimenti, è quello di ripiegarci in noi stessi, come cittadini e come Paese. «La tentazione di rinfacciare a chi va all’estero il suo impegno dicendo “Ma non potevi fare volontariato in Italia?” esiste, soprattutto in tempi di crisi – conclude Marelli –. Per combatterla, bisogna far passare l’idea che la cooperazione è giusta ed utile al nostro benessere. In Italia sei milioni di persone fanno volontariato e 2-3 mila persone l’anno vanno all’estero. Fatti positivi che non vanno messi in contrapposizione».

LA STORIA

«Sicurezza sempre al primo posto, ma non si può prevedere tutto...» Gaza, Mali, Kenya. Paolo Pennati è un cooperante giovane, ma di esperienza. «A Bamako (capitale del Mali ndr), durante il conflitto del 2012, per Terres des hommes (Tdh) Losanna, ero responsabile di circa 90 persone». L’importanza di avere una grande organizzazione alle spalle la conosce bene, pur ricordando al tempo stesso, le prime avventurose esperienze come giovane volontario, in Congo. «Ripensandoci ora, mi risulta ancora più evidente l’importanza dei contatti e il ruolo della formazione – racconta –: saper dove cercare le informazioni più precise e puntuali e poi avere una supervisione adeguata. Terres des hommes ha una persona che si occupa solo di sicurezza: in Mali mi informava costantemente e controllava che i miei piani fossero conformi agli standard dell’organizzazione, fino a definire quanto carburante andasse messo nelle auto o come dovessero essere parcheggiate, per avere sempre il muso rivolto verso una via di fuga». Consapevoli del fatto che in certi luoghi, «come a Gaza è difficile fare previsioni perché può sempre capitare di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato», è fondamentale fare tutta la prevenzione possibile, preparandosi anche alle eventualità peggiori. «Non uscire sempre agli stessi orari o cambiare spesso percorso sono accorgimenti che mi è capitato di prendere. Così come mi è capitato di seguire corsi che spiegavano come comportarsi in caso di rapimento. Tutto utile e importante, anche se poi, è sempre bene ricordarlo, la maggior parte dei decessi tra i cooperanti è dovuta agli incidenti stradali». marzo 2015 Scarp de’ tenis

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MILANO

Nella foto due scorci dei tre alloggi per l’autonomia gestiti dall’assozioazione “Ciao onlus” per il progetto “Mamma, sempre e ovunque”

Bimbi e carcere, la sfida della normalità di Simona Brambilla

Maternità e carcere, connubio difficile da vivere con serenità con rischi di ripercussioni anche gravi sui bambini. Viaggio di Scarp alla scoperta di due progetti pensati per sostenere le famiglie in questo difficile percorso di genitorialità. 44 Scarp de’ tenis marzo 2015

Alessandra e la piccola Rachele, Daniela e Carlo, Veronique e sua figlia Samia. Nomi diverse, storie di vita differenti, ma accomunati tutti da un luogo, anzi un non-luogo come viene definito da molti sociologi contemporanei: il carcere. Per molte donne detenute riuscire a vivere la maternità attraverso le sbarre può essere molto complesso. «La condizione della detenzione rischia di delegittimare il ruolo di madre, creare stati d’ansia, accrescere insicurezza e senso di colpa per quanto accaduto. Tutto questo ricade inevitabilmente sul bambino, rischiando di comprometterne sia il rapporto con la madre sia lo sviluppo complessivo – spiega Elisabetta Fontana, presidente di Ciao, onlus milanese che con il progetto “Mamma, sempre e ovunque” si occupa di tutelare il rapporto tra le madri detenute e i loro bambini». Il progetto è stato pensato per garantire condizioni in cui un bambino possa vivere in un ambiente adeguato alla sua crescita, e


60/70

3

100.000

I minori che trascorrono i primi 3 anni di vita reclusi

mamme detenute accolte con i loro bambini a Milano

I bambini che ogni anno vanno in carcere a incontrare i genitori

una madre detenuta, in occasione di permessi premio o misure alternative, possa coltivare la propria maternità e gestire una relazione equilibrata con il proprio figlio.

«Offriamo uno spazio “altro” che favorisca un clima di accoglienza, serenità e tutela del rapporto madre-figlio – prosegue Elisabetta –. Il progetto prevede l’accoglienza all’interno di uno dei tre alloggi per l’autonomia gestiti dall’associazione. Sono appartamenti in condivisione, situati in un edificio di proprietà della Parrocchia SS. Quattro Evangelisti».

Rachele ha incontrato alcuni mesi fa sua madre, Alessandra. Per la prima volta nella sua vita Rachele ha potuto fare delle semplici ma straordinarie esperienze di vita, insieme alla sua mamma: fare la spesa, comprare le caramelle, mangiare una pizza, fare una corsa al parco

Bisogno di normalità E proprio in uno di questi appartamenti che Rachele ha incontrato alcuni mesi fa sua madre, Alessandra. Durante il primo incontro la piccola era silenziosa e spaurita. È bastato poco, però, perchè Rachele si sciogliesse e abbia potuto fare, per la prima volta nella sua vita, delle semplici, ma straordinarie esperienze di vita, insieme alla sua mamma: la spesa al supermercato, comprare le caramelle, mangiare una pizza, fare una corsa al parco. Dopo pochi giorni da questo significativo incontro, Rachele ha compiuto tre anni e gli operatori che le seguono sono riusciti a trovare una casa di accoglienza in grado si ospitarla insieme alla sua mamma. Molte storie che si sentono negli appartamenti di “Mamma, sempre e ovunque” sono di donne e bambini migranti. Come quella della nigeriana Veronique e sua figlia di appena due mesi, Samia, che sono state scarcerate una sera di novembre di qualche anno fa. Accolte in appartamento, è stato loro fornito un sostegno nel lungo percorso all’autonomia e al reinserimento. La donna è infatti riuscita ad ottenere un permesso di soggiorno e la piccola Samia ha iniziato la scuola materna. Il loro percorso continua ancora oggi, nonostante le tante difficoltà che

incontrano ogni giorno. Spazi protetti in carcere Tra i corridoi del carcere di Opera o di San Vittore, si sentono, talvolta, storie le cui protagoniste hanno accanto un marito o un compagno. È il caso di Daniela, attualmente detenuta a San Vittore e dove dovrà rimanere per altri 6 anni. Il suo compagno vive in un paese in provincia di Milano con

il loro figlio Carlo, 7 anni. Ogni domenica pomeriggio, il bambino, insieme al padre, supportato da pedagogiste e psicologhe dell’associazione “Bambini Senza Sbarre”, si reca in carcere a trovare la mamma. Qui, per rendere l’incontro il meno traumatico possibile, sono state realizzate un'area dedicata ai bambini che incontrano le

madri detenute e un sistema a tutela dei minori denominato “Spazio Giallo”. «Oltre a predisporre un’équipe di professionisti che accolgono i minori in carcere – spiega Lia Sacerdote, presidente di “Bambini Senza Sbarre” – abbiamo mes-

so in pratica diversi interventi che hanno l’obiettivo di tutelare i bambini e il rapporto con le madri e i padri detenuti. Ma non solo. Promuoviamo anche gruppi di riflessione con i detenuti, organizziamo corsi di formazione con gli operatori penitenziari oltre ad offrire consulenza alle famiglie che si occupano di crescere il minore, qualora esso non viva in carcere con i genitori». Interventi del genere nelle carceri sono fondamentali. «Se i bambini vengono sostenuti in maniera adeguata in questa difficile situazione – conclude Lia Sacerdote –, le conseguenze sul loro futuro e sul rapporto con i genitori possono essere trasformate in positivo, riducendo al minimo l’aspetto potenzialmente traumatico di questa esperienza».

LA SCHEDA

In Italia pochi i bimbi reclusi, tantissimi quelli che visitano i genitori In Italia, il fenomeno della detenzione dei bambini con le madri, non ha ampie dimensioni statistiche. Il dato nazionale si aggira infatti tra i 60 e i 70 minori che trascorrono i primi 3 anni di vita reclusi. Sul territorio milanese i numeri sono molto più bassi: attualmente, infatti, le mamme detenute con i loro bambini, accolte all’Icam (Istituto di custodia attenuata per madri), sono 3. Questo ente è una sezione distaccata della casa di reclusione di San Vittore, inserita all’interno di una palazzina adeguatamente ristrutturata e dotata dei necessari sistemi di sicurezza, ma arredata in modo confortevole e a ”misura di bambino”. Le statistiche si incrementano invece per quanto riguarda i bambini che entrano in carcere tutti i giorni a incontrare il genitore. I numeri parlano chiaro: sono ben 100 mila bambini coinvolti ogni anno in Italia. marzo 2015 Scarp de’ tenis

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FIRENZE Nell’ultimo anno, oltre alle cene (che comprendono antipasto, primo, bevande e dessert) l’associazione si è impegnata anche nell’organizzazione di pizzate al buio, che offrono un menù più semplice ad un prezzo più conveniente, riuscendo a coinvolgere anche un numero elevato di giovani.

Cena al buio, senza vedersi ci si conosce meglio di Francesca Collotto

Gusto, tatto, udito, olfatto, un’esperienza unica dedicata ai sensi. Tutti, tranne la vista. Una “Cena al buio” dove i sensi citati ci aiutano a costruire un’immagine di un luogo “visto senza la vista”.

info Univoc Prato via Garibaldi, 47 – Prato Potete seguire le attività di Univoc su Facebook, alla pagina “Umivoc Prato”. Per informazioni, scrivere a: info@univocprato.org www.univoc.org

La Cena al buio è una delle attività proposte dall’Univoc di Prato (Unione nazionale italiana volontari pro ciechi onlus), associazione formata da volontari e da soci non vedenti che lavora per l’abbattimento delle difficoltà che ostacolano la piena integrazione sociale dei minorati della vista. La cena al buio è uno degli eventi di maggior portata nell’ambito della sensibilizzazione. Come suggerisce il nome, il principale protagonista è il buio: i partecipanti, accolti in una sala completamente buia e serviti al tavolo dai volontari non vedenti, hanno la

Non è scontato che tutti coloro che entrano nella stanza oscurata siano in grado di restare per tutta la cena.

possibilità per una sera di sperimentare il mondo attraverso l’uso degli altri sensi. Il buio all’inizio destabilizza La cena si svolge generalmente in locali messi a disposizione da circoli o associazioni presenti sul territorio, che offrono la collaborazione anche nella preparazione del menù. Qualche giorno prima i volontari si occupano di oscurare la stanza dove si svolgerà poi la cena. Oscurare vuol dire tappare ogni finestra, porta, spiffero, luce antincendio, ogni singola fonte di luce. «A volte è davvero difficile rendere tutta la stanza completamente buia», raccontano i volontari.

Durante la cena gli invitati vengono condotti dentro la stanza già oscurata e accompagnati ai tavoli, spesso senza sapere chi avranno di fronte o accanto. Tra una portata e l’altra, si svolgono delle attività organizzate da Francesca, una volontaria che aiuta gli invitati ad indovinare i piatti proposti.

Si conosce senza pregiudizi «Ho cominciato come volontaria ad organizzare questo tipo di eventi e dopo una, due, tre cene mi è venuta la voglia e la curiosità di fare questa esperienza – racconta Viola Niccoli, presidentessa dell’Associazione –. Devo essere sincera: ho molta difficoltà ad orientarmi e spostarmi al buio. Cenare, poi, è stata una vera e propria sfida, tanto che ho mangiato ogni portata con le mani (persino le lasagne) e, nel versarmi da bere ho creato dei laghi d'acqua attorno a me. Nonostante ciò mi sono comunque divertita. È stata un’esperienza molto interessante; faticosa, ma molto significativa. Ho parlato con persone sconosciute, senza paura e senza i pregiudizi che si possono avere quando usiamo gli occhi. Ho potuto sperimentare, anche se per poco, cosa significa arrangiarsi e adattarsi ad una situazione del tutto nuova, del tutto diversa».

Difficile ricevere commenti negativi riguardo alle serate: le persone ne rimangono affascinate. Chi partecipa ad una cena al buio, in genere, è già ben disposto e curioso. Non è scontato, però, che tutti coloro che entrano nella stanza oscurata siano in grado di restare per tutta la durata della cena. Può dare fastidio stare al buio: l’occhio si abitua quasi subito, ma il pensiero di mangiare tutto il tempo nel buio più completo, a volte può creare disagio. C’è chi invece si rilassa e si gode la cena con i propri amici, senza che il buio sia d'ostacolo allo svolgimento della serata. Le persone che riescono a godersi l'esperienza, tornano a casa entusiaste, ancora più curiose e molto soddisfatte. marzo 2015 Scarp de’ tenis

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VICENZA

Affitti sociali, aiuti a chi rischia di perdere la casa di Cristina Salviati

info Affitti sociali sicuri Come funziona e a chi si rivolge il progetto lo si può leggere nel sito della Caritas vicentina, oppure si può scrivere a Stefano Osti strade.segr@caritas.vicenza.it che coordina tutti i servizi segno Caritas, legati alle difficoltà economiche, e che richiedono professionalità specifiche. Per gli accordi con i comuni infine risponde il legale Alessandra Pozza sportello.legale@caritas.vicenza.it www.caritas.vicenza.it

In questi anni di crisi economica e disoccupazione crescente per tante, troppe famiglie mantenere l’abitazione è diventato insostenibile, e il Vicentino è tristemente salito in classifica: l’ultimo sondaggio del Ministero degli Interni parla di secondo posto in Veneto, dopo Verona, per numero di sfratti: in provincia sono 1.072 nel 2014, di cui 300 solo a Vicenza. Se invece di curare si provasse a prevenire? Quando una famiglia è sfrattata il Comune deve intervenire, spesso spendendo parecchio in sistemazioni provvisorie. Il proprietario subisce la perdita di diverse mensilità, e magari affronta pure spese legali. Perché allora non cercare una soluzione prima che la situazione degeneri fino allo sfratto? Caritas diocesa-

La Caritas diocesana vicentina in prima fila per sostenere le famiglie in difficoltà sul fronte degli affitti. 48 Scarp de’ tenis marzo 2015

na vicentina prova a dare una risposta con il progetto “Affitti sociali sicuri”. E lo scorso aprile sigla un accordo con la prefettura di Vicenza e con alcuni comuni capofila (che ora sono diventati già 21). Nell’intesa sono stati coinvolti anche i sindacati: Cgil, Cisl e Uil collaborano per la diffusione e l’informazione. Caritas in prima fila L’intervento a sostegno di inquilini e proprietari prevede anzitutto il dimezzamento o almeno una riduzione significativa del canone di locazione e l’erogazione di un contributo di sei mesi rinnovabili per ulteriori 6 mesi fino a un massimo di 250 euro mensili: 60% a carico del comune competente e 40% a carico della Caritas vicentina. Questo coinvolgimento diretto della Caritas costituisce un unicum nel nostro Paese, un’iniziativa inedita che già ha suscitato interesse in altre Diocesi. «Su tutto il territorio nazionale – dice il segretario cittadino della Cisl, Gianfranco Refosco – aumentano la litigiosità e di con-

seguenza gli sfratti, e bisogna tener conto anche delle scelte negative, come la mancata proroga al blocco degli sfratti. Caritas vicentina, invece, con quest’ iniziativa costruisce una rete, virtuosa, e che andrebbe supportata e ampliata in tutti i territori del nostro Paese. Inoltre la persona aiutata è protagonista, perché tenuta a fare la sua parte di revisione del proprio stile di vita». Racconta l’assessore al sociale Cristina Marigo del Comune di Schio: «Siamo partiti lenta-

mente, realizzando un solo accordo, dei quattro che ci erano stati richiesti. Questo è successo ancora in agosto, ma ora “Affitti sociali sicuri sta prendendo piede velocemente, tanto che abbiamo deciso di aumentare la quota di investimento del Comune e a breve verranno siglati sette nuovi accordi». «L’obbiettivo è proprio quello di prevenire – continua Gianfranco Refosco – ed è proprio questo che mi convince di più di “Affitti sociali sicuri”, mettendo diversi soggetti intorno a un problema, è più facile trovare nuovi modi di collaborare, ricostruendo quei vincoli di comunità indispensabili, come sperimentiamo in questi anni di crisi economica». Al comune di Schio il progetto ha trovato piena approvazione: «È un’iniziativa che ci ha entusiasmato subito – conclude l’assessore Marigo –. Perché aiuta il locatore a rendersi conto che gli affitti vanno ribassati, e poi ci piace questa collaborazione tra Comune e Caritas nella condivisione di problematiche e ricerca delle soluzioni».

I comuni aderenti al progetto: Vicenza, Arcugnano, Bassano del Grappa, Lonigo, Montecchio Maggiore, Schio, Valdagno, Quinto Vicentino, Bolzano Vicentino, Marostica, Pianezze, Creazzo, Pojana Maggiore, Sossano, Orgiano, Asigliano Veneto, Monteviale, Santorso, Dueville, Costabissara, Valli del Pasubio.


VENEZIA

Un momento della colazione domenicale alla Cita di Marghera. Sono ormai 140 le persone che si ritrovano per questo rito con don Nandino

Stare accanto a chi ha bisogno. Con una colazione di Michele Trabucco

Era arrivato da poco nella sua nuova parrocchia di Marghera nella zona della Cita e don Nandino Capovilla, vulcanico ed entusiasta sa-

info La Cita di Marghera La parrocchia della Cita di Marghera è formata da circa 3 mila abitanti, situata nella municipalità di Venezia con il più alto numero di stranieri: 1.434 provengono dal Bangladesh, a seguire dalla Romania, Moldavia, Cina, Macedonia , Albania e Ucraina. Ha l’età media più bassa per merito degli stranieri (45 anni) un bebè su 2 è straniero, i bambini tra i 0-6 anni sono 43.3% stranieri e gli anziani sono quasi tutti italiani.

cerdote veneziano di cinquant’anni, già attento e sensibile ai poveri e bisognosi, non si è lasciato sfuggire l’occasione di continuare la sua azione pastorale. Era una domenica mattina e all’apertura delle porte della chiesa si è trovato davanti un paio di senza dimora che subito gli hanno chiesto aiuto. «La prima cosa che ho risposto è stata: venite che facciamo colazione insieme. È stato spontaneo per me offrirgli del cibo e un bicchiere di latte caldo». Così da quella domenica del 2013 le persone si sono raccolte di mattina presto davanti alle porte della chiesa per aver un po’ di cibo e una parola di accoglienza: ora sono circa 140 le persone che ogni domenica arrivano per fare colazione. «Ma abbiamo anche voluto dare un segno particolare alla colazione – spiega don Nandino,

parroco e già coordinatore nazionale di Pax Christi: fare colazione, come fanno tutti, significa

stare seduti allo stesso tavolo, per poter condividere anche i sentimenti, le parole. Ecco perché tutti i volontari non solo servono la colazione, portando latte, caffè, tè con biscotti, pane e dolci, ma soprattutto si siedono con loro e accanto a loro».

Uno stile che premia perché il calore, l’affetto, l’amicizia che si respira nella stanza del patronato è davvero forte. Infatti da questi appuntamenti settimanali sono nate anche delle amicizie tra gli ospiti e i volontari, tanto che qualcuno ha invitato gli amici senza dimora anche in casa. «Noi – dice don Nandino - non siamo esperti del sociale, per cui non possiamo sostituirci ai servizi sociali del Comune, o fare gli psicologi: dobbiamo semplicemente stare accanto a loro, e mostrare la nostra passione e fede».

Non a caso proprio qui è nata la Carta di sant’Erasmo. Un documento scritto da Veliko, Claudio, Anna e Stefano e poi firmato da una trentina di persone per affermare alcuni punti “dopo aver sperimentato la bellezza di superare i pregiudizi per conoscersi e apprezzare le ricchezze gli uni degli altri”: è importante “prendersi il tempo per ascoltare, ascoltarsi e guardare al lato opposto della strada”.

SCHEDA

Una mostra e un libro “Ma cosa sono queste periferie di cui continua a parlare papa Francesco?”. Questa la domanda a cui cercano di rispondere Betta Tusset e Nandino Capovilla nel libro “ESCLUSI - nelle periferie esistenziali con papa Francesco” (edizioni Paoline) dando voce ai senza casa, narrando storie di dolore ma anche di speranze. “Siamo le periferie dell'umanità: è da noi che dovete ripartire”. Un libro tra la testimonianza e il romanzo che, dando voce direttamente alla “carne di Cristo”, evidenzia come in ogni “scarto” dell'umanità vi sia un volto da ascoltare e amare; che esprime la fatica che ogni cristiano parrocchiale sembra fare per vivere appieno la gioia del Vangelo. marzo 2015 Scarp de’ tenis

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VERONA

Due momenti di vita dentro Casa don Girelli. Gli ospiti accolti lavorono su se stessi per potersi reinserire a pieno titolo nella società.

Sognando una vita normale dopo l’Opg di Elisa Rossignoli, Roberto J.B., Babacar K.

Viaggio di Scarp dentro casa “Don Girelli” una della due sole strutture attive in Italia che ospitano pazienti dimessi dagli ospedali psichiatrici giudiziari che hanno ancora “bisogno” di vivere in un ambiente protetto. 50 Scarp de’ tenis marzo 2015

A marzo 2015, con due anni di ritardo sulla tabella di marcia, è prevista la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, strutture in cui sono ricoverati gli autori di reati assolti per infermità mentale. Cosa accadrà dopo quella fatidica data? Ancora non è certo. È certo però che il giorno in cui questi luoghi non esisteranno più, la malattia di coloro che vi sono ricoverati continuerà ad esistere in tutta la sua tragica realtà. E anche loro. Una delle risposte, per le persone portatrici di problemi meno gravi, potrebbe essere in quelle strutture (al momento due in tutta Italia) che già da qualche anno accolgono i pazienti dimessi dall’Opg. La casa “Don Girelli” a Ronco all’Adige (Vr), è una di esse. «Le persone che accogliamo – racconta il direttore della struttura, Giuseppe Ferro – sono state dimesse dall’Opg perché ritenute compatibili con un contesto meno contenitivo e più riabilitativo. Il nostro è quindi un percorso terapeutico che ha per obiettivo, dove possibile, un graduale reinserimento sociale. Per alcuni dei nostri ospiti è pensabile un futuro in autonomia, per altri sarà comun-


mille

2 mesi

sei

I pazienti ancora intenati negli Opg nel nostro Paese

alla chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici

gli opg ancora aperti e che rischiano di riamanerlo fino al 2017

mente del male ad altri. Potete immaginare quanto difficile fosse la sua vita quotidiana. La terapia farmacologica aiuta, ma spesso non basta a trovare pace. La pericolosità sociale dei nostri ospiti è quindi attenuata rispetto alle condizioni in cui versavano al momento del ricovero in Opg, ma solo per alcuni sarà possibile vederne la cancellazione».

que necessario un sostegno di natura sociale e sanitaria». Ma un futuro può essere garantito anche per i cosiddetti pericolosi.

Le persone del paese sono molto collaborative: la trattoria qui vicino talvolta ci dona qualche buon primo piatto, il bar offre spesso i caffè… Per i nostri ospiti è poi rassicurante incontrare facce amiche e sentirsi salutare. Il Comune ci dato in gestione la pulizia di alcuni parchi in cui i nostri ospiti lavorano qualche ora al giorno.

«È vero – continua Ferro –, esiste una potenziale loro pericolosità. Il fatto di dichiararlo apertamente non significa “giudicare la persona”, ma riconoscere una condizione esistenziale. Solo così è possibile, si spera, aiutarla ed evitare possibili recidive dalle quali la società vuole proteggersi. Le persone che ospitiamo spesso hanno commesso reati gravi, e la loro patologia rende difficile, a volte molto difficile, il poterli aiutare. Per poterlo fare è fondamentale non dimenticare mai la loro storia, il loro vissuto e la loro malattia. Ciò non significa togliere loro la dignità ma, al contrario, dare loro ciò di cui hanno bisogno». Un aiuto personalizzato «Uno dei ragazzi che ha abitato qui – racconta Linda Martinelli, assistente sociale della struttura –, teneva le cuffiette a volume massimo tutto il giorno. Questo per non sentire le voci che nella sua testa lo confondevano e, a suo tempo, l’avevano spinto a fare seria-

La comunità come risorsa Il percorso in comunità dovrebbe concludersi dopo due anni ma esistono spazi di manovra. «Vi è sempre un momento di verifica con i servizi e il magistrato – continua Linda Martinelli –. Se la persona è valutata non più pericolosa in teoria può tornare ad una vita autonoma. In realtà pochi lo fanno, e non solo perché in alcuni casi significherebbe ritornare in situazioni in cui i legami affettivi sono stati compromessi da anni di distanza e dagli avvenimenti che li hanno portati qui. Molto spesso, essi stessi riconoscono il loro bi-

sogno di essere ancora accompagnati e continuano la loro riabilitazione in altre comunità dove avranno più libertà personale, ma sempre in un contesto protetto».

Talvolta gli esiti dei percorsi si possono comprendere soltanto in corso d’opera. «A uno dei nostri ospiti fu concessa una misura di sicurezza assai meno restrittiva, con più ore di libertà al giorno. Quella libertà risultò per lui troppo, al punto che ebbe una pesante ricaduta, e fu necessario tornare ad una situazione più contenitiva. Un altro nostro ospite, giunto qui con il fardello di terribili eccessi di violenza, pareva avere una storia già segnata. Invece, l’aver rintracciato i suoi bambini e aver ottenuto il permesso di incontrarli e frequentarli, gli ha dato la motivazione per ritrovarsi. Ora sta bene, non è più la persona che era arrivata qui e se stava male all'improvviso “spaccava tutto”. Vive ancora in una comunità, ma ha dato un senso alla sua vita».

LA SCHEDA

Una comunità come tante altre, con un occhio di riguardo agli ospiti A casa Don Girelli la giornata è scandita dagli orari della sveglia, dei pasti e dei servizi per la casa, come in tutte le comunità. Ma le persone che vivono qui non sono mai lasciate senza sorveglianza, gli operatori sono sempre presenti, giorno e notte. Gli ospiti ricevono assistenza sanitaria con la presenza costante di infermiere e psichiatra. Oltre alla terapia individuale, tutti partecipano ai gruppi con gli psicologi, in cui si discutono argomenti diversi. C'è un gruppo sulla gestione del denaro. Un altro è dedicato al problem solving, per affrontare le sfide quotidiane, ad esempio: “come faccio per andare a tagliarmi i capelli?”. Potrebbe far sorridere, in realtà per alcuni non è cosa da poco. La comunità ha anche due cani che, oltre a far compagnia, sono i felici protagonisti delle attività di pet-therapy. Ci sono le uscite in piccoli gruppi, le serate in cui si cucina insieme. C’è infine il lavoro nei campi che ultimamente dà molta soddisfazione ad ospiti e operatori: la terra è riabilitante per natura, e raccogliere, mangiare e vendere ciò che si è prodotto è a suo modo altrettanto terapeutico. Inoltre il fatto che alcune persone del paese comprino la verdura dalla comunità, alimenta positivamente il coinvolgimento del territorio, cosa importantissima. marzo 2015 Scarp de’ tenis

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NAPOLI

INCONTRI

In via Cimarosa al Vomero è nato uno spazio in cui è facile innamorarsi dei libri e della lettura. Quando la cultura nasce “dal basso”

“Io ci sto”, così la libreria diventa di tutti di Sergio Gatto

info

Libreria “Io ci sto” via Cimarosa, 20 Napoli. mail: info@iocistolibreria.it www.iocistolibreria.it

L’avvento di nuove tecnologie, ha portato un cambiamento radicale dell’informazione. L’uso di tablet e smartphone, con i quali si comunica agevolmente, con gli anni ha minato il settore del cartaceo che ha cominciato a barcollare ed andare alla deriva. Rinomate librerie come Guida, Loffredo e Fnac, sono state costrette a chiudere i battenti. Nonostante la crisi del settore, però, qualcuno ha deciso di andare controcorrente con caparbietà e convinzione lanciando il progetto “Io ci sto”. “Io ci sto” è il nome della libreria aperta otto mesi fa al Vomero: grazie alle quote di partecipazione di almeno settecento soci, è stato possibile – e lo è ancora ora – sostenere le spese struttu-

Grazie all’azionariato popolare, ogni socio garantisce la quota di 50 euro, è nato un progetto culturale innovativo 52 Scarp de’ tenis marzo 2015

rali e della merce. Il locale che ospita la libreria, accogliente, pulito e ordinato, mette da subito in mostra gli scaffali pieni di libri, divisi per argomenti: dalla narrativa al classico.

Dentro “Io ci sto”, un luogo familiare che invita alla lettura e all’incontro “Io ci sto” è un luogo piccolo ma organizzato e sistemato molto bene. Pur non essendo un’accanita lettrice mi sono sentita suito a mio agio: siamo stati accolti da uno dei soci che ci ha mostrato un video per farci capire com’è nata questa libreria. Nello scorrere delle immagini, sono rimasta molto colpita dalla solidarietà, dallo spirito d’iniziativa, dalla collaborazione e dalla determinazione con cui è stato portato a termine il lavoro. Ho visto persone che, col buon umore, con semplicità, con un pennello e tanto amore, hanno trasformato un sogno in realtà: creare una libreria dove si possono trovare libri ma anche uno spazio dove potersi rilassare. All’inaugurazione hanno partecipato tantissime persone. Questa visita mi ha fatto venir voglia di leggermi un libro che non sono mai riuscita a finire. Ora sono sicura che lo leggerò. Marianna Palma

Osservare i libri, toccarli, sfogliare le pagine, interessarsi dell’argomento, sentire l’odore della carta. Sono momenti belli, d’appartenenza. Leggere un libro significa conoscere l’autore, condividerne il pensiero, riflettere, ma anche

La libreria diventa anche casa editrice: spazio a iniziative di carattere sociale

assumere un atteggiamento critico quando l’autore non soddisfa tutte le esigenze del lettore. Spero che l’iniziativa del Vomero possa andare oltre le aspettative di chi ha realizzato il progetto, affinché, con spirito di sacrificio, entusiasmo, al di là delle difficoltà, l’intento abbia un buon esito. Sono convinto, fiducioso e speranzoso verso il ritorno dei vecchi e nuovi lettori nelle librerie. Questi luoghi accresceranno il nostro sapere e ci arricchiranno di grandi patrimoni culturali.

“Io ci sto” è in piena attività, propone serate, eventi e incontri con gli autori, proiezioni di film, laboratori per i bambini. E, proprio pensando ai bambini, ha pubblicato il primo titolo come casa editrice: “Nato a termine? No, a Napoli!” Gaffe involontarie in Pronto Soccorso dell’ospedale pediatrico Santobono Pausillipon di Ilaria Luongo con la prefazione di Gianfranco Gallo. Il ricavato andrà all’associazione “Un dono per Valentino” che sostiene i bimbi nefropatici e le loro famiglie. Giuseppe Del Giudice

INCONTRI


VOCI DALL’EUROPA

Jenny che lotta nellla capitale povera della ricca Germania «Buongiorno a tutti sono Jenny, ho perso il lavoro, ho due bambini, vendo l’ultimo numero del giornale di strada Motz. Costa 1 euro e 20, 80 centesimi vanno al venditore, 40 al giornale. Vi ringrazio per l’aiuto». di Mauro Meggiolaro

scheda Mauro Meggiolaro, nato a Verona nel 1976. Ha lavorato per banche e finanziarie etiche in Germania e a Milano (Etica Sgr, Banca Etica). Azionista critico alle assemblee di Enel ed Eni, nel 2009 ha creato la società di ricerca Merian Research. Scrive anche per “Valori” e “Il Fatto Quotidiano”. Nel 2013 è tornato a vivere a Berlino.

Jenny avrà poco più di trent’anni, magrolina, curata, occhi azzurrissimi e capelli neri corti. Attraversa tutto il serpentone della metro, vende copie del giornale, raccoglie offerte, scambia un paio di frasi con un passeggero curioso. Se non fosse per il tesserino da venditrice, appeso al collo con un cordino verde, la scambieresti con uno dei tanti pendolari che sta tornando a casa dopo le canoniche otto ore di lavoro in qualche ufficio di Mitte, il quartiere centrale di Berlino. La vedo spesso sulla U5, la metropolitana che parte da Alexanderplatz e ti porta nel profondo est della città. Motz ormai lo compro solo da lei. Lo vende per integrare il sussidio che le passa il job center – mi ha detto. Sta crescendo i bambini da sola, l’ex marito si è dato alla macchia e in qualche modo si deve arrangiare, contando i centesimi, ogni santo mese. Come lei

Un berlinese su cinque vive al limite della soglia di povertà: il doppio rispetto alla ricca Baviera. E uno su sei (sono quasi 600 mila persone) riesce a sopravvivere solo grazie all’aiuto dei sussidi. Grazie allo stato sociale la povertà assoluta in pratica non esiste. Ma quella relativa non accenna a diminuire

sono ormai centinaia i venditori, regolari o occasionali, di Motz. Un bisettimanale che tira 12 mila copie e si sostiene con donazioni, traslochi e vendita di vestiti e mobili usati. Ognuno ha le sue zone, i suoi compratori di fiducia, i bar e i ristoranti amici, dove si puo’ entrare la sera senza

A Berlino il numero di poveri non accenna a diminuire

rischiare di essere presi a male parole dai clienti. I venditori sono ormai parte integrante e riconosciuta della vita dei quartieri. Tra loro ci sono senzatetto, emarginati ma anche – e sempre di più – pensionati, disoccupati, lavoratori precari e occasionali. Gli stessi che, appena possono, passano in rassegna marciapiedi e cestini dei rifiuti, muretti e entrate dei locali alla ricerca di vuoti a rendere che valgono 8 centesimi per ogni bottiglia di birra e 15 per le bottigliette di plastica. Un esercito di poveri Berlino ha tre milioni e mezzo di abitanti. Ridotta a un cumulo di macerie alla fine della seconda guerra mondiale, abbandonata dalle industrie e divisa da un muro per 28 anni, oggi mostra al mondo un volto sempre più accattivante, con una scena artistica e culturale unica in Europa che attira 11 milioni di turisti all’anno.

Ma le ferite della storia continuano ad essere profonde. Nonostante i progressi degli ultimi anni, la capitale del paese economicamente più forte d’Europa rimane povera rispetto ai grandi centri produttivi della Germania. Un berlinese su cinque vive al limite della soglia di povertà: il doppio rispetto alla ricca Baviera. E uno su sei (stiamo parlando di quasi 600 mila persone) riesce a sopravvivere solo grazie all’aiuto dei sussidi. Grazie allo stato sociale la povertà assoluta praticamente non esiste. Ma quella relativa non accenna a diminuire. Jenny lo sa bene, difende la sua piazza sulla linea 5 della metropolitana, da novembre frequenta un corso di formazione. E spera in un futuro migliore. marzo 2015 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

La riforma (impopolare) delle banche popolari La decisione presa dal Governo Renzi sta animando il dibattito economico e finanziario. Una decisione che non piace né al presidente di Banca popolare Etica né ad alcuni importanti studiosi. Ma chi si muove dietro le quinte? Parola d’ordine ufficiale, salvare capre e cavoli. Nelle di Andrea Barolini

intenzioni del governo, almeno a giudicare dalle parole del presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, la riforma delle

banche popolari ci riuscirà.

scheda Ventuno come il secolo nel quale viviamo, come l’agenda per il buon vivere, come l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. Ventuno è la nostra idea di economia. Con qualche proposta per agire contro l’ingiustizia e l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

54 Scarp de’ tenis marzo 2015

Da una parte, infatti, le novità contenute nel decreto investment compact dovrebbero garantire numerosi vantaggi; dall’altra, al contempo, dovrebbero evitare di snaturare le caratteristiche fondamentali di quegli istituti finanziari che sono considerati, storicamente, più “vicini” ai risparmiatori. In altre parole, nel contesto di un sistema bancario giudicato «serio e solido» (benché fatto di «troppi banchieri» e di «troppo poco accesso al credito»), il premier ha indicato gli obiettivi del cambiamento (radicale) immaginato per alcune banche popolari: «Rafforzare il sistema, senza danneggiare i piccoli istituti di credito». E preservandone la natura «cooperativa». Il tutto, in termini pratici, è stato tradotto in un decreto legge presentato dal governo nelle scorse settimane. Provvedimento che,

nonostante la soddisfazione di Renzi, ha suscitato un vespaio di polemiche. Via il voto capitario

Il cuore della riforma, infatti, è rappresentato dall’abbandono del voto capitario, che costituisce oggi la caratteristica principale della governance delle banche popolari. In sostanza, nel sistema attuale ciascun socio degli istituti finanziari, in sede decisionale, conta “uno”, a prescindere dal quantitativo di capitale in suo possesso. Ciò, da un lato, garantisce a tutti di poter pesare sufficientemente sulle scelte. Dall’altro, in qualche modo, marca una differenza “etica” nei confronti dei tradizionali istituti di credito: concedere identico potere decisionale a tutti, senza prendere in considerazione le quote possedute, equivale di fatto a dire che conta di più il capitale umano rispetto a quello finanziario. Ora, stan-

do al decreto governativo, le dieci più importanti popolari (quelle con attivi su-

periori a 8 miliardi di euro), avranno 18 mesi di tempo per cambiare struttura, e diventare società per azioni come tutte le altre. Dove il principio capitario, dunque, sparirà, a vantaggio di quello strettamente capitalista basato sul “chi ha di più, conta di più”. Un modo, ha aggiunto Renzi, per eliminare sacche di potere e per cacciare certi «signorotti» che, di fatto, controllano tali realtà finanziarie, a suo avviso, da troppo tempo. Insomma, una manovra per garantire il ricambio. Ma era proprio necessaria? Non c’erano strade alternative da percorrere? E serviva davvero operare tramite decreto? La risposta all’ultima domanda sta nella Costituzione. L’articolo 77, che disciplina l’utilizzo di tale strumento legislativo, spiega che «il governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria», e aggiunge che «quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza», il governo adotta atti aventi forza di legge, «deve il giorno stesso presentarli per la


Lo storico Palazzo di Piazza Meda, a Milano costruito negli anni ’30 su progetto dell’architetto Giovanni Greppi, è la sede storica della Banca Popolare di Milano, una delle banche che saranno coinvolte nella riforma voluta dal governo Renzi

conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni». Poi, la parola passa al parlamento, che ha 60 giorni di tempo per convertire il decreto in legge. Insomma, è chiaro che la Carta costituzionale indica l’utilizzo dei decreti come una rarità rispetto all’iter legislativo normale (che presuppone un dibattito parlamentare); rarità riservata a casi di eccezionale «urgenza e necessità». Pur essendo del tutto evidente che sulle nozioni di “urgenza” e “necessità” si possa dibattere lungamente, è davvero difficile pensare che, nel mare di problemi che affliggono il Paese, la riforma delle banche popolari meriti davvero l’uso di uno strumento straordinario. Fin qui la metodologia. Nel merito, secondo Leonardo Becchetti, ordinario di Economia all’università Tor Vergata di Roma (ndr, vedi intervista nelle pagine successive), «non c’è affat-

Ugo Biggeri presidente di Banca Etica: « La decisione del Governo limita la libertà di scelta del risparmiatore e non è a favore dei cittadini, né delle imprese visto che non sono certo le banche popolari ad aver causato la crisi to bisogno di trasformare le popolari in Spa se l’obietti- finanziaria e la vo è quello di garantire un stretta creditizia

ricambio ai vertici: basterebbe imporre limiti temporali ai mandati dei dirigenti». Dello stesso avviso il presidente di Banca Popolare Etica, Ugo Biggeri, che pur non essendo tra gli istituti coinvolti dalla riforma (le dimensioni non raggiungono la soglia indicata dal governo) ha spiegato che la decisione dell’esecutivo «limita la libertà di scelta dei risparmiatori e non è a favore dei cittadini, né delle imprese visto che, numeri alla mano, non sono certo le banche popolari che hanno causato l'attuale crisi finanziaria e neanche la stretta creditizia». Al contrario, prosegue Biggeri, «le banche cooperative e popolari hanno svolto in questi anni un’importante funzione anticiclica. Sono, casomai, «le istituzioni finanziarie “too big too fail or to jail” (troppo grandi per fallire, o per essere punite) che hanno determinato, con operazioni di finanza creativa basate su strumenti complessi, la crisi attuale». Quanti rischi si corrono Ancor più dura la polemica di An-

drea Baranes, presidente della Fondazione culturale di Banca Etica, secondo il quale occorre «ringraziare il governo per averci chiarito le idee: separare le banche commerciali dalle banche di investimento? Non ci interessa. Regolamentare le banche troppo grandi per fallire che ricattano i governi e mettono a rischio i risparmi dei clienti? Non ci interessa. La tassa sulle transazioni finanziarie per frenare la speculazione? Non è una priorità. Il sistema bancario ombra che si muove al di fuori di qualsiasi regola e controllo? Macché. Il

problema è finalmente chiaro: è il voto capitario nelle banche popolari con attivi superiori agli 8 miliardi». Certo, è innegabile che alcuni problemi di governance siano stati riscontrati anche nelle banche popolari. Un caso eclatante di cattiva gestione è stato quello che nel 2005 ha portato allo scandalo noto col nome di “bancopoli” e che culminò con l’arresto di Gianpiero Fiorani, ex numero uno della Popolare di Lodi (poi Banca Popolare Italiana) che è stato riconosciuto marzo 2015 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

Lontani dall’Europa Occorre ricordare, infatti, che riformare le banche popolari significa andare a modificare profondamente quelle che, secondo uno studio della Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato di Mestre, sono le uniche, negli ultimi anni, ad aver aumentato l’erogazione di prestiti a cittadini ed imprese. Le uniche, insomma, che hanno contribuito concretamente

a tentare di rilanciare l’economia reale, garantendo la possibilità di fare investimenti, di acquistare un immobile o di consumare. «Nell’arco di tempo che va dall’inizio della fase di credit crunch (2011) sino alla fine del 2013 – spiega una nota della Cgia – le popolari hanno aumentato i prestiti alla clientela del 15,4%; diversamente, le Spa e le Bcc hanno diminuito i crediti rispettivamente del 4,9 e del 2,2%. Lo stesso trend negativo è stato registrato anche dalle banche estere presenti nel nostro Paese: sempre tra il 2011 e il 2013, i prestiti sono diminuiti del 3,1%».

sion di queste realtà, che da sempre hanno avuto un’attenzione particolare per i problemi e le necessità dei territori di cui sono espressione». Una preoccupazione che non appare esagerata, tenuto conto del fatto che il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan non ha nascosto le sue idee per il prossimo futuro: benché per ora si sia partiti dalle banche più grandi, saranno possibili «altri suggerimenti di modifica della governance» anche per le realtà più piccole. Sarà l’addio definiti-

Secondo il segretario della stessa Cgia, Giuseppe Bortolussi, «sebbene la riforma interessi solo una decina di istituti, in prospettiva corriamo il pericolo che tale operazione snaturi la mis-

to, se così fosse, significherebbe allontanarsi dall’Europa, che di istituti di credito popolari è piena: dalle Raffeisen e Volksbanken austriache fino alle grandi mutualiste francesi, passando per la Finlandia e la Germania...

Becchetti: «Riforma senza senso. Rischi alti»

vo alle banche popolari? Difficile dirlo, per ora. Di cer-

«Si tratta di una proposta priva di alcun senso, non c’è altro da dire. Il presidente del Consiglio sta prendendo un abbaglio, e sospetto che Renzi sia stato mal consigliato». Leonardo Bec-

chetti, professore ordinario di Economia Politica presso l’Università di Roma Tor Vergata, non usa mezzi termini. La riforma delle popolari avanzata dal governo non soltanto non gli piace, ma è rischiosa e intacca quella che, al contrario, dovrebbe costituire «una risorsa preziosa».

Non usa mezzi termini il professor Leonardo Becchetti dell’Università di Roma. Così si uccide la mutualità. 56 Scarp de’ tenis marzo 2015

Professore, qual è il suo giudizio complessivo sulla riforma? Voglio essere chiaro. Personalmente, ho rivolto al governo il mio apprezzamento per come si è mosso in occasione dell’elezione del presidente della Repubblica, così come per la gestione dei tavoli di crisi industriale. Ma in questo caso sono rimasto basito. Perché? Innanzitutto perché è noto a tutti

che le banche popolari sono quelle maggiormente legate al territorio, quelle che fanno più credito, che vantano risultati migliori rispetto alle banche tradizionali. Basti pensare che, secondo uno studio pubblicato nei giorni scorsi dalla Cgia di Mestre, tra il 2011 e il 2013 le popolari sono state le uniche ad aumentare il credito erogato a famiglie e imprese. E lo hanno fatto sensibilmente, arrivando ad un +15,4%. Tanto per capirci, nello stesso periodo i crediti concessi dalle Spa sono scesi del 4,9%. Ho letto le interviste rilasciate da Renzi: ha detto cose sconclusionate. Posso solo immaginare che sia stato consigliato male. D’altra parte, se chiedi una consulenza a volpi e faine, domandando se è o meno il caso di lasciare aperta la porta del pollaio... Si riferisce al fondo Algebris del finanziere Davide Serra e alla polemica sulle posizioni assunte negli ultimi mesi sulle popolari italiane? Ci sono stati dei movimenti, e con

Illustrazione: g.c. Etica sgr

colpevole nel 2011 di una serie di omissioni nei bilanci del 2003 e del 2004 attuate «con l’intenzione di ingannare i soci e il pubblico». Che possano, inoltre, crearsi sacche di potere, che il presidente del Consiglio ha chiamato «reticolati di amicizie che supereremo con la riforma», è innegabile. Ma i rischi della decisione del governo non sono effettivamente troppi?


SCHEDA

Le popolari, la riforma e quell’amico finanziere... «Stop ai reticolati di amicizie», ha tuonato Matteo Renzi spiegando le ragioni della riforma. Eppure proprio per ragioni di “amicizie” il presidente del Consiglio è finito nel mirino di alcuni media. Premessa: le indiscrezioni e polemiche della stampa rimangono ovviamente tali, almeno fino a prova contraria. Un passo indietro: alla “Leopolda" di Firenze, lo scorso autunno, ha partecipato un signore di 44 anni. Si chiama Davide Serra. Genovese, imprenditore e finanziere, è fondatore di Algebris, un fondo di investimento speculativo. Renzi aveva detto che alla Leopolda c’era «l’Italia che produce posti di lavoro». Serra però il suo Algebris l’ha fondato nel 2006 a Londra. Il fondo, poi, si è espanso in un altro, controverso, centro di interesse dell’alta finanza globale: Singapore. Senza parlare della società di servizi controllata, che si chiama Algebris Investments la cui sede è stata stabilita alle Isole Cayman. Il 6 novembre scorso Serra, a Repubblica, ha assicurato che avrebbe chiuso la società alle Cayman. L’avrà fatto? Non si sa. Ciò che si sa, stando a Il Fatto Quotidiano, è che dal 2014 il finanziere ha cominciato ad investire sulle popolari. Dunque, in un momento in cui della riforma nessuno sapeva ancora nulla. I sospetti hanno cominciato a correre, tanto che il segretario della Cgil, Susanna Camusso ha spiegato che «non è un bello spettacolo scoprire che c’è chi sapeva in anticipo». Intervistato dal Sole24Ore, Serra ha ammesso di «investire sulle popolari dal marzo 2014» e di avere «in particolare una specifica, grande posizione» in un istituto. Ma, ovviamente, nessuna “soffiata” dall’amico Matteo: la scelta d’investimento è una coincidenza. E i sospetti sono «ridicoli».

L’ANALISI

la riforma ci sarà il rischio di scalate. Ma a me interessa la sostanza. Ovvero che, come dice il Rapporto Liikanen dell’Ue, la biodiversità bancaria è una risorsa importantissima che va difesa. Qui invece, con una specie di editto, distruggiamo il voto capitario. Semplicemente, non ha alcun senso.

Renzi ha spiegato che è necessario per «togliere le banche ai “signorotti”»... Se il problema è questo, cosa c’entra il voto capitario? Basterebbe limitare i mandati. In Banca popolare Etica, ad esempio, si può essere eletti massimo due volte. E poi anche nelle Spa ci sono gruppi che con percentuali molto basse riescono ad ottenere posizioni di controllo... Renzi dice anche di voler superare un modello legato a «reticolati di amicizie». Insisto, non è questo il punto. Se fosse un modello sbagliato, perché negli altri Paese nessuno lo mette in discussione? In Olanda, Francia, Germania, Austria, Finlandia ci sono grandi banche popolari, di dimensioni superiori alla soglia di 8 miliardi di euro indicata da Renzi. Mi citasse il Governo un solo caso di crisi originata da una banca popolare. È dimostrato, ad esempio, che le banche di credito cooperativo vantano una volatilità minore degli utili, e che sono dunque più

resistenti ai terremoti finanziari. Inoltre guardiamo ai fatti: i problemi arrivano tutti dalle Spa. Da Monte dei Paschi, da Carige... Cosa consiglierebbe?? Di non uccidere la mutualità nella culla. Non ha senso limitare la possibilità di crescita delle banche popolari. Perché la mutualità non può superare una certa soglia? Perché deve essere un gioco da piccoli? Tutto ciò non esiste in Europa. Faranno marcia indietro? Ho notato che moltissimi parlamentari hanno capito. Quattro partiti hanno anche sollevato delle eccezioni di costituzionalità. E anche all’interno del Partito democratico crescono le perplessità. Ricapitolando: la riforma non ha senso. Molti parlamentari non la vogliono. Il Pd rischia di spaccarsi. Lasceranno perdere... Temo che Renzi abbia deciso di farne una battaglia di principio. marzo 2015 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

Anche a Milano nasce l’Emporio Caritas di Generoso Simeone

Una tessera a punti per accedere e fare provviste. E solo per alcuni mesi determinati. Le famiglie? Selezionate dai centri di ascolto. Per superare la logica dei pacchi... 58 Scarp de’ tenis marzo 2015

A prima vista è un normale supermercato. Con i prodotti sugli scaffali, le casse, i commessi e i carrelli. In realtà non è un normale supermercato. Per due principali motivi: qui non si usano soldi e non tutti possono venirci a fare la spesa. E poi c’è quel nome, Emporio della solidarietà, che racconta di un posto particolare e diverso dagli altri. «Questo luogo – dice don Massimo Mapelli, responsabile per la Caritas Ambrosiana della zona pastorale dei comuni che si trovano a sud e a est di Milano – è la risposta che proviamo a dare in un momento di particolare crisi delle famiglie. Sul nostro territo-

rio in tanti hanno perso il lavoro e molti hanno addosso uno sfratto esecutivo con forza pubblica. È salita la


L’Emporio della solidarietà di Cesano Boscone, alle porte di Milano. Risponde ai bisogni delle famiglie disagiate di un territorio molto ampio

mentare uguale per tutti. Qui ognuno può scegliere a seconda del proprio fabbisogno». I prodotti non hanno un prezzo vero e proprio, ma un controvalore in punti che corrisponde al loro costo: un punto equivale a un euro. I prezzi, ovvero i punti, sono più bassi rispetto a quelli di mercato. «Viene utilizzato questo meccanismo – aggiunge don Massimo – per non far girare contanti ed evitare che eventuali somme di denaro possano essere utilizzate per altro».

Ciascun utente possiede una tessera a punti calcolati in base ai componenti del nucleo famigliare e alla presenza di minori. Una famiglia

L’Emporio della solidarietà di Cesano Boscone fa parte delle rete di Empori nati su tutto il territorio nazionale, da Roma a Parma, da Ancona a Prato fino a Bari. E il modello è pronto per essere replicato in altri comuni

domanda alimentare ai nostri centri di ascolto. E non solo è aumentata, ma è anche cambiata la tipologia. Ai professionisti del pacco, quelli cioè che da vent’anni vengono in parrocchia a ritirare viveri e che continueranno a venire per i prossimi venti, si sono aggiunte persone nuove che mai avrebbero immaginato di rivolgersi a noi». Il primo in diocesi di Milano

L’Emporio della solidarietà è un locale di 400 metri quadri, magazzino compreso, aperto dalla Caritas Ambrosiana a Cesano Boscone. È il primo che sorge nella diocesi di Milano. Qui le persone in difficoltà possono fare la spesa con una tessera a punti nominale. «L’idea– continua don Massimo, – è andare oltre il pacco ali-

media di quattro persone, ad esempio, dispone di 150 punti al mese. Dopo aver scelto i prodotti, alle casse viene scalato dalla tessera il quantitativo di punti corrispondente ai beni acquistati. All’Emporio della solidarietà si trovano generi alimentari di prima necessità e prodotti per la prima infanzia. «Il sistema della tessera – spiega don Massimo – ci permette di tenere una tracciabilità degli acquisti delle persone. Se qualcuno spende tutto in cioccolata e biscotti, ad esempio, interveniamo. Così come è stato posto un limite all’acquisto di alcune derrate che vanno oltre il normale fabbisogno. L’obiettivo è responsabilizzare gli utenti ed evitare che la merce comprata qui possa essere rivenduta. I quantitativi

numeri 150 le famiglie già individuate e che hanno accesso all’Emporio

400 le persone che già beneficiano della spesa a punti per alcuni mesi

2500 le persone che entro la fine del 2015 potranno beneficiare dei servizi

contingentati consentono anche di aiutare il maggior numero di persone possibile». All’Emporio possono accedere famiglie o singole persone appositamente individuate dai centri di ascolto della Caritas. Le tessere sono temporanee e possono durare da due ai sei mesi. Alla fine del periodo gli operatori dei centri d’ascolto valutano la condizione della persona o della famiglia e decidono se rinnovare la concessione. «Pensiamo anche – dice ancora don Massimo – che l’Emporio tuteli la dignità della persone. Per molti venire in parrocchia a ritirare il pacco rappresentava un motivo di vergogna. Magari, dall’altra parte, ti trovi come volontario il genitore del compagno di scuola di tuo figlio. Qui invece si viene a fare la spesa in autonomia. E poi sgraviamo i centri di ascolto da compiti di logistica e di conservazione e distribuzione delle derrate. Così possono seguire meglio le persone su altri fronti di bisogno». L’Emporio della solidarietà è gestito dalla cooperativa Impresa etica sociale che impiega una ventina di volontari. Inizialmente aperto due mattine alla settimana, dalle 9 alle 13, presto verrà aggiunto un terzo giorno. All’apertura, avvenuta a metà gennaio, erano già state attivate 150 tessere per un bacino d’utenza di 400 persone. L’obiettivo è arrivare, entro fine anno, a distribuire 800 tessere in grado di rispondere ai bisogni di 2.500 persone. «Oltre agli aiuti alimentari che arrivano dall’Unione Europea – spiega don Massimo – i prodotti ci vengono donati dalle grandi catene distributrici oppure li acquistiamo da alcuni grossi produttori». L’em-

porio della solidarietà di Cesano Boscone fa parte della rete degli altri empori nati su tutto il territorio nazionale, da Roma ad Ancona, da Parma a Prato fino a Bari. «L’idea – conclude don Massimo, – è replicare al più presto questo modello in altri comuni della diocesi di Milano». marzo 2015 Scarp de’ tenis

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F FRATELLI RATELLI DI SAN FRANCESCO FRANCESCO D’ASSISI

5xdare mille aiuti

stodire la gente, gente, aver “I vero potere persona, “Ill vero potere è il servizio. servizio. Bisogna cu custodire aver cura cura di di ogni persona, bambini, dei vecchi, vecchi, di di coloro che con a more, specialmente specialmente dei fragili amore, dei bambini, che sono piĂš piĂš fragili che ec he spesso spesso sono nella periferia periferia del nostro nostro cuore.â€? cuore.â€? Papa Papa Francesco Francesco

accoglienza e assistenza assistenza alle persone persone in stato stato di Fratelli La Fondazione Fondazione F ratelli di San San Francesco Francesco d’Assisi Onlus, offre offre accoglienza di bisogno e offer to un VVHQ]D ÀVVD GLPRUD DGXOWL DQ]LDQL H PLQRUL SURPXRYHQGRQH OD ORUR GLJQLWj HQ]D ÀVVD GLPRUD DGXOWL DQ]LDQL H PLQRUL SURPXRYHQGRQH OD ORUR GLJQLWj In un anno abbiamo offerto un letto letto ad oltre oltre 4.160 4.160 persone, distribuit o oltre oltre 1 milione di di p asti, o ffer to accoglienza accoglienza a 3 11 minori, minori, assistit o 7.110 7.110 a nziani, offerto offer to 43.350 visite visite persone, distribuito pasti, offerto 311 assistito anziani, mediche, incontrato incontrato con con l’XQLWj PRELOH QRWWXUQD SHUVRQH, l’XQLWj PRELOH QRWWXUQD SHUVRQH, VHUYL]L GL GRFFH H JXDUGDURED VHUYL]L GL GRFFH H JXDUGDURED ed mediche, ed offerto offer to corsi corsi d italiano, di informatica, inffor ormatica, o rientamento al lavoro, lavoro, assistenza assistenza dii italiano, orientamento le gale ee previdenziale, previdenziale, supporto suppor to psicologico psicologico e sociologico. sociologico. legale

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INCONTRI

LABORATORI

AUTOBIOGRAFIE

CALEIDOSCOPIO

Marco Panzani compositore e cantante mentre si esibisce per le vie di Milano. «Dalla musica ho avuto molto. Appena posso cerco di restituire qualcosa a chi non ha piu nulla»

Marco, rinato con la musica Marco Panzani ha lavorato per anni in un’azienda di condizionatori. Quando è arrivato il taglio del personale lui non ne ha fatto un dramma: ha ripreso in mano la passione di una vita, riniziando a fare musica. Marco suona pianoforte e chitarra eseguendo sia cover che pezzi scritti di suo pugno. Lo incontriamo per le vie di Milano: imbraccia la sua chitarra, ha uno sguardo magnetico e sulle note di “Un vecchio e un bambino” ci fermiamo ad ascoltare. Dopo qualche cover suona un suo pezzo, “Stai vicino a me”, bello, intenso. Marco è un ragazzo coraggioso e ottimista, sostiene che la vita gli ha dato tanto e lui attraverso la sua musica vuole restituire il favore, dedicando alcune serate ai meno fortunati tramite un'associazione. Lavorare a cappello significa essere positivi e coinvolgere il pubblico e Marco ha tutte queste qualità. In bocca a lupo Marco. Facebook: le mie canzoni per la strada. Youtube: marcopanzani1 www.marcopanzani.it

Antonio Vanzillotta marzo 2015 Scarp de’ tenis

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NAPOLI

TORINO

Novità a Rivoli: ora la mensa per i poveri è aperta tutto l’anno

Martone e Germano coppia straordinaria ne Il giovane favoloso Napoli, Cinema Modernissimo, inizio di Via Toledo, la spagnoleggiante strada che porta a Piazza Trieste e Trento. Quanti ricordi mi legano a quella sala. L’occasione per ritrovare il vecchio Modernissimo mi è stata regalata da Mario Martone, regista mio conterraneo. Quando seppi che Martone stava preparando un film su quello che reputo, insieme a Marcel Proust, il più grande mistico moderno, restai basito: ma come, girano un film su Leopardi? Il film è stato in sala molte settimane, e anch’io, insieme agli altri redattori di Scarp, sono andato a vederlo. Il giovane favoloso si presta ad una doppia analisi semiologica: linguistica e visiva. Fotografie in verticale per dare il senso dello spazio indefinito, inquadrature in primo piano di interni ed esterni della casa del Conte Monaldo, per enfatizzare la solennità del luoghi, in particolare la splendida biblioteca dove il giovane trascorreva gran parte del suo tempo. Esatti anche tutti i suppellettili d’epoca per mostrare una nobiltà sobria e antica pur nella sua alterigia. Gli stupendi scorci del “natio borgo selvaggio” dai colori caldi e sensuali, ricostruzione di un ambiente contadino, laborioso e sottomesso culturalmente. Le riprese dal basso e dall’alto delle “solatio collinae” e dei boschi recanatesi, ripresi come luoghi della memoria di un’età spensierata. I dialoghi dotti, eruditi, aspri, ironici ( “quel brav’uomo del Manzoni”). La splendida Firenze vista dal lung’Arno – evito la parentesi romana perché il poeta definiva la “caput mundi” una città provinciale –. La rappresentazione della chiassosa Napoli, zotica e superstiziosa, incapace di riconoscere il candore del genio, richiama lo stato di abbandono e di ignoranza in cui versavano le popolazioni del Sud Italia popolana e bigotta. Un film di una coralità infinita: Elio Germano è stato capace di immedesimarsi nella parte del poeta riuscendo quasi a farmelo accarezzare. La religiosità “mentale” del conte Monaldo, l’alterigia di Donna Adelaide, la dolce Paolina, Carlo, Silvia, Ranieri, ma anche gli addetti del Comune, di nero vestiti, che rastrellavano le case per farsi consegnare dai vivi i parenti uccisi dal Colera Morbis. Due scene mi sono rimaste impresse più di altre: il poeta che inveisce contro la natura, e il suo declamare con grande intensità la splendida “La ginestra”. È un film che dà un’immagine non scolastica del recanatese, fuori dal solito insulso stereotipo, fatto di angoscia, depressione e tristezza. Leopardi era solo affetto da “Melanconia”. Quando si deprimeva era solo perché si vedeva attorniato da “cocente mediocrità”. Era un intellettuale sostenuto dalla bramosia del vivere. Aldo Cascella

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Elio Germano interpreta Giacomo Leopardi nel bellissimo film di Martone

PAROLE

Caro Giacomo grazie di tutto Giacomo Giacomo, eri una persona a me sconosciuta mi hai emozionato tanto… Sei stato un grande scrittore e poeta con tanti problemi di salute però non ti sei mai arreso portando a termine le tue convinzioni i tuoi pensieri, la tua poesia. Ti ho conosciuto grazie a “Il giovane favoloso”, e ho visto che mettevi cuore e passione nella tua penna. Sei stato un grande poeta Ciao Giacomo Monica Esposito

A Rivoli, cittadina della cintura torinese, c’è una mensa per bisognosi che ha una storia particolare. Una decina di anni fa l’allora sindaco, stipulando un contratto di fornitura dei pasti per le scuole cittadine, ottenne l’impegno formale da parte della ditta concessionaria, di fornire quotidianamente anche 15 pasti gratuiti destinati agli indigenti. Il progetto durò diversi anni: ad occuparsi del sevizio di refezione furono i volontari del Centro d’ascolto locale. Il servizio mensa, essendo legato all’attività scolastica, non era però attivo nei giorni festivi e durante i mesi estivi. Ora invece, grazie all’impegno del nuovo parroco, don Giovanni, è stato redatto un accordo con una cooperativa che fornisce i pranzi all’istituto formativo ecclesiastico e, grazie al coinvolgimento della locale sezione del Masci (Movimento adulti scout cattolici italiani), è stato possibile assicurare un pasto ai bisognosi in ogni giorno dell’anno. «L’apporto fornito da noi scout è stato essenziale per la continuità del servizio, che è finanziato esclusivamente da donazioni – spiega Paola –, una volontaria». Attualmente, con l’impegno di circa 40 volontari all’anno, la mensa fornisce 20/25 pasti al giorno a persone in contatto con il Centro di ascolto. Cristina


A Salerno i venditori di Scarp si trasformano in attori Entusiamo e felicità per aver partecipato, come attori retribuiti, al film Doppio Binario insieme all’attore Lucio Bastolla Esperienza nuova e stimolante per Scarp Salerno: infatti io (Patrizio Fuoco) e il collegaAntonio Minutolo abbiamo partecipato, come attori, alle riprese di un film. Si tratta del lungometraggio Doppio Binario, sceneggiato e diretto dai salernitani Conchita De Luca e Paolo Romano. La pellicola parla della crisi socio-economica, nella quale anche persone che credono di aver raggiunto una stabilità, possono ritrovarsi ad affrontare difficoltà e privazioni e essere costrette a vivere in prima persona esperienze di “strada”, a loro sconosciute. Infatti,

nel film si raccontano le vicende di un imprenditore vinicolo che, a causa di un raggiro perpetrato ai suoi danni da una collaboratrice, si ritrova in rovina: perde tutto ed è costretto a vivere per strada, dove conosce la dura realtà dei senza fissa dimora. Io ed Antonio di Scarp Salerno abbiamo interpretato il ruolo di due senzatetto che l’imprenditore incontra sul suo cammino: due personaggi con problematiche socio-economiche e personali, cosa chiaramente non molto diversa dalla nostra realtà di vita, trascorsa in contesti anche geografici non tanto lontani da quelli in cui si è girato il film. Il protagonista poi, grazie all’aiuto di ragazzi operanti nel sociale, riesce a riappropriarsi della sua vita, recuperando tutto ciò che aveva perso: ma intanto ha scoperto un nuovo mondo, quello della strada, e ha concepito una nuova visione della vita, aperta alla condivisione con chi

non ha nulla. Nel ruolo dell’imprenditore vinicolo ha recitato l’attore salernitano Lucio Bastolla, mentre hanno preso parte alle riprese anche gli studenti del Liceo Statale “Alfano I” di Salerno. Con loro gli utenti di Scarp de’ tenis, Patrizio Fuoco e Antonio Minutolo, che per una volta si sono sentiti al centro della “scena”. Patrizio Fuoco

Una boccata di ossigeno Ho sempre avuto la passione per la recitazione, in passato ho avuto delle esperienze in tal senso. Piccole cose, per carità: partecipai ad una rappresentazione in un teatrino di Baronissi, paese vicino Salerno, qualche anno fa; ho inoltre animato “Presepi viventi”, “Vie Crucis” e altre cose. Avevo partecipato, anche di recente, a provini per cortome-

SALERNO traggi e altre opere cinematografiche, ma non ero mai stato selezionato. Dopo il provino, ho pensato: «È fatta, ho realizzato un mio piccolo sogno». Impensabile per me, che raramente posso permettermi di andarci, al cinema. Spero in futuro di partecipare ad altre esperienze di questo tipo. Io e Patrizio sia-

mo stati anche retribuiti per il nostro lavoro sul set: un segno di giustizia e di attenzione verso persone che hanno un bisogno economico, un segno di sincerità d’animo da parte di chi ha organizzato il progetto Doppio binario; persone che non solo parlano ma aiutano concretamente. Retribuzione che, in un momento di crisi, dona a persone come me una bella boccata d’ossigeno. Antonio Minutolo

GENOVA

Sogno un viaggio, lontano dalla stabilità. Ho sempre pensato che sarei andata all’estero... Ho sempre pensato che sarei andata all’estero. Sin da giovane. Per studiare, imparare un mestiere, una nuova lingua. Per entrare nelle usanze e nei costumi di persone lontane da me; per incontrare nuovi sapori, respirare un’aria sconosciuta che potesse rigenerarmi. Ho immaginato tanti luoghi, vicini e lontani. Zone di città, periferie. Mare, montagne, luoghi sperduti. Non è mai stato importante vivere a contatto con le persone. Posso stare anche da sola, lontana dalla civiltà. Anzi, forse è anche meglio. Sono così presa dai miei lavori, dalle creazioni, dai miei prodotti di recupero che un maggiore isolamento sarebbe l’ideale. Dipingo. Disegno. Raccolgo materiali da riciclare: legno, carta, vetro, alluminio. E da quelli creo. Non mi fermo mai, il mio laboratorio è in continuo fermento. La creatività, il fare mi tengono non solo impegnata, ma in continuo collegamento con la mia anima, con il mio interno. Ho sempre pensato che sarei partita. E invece sono sempre qui, come rinchiusa. E dire che passi avanti ne ho fatti. Dagli enormi problemi familiari, alla crisi, all’esordio della malattia. Dal ricovero sono passata in una comunità. Poi in un alloggio protetto. E ora persino la casa del comune. Non posso lamentarmi, sono passata dal buio totale alla possibilità di mettere a fuoco la vita. Vivo in una sorta di tranquillità apparente, talvolta interrotta da qualcuno dei miei blackout. In quei momenti non esco mai, me ne sto rintanata nel mio atelier, a paciugare e spennellare senza un senso. Ad assemblare, incollare, ritagliare. Solo per allontanare quella carica negativa che mi raggiunge all’improvviso. E che, altrettanto all’improvviso, se ne va. Fortunatamente, perché in quella fase ti senti come compressa in una sorta di buco nero, senza via d’uscita. In questo momento sono stabile, così dice chi mi segue. Ma io non voglio essere stabile. Spero sempre di puntare in alto, sollevando la testa e sorridendo alla vita. È paradossale: ho abbandonato la vita di strada. E ora, in modo diverso, la desidero nuovamente. Intesa come viaggio, senza certezze, senza garanzie. Un sogno. Sognare è imprescindibile. D’altronde ho sempre pensato che sarei andata via. Che sarei andata all’estero. [storia raccolta da Stefano Neri] marzo 2015 Scarp de’ tenis

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CALEIDOSCOPIO

Al cavallo Sei figlio del vento e della tempesta. Sei figlio delle nubi e delle onde. Sei figlio del tuono e della folgore. Sei figlio della fiamma dei vulcani. Sei figlio dell’urlo della tormenta. Sei figlio del cielo e della terra. Sei figlio del sogno e della passione. Sei figlio della libertà. Ma mi porterai in sella fino al traguardo fino alla vittoria Mary

Primavera Catturo con lo sguardo un fermento di pollini, capsule di corolle variopinte in procinto di esplodere. Più in alto immagino fra l’intreccio di rami culle di nidi soffici, esserini novelli, implumi ed affamati in gara per la vita. Il sole sgomita per avere la meglio per avanzare ludiche profferte alla diva che viene. Nell’aria un cinguettare misto di ugole festanti un clamore policromo di ali. Bentornate farfalle! È primavera! Aida Odoardi

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All’Ozanam di Como apre una biblioteca per i senza dimora di Salvatore Couchoud

La dignità e il rispetto della persona non passano esclusivamente attraverso i canali dell’accoglienza, della somministrazione di un pasto e dell’assegnazione di un posto letto e di un armadietto in cui deporre i pochi effetti personali a disposizione. E non potrebbe risultare sufficiente nemmeno il passaggio al gradino superiore dell’assistenza assidua e quotidiana proiettata verso la risoluzione delle mille incombenze più o meno pressanti e complicate, come l’intervento sanitario, la regolarizzazione della posizione in società che si esplica anche con la semplice trascrizione o dell’ospite nei registri anagrafici e il relativo aggiornamento dei documenti, la ricerca di un lavoro o di nuove soluzioni abitative. Si tratta di urgenze prioritarie e ineludibili, e solo un folle oserebbe metterne in dubbio il valore e la stringente essenzialità. Quando si parla di dignità e rispetto per la persona, tuttavia, per il presidente della Piccola Casa Ozanam di Como Enrico Fossati «l’attenzione dovrà focaliz-

zarsi su altri e non meno significativi parametri di giudizio. Tradurre in pratica i concetti di accoglienza e inclusività richiede una cura costante e meticolosa alla “salute” anche psicologica e affettiva del soggetto, tendente al recupero e al miglioramento di quelle condizioni di “normalità” che poggiano sulle relazioni interpersonali, parentali e amicali, senza escludere altre componenti non meno fondamentali, come l’uso del tempo libero e della soddisfazione di esigenze che possono dare un senso più alto alla vita.

In tale ottica, l’allestimento in via Cosenz di uno spazio di lettura riservato agli ospiti rappresenta un passo ulteriore nella direzione corretta. Dal romanzo al fumetto, dal libro fotografico al volume artistico riccamente illustrato e dal saggio al testo di poesia non vi sarà che l’imbarazzo della scelta, e in poco tempo gli utenti avranno a disposizione una vera e propria “biblioteca” da frequentare e “valorizzare”. E’ vero che la lettura non costituisce l’occupazione preferita degli italiani ma questo è un difetto generico che non riguarda direttamente i soggetti disagiati. Per l’Ozanam è una nuova e stimolante scommessa, un’iniziativa tra le più ambiziose, ma anche tra le più salutari, del nuovo corso.

la ricetta di Alex Lonza di maiale ripiena Prendete un pezzo di lonza di una quindicina di centimetri e con un coltello affilato tagliatela per lungo, in modo da formare una tasca. Nella tasca mettete una mezza gamba di radicchio di Treviso che cuocerete intero con olio, mezzo spicchio di aglio e mezza salsiccia (o carne macinata). Cuocete a fuoco medio e quando sarà ben cotto sfumate con del vino rosso e infine lasciate raffreddare. A questo punto, sminuzzate il radicchio e unitelo a un uovo e del pane duro che avrete fatto ammorbidire con un po’ di latte. Riempite la tasca con il composto e cucite l’apertura con filo da cucina. La lonza deve essere tutta ben legata. Ripassatela al forno a 180 gradi per circa un’ora. Insieme alla lonza cuocete delle patate con il rosmarino.

Volersi bene Guardarsi negli occhi, un saluto, stringersi la mano, ci vuole poco per volersi bene, una parola buona detta quando conviene, un semplice sorriso che ci balena in viso, una tiepida carezza, il cuore sempre aperto per chi viene. Ci vuole poco per volersi bene.. Gaetano Toni Grieco


SCIENZE

Un consumo regolare di frutta e verdura previene le malattie. Ma non è in grado di curarle.

La dieta alcalina, una bufala che non cura di Federico Baglioni

È sempre più facile imbattersi su internet e sulle riviste in rimedi e diete curative di vario tipo che danno l’illusione di poter guarire da ogni malanno (anche grave) con rimedi facili o, addirittura, con la sola alimentazione.

scheda Federico Baglioni Biotecnologo, divulgatore e animatore scientifico, scrive sia su testate di settore (Le Scienze, Oggi Scienza), che su quelle generaliste (Today, Wired, Il Fatto Quotidiano). Ha fatto parte del programma RAI Nautilus ed è coordinatore nazionale del movimento culturale “Italia Unita Per La Scienza”, con il quale organizza eventi contro la disinformazione scientifica.

Questo è il caso della dieta “alcalina”, che sta avendo un successo mediatico importante, anche grazie ai servizi realizzati della trasmissione televisiva Le Iene. Ma in cosa consiste la dieta alcalina? E può davvero, come spesso si dice, curare da malattie come il cancro? Partiamo dal fatto che il nostro sangue è leggermente alcalino o basico, cioè ha un pH alto (7,4). Il pH è una scala di acidità che va da 0 a 14, dove 7 corrisponde alla neutralità (come l’acqua pura). I nostri succhi gastrici, ad esempio,

hanno un pH molto basso (1-2) e sono cioè molto acidi. L’idea di chi propone questa dieta è che consumare tanti alimenti alcalini come frutta e verdura e pochissimi alimenti acidi, come carne e grassi, “alcalinizzi” il nostro corpo e aiuti a sconfiggere le malattie, cancro compreso. Tabelle piene di dati errati Purtroppo questo è assolutamente falso (e pericoloso): vediamo perché. Innanzitutto pressoché tutti i cibi, compresi frutta e verdura, sono acidi: dagli asparagi alle carote, dalle mele alle banane. L’unico alimento degno di nota veramente basico è l’uovo. Le ta-

belle che vengono riportate dai siti che propongono questa dieta, quindi, sono tutte sbagliate. Non un buon segno per un terapia che promette di curare.

Ipotizziamo però per un attimo di poter consumare veramente alimenti alcalini, cosa succederebbe? Verrebbero subito a contatto coi succhi gastrici (molto acidi) e neutralizzati immediatamente. Se anche esistesse un alimento in grado di mantenere la propria basicità, i reni e la semplice respirazione concorrerebbero a riportare il valore del pH nel sangue nella norma. Questo è essenziale per il corretto funzionamento dell’organismo, in quanto un pH instabile è deleterio. Se infatti si riuscisse a rendere veramente il nostro pH basico, come questa terapia promette di fare, il nostro corpo andrebbe in una condizione, chiamata “alcalosi metabolica”, che porta addirittura alla morte. Attenti ai ciarlatani Infine un altro pericolo di questa dieta è che promette semplicemente cose non vere: è vero che una corretta alimentazione, con un consumo regolare ed equilibrato di frutta e verdura, previene le malattie. Ma non è in grado di curarle. Tantomeno può essere un sostituto, come si sente spesso dire, delle terapie tradizionali come chemioterapia e radioterapia.

Questa vera e propria bufala, quindi, non solo non serve e si basa su assurdità scientifiche, ma induce persone in difficoltà ad abbandonare terapie efficaci per mettersi le mani di pseudoguaritori e rimedi indimostrati. L’alimentazione ha un impatto importante sulla salute, ma diamole il giusto peso, senza promettere ciò che non può fare.

marzo 2015 Scarp de’ tenis

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Le persone in stato di difficoltà a cui Scarp de’ tenis ha dato lavoro nel 2014 (venditori-disegnatori-collaboratori). In 20 anni di storia ha aiutato oltre 800 persone a ritrovare la propria dignità

IL VENDITORE DEL MESE Federica dopo cinque lunghi anni è finalmente uscita dal dormitorio e ha un “pezzetto” di casa in un appartamento protetto.

Federica «In strada giovanissima, ora sogno una casa mia» di Cristina Salviati

info

Federica collabora con il cinema teatro Primavera di Vicenza. Fa la volontaria, aiutando a sbigliettare, presentando qualche serata, rendendosi disponibile. «Mi piacerebbe proprio lavorare per il teatro anche nell’organizzazione e non solo nella recitazione, ma sono pronta a tutto, anche a fare pulizie e riordino».

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VICENZA

Federica è giovane anche se sono ormai cinque anni che abita all’albergo cittadino, ricovero per persone senza casa del Comune di Vicenza. «Finire in strada è stata una bruttissima esperienza, ricordo ancora come un incubo la notte che ho passato da sola in una casa diroccata, al buio e con il terrore che arrivasse qualcuno male intenzionato». Lo shock e la paura hanno messo in crisi Federica che si sta riprendendo un po’ alla volta. Il suo percorso sta andando di pari passo con la scoperta e la messa a fuoco di quelli che sono i suoi talenti e i suoi desideri, e su questa strada un ruolo lo gioca proprio Scarp de’ tenis. Federica è venditrice del giornale da quasi quattro anni, ormai è la veterana del gruppo «tanto che mi chiamano Il Capo» –, racconta. La giovane infatti ormai ha accompagnato e insegnato a tante persone; collabora anche a individuare i luoghi di diffusione, e a coinvolgere nuovi venditori e collaboratori della redazione di scrittura giornalistica.

«A Scarp ho scoperto – racconta ancora Federica – che mi piace recitare. Per il secondo anno sto frequentando il laboratorio teatrale della compagnia amatoriale La Ringhiera, e continuo a partecipare al reading Diario di Strada della redazione di Vicenza». La scorsa primavera con la poesia Il Groviglio, pubblicata anche sul nostro giornale, ha vinto il primo premio al concorso della parrocchia dei Ferrovieri.

«Poi c’è stato il debutto con La Ringhiera – racconta ancora Federica – è venuta a vedermi anche l’assistente sociale con i suoi bambini. Alla fine era molto contenta e mi ha subito messa in lista d’attesa per l’appartamento “di sgancio”. Così oggi ho un pezzetto di casa, non devo più starmene in giro da mattina a sera in attesa che riapra il dormitorio. Ma non mi basta, ora mi sento pronta per avere una casa mia e mi do da fare per trovare dei lavori, anche saltuari». Il tempo passa, le ferite di Federica un po’ si rimarginano e piano piano si costruisce una vita.



Beppe De Palo

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