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Foto Luciano Consolini - Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

LA STORIA

ENRICO RUGGERI: «TRIBUTO A TRE SIGNORI, MAESTRI D’ARTE»

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ANTONELLA CILENTO I DIECI COMANDAMENTI RACCONTATI DA GRANDI SCRITTORI

www.scarpdetenis.it aprile 2015 anno 20 numero 190

Le città degli skaters SULLA STRADA NON IMPORTA CHI SEI, COSA FAI E COME SEI, MA QUELLO CHE SAI FARE SULLA TAVOLA. IL VIAGGIO DI SCARP TRA EVOLUZIONI E SOLIDARIETÀ

DA QUESTO NUMERO LA STRISCIA CON LE STRINGHE



EDITORIALE

Il canone, il Refettorio e le stringhe di Paputsi

LA PROVOCAZIONE

Caritas a Expo 2015 per portare una visione diversa su cibo e alimentazione

di don Roberto Davanzo [ direttore di Caritas Ambrosiana ]

di Stefano Lampertico [

@StefanoLamp ]

Il bollettino di sollecito per il rinnovo del canone Rai è arrivato puntuale in via Mariano Tuccella, a Bologna. Dove, a dire il vero, il destinatario della missiva è effettivamente residente. Ma c’è un ma. Via Mariano Tuccella, anche a cercarla su google o su maps o su chissà quale altra diavoleria dotata di gps, non esiste. Perché via Mariano Tuccella, a Bologna, è la residenza anagrafica per molti homeless. Il fatto in sé è anche divertente e ne parla più avanti – commentandolo – Paolo Lambruschi nella sua rubrica (in)visibili . Ci permette qui di ritornare sul tema della residenza anagrafica e della possibilità di riavere quei diritti di cittadinanza fondamentali anche in quelle situazioni di estrema povertà che ti portano a perdere la casa. Utile per poter accedere ai servizi sanitari o per potersi iscrivere negli elenchi delle case popolari. Sentirsi il fiato sul collo per il rinnovo del canone tv è davvero una situazione, perlomeno, singolare.

Per fortuna ci sono anche le buone notizie. In questa pagina, qui a fianco, il diretto-

re della Caritas Ambrosiana spiega le ragioni della presenza di Caritas in Expo. Una presenza significativa, provocatoria. Su un tema – “Dividere per moltiplicare” – che è già un manifesto di condivisione e un modo di guardare al cibo e all’alimentazione con uno sguardo diverso. A Milano, du-

In questi mesi abbiamo introdotto molte novità. Per rendere rante il periodo di Expo il giornale sempre verrà aperto, a fine maggio, più innervato il Refettorio Ambrosiano, nell’oggi. mensa per i poveri che nasce da un’idea dello chef pluristellato Fateci sapere cosa Massimo Bottura e di Davide ne pensate. Rampello. Un Refettorio, all’inSu Scarp c’è sempre terno del quale saranno cucinati per i poveri –da grandi chef inter- spazio per tutti nazionali – piatti di qualità utilizzando gli avanzi di Expo.Un Refettorio, che sarà bello da vedere, da vivere e da frequentare. Da ultimo. Nelle pagine

centrali vi presentiamo un nuovo amico, Paputsi. Ci accompagnerà a lungo. Graffiando, come nello stile di Scarp. Perché – e lo sapete bene – a Scarp non piacciono molto i giri di parole. Ma piace, e molto, guardare insieme a un mondo migliore. Anche con le stringhe di Paputsi. In questi mesi abbiamo introdotto molte novità. Per rendere il giornale sempre più vostro e sempre più innervato nell’oggi. Fateci sapere cosa ne pensate. C’è spazio sempre per tutti.

contatti Per commenti, idee, opinioni e proposte: mail scarp@coopoltre.it facebook scarp de tenis twitter @scarpdetenis www.scarpdetenis.it

«Ma che cosa ci sta a fare Caritas in un evento come Expo?». Permettermi di iniziare a rispondere dicendo che non siamo così ingenui e sprovveduti da non vedere il rischio che a farla da padroni siano le grandi multinazionali del cibo, piuttosto che gli Stati che non perderanno l’occasione di sbandierare le ultime scoperte in ambito agricolo e alimentare. Se abbiamo fatto la scelta come Santa Sede e come Caritas Internationalis di partecipare ad Expo è stato per la preoccupazione di portare una visione dell’alimentazione che non fosse solo commerciale. Abbiamo intuito che dietro a questi temi c’è il futuro stesso del pianeta, che parlare di cibo significa ricordare che più di 800 milioni di esseri umani non hanno cibo e acqua a sufficienza, mentre nei Paesi ricchi l’eccesso di cibo genera patologie forse più devastanti di quelle prodotte dalla sua penuria. Non potevamo non esserci in un evento mondiale sul tema dell’alimentazione specie noi cristiani che abbiamo conosciuto un Dio che per farci venire voglia di lui non ha usato il linguaggio della minaccia delle fiamme dell’inferno, ma quello dell’invito a cena. Un Dio che quando ha deciso di diventare uomo come noi le cose più belle le ha fatte a tavola, fino a farsi cibo per gli uomini, fino a darsi da mangiare. Di questo parleremo in Expo. Di un impegno a far sì che ci sia cibo per tutti perché membri di una stessa famiglia. Pronti a rivedere i meccanismi economici che abbiamo inventato noi popoli del ricco occidente, convinti di disinnescare quelle bombe ad orologeria che abbiamo attivato col tollerare e incentivare vergognose ed inaccettabili inequità. aprile 2015 Scarp de’ tenis

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SOMMARIO

Foto Luciano Consolini - Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

LA STORIA

ENRICO RUGGERI: «TRIBUTO A TRE SIGNORI, MAESTRI D’ARTE»

ANTONELLA CILENTO I DIECI COMANDAMENTI RACCONTATI DA GRANDI SCRITTORI

3,50 strada le della

Il mensi

Tre Signori, le città degli skaters e i grandi scrittori

www.scarpdetenis.it aprile 2015 anno 20 numero 190

Le città degli skaters SULLA STRADA NON IMPORTA CHI SEI, COSA FAI E COME SEI, MA QUELLO CHE SAI FARE SULLA TAVOLA. IL VIAGGIO DI SCARP EVOLUZIONI E SOLIDARIETÀ

DA QUESTO NUMERO LA STRISCIA CON LE STRINGHE

Un tema insolito per il racconto di copertina di questo numero. Un tema che è però tutto nostro, di strada. Raccontiamo le città che stanno sotto le rotelle degli skaters, dei ragazzi che fanno gruppo – a Milano li incontri in Centrale, ma non solo – e che hanno riti e codici definiti. Una recente ricerca americana

dice che Milano è una delle migliori 25 città al mondo per praticare questa disciplina. Scarp la racconta a modo suo. Siamo andati a parlare con i ragazzi di Milano, Genova e Vicenza. Ragazzi che ci dicono: «Sulla strada siamo tutti uguali». Non importa chi sei, cosa fai, come sei. Importa solo maneggiare, e bene, quella tavola a rotelle sotto i piedi. Ragazzi che sarebbero piaciuti a Enzo Jannacci, da descrivere in versi in una canzone o a Giorgio Faletti per un suo racconto. E forse, e qui ci addentriamo in letture quasi sociologi-

che, anche a Giorgio Gaber. Tre Signori. Che Enrico Ruggeri, grande cantautore e “narratore” di storie, ha riunito in una splendida canzone presentata – purtroppo a notte fonda – sul palco di Sanremo. Abbiamo fatto qualche domanda a Enrico. E le risposte che ci ha dato, e che potete leggere nelle pagine che seguiranno, sono tutt’altro che banali. Come profonde sono le parole del racconto di Antonella Cilento sul comandamento “Non commettere atti impuri”. Un racconto molto bello. Da leggere con attenzione.

Risate a seppellire miserie subumane, le diagnosi dei mali si lasciali fare che stanno scherzando si prendono in giro lo

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rubriche

servizi

PAG.7 (IN)VISIBILI di Paolo Lambruschi PAG.9 IL TAGLIO di Piero Colaprico PAG.10 LE STORIE DI MURA di Gianni Mura PAG.12 LA FOTO di Massimo Sestini PAG.14 PENNE PER SCARP di Antonella Cilento PAG.19 PIANI BASSI di Paolo Brivio PAG.20 LE DRITTE DI YAMADA di Yamada PAG.21 VISIONI di Sandro Patè PAG.41 POESIE PAG.53 VOCI DALL’AFRICA di Davide Maggiore PAG.65 SCIENZE di Federico Baglioni PAG.66 IL VENDITORE DEL MESE

PAG.22 L’INTERVISTA Enrico Ruggeri: «Tributo a Tre Signori, maestri d’arte» PAG.24 COPERTINA Riscrivere le città con una tavola PAG.32 LA STORIA Fahim, da sans papiers a re degli scacchi PAG.34 LA STRIP Arriva Paputsi PAG.36 INCHIESTA Capaccio, dove le religioni non dividono PAG.38 MILANO La solidarietà di Esraa e Lamis, milanesi col velo PAG.42 RIMINI Sulla strada per scrivere una tesi PAG.44 VICENZA Marta insegna a scrivere col cuore PAG.46 MILANO Mom’s bar, all’happy hour con il passeggino PAG.47 TORINO Una Boa urbana per aiutare chi dorme in strada PAG.48 VERONA Dag, regista che non gira solo film PAG.51 VENEZIA Creare relazioni per dare speranza ai senza dimora PAG.54 VENTUNO La fiera delle previsioni sbagliate PAG.61 CALEIDOSCOPIO Incontri, laboratori, autobiografie PAG.62 NAPOLI Il bello o il vero. Viaggio nella scultura napoletana PAG.64 COMO Symplokè, il metodo Caritas per gestire i flussi migratori

Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it

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Scarp de’ tenis aprile 2015

Direttore responsabile Stefano Lampertico Redazione Ettore Sutti, Francesco Chiavarini, Paolo Brivio

Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli

Redazione di strada Roberto Guaglianone, Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Alessandro Pezzoni

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Il men

aforisma di Merafina L’incantesimo Mano nella mano l’incantesimo si è spezzato e ognuno per proprio conto torna a casa

www.scarpdetenis.it febbraio anno 19 numero 188

Cos’è

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fanno surreali sulla scena e il tema è lo show stanno facendo da ore Tre Signori (Enrico Ruggeri) tributo a Enzo Jannacci, Giorgio Gaber e Giorgio Faletti

Scarp de’ tenis è un giornale di strada noprofit nato da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe. È un’impresa sociale che dà voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione.

Dove vanno i vostri 3,50 euro Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Per contattarci

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TOP 15

Maggiori economie mondiali 1 2

34 Foto Luciano Consolini, Nino Romeo CameraSudMilano- CSM, Stefano Merlini Disegni Sergio Gerasi, Giampaolo Zecca, Alessandro Mazzetti, Gianfranco Florio, Luca Usai

dati 2014, fonte: Fondo monetario internazionale

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Cina Stati Uniti India Giappone Germania Russia Brasile Francia Indonesia Regno Unito Messico Italia Corea del Sud Arabia Saudita Spagna

Progetto grafico Francesco Camagna Sito web Roberto Monevi Editore Oltre Soc. Coop. via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti

Direzione e redazione centrale - Milano Cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3 tel. 02.67479017 scarp@coopoltre.it Redazione Torino Casamangrovia, corso Novara 77, tel. 011.2475608 scarptorino@gmail.com Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12 tel. 010.5299528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Verona Il Samaritano, via dell’Artigianato 21 tel. 045.8250384 segreteria@ilsamaritanovr.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38 tel. 0444.304986 scarp@caritas.vicenza.it Redazione Venezia Caritas Venezia, Santa Croce 495/a tel. 041.5289888 info@caritasveneziana.it Redazione Rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69 tel 0541.780666 rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Il Samaritano, via Baracca 150/e tel. 055.3438680 samaritano@caritasfirenze.it Redazione Napoli Cooperativa sociale La Locomotiva largo Donnaregina 12, tel. 081.441507 scarp@lalocomotivaonlus.org Redazione Salerno Caritas Salerno, Via Bastioni 4 tel.089 226000 caritas@diocesisalerno.it

Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber via della Volta 179, 24124 Brescia

Consentita la riproduzione di testi, e foto citando la fonte. Arretrati al doppio prezzo di copertina. Questo numero è in vendita dal 29 aprile al 2 maggio 2015 aprile 2015 Scarp de’ tenis

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(IN)VISIBILI

Dignità per l’ultimo viaggio degli invisibili Solo in Lombardia al 31 dicembre del 2013, le persone morte senza nome erano 99. In tutta di Paolo Lambruschi Italia sono circa 1.300. Persone Non è mica sempre vero che le istituzioni pubbli- che hanno diritto che non pensino agli invi- a un ultimo viaggio sibili. Prendiamo mamma Rai, terreno dignitoso. che ha sollecitato il pagamento del canone a un cittadino bolo- Un dovere morale gnese residente in via Mariano nei confronti Tuccella, strada inesistente nel del popolo capoluogo emiliano. La via è infatti l’indirizzo fittizio con il della strada quale prendono la residenza anagrafica gli homeless bolognesi. Lo rende noto sul suo sito alla voce #cosetragicomiche l’associazione Avvocato di strada, che si batte per i senza dimora. Difficile, commentano, che il loro assistito residente in via Mariano Tuccella possegga un televisore, visto che non ha neppure un alloggio. All’infortunio degli zelanti funzionari Rai fa per fortuna da contraltare una circo-

lare del ministero dell’Interno, la quale stabilisce che le persone che vivono in case occupate possono comunque prendere la residenza nel comune. Rispetto al piano casa approvato un anno fa si tratta di una parziale correzione di rotta. Il piano casa del governo del marzo

2014 stabilisce che chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedervi la residenza. Cosa ha cambiato questo irrigidimento? Nulla, non si sono liberati gli stabili occupati, ma migliaia

di famiglie che occupano immobili vuoti per non finire in strada sono state penalizzate. Se si perde la residenza, infatti, si perde il diritto di curarsi, di votare, di iscrivere i figli a scuola. La retro-

marcia dovrebbe portare qualche miglioramento alla vita di persone che hanno perso lavoro e casa e che spesso si pongono fuori della legalità occupando per non dover vivere in strada con i bambini. Dovere morale

scheda

Paolo Lambruschi è nato a Milano nel 1966. Lavora ad Avvenire, come capo degli interni, dopo essere stato per tanti anni inviato. Ha diretto Scarp de’ tenis e il mensile di finanza etica Valori. Nel 2011 ha vinto il prestigioso premio giornalistico “Premiolino” per le inchieste sul traffico di esseri umani nel Sinai.

C’è infine un ultimo aspetto del quale nessuno si cura e dove l’istituzione pubblica sta tornando in campo. Riguarda l’ultimo viaggio degli invisibili, quelli trovati morti senza documenti.

Solo in Lombardia al 31 dicembre del 2013, le persone morte senza nome erano 99. In tutta Italia sono all’incirca 1.300. Mi aveva parlato di questo dramma il grande Ermanno Azzali, fondatore a Milano della Cena dell’amicizia, una delle colonne del volontariato milanese e uno dei papà di Scarp. Ermanno, un chi-

mico che in un’esplosione era stato gravemente menomato e da allora si era dedicato con l’anima al popolo della strada. Ermanno ci ha lasciato ormai da qualche anno (cosa aspetta Milano a dedicargli una via?!) e alla fine degli anni ‘90 mi aveva raccontato del triste, ma prezioso servizio silenzioso compiuto da molte associazioni, le quali accompagnano gli homeless senza nome defunti al funerale perché almeno l’ultimo viaggio terreno non sia solitario.

Di questi giorni la notizia della collaborazione tra Viminale e Regione Lombardia per sperimentare un modello operativo che faccia fronte a questo fenomeno doloroso, da estendersi poi su tutto il territorio nazionale. In sostanza si creerà un circuito informativo, comune a tutti i soggetti istituzionali, per consentire il confronto e l’incrocio tra i dati relativi alle persone scomparse e quelli relativi ai cadaveri o resti umani non identificati. Un dovere morale nei confronti di queste persone e delle loro famiglie per ridare un nome a chi, magari non per sua scelta spontanea, ha perso la propria identità, ma mai la propria dignità umana.

aprile 2015 Scarp de’ tenis

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IL TAGLIO

Che audience in tv per le lacrime della mamma Qualche tempo fa, a Garlasco, vedo una giornalista di una tv con gli occhi rossi di pianto. Si sta sfogando con il cameraman. «“Voglio le lacrime della

di Piero Colaprico

mamma”, il direttore me lo continua a ripetere, se non gli troviamo la mamma dice che domani manda qui un’altra, che devo fare?», domandava, parecchio in ansia. Una scena che non si può non definire inquietante.

La notizia oggi è diventata più difficile da definire. E anche il giornalista, che vive di notizie, è diventato - è come un gioco di specchi - più difficile da definire. Anche se alcune certezze restano. Una su tutte «le lacrime della mamma» non sono una notizia, sono quasi pornografia. Ma quale mamma non piange la figlia assassinata? In quel caso era Chiara Poggi la vittima. La morte fa spettacolo, non ce ne dobbiamo vergognare. Ma un conto sono le morti in teatro o al cinema. Un conto è il giornalismo-spettacolo sulla reale morte altrui. Morte di bambini, donne, persone fragili. Lo

spettacolo della morte è antico, ma negli ultimi vent’anni ha trovato nella televisione un grande spazio. Ha rotto gli argini,

scheda

Piero Colaprico (Putignano 1957), giornalista e scrittore, vive a Milano dal 1976. È inviato speciale di Repubblica, si occupa di giustizia e di cronaca nera. Ha scritto alcuni romanzi, tra cui Trilogia della città di M. (2004), vincitore del Premio Scerbanenco. Una penna tagliente. Come questa rubrica che cura per Scarp.

suo malgrado, la tragedia della «mamma di Cogne». Poi ci sono state migliaia di ore di diretta tv su Sara Scazzi ad Avetrana e sul mitico «zio Michele». Tv utile nel caso di Elisa Claps, uccisa nel 1993, ritrovata anni dopo, sepolta sul tetto della chiesa di Potenza. Tv guardona per Meredith a Perugia, ma soprattutto per Amanda, l’americana accusata dell’omicidio. Caso dopo caso, si è arri-

vati, a Yara Gambirasio. Yara. Tredici anni, aveva cominciato la terza media, faceva la ginnasta. Segnalo tre date. Il 26 novembre del 2010 scompare nel tragitto tra la casa e la palestra a Brembate di Sopra, nel-

La verità delle vittime esiste ancora per il giornalismo-tv? E il giornalista televisivo cerca la verità o cerca di non fare emergere la verità così com’è?

la bergamasca. Il 26 febbraio 2011 viene trovata, in un campo di Chignolo d’Isola. Nel giugno 2014 viene arrestato Massimo Giuseppe Bossetti, muratore della zona, bergamasco, biondo, occhi azzurri, padre di tre figli. E che cosa succede? Nel 2010, si apre la caccia al mostro: è viva, è morta, è stato «un marocchino», c’entra un cantiere. Nel 2011, quando si scopre che sui resti c’è un Dna maschile, quello di «Ignoto uno», prevale nei processi via tv il disfattismo: «Ignoto uno è l’assassino, ma questi detective di provincia non lo troveranno mai, chissà dov’è». 2014, lo trovano e il pubblico ministero Letizia Ruggeri fa scattare le manette. Le tv dovrebbero congratularsi? Niente affatto: «Figuriamoci se basta il Dna, e comunque non è lui». Con un corollario di fanfaluche, come l’ipotesi che Yara sia stata tenuta prigioniera e poi un giorno misterioso scaricata là «dove i volontari sono passati tante volte». Balle totali. I rilievi della Scientifica avevano già documentato

che i volontari erano passati entro i dieci metri del bordo del campo, mentre i resti di Yara erano ad ottanta metri. Così come, si sapeva che la bambina aveva in mano un ciuffo d’erba, strappato nell’agonia, proprio in quel posto. E c’erano gli sterpi arrotolati intorno alla sua caviglia, perché era caduta ed è stata rigirata là, mentre era ancora viva, dal suo assassino. La botanica è una scienza. Ma al conduttore tv importa? Ancora oggi c’è chi chiede alle platee televisive: «Dov’è stata uccisa Yara?». Ma si può? Non è questione di limiti della libertà di stampa. E nemmeno di decenza, di rispetto, di umanità. O meglio, queste questioni esistono, ma n’esiste un’altra: la verità delle

vittime esiste ancora per il giornalismo-tv? La verità non è facile da raggiungere, ma bisogna almeno provare a cercarla. La domanda è dunque una molto precisa, e senza risposta: il giorna-

lista televisivo cerca la verità o cerca - viceversa - di non far emergere la verità così com’è? Forse «serve» mantenere comunque in vita un giallo, un mistero, per fare un’audience che porta pubblicità e dunque soldi? Perché nel processo televisivo emerge sempre più nitida la figura dell’innocentista disinformato che viene lasciato parlare a oltranza, sempre schierato a favore dei presunti colpevoli. Scelta che, in democrazia, può essere meritoria. E moltissimo. Se non fosse per un dettaglio: l’innocentista mette sempre in dubbio la correttezza del lavoro degli investigatori e dei magistrati, ma non fa mai le domande più semplici al presunto assassino o al suo avvocato. Anzi, annuisce sempre ascoltandoli. E questo annuire è molto televisivo. Come mostrare «le lacrime della mamma». Purché siano sempre e solo le lacrime degli altri. aprile 2015 Scarp de’ tenis

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Lilian Thuram. E le battaglie contro tutte le forme di razzismo Dice che di essere nero s’è accorto a nove anni. Prima, nella Guadalupa dov’è nato, erano tutti neri, e uguali. Nella banlieue di Parigi no. «Al-

di Gianni Mura

scheda

Gianni Mura è nato a Milano nel 1945. Giornalista e scrittore. Su Repubblica cura la rubrica Sette giorni di cattivi pensieri, nella quale – parlando di sport, s’intende – giudica il mondo intero. In questa rubrica racconta invece le storie di sport che, altrove, faticherebbero a trovare spazio.

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lora c’era un cartone animato in tv, molto seguito. Protagoniste due mucche, Blanchette bianca e intelligente, Noiraude nera e stupida. I compagni di scuola mi chiamavano Noiraude. L’ho detto a mia madre e lei mi ha detto che il razzismo esiste dappertutto, che bisognava abituarsi e fare finta di niente». Ma Lilian Thuram non s’è abituato e non ha mai fatto finta di niente. Nel calcio è stato un campione: 5 anni al Monaco, 5 al Parma, 5 alla Juve, 2 al Barcellona. A 36 anni ha smesso per via di una malformazione cardiaca che già era costata la vita a suo fratello Antoine, mentre giocava a basket. Trascuro di elencare scudetti e coppe vinti in Italia. Ricordo il titolo mondiale del ‘98 (3-0 in finale al Brasile), quello europeo del 2000 (al golden-goal sull’Italia) e il secondo posto al mondiale del 2006 (vinse l’Italia ai calci di rigore). Ambasciatore dell’Unicef È stato ed è un campione anche fuori dal campo di calcio, perché la sfida avviene su un campo molto più vasto: il mondo. Già

membro della consulta francese contro il razzismo, già in prima fila quando c’era da replicare a Le Pen e a Sarkozy, Thuram ha creato una Fondazione, a suo nome, nel cui logo si legge: “Educazione contro il razzismo”. Ma anche contro il sessismo e l’omofobia, contro ogni atteggiamento discriminante. Alla Fondazione Lilian Thuram collaborano antropologi co-

La cosa peggiore che si può fare è negare che il razzismo esista, in ogni società. Il problema esiste, è grave e va affrontato, non sminuito e negato. Vale per gli stadi e le città

me Françoise Héritier, sociologi come Michel Wieviorka, filosofi come Tzvetan Todorov, storici come Pascal Blanchard, psicologi come Patrick Estrade. Un’iniziativa intitolata “L’invenzione del selvaggio” ha avuto oltre 300 mila visitatori ed è stata votata nel 2012 come miglior mostra dell’anno. Nel 2006, in

occasione di una partita Francia-Italia, Lilian ha comprato di tasca sua 80 biglietti e li ha distribuiti ai sans papiers, i clandestini destinati all’espulsione. Thuram è ambasciatore dell’Unicef, ha già scritto due libri: “Le mie stelle nere” e “Per l’uguaglianza”, entrambi tradotti in italiano. Crede molto in quello che

fa ed è disponibile a recarsi nelle scuole, perché è lì, oltre che nell’ambiente familiare, che secondo lui nasce e cresce, oppure non nasce, il razzismo. «La cosa peggiore che si può fare è negare che il razzismo esista, in ogni società. Il problema esiste, è grave e va affrontato, non sminuito o negato. Vale per gli stadi e per le città, le nazioni. Perché allo stadio si

fa il verso della scimmia ai giocatori neri? Non è razzismo, dicono molti commentatori e anche molti addetti ai lavori: è un modo per demoralizzare un avversario temuto. Ah sì? E allora perché questo verso non viene fatto a calciatori bianchi, a loro volta avversari temuti? E perché si fa i verso della scimmia e non del cane, del gatto o del maiale? Perché i neri nella visione degli ignoranti sono l’anello che collega le scimmie ai bianchi. Se un calciatore nero si sente ferito ed esce, non cambia nulla, lo sostituiscono. Ma è tutta la sua squadra, bianchi compresi, che dovrebbe uscire dal campo. Non farlo equivale a un’omissione di soccorso. Fino a che il razzismo sarà visto come un problema dei neri o l’omofobia come un problema degli omosessuali non si faranno passi avanti». Le stelle nere di Lilian Le sue stelle nere sono quelle che hanno contribuito a fare passi avanti. Marcus Garvey, il giamaicano che fondò la Black Star, una compagnia di navigazione che nell’ottocento trasportava i neri quando nell’arcipelago si praticava la segregazione. E naturalmente Rose Parks, Muhammad Alì, il poeta Aimé Cesaire, la cantante Billie Holiday, detta Lady Day, interprete della struggente


LE STORIE DI MURA

Quando vinse il premio Altropallone, Thuram volle ritirarlo in una sede inusuale: una scuola di periferia, a Milano, per avere la possibilità di spiegare ai ragazzi i valori di una società civile e multietnica

Strange fruits, Nelson Mandela, Martin Luther King ma anche Esopo, il favolista che arrivò in Grecia come schiavo etiope, e Aleksander Puskin, uno dei maggiori poeti russi, che aveva sangue abissino e ne era fiero.

Nel 2005 a Thuram fu assegnato il premio Altropallone, che noi giurati chiamiamo confidenzialmente Pallone duro, in opposizione al più famoso Pallone d’oro. In parole povere, è destinato a qualcuno che fa qualcosa di buono e utile anche per gli altri, quelli che stanno peggio. In genere la premiazione si svolge nel centro di Milano, nel palazzo della Provincia. Thuram ci

chiese se fosse possibile spostarla in una scuola di periferia, e così andò: istituto Greppi di Quarto Oggiaro. Arrivò puntuale, raccontò le sue esperienze partendo da Blanchette e Noiraude, si rese di-

Nel 1998 la Francia vinse i Mondiali con una Nazionale multietnica. Thuram segnò due goal in semifinale nella gara più sofferta. Ma la vera vittoria fu alzare la Coppa del Mondo e insieme tappare la bocca a Le Pen

sponibile a centinaia di fotografie e autografi. Solo dieci minuti prima che arrivasse, i ragazzi si dicevano: figurati se un giocatore della Juve si fa vedere qui a Quarto Oggiaro. E invece si fa vedere. E parla di diritti, di uguaglianza, di storia e di geografia, come oggi parlerebbe di ius soli. Una nazionale multietnica La cultura è un chiodo fisso di Thuram. Nelle scuole, specie

le elementari, si siede alla scrivania e coi suoi occhialini sembra davvero un professore. Chiede: «Sapete chi è Cristoforo Colombo?«. E i bambini in coro: «Sì, è l’uomo che ha scoperto l’America«. E lui: «Se adesso una persona aprisse

la porta, potrebbe dire di avere scoperto quest’aula?». «No, c’era già l’aula, e noi dentro». «Appunto. Anche l’America c’era già, coi suoi abitanti dentro». E da lì può partire la discussione. Quando

Jean Marie Le Pen, nel ‘98, disse che in Nazionale c’erano troppi neri per i suoi gusti, Thuram ribattè che erano tutti cittadini francesi e si battevano per la Francia. Era davvero una nazionale multietnica, quella di Aimé Jacquet: Zidane di origini algerine, Thuram nato in Guadalupa, Vieira in Senegal, Desailly in Ghana, Karembeu in Nuova Caledonia, Lizarazu con radici basche, armene Djorkaeff e Boghossian. Nella semifinale con la Croazia, la gara più sofferta, Thuram segnò i due gol della vittoria, ma la vera vittoria fu alzare la Coppa del Mondo e insieme tappare la bocca a Le Pen. aprile 2015 Scarp de’ tenis

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153.000

5.5 milioni

L’agenzia di controllo dei confini creata dall’Ue, stima che nella rotta del Mediterraneo nel 2014 sono transitate 153 mila persone di queste 35.775 di nazionalità siriana e 32.682 eritrei (fonte: Frontex)

È il numero di persone costrette, nel primo semestre 2014, a scappare dalle guerre (fonte: Unhcr)

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LA FOTO

di Massimo Sestini

scheda

World Press Photo È un’organizzazione no-profit con sede ad Amsterdam. È stata fondata nel 1955, è l’organizzazione del più grande e prestigioso concorso di fotogiornalismo mondiale. Oltre a selezionare le fotografie vincitrice del World Press Photo of the year assegna premi in altre otto categorie

La straordinaria fotografia di Massimo Sestini: rifugiati su un barcone soccorsi dalla marina militare italiana il 7 giugno, durante l’operazione Mare Nostrum

Con questa foto che immortala dall’alto il salvataggio di un barcone di migranti al largo delle coste libiche durante l’operazione Mare Nostrum, Massimo Sestini ha vinto il secondo premio nella categoria General News Singles del World Press Photo 2014

156.365 È il numero dei migranti assistiti dalle navi militari nell’ambito di Mare Nostrum dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014 (fonte: Marina Militare) aprile 2015 Scarp de’ tenis

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Antonella Cilento, non commettere atti impuri

Marilisa’s desires

di Antonella Cilento

Marilisa ha fatto uno strano sogno stanotte. Era alla guida della sua utilitaria, quella che, quando sono da lei, a Napoli, di solito usano Antongiulio e Filomena, i suoi figli.

scheda

Antonella Cilento (Napoli, 1970) è stata quest'anno fra i cinque finalisti del Premio Strega con Lisario o il piacere infinito delle donne (Mondadori), vincitore del Premio Boccaccio 2014. Ha pubblicato tra gli altri per Guanda Una lunga notte (Premio Fiesole, Premio Viadana), Neronapoletano, L’amore, quello vero, Asino chi legge, La paura della lince (Rogiosi) e, ancora, Il cielo capovolto (Avagliano), Non è il Paradiso (Sironi), Napoli sul mare luccica (Laterza), Nessun sogno finisce (Giannino Stoppani, Premio Giulitto). Insegna scrittura creativa dal 1993 in tutta Italia per Lalineascritta Laboratorio di Scrittura (www.lalineascritta.it)

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Un poliziotto, lungo via Cilea, la fermava, la faceva accostare e le sequestrava l’auto. Marilisa allibiva: che cosa aveva fatto di male? E poi non si poteva certo fare un inseguimento con la Smart. Così aveva abbassato il finestrino sorridente, mostrando il suo aspetto alla Edvige Fenech, cui nessun uomo, nemmeno a quest’età, può rivolgere sgarberie. Ma dietro al poliziotto erano in tre, dell’età di Filomena, che masticavano gomma a tempo unificato, ridacchiando, le sventate, i capelli all’aria, le gambe chiuse in fuseaux neri e fucsia, ingiubottate, il cappellino di pelliccia sulle spalle. Era per andar via con le tre minorenni che il poliziotto le sottraeva l’auto! E del suo sorriso ben tenuto se ne fregava. Marilisa fissava il ragazzone, di un’età indefinita fra i trenta e i quaranta, capelli neri, mossi come un carabiniere di provincia che aveva visto di recente pubblicizzare di tonno in tv. Rabbiosa, ingranava e ripartiva, lasciandolo con le squinziette lì, imbambolato su via Cilea. Un sogno assurdo e idiota, tuttavia bisogna sapere che Marilisa e l’auto ultimamente, da quando è andata in pensione, sono diventate la stessa cosa. Toglie la macchina a Marilisa e Marilisa muore. Non importa che dietro di lei si facciano file immense, non conta che tutti suonino nervosi il clacson perché rallenta, guarda le vetrine, risponde al cellulare. L’auto è più della casa, più dei figli, più di un amante piacente – e a Marilisa non sono mai mancati, per tutta la vita –tipo il carabiniere del tonno in tv. Al risveglio, perciò, il caffè è amaro, la donna ucraina che fa le pulizie le sembra sciatta e sgarbata – le tende sono stirate male, bisogna pur farglielo notare – e l’albero di Natale è stato abbattuto da Canicola, il persiano di Filomena, che tutto l’anno sembra sappia solo presidiare il suo golfino preferito e invece, davanti alle decorazioni argentate, si comporta come un qualsiasi trovatello sovreccitato. E poi la notizia di Antongiulio, che studia a Marburg e arriverà con ritardo, perché ha perso l’aereo. Una giornata inguaiata. Marilisa però non demorde: si veste tutta scollata e si profuma per gli ultimi regali, i preparativi della cena natalizia del giorno dopo cui sovrintende senza cucinare

(almeno questo, passata la condanna capitale di essere moglie e madre attiva fino a pochi anni fa), un cinema con Lilli, l’amica di canasta. Passa in rassegna tazze, piatti, bicchieri, risponde a telefonate di auguri e a quelle di enti di beneficenza cui riserva consuete donazioni ogni anno, accetta di andare in visita ai bambini del reparto oncologico del vicino ospedale che ha contribuito a rinnovare, ma il pensiero è sempre lì: al sogno. Possibile mai che un sogno tanto scemo le si sia fissato in testa e non ci sia modo di toglierlo di lì? E poi lei non crede ai sogni. Non ci gioca manco i numeri come faceva la buonanima di mammà. E allora? Pensa alle tre sedicenni un poco zoccole che vanno con il poliziotto che somiglia al carabiniere venditore di tonno in tv. E se Filomena fosse così? Che sciocchezze: Filomena è una ragazza serissima, fidanzata con Mario Scaccia, il figlio della sua amica Lilli. Alta borghesia partenopea. Pure mentre si cotona i capelli tinti, si trucca e contempla la pelle che tutte le amiche le invidiano, il volto del poliziotto che vuole fare cose sconce nella sua auto con tre sedicenni le appare alle spalle, riflesso nello specchio. Basta, meglio uscire. Al pomeriggio Lilli l’ha trascinata a vedere un film americano, una storia deprimente di donne che non sanno farsi valere. Marilisa ha osservato di sottecchi Lilli con un pregiudizio antico di quarant’anni, quanto dura la loro amicizia (di canasta): i soliti, gonfi capelli grigi (ma che coraggio a non tingerseli!), il solito golfino di cachemire ocra (sembra il gemello di quello del gatto Canicola: possibile, con tante case e tanti soldi, che non sappia fare uno shopping decente?), il volto coperto di rughe non ben nascoste da evi di crema (e jamme, nu fil’ ‘e trucco…), gli occhi chiari affondati nella pelle che scivola via. Meno male che il figlio, Mario, è uscito meglio, va’. Prima della proiezione si è parlato di cose note, il rosario della Napoli-bene: case di vacanza, figli, nipoti. Quanti a cena? Io, Antongiulio e Filomena. Noi, i soliti venti o trenta. L’aereo in ritardo da Marburg di Antongiulio. Il vaccino antinfluenzale, non l’avevo fatto e allora sono corsa. I golf di cachemire per Natale in un negozio


PENNE PER SCARP di via Gennaro Serra che ha cose molto carine. Ho preso una felpa con una “capa” di Marylin Monroe per Filomena, non ho resistito, esclama Lilli (Marilisa sa già che sua figlia lo metterà solo per fare contenta la “suocera”). A Sofia invece io un vestito molto sfizioso (almeno si mette una cosa decente, pensa Marilisa). Ah sì, Filomena ha una struttura sottilissima, una bellezza particolare. Lei e Mario vengono a Rivisondoli, allora. Quest’anno è scesa tanta neve, è tutto bloccato fino a Roccaraso. E’ meglio che vadano lì, altrimenti a Napoli stanno a casa. Mettiamo da noi un divano letto e ci dorme la ragazza. In quella, ecco entrare e sedersi proprio nella fila davanti a loro tre sedicenni, i fuseaux, i giubbotti, la pelliccetta: tali e quali! Marilisa s’irrigidisce, Lilli lo nota, o forse no, intanto è iniziata la proiezione.

illustrazione di Giampaolo Zecca

Risalgono le scale dell’uscita di sicurezza incuneate nel torpedone del pubblico vociante. - Comunque è bene che l’abbiano fatto – sta dicendo Lilli. - Che cosa? – chiede Marilisa. Lilli risponde ma la voce si perde nella confusione. - Che cosa hanno fatto? – chiede di nuovo Marilisa che è un po’ agitata, non ha inteso bene. - Dicevo che oggi non è come ai tempi nostri e meno male che Filomena e Mario… Tu, poi, li puoi capire, che da giovane non hai scherzato… Marilisa guarda allibita l’amica: le sta rivelando senza preavviso o motivo alcuno un dettaglio che lei preferiva bellamente igno-

Il volto del poliziotto che vuole fare cose sconce nella sua auto con tre sedicenni le appare alle spalle Abbiamo chiesto a dieci grandi scrittori un racconto per ogni comandamento. Sul prossimo numero Non dire falsa testimonianza di Gianrico Carofiglio

rare, e cioè che la sua figlia più piccola, avuta tardissimo, cuore di mamma sua, fa le schifezze con il figlio di questa gnoccolona baciapile, che sono quarant’anni che si veste come Julie Andrews nella prima metà di Tutti insieme appassionatamente. E tiene anche la faccia tosta di rinfacciarle le avventure che Marilisa ha potuto avere, visto che era bella - ed è ancora bella - invece di trascorrere le domeniche a battersi il petto in chiesa come lei. Vedi l’invidia quanti anni impiega a manifestare la sua vendetta, pensa indignata Marilisa. Però, un fatto nuovo la distoglie dal dirne due, e più, a Lilli: in cima alla scala, sul marciapiede, un poliziotto sta osservando l’auto che Marilisa ha parcheggiato veramente alla cecata, cioè malissimo. - Ma l’hai lasciata qui, Marilì? – inzolfa Lilli, che a differenza dell’amica la prima cosa che ha fatto da pensionata è stata liberarsi dell’auto. Marilisa la ignora e corre per evitare di farsi comminare la multa, il poliziotto si gira e lei vede, preciso preciso, quello del sogno. Proprio identico. Non una virgola di differenza. Il capello nero da vitellone pugliese. L’occhio scuro da pesce morto. Il sorriso da tonno tv. Si sente poco bene, inciampa nel tacco troppo alto che non rinuncia ad indossare. Il poliziotto la prende per un gomito e la sorregge. - Signora, tutto bene? - Sì, sì – balbetta Marilisa – ma l’auto… - È sua? - Sì, ma non gliela presto per quelle tre! Il poliziotto la guarda perplesso. Marilisa sembra una furia. Dietro di loro attraversano e passano effettivamente le tre sedicenni del sogno che erano al cinema: vociando vanno a farsi l’aperitivo da Cimmino. Il poliziotto per una frazione di secondo le fissa compiaciuto, o così sembra a Marilisa. Poi, con calma, torna alla signora in sosta vietata: - Signora, ma… Marilisa, nella stessa frazione di secondo, profittando della distrazione del venditore di tonno, ha trovato la chiave nella borsa, mentre di solito impiega ore a rintracciarla, ha aperto, è salita e ha messo in moto, quindi, profittando che il traffico sta scorrendo (altro miracolo), ha ingranato, lasciando sul posto il poliziotto e Lilli, che l’aveva finalmente raggiunta le mani svolazzanti di perché. Nemmeno dieci metri dopo, però, inchioda, apre il finestrino e si sporge a urlare. Prima al poliziotto: - Se vuoi l’auto, la prossima volta, devi invitare me, no ‘e guagliuncelle! – quindi all’ “amica”: - E, Lilli? ‘O vuò sapè? Tuo figlio tiene un cesto di lumache in testa, stai pronta! Filomena è figlia a me! E furibonda, Erinni incompresa, novella Niki Lauda, scarta suonando a tutti e facendo fuggire i pedoni nella città del Natale. aprile 2015 Scarp de’ tenis

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IN BREVE

europa Caritas Europa: «La crisi sociale non è finita»

di Enrico Panero «La crisi non è finita. I diritti sociali sono messi in discussione in Europa a causa di una crisi economica evolutasi in crisi sociale e sempre più politica. Le scelte politiche, erodendo la dimensione sociale, stanno avendo un impatto estremamente negativo sulle persone vulnerabili». È quanto denuncia Caritas Europa nel Rapporto sull’impatto della crisi (Crisis Monitoring Report 2015). Secondo le rilevazioni delle Caritas nazionali in Europa negli ultimi anni sono aumentati i rischi sociali, sono stati ridimensionati i sistemi sociali, mentre individui e famiglie scivolano sempre più nella povertà. Sono aumentate le famiglie in grave deprivazione materiale e bassa intensità di lavoro, si è esteso il rischio di povertà fino a persone che un lavoro ce l’hanno. Una situazione diffusa, ma che riguarda soprattutto i Paesi meno attrezzati a fronteggiare la crisi (tra i quali l’Italia). L’Ue e i suoi Stati membri continuano a concentrarsi sulle politiche economiche a spese di quelle sociali, con risultati «devastanti» sui cittadini, osserva Caritas Europa: «Il fallimento dell’Ue e degli Stati membri nel fornire sostegno alle persone in difficoltà, nel proteggere i servizi pubblici essenziali e nel creare posti di lavoro, è probabile che prolunghi la crisi». Richiamando quindi l’Ue alle responsabilità nei confronti dei cittadini più vulnerabili, Caritas Europa chiede di introdurre il poverty proof, una valutazione dell’impatto che i provvedimenti pubblici hanno sulle persone in difficoltà. info: www.caritaseuropa.eu

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Per Il saltimbanco e la luna, a Vicenza, biglietti sospesi Della redazione di Scarp Vicenza è invece l’idea dei biglietti sospesi, che po-

Scarp de’ tenis Vicenza e la Caritas diocesana vicentina, in collaborazione con il teatro Astra, hanno organizzato, sabato 18 aprile, lo spettacolo Il saltimbanco e la luna con le canzoni di En-

tranno essere acquistati e poi regalati alle persone senza dimora che vogliono assistere all’evento. La rappresentazione ha due finalità: rendere omaggio al grande Jannacci, da cui Scarp prende il nome, e raccogliere fondi per le attività con i senza dimora della redazione vicentina di Scarp de’ tenis.

zo Jannacci per la voce di Susanna Parigi, l’artista che sarà in scena insieme ad Andrea Pedrinelli. I due artisti che hanno dato vita allo spettacolo teatrale dedicato a Enzo Jannacci.

Info: vicenza@scarpdetenis.net

street art Cappelli in strada, con rispetto e civile convivenza Un gruppo di artisti di strada di Milano ha deciso di aprire una pagina facebook per diffondere la cultura dell'arte di strada, portatrice di valori come l'intrattenimento e il divertimento, ma non solo: una cultura fatta di gioia, disciplina e sorrisi in cambio di una moneta, un applauso o un semplice sorriso. L'antica tradizione popolare a Milano è regolamentata e disciplinata da una normativa. La pagina vuole essere un mezzo di condivisione virtuale e un forum di discussione sull’arte di strada che non è più vista come accattonaggio ma valorizzazione artistica, culturale e turistica del territorio urbano. Oltre ad avere un ruolo sociale ed essere occasione di incontro fra le persone che ogni tanto placano la fretta e si rilassano a guardare un giocoliere o ad ascoltare una musica piacevole. Lo slogan degli artisti è: “ogni giorno nel rispetto delle regole e civile convivenza”.

info www.facebook.com/groups/805644702815423/

on

off

Detekt è uno strumento digitale gratuito per le associazioni che potranno verificare se i propri pc sono sorvegliati da programmi di spionaggio degli apparati governativi. Detekt è stato messo a punto da Claudio Guarnieri, ricercatore di origini italiane che vive e lavora in Germania; lanciato da Amnesty ha lo scopo dichiarato di aiutare giornalisti e militanti per i diritti dell'uomo a proteggersi dallo spionaggio dei governi. In alcune parti del mondo queste pratiche di spionaggio si traducono in arresti, torture, detenzioni illegali. Gli spyware sono ufficialmente diventati una tecnologia da tenere sotto controllo anche per l’Unione Europea al punto che la loro esportazione fuori dai confini Ue dal dicembre 2014 prevede un’autorizzazione: è vietato alle aziende produttrici di spyware di esportare i loro programmi-spia in quegli Stati a regime dittatoriale dove tali strumenti tecnologici diventerebbero lesivi dei diritti umani.

Nel solo mese di dicembre 2014 sono state 345 le denunce inoltrate dai minori alla Polizia postale per cyberbullismo. 32 i casi in cui le vittime appartengono a una fascia d'età dagli 0 ai 9 anni; 75 dai 10 ai 13; 238 dai 14 ai 17. I dati sono stati definiti allarmanti dalla Polizia soprattutto se li si confronta con quelli relativi al mese di dicembre 2013. Esattamente un anno prima infatti il totale delle denunce era di 190, tutte pervenute dalla fascia d'età 14-17. Nessuno dagli zero ai 14 anni aveva denunciato fenomeni di cyberbullismo alla Polizia postale. Nell'ultimo mese dell'anno appena trascorso, invece, ben 64 minori, tra maschi e femmine, di un'età compresa tra i 14 e i 17 hanno denunciato la diffusione di dati personali online.

Amnesty lancia Detekt contro lo spionaggio governativo

Cyberbullismo Crescono le prime fasce d’età


[ pagine a cura di Daniela Palumbo ]

Chi fa da sé risparmia e orienta il futuro sostenibile

“La mia gente” in mostra di nuovo a Milano Chiacchierate fiume, interviste infinite e ricerche disperate sulla vita e il genio di Jannacci compongono il mosaico di Peccato l’argomento. Accanto, 50 tavole di grandi fumettisti raccontano i protagonisti delle sue canzoni: emarginati, stralunati, disperati e sognatori. Per raccontare Enzo Jannacci una biografia non basta... Ci vuole orecchio! Ad aprile la mostra “La mia gente” è ospite della Feltrinelli di Piazza Piemonte a Milano (dal 1 aprile fino a fine mese - inaugurazione mercoledì 8 aprile, ore 18).

mi riguarda I giornalisti in erba raccontano Scarp de’ tenis

pillole homeless Nelle mini case di Gregory c’è il riparo per gli homeless Nelle Little homeless homes le persone meno fortunate possono trovare un piccolo ma accogliente riparo. A costruirle è l’artista Gregory Kloehn, ad Oakland negli Usa. Gregory ha realizzato un vero e proprio villaggio per i senzatetto costituito da 25 case di piccolissime dimensioni. I ripari sono creati con materiali di scarto, recuperati da discariche illegali della zona e dai cumuli di spazzatura abbandonati per strada. Kloehn rovista nella spazzatura e realizza le sue casette con pallets, reti, doghe di letti, fogli di plastica, ombrelli, griglie. Alcune le dipinge. Le piccole abitazioni hanno un’altra particolarità: sono tutte mobili, essendo dotate di ruote per seguire gli abitanti nei loro spostamenti. Kloehn ha avuto l’idea di costruire le casette quando, un giorno, un homeless si è affacciato nel suo studio, chiedendogli una coperta per ripararsi. L’iniziativa può essere sostenuta con donazioni sul profilo facebook di Gregory (fb:Gregorylincoln Kloehn)

Il progetto di Caritas Ambrosiana dedicato alle scuole, dal titolo: Metti un giorno in classe con Scarp de’ tenis, ha preso il via nello scorso anno scolastico in collaborazione con il Comune di Milano. Di cosa si tratta? Due operatori del giornale - una giornalista e un assistente sociale - insieme a un venditore, raccontano in classe ai ragazzi come nasce Scarp de’ tenis e in che modo promuove i diritti delle persone senza dimora. Una delle classi che hanno aderito al progetto, la III H della scuola media L. Beltrami, guidati dalla professoressa Giorgia Ghezzi, ha raccontato l’avventura di Scarp in un concorso per giornalisti in erba promosso dal quotidiano Il Giorno, intervistando il direttore Stefano Lampertico. Il pezzo è poi uscito sul Giorno nello scorso febbraio. Grazie ragazzi, uno splendido articolo! Chi volesse contattare la redazione di Scarp de’ tenis per il progetto dedicato alle scuole, in collaborazione con l’assessorato Educazione e Istruzione del Comune di Milano, può scrivere a dpalumbo@coopoltre.it.

Con la primavera sono iniziati i nuovi corsi di autoproduzione di Corto Circuito, storica cooperativa sociale del comasco. Tutti all'insegna del riciclo e del fai da te. La sartoria è di scena in aprile, dal 9 e per i due giovedì a seguire. Il 16 aprile e il 7 maggio due corsi in provincia di Como, in particolare a Capiago Intimiano, per quanti vogliano imparare a fare in casa il sapone per viso e corpo e il detersivo per il bucato. Ma anche saponette agli oli essenziali per profumare armadi o ambienti. Sabato 13 e 27 giugno due corsi a Binago, da un produttore locale, per imparare a produrre da soli il formaggio primo sale con latte di capra. Prenotarsi. Info formazione@cooperativacortocircuito.it

Torino città aperta e fruibile per le persone disabili Si chiama ToTo4All ovvero Torino tour for all: una mappa interattiva compatibile con dispositivi apple e android e scaricabile da Itunes e Google play. In sostanza è un'app dove sono mappati 30 punti di interesse del centro storico di Torino privi di barriere architettoniche e descritti con un sistema di sintesi vocale. Una semplice app per cellulare che promette di rivoluzionare il turismo accessibile nella città di Torino. A realizzarla Fondazione Crt: in particolare un team di sviluppatori ha disegnato un itinerario percorribile in circa tre ore e mezzo lungo il quale, oltre a monumenti e siti archeologici, è possibile visitare luoghi come botteghe o caffè storici. In base al tipo di disabilità selezionata, l’applicazione offrirà indicazioni su misura per ognuno dei percorsi, con una dettagliata descrizione di chiese, strade piazze, edifici ed esercizi commerciali storici. Info ufficiostampa@unimeier.eu aprile 2015 Scarp de’ tenis

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IN BREVE

Il rapper Kaligola con la sua canzone Oltre il giardino ha vinto il Premio Bardotti per il miglior testo del Festival

Zanzaunlibro è un’iniziativa di Biblioteche in Rete a San Vittore a cui partecipa anche Caritas Ambrosiana. L’obiettivo è di migliorare il patrimonio del sistema di biblioteche del carcere di San Vittore grazie al sostegno di tutti i cittadini che potranno contribuire all’acquisto di dizionari, libri in lingua, classici, saggi, romanzi degli ultimi anni, testi scolastici e audio libri scelti sulla base degli effettivi bisogni dei lettori di San Vittore. L’acquisto si può effettuare online sul sito www.hoepli.it o individuando la libreria più vicina su www.bibliorete.org/#zanzaunlibro Info www.hoepli.it

Firenze. A teatro voci da dentro il manicomio Nel 2012 la compagnia Teatro Periferico ha raccolto le storie di coloro che hanno vissuto all’interno dell’ex Ospedale psichiatrico di San Salvi a Firenze. Malati, medici, infermieri e assistenti sociali. Con l’intento di ricostruire le condizioni di vita e di lavoro all’interno del manicomio. Il materiale raccolto ha dato vita a uno spettacolo dal titolo: “Mombello - Voci da dentro il manicomio”, realizzato in collaborazione con la compagnia delle Ali. Dopo due anni di repliche, nell’autunno del 2015, la compagnia porterà in giro per l’Italia lo spettacolo teatrale nelle diverse città che hanno ospitato gli ex manicomi: Firenze, Limbiate, Genova, Reggio Emilia, L’Aquila, Aversa, Roma, Volterra. Grazie al progetto Case Matte finanziato dalla Fondazione Cariplo. Le rappresentazioni avverranno nei vecchi ospedali psichiatrici, oggi chiusi e in alcuni casi minacciati dalla speculazione edilizia. Info info@teatroperiferico.it

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foto Giorgio Amendola

Un libro per la biblioteca del carcere di San Vittore

IL RICORDO

Kaligola, a Sanremo con la storia di un homeless. E il testo lo premia di Daniela Palumbo

Il più giovane cantante in gara a Sanremo ha vinto il Premio Bardotti per il miglior testo presentatoa nella categoria giovani. Il rapper Kaligola, all'anagrafe Gabriele Rosciglione, romano, 17 anni, con la sua canzone Oltre il giardino ha convinto pubblico e giuria. Perché Kaligola? Quando a 14 anni ho iniziato a scrivere canzoni rap stavo studiando la storia romana e mi aveva colpito l’imperatore Caligola. Personaggio enigmatico, passato alla storia per la sua follia sanguinaria, ma secondo me ancora tutto da scoprire. Oltre il giardino, il tuo brano, racconta di un uomo solo, Giovanni, e per molti versi invisibile. L’ispirazione mi è nata incontrando molto spesso sull’autobus che mi porta a scuola, un uomo un po’ trasandato ma sempre allegro, in contrasto con le

facce cupe e tristi degli altri passeggeri. Mi ha fatto pensare a quanto poco sappiamo della vita degli altri. Di homeless ne ho conosciuti diversi quando facevo catechismo e ho avuto occasione di fare volontariato in un centro Caritas di Roma. Mi ha impressionato il fatto che ce ne fossero tanti, anche persone curate, che incontrandole per strada non sospetteresti che si trovano in difficoltà. Fai il liceo scientifico, ami Rilke e la Merini. Non sei anomalo come rapper? No. Molti rapper si rifanno alla poesia, per una questione di ritmi e di rima. Questo legame con la poesia in alcuni è più evidente, in altri meno. Chi ascolti? Soprattutto rapper americani degli anni Novanta, mi piace il loro sound. Tra gli italiani, Caparezza. Di musica classica ascolto soprattutto Chopin e Bach. Se dovessi raccontare una persona perbene, quali qualità metteresti in primo piano? Bontà, educazione e umiltà.

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PIANI BASSI

L’eterno ritorno dei rom, utilissimi a chi li disprezza

di Paolo Brivio

«Inesorabilmente, noiosamente, approssimativamente, si torna a parlare di rom. Erano un po’ spariti dai radar dell’informazione che conta e che orienta (…). Ma sono tornati prepotentemente alla ribalta». Beh, prepotentemente forse no. Ma, ultimo avverbio a parte, potrei tranquillamente riciclare (anzi, ho tranquillamente riciclato) l’incipit di un vecchio editoriale per Scarp. Scritto nell’ottobre 2010. Quasi cinque anni fa. Perché lo sappiamo: siamo il paese dell’eterno ritorno. Eterno ritor-

abitato da partiti che devono confezionarsi una nuova credibilità oltre gli scandali, solcato da leader che necessitano di scorciatoie mediatiche per puntellare le proprie ambizioni: scenario ideale, per rispolverare il più comodo dei capri espiatori. Intendiamoci. Qui non si tratta di negare l’evidenza. Cioè che nelle comunità rom si annidano clan, bande e individui che fanno dell’illegalità e del microcrimine un incorreggibile stile di vita. D’altronde, nemmeno si può tacere – lo certificano ripetuti pronunciamenti co-

no dei problemi reali. O presunti tali. In ogni caso, stanca-

scheda

Paolo Brivio, 48 anni, si è appassionato ai giornali ai tempi dell’università. E ha coniugato questa passione-professione con l’esplorazione dei “piani bassi” della nostra società. Direttore di Scarp dal 2005 al 2014, oggi fa il sindaco: pro tempore, perché rimane “giornalista sociale” in servizio permanente effettivo

mente irrisolti. Prendiamo, appunto, il caso dei rom. Una parolina, dietro la quale si cela una popolazione etnograficamente complessa e demograficamente ultraminoritaria (120-150 mila persone stimate, 0,23-0,25% dei residenti nella penisola). I romsinti-camminanti sono pochi, tendenzialmente non più nomadi, almeno per metà di cittadinanza italiana. Eppure torna comodo, e assai fruttuoso per gonfiare un consenso “di pancia”, strepitare in

Non si tratta di negare l’evidenza. Cioè che tra i rom si annidano bande e individui che fanno dell’illegalità un incorreggibile stile di vita. D’altronde, favore di telecamera che ci invadono, che mettono a repen- nemmeno si può taglio la nostra sicurezza, che vo- tacere che quella gliono vivere nei campi per costruir- rom è la minoranza si uno scudo di illegalità, che sucpiù discriminata chiano indimostrabili sussidi… Sono sprezzanti tiritere, più vol- in Europa. E che te risuonate nell’ultimo decennio. molti suoi membri Tornano a galla adesso, con il campo della politica agitato da alleanze che sono onesti si scompongono e ricompongono, e laboriosi cittadini

munitari – che quella rom è la

minoranza etnica più discriminata in Europa. E che molti tra i suoi membri sono onesti e dignitosi e laboriosi cittadini (compresi alcuni venditori di Scarp). Tornerà lo stesso incipit Prima di sbraitare, bisognerebbe insomma provare a riflettere sulla

dannata propensione dei circoli viziosi a perpetuarsi (il marginale sviluppa più disponibilità a delinquere, e il delinquente finisce per vedere accentuate le discriminazioni che lo marginalizzano). Allora si riuscirebbe a stabilire che, in prospettiva, forgiare politiche conviene più che spacciare paure. Dall’ultima volta che i rom sono finiti insistentemente sotto i riflettori, qualcosa in realtà si è mosso. Il cosiddetto piano Maroni, ministro dell’interno che lo volle, si è però risolto in una sequela di sgomberi e nel finanziamento di nuovi, più controllati insediamenti collettivi. Soprattutto, non ha ispirato

politiche continuative, non emergenziali. Se la questione rom la si vuole risolvere, nel doppio segno della legalità e dell’integrazione, la strada imboccata non pare quella giusta. Ma se c’è chi dei rom ha un disperato bisogno – perfetti

come sono, per scatenare paure e capitalizzarle nell’urna –, allora tocca rassegnarsi: torneranno, di quando in quando, a far capolino nelle cronache. E noi torneremo a fare editoriali con il medesimo incipit. aprile 2015 Scarp de’ tenis

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LE DRITTE DI YAMADA

Diana Krall in Wallflower voce che non lascia scampo di Yamada

florescenza, indirizzerei direttamente sulle zolle di terra e i rami degli alberi tutte le tracce del nuovo cd di Diana Krall, Wallflower. Canadese, nata di novembre sotto il segno dello Scorpione, Diana studia al Berklee College of Boston che fa fiorire il suo talento jazz al piano. Ha iniziato a far dischi 20 anni fa e da allora ha venduto oltre 15 milioni di copie in tutto il mondo. È sposata con Elvis Costello, e mamma di due gemelli dal 2006. La sua micidiale cifra espressiva è nutrita dall’ammaliante combinazione tra il piano (che suona da dio) e la sua voce (canta da dio). Niente, è quel tipo di cantante confidenziale cui fareste cantare tutte le vostre canzoni preferite: cool intimate and graceful, così definivano il suo timbro agli esordi nel 1993.

Il tempo, il vissuto, le sue fondamenta musicali hanno addirittura permesso un miglioramento nel canto, un’evoluzione espressiva che avviene – puntuale come le florescenze – ad ogni disco, grazie alle curiosità musicali che muovono la Krall nella scelta del materiale da interpretare. Questo Wallflower è un disco che non lascia scampo: una manciata di canzoni stratosferiche ricantate da Diana Krall, illuminan-

20 Scarp de’ tenis aprile 2015

Diana Krall è quel tipo di cantante confidenziale cui fareste cantare tutte le vostre canzoni preferite

“La contea dei ruotanti” è un romanzo che guarda la disabilità da un punto di vista originale. Ed è infatti un mondo rovesciato quello che proprone Bomprezzi, “giornalista a rotelle” scomparso di recente, dove la normalità è rappresentata dalle persone disabili e i “camminanti” sono i diversi. Fino a che il lettore si interrogherà su cosa sia la normalità.

ti come stelle e sonanti in arrangiamenti essenziali cui ha dato cure, idee e amore David Foster – 16 Grammy Award sulle mensole di casa –mago delle produzioni pop. Il merito di questi arrangiamenti è nella strada breve che – chi ascolta – deve fare per entrare nel cuore-pathos delle canzoni. D’accordo, con titoli tipo California Dreamin’, I’m Not in Love, Don’t Dream It’s Over, Desperado, Wallflower (pezzo poco noto di Dylan), che difficoltà avrebbe il cantante di turno a inondarci con la loro bellezza?

Franco Bomprezzi La contea dei ruotanti Il Prato, euro 10

Indagine sull’Isis

Tutti i titoli sono da far tremare i polsi: quelli sopra-

il disco Wallflower di Diana Krall

Loretta Napoleoni ci spiega chi sono e cosa vogliono le milizie isalmiche che minacciano il mondo. Una minaccia che punta a far nascere dalle ceneri dei conflitti mediorientali non un gruppo terroristico, ma un vero e proprio stato, con un suo territorio, una sua economia e con un’enorme forza di attrazione per i musulmani fondamentalisti di tutto il mondo.

citati, più due pezzi degli Eagles (Big Lebowski se ne farà un ragione, ndr), Feels like Home, Sorry Seems to Be the Hardest Word, un inedito a firma Paul McCartney, Alone Again: c’era il rischio di strafare, di schiantarsi, di stravolgere i pezzi. E invece tutti quelli che hanno suonato collaborato e prodotto questo fantastico lavoro devono avere sognato contemporaneamente un’entità musicale che ha benedetto i loro intenti. Ci met-

Loretta Napoleoni Isis. Lo stato del terrore Feltrinelli, euro 13

terete un’ora a leggere tutti i nomi che han portato la loro arte in queste incisioni. Tra gli altri: Stills & Nash ai cori, Timothy B. Schmit degli Eagles qui e là, Michael Bublé a far stringere il cuore in Alone Again, Blake Mills alle chitarre e Bryan Adams a grattugiar dolcezza su Feels Like Home e nelle foto ufficiali del disco: suoi sono gli scatti che colgono il sorriso di Diana Krall. Che – brava – mette un fiore nel nostro petto, accanto alla –solita – dolcezza inquieta.

Storie della crisi e degli sfratti forzosi

[ a cura di Daniela Palumbo ]

Ci vuol dolcezza e pazienza, dopo il ciclico immobilismo invernale, a convincere i semi che ormai possono aver l’ardire di sbocciare. Per implementare la

Il mondo rovesciato di Bomprezzi

Entro nella vita delle persone per farle uscire di casa. Questo è il mio lavoro. Inizia così il libro di Giuseppe Marotta, che fa un lavoro poco conosciuto e molto odiato: l’ufficiale giudiziario. Si mette in gioco in prima persona: lui figura odiata e temuta e, allo stesso tempo, garante di giustizia e artefice di mediazione. Giuseppe Marotta Gli sfrattati Corbaccio, euro 15


VISIONI

Piccolo extra di Senza Lucio. Paolo Nutini a Scarp de’ tenis: «Quando ero giovane, i miei coetanei andavano a coricarsi sentendo i Metallica, io mi facevo un bicchierino e ascoltavo Caruso»

Ancora vivi. Il docufilm sulla Bar Boon Band Bar Boon Band protagonista di un docufilm per la regia di Massimo Fanelli Ancora Vivi. Il racconto di Fanelli si focalizza sulla storia artistica e umana del gruppo e del mondo degli homeless, dal quale il progetto trae ispirazione ed è veicolo di comunicazione.

Un film Senza Lucio Il documentario di Mario Sesti di Sandro Paté

Sesti firma un documentario su Lucio Dalla pieno zeppo di ricordi, che biamo intervistato il regista di Senza ha già conquistato Lucio, documentario nelle sale cinetutti a partire matografiche a partire dal 4 marzo, a due anni dalla scomparsa, nel gior- dai distributori. no che sarebbe stato il suo comple- Si potrà vedere anno. Mario Sesti, critico, giornaliin più di 150 sale sta e pure eccellente documentarista, ha costruito un racconto per in tutta Italia «Volete sapere chi era? Pasolini una volta disse: “Quando incontro una persona non penso mai sia inferiore a me”. Questo pensiero è la biografia di Lucio Dalla». Ab-

immagini a partire da chi è stato più a vicino a Lucio negli ultimi anni. Come lo splendi-

E straordinario, tra foto, interviste, ricordi di vacanze e persino strani episodi soprannaturali, è il lavoro di raccolta di aneddoti fatto in questo film che registra i ricordi di amici, conoscenti e vari famosi attratti dalle canzoni di Lucio come dalla sua personalità. Da Renzo Arbore a Toni Servillo, passando per Charles Aznavour e Isabella Rossellini, tanti cercano di raccontare i luoghi preferiti dal cantautore da Bologna alla Puglia. «La vera Italia inizia da Roma», diceva l’autore di Anna e Marco e L’anno che verrà, con la fissazione per i tempi morti passati con le persone normali. Momenti che, con una persona così piena di vita, di allegria e di speranze, morti non lo erano affatto. Come il nostro Jannacci con Scarp, anche il Dalla, che ha ispirato il giornale di strada Piazza grande, non diceva mai di no a nessuno. Stupefacente zibal-

L’Oscar per Citizenfour Ha vinto l’Oscar 2105 il lavoro di Laura Poitras, la prima ad essere stata coinvolta da Edward Snowden nelle “soffiate” del Datagate. Il suo Citizenfour conduce lo spettatore dentro le rivelazioni di Snowden, e fanno conoscere al mondo la sorveglianza di massa. Citizenfour regia di Laura Poitras

done cinematografico dalliano che funziona come i ricordi. Dai tempi dei concerti in piccole

il film Senza Lucio di Mario Sesti Soggetto: Massimiliano De Carolis e Mario Sesti Voce e foto: Marco Alemanno

cave jazz, alle maratone cinematografiche casalinghe, Senza Lucio è concepito senza un vero filo rosso a legare il tutto. Dopo la visione, non a caso, anche lo spettatore vuole raccontare il “proprio” Lucio Dalla e porsi sullo stesso piano degli intervistati. Lo fa anche Mario Sesti con noi: «Era un turbine di ener-

gia, empatia, humour e talento. A stargli vicino, ci si precipitava dentro».

BabelTv il canale che parla di diversità

[ a cura di Daniela Palumbo ]

do L’ultima sequenza, il suo precedente documentario su Federico Fellini, tutto inizia con delle fotografie. «Sono di proprietà di Marco Alemanno e in buona parte inedite. In effetti, se non fosse presuntuoso dirlo, credo che faccia parte di qualcosa che potrei chiamare il “mio” stile. In realtà, non è affatto mio. Da La Jetéefino al recente Il sale della terra, trovo che al cinema le fotografie si vedano meglio che in qualsiasi altro posto e che su uno schermo cinematografico, dove per lo più le immagini sono in movimento, usare immagini fisse produca un effetto di magnetismo, irrealtà, rappresentazione, straordinari».

Ancora vivi regia di Massimo Fanelli

Nata nel 2010 su Sky BabelTv passa in chiaro. Servizio, intrattenimento e una programmazione dedicata alle storie e alle culture delle comunità straniere. Il canale 244 è dedicato agli italiani curiosi di conoscere le culture e agli stranieri desiderosi di poter fruire di programmi prodotti nei loro Paesi e sottotitolati in italiano. www.babeltv.it aprile 2015 Scarp de’ tenis

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Pezzi di vita. Il nuovo album di Enrico Ruggeri sarà pronto per la fine di aprile. Conterrà anche la canzone Tre Signori presentata a Sanremo

Enrico Ruggeri «Il mio tributo a Tre Signori, maestri d’arte» di Andrea Pedrinelli

L’omaggio del cantautore milanese a tre grandi artisti, tre intelligenze superiori – Jannacci, Gaber e Faletti – che hanno fatto, e faranno, scuola. 22 Scarp de’ tenis aprile 2015

Posto quasi a chiusura della kermesse, durante la finale, è stato uno dei momenti artisticamente migliori dell’ultimo Festival di Sanremo. Senz’altro ne ha rappresentato una doverosa ammenda, fortemente voluta da Carlo Conti, dopo che in una delle serate precedenti due (pseudo) artisti non avevano trovato di meglio, pensando di far ridere, che offendere la memoria (e le famiglie) dei cantanti italiani deceduti negli ultimi tempi. Facendo divertire purtroppo molti giornalisti, ma lasciando allibito Conti in primis.

Parliamo della presenza come superospite a Sanremo 2015 di Enrico Ruggeri: che sullo stesso palco che lo vide trionfare nell’87 (Si può dare di più) e nel ’93 (Mistero) ha presen-


L’INTERVISTA

Sia Jannacci che Gaber sono stati viaggio nel Paradiso possi- unici: uno ha creato bile di Giorgio Gaber, Enzo Jannacci e Giorgio Fa- un nuovo modo di letti. Chiosando poi, con poche, fare musica usando durissime e necessarie parole, il surrealismo, che ricordare chi muore non è qualcosa su cui ironizzare, ma l’altro un nuovo solo questione di educazione e modo di far concerti sensibilità. Ruggeri sta lavorando al nuovo disco, quando lo in- fra teatro e canzone tercettiamo: ed è un disco che di cui oggi tutti, ovviamente conterrà anche Tre me compreso, Signori, canzone che sarà piaciuta molto, Lassù, al Signor G, a Fa- ci riempiamo letti e soprattutto a Jannacci. la bocca

tato l’inedita Tre Signori, delicato

Uno che sull’educazione e il rispetto di chi soffre non ha mai scherzato. Ma Enrico Rugge-

ri viene dalla stessa scuola di Artisti con la maiuscola; altri, citando il Dottore, «sono solo animatori da villaggio turistico che hanno sbagliato palco». Com’è nata la sua presenza, inattesa, a Sanremo? Avevo fatto sentire il pezzo a Conti anche in previsione di una mia partecipazione alla gara. Ma ho rinunciato perché ero in ritardo col disco, non avrei avuto pronte neanche le partiture per l’orchestra. Però a Carlo evidentemente il brano gli era piaciuto, e quando mi ha chiesto di cantarlo fuori gara sono stato ben felice di farlo. Perché Gaber, Jannacci, Faletti? Sono quei brani che scrivi in mezz’ora. Sorridendo. Pensavo al luogo comune per cui sarebbe meglio finire all’Inferno, perché c’è gente più interessante. Jimi Hendrix, Jim Morrison… E mi sono detto: e se invece il Paradiso fosse un premio? Se fosse un posto dove puoi fare sempre e solo le cose più belle che hai fatto nella vita? Siccome penso spesso a Faletti, mi sono imma-

ginato lui e i due maestri, tre persone spiritose, intelligenze superiori, che si trovano in Paradiso e là, insieme fanno arte. Non crede che Faletti alla sua morte sia stato sottovalutato come cantautore? Le sue canzoni, anche per Milva o Drupi, erano molto belle, e con un linguaggio originalissimo… Non c’è simpatia per chi fa un mestiere diverso e invade il tuo campo. L’ho sperimentato sulla mia pelle. Pesti i piedi, vogliono che tu faccia una cosa sola. Lui era un cabarettista di successo, poi ha scritto canzoni importanti, poi ha venduto milioni di libri: eh, dà fastidio a tanti. Quanto hanno inciso Enzo Jannacci e Giorgio Gaber sul Ruggeri cantautore? Noi milanesi abbiamo troppo pudore, non parliamo mai di una nostra scuola che invece esiste. Sia Jannacci che Gaber sono stati unici: uno ha creato un nuovo modo di far musica usando il surrealismo, l’altro un nuovo modo di far concerti fra teatro e canzone di cui oggi tutti, me compreso, ci riempiamo la bocca. Senza contare il mondo intorno a loro: Fo, Viola, Simonetta, Cochi & Renato…

Potrebbe essere il rap. Che è un po’ il movimento di base: come il punk al quale mi dedicai io agli esordi. Il problema è che è sconfinato nel pop, nei pezzi per teenager. Io mi aspetto dai rapper un salto di qualità, che siano loro i cantautori di domani. J-Ax ha fatto un disco in quella direzione. E Milano come sta rispetto a quella degli anni di piombo, che lei viveva appunto da punk? Siamo alla svolta. L’Expo è un detonatore, le altre città che l’hanno ospitato sono decollate. I problemi di Milano sono in realtà i problemi dell’Italia, e la risposta a tutti i problemi sarà solo una: far rispettare le leggi. Ho conosciuto muratori albanesi che mi chiede-

scheda Il nuovo album di Enrico Ruggeri sarà doppio, si intitolerà Pezzi di vita ed uscirà sul finire del mese di aprile. In esso confluiranno quattordici brani incisi nel periodo 1980/1985 debitamente riletti, e dieci inediti. L’artista lo presenterà dal vivo al Teatro Nazionale di Milano il 27 aprile. «Pezzi di vita – dice Ruggeri – è un disco di riflessioni. Politico, oserei dire. Nel senso della polis, però, non fraintendiamo. Ci sono molti temi sociali, dentro. E anche i brani del passato li ho ripresi proprio guardando ai contenuti, non solo al successo che ebbero o meno. È fuori moda parlare di politica in senso alto? Sì, ma lo faccio lo stesso». E nel futuro Ruggeri si concentrerà sulla radio, per ora. «Il programma Il falco e il gabbiano su Radio 24 in cui racconto storie di persone ed eventi straordinari del nostro tempo è un’esperienza che mi piace e mi soddisfa. Vorrei portarlo in TV, ma oggi la televisione non ospita proposte di peso, se non RaiTre che però per me è off limits. La radio comunque mi piace molto». AP

vano perché fosse loro difficile ottenere una casa solo perché dei loro connazionali sono delinquenti. Facciamole rispettare, le leggi: spariranno anche certe rabbie, certi pregiudizi. Una delle lezioni di Jannacci era proprio l’attenzione agli ultimi. E lui peraltro quell’attenzione la esercitava anche da medico. Per Enrico Ruggeri c’è un senso sociale del mestiere di artista? Devi prenderti la responsabilità di ciò che scrivi, anzitutto. E poi mettere a vantaggio degli altri la fortuna che hai avuto. Io lo faccio con la Nazionale Cantanti: in trent’anni abbiamo raccolto 80 milioni di euro da devolvere a situazioni mirate. Il prossimo grande impegno della Nazionale sarà il 21 giugno a Torino, per la ricerca sul cancro. Lei che spesso ha scritto delle distorsioni dei media, quale vede più pericolosa oggi? Il luogo comune. L’addormentarsi su di esso. Ne parlo nella canzone L’onda: si dicono troppe banalità in TV solo per prendere applausi e questo mi fa paura. Jannacci e Gaber non cercavano il consenso, anzi: Gaber fu il primo, a svelare le miserie della sinistra radical-chic, ed era uomo di sinistra. Beh, lei a Sanremo cantò contro la pena di morte… Perché la lezione di quei Tre Signori la conosco, fa parte del mio scrivere. Che delusione, però. Portai in sala stampa un uomo appena graziato, uscito dopo 14 anni dal braccio della morte in America. E fu una conferenza stampa come le altre, con i giornali del giorno dopo che quasi non ne parlarono.

Come sta la canzone d’autore milanese nel 2015? aprile 2015 Scarp de’ tenis

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COPERTINA

Nino Romeo - CameraSudMilano -CSM

La rampa di Gratosoglio è stato il primo skate park in cemento realizzato in Italia. Vista l’intenzione del comune di demolirla e farla da un’altra parte, i residenti si sono uniti agli skater per non perdere un presidio sociale. La rampa si rifarà nello stesso luogo

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Vivere la città e sentirti parte di questa. Sulla strada siamo tutti uguali. E ancora: non importa chi sei o come sei, importa quello che sai fare sulla tua tavola. Tutto il resto non conta. Questo è ciò che accomuna gli skater, una tribù con regole e riti ben codificati che, spesso, sono l’ultimo presidio contro il degrado. Viaggio di Scarp alla scoperta di un mondo parallelo fatto di trick, di incontri ma anche di solidarietà

Riscrivere le città con una tavola

aprile 2015 Scarp de’ tenis

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COPERTINA

di Paolo Riva foto di Nino Romeo CameraSudMilano - CSM

A colpire, salendo le scale della metropolitana, prima ancora dei raggi del sole alto nel cielo, è il rumore basso e costante di tante rotelle che scorrono sull’asfalto. Non sono i trolley dei turisti che escono dalla stazione, ma le tavole da skateboard che affollano il piazzale davanti allo scalo milanese. Benvenuti a Milano Centrale o, come usano dire i ragazzi che la frequentano, benvenuti ad emsi (MC in inglese), uno dei luoghi più conosciuti e vissuti della scena skate all’ombra della Madonnina. Con i suoi marmi, i suoi muretti e i suoi marciapiedi, MC è quello che in gergo si definisce uno spot. Gli spot, in pratica, sono degli angoli di città che, per le loro caratteristiche architettoniche, si rivelano

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particolarmente adatti a questo sport, importato dagli Stati Uniti ed esploso nel nostro Paese tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. Da allora, da quando in Italia si iniziava a skatare grazie al film Trashing o al videogioco Tony Hawk Pro, la situazione si è parecchio evoluta e, pur tra alti e bassi, la scena si è consolidata e ampliata. Oggi, Milano Centrale è uno dei 25 luoghi più emblematici per skatare al mondo: lo ha sancito lo scorso inverno la rivista Usa Kingpin Mag. Non stupisce quindi che, in un mite sabato pomeriggio di inizio marzo, si siano dati appuntamento qui in più di cinquanta, tra giovani e meno giovani. Il look, fatto di felpe col cappuccio, cappellini portati al contrario e pantaloni dal cavallo basso, è abbastanza omologato mentre età e provenienze sono le più disparate. Si va dal dodicenne

con il ciuffo biondo e le guance completamente lisce che scherza con i coetanei all’uomo di mezza età con i capelli brizzolati che si lamenta con altri ultratrentenni di non poter skatare a causa degli impegni lavorativi. Sulle tavole sfrecciano teenager dai tratti asiatici, ragazzi sudamericani e qualche altro giovane di origine africana. Parola d’ordine: condividere Tutti fanno avanti e indietro sui loro skate. Li fanno alzare da terra con evoluzioni più o meno complesse, scivolano sui muretti, saltano giù dai gradini, cadono o ricevono gli applausi degli astanti per qualche numero particolarmente riuscito. Condividono la piazza con homeless e profughi, con turisti stranieri e milanesi di passaggio, con anziane signore che li schivano timorose, bambini che li osservano


MILANO

Pintarelli: «Stupidi giocattoli di legno, che creano relazioni e aiutano a crescere»

Nelle foto due momenti della festa organizzata alla rampa del quartiere Gratosoglio di Milano, ormai storico luogo di incontro e relazioni, che sarà presto risistemata grazie a un accordo con il comune

estasiati e addetti dell’Amsa che imprecano perché non tutti si fermano al passaggio del camion della nettezza urbana.

A loro modo, convivono con chi li circonda, in una confusione incomprensibilmente ordinata all’interno della quale si muovono anche fotografi e videomaker. Le immagini, infatti, hanno un ruolo chiave nella cultura skate e, ormai da qualche anno, anche Milano Centrale è diventata lo sfondo di numerosi video di professionisti nazionali e internazionali. Insomma, MC è indiscutibilmente il salotto buono della scena meneghina. Almeno per questo week end, però, gli occhi di tutti sono puntati altrove, più a sud. Infatti, almeno per un giorno, il ritrovo per gli appassionati del genere è tra

Lo skate è una discipina in cui storicamente non prevale la componente competitiva e per questo ha un forte effetto aggregante: ti fa uscire, conoscere gente nuova, entrare in relazione con degli sconosciuti. Che molto spesso sono i più esperti, quelli che ti insegnano come skatare, ma anche come comportarti.

Flavio Pintarelli coltiva la passione per lo skate da quando ha 15 anni. «E anche oggi che ne ho trentadue - confessa -, se il fisico me lo permette, metto ancora i piedi sulla tavola». L’altra passione di questo comunicatore di Bolzano, più legata ai suoi studi, è quella per gli spazi e per le città. In “Stupidi giocattoli di legno” (Agenzia X, 2014) le ha unite e il risultato è un saggio di 168 pagine che affronta il tema dello skate “in maniera seria, senza mai considerarlo qualcosa per ragazzini”. «Lo skate è un modo per riflettere sul mondo – spiega Pintarelli –. Alla lunga, grazie alla tavola, lo skater stabilisce e intesse un rapporto particolare con ciò che lo circonda e questo, da un lato, contribuisce a creare una memoria dei luoghi e degli spazi e, dall’altro, favorisce l’elaborazione di un pensiero critico». Quello che, nelle pagine del suo libro, esprimono molti skater affermati all’interno del panorama italiano. «Luca Basilico, per esempio, fa riflessioni molto interessanti sugli spazi urbani, sul fatto che non debbano avere fini solo commerciali, ma che possano far convivere istanze diverse. Lui si immagina città a misura di skate che promuovano anche molte altre attività sociali. Lo skate, del resto, è come la bicicletta: ha regole completamente diverse dalle automobili, per le quali sono sostanzialmente concepite le nostre città, e quindi può contribuire a riscriverle». O almeno a migliorarle. In un capitolo della sua opera, Pintarelli fa l’esempio del Burnside, uno skatepark costruito senza permessi a Portland che ha contribuito ad alzare la qualità della vita in una zona malfamata della città statunitense e che, proprio per questo, è stato messo in regola dalle autorità. Un esempio, tra i tanti, da cui prendere spunto. Il libro, però, non parla solo di spazi: si occupa anche di persone. «Lo skate - prosegue l’autore - è uno sport in cui storicamente non prevale la componente competitiva e per questo ha un forte effetto aggregante: ti fa uscire, conoscere gente nuova, entrare in relazione con degli sconosciuti». Che molto spesso sono i più esperti, quelli che ti insegnano come skatare, ma anche come comportarti. «A questo proposito, il volume contiene una frase di René Olivo (un esperto skater milanese ndr) illuminante, rivolta alle nuove generazioni. Nello skateboarding, e nello street skating in particolare, c’è una sorta di legge non scritta che devi rispettare: se qualcuno passa non gli devi andare addosso, se un tossico vuole rubarti lo zaino devi difenderti senza essere timoroso ma senza nemmeno fare lo sbruffone. Devi imparare a vivere la città e a sentirti parte di essa». www.agenziax.it/stupidi-giocattoli-di-legno

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COPERTINA le torri del Gratosoglio, quartiere della periferia meridionale di Milano. In in un’area verde che si apre in mezzo a una serie di palazzoni di edilizia popolare, sorge da quasi un quarto di secolo quello che è stato il primo skate park in cemento d’Italia. Attorno alla struttura, a partire dal primo pomeriggio, si muovono skater impacciati insieme ad altri di grande esperienza, ragazzi del quartiere amanti della musica rap, street artist che aggiungono le loro opere a quelle già presenti sui muri dello skate park e tanti residenti curiosi, felici di vedere un po’ di movimento in questa zona non semplice della città. La festa, l’ultimo di una serie di appuntamenti ribattezzati dagli organizzatori Grato Party, è stata pensata per salutare “la rampa”, come qui tutti chiamano lo skate park. Benché sia stato uno dei primi spazi pubblici e gratuiti in Italia dedicati a questo sport, quello di via Saponaro ha perso negli anni frequentatori e fascino, a favore di strutture più nuove, più ampie e meglio tenute, come quella del parco Lambro, nata nel 2003. In un quartiere con pochi spazi di aggregazione davvero fruibili per i giovani, però, “la rampa” ha continuato ad essere un punto di riferimento del Gratosoglio. «Qui tutti hanno un ricordo legato a questo posto» – dice Francesco, che vicino allo skate park è nato e cresciuto. E così, quando il comune ha deciso di distruggerlo per costruire uno nuovo altrove, gli abitanti si sono organizzati, hanno dialogato con il comune e hanno sventato il trasferimento. Non solo: hanno ottenuto una riqualificazione di tutta l’area coinvolgendo la comunità di Milano Skateboarding nella progettazione della nuova struttura. Anche Francesco, pur non avendo mai messo piede su una tavola, è contento: «Non potevano farla altrove. La rampa per il Gratosoglio è come il Duomo per Milano».

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Lo Skate park Punta Vagno è un luogo di incontro e mediazione per ragazzi giovani e meno giovani

Punta Vagno: l’educativa di strada sale in skate di Paola Malaspina

Trick, grind, sk8are scritto così, con l’utilizzo del numero 8, mi mostra sul suo cellulare Manuel, 16 anni, colombiano nato e cresciuto a Genova, prima di lanciarsi con i suoi amici, ginocchiere e caschetto allacciati, in una serie di evoluzioni che mi ricordano i salti delle discipline olimpiche. Anche il primo contatto con il mondo degli skater porta a misurarsi con questo lessico, preciso quanto affascinante, che ben rende l’idea di un’identità culturale e di appartenenza, propria di chi coltiva questa passione. Eppure gli skater non sono, perlomeno a Genova, un gruppo


ollie

flip

grab

Salto con lo skate. È il primo e più essenziale elemento da imparare

La tavola si stacca dai piedi dello skater e ruota (in gergo 'flippa')

È un air durante il quale la tavola viene tenuta (grabbata) con la mano

L’INTERVISTA

Una scommessa già vinta, meno degrado e più aggregazione Alessandro Morgante è il presidente del Municipio Medio Levante, realtà in cui è nato e cresciuto lo skate park Punta Vagno, uno dei punti di riferimento per gli skater di tutta Genova. Alessandro, qual è, secondo te, il punto di forza di questa struttura e cosa lo ha reso un polo di aggregazione per tante persone? Il progetto della pista di Punta Vagno nasce da un importante lavoro di preparazione che abbiamo curato, insieme agli Educatori di strada del Municipio, andando a intervistare i ragazzi che frequentavano la zona sulle loro

aspettative. L’idea è stata semplce quando geniale: immaginavamo che ci fosse interesse rispetto alla costruzione di una nuova pista, ma volevamo evitare di fare cattedrali nel deserto. Poi sono stati gli stessi skater che, in corso d’opera, ci hanno dato indicazioni utilissime per la pista stessa, rispetto alle specifiche tecniche e ai trick che amavano realizzare. Presente e futuro: cosa vedi e cosa immagini per la pista di Punta Vagno? Oggi, vedo una struttura che, grazie all’apporto di tutti, funziona e svolge un buon ruolo di “prevenzione” del disagio, in un’area urbana potenzialmente a rischio, perché più isolata dai grandi flussi di traffico pedonale e veicolare della zona centro levante. La presenza degli educatori di strada, oltre all’associazione Musica e Magia che garantisce un presidio costante durante tutto l’orario di apertura della pista, è un elemento fondamentale in questo senso. Nel futuro vedo – perché no? – possibili evoluzioni: già oggi la pista è frequentata da adolescenti, ma anche da adulti o da famiglie intere. Un elemento di interesse è rappresentato certamente dalle nuove discipline di ginnastica urbana, tra cui la disciplina francese del parkour, per le quali c’è crescente interesse. Un adattamento della pista in questo senso potrebbe essere auspicabile, ne farebbe un ulteriore elemento di coesione e aggregazione.

GENOVA

settario, chiuso, specificamente “etichettato”. Trasversale ad età, interessi e nazionalità, il mondo della tavola a rotelle aggrega gruppi sociali diversissimi: adolescenti, italiani e non, sportivi adulti, persino famiglie; non è una band, non è una tribù, ma una realtà variegata e complessa, che ora trova a Genova nuovi riferimenti e spazi d’espressione. Sviluppatosi a partire dagli anni ’80, nelle poche aree “pianeggianti” dell’ambito metropolitano, con adattamenti spesso non ottimali dal punto di vista del traffico pedonale – un esempio su tutti, i portici di Piazza della Vittoria – il mondo degli skater ha trovato un suo primo punto “ufficiale” di aggregazione nello

skate park di Sestri Ponente, nella periferia a ponente della città. Certo, si è trattato di una risposta interessante e accolta con entusiasmo, benché non esaustiva. È rimasta l’esigenza di spazi diversi, in centro città e fuori; molti hanno continuato a esercitarsi con le loro evoluzioni sulle scalinate o nei portici cittadini. Un punto di riferimento importante si è sviluppato, circa 7 anni fa, con una pista sopra il depuratore di Punta Vagno, sull’ala centro levante del fronte mare cittadino. Si trattava di una struttura bella quanto delicata, perché realizzata in un materiale fortemente deperibile: il legno. Finalmente, a metà dell’anno scorso, la svolta: dopo un lungo la-

Oltre allo spazio sportivo la pista di Punta Vagno mira all’integrazione con i servizi degli educatori di strada che mantengono una presenza e un supporto vigile durante tutto l’orario di apertura della struttura

voro, progettuale e realizzativo, inaugura una pista multifunzione nuova di zecca, in cemento, più robusta ma ugualmente compatibile con la presenza del depuratore. Condivisione innovativa

«Un sogno – mi spiega Manuel, che qui viene praticamente tutti i giorni –puoi fare quasi tutto. Ma per diventare bravo devi esercitarti un casino». Un sogno. Ma non solo, perché il risultato di questo progetto è frutto di una condivisione innovativa e interessante, tra il comune di Genova, con diversi assessorati e il municipio Medio Levante e gli stessi skater, con l’apporto, tra gli altri, dell’archiaprile 2015 Scarp de’ tenis

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COPERTINA tetto Marco Guidi (appassionato di lunga data di skate) che hanno proposto idee e soluzioni per rendere la pista interessante e completa da un punto di vista “agonistico”, oltre che sicura e integrata con il paesaggio urbano. Oltre allo spazio sportivo vero e proprio, la pista di Punta Vagno mira all’integrazione con i servizi degli educatori di strada – nell’ambito del progetto di Educativa del Municipio, in sinergia con il Consorzio Agorà – e Associazioni di promozione culturale, che mantengono una presenza e un supporto vigile durante tutto l’orario di apertura, a beneficio di quelle fasce di utenza – adolescenti soprattutto – considerate più a rischio. Non solo caschi e ginocchiere; non solo salti sulla tavola, dunque: nell’aggregazione e nella sicurezza i giovani skater giocano qui la loro partita più importante.

Kay, dallo skate all’inferno e ritorno di Ivano Frare

La tavola, le gare, le vittorie, il successo. Ma anche gli eccessi, le droghe. E poi giù nell’abisso. Storia di uno skater di ritorno 30 Scarp de’ tenis aprile 2015

Kay (il nome è di fantasia), è un giovane uomo, ha solo trent’anni, ma la sua carriera di skater ormai si è conclusa. Al momento è ospitato in una comunità per tossicodipendenti a Vicenza, e quando torna a casa dai genitori, il fine settimana, si concede un giretto, imbocca il viale e corre sulla tavola a ruote, ricordando i bei vecchi tempi. Kay comincia a usare la tavola a soli 14 anni, diventando subito abbastanza bravo. Per allenarsi si costruisce da solo una rampa, nel cortile di casa, lo fa utilizzando i bidoni dell’olio tagliati per lungo e cementati per terra. Dopo tre o quattro mesi è già incidentato, ma succede a tutti di farsi male, ed è proprio per questo che lo skating è uno sport per giovani. È un mondo “duro” ma affascinante e se vuoi continuare, diventare sempre

più bravo, devi mettere in preventivo botte, rotture, abrasioni. Come tutti gli sport estremi vi è pure un codice non scritto fatto di rispetto, aiuto reciproco, condivisione e fratellanza: con il braccio ingessato Kay passa il tempo a conoscere meglio questo ambiente e tutte le possibilità che gli si possono aprire davanti. L’ascesa e la caduta Ci sono siti, come skatemap. it, dove trovi di tutto ed è lì che Kay viene a conoscenza dei tanti raduni in giro per l’Italia e per l’Europa, la sua famiglia è benestante e lo sostiene in questa attività.

Guarito il braccio Kay riprende con passione e diventa sempre più bravo, e come sempre negli sport, chi eccelle si fa notare, da li a poco, si fidanza con una splendida ragazza, che lo segue nei suoi tour.


PROGETTO

Benvenuti in Skateistan, dove le donne fanno sport

Lo skateboard è l’unico sport che le donne afgane possono fare. Sopra e qui a sinistra, un momento del Go Skateboarding Day organizzato ogni anno a Kabul da Skateistan.

VICENZA

È un modo particolare di viaggiare e di vedere il mondo: quello che per tutti gli altri è un punto di passaggio, come una scala, o un ostacolo o un parapetto, per uno skater è una pista o, come si dice in gergo, l’elemento fondamentale per un trick. “Skettando” Kay gira l’Europa, quello che lo muove sono le assi con le ruote, ma è proprio in questi viaggi che purtroppo si imbatte anche nel mondo delle droghe. I momenti di svago legati ai meeting di skaters spesso sono rave party dove girano massicce quantità di droghe e alcol. Per alcuni queste feste rimangono occasioni isolate, per Kay, invece, significano la fine di tutto. Lentamente ma inesorabilmente viene inghiottito da questo mondo parallelo e, poco alla volta, è costretto a dire addio a tutto ciò che amava. Ora, grazie alla comunità ne sta uscendo. E ricomincia a “skatare”.

SOLIDARIETÀ

Titus, il “signore” delle tavole che ha portato lo skate nel mondo Titus Dittmann in Germania è conosciuto come “il papà dello skateboard”. Oggi ha 76 anni e nella sua vita ha fatto praticamente di tutto. Tutto quel che ha a che fare con la tavola. Ci è salito quando ancora portava dei ridicoli baffoni e lo skate era considerato un giocattolo per ragazzini, ci ha fatto la tesi, ha aperto un negozio specializzato precorrendo i tempi nel 1978, ha fondato una vera e propria azienda col suo nome, ha creato skate park e competizioni, ha lanciato programmi televisivi a tema e ha insegnato all’università, come professore di educazione fisica. Specializzato in skate, ovviamente. Tutto quel che ha realizzato, lo ha fatto tenendo sempre a mente «l’enorme potere dello skate» che, sono parole sue, «non conosce frontiere né guerre, colore della pelle né odio, ricchi né poveri». Fedele a questo credo, quando nel 2009 si è ritirato dalle sue innumerevoli attività imprenditoriali, non è rimasto con le mani in mano, ma ha fatto nascere la Titus Dittmann Foundation e l’organizzazione non governativa Skate-Aid ad essa collegata. L’idea gli era venuta l’anno precedente quando la sua passione per la tavola l’aveva fatto capitare a Kabul per portare “speranza su quattro ruote” anche in Afghanistan. Il tormentato Paese asiatico è così diventato il primo di una lunga serie di stati in cui Titus e i suoi compagni di avventure hanno promosso dei progetti sociali, tutti incentrati sulla pratica dello skate. Ad oggi, Skate-Aid è presente in quattro continenti, con interventi che vanno dall’Uganda al Brasile, dal Kenya all’Algeria, dalla Germania al Vietnam, dall’Albania alla Palestina.

Far uscire i giovani afgani dalla loro routine fatta di guerra e violenza. Questa la sfida lanciata dalla prima scuola di skateboard di questo paese: Skateistan. Fondata a Kabul nel 2007 dagli australiani Oliver Percovich e Sharma Nolan, Skateistan oggi coinvolge oltre 400 bambine e bambini afgani a settimana, insegnando loro ad andare in skateboard ma anche facendogli seguire lezioni scolastiche e laboratori creativi. Sono una ventina gli istruttori afghani che impartiscono lezioni in un grande skatepark di 1.750 metri quadrati sorto a kabul. Grazie a questo progetto la ong è riuscita a riportare a scuola 30 ragazzi di strada. Altro fattore importante è che lo skateboard è l'unico sport che in Afghanistan può essere praticato in pubblico anche dalle ragazze perchè, essendo uno sport sconosciuto, non sono ancora state codificate norme di comportamento. Le donne e le bambine in Afganistan non possono andare in bicicletta, ma possono andare in skate. «Questo è il messaggio più importante dello skate – spiega Percovich –: lo spirito egualitario che è alla base di questo sport. Gli skateboarders non guardano il colore della pelle, non guardano la religione, non guardano i confini. Quello che conta sono solo i trick che sai fare». www.skateistan.org

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Fahim, da sans papiers a re degli scacchi di Daniela Palumbo

Scappato in Francia con il padre dal Bangladesh per fuggire dalle violenze, ha vissuto da clandestino. Fino all’incontro con Xavier e gli scacchi: Fahim vince il campionato francese. E magicamente sono arrivati anche i documenti 32 Scarp de’ tenis aprile 2015

Sans Papiers. Senza carte. In Francia si chiamano così le persone straniere senza documenti di soggiorno. Da noi sono “i clandestini”. Non hanno un indirizzo dove essere cercati: dormono in strada, o dove capita. Anche Fahim era un sans papiers. Fino al 2012, quando ha conquistato il titolo di campione francese di scacchi: allora sono arrivate le carte. Fahim aveva 11 anni. A dieci anni era fuggito dal Bangladesh, insieme al padre Nura, perché erano cominciate per lui le minacce di rapimento. È il 2008, in Bangladesh, prima delle elezioni presidenziali: il clima è incandescente. Basta poco ed entri nel mirino di vendette sanguinarie. Si usa rapire il figlio maschio per far del male alla famiglia. Il padre di Fahim, Nura, sa che l’unico modo di salvare il figlio è fuggire. Nel libro che racconta la storia del piccolo campione di scacchi – Un re Clandestino, edizioni Bompiani – Fahim racconta così il momento della partenza dalla sua casa: «Ce ne andiamo. Io e mio padre. Da so-


LA STORIA

A sinistra Fahim e la sua scacchiera. Qui sopra la copertina del libro che racconta la sua storia che diventerà presto anche un film

li. E' il 2 settembre 2008, il giorno più orribile della mia vita. Ho otto anni. Ho perso tutto. La mia vita è finita». Invece ricomincerà in Francia. Due volte il padre di Fahim presenterà le papiers per chiedere di essere accolto, insieme al figlio, in territorio francese. Le richieste di asilo sono respinte. Dovrebbero andare via dalla Francia. Ma dove? Restano. La vita da clandestini però è un inferno, soprattutto per un bambino. La paura è sempre in agguato. E poi i soldi finiscono. La solidarietà non basta a sfamarli. Fahim e Nura finiscono a Creteil, una delle tante banlieue francesi. Tanta solidarietà da parte delle persone di un quartiere poverissimo. Fra queste persone c'è Xavier Parmentier che allena da vent'anni la squadra francese giovanile di scacchi e si dedica ad allenare giovani talenti nelle banlieue. Grazie a lui, Fahim vince il campionato francese. Sono passati tre anni. Come sta e cosa fa oggi Fahim? Lo abbiamo chiesto a Xavier che oggi non è più il suo allenatore, ma resta un amico. Come sta oggi Fahim? Fahim sta bene, frequenta le scuole medie e vive una vita tranquilla.

Che un bambino debba subire una vita miserabile, instabile e umiliante, con il solo pretesto che non è nato qui dovrebbe far riflettere i cittadini e i politici. Che non possa esprimere il proprio talento per questa stessa ragione è indegno per una società civilizzata

Perché non lo allena più? Era necessario che vivesse qualcosa di nuovo. Ma siamo rimasti vicini. Fahim gioca ancora a scacchi? Con quali risultati? Nietzche affermava “Ciò che non ci uccide ci fortifica”. Ma io non ci credo affatto. Fahim aveva bisogno prima di tutto di ricostruirsi una vita normale. Non aveva goduto e beneficiato dell’infaznia quanto i suoi coetanei. Da allora però si è rimesso in pari. I suoi risultati negli scacchi ne hanno risentito ma il talento è sempre lì. Il giorno in cui deciderà di giocare potrà ripartire e raggiungere il massimo. E il papà di Fahim, lavora? Sì, lavora in una mensa e ha ritrovato la gioia di vivere. Il ragazzo ha rivisto sua ma-

dre e le sue sorelle? È stata depositata la richiesta di ricongiungimento familiare alla Prefettura di Val-de-Marne. In futuro, Fahim potrà diventare un cittadino francese? La legge francese prevede che possa farne richiesta a 18 anni. E’ automatico per chi segue un percorso scolastico regolare in Francia, ed è questo il suo caso. Fahim parla meglio il francese del bengali. Si entusiasma quanto qualsiasi altro francese della sua età quando battiamo l’Italia a calcio. Allora, perché non ne avrebbe diritto? Qual è il sogno più grande di Fahim? Di diventare ricco. Non ricco e famoso, solo ricco. Come tutti coloro che hanno sofferto la povertà. La dote più importante per un giocatore di scacchi?

Si può diventare un bravo giocatore di scacchi con qualità molto diverse. Ma tutti i grandi giocatori sanno controllare le loro emozioni e proiettarsi lontano nel futuro grazie a grandi capacità nel calcolo mentale. E ciò è utile anche per diventare un buon cittadino, no? Dalle banlieue una grande solidarietà. Se lo aspettava? Se arriva da certe persone è naturale. Per esempio molti hanno nascosto gli ebrei durante la guerra. Ma non sempre sono i migliori a comportarsi bene. E poi la solidarietà si costruisce poco alla volta. Fahim ha ancora sentimenti di rabbia? Credo non ne abbia mai provata. Non resta né amarezza né rancore. Resta solo un distacco venato da una punta d’ironia che però non riesco a capire se deriva dalle circostanze o se copiata da qualcuno.

LA SCHEDA

Xavier, lo scopritore di campioni: «Ogni bambino ha un proprio talento» L'allenatore di scacchi è il personaggio chiave della storia di Fahim. Coautore del libro, insieme a Sophie Le Callenec che ha raccolto la testimonianza di Fahim, Parmentier (nella foto) conosce bene la situazione dei sans papiers francesi. «Il nostro è diventato uno dei Paesi più razzisti – racconta –. Eppure l’Europa è popolata da più di 500 milioni di persone e coloro che arrivano sono meno di 300 mila l’anno. Con questo ritmo “una tale ondata di immigrazione”, per riprendere l’espressione della destra francese, ci impiegherebbe più di 2 mila anni per sommergerci». Ci sono tanti Fahim nella civile Europa. Il libro e il film (in lavorazione) servono a farci comprendere cosa significa essere un sans papiers. «Come può la legge condannare coloro che dimostrano solidarietà ospitando dei clandestini? È la domanda che il film ci pone. Che un bambino debba subire una vita miserabile, instabile e umiliante, con il solo pretesto che non è nato qui dovrebbe far riflettere i cittadini e i politici. Che non possa esprimere il proprio talento per questa stessa ragione è indegno per una società civilizzata». aprile 2015 Scarp de’ tenis

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Da questo numero la

Arriva di Stefano Lampertico

Sotto le prime due strisce di Paputsi. Sui prossimi numeri conosceremo anche gli altri personaggi della nuova serie.

Il rapporto tra Scarp de’ tenis e i fumetti è lungo e proficuo: c’è una copertina dedicata a Martin Mystère e numerose con protagonistaDylan Dog. L’indagatore dell’incubo ha avuto anche una breve storia inedita realizzata appositamente per il nostro mensile da Davide Barzi e Sergio Gerasi. E proprio a Davide Barzi abbiamo chiesto di pensare a una striscia mensile con un protagonista simpatico, ma che allo stesso tempo fosse, perfettamente inserito nella struttura di Scarp. «Era in effetti da un po’ di tempo – mi dice Davide Barzi – che non scrivevo strisce, e mi mancava. Ma, purtroppo, mancano anche gli spazi. Cartacei, intendo, che sul web di strip se ne trovano quante se ne vogliono. Un tempo erano il fiore all’occhiello dei quotidiani, poi sono state relegate su qualche rivista e anche le testate autonome di personaggi famosi hanno segnato il passo. Quando, con il coraggio e la determinazione che lo contraddistingue, Scarp mi ha chiesto una striscia per la rivista ho detto subito di sì». Sull’onda dell’entusiasmo, Barzi ha elaborato una prima bozza di idea. Ne ha parlato con i disegnatori Gianfranco Florio e Luca Usai. «E su Scarp de’ tenis – dice Gianfranco Florio – che cosa vuoi raccontare, se non le scarpe?». Protagoniste sono dunque le

scarpe, che però si comportano in tutto e per

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tutto come esseri umani, pur non perdendo la loro fisicità di scarpe. Le scarpe/personaggi sono diversi tra loro e il modello della scarpa influenza in qualche modo il carattere e il modo di fare della scarpa stessa.

Personaggio principale è Paputsi, storpiatura di “Papoútsi” (“scarpa” in greco), la scarpa da tennis, loser chapliniano, trasandata senza risultare sporca, vissuta senza apparire vecchia, carismatica ma non arrogante: personaggio inadeguato rispetto al mondo e alla società che lo circonda, ma che ci prova sempre, con tenacia e, in qualche modo, poesia. I manager sono


a striscia con le scarpe

LA STRIP

Paputsi scarpe di pelle eleganti e costose, la donna amata dal nostro protagonista una ballerina, quindi il corrispettivo calzaturiero della bella ma sommessa fioraia di City lights di Chaplin». Dicono i disegnatori: «Abbiamo scelto di realizzare i personaggi come delle vere e proprie scarpe che già di per sono rappresentative di tipologie fisiche e di personalità di chi le indossa. A

ogni scarpa è stato aggiunto un elemento distintivo che le desse unicità e che rimandasse a equivalenti elementi di un volto umano come ciuffi, occhiali, labbra. Nessuna delle scarpe ha gli occhi, questi avrebbero reso troppo infantili i personaggi che invece sono dedicati a un pubblico adulto. L’espressività è data dal dinamismo della postura e dai lacci che all’occorrenza diventano vere e proprie braccia o accentuano il movimento del personaggio. Nell’insieme la strip vede i personaggi e gli elementi in primo piano inchiostrati con i bordi ben marcati e i fondali solo a colori, come molte serie moderne di animazione. Il

mondo in cui le scarpe agiscono è un mondo fatto a loro misura, sono l’equivalente degli esseri umani, quindi guidano auto, cenano al ristorante, suonano gli strumenti, fanno tutto quello che potrebbe fare un uomo, rendendo graficamente buffa tutta l’ambientazione».

Gli autori di Paputsi

Davide Barzi, scrittore, saggista e sceneggiatore. Ha vinto numerosi premi, curato collane di fumetti ed esposizioni legate al fumetto, tra le quali la mostra “La mia gente - Enzo Jannacci canzoni a colori”. Collabora da tempo con la Sergio Bonelli Editore per cui scrive storie per Nathan Never e Dylan Dog. Per Scarp ha scritto Il volontario, storia inedita di Dylan Dog pubblicata sul numero 187.

Gianfranco Florio, disegnatore. Dopo il liceo artistico approda all' Accademia Disney. Ha collaborato con il mensile Maxim e disegna per le testate Cip e Ciop, Cars Magazine e Toy story Magazine. Ha realizzato i disegni delle graphic novel dedicate a Planes e collabora con alcune agenzie pubblicitarie.

Luca Usai, disegnatore. Frequenta corsi alla Sardinian School of Comics di Cagliari, allo IED di Milano e all’Accademia Disney. Collabora con Disney Italia per “Topolino”, “Toy Story Magazine” e graphic novel tratte dai film della Pixar. Illustra la serie di libri per ragazzi “I Supertopi” con protagonista Geronimo Stilton.

Scheda Una striscia mensile. Paputsi, storpiatura di Papoútsi (“scarpa” in greco), la scarpa da tennis, è il personaggio principale. Ma nel fantastico mondo di Paputsi impareremo a conoscerne tanti altri a partire da Kenka, la scarpina vanitosa, fidanzata del protagonista (pagina a fianco). Un’altra bella novità per i nostri lettori che ci accompagnerà per lungo tempo.

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Nella foto Tijan e Modou nella loro cucina nel centro di accoglienza. A fianco il momento della preghiera per i musulmani.

Capaccio, dove le religioni non dividono di Stefania Marino

Nel centro di accoglienza gestito dalla Caritas di Teggiano-Policastro i rifugiati di religione diversa convivono e si aiutano a vicenda in attesa di un futuro migliore. E capita spesso che le diverse comunità preghino le une per le altre 36 Scarp de’ tenis aprile 2015

Si respira un’aria di pace varcando il cancello della struttura di accoglienza per richiedenti asilo a Capaccio Paestum in provincia di Salerno, lì a pochi passi dal mare del Cilento e a una manciata di chilometri dai templi della famosa area archeologica. In cucina, Tijan e Modou tengono d’occhio la grande pentola sui fornelli, pronti a buttare la pasta. Grembiule e cuffietta in testa: sono loro che ogni giorno preparano colazione, pranzo e cena per gli altri ospiti della casa. Si autogestiscono, dalla cucina alla pulizia degli ambienti. Questi ragazzi, tutti al di sotto dei 30 anni, provengono prevalentemente dal Gambia e sono arrivati a Napoli il 15 agosto 2014 a bordo della nave della Marina militare Virginio Fasan. Hanno fatto richiesta di protezione internazionale e attendono di essere convocati dalla commissione territoriale a cui racconteranno la loro storia e il perché non possono più fare ritorno nel loro Paese. Aspettano. Da


L’INCHIESTA torna indietro per non disturbare i suoi compagni.

sette mesi vivono in questa struttura gestita dall’Associazione il Sentiero Onlus, dalle cooperative sociali Tertium Millennium e l’Opera di un altro tutte espressioni operative della Caritas diocesana di Teggiano-Policastro impegnata dal 2011, prima con l’“Emergenza NordAfrica” e poi con “Mare Nostrum” nell’accoglienza dei richiedenti asilo. Attualmente sono oltre 500 i migranti accolti in diverse strutture nel salernitano.

Viviamo insieme non abbiamo problemi a farlo. Quando vedono noi cattolici che preghiamo ci rispettano. A volte ci dicono «pregate per noi» e noi diciamo pure a loro «pregate per noi». Siamo tutti esseri umani alla ricerca di una vita migliore

Soffrire la lontananza Qui a Capaccio, la vita scorre aspettando i “documenti”. Alvaro D’Ambrosio è l’operatore a cui fa capo la gestione della vita quotidiana all’interno di questa grande casa con una sala pranzo, cortile e un piccolo campo da calcio ricavato nel giardino tra aranci e limoni. Ci parla di questi ragazzi, dei loro progetti. «La cosa più importante per loro è trovare un lavoro per migliorare le loro condizioni di vita. Soffrono spesso la lontananza da casa».

Ce lo conferma Abderraouf Zine Elabidine. Anche lui è un operatore del centro di accoglienza. Sbarcato in Italia ad aprile del 2011 all’indomani della Rivoluzione dei Gelsomini (Tunisi 2010/2011). Ha imparato presto l’italiano e l’inglese. Alvaro e Abderraouf sono coloro che ogni giorno si ritrovano ad ascoltare preoccupazioni ed angosce che di notte diventano insormontabili. «A tarda sera a volte qualcuno piangendo è venuto a bussare alla porta della mia camera – dice Abderraouf – spesso sen-

tono la mancanza dei loro affetti». Un giorno un ragazzo ha saputo che suo padre in Gambia era morto, un dolore ancora più forte data la lontananza. Occorreva mandare i soldi per i funerali ed Alvaro e Raouf non ci hanno pensato due volte a dare il loro contributo economico. È da poco passato mezzogiorno e al primo piano, alcuni ragazzi del Gambia, escono dalle loro camere, stendono in silenzio delle coperte a terra e iniziano la preghiera. Sono musulmani. A poco a poco si uniscono anche altri. In piedi e poi piegati in avanti e poi genuflessi fino a toccare con il capo il pavimento. Un ragazzo nigeriano di religione cristiana sta salendo le scale, forse per andare nella sua camera. Vede la scena e

La religione non divide «Quando i musulmani sono in preghiera – ci dice Alvaro- gli altri parlano a voce bassa oppure si fermano». Frank e Kelvin sono nigeriani. Nel loro Paese frequentavano le chiese pentecostali. Pregavano cantando e ballando. Chuks, è cattolico porta un rosario al collo. Pare essere la sua unica forza. Quando riesce va a Napoli a pregare in una comunità nigeriana.

Tijan e Camara dopo il pranzo si siedono insieme agli altri nel cortile. Accanto a loro c’è un altarino con la statua della Madonna. Hanno ricevuto anche la visita di un sacerdote, Padre Paul, originario del Lesotho. Insieme hanno pregato e letto la Bibbia. «Viviamo insieme – dice Tijannon abbiamo problemi. Quando vedono noi che preghiamo ci rispettano. A volte ci dicono “pregate per noi” e noi diciamo pure “pregate per noi”. Siamo tutti essere umani.» Come immaginate il vostro futuro?«Vogliamo solo una vita migliore».

LA SCHEDA

Mohamed, il “vecchietto” che lentamente sta guarendo All’inizio gli operatori lo chiamavano “L’uomo dei ferri” per via delle protesi nella spalla e nella gamba. Poi giorno dopo giorno hanno imparato a conoscerlo. Mohamed dal Marocco. Era uno degli assistiti del “Progetto Presidio” di Caritas Italiana sul territorio dalla Caritas di Teggiano-Policastro, nato per sostenere gli immigrati stranieri in agricoltura. Mohammed abitava in una baracca a Santa Cecilia, nel comune di Eboli. Era stato per un periodo al nord, lì lo avevano investito mentre camminava per strada e da allora erano iniziati i suoi grandi problemi di salute. Un giorno arriva alla postazione Presidio. Lo vedono arrivare da lontano. Zoppicante. Si avvicina.Ha la febbre. Gli operatori lo fanno salire sul furgone e lo accompagnano in ospedale. Quando viene dimesso nessuno pensa di riaccompagnarlo alla sua baracca. Per Mohammed si trova un letto nella struttura di Capaccio-Paestum. E’ un tuttofare. I ragazzi lo chiamano con un appellativo che in arabo significa “il vecchietto”. Ma lui non se la prende. aprile 2015 Scarp de’ tenis

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MILANO

La solidarietà di Esraa e Lamis, milanesi col velo di Stefania Culurgioni

Sono giovani, sono musulmane, sono milanesi. E sono uguali alle loro coetanee anche se indossano il velo e aiutano chi ha bisogno. 38 Scarp de’ tenis aprile 2015

Una cosa bella di ciascun essere umano: essere più cose contemporaneamente. Una cosa ancora più affascinante di ciascun essere umano: essere contemporaneamente più cose che sembrano fare a pugni tra di loro. La terza cosa: dimostrare che quelle cose non fanno a pugni. Per esempio Esraa: ha 21 anni, porta il velo, è musulmana, è milanese, è egiziana, è italiana. Possibile? Sì. Lei, come altre migliaia di ragazzi di seconda generazione, è arrivata vent’anni fa con i suoi genitori egiziani, ha imparato a parlare, camminare, andare in bicicletta, usare il cellulare, barcamenarsi tra interrogazioni a scuola e uscite con gli amici in Italia. Indossa il velo ma anche le Nike, usa whatsapp ma non per flirtare con i ragazzi, ascolta le sue amiche raccontare i loro amori ma non


Una bella foto di Esraa e Lamis, giovani musulmane e milanesi a tutti gli effetti impegnate nel volontariato. A destra Sarah, fondatrice dell’associazione scout musulmani italiani

Un giorno siamo andate in Stazione Centrale per renderci conto della reale situazione: quando abbiamo visto quelle famiglie disperate ci siamo dette che dovevamo fare qualcosa. Erano nella nostra città, che altro potevamo fare se non aiutarli?

5 milioni 1.300.000 200 Gli stranieri presenti in Italia a fine 2014 (dati Istat)

gli stranieri di religione musulmana che vivono nel nostro Paese

ci va insieme in discoteca. Tiene insieme serenamente la fede per Allah e il suo sentirsi radicata e perfettamente appartenente alla stessa città dei suoi compagni di università. Piazza Duomo, a Milano, è anche casa sua, San Babila è dove frequenta le lezioni, la Mondadori libri è dove, dopo questa intervista, va a comprare Sottomissione di Houellebecq, perché gliene hanno parlato tutti. E poi c’è Stazione Centrale, ed è il motivo della nostra chiacchierata: è lì che, senza passare da nessuna associazione, è andata spontaneamente ad aiutare i profughi siriani. Succedeva l’anno scorso in estate, con lei la sua amica Lamis. E questo è il racconto di alcuni giovani musulmani che hanno aiutato Milano, o che vivono la loro cittadinanza in modo attivo, al servizio degli altri. Il volontariato in Centrale Esraa studia Scienze internazionali e istituzioni europee alla Statale, è nata in Egitto, suo padre è ingegnere e sua madre maestra di arabo. Nella sua storia personale, il velo è arrivato in terza media e nessuno le ha mai fatto storie. Il volontariato con i profughi di Stazione Centrale è cominciato per caso: la vita da studente lascia spazi vuoti, lei masticava guerre e crisi umanitarie sui libri, si è resa conto che le stava succedendo sotto il naso e siccome parlando arabo ha deciso di vedere se poteva dare una mano.

«Un giorno sono andata in Centrale. Sapevo della presenza di centinaia di profughi. Ho trovato famiglie con bambini, anziani e disabili, ma anche ragazzi soli, che guardavano imbambolati, naso all’insù, i cartelloni delle partenze in italiano. Ho iniziato chiedendo loro dove dovevano andare e mi sono ritrovata a fargli da consulente. Per ore, per giorni, ho ascoltato, valutato, fatto i conti sui tempi di percorrenza e sui costi, sulle probabilità di ottenere subito asilo politico o di essere cacciati con famiglie che volevano raggiungere la Germania o la Svezia. Avevano visto l’inferno, e

giovani e adulti musulmani che hanno scelto di diventare scout

tita solidale per una questione umana. Essere musulmana significa anche questo: uno dei cinque pilastri dell’Islam è l’aiuto concreto, l’elemosina. Dio ti dice di aiutarti uno con l’altro».

mi hanno cambiato la vita». Accanto ad Esraa c’è Lamis. È collega di studi ma è nata in Italia, è appassionata di moda: indossa il velo, non mette indumenti striminziti, ma le piacciono gli abiti occidentali. Se la sua amica sogna un futuro da giornalista, lei sogna di diventare una stilista d’avanguardia: i suoi vestiti metteranno insieme la tradizione musulmana e quella occidentale. Faranno colpo anche sulle ragazze non islamiche. «Quando abbiamo visto quelle famiglie disperate ci siamo dette: dobbiamo intervenire. Erano nella mia città, che altro potevo fare se non aiutarli? Certo, mi sono certamente sentita coinvolta per via delle origini, perché molti erano egiziani ma soprattutto mi sono sen-

Quando arrivano i tre caffé, mi viene in mente di chiedere loro che cosa significa essere ventenni ed essere musulmane, dove si realizza la cifra di quell’identità religiosa e se essa stride con l’ambiente che le circonda, ma certe sfumature non sono facili da tracciare, neanche per loro. «Io faccio la mia vita normalmente – dice Lamis – ho fatto anche dei colloqui di lavoro indossando il velo e nessuno mi ha mai detto niente». Avete amiche italiane? «Certo, le nostre compagne di classe». E ci sono delle cose che loro fanno e che voi non potete fare? «Dipende. Andare in discoteca non lo possiamo fare, è un ambiente promiscuo, non va bene. Idem ballare e bere». E questo crea un divario tra di voi? «Direi proprio di no». Ma loro si confidano con voi? «Certo, e noi le ascoltiamo. Anche se ci sono dei temi che per noi sono un po’ tabù». Immagino tu ti riferisca al sesso, grande tormentone di infinite conversazioni tra ragazze...

I DATI

In Italia 5 milioni di stranieri, i musulmani sono 1 milione e 300 mila In Italia circa 5 milioni di persone sono di origine straniera. Tra loro, gli immigrati musulmani sono circa 1 milione 300 mila. Di recente, all’Università degli Studi di Milano si è svolto un convegno dal titolo “Famiglia e sharia in Italia”. Paolo Branca, ricercatore in Islamistica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Milano, ha detto: «Nati nel nostro paese o arrivatici molto piccoli, i giovani musulmani hanno frequentano le nostre scuole e si sentono italiani, cercano le giuste modalità per restare fedeli al loro credo senza però rinunciare ad essere giovani come gli altri. Il patrimonio di principi e valori che hanno imparato dalla loro famiglia a volte non è compatibile con quello che li circonda. Nessuno, però, sembra davvero farsi carico delle loro esigenze». aprile 2015 Scarp de’ tenis

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INCONTRI

Storia di Saif, marocchino di Modena che aiuta tutti Foto di gruppo per alcuni soci dell’Asmi, surante una delle loro tante attività all’aperto

«Eh sì. Ma anche argomenti che riguardano il corpo femminile. A noi, a volte, come viene rappresentato il corpo femminile in tv dà un po’ fastidio. Però c’è da dire una cosa». Cosa? «Che c’è una differenza

tra noi e la mentalità araba, e questa differenza sta nell’apertura mentale. Nei paesi arabi troppi argomenti sono tabù, la donna in sé è un tabù, la tradizione è misogina. Quindi non sto parlando della reli-

LA STORIA

Sarah, capo scout musulmana: «Il Profeta amava la vita all’aperto» Il velo sui capelli, i pantaloni lunghi, i giochi separati tra maschi e femmine. A parte questo, tutto il resto è puro “scout”. E anche i bimbi musulmani scoprono l’emozione di diventare Lupetti e sondare boschi e montagne e soprattutto se stessi. A fondare il gruppo Asmi (Associazione scout musulmani italiani) c’è anche lei, Sarah, 26 anni, studentessa dell’ultimo anno di Farmacia all’Università degli Studi di Milano. È nata da genitori egiziani arrivati a Milano nei primi anni ottanta, il padre titolare di una piccola impresa di pulizie, la mamma architetto casalinga. È la maggiore di cinque figli e ha fatto l’asilo, le elementari, le medie, le superiori e ora l’Università a Milano, parla perfettamente arabo, è musulmana, è milanese. «L’Islam combacia con il movimento scout – racconta – anzi, si può proprio dire che lo scoutismo sia Islam perché il Profeta Mohammed viveva anche lui una vita da scout: per diffondere il messaggio dell’Islam viaggiava e faceva una vita all’aperto, pregando, condividendo, aiutando il prossimo. Nell’Islam poi esiste il sentimento dello sforzo proprio come nello scoutismo: uno deve sempre saper giocare su se stesso sforzandosi di migliorarsi, deve saper essere utile agli altri, deve saper ridere nei momenti difficili. Il movimento degli scout musulmani è nato nel 2007, coinvolge circa 200 tra adulti e bambini che vivono tra Milano, Bergamo, Trento, Verona, Bologna e i corsi di formazione sono stati fatti da Agesci: «Agesci sostiene Asmi nella formazione dei loro capi in modo da poterli aiutare a fare il loro servizio – spiega Matteo Citterio, responsabile delle relazioni internazionali – alcuni di loro facevano gli scout nel loro Paese d’origine, altri se ne sono innamorati in italia. Fare formazione insieme è stato interessante: le scout musulmane mettono il velo e non indossano i pantaloncini corti, oppure ci hanno chiesto di insegnare giochi in cui il maschio non ha contatti con la femmina».

40 Scarp de’ tenis aprile 2015

gione, ma della tradizione, della mentalità. I ragazzi arabi che vivono lì hanno ancora l’idea che la donna sia fatta per sposarsi e fare figli. Noi di seconda generazione la pensiamo diversamente: io sono donna, posso avere successo e fare carriera e anche fare figli e famiglia. D’altronde, la prima moglie del Profeta era un’imprenditrice e lui lavorava sotto di lei». E dimmi, come lo vedi il radicalismo musulmano di certi giovani? «Non si ritrovano in niente e quindi si aggrappano a qualcosa di potente. Ma poi che ti devo dire: per me è un po’ difficile capire perché lo fanno. Una delle regole del Profeta è che una volta che entri in uno Stato tu hai già stretto un patto con lui e devi seguire le sue leggi». Bello ridare fiducia I caffè sono finiti. Esraa si ricorda molto bene delle famiglie che ha incontrato a Milano, in Stazione Centrale: «Quando ho conosciuto queste persone, mi è sembrato che non avessero più fiducia negli uomini ma che non potessero fare altro che fidarsi. Mi aspettavo da loro un atteggiamento più scontroso e diffidente e invece no, si sono affidati a noi, erano ancora pronti a chiedere aiuto. E alla fine, io pensavo di aiutarli e invece sono loro che hanno aiutato me: mi hanno dato una grande lezione di umiltà e di vita. Hanno attraversato il deserto e il mare, sono arrivati senza scarpe, hanno visto la morte e sono andati avanti lo stesso. Mi hanno cambiato la vita: prima pensavo a comprarmi vestiti, ora penso che la vita sia la cosa più importante».

Saifuddin Abuadib, Saif per tutti, ha 30 anni e dirige il centro semiresidenziale per senza dimora e profughi di via Mambretti a Milano. Sta per laurearsi in Scienze dell’educazione. Quando gli chiedo di dove sia originario tentenna un po’: «Scusa, vado un po’ in confusione. Sono nato a Casablanca, ma ho vissuto 28 anni a Modena, quindi non saprei bene cosa dire». Non ha la cittadinanza ma la sua italianità è lapalissiana. I suoi genitori sono in Italia da 30 anni e da quando era piccolo lo hanno portato con loro nelle associazioni di volontariato dove prestavano servizio. Il risultato è che Saif è stato in Sri Lanka dopo lo tsunami, in Siria due anni fa e, dopo il terremoto dell’Emilia, («Era casa mia, era normale», dice) ha diretto un centro per terremotati in una palestra, 168 persone tra adulti e bambini. Infine, ha aiutato i profughi siriani alla Stazione Centrale di Milano l’anno scorso. Cosa c’entra la Fede musulmana in tutto questo? «Essere più vicino alle creature di Dio ti aiuta ad avvicinarti a Lui – dice - la fede ti permette di reputare tutti quanti come fratelli, di guardare a tutti quanti come te stesso, di vivere la vita con molta più tranquillità».


aforismi

POESIE

di Emanuele Merafina

La felicità La felicità esiste, ne ho sentito parlare La cucina I fornelli della cucina vanno a tutte le ore e la pasta ha un buon sapore

Bagliori di luce

Notte Notte, in cielo accendi il grande lume della quiete,circondato da tanti piccoli lumini da creare un’atmosfera molto romantica a occhi sognatori. Notte, amica del silenzio e dei pensieri ai quali porti il miglior consiglio. Notte, che dopo un giorno faticoso, col tuo scuro manto porti a tutti il riposo, vegliando il sonno profondo dei bambini. Notte, che nei prati verdi cantano i grilli. Notte del Mondo amica Notte regina.

Se mi sentirai sempre nel Cuore e mi leggerai nell’Anima senza bisogno di parole. Se sarai sempre a me allacciata e non distoglierai lo sguardo vedremo insieme l’Infinito In bagliori di luce Gaetano Toni Grieco ma ora sono qui, con Te ad attraversar ogni momento Se un giorno Se un giorno parlerò in un sospeso ponte d’amore, allora parlerò di te. Se un giorno dovrò che alla vita ci conduce descrivere l’amore, Mino Beltrami

Dolcezze Coppa del nonno originale, coppa del nonno al caffelatte. Gelato al fiordilatte col bastoncino, ricoperto con uno strato sottile di cioccolato bianco, Gelato al gusto “mou”, Panna montata fresca e soffice ricoperta di un velo di cannella Silvia Giavarotti

L’altalena

con amore descriverò i tuoi pregi, i tuoi difetti, descriverò i particolari del tuo viso. Hai saputo intrufolarti nella mia mente, donna. Ed ora tu vaghi nei miei sogni, respiri nella mia anima. Con i tuoi sorrisi mi abbandoni, mi riprendi. Mi porti un mondo sconosciuto, dove tutto parla di te, solo di te. Vedi donna, io so amare ma non so più soffrire. Perciò rimani in me, quest’avventura, che mi da modo di conoscerti meglio. Così, se un giorno dovrò odiare, odierò il mondo ma non te. Che hai saputo, ancora una volta, far battere e illudere un cuore, il cuore mio. Perché anche se mi fai male, e un giorno, tornerò ad amare. Non avrò scampo, io amerò te.

Cigola l’altalena degli eventi. Anni prigionieri di sé siedono a dondolare. Schegge minuscole di gioie sassi spigolosi di dolore. Ancora una panchina nei miei giorni… Quel sostare coatto all’ora impervia del primo pomeriggio dell’ultimo giardino… di un del giovane volontario Nel cieloL’idea quasi specchio mio essere, nondella un minimo accenno di sereno. Ronda della carità di Milano:

Schioppa una App controAida loOdoardi sprecoFabio alimentare aprile 2015 Scarp de’ tenis

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RIMINI

Sulla strada, per scrivere una tesi di Angela De Rubeis

Giacomo e Simone, la passione per la musica in comune e la tesi da scrivere. Lo scorso luglio sono partiti con 10 euro e un biglietto del treno. Poi hanno vissuto, per un mese e mezzo, con i soldi che hanno guadagnato esibendosi in strada 42 Scarp de’ tenis aprile 2015

Giacomo Senatore e Simone Mussoni, 22 anni l’uno, 23 l’altro. La passione per la musica in comune e l’università da finire. Uno studia Antropologia, l’altro Scienze Sociali. Insieme hanno pensato di realizzare una tesi di laurea “sul campo”, ma mai “sul campo” fu più “sul campo” di così! Semplice l’idea di fondo: partiamo e suoniamo. Suoniamo e ci manteniamo con i soldi guadagnati con la nostra musica. 10 euro, un biglietto del treno in tasca e l’idea di “studiare” il fenomeno sociale del vivere per strada, conoscere altri artisti e altre persone che vivono senza dimora: chi per scelta e chi per necessità. Un mese e mezzo tra l’Italia e la Spagna, a decine le tappe toccate. «Tutte località di mare – raccontano – perché in questo modo sarebbe stato semplice trovare un posto dove dormire: la spiaggia». Dopo una chiacchierata di un’ora mi accorgo che la cosa che più ha stranito questi due ragazzi è stato capire che nulla è come sembra. «Per strada abbiamo incontrato molte persone – racconta Giacomo –, persone che non hanno più nulla e che cercano di trovare nella musica un modo per riscattare la loro vita. Per loro esibirsi è


Nelle foto alcuni momenti delle esibizioni di Giacomo e Simone “Hotel Rivolta” durante il mese e mezzo in cui hanno vissuto in strada

lavorare e non chiedere l’elemosina». Questo ha turbato Giacomo che a inizio luglio è partito con l’idea di indagare i meccanismi del potere e della burocrazia. Lui si cruccia del fatto che «le leggi, la burocrazia impediscono queste forme di espressione che oltre ad essere arte sono una forma di riscatto per molti senza dimora». Un mese e mezzo in strada Il viaggio si compie in un mese e mezzo, dicevamo. I due hanno dormito sulle panchine, nei parchi pubblici, in spiaggia, in una caletta dove li ha colti l’alta marea e in stazione. Da molte strade sono stati cacciati, soprattutto in Spagna: «questo ci ha spiazzato molto – raccontano –, pensavamo che l’Italia fosse indietro rispetto alla Spagna. Invece a Barcellona non siamo riusciti ad esibirci e nemmeno a dormire, a dir la verità. La città delle Ramblas che pullulano di artisti… Invece ci siamo imbattuti in un sistema burocratico assurdo, con permessi che dovevano essere richiesti mesi prima». Pochi i viaggi in autostop per via dell’attrezzatura che i due si sono portati dietro, un grande “trolley” per l’amplificazione e poi gli strumenti.

«Siamo andati a piedi e in treno quando riuscivamo a

comprare il biglietto». Quali i guadagni? I due ci raccontano che il primo giorno sono riusciti a racimolare 25 euro, il minimo, visto che nei giorni successivi sono riusciti a guadagnare anche 70 euro. «Quelli erano i soldi per la nostra sussistenza: il cibo e i viaggi. A pensarci adesso sono pochi ma siamo sempre riusciti a fare tutto con il nostro lavoro. Devo dire che è una sensazione bellissima: avere in mano un panino e rendersi conto che lo hai perché te lo sei guadagnato con la tua musica. Una bella sensazione, sì». E adesso veniamo agli incontri fatti per strada. Se devo pensare ad un’esperienza di questo tipo la prima cosa che mi viene in mente è “paura”. Paura di non farcela, paura di chi puoi incontrare per strada, paura di un mondo estraneo, paura delle persone che non conosci. E invece? I due parlano tutt’altra lingua. «La prima cosa da fare è socializzare e magari condividere quello che si ha. Basta passare un mezzo panino e si è tutti amici. Di senza dimora ne abbiamo incontrati molti, tanti con problemi di alcol, molti che hanno perso il lavoro ma - sorride, Simone - alla fine si augura la buona notte al vicino di panchina e si è tutti sulla stessa

«La prima cosa da fare in strada è socializzare e, magari, condividere quello che si ha. Basta passare un mezzo panino e si è tutti amici. Di senza dimora ne abbiamo incontrati molti, tanti con problemi di alcol, molti che hanno perso il lavoro ma - sorride, Simone alla fine si augura la buona notte al vicino di panchina e si è tutti sulla stessa barca».

barca». Il punto di vista sociale è quello che ha interessato Simone, lui che per un anno ha lavorato a stretto contatto con i senza dimora per “Piazza Grande” a Bologna, ha raggiunto la conclusione che ogni persona reagisce a suo modo davanti a quello che percepisce come una diversità. Tanti gli incontri “belli” Ci sono le persone gentili, i bar e i ristoranti che hanno sostenuto i due, allungando loro un pasto o una doccia o un pacchetto di sigarette. Il ricordo più carino è legato ad una signora anziana che, a Pisa, ci ha detto: «Spero che riusciate a trovare un lavoro vero». Ma i vostri genitori come l’hanno presa? Giacomo racconta che la mamma era un po’ turbata ma alla fine «quando sono tornato è stata contenta della mia esperienza». Simone, invece, ha ricevuto un grande supporto dal padre, insegnante di religione di un istituto di Rimini che «vuole che io faccia quello che mi sento. E mi è stato di grande aiuto in questo viaggio». Abbiamo finito. Con un po’ di timore, Simone sussurra: «Scusami, ma io non la capisco questa cosa dell’intervista. Mica mi pare di aver fatto nulla di speciale. Non siamo speciali». Simone 1, resto del mondo 0. aprile 2015 Scarp de’ tenis

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Alcuni allievi di “Cre-Attività” nel bel mezzo di un laboratorio di scrittura. A fianco una bella immagine di Marta Telatin

Marta insegna a scrivere col cuore di Anna Trevisan

Marta Telatin, poetessa e scrittrice non vedente da anni insegna l’arte della scrittura grazie ai suoi corsi di “Cre-Attività. Nella danza dei sensi”. Particolarmente riusciti i suoi laboratori nel carcere di Padova e con la redazione di Scarp 44 Scarp de’ tenis aprile 2015

«Il mio lavoro nasce dalla mia vita» racconta Marta Telatin, esperta di comunicazione, poetessa e scrittrice, che da alcuni anni porta nelle scuole del territorio i suoi corsi di scrittura “creattiva”. Diventata cieca all’età di tredici anni, ha due lauree: una in Scienze della Comunicazione e una in Sociologia, e un’autentica passione per la scrittura che cerca di trasmettere anche gli altri. Figlia d’arte (nonno pittore, nonna cantante e madre attrice) da sempre in casa ha respirato l’amore e l’attenzione per la bellezza. La malattia agli occhi e le difficoltà scolastiche incontrate al liceo l’hanno spinta a intraprendere una ricerca personale e accademica rivolta allo studio della comunicazione sensoriale. Il risultato di questo percorso intellettuale, umano e biografico è la messa a punto di un riuscito format, da lei battezzato “Cre-Attività. Nella danza dei sensi”, ovvero corsi di scrittura pensati per ragazzi e bambini ma anche per adulti.


VICENZA spiega Marta porgendo una benda agli allievi –, potete sentire la densità del mattone, del suo colore rosso, che è un rosso aranciato, caldo. Potete sentire le vibrazioni che quel colore emette, molto diverse da quelle di un muro bianco. Se chiudete gli occhi, potete provare addirittura a sentirli, i colori»

info Marta Telatin cura e conduce i corsi di CreAttività per Scuole, per Associazioni, Enti e Istituzioni. marta.telatin@gmail.com www.martatelatin.it Biografia Confini dell’anima (2010 edizioni Inversi). Il caleidoscoppio dei pensieri (2011 Ibiskos Editrice Risolo). The Survival Diaries, (2012 edizioni Booxfactor). Viaggi di Versi, (2013 edizioni Pagine). Il lupo e la luna (2014 edizioni Galassia arte). Una traMa di Talenti (2014 edizioni Galassia arte).

Nel 2011 è iniziato il viaggio di Marta nelle scuole, nelle associazioni e in quelle realtà abbastanza ricettive e curiose da accoglierla e ospitarla, come il carcere penale Due Palazzi di Padova, dove da tre anni svolge attività settimanale con un gruppo di dieci detenuti.

gna i partecipanti attraverso un percorso “olistico”, fatto di esercizi pensati per riscoprire i cinque sensi e farne scoprire ben altri sei: l’istinto, l’equilibrio, la propriocezione (capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli, ndr), la risata, la spazialità e l’immaginazione.

Tra le realtà che hanno ospitato i corsi di “Cre-Attività”, c’è anche la redazione di Vicenza di Scarp de’ tenis, che ha partecipato con collaboratori della redazione, operatori e persone senza dimora. Marta racconta di come per lei sia stato molto interessante lavorare in questo nuovo contesto. «Il loro carcere è la libertà. Una libertà soffocante – dice –. Eppure, a differenza dei detenuti, hanno accolto con entusiasmo immediato le mie proposte e si sono lasciati guidare senza diffidenza nel percorso multisensoriale, mettendosi in gioco e accettando anche di bendarsi e restare al buio. Cosa, quest’ultima, che con i detenuti del carcere è invece molto più difficile che accada».

«Quest’esplorazione multisensoriale si sviluppa per tappe progressive – spiega ancora Marta – che culminano nel processo creativo della scrittura». A occhi chiusi,

Liberare i propri talenti Tra i molti e gustosi aneddoti che racconta, ce n’è uno che riguarda proprio un detenuto: «Mettiti la benda». «Ma io la benda la mettevo per rapinare».«Beh, allora oggi rapinerai i sogni». L’obiettivo dei corsi è proprio quello di liberare i sogni e i talenti, insieme alla scrittura, sia essa in forma di libera associazione, di frasi o frammenti di poesia oppure di racconti in prosa. Per ottenere questo risultato, Marta accompa-

si esplorano i sensi del tatto e del’olfatto, legati alla memoria emotiva. A occhi chiusi si canta, si balla, si ride. Poi, tolta la benda, si scrive, guidati da una traccia. «Se provate a entrare bendati in una stanza con mattoni a vista –

Imparare la creatività E, se ci riuscite, potete anche provare a rispondere a domande bizzarre come questa: “Come sta il tuo colore?” oppure provare a improvvisare un racconto su questa traccia: “Fate finta di essere una tazza di tè senza manico”. Con i bambini tutto è molto più facile, perché sono meno strutturati, hanno meno resistenze. Con loro Marta costruisce fiabe e storie da illustrare in rilievo, con bottoni, cotone, oggetti. Con gli adulti invece questo tipo di lavoro va a scardinare certezze. Con i detenuti è difficilissimo. Ciononostante, in carcere nasce l’empatia. «Pensano che sono in carcere – dice –. Vedono la mia disabilità come una privazione della libertà». Forse è per questo che proprio con loro Marta ha ottenuto le soddisfazioni più belle: due di loro hanno pubblicato un libro, frutto dei suoi corsi di scrittura “cre-attiva”.

LA SCHEDA

Bruno e Mahmoud, scittori “nati” grazie ai corsi di Marta in carcere Grazie ai corsi di “Cre-Attività” condotti da Marta Telatin nel Carcere Due Palazzi di Padova, alcune delle esperienze con i detenuti sono culminate nella pubblicazione di due libri: “Insieme” di Ferchichi Mejdi (Mahmoud Abdallah) edito da Aracne Editrice e “C’est ma vie. ¾ in apnea” di Bruno Rapone, edito da Tracciati Editore. “Insieme” è un libro a più mani, che raccoglie gli scritti di un ragazzo tunisino, Mahmoud, degli altri detenuti suoi compagni di corso e degli operatori, con la prefazione di Marta Telatin. “C’est ma vie. ¾ in apnea” di Bruno Rapone è invece una raccolta di otto racconti autobiografici ambientati nella realtà carceraria dell’Italia degli anni ’60-’70. Un libro duro, che racconta “gli anfratti” del carcere a noi fuori altrimenti inaccessibili, ripercorrendo la storia di una detenzione precoce, iniziata all’età di quattordici anni, e che ha segnato una vita intera.


MILANO Nella foto il bancone di Mom’s, the family bar locale milanese pensato a misura di famiglie con bambini.

età prescolare che consente ai primi di rilassarsi mangiando o bevendo qualcosa, mentre i secondi giocano accanto a loro. Uno spazio di aggregazione dove è possibile anche partecipare a laboratori, corsi, conferenze e incontri. Il Mom's è un luogo in cui le esigenze di grandi e piccini coesistono e si divertono insieme.

Mom’s bar, all’happy hour con il passeggino di Sandra Tognarini

info Mom’s – The family bar via Antonio Fogazzaro 11, Milano Il Mom’s è aperto dal lunedì al venerdì dalle 9,30 alle 18,30 e il sabato dalle 10 alle 14. All’interno trovano spazio diverse aree (la caffetteria, l’area gioco, la sala attività, la nursery/baby pit stop e il parcheggio passeggini). Al Mom’s vengono organizzati laboratori sensoriali e di arti creative (travasi, collage, pittura con le mani e i piedi...), corsi di inglese e di musica, corsi per massaggi neonatali, incontri con esperti di settore come ostetriche e psicologhe. facebook mom’s the family bar

Mom’s - The Family Bar in via Fogazzaro 11 a Milano ha aperto i battenti lo scorso 13 gennaio ed è una di quelle idee semplici che vanno a risolvere una necessità: avere a disposizione un locale dove i bambini piccoli non siano “tollerati” ma diventare protagonisti durante il tempo libero degli adulti. Per aprire il Mom’s è servito lo spirito di iniziativa di due “ragazze in carriera” che, diventate mamme poco dopo i trent'anni, hanno deciso di cambiare vita. Un bel giorno, Paola Tagliaferri (una laurea in ingegneria edile al Politecnico di Milano e un suo studio specializzato in ingegneria acustica) incontra al corso preparto della clinica Mangiagalli Rosa Massimo, laureata in Scienze della Comunicazione alla Sapien-

Da un incontro casuale è nata l’idea di realizzare un luogo dove genitori e bambini possono pranzare insieme 46 Scarp de’ tenis aprile 2015

za di Roma, master in peacekeeping and security studies a Roma Tre, budget analyst con esperienze lavorative nel terzo settore e in organizzazioni internazionali. Le due ragazze sono anche delle creative: la prima è pittrice, la seconda scrive romanzi. Diventano presto amiche e, unendo un po' di fantasia alle loro competenze lavorative, individuano la possibilità di fare impresa insieme. Un luogo accogliente «Ci siamo rese conto – dice Rosa Massimo – che con passeggini e carrozzine è difficile frequentare ristoranti, pub e bar. E allattare in pubblico non è una pratica ben vista. Le difficoltà rimangono anche se hai con te bambini più grandi che, mentre incontri gli amici, devono pur trovare il modo di passare il tempo. A Milano ci sono tanti baby parking ma non c'è un posto per adulti e bambini insieme». Dall'idea imprenditoriale all'apertura del Mom's è passato più di un anno. È nato così un luogo di incontro per adulti e bambini in

L'idea è piaciuta così tanto che Rosa e Paola hanno già ricevuto richieste di informazioni sulle modalità di apertura di altri Mom's, che è un marchio registrato. A tale proposito, le due socie hanno dovuto superare l'iniziale malinteso di molti che consideravano il locale un'attività non profit e non una realtà commerciale. La speranza delle fondatrici del locale è comunque quella di indurre i comuni ristoranti, pub e bar a garantire un maggiore comfort ai genitori e ai loro bambini, non solo acquistando seggioloni, ma anche ristrutturando le toilette, migliorandone l'igiene (molti locali hanno ancora le “turche”) e inserendo spazi che permettano un comodo e tranquillo “cambio” ai piccoli. «Avere un fasciatoio in un apposito spazio di ogni locale non deve essere raro, ma obbligatorio per mantenerlo aperto, come accade nel nord Europa – osserva Rosa». L'idea caratteristica del Mom's, ovvero l'intrattenimento congiunto adulto-bambino, fa tornare la maternità e l'infanzia protagonisti del tempo libero degli adulti, non considerandoli più un problema. Del resto, come si legge nel depliant informativo, anche a Milano “i luoghi per l’infanzia non sono compenetrati con il tessuto urbano, ma relegati in location lontane dalla vista”. Il locale è frequentato anche dai papà con i figli, dai nonni e da famiglie al completo. In poche settimane, il Mom’s ha già riscosso la simpatia del quartiere e non solo, potendo già contare su un'affezionata clientela che affolla il locale soprattutto dalle 11 in poi e nel pomeriggio dopo la fine della scuola.


TORINO ragioni, o ripensiamo le modalità d’intervento oppure si rischia di non riuscire più a rispondere in modo adeguato».

Una Boa urbana, per aiutare chi dorme in strada di Vito Sciacca

dati 1.658

persone che nel 2014 hanno fatto richiesta ai dormitori di Torino (296 donne e 1.362 uomini)

947 gli stranieri (di cui 220 romeni e 176 marocchini)

464 di età compresa tra i 40 e i 49 anni (395 tra 30 e 39 anni, 354 tra i 50 e i 59, 311 tra i 18 e i 29, 97 tra i 60 e i 64, 35 tra i 65 e i 79 e 2 non registrati)

1.199 le persone che sono state accolte effettivamente

Quest’anno il primo a morire per strada a Torino è stato un cittadino libico quarantenne, trovato carbonizzato la mattina del 4 gennaio vicino alla stazione Lingotto: in Italia dal 2000, aveva chiesto asilo politico. Un mese dopo è stata la volta di un romeno di 49 anni, trovato morto nel quartiere Vanchiglia: dormiva su una panchina e proprio il freddo sarebbe stato la causa dell’arresto cardiaco che lo ha stroncato. Sono storie tragiche che si ripetono ogni inverno: perché nonostante gli sforzi di istituzioni e volontariato, rimane una percentuale di senza dimora che trascorrono le notti all’addiaccio rifiutandosi di rivolgersi alle strutture di ospitalità notturna. Proprio su questi temi si è svolto il 10 febbra-

Uno degli obiettivi del progetto è “agganciare” le persone, per poterle accompagnare in percorsi di recupero

io scorso un incontro straordinario del Tavolo senza dimora promosso da Caritas Torino, cui hanno preso parte rappresentanti istituzionali e del volontariato, con l’obiettivo di stabilire strategie d’intervento più incisive.

Un compito non facile però, perché impone il ripensamento di molte pratiche adottate fino ad oggi, come spiega Massimo De Albertis, dell’ufficio adulti in difficoltà del Comune di Torino: «Questa come le altre morti precedenti di persone senza dimora ci interrogano sulla tipologia di interventi e di servizi messi a loro disposizione dal settore pubblico, dal terzo settore, dal privato sociale e dal volontariato. Esistono molte valide risorse, ma sono perlopiù standardizzate e quindi non possono andare bene per tutti; oltretutto il numero di senza dimora è in aumento e presenta caratteristiche molto diverse dal passato, con problematiche correlate sempre più eterogenee e complesse, anche per le diverse nazionalità di provenienza. Per queste

Servono risposte su misura Ma come ripensare gli interventi? «Innanzitutto dando maggior attenzione alla relazione – sostiene De Albertis –, svolgendo, quindi, un’accoglienza nel vero senso del termine. Poi occorre incontrare e ascoltare le persone al fine di confezionare risposte il più possibile “su misura”, costruite sulla base delle loro reali esigenze. Questo è possibile solo coinvolgendo altri attori istituzionali per incontrare le persone e non solo aspettarle negli ambulatori e negli uffici. Importante ad esempio il coinvolgimento del settore sanitario, della salute mentale, delle dipendenze che avrebbero un ruolo centrale per elaborare risposte più adeguate alle nuove tipologie di persone che vivono in strada».

Sotto molti aspetti, questo è quanto viene fatto ogni notte dagli operatori della “Boa urbana mobile”, servizio comunale itinerante che intercetta le persone che vivono in strada, proponendo loro strutture di ospitalità notturna. Veronica, educatrice della cooperativa Valdocco, e Silvia, operatrice della cooperativa Strana Idea (società che hanno in appalto il servizio dal Comune) raccontano il loro lavoro: «È un servizio a bassa soglia che offre a chi dorme in strada generi di conforto, informazioni e accompagnamento in strutture dalle 18,30 alle due di notte. Uno degli obiettivi è cercare di “agganciare” la persona, in modo da poterla accompagnare in un percorso di recupero. Spesso si tratta di persone affette da patologie di cui non hanno consapevolezza: già convincerle a sottoporsi ad una visita medica è un successo. Occorre tempo per conquistare la fiducia di queste persone e solo dopo aver costruito un rapporto si può iniziare a proporre interventi di più ampio respiro». aprile 2015 Scarp de’ tenis

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Dag, regista che non gira solo film di Elisa Rossignoli

Viaggio di Scarp dentro casa “Don Girelli” una della due sole strutture attive in Italia che ospitano pazienti dimessi dagli ospedali psichiatrici giudiziari che hanno ancora “bisogno” di vivere in un ambiente protetto. 48 Scarp de’ tenis aprile 2015

«Malgrado i corpi che li contenevano siano scomparsi, quei nomi rimangono nell’aria perché sono stati pronunciati, e continuano a vivere anche lontano dal proprio confine umano. Noi non li sentiamo perché viviamo sommersi nel caos di milioni di parole avvelenate. Ma quelle sillabe vivono perché sono registrate nel cosmo». Il buio fitto di uno schermo ancora nero. Una voce canta una nenia senza parole dal sapore dolce di ninnananna. Compare una scena di mare ad acquarello, in sottofondo il rumore delle onde del mare in una giornata di sole. Quello che quasi tutti abbiamo sentito da bambini, e che un po' ci riporta ad allora. Ma all'improvviso la cinepresa ci catapulta in uno scenario altro, inatteso: quel suono familiare diventa lo sciabordìo delle onde contro lo scafo di una barca immobile. E l'azzurro è il mare visto dalle sue stesse viscere. Silenzio. Un senso di soffocamento. La voce riprende. Diretto da Dagmawi Yimer (etiope ma ormai veronese d’adozione, da tutti conosciuto come Dag), presentato dal Comitato 3 ot-


VERONA triso di pietà per i genitori che non sapranno mai cos'è accaduto ai loro figli, se sono vivi o morti, e dove si trovano. A loro, ai genitori, è chiesto di chiamare i nomi dei figli, perchè rispondano anche dal fondo del mare. Ad uno ad uno, per dire che esistono, che la loro storia spezzata non si è estinta con la morte, e che non è caduta nell'oblio.

A sinistra il regista etiope Dagmawi Yimer al lavoro. Qui sopra una delle scene più forti di Asmat, la sua ultima fatica cinematografica

tobre, realizzato insieme all'Archivio delle memorie Migranti e Campagna Verità e Giustizia per i nuovi desaparecidos, Asmat è un cortometraggio dedicato alla Memoria dei 368 migranti morti nel mare di Lampedusa il 3 ottobre 2013.

Non la prima tragedia, non l'ultima, purtroppo, in quelle acque... Ma spesso, dei corpi che il mare restituisce, non si conoscerà mai il nome. Delle persone che morirono quel giorno, invece, furono rintracciati i nomi di tutti. Non era mai accaduto prima. «Ciò è stato possibile con l'aiuto dei compagni di viaggio che sono sopravvissuti – spiega Dag –. Si conoscevano tutti, li hanno riconosciuti, e finalmente quei corpi hanno potuto avere un nome, e hanno poturo vedere riconosciuta la loro dignità di persone. Non semplicemente migranti. Ma persone». Erano persone anche prima. Ma, come canta la voce del mare, più visibili da morte che da vive.

info Asmat Asmat è un film libero, disponibile gratuitamente sulla piattaforma Vimeo. Regia di Dagmawi Yimer, disegni di Luca Serasini, musica di Marco Bernacchia. Durata: 18 min. https://vimeo.com/114849871

Asmat significa nomi Asmat in lingua tigrina significa nomi. «Abbiamo voluto che i nomi fossero i protagonisti – continua Dag – , perché nei paesi di provenienza dei morti del 3 ottobre (Eritrea ed Etiopia) il nome ha un significato non soltato traducibile, ma comprensibile a tutti, un vero e proprio messaggio. Dare un nome ad un figlio è pensare per lui un futuro che parte dalle sue radici, è scrivere l'inizio di una storia che si snoderà all'infinito anche oltre il suo viaggio terreno».

Il viaggio di Selam, Getahun, Tesfaye, Tsegereda, Beyene e gli altri loro compagni viene da lontano. Il loro grido si sprigiona dall'abbraccio freddo del mare, ne supera il soffocamento che nel film è palpabile, quasi reale. Ed è rivolto ai vivi. Un grido che dichiara le responsabilità dei governanti Africani ed Europei, una domanda schietta ai credenti, una carezza alla piccola isola di Lampedusa, luogo rifugio, ancora di salvezza, la terra tanto attesa. Un pianto in-

Una storia in comune «Asmat racconta una storia a cui appartengo anch'io – conclude Dag –. Anch'io ho compiuto quel viaggio, sono uno di loro. È anche la mia storia, quella dei miei compagni di viaggio, alcuni arrivati con me, altri dispersi. Tra loro c'era un amico che faceva il regista. Per questo aveva studiato, e questo avrebbe fatto se fosse sopravvissuto. È come se io avessi continuato ciò che lui ha dovuto interrompere. Ecco, fare questo lavoro e soprattutto aver girato questo film me lo fa sentire ancora vivo».

LA SCHEDA

Da migrante clandestino a regista: che vuole dare voce a chi non ce l’ha Dagmawi Yimer (Dag) è arrivato in Italia via mare nel 2005, attraverso la Libia riuscendo ad ottenere lo status di “protezione umanitaria”. Per arrivare in Italia Dag ha dovuto attraversare, via terra, il deserto tra Sudan e Libia e in Libia, si è imbattuto in una serie di disavventure legate alle violenze della polizia libica e a quelle dei contrabbandieri e che gestiscono il viaggio verso il Mediterraneo. Sopravvissuto alle torture e al viaggio sui barconi Dag è riuscito ad arrivare prima a Lampedusa e poi a Roma, dove ha iniziato a frequentare la scuola di italiano Asinitas Onlus e dove ha imparato anche il linguaggio del video-documentario. Nel 2008, con il suo primo documentario “Come un uomo sulla terra”, firmato insieme ai registi Andrea Segre e Riccardo Biadene, ha raccontato il terribile viaggio compiuto attraverso la Libia assieme a tanti suoi compagni eritrei. Sono poi usciti "Soltanto il mare" (2011), film che propone lo sguardo incrociato di due realtà che a Lampedusa raramente dialogano tra loro: quella di un migrante sbarcato sulle coste dell’isola, e quella dei lampedusani e “Va' pensiero, storie ambulanti” ispirato alla strage di Firenze del 13 dicembre 2011, in cui due senegalesi, Samb Modou e Diop Mor, rimasero uccisi da un esponente dell’estrema destra italiana. “Asmat” è la sua ultima fatica. aprile 2015 Scarp de’ tenis

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F FRATELLI RATELLI DI SAN FRANCESCO FRANCESCO D’ASSISI

5xdare mille aiuti

“Ill vero custodire gente, aver “I vero potere potere è il servizio. servizio. Bisogna cu stodire la gent e, a ver cura cura di di ogni persona, persona, con a more, sp fragili amore, specialmente dii coloro che ecialmente dei dei bambini, bambini, dei vvecchi, ecchi, d che sono più più fragili e che che spesso spesso sono nella p periferia eriferia del nos nostro tro cuore.” cuore.” P Papa apa Francesco Francesco

La Fondazione Fratelli San Francesco Fondazione F ratelli di S an F rancesco d’Assisi Onlus, offre offre accoglienza accoglienza e assistenza assistenza alle persone persone in stato stato di di bisogno e ffer to un un letto letto ad oltre oltre 4. ugp|c"Þuuc"fkoqtc."cfwnvk."cp|kcpk"g"okpqtk."rtqowqxgpfqpg"nc"nqtq"fkipkv 0 In un anno abbiamo o ugp|c"Þuuc"fkoqtc."cfwnvk."cp|kcpk"g"okpqtk."rtqowqxgpfqpg"nc"nqtq"fkipkv offerto 4.160 160 o7 .110 a nziani, o ffer to 43.350 visite visite persone, persone, distribuito distribuito o oltre ltre 1 milione d dii p pasti, asti, o offerto ffer to ac accoglienza coglienza a 3 311 11 minori, minori, assistit assistito 7.110 anziani, offerto do ffer to cor si mediche, incontrato incontrato co n l’wpkv l’wpkv "oqdkng"pqvvwtpc"450537"rgtuqpg, 450772" ugtxk|k" fk" fqeeg" g" iwctfctqdc e mediche, con 5450772"ugtxk|k"fk"fqeeg"g"iwctfctqdc ed offerto corsi " oqdkng" pqvvwtpc" 450537" rgtuqpg, 5 d dii it italiano, aliano, di inf informatica, ormatica, o orientamento rientamento al lavoro, lavoro, assistenza assistenza le legale gale e pr previdenziale, evidenziale, suppo supporto r to psicolo psicologico gico e sociologico. sociologico.

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Ringraziamo: Ringraziamo:


VENEZIA lori della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica che hanno fatto da solida base alla riflessione.

Creare relazioni per dare speranza ai senza dimora di Michele Trabucco

info

Caritas Triveneto Riunisce le Carits delle 15 Diocesi del Triveneto: Vicenza, Padova, Vittorio Veneto, Verona, Venezia, Udine, Trieste, Treviso, Trento, Gorizia, Concordia – Pordenone, Belluno – Feltre, Adria – Rovigo, Chioggia, Bolzano - Bressanone - Bozen.

Accoglienza, percorso personale, casa e coinvolgimento della comunità. Queste le quattro linee guida da cui è partito il cosiddetto tavolo della grave marginalità, realtà, che riunisce periodicamente tutti i referenti Caritas delle quindici diocesi del Triveneto. Questo perchè senza dimora e grave marginalità sono da sempre al cuore della missione della Caritas e della stessa Chiesa. Don Roberto Camilotti, direttore della Caritas di Vittorio Veneto, ha guidato le circa venti persone, referenti del settore nella propria Caritas, a fare un vero cammino ecclesiale di condivisione, di arricchimento, di ricerca e di comunione. Fin da subito si è voluto dare agli incontri una finalità concreta e ben chiara, utile al servizio e all’im-

Dalle Caritas del Triveneto modalità condivise per attivare azioni comuni a sostegno delle persone senza dimora

pegno di ogni operatore e volontario per i senza dimora. Il cammino di confronto e condivisione è stato fatto su delle ipotesi di metodo proposte dalla Caritas di Verona che sono diventate le linee guida di tutte le diocesi nell’azione a favore dei senza dimora. Un testo che offre la visione, i valori, il senso di ogni servizio a questo specifico target di persone. Il documento “nasce da un ascolto attento e condiviso della Parola e da una rilettura del Vangelo della carità, perché possa essere la luce che guida e illumina il pensiero proposto”.

La volontà di comprendere le motivazioni che conducono una persona a non “stare” in una casa chiamano tutti noi a renderci disponibili, affinché chi non ha un’abitazione possa essere accolto in una comunità e, in qualche modo, abitare il nostro essere. Dignità della persona umana, bene comune, destinazione universale dei beni, sussidiarietà, partecipazione e solidarietà sono i va-

Ridare dignità alle persone La prospettiva centrale su cui si è riflettuto ed elaborato le linee guida “è pensare che la risposta concreta dell’accoglienza sia un segno della disponibilità a condividere una parte di vita affinché le persone percepiscano di essere accompagnate. Un progetto concreto di condivisione, di accoglienza affinché, lo stare accanto quotidiano consenta alla persona di far emergere il proprio vissuto, le proprie esigenze senza la preoccupazione del giudizio o dell’emarginazione. La condivisione è anche lo spazio per l’incontro, per la creazione di relazioni umane significative, che si basano sulla reciprocità. La condivisione è anche il luogo della memoria, della gratitudine, della pazienza, poiché il percorso verso l’autonomia richiede tempo, confronti, riflessioni e anche attese.

La condivisione implica la continuità, la verifica costante sia della propria vita sia di un progetto proposto; in tale verifica è possibile rileggere il proprio cammino non come un “macigno” irremovibile, ma come una storia sulla quale costruire nuovi percorsi di vita. Il fratello che si trova nella “fatica” sperimenta in chi lo incontra un profondo rispetto della dignità della persona, la ricerca del bene comune, e il desiderio di condividere una parte di vita, forse quella più difficile. Egli percepisce di essere accompagnato. Il tavolo di lavoro ha poi individuato alcuni temi che esprimono il nucleo di ogni azione rivolta a chi si rivolge a Caritas per un sostegno. Tali temi si sono raccolti e sviluppati attorno ad alcune parole: accompagnare, marginalità, coinvolgimento, relazione d’aiuto, persona, servizio di carità. I prossimi passi saranno la diffusione di queste linee guida e lo sviluppo di un cammino formativo per chi opera senza dimora. aprile 2015 Scarp de’ tenis

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VOCI DALL’AFRICA

La sfida di Albert Street: l’integrazione sui banchi di scuola Johannesburg è una città in movimento. Centro economico del Sudafrica, è proprio per questo un punto d’attrazione per molti: manager e uomini d’affari ma anche disoccupati in cerca di lavoro e migranti in arrivo da buona parte dell’Africa. Soprattutto per questi ultimi, di Davide Maggiore

scheda Davide Maggiore, nato nel 1983, una laurea in filosofia già vecchia di anni. È stato viaggiatore prima di diventare giornalista e ha incontrato l’Africa grazie a chi da lì è arrivato in Italia: ne ha fatto un lavoro senza perdere la passione. Nel cuore gli è rimasta soprattutto la Tanzania, negli occhi e nella testa il Sudafrica.

che siano rifugiati o li spingano ragioni economiche, quello della casa è il problema fondamentale, prima ancora dell’impiego. E subito dopo abitazione e lavoro, per chi ha portato con sé la famiglia o ne ha vista nascere una nel nuovo paese, viene la necessità di garantire un’istruzione ai propri figli. Un compito di cui, a volte, i migranti hanno deciso di farsi carico in prima persona. Una scuola per integrare William Kandowe è il preside della scuola che, dal 2008 ha riaperto in Albert Street, dove un istituto scolastico era stato chiuso, nel 1958, dal regime dell’apartheid. Kandowe è lui stesso un rifugiato, fuggito dallo Zimbabwe. Originari dello Zimbabwe sono anche la maggior parte degli allievi (ma, in tutto, ce ne sono di 11 nazionalità diverse) e gli altri insegnanti: tutte persone in possesso dei titoli e dell’esperienza per svolgere questo lavoro, ma che hanno dovuto lasciare il loro paese per motivi economici o politici. Ad aiutarli a far partire il progetto di Albert Street è stata la Central Methodist Church, la missione metodista di Johannesburg, dove Kandowe aveva co-

minciato a lavorare nell’assistenza ai migranti poco dopo il suo arrivo in città. Qui, racconta «mi capi-

Aprire la scuola è stato anche un modo per impedire che sempre più bambini si dessero ai crimini di strada o alla droga. Inizialmente gli alunni erano 70, oggi se ne contano più di 366, dalla scuola materna all’ultima classe della secondaria, che segue il curriculum internazionale britannico.

Una classe di studenti della Albert Street school

tava di vedere sempre più bambini e aprire la scuola è stato anche un modo per impedire che si dessero ai crimini di strada o alla droga». Inizialmente gli alunni erano 70, oggi se ne contano più di 366, dalla scuola materna all’ultima classe della secondaria, che segue il curriculum britannico. L’esperienza di Albert Street non è importante solo per migranti e rifugiati, ma anche per la città che abitano: creata all’indomani di un’ondata di attacchi xenofobi – fenomeno ancora oggi irrisolto nel paese – attualmente vede studiare, accanto agli stranieri, anche bambini e adolescenti sudafricani. «Molti sono ex ragazzi di strada che arrivano dalle ex township, come Soweto, ma ci sono anche figli di famiglie che abitano qui in città – spiega il preside». Serve una nuova sede Un esempio di integrazione, questo, sopravvissuto anche allo sgombero della Central Methodist Church, che ha finanziato l’iniziativa, ma che da dicembre 2014 non può più fare da rifugio per i migranti. Le lezioni scolastiche però non si sono fermate: lasciata Albert Street è stata trovata – gratuitamente – una sede provvisoria e i rifugiati sono già impegnati a cercare una sistemazione definitiva. Intanto, alla fine dello scorso anno, gli alunni dell’ultima classe hanno sostenuto gli esami. I risultati non avrebbero potuto essere migliori: tutti gli allievi hanno superato le prove con punteggi abbastanza alti da poter essere ammessi nelle università sudafricane. aprile 2015 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

La fiera delle previsioni sbagliate Ma perché tutti sbagliano? Ocse, Fmi, governi, agenzie di rating. Errori sulla crescita, sul tasso di disoccupazione, errori nella valutazione della solidità dei titoli e delle aziende. Quali sono le ragioni? E chi paga il prezzo? di Andrea Barolini

scheda

Ventuno come il secolo nel quale viviamo, come l’agenda per il buon vivere, come l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. Ventuno è la nostra idea di economia. Con qualche proposta per agire contro l’ingiustizia e l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

54 Scarp de’ tenis aprile 2015

Previsioni economiche: perché sbagliano tutti (o quasi)? Deficit, spread, debito, disoccupazione, crescita, Pil. Quasi quotidianamente governi, banche centrali, centri di ricerca, agenzie di rating e istituzioni internazionali sciorinano dati, previsioni e stime sull’andamento di decine di indicatori economici. Dettagliando cifre, periodi di riferimento, e spiegando anche le ragioni di tali ipotesi. Eppure, spessissimo, tali previsioni risultano sbagliate, anche in modo clamoroso.

come ad esempio il fatto che i mercati sono in grado di regolamentarsi da soli e che permettono un’allocazione ottimale delle risorse (tradotto: più ricchezza per tutti), continuano ad essere difesi nonostante siano stati smentiti clamorosamente dai fatti. Discorso analogo vale per le ricette anticrisi basate sull’austerità, che hanno provocato disastri economici e sociali di proporzioni inaudite, come nel caso della Grecia. Grandi declassate Sfogliando soltanto alcune pagine della storia recente gli esempi sono infiniti. Prendiamo le

Le ragioni di tale ricorrente discordanza tra quanto immaginato e la realtà sono molteplici. Numerosi

agenzie di rating, ad esempio. Si tratta di istituti che hanno

grandi economisti puntano tuttavia il dito contro quella che potremmo definire una «arretratezza culturale» della scienza economica. Una vasta schiera di “esperti” del settore appare infatti ancorata ad un rigido dogmatismo che si fonda, spesso, sull’ortodossia della dottrina neo-liberista. Il che significa che alcuni «mantra»,

il compito di prevedere il futuro (outlook) di aziende private, così come di Stati. Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch sono le tre “sorelle” americane che detengono l’oligopolio mondiale di queste “pagelle”. Ebbene, sappiamo che la crisi è nata da una serie di gigantesche bolle speculative (in particolare nel settore immobiliare)

che, assieme all’abuso di strumenti finanziari derivati, ha messo in crisi dapprima alcune banche (le più esposte) e poi ha fatto crollare l’intero sistema mondiale. Il crack più clamoroso è certamente quello del colosso americano Lehman Brothers. Eppure fino a poche ore prima esso era valutato con un’ottima “A” (che in gergo tecnico significa «solida capacità di ripagare il debito» influenzabile «da circostanze avverse»). Similmente, nel 2001, quando implose il colosso dell’energia Enron, tre giorni prima il rating era più che positivo. Sempre negli Usa, il 6 settembre 2008 le due aziende semi-governative specializzate in mutui, Fannie Mae e Freddie Mac, chiedevano un intervento pubblico d’urgenza: una nazionalizzazione costata al governo di Washington 200 miliardi di dollari. Ebbene, la valutazione dei due colossi era addirittura la migliore possibile: a entrambe era assegnata la “tripla A”. Ancora, in Italia

le obbligazioni Parmalat erano valutate “BBB-”, ov-


Anche il premio Nobel Paul Krugman ha confessato in un’intervista a Business Insider, gli errori di valutazione commessi negli ultimi anni come la sottostima dell’economoia digitale, il ruolo di Monti, la coesione dell’Ue e gli effetti della bolla immobiliare

futuro più roseo della realtà.

vero “non speculative” non molto tempo prima del crollo dell’azienda, che mise in ginocchio 50 mila risparmiatori. Ocse e Fmi, raffica di errori Fin qui le agenzie di rating. Ma sul fronte delle grandi istituzioni internazionali, la musica non cambia. L’Ocse negli anni scorsi ha pubblicato una sorta di bilancio sull’affidabilità delle sue previsioni in merito alla crescita economica. Risultato: tra il 2007 ed il 2009, le stime sul medio-lungo periodo sono state più alte di 1,92,6 punti percentuali. E neppure le previsioni a breve termine si salvano: anch’esse sono state sistematicamente sovrastimate (+0,1% in media). L’Ocse am-

mette, insomma, che nel periodo della grande recessione ha sottovalutato le interconnessioni esistenti tra le diverse economie, la globalizzazione, i meccanismi di trasmissione e di «contagio». Immaginando un

In Grecia, poi, la questione ha assunto sfumature ai limiti del ridicolo. Come noto,

Anche sul fronte delle grandi organizzazioni internazionali la musica non cambia. Ocse e Fondo monetario internazionale, come le agenzie di rating, spiccano in materie di previsoni economiche sbagliate

il Paese ha ricevuto ingenti aiuti economici da parte della troika composta da Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea e Commissione europea. In cambio, si è impegnata su un’ampia e dettagliata serie di riforme, manovre economiche e provvedimenti (il cosiddetto “memorandum”). Queste – secondo le previsioni degli «esperti» – avrebbero dovuto rilanciare il Paese. Prendiamo, ad esempio, il mondo del lavoro. Il Fmi aveva indicato

tassi di disoccupazione «accettabili» per la nazione europea, negli anni dal 2010 al 2013: 11,8%, 14,6%, 14,8% e 14,3%. La realtà, invece è risultata lontana anni luce: 12,6%, 17,7%, 24,3% e 27,3%. Insomma: d’accordo sbagliarsi di qualche decimale, ma in

questo caso il numero di senza lavoro è stato pari a circa il doppio rispetto al dato previsto!

Alcuni economisti hanno fornito una spiegazione tecnica: basandosi su vecchi modelli previsionali, il Fmi aveva previsto che il calo del Pil dovuto ai tagli alla spesa pubblica avrebbero ricalcato la formula “1 euro di tagli = 0,5 euro di contrazione economica”. Al contrario, la discesa del Pil è stata estremamente più forte (fino a 1,5 euro per ogni euro di tagli), secondo quanto ammesso dall’ex capo economista dello stesso Fondo, Olivier Blanchard, in un rapporto del 2013 che fece il giro del mondo. Inoltre, uno studio commissionato lo scorso anno dal Parlamento europeo (intitolato The Troika and financial assistance in the euro area: successes and failures) spiega come, allo stato attuale, non si possa ritenere che l’austerità in Grecia «abbia avuto successo», dal momento che «la competitività è ben lontana dall’essere stata ripristinata», «l’accesso ai mercati finanziari molto probabilmente non sarà recuperato nel vicino futuro», «le riforme strutturali stanno procedendo a un ritmo lento». E, soaprile 2015 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

Le previsioni di crescita del governo italiano, tra il 2006 e il 2013, sono state sovrastimate in media del 2,2%. Un’enormità. Analogamente le previsioni sul tasso di disoccupazione

prattutto, «le assunzioni del programma della troika si sono ampiamente rivelate errate». Piccola nota di cronaca: nonostante tutto ciò, il nuovo governo greco guidato da Alexis Tsipras – che ha chiesto di invertire la rotta di fronte alla «catastrofe umanitaria» provocata dalle politiche della troika – è stato costretto ad accontentarsi di un compromesso, di fronte all’ostinata difesa della “linea ufficiale” da parte dei rappresentanti della troika, nonché da alcuni Paesi (Germania in testa). Il governo non fa eccezione D’altra parte, in tema di previsioni sbagliate i governi non fanno di certo eccezione. Prendiamo quello italiano: secondo un’analisi de La Repubblica, tra il 2006

e il 2013 le previsioni di cre-

Prevedere, impossibile senza rigore scientifico

Mark Buchanan, scienziato canadese, da anni si dedica all’applicazione dei principi della fisica all’economia 56 Scarp de’ tenis aprile 2015

scita del Pil pubblicate dal Tesoro sono state sovrastimate, in media, del 2,2%. Un’enormità. Parlando di lavoro, inoltre, il 1 aprile 2014 il presidente del Consiglio Matteo Renzi dichiarava che il tasso di disoccupazione «nei prossimi mesi tornerà sotto la doppia cifra». Il ministro del Lavoro Poletti il 3 giugno aggiungeva: «Inversione di segno entro fine anno». E la responsabile delle Riforme, Maria Elena Boschi, l’8 ottobre annunciava «disoccupazione in calo». La realtà, spiegata dall’Istat, dice invece che il tasso a gennaio scorso è sceso solo dello 0,1%. Dovrebbe, poi, essere risalito della stessa piccola quota a febbraio. Ma di sicuro è ancora ampiamente «in doppia cifra»: al 12,5%, dopo aver toccato, lo scorso anno, il record assoluto dal 1977.

E se il vizio della teoria economica fosse nella mancanza di rigore scientifico? È la tesi sostenuta da Mark Buchanan – scienziato canadese che da anni si dedica all’applicazione dei principi (e del rigore) della fisica all’economia – nel suo libro Previsioni (edizioni Malcor D’). «Come molti altri fisici – racconta l’autore – mi curo di teorie finanziarie ed economiche da un ventennio circa, quando molti di noi iniziarono a spostarsi dal proprio ambito di ricerca tradizionale e ad applicare le modalità speculative della fisica ad altri campi. Nell’accostarmi allo studio della teoria economica mi aspettavo di trovare un corpus di teoria speculativa e matematica sviluppato con la stessa abnegazione e onestà intellettuale che si incontra studiando la fisica, ingegneria aeronautica, neuroscienza o psicologia sociale.

La verità è sgradevolmente diversa. Se si studiano i teoremi economici che asseriscono di spiegare il funzionamento dei mercati e si analizzano le condizioni in cui questi teoremi sono stati sostenuti e le conseguenze che implicano sui mercati reali, si nota una discrepanza esorbitante tra le affermazioni degli specialisti e la realtà. Questa affermazione non vale per tutti gli economisti, naturalmente, ma per troppi di loro». Falsa convinzione Il fisico canadese sottolinea in particolare come la teoria economica moderna si basi su una falsa convinzione: il fatto che il sistema tenda in modo naturale alla stabilità. Si tratta dell’idea di uno dei padri del liberismo, Adam Smith, che evocò una «mano invisibile» che porterebbe i mercati, quasi


SCHEDA

I professori di economia del futuro? Vittoria schiacciante del pensiero unico I professori di economia di domani chi sono? Se l’è chiesto, nel 2013, in Francia, la ricercatrice Florence Jany-Catrice: analizzando il periodo 2000-2010, ha dimostrato come, a partire dal 2000, le giurie che scelgono i docenti abbiano selezionato solamente il 10,5% di «eterodossi». Persone cioè che nei loro dossier hanno presentato lavori e ricerche che non si basano sulla teoria dominante. Una quota irrisoria, dunque, che negli ultimi anni è perfino scesa al 5%. «In questo modo – ha commentato il mensile Alternatives Economiques in un editoriale apparso sul numero di febbraio – solamente il pensiero unico avrà diritto di esistere in Francia». A pagarne le conseguenze saranno i francesi, e non solo loro.

L’ANALISI

per magia, ad un equilibrio benefico per tutti. Buchanan cita molteplici esempi di situazioni che hanno visto il mainstream economico tentare disperatamente di difendere tale principio: solo negli anni 2000, la bolla di inter-

La maggior parte degli economisti pare aver ignorato le grandi scoperte scientifiche degli ultimi decenni. Il risultato? Un’arretratezza culturale che emerge quando si tratta di fare previsioni

net, quella immobiliare, i mutui subprime, ma anche il crack di Wall Street del 6 maggio 2010. Tutti fatti che non potevano essere spiegati, per i difensori del sistema, se non come «il risultato di eventi eccezionali e anormali. Uno sbaglio, un grosso dito su una tastiera, una falla di un programma: in nessun caso si poteva ammettere che i mercati non fossero in equilibrio stabile». Buchanan cita il matematico Alan Turing, che nel 1952 sottolineava come le instabilità fossero invece alla base della vita stessa. È il caso del miracolo dello sviluppo

embrionale, quando le cellule si dividono e specializzano per assumere ruoli differenti: «I neuroni specializzati, le cellule del sangue, i tessuti muscolari e gli organi necessari alla vita. Oggi sappiamo che Turing aveva ragione. Ogni altra branca scientifica fiorì grazie a queste intuizioni, cui l’economia negli anni settanta girò le spalle in modo piuttosto strano».

In sostanza la maggior parte degli economisti (ma non tutti!) hanno ignorato le grandi scoperte scientifiche degli ultimi decenni: «La teoria del caos, per esempio, e la scienza delle strutture frattali che osserviamo in ogni cosa, dal paesaggio alla distribuzione delle galassie nell’universo, sorte attraverso processi di squilibrio». Il risultato è un’arretratezza culturale, che emerge con decisione soprattutto quando si tratta di fare previsioni. aprile 2015 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

L’idea vincente Vendere beni e servizi ai cinesi di Alberto Rizzardi

Quanti luoghi comuni da sfatare sulla presenza dei cinesi e delle loro imprese in Italia. I dati ci dicono che sono in aumento e si diversificano. Non solo. Ora si vende anche in Oriente 58 Scarp de’ tenis aprile 2015

Quante sono le imprese cinesi in Italia? Nel 2013 – ultima rilevazione disponibile – circa 41 mila secondo la Camera di Commercio di Milano; 66 mila (sulle 708 mila imprese straniere totali) per la Cgia di Mestre, dato che comprende, però, anche liberi professionisti e servizi alla persona. Insomma, le imprese cinesi sono tante e in costante crescita (+6,1% nel 2013), ma parlare di invasione è sbagliato. Certo, sulla comunità cinese in Italia, persistono ancora molti luoghi comuni. Per provare a smontarne qualcuno abbiamo chiesto aiuto a Francesco Wu, 34 an-

ni, in Italia da quando ne aveva 8, una laurea in Ingegneria al Politecnico e ora imprenditore. È fondatore dell’Uicc, l’Unione imprenditori


Francesco Wu, 34 anni, una laurea in Ingegneria al Politecnico, è fondatore dell’Uicc, l’unione imprenditori Italia-Cina, e coordinatore lombardo di Associna.

Un osservatorio privilegiato per capire quanti e quali siano gli interessi cinesi verso l’Italia è certamente il portale vendereaicinesi.it Lanciato nel 2013 ha più di 3 mila visitatori al giorno

Italia-Cina, e coordinatore lombardo di Associna. Prima leggenda metropolitana: le aziende cinesi godono di agevolazioni fiscali dovute ad accordi bilaterali Italia-Cina. Falso, perché nessuna democrazia occidentale può favorire in campo economico una comunità etnica residente con provvedimenti ad hoc. Seconda leggenda: il governo cinese foraggia le famiglie che espatriano con 200 mila euro a testa. «È ovviamente falso – spiega Francesco –. Se si moltiplicassero questi fantomatici 200 mila euro per i 300 milioni di famiglie cinesi, uscirebbe la cifra astronomica di 60 mila miliardi di euro, paragonabile al Pil dell’intero mondo». Facile anche scansare l’idea che dietro il crescente radicamento di imprese cinesi in Italia vi siano i denari della mafia cinese: «Se così fosse, non si

parlerebbe più di problema del Mezzogiorno e l’Italia andrebbe al galoppo». Ma allora perché persistono questi luoghi comuni? «Ci si dimentica che la maggior parte delle imprese italiane sono piccole e familiari proprio come quelle cinesi. Il segreto del successo risiede nell’ingegno, nel lavoro, nel sacrificio e nel risparmio, oltre a una certa cooperazione: per i cinesi è normale darsi una mano». C’è poi un’innegabile flessibilità: «I cinesi hanno una grande capacità di adattamento, cosa che tra i giovani italiani si vede sempre più di rado. I cinesi s’inseriscono in questi spazi lasciati vuoti. E le imprese stanno cambiando proprio grazie alle seconde generazioni, ai giovani under 35. I cinesi di oggi sono un po’come gli italiani del secondo dopoguerra: quelli che, rimboccandosi le maniche, costruirono il miracolo italiano». Fa scuola il sito italiano Un osservatorio privilegiato per capire quali e quanti siano gli interessi cinesi verso l’Italia è sicuramente il portale www.vendereaicinesi.it. Lanciato nel 2013, fa incontrare domanda (cinese) e offerta (italiana), abbattendo la barriera linguistica, spesso l’ostacolo più grande. Gli ideatori sono due fratelli cuneesi, Alberto e Simone Toppino, e Alessandro Zhou, milanese nato da genitori cinesi. Come funziona? Si pubblica un annuncio, si paga una tariffa per il servizio di traduzione e il gio-

numeri 41.000 le imprese cinesi secondo la Camera di Commercio di Milano

708.000

il totale delle imprese gestite da stranieri in Italia

+6,1

la percentuale relativa alle nuove imprese cinesi in Italia, nel 2013

co è fatto. Nessuna commissione sull’eventuale accordo commerciale che segue. In compenso, l’annuncio viene rilanciato su portali web e social network cinesi, oltre che sui principali quotidiani orientali distribuiti in Italia. «Ci accorgemmo che mancava uno strumento del genere – spiega Simone Toppino –. In Italia ci sono da tempo i giornali cinesi, che hanno una buona tiratura, ma sui quali è difficile vedere annunci da parte di italiani per le difficoltà con la lingua, soprattutto nello scritto». Ma cosa si vende e acquista sul sito? Un po’ di tutto: fanno la parte del leone gli immobili, soprattutto bar e attività commerciali, e beni-prodotti (dall’arredamento all’arte, dal vino all’abbigliamento, passando per elettronica, gioielleria e artigianato). Ancora assenti o quasi gli annunci di lavoro, pur previsti dal sito, «perché – ammette Toppino – c’è un problema nel far percepire che il sito serve anche per questo. Ma contiamo di poter presto migliorare anche su questo fronte». Un’idea semplice e vincente che piace: in primis agli utenti, in continua crescita (3 mila visite e una cinquantina di annunci pubblicati al giorno), ma anche agli operatori del settore, visto che il portale ha ora gemelli in Europa. Nel giugno scorso Class Editori, leader nell’informazione finanziaria, ha acquistato il 50% della Mito srl, la società alla base del progetto. «Grazie a loro – afferma Toppino – contiamo di allargare il progetto anche ai cinesi in Cina». Ma che differenze ci sono tra gli acquirenti cinesi e quelli italiani? «Va sfatato il mito che i cinesi abbiano le valigie piene di soldi: non è vero, per nostra sfortuna. In realtà sono imprenditori come tutti gli altri con, però, un diverso modo di finanziarsi: mentre l’italiano va in banca e oggi non ha accesso al credito, i cinesi riescono a finanziarsi tra loro. E sono anche pronti a spostarsi: se, per esempio, vivono a Milano, ma trovano l'occasione giusta per rilevare un bar a Padova, non se la lasciano sfuggire». aprile 2015 Scarp de’ tenis

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Gianni Guaglio mentre suona il theremin per le vie di Milano. «In un mondo fatto da prodotti tutti uguali – racconta – tocca all’arte di strada far scoprire qualcosa che non sia omologato»

Gianni che ammalia con il suo theremin Gianni Guaglio ha iniziato ad avvicinarsi alla musica da bambino. Nel 2009 per gioco ha acquistato un theremin per capire cos’era e come funzionava. Da quel giorno è iniziata per Gianni una sfida per capire quello strumento e utilizzarlo per far musica. Il theremin è stato inventato nel 1919 da uno scienziato e violoncellista dell’allora Unione Sovietica, Lev Theremin. L’insolito strumento è composto da una scatola di legno che contiene dei transistor e due antenne, una verticale e una orizzontale. «È molto difficile da suonare – spiega Gianni – emana onde elettromagnetiche, suona soltanto avvicinando o allontanando le mani dalle antenne come se si solfeggiasse». Si resta incantati guardando l’artista librar le mani nel vuoto, generando suoni provenienti da campi d'onda invisibili. «In un mondo fatto da prodotti confezionati – conclude Gianni –, strumenti come il theremin si ascoltano di rado. La gente ha bisogno di scoprire qualcosa che Antonio Vanzillotta non sia omologato e l’arte di strada aiuta a colmare queste lacune». Facebook: Gianni Guaglio aprile 2015 Scarp de’ tenis

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NAPOLI

PAROLE

Un’emozione fortissima per la mia prima mostra

Il bello 0 il vero un viaggio nella scultura napoletana La redazione di Scarp Napoli è andata a visitare la mostra di scultura “Il bello o il vero”, un viaggio nella scultura napoletana del secondo Ottocento e del primo Novecento, attraverso 250 opere di diversi artisti, allestita nel complesso monumentale dell’ex convento di San Domenico Maggiore a Napoli. La scultura che mi è piaciuta di più è “Il pescatore” di Vincenzo Gemito; uno degli scultori più conosciuti di quel periodo. Ha catturato la mia attenzione non solo perché è molto bella ma anche perché, avendo lavorato nell’edilizia, mi interessa molto l’uso dei materiali. Mentre la osservavo mi sono venute in mente molte domande che avrei voluto fare allo scultore e allora ho pensato di fargliele lo stesso immaginando le sue risposte. Come è iniziato questo lavoro? Un giorno mi sono messo a pensare a come fare una statua in gesso. Ho fatto un disegno per capire come iniziare, ho fatto una sagoma partendo dal disegno e ho colato il gesso nello stampo. L’ho messo a seccare per un giorno e solo dopo ho iniziato a scolpire la statua, con tanta pazienza, piano, piano. Il gesso è delicato, ci vuole pazienza e attenzione, bisogna stare attenti a non sbagliare, tu come hai fatto ed essere così preciso? Ho iniziato a formare il viso, un corpo e l’ho potuta completare piano, piano cercando di mostrare anche la sofferenza della vita. Sapevo che con il passare del tempo rischiava di diventare polvere e di ingiallirsi e ho cercato di scolpire in modo preciso un gesso di buona qualità perché se i materiali non sono buoni il lavoro non viene bene. Secondo me per Vincenzo Gemito è stata una grande soddisfazione aver completato quel lavoro e la precisione del suo lavoro mi ha emozionato dopo tanti anni. Vincenzo D’Amico

Una bellezza che regala verità Il bello o il vero, mai nome fu più azzeccato per delle opere così vere e belle ma anche irreali con smorfie di sofferenza e pure, nella loro creazione, fatta con tanto sudore, emanano la bellezza e l’autenticità di chi l’opera l’ha fatta con tanto ardore. Queste opere lo ho viste vere a tal punto che sembrava stessero per parlare. E qua spunta l’irreale. Se fossero davvero vere non avrebbero niente da dire perche sono state create per dare sofferenza e stupore a chi le guarda, queste sculture sono davvero belle e danno un senso di verità. Un’opera mi ha turbato: un uomo magro, con le braccia dietro la schiena, fatto come se cercasse la carità, con le vesti stracciate. Il nome dell’opera è Ad bestiam. Antonio Casella

62 Scarp de’ tenis aprile 2015

Foto di gruppo per la redazione napoletana di Scarp de’ tenis in visita alla mostra “Il bello o il vero”

PAROLE

L’albero dell’amore Sono un albero ben curato sono nato in Austria. Sono stato seminato un giorno da una famiglia per ricordare il loro amore. Così sono nato io, un albero di rose rosse. Ogni giorno mi vengono a trovare i miei amici uccellini, mi fanno compagnia. Il mio amico sole mi scalda e mi dà energia. A volte si arrabbia. Dice che lo trascuro per dispetto fa venire il mio nemico, la pioggia, che mi fa cadere tutte le rose. I miei amici uccellini, vengono e raccolgono tutte le rose. Le mettono in un cestino io piango, mi sento triste, mi vergogno. Cip e Ciop mi hanno chiesto il permesso di fare un nido e hanno avuto tre uccellini. Così l’albero dell’Amore non è più solo. La famiglia si è allargata. Monica Esposito

Noi della redazione di Scarp siamo andati a visitare la mostra di scultura Il bello o il vero nell’ex convento di San Domenico Maggiore a Napoli. Un allestimento che parte dalla scultura classica e per la prima volta dà risalto anche a numerosi artisti dalla scuola verista nata e sviluppatasi a Napoli a cavallo fra i due secoli. Una corrente artistica che scelse, rompendo i canoni dell’arte classica di rappresentare volti della realtà quotidiana cosi com’erano, con i loro difetti e con i segni del tempo che passava. Per me è stata la prima volta ad una mostra di scultura e sono rimasto stupito vedendo tutti quei capolavori, fatti a mano da grandi artisti come Giovan Battista Amendola oppure quelli di Gesualdo Gatti e tanti altri artisti che prima non conoscevo neanche di nome. Quella che mi ha attratto di più è Pane e lavoro di Emanuele Caggiano che rappresenta una donna che lavora ai ferri e ha un pezzo di pane vicino ai piedi. Sembrava una persona vera e non una statua. Quella che mi ha fatto soffermare per più tempo, però, è stata Lo scugnizzo, una scultura tutta lavorata in gesso che, alla fine di quel lungo corridoio di statue, sembrava vera, anzi, a me sembrava addirittura che salutasse. È stata un’esperienza positiva e credo che tornerò a vedere la mostra, che resterà nei locali di San Domenico Maggiore fino al 31 maggio, perché rientra nei programmi per l’Expo 2015, per conoscere meglio tutti quegli artisti che mi hanno emozionato. Peppe Scognamiglio


CASADELLACARITÀ

A svolgere questo ruolo di facilitatori sociali saranno otto persone seguite proprio da “ProviamociAssieme” che, tra il 2011 e il 2013, hanno frequentato un corso di formazione, una volta a settimana, per un totale di 300 ore. «È stato molto bello,

Nel quartiere di Molise-Calvairate di Milano tra poco attivi gli esperti del sostegno fra pari

ProviamociAssieme, matti che curano i matti di Paolo Riva

info Fondazione Casa della Carità Via Francesco Brambilla, 10 Milano Centralino 02.25.935.201 - 337 Fax 02.25.935.235 Il centro d’ascolto è aperto dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 12.30.

Un manicomio a cielo aperto. A volte, purtroppo, il Molise-Calvairate viene descritto così a Milano. In ef-

a breve taglierà un traguardo importante della sua pluriennale esistenza.

fetti, questo quartiere alla periferia sud-orientale della città, ospita un numero molto elevato di persone con problemi di salute mentale, spesso sole. Secondo i dati ufficiali, sono almeno 750. Probabilmente molte di più. Qui, tra questi grandi complessi di edilizia popolare non lontani dalla sua sede di via Brambilla, la Casa della carità opera da anni grazie a un progetto promosso dal Comune di Milano in convenzione con il dipartimento di salute mentale del Fatebenefratelli e Oftalmico. È il “ProviamociAssieme” che

Gli esperti “alla pari” Al Molise-Calvairate, infatti, stanno per scendere in campo gli “Eps”, gli “Esperti del sostegno fra pari”: andranno incontro a quelle persone con problemi di salute mentale che fanno fatica a rivolgersi spontaneamente agli operatori dei centri psico-sociali, i Cps, a volte visti con diffidenza. Li aiuteranno e li accompagneranno grazie al loro vissuto personale che, come quelli che sosterranno, hanno avuto a che fare con il disagio psichico e lo hanno affrontato positivamente.

Nel quartiere milanese di Molise-Calvairate otto “esperti del sostegno fra pari” aiuteranno persone affette dagli stessi loro problemi di salute mentale

anche se faticoso – spiega la responsabile del progetto, Maddalena Filippetti –. Loro hanno molte paure, ma non essendo da soli riescono ad affrontarle». Durante le lezioni i partecipanti hanno approfondito temi come la storia della psichiatria, dalla chiusura dei manicomi alla nascita dei servizi territoriali, hanno parlato delle diagnosi, specificandone le caratteristiche e le modalità di approccio, e studiato gli elementi legislativi. Hanno anche affrontato un esame finale, superandolo tutti e otto.

Ora sono pronti. Attendono solo il disbrigo di alcune questioni burocratiche e poi inizieranno un vero e proprio tirocinio con il dipartimento di Salute mentale del Fatebenefratelli. So-

no impazienti di dimostrare che dei cittadini come loro, spesso visti dall’opinione pubblica come un fastidio o un pericolo, possono essere delle invece risorse. «Al di là di quello che faranno – aggiunge Maddalena – il corso è servito a questi utenti-facilitatori per acquisire maggiore consapevolezza di sé e diminuire la vergogna verso la propria malattia mentale. Hanno appreso strumenti di conoscenza e informazione sul disagio psichico, che gli serviranno per migliorare la propria qualità della vita. Sono più sicuri, hanno più coscienza della propria sofferenza avendo dato un nome a quello che gli è successo». Durante il corso, ci sono stati anche momenti di confronto e un gruppo settimanale di auto-aiuto che sarà mantenuto perché consente agli utenti-facilitatori di sperimentarsi, parlare di sé. Le premesse essenziali per poi essere d’aiuto anche agli altri. aprile 2015 Scarp de’ tenis

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CALEIDOSCOPIO

Primavera Sotto il ghiaccio che il tiepido Sole discioglie la bianca spuma dell’acqua che si risveglia è il primo fiore della Primavera incipiente. Sulle rive dei fiumi ritornano i cavalli e si sfidano in gare immaginarie; gli uccelli di palude scendono dal cielo e stridono arroganti solcando l’aria. Fioriscono i cespugli e le rose si fan largo fra i rovi; i lillà invadono i muri di antiche case mute. Giù, nelle valli, risuonano i canti di Primavera. Mary

Mare Meta di svago ai più, ma all’emigrante Anelo e tomba di speranze infrante. Rema lontano il mondo, incongruente; E l’onda viene e va, indifferente. Ludovico Grimoldi

Symplokè, il metodo Caritas per gestire i flussi migratori di Salvatore Couchoud

È Symplokè, che in greco antico indica l’intreccio relazionale tra l’individuo e la propria storia personale, il nome scelto dalla Caritas di Como per la nuova creatura nata a gennaio: una cooperativa sociale chiamata a gestire, tra le molte altre attività, il delicato tema dell’accoglienza dei profughi. Samuele Brambilla, 27enne laureando in Educazione professionale alla Statale di Milano, ne è invece l’operatore in un certo senso carismatico, essendo colui che riceve i profughi segnalati dalla Questura e rappresentando il primo contatto “autentico” dei richiedenti asilo al di fuori del circuito ospedale - forze di polizia. «Parlando inglese e francese – spiega Samuele – , sono in effetti la prima persona che riesce a comunicare, e quindi a interagire in modo produttivo e reale, con i giovani provenienti dall’Africa sub sahariana, sia pure esprimendomi non nel loro dialetto ma in una lingua veicolare. Per questi ragazzi si tratta del primo passo verso la comprensione e, quindi, l’integrazione. Non è facile descrivere la loro reazione – che a volte è quasi una liberazione – nel momento in cui si sentono finalmente in grado di interloquire, e di po-

la ricetta di Alex Tagliolini caprini e speck Nella padella nella quale salterete i tagliolini ponete del burro, formaggio caprino fresco e morbido, lo speck tagliato a listarelle e della panna liquida da cucina. Lavorate gli ingredienti fino a quando la salsa così composta risulterà morbida e vellutata. Cuocere i tagliolini e scolarli al dente. Saltateli nella salsa. Servite con grana o reggiano grattuggiato o anche con pecorino.

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ter comunicare le loro attese, i progetti, le aspirazioni, come pure le nostalgie, le sofferenze e le ansie per un mondo che hanno lasciato e un mondo che non li ha ancora metabolizzati».

Dall’agosto 2014 al gennaio 2015 sono oltre 500 i ragazzi accompagnati da Samuele nella struttura di prima accoglienza del Cardinal Ferrari di Como, in attesa della loro redistribuzione nelle case messe a disposizione da parrocchie, enti e associazioni diffuse in tutta la provincia, a coronamento di quello che è solo una prima fase dell’accoglienza. «I problemi emergono infatti in un momento successivo – spiega ancora Samuele –, quando i ragazzi cominciano a prendere atto della realtà che li circonda e a chiedersi cosa sarà di loro in un futuro più o meno immediato. È questa la parte più difficile del lavoro, ma è anche quella che offre i maggiori stimoli e le più ampie gratificazioni, specie se si riescono a cogliere i frutti del lavoro di gruppo. È per questo che mi ritengo fortunato: perché svolgo il lavoro che ho scelto di fare e perché l’incontro con queste persone apre davanti a me una serie di opportunità che in altri campi sarebbe impossibile reperire. Ogni occasione è utile per lavorare insieme per affrontare nel migliore dei modi un fenomeno, come quello migratorio, che da tempo non è più emergenziale».

Al canto dell’allodola tutto è gioia Sono triste nella certezza della mia solitudine e davanti a me c’è il rumore del torrente impetuoso che porta via i miei pensieri in una libertà di pace e il mio cuore zampilla d’amore al canto dell’allodola e risuona tutto in un peccato dove la gioia sta ad aspettare la luce del Cristo. Gaetano Toni Grieco


SCIENZE

Il metodo Gerson consiste nell’assumere frullati di frutta e di verdura per disintossicare il corpo

Morta di cancro la modella che si curava con i frullati

sta terapia potesse davvero funzionare. Non solo: iniziarono a trapelare notizie sul fatto che anche Jess non stesse affatto bene. I segni del tumore sul suo corpo, infatti, nonostante Jess tentasse di nasconderli, diventavano sempre più evidenti. In alcune foto erano visibili le terribili deformazioni che il tumore stava provocando sul suo braccio sinistro.

Jess, però, fino in fondo credette che quei frullati avrebbero purificato il suo organismo. O comunque non fece mai un passo indietro rispetto alle sue convinzioni, “bocciando” la terapia Gerson.

Recentemente, però, è stata data la notizia che Jess è morta e la favola del metodo Gerson, come cura semplice ed efficace da tutti i mali, è purtroppo un’illusione.

di Federico Baglioni

scheda Federico Baglioni Biotecnologo, divulgatore e animatore scientifico, scrive sia su testate di settore (Le Scienze, Oggi Scienza), che su quelle generaliste (Today, Wired, Il Fatto Quotidiano). Ha fatto parte del programma RAI Nautilus ed è coordinatore nazionale del movimento culturale “Italia Unita Per La Scienza”, con il quale organizza eventi contro la disinformazione scientifica.

È morta Jessica Aniscough, modella che a 22 anni scoprì di avere un raro tumore (sarcoma) al braccio sinistro. Dopo un ciclo di chemioterapia andato bene, il tumore ritornò e i medici le avevano comunicato che l'unica strategia era amputare il braccio: una scelta dolorosa, ma che le avrebbe probabilmente salvato la vita (circa il 72% la probabilità di successo).

non solo non ha alcuna validità, ma è anche molto costosa e, purtroppo, anche molto diffusa. Jessica pensò, però, di essere guarita e iniziò a sponsorizzare il metodo Gerson diventandone addirittura portavoce ufficiale, andando a parlare al pubblico dei benefici di questa cura naturale. Molte persone, si convinsero della bontà del metodo e iniziarono a seguire i suoi consigli al punto che Jess fu chiamata addirittura The Wellness Warrior.

Per Jess, però, fu troppo e così iniziò a cercare possibili alternative a quanto prospettato dai medici, trovando "fortuna" nel metodo Gerson, una pseudoterapia senza alcuna base scientifica che prevede l’uso di rimedi naturali contro il cancro: frullati di frutta e verdura e cinque clisteri di caffè al giorno. Una tipo di terapia che

Supportata dalla madre Anche la madre di Jess, affetta da tumore al seno, sostenne in tutto e per tutto la sua campagna e iniziò a seguire il cosiddetto metodo Gerson. Dopo pochi anni, però, la madre morì per gli effetti del cancro al seno e iniziarono quindi a crescere i dubbi sul fatto che que-

Un tragico epilogo Un epilogo che purtroppo gli scienziati avevano previsto, visto che da tempo quella terapia era stata giudicata inutile, costosa e pericolosa. Una storia tragica quella di Jessica che, però, deve far riflettere perché quando ci si trova in condizioni disperate la tentazione è sempre quella di non accettare verdetti dolorosi e cercare vie alternative.

Ancor di più se queste vie promuovono soluzioni semplici a problemi complicati. Soluzioni che non esistono. La medicina alternativa che funziona, però, si chiama semplicemente medicina. E purtroppo il metodo "naturale" Gerson non ne fa parte.

dicembre 2014 - gennaio aprile 2015 Scarp de’ tenis

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Le persone in stato di difficoltà a cui Scarp de’ tenis ha dato lavoro nel 2014 (venditori-disegnatori-collaboratori). In 20 anni di storia ha aiutato oltre 800 persone a ritrovare la propria dignità

IL VENDITORE DEL MESE

Da sinistra Luciano Gualzetti (presidente coop Oltre), Giuliano Pisapia (sindaco di Milano), Claudio e Basilio Rizzo (presidente del consiglio comunale di Milano)

Claudio «A Scarp sono rinato e ho trovato una famiglia» di Ettore Sutti

info

Claudio collabora con Scarp de’ tenis da quindici anni. Oltre a fare il venditore (è apprezzato da molte parrocchie) è diventato poco a poco il factotum della redazione di strada. Ormai è uno di famiglia. Al punto che lo scorso dicembre quando a Scarp è stato assegnato l’Ambrogino, anche Claudio è salito sul palco a ritirare il premio.

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MILANO

Appena entri nella redazione di strada non puoi non notarlo. Se ne sta lì seduto, con i suoi occhi buoni, sempre sorridente e pronto a darti una mano oppure a raccontarti le ultime novità della sua squadra del cuore: la Juventus. Claudio, 56 anni, originario di Sannicola in provincia di Lecce, è una delle colonne della famiglia milanese di Scarp de’ tenis. A vederlo non diresti che era un senza dimora e che la vita, per lui, è stata tutt’altro che semplice. «Fino a sedici anni – racconta – sono vissuto a Sannicola insieme ai nonni poi ho raggiunto i miei a Berna dove si erano trasferiti per lavorare. Lassù ho fatto di tutto: meccanico, muratore, operaio in una ditta che asfaltava le strade. Ci sono rimasto 20 anni. Ma poi, visti anche i contasti con mio padre – vero padre-padrone – ho deciso di tornare dai miei nonni in Puglia». Tornato a Sannicola Claudio ha lavorato come manovale in campagna ma poi, vista la pochezza della paga, ha deciso di trasferirsi a Mi-

lano in compagnia di fratello e cognata. «Ho trovato lavoro come muratore – racconta Claudio – ma la convivenza con mio fratello non era semplice e mi sono trasferito in hotel. I soldi però se ne andavano via alla svelta ed ho iniziato a dormire in strada. Di notte stavo lì e di giorno andavo in cantiere. Per un po’ sono andato avanti poi non ce l’ho più fatta e ho perso il lavoro».

Claudio è rimasto in strada per qualche mese finché, grazie a Magda Baietta della Ronda della Solidarietà, ha trovato posto in un dormitorio allestito per il piano freddo. «Lì ho incontrato Scarp de’ tenis – ci dice –. Ci hanno raccontato quello che facevano e offerto un lavoro. Ho detto di sì. Al massimo, pensavo, se non mi piace smetto subito. Sono passati 15 anni e sono ancora qui. Dopo 8 anni di dormitorio grazie a Scarp e alla Fondazione San Carlo ho anche una casa tutta mia a Quarto Oggiaro. La mia vita ora è qui. Vendo Scarp, faccio qualche lavoretto e aspetto la pensione. Poi voglio fare un viaggio. In America».




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