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Foto: Romano Siciliani - Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

INCHIESTA

QUANTO È DIFFICILE VIVERE DA ROM AI TEMPI DELLE RUSPE?

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strada

ANDREA VITALI I DIECI COMANDAMENTI RACCONTATI DA GRANDI SCRITTORI

www.scarpdetenis.it agosto-settembre 2015 anno 20 numero 194

#SOLOSUSCARP DUCASSE IL CIBO È BUONO QUANDO È EQUO

Doposcuola Lezioni di vita fuori dai banchi UNO STRUMENTO EFFICACE CONTRO LA DISPERSIONE SCOLASTICA. UNA REALTÀ - SPESSO SOSTENUTA DALLE PARROCCHIE - IN CUI NON SI FANNO SOLO I COMPITI MA SI LAVORA SULL’INCLUSIONE SOCIALE

EDITORIALE

Ruspe, tweet e pregiudizi Il senso di Scarp per la vita

LA PROVOCAZIONE

Rom e società Tra diritti e doveri per il benessere di tutti a cura di Servizio di prossimità rom sinti della Caritas Vicentina

di Stefano Lampertico [

@stefanolamp ]

Un tweet. Centoquaranta battute. Comprese immagini. Che poi, le immagini, sono gli “editoriali” delle grandi firme che ospitiamo su Scarp de’ tenis. Il tweet è di Agostino ( questo il nome del nostro lettore): “Scarp de’ tenis luglio 2015, chissà se Matteo Salvini lo legge”. Chissà.

Forse. O forse possiamo invitarlo a leggere. La nostra rivista, si intende.

Parto da qui. Dai social, come fa tendenza oggi. Perché Agostino centra il tema. E, forse inconsapevolmente ma voglio sperare il contrario, fa un grande apprezzamento al nostro lavoro. Che è quello di proporre contenu-

ti che facciano pensare, che facciano riflettere, che permettano di guardare al mondo da un orizzonte diverso. Perché è un orizzonte quello degli invisibili, degli equilibristi che camminano sul filo delle proprie esistenze senza imbragature o cinture di sicurezza - che ha dignità. È Il senso di Scarp per la vita, parafrasando il titolo di un libro che fece scalpore e che aveva Smilla come pro-

tagonista. È il senso delle nostre inchieste, dei commenti che proponiamo. Lo facciamo anche questo mese, in questo numero doppio che ci accompagnerà per tutta l’estate. E lo facciamo ripartendo dalle - giuro, è solo una coincidenza - ruspe leghiste. Nel senso che, per come siamo fatti ci piace anche molto, provia-

Ma quando riusciremo ad avere nel nostro Paese misure reali mo a raccontare come sia di sostegno possibile vivere “da rom” al reddito, ai tempi delle ruspe. Scoprendo, ma non avevamo dubbi, di argine una realtà, un orizzonte di vita, alla povertà, che sta anni luce lontano dal di sostegno qualunquismo e dai pregiudizi. per i più deboli?

E dalle ruspe, appunto.

Quando avrete il giornale tra le mani, avremo archiviato

anche questo mese di luglio terribile. E sfiancante.

Debilitante per chi vive sulla strada. Anche di questa “estate addosso”, per citare una hit dell’estate, ne parliamo più avanti nel giornale.

Qui solo una minima riflessione. Ma riusciremo un

giorno ad avere in questo nostro Paese misure reali di sostegno al reddito, di argine alla povertà, di sostegno per i più deboli? Per evitare almeno che il freddo in inverno e il torrido in estate siano i soli parametri entro i quali sistemare le coscienze.

contatti Per commenti, idee, opinioni e proposte: mail scarp@coopoltre.it facebook scarp de tenis twitter @scarpdetenis www.scarpdetenis.it

Si legge nel Rapporto 2014 dell’associazione 21 Luglio: «Nel 2014 a Roma sono stati documentati 34 sgomberi forzati, che hanno coinvolto circa 1.135 persone, per una spesa stimata di 1.315.000 euro». Se vivi nell’esclusione, nella povertà cronica sei emarginato, e se sei anche rom, l’emarginazione diventa doppia perché alla fragilità si aggiunge il rifiuto della società. Così, quando ha l’occasione per uscirne, un rom finge, finge di non essere se stesso. Nasconde la propria identità, le proprie origini e la propria cultura. Le storie positive di inclusione e inserimento ci sono, e non sono poche, ma non sono individuabili perché chi si inserisce è costretto a “mimetizzarsi”. La nostra società li ha emarginati, costringendoli a vivere in campi costruiti appositamente, e ora pretende che si reinseriscano cominciando di punto in bianco ad abitare in case, cancellando la propria cultura e le proprie abitudini con un colpo di spazzola. Ma una famiglia che ha sempre vissuto in un camper, spesso senza acqua corrente e elettricità, spesso senza fognature, cosa può sapere di come si amministra una casa, come si tiene in ordine, come ci si relaziona in un condominio? Occorre attivare percorsi, come ha fatto la Spagna negli anni precedenti alla crisi.

Percorsi di inclusione dove si impara il modus vivendi della società dove hanno scelto di vivere, dove il rispetto deve essere reciproco e le scelte condivise, e dove nessuno deve essere costretto a fingere di non essere se stesso. E le risorse? E se quel milione e trecentomila euro spesi a Roma fosse stato utilizzato per includere invece che per escludere? Restiamo convinti che riconoscerci come persone, rispettando i diritti e condividendo i doveri, renda, in termini di “ben-essere” e di “ben-vivere”, a tutti. agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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SOMMARIO

Foto: Romano Siciliani - Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

INCHIESTA

QUANTO È DIFFICILE VIVERE DA ROM AI TEMPI DELLE RUSPE?

3,50 strada le della

Il mensi

ANDREA VITALI I DIECI COMANDAMENTI RACCONTATI DA GRANDI SCRITTORI

Buone vacanze ai nostri lettori. Scarp torna dopo l’estate

www.scarpdetenis.it agosto/settembre 2015 anno 20 numero 193

#SOLOSUSCARP DUCASSE IL CIBO È BUONO QUANDO È EQUO

Doposcuola Lezioni di vita fuori dai banchi UNO STRUMENTO EFFICACE CONTRO LA DISPERSIONE SCOLASTICA. UNA REALTÀ - SPESSO SOSTENUTA DALLE PARROCCHIE - IN CUI NON SI FANNO SOLO I COMPITI MA SI LAVORA SULL’INCLUSIONE SOCIALE

I nostri più affezionati lettori se ne saranno sicuramente accorti.

Quest’anno Scarp ha modificato le uscite estive. Il numero che avete tra le mani è il numero doppio agostosettembre. Rispetto allo scorso anno abbiamo posticipato di un mese l’uscita del numero estivo, per permettere ai nostri venditori di lavo-

rare tutto il mese di luglio e di riprendere a pieno ritmo già dalle ultime domeniche di agosto.

Anche quest’anno peraltro troverete il giornale anche in molte località turistiche: a Sanremo, nelle valli più fresche della Lombardia, nel Cilento e nella costa napoletana, in quella romagnola. Grazie ovviamente alle Caritas diocesane che sostengono - in alcuni casi solo per qualche mese , ma è un aiuto prezioso - il nostro progetto.

Questa prima metà dell’anno va in archivio con tante note liete:

il cambiamento e il nuovo ritmo del giornale ha portato una ventata di aria fresca che speriamo continui a regalarci soddisfazioni. Prima l’Ambrogino d’oro, la massima riconoscenza della città di Milano, poi il Premiolino, il più antico e prestigioso premio giornalistico italiano.

Riconoscimenti che da una parte danno valore al nostro lavoro e dall’altra ci spronano a fare sempre meglio. I venditori di Scarp con la pettorina rossa sono per molti di voi, amici. Qualcuno di lunga data.

Continuate a sostenerci e a seguirci.

Gente d’altri tempi. Meno male che c’è ancora un po’ di gente mangia quando può e dei telequiz e dell’audience non gliene

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rubriche

servizi

PAG.7 (IN)VISIBILI di Paolo Lambruschi PAG.9 PIANI BASSI di Paolo Brivio PAG.10 LE STORIE DI MURA di Gianni Mura PAG.12 LA FOTO di Gabriele Basilico PAG.14 PENNE PER SCARP di Andrea Vitali PAG.20 LE DRITTE di Yamada PAG.21 VISIONI di Sandro Patè PAG.45 POESIE PAG.55 VOCI DALL’AMERICA di Damiano Beltrami PAG.65 SCIENZE di Federico Baglioni PAG.66 IL VENDITORE DEL MESE

PAG.22 L’INTERVISTA Servillo: «Quante ricchezze nelle memorie dei popoli» PAG.24 COPERTINA Il buon doposcuola PAG.32 INCHIESTA Vivere da rom al tempo delle ruspe PAG.38 DOSSIER Cineteca di Milano. Alla ricerca del film perduto PAG.42 MILANO Esterno notte. C’è il cinema al Giambellino PAG.44 INTERVISTA Alain Ducasse: «Il cibo è buono quando è equo» PAG.46 GENOVA Centro estivo, presidio contro il degrado PAG.47 LA STORIA Integrazione sociale e riscatto. I panini di Giovanni e Nalindra PAG.48 TORINO Addio a Luca, una vita d’inchiesta PAG.49 VICENZA “Ri0partire” si può: sostegno per i senza lavoro PAG.50 SUD ITALIA Meglio diplomati che non accompagnati PAG.52 RIMINI Minori in comunità. Che fatica ritrovarsi grandi PAG.53 VENEZIA Housing first, Caritas del Veneto in prima fila PAG.56 VENTUNO Banche, sfiducia e Grecia. È l’Europa che vogliamo?

PAG.61 CALEIDOSCOPIO Incontri, laboratori, autobiografie PAG.62 NAPOLI Metropolitana: una fermata nell’arte antica

Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it

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Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

Direttore responsabile Stefano Lampertico Redazione Ettore Sutti, Francesco Chiavarini, Paolo Brivio

Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli

Redazione di strada Roberto Guaglianone, Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Alessandro Pezzoni

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Il men

aforisma di Merafina Il nulla Detesto il nulla, ma nulla avviene per caso

www.scarpdetenis.it febbraio anno 19 numero 188

Il tweet di Aurelio [Il bonazza

@aure1970 ]

luglio 2015. Profughi ancora sugli scogli a Ventimiglia. Il Sindaco vieta di portare cibo.

Cos’è

Sugli scogli, sotto il sole, come cozze disperate, nel tentativo di varcare il confine con la Pietà. #Ventimiglia #migranti

te che vive quando vive e frega niente

Scarp de’ tenis è un giornale di strada noprofit nato da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe. È un’impresa sociale che dà voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione.

Dove vanno i vostri 3,50 euro Gente d’altri tempi (2003) - tributo a Enzo Jannacci

Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore.

Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Per contattarci

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TOP 15

Pil per istruzione pubblica 1 2 3

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44 Foto Romano Siciliani, Gabriele Basilico, archivio Scarp Disegni Giampaolo Zecca, Gianfranco Florio, Luca Usai, Sergio Gerasi

dati 2012, elaborazione Istat

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DANIMARCA SVEZIA CIPRO ESTONIA REGNO UNITO SLOVENIA FINLANDIA BELGIO REGNO UNITO FRANCIA MALTA PAESI BASSI PORTOGALLO LITUANIA ITALIA

7,90% 6,80% 6,70% 6,40% 6,40% 6,40% 6,30% 6,30% 6,10% 6,10% 5,90% 5,80% 5,70% 5,60% 4,20%

Progetto grafico Francesco Camagna Sito web Roberto Monevi Editore Oltre Soc. Coop. via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti

Direzione e redazione centrale - Milano Cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3 tel. 02.67479017 scarp@coopoltre.it Redazione Torino Casamangrovia, corso Novara 77, tel. 011.2475608 scarptorino@gmail.com Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12 tel. 010.5299528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Verona Il Samaritano, via dell’Artigianato 21 tel. 045.8250384 segreteria@ilsamaritanovr.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38 tel. 0444.304986 scarp@caritas.vicenza.it Redazione Venezia Caritas Venezia, Santa Croce 495/a tel. 041.5289888 info@caritasveneziana.it Redazione Rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69 tel 0541.780666 rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Il Samaritano, via Baracca 150/e tel. 055.3438680 samaritano@caritasfirenze.it Redazione Napoli Cooperativa sociale La Locomotiva via Pietro Trinchera 7 scarp@lalocomotivaonlus.org Redazione Salerno Caritas Salerno, Via Bastioni 4 tel.089 226000 caritas@diocesisalerno.it

Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber via della Volta 179, 24124 Brescia

Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia.

Questo numero è in vendita dal 1 agosto al 25 settembre 2015 agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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(IN)VISIBILI

L’estate degli invisibili ci scorre accanto, ci sfiora

di Paolo Lambruschi

L’estate degli invisibili ci scorre accanto. Me l’ha ricordato un organista incontrato in un santuario del levante ligure una sera di luglio. Uno che vive per strada e che si pagava l’ospitalità estiva per il suo giro d’Italia suonando.

Quest’estate

guardando mari e montagne diventa d’obbligo pensare agli ultimi arrivati, ai profughi. Rivolte sobillate dai

L’estate sugli scogli di Ventimiglia, su un barcone dove si muore a dieci anni, nei rifugi della Stazione Centrale di Milano.

L’estate addosso, per chi se lo può permettere.

L’estate che ci sfiora e non ci tocca per tanti che restano invisibili

politici o dai proprietari d’immobili sottolineano la schizofrenia di questo Paese, che se la prende con l’Ue, con i comuni e le regioni che non accolgono. Ma poi i profughi nessuno li vuole vicino a casa. Eppure chi sa guardare l’estate scopre le vite parallele che quasi nessuno vede.

Penso al mare del Canale di Sicilia, sul fondo del quale riposano inabissate migliaia di vittime di una delle tratte di esseri umani più ignobili. Penso a uno dei pochi drammi che ci hanno raccontato e che non dobbiamo dimenticare, alla bimba siriana diabetica di dieci anni cui i trafficanti hanno tolto lo zainetto con l’insulina alla partenza del viaggio in barca in Egitto perché

in quello spazio ci poteva stare una persona in più. È morta in viaggio, il padre ha anche dovuto buttarla in mare. La sua vita valeva meno di un posto barca.

Penso a Ventimiglia, dove gli spalloni hanno riaperto le vecchie vie verso la Francia, come il passo della morte, quello del film Io sto con la sposa, per far passare in Francia i migranti che vogliono solo raggiungere le famiglie in Gran Bretagna e Germania in barba alle direttive europee. Chi non ha i soldi per pagarsi un passaggio in autostrada, dove non si viene fermati, può rischiare camminando di notte lungo i binari della ferrovia.

A proposito di treni, penso a Milano dove molti profughi hanno dormito e dormono nel Memoriale della Shoah, il vecchio magazzino ricavato alla Stazione Centrale accanto al binario 21, interrato per non

scheda

Paolo Lambruschi è nato a Milano nel 1966. Lavora ad Avvenire, come capo degli interni, dopo essere stato per tanti anni inviato. Ha diretto Scarp de’ tenis e il mensile di finanza etica Valori. Nel 2011 ha vinto il prestigioso premio giornalistico “Premiolino” per le inchieste sul traffico di esseri umani nel Sinai.

far vedere ai milanesi di 70 anni fa le deportazioni verso i campi di sterminio dei concittadini ebrei. Da lì i migranti ripartono per i loro viaggi verso l’Europa la mattina successiva, ma nel frattempo molti guardano il Memoriale e i volontari della comunità ebraica e di Sant’Egidio, anglicani ed evangelici spiegano loro quali viaggi partirono da quel luogo. Liliana Segre, una delle poche che tornarono a Milano dai lager, ha detto che i vagoni di ieri sono i barconi di oggi.

Invisibili ce ne sono anche nelle nostra campagne, senza la loro opera addio cibo made in Italy, dice la Coldiretti. Sono perlopiù sfruttati, a nord come al sud, ripercorrendo la triste storia dei braccianti nelle campagne italiane. Sono africani o europei orientali, la loro stagione consente loro di sopravvivere e mantenere la famiglia a casa.

Per risparmiare dormono in vere e proprie bidonville se la carità cristiana, come a Saluzzo, non organizza tendopoli attrezzate.

Un amico degli invisibili e un amico di Scarp, il grande fotografo Michele Radogna è partito per l’ultimo viaggio il 14 luglio, portato via da un male inesorabile. Ho avuto l’onore di conoscerlo e di lavorare con lui.

Ricordo un reportage sui campi nomadi milanesi nei primi anni 2000, la sua leggerezza con una macchina fotografica e il suo occhio di maestro dell’immagine capace di scattare con il cuore e con la sua grande anima. Michele non aveva nemmeno 55 anni ed era un instancabile viaggiatore, cantore di storie raccontate per immagini. Credo che gli invisibili abbiano guadagnato un amico lassù, tra quelle stelle che ci hanno commosso anche quest’estate.

agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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FRATELLI DI SA AN FRANCESC CO D’ASSISI

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La Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi O Onlus, offre accoglienza e asssistenza alle persone in stato di bisogno e ugp|c" Þuuc" fkoqtc." cfwnvk." cp|kcpk" g" okpqtk." rtqowqxgpfqpg" nc" nqtq" fkipkv 0 In n un anno abbiamo offer to un letto a 60259" persone, distribuito 3 039403;7" rcuvk, offer to ceeqinkgp|c" c" 5:9" okpqtk, fo fornitii 980483" ugtxk|k" ad anziani, offer to 6:0277" rtguvc|kqpk"ogfkejg, incontrato con l’wpkv "oqdkng"pqvvwtpc"43 0;22"rgtuqpg, effettuati"6950:27"ugtxk|k"fk"fqeeg"g"iwctfctqdc amento al ed offer to corsi di italia l no, di informatica, orienta e e previdenziale, suppor to p psicologico lavoro, assistenza legale e sociologico.

9723714015 53 CF 9

BONIFICO BANCARIO Intestato a Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi Onlu O s IBAN: IT41C052160161400000 00007463

Conto o Corrente CCP n. 27431279, intestato a Fondazione e Fratelli di San Francesco d’Assissi Onlus

Fondazio one e Associazione - Onlus Via della Moscova, M 9 - 20121 Milano - Tel. 02 2 6254591 info@fratellisanfrancesco.it - www.fratellisanfrrancesco.it

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PIANI BASSI

La frenata degli “assoluti”?

Lasciateci andare in vacanza...

di Paolo Brivio

Insomma, la buona notizia sarebbe che i nostri competitor più prossimi, i poveri “assoluti”, nel 2014 in Italia non sono aumentati. Erano poco più di 4 milioni l’anno precedente, sono rimasti 4 milioni 102 mila: autorevole, la stima è “timbrata” dall’Istituto nazionale di statistica. E pazienza se loro, gli “ultimissimi” (quelli che non hanno risorse per permettersi un paniere di beni e servizi reputato essenziale per una vita dignitosa) non si sognano di tornare ai livelli del 2012, quando erano attorno ai 3,5 milioni. O del 2011, anno in cui furono conteggiati in circa 2,6 milioni. Per non parlare del tempo – un decennio o un’era geologica? – trascorso dall’anno di grazia 2005, quando erano 1,9 milioni. Ovvero

3,3 individui su cento residenti nel paese. Mentre nel 2014 sono più del doppio: 6,8.

" "

l’autore Paolo Brivio, 48 anni, si è appassionato ai giornali ai tempi dell’università.

E ha coniugato questa passione-professione con l’esplorazione dei “piani bassi” della nostra società. Direttore di Scarp dal 2005 al 2014, oggi fa il sindaco: pro tempore, perché rimane “giornalista sociale” in servizio permanente effettivo

Si svuota verso il basso?

Ecco, diciamocelo. La soddisfazione di statisti e statistici ci può pure stare: i dati non peggiorano, l’Italia non s’impoverisce oltre. Ma a noi, i

nostri vicini di sfiga sempre un esercito appaiono. Al mer-

cato della disperazione, la grigia torta delle politiche anti-povertà dobbiamo continuare a dividerla in troppe, misere fettine. Almeno finché qualcuno non ridurrà la platea degli assistiti, o ampliarà il perimetro degli aiuti. O magari proverà a fare entrambe le cose. Un sogno?

Lasciateci almeno questo: alle casse pubbliche costa nulla.

E poi, in effetti, la statistica non dice tutto. Nell’Italia dell’assuefazione al peggio, si festeggia la frenata del trend ascendente dei poveri.

Ma si tratta di quelli che conservano la dignità di poter essere contati. Noi senza dimora ospiti dello Stivale nemmeno riusciamo a sapere davvero quanti siamo. Il censimento che ci riguarda (c’è sempre lo zampino Istat) è annunciato in fastidioso ritardo.

Vietato, in ogni caso, aspettarsi belle sorprese. Eravamo, tre anni fa, circa 48 mila. Scommet-

La buona notizia sarebbe che, nel 2014, i poveri censiti dall’Istat non sono aumentati. Ma a noi che siamo senza dimora, sotto le soglie dell’indigenza misurabile, i nostri vicini di sfiga paiono sempre un esercito.

Intanto, è arrivata l’Emergenza Caldo...

tiamo che siamo aumentati?

Se gli assoluti frenano, si può infatti star certi che noi estremi (o esclusi, o gravi marginali: quelli la cui povertà è in un certo senso immisurabile) proliferiamo. Perché

molti, in questi anni, dai gradini infimi della piramide sociale sono caduti nel sottoscala. Sai che beffa, se si scoprisse che l’area della povertà assoluta si sta svuotando verso il basso, anziché riassorbirsi verso l’alto...

Non male, il philosophari...

In questo panorama di numeri tristi, potessimo almeno andarcene in vacanza... Ché tutti, ormai, media in testa, sono sintonizzati sul sollievo da garantirci con le Emergenze Freddo. Però dormire su un

marciapiede, fare la fila per la mensa, potersi permettere tre docce a settimana non è esattamente una passeggiata di salute, quando il caldo fa esplodere il termometro, come in questo luglio bestiale.

Però chi vuoi che pensi alle vacanze dei barbun? C’è stato chi si è stupito che papa Francesco ci abbia portato in visita alla Sistina.

Certo, primum vivere. Cioè sopravvivere: mangiare, avere un tetto, potersi lavare e curare. Ma non è

male nemmeno il philosophari: ci interessano pure il bello, il riposo, il nutrimento dello spirito... Siamo umani, non sub-umani. Anche se stiamo talmente in basso, che non riescono ancora a contarci... agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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Johann Trollmann, il ballerino del ring Sbeffeggiò gli ariani, pagò con la vita sere malmenato, Trollman è

Johann Wilhelm Trollmann era chiamato Rukelie, alberello. Forse per via della chioma ricciuta, forse per il fisico asciutto. Bel ra-

di Gianni Mura

Johann Trollmann era nato a Wilsche, Bassa Sassonia, il 27 dicembre 1907, da una famiglia di etnia Sinti. Era chiamato Rukelie, alberello, forse per la chioma o per il fisico asciutto

scheda

Gianni Mura è nato a Milano nel 1945. Giornalista e scrittore.

Su Repubblica cura la rubrica Sette giorni di cattivi pensieri, nella quale – parlando di sport, s’intende – giudica il mondo intero. In questa rubrica racconta invece le storie di sport che, altrove, faticherebbero a trovare spazio.

10 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

Sarà l’emozione per una solidarietà gazzo, c’erano molte donne tra il pubblico quando boxava con così spontanea, un’eleganza che precedeva di una o perché giustizia trentina d’anni quella di Cassius è stata fatta, Clay. Era un ballerino del ring, Trollmann: sfiancava ma Trollmann l’avversario e poi lo colpiva, quasi piange e questo irridente nella facilità di movi- umanissimo menti, così diverso dagli altri pugili tedeschi. Era nato a Wilsche, dettaglio sarà in Bassa Sassonia, il 27 dicembre alla base 1907, da una famiglia di etnia Sin- di una ti. Otto fratelli. Si appassiona al pugilato sotto la guida di un alle- persecuzione natore ebreo. Può combattere sia disumana

da peso medio che da mediomassimo. Vince quattro campionati regionali. È selezionato per le Olimpiadi del ‘28 a Stoccolma, ma poi ci va un pugile di Amburgo che Trollmann aveva più volte battuto. Lui, a casa. Perché, spiegazione ufficiale, “il suo stile era poco tedesco”. Aveva 8 anni

la prima volta che salì su un ring. A 22 passa tra i professionisti. Ha un manager abile, il

berlinese Ernst Zirzow. Capisce di avere tra le mani un grande pugile, ma anche un divo. Il primo combattimento da pro, contro Willy Bolze, lo vince per k.o. alla quarta ripresa. Nell’ultimo periodo, fino al ‘32, gli oppongono i più forti: l’americano Baisley (pareggio), l’olandese De Boer (vittoria ai punti), l’argentino Russo (andato k.o. alla seconda ripresa). Non è solo un ballerino, Trollmann, ha anche il pugno pesante. La sua popolarità cresce. Piace al pub-

blico proprio perché è del tutto diverso dagli altri pugili tedeschi. Ma nel gennaio del 1933 il partito nazio-

nalsocialista prende il potere. La boxe è chiamata in un altro modo: Deutscher Faustkampf, pugilato tedesco. Si mette l’accento sul nazionalismo. Nell’aprile dello stesso anno si vieta l’attività agonistica agli ebrei. Erich Seelig, ebreo, detentore del titolo dei mediomassimi, è costretto a lasciare.

Minacciato di morte, troverà rifugio in Francia e poi negli Usa. Morirà nel 1984. Il 9 giugno 1933 si

battono per quel titolo vacante Trollmann, che alcuni giornali già chiamano Gibsy, e il puro ariano Adolf Witt. Vince nettamente ai punti Trollmann, ma la cosa non sta bene a Georg Radamm, nazista convinto e presidente dell’associazione dei pugili tedeschi. Fa pressione sui giudici perché formulino un verdetto di parità e così accade.

Ma a questo punto si ribella il resto del pubblico, nella birreria Bock di Berlino. Inneggiano a Trollmann, Radamm rischia di es-

dichiarato vincitore del titolo. E a questo punto, solo a questo punto, Trollman piange. Sarà l’emozione per una solidarietà così spontanea, o perché giustizia è stata fatta, ma Trollmann piange e questo umanissimo dettaglio sarà alla base di una persecuzione disumana.

La parodia dell’ariano

Hitler teneva particolarmente alla boxe. In Mein Kampf scrisse: “Nessun altro sport desta un così grande spirito d’assalto, esige così fulminea decisione, rende forte e flessibile il corpo”. Il ring diventa un

manifesto di propaganda razziale. È tollerabile che uno zingaro batta un puro ariano? I movimenti sul ring di Trollmann sono definiti “scimmieschi”, “animaleschi”, e il suo stile “effeminato”. Passano otto giorni da quando ha conquistato il titolo e la federboxe, via lettera, glielo toglie. Perché, piangendo, “ha assunto un atteggiamento pietoso, in netto contrasto con le regole di questo sport”. Quindi, dovrà combattere di nuovo, stavolta contro Gustav Eder , il 21 luglio.

Eder, che poi diventerà campione d’Europa, è più forte di Witt. Ma, soprattutto, a Trollmann vie-

ne proibito di boxare nel suo stile alla Clay (volare co-

me la farfalla, pungere come l’ape). Deve stare inchiodato al centro del ring, pena la perdita della licenza.

Trollman sente che il cerchio si sta stringendo e s’inventa una situazione che nemmeno Chaplin. La farsa inserita nel dramma. Si presenta sul ring con

i capelli ossigenati e il cor-

LE STORIE DI MURA

razziale e la biologia della popolazione. Rom, sinti, tutti schedati come Zigeuner, zingari, “indegni individui primitivi” secondo la puericultrice Eva Justin. Entrambi, a guerra finita, ripresero a insegnare nelle università tedesche , come se nulla fosse stato.

Trollman dovette divorziare, nel settembre 1938, per evitare complicazioni alla famiglia, che cambiò cognome. Accettò di essere sterilizzato per evitare l’internamento. Nel novembre ‘39 fu richiamato dalla Wermacht e inviato sul fronte russo. Ferito, ritornò in Germania per una licenza, nel ’42. La Wermacht non voleva più zingari con la sua divisa, così fu prele-

vato dalla Gestapo e incarcerato ad Hannover, e in ottobre smistato al campo di concentramento di Neuengamme, vicino ad Ambur-

po cosparso di farina. La parodia del pugile ariano.

Come l’albero che è il suo soprannome sta piantato al centro del ring, non danza, non saltella, non vola, non punge, non schiva. Incassa tutti i pugni di Eder e va ko alla quinta ripresa, s’affloscia in uno spolverio di farina. Aveva messo in ridicolo le teorie delle camicie brune, aveva pagato ma non del tutto.

Va a vivere a Berlino, conosce e sposa Olga nel 1935. Hanno una figlia, Rita. Ormai Trollmann combatte solo per pochi spiccioli nelle fiere di paese, nei circhi. Nel ‘38 gli zingari vengono equiparati agli ebrei come subumani. “Gli zingari risultano un pericoloso miscuglio di razze deteriorate. La questione potrà considerarsi risolta quando il grosso di questi asociali e fannulloni sarà sterilizzato”. Così parlava Robert Ritter, psichiatra e neurologo, direttore dell’Istituto di ricerca sull’igiene

Si presenta sul ring con i capelli ossigenati e il corpo sparso di farina.

La parodia del pugile ariano.

Come l’albero non saltella, non punge, non schiva.

Incassa i pugni di Eder e va giù alla quinta ripresa in uno spolverio di farina

go, triangolo marrone e numero 9841, addetto ai lavori forzati più pesanti. Direttore del campo era una gloria del calcio, Tull Harder, già centravanti dell’Amburgo, entrato nelle SS già nel ’33. Al processo disse di ignorare quello che accadeva a Neuengamme (migliaia e migliaia di morti). Fu condannato a 15 anni ma per il Natale del ’51 era già libero, a casa sua. Ed ebbe pure diritto a una pensione. Purtroppo per

Trollmann, tra le SS c’era anche Albert Luktemeyer, già arbitro di pugilato. Lo

riconobbe e lo obbligò, dopo il lavoro, a incrociare i guantoni con i suoi aguzzini. Doppia razione di cibo, perché avesse il tempo di reggere un po’ di colpi e le ironie e gli insulti di un pubblico che predicava l’annientamento ma, prima, non disdegnava l’umiliazione di quelli da annientare.

Non uomini, ma Untermenschen.

Trollmann è spostato in un altro lager, a Wittenberge. Anche lì viene riconosciuto e costretto a combattere contro Emil Cornelius. Che non è un soldato ma un kapò, un collaborazionista, un detenuto, spesso criminale comunque, che sta coi nazisti. E questo match, non si sa come, Trollmann lo vince, l’umiliato è Cornelius.

Che si vendica pochi giorni dopo. Aggredisce Trollman

mentre sta lavorando e lo ammazza a badilate. È sco-

modo anche da morto, Trollmann. La sua morte viene spacciata per accidentale ma sarà un altro prigioniero, Robert Landsberger, testimone oculare dell’omicidio, a raccontare la verità, a guerra finita. Trollmann muore il 9 febbraio 1943. Quattro mesi dopo, ad Auschwitz, morirà suo fratello Heinrich, anche lui pugile.

Nel 2003 la federazione tedesca, a seguito di un forte movimento d’opinione, consegna a Rita, la figlia di Trollmann, la cintura da campione tedesco dei mediomassimi.

Dal 2004 una viuzza della città vecchia, ad Hannover, è intitolata a Trollman. Una targa lo ricorda ad Amburgo. Nel 2006 Sabina Neumann gira un corto di 6’ intitolato Rukelie. Nel 2013 Eike Besuden dirige il film Gibsy, Trollmann è intepretato da Hannes Wegener. Nello stesso anno, la biografia di Trollmann scritta da Roger Repplinger è tradotta in italiano (Bùttati giù, zingaro, ed.

Upra, Roma). In un parco del quartiere di Kreuzberg, a Berlino, dal 2010 c’è un monumento per Trollman. È un ring vuoto

con un numero: 9841.

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LA FOTO

di Gabriele Basilico

scheda

Gabriele Basilico (Milano 1944-2013). Architetto e fotografo tra i più importanti del panorama mondiale.

Partito da Milano, la sua città, ha allargato la sua attenzione all’Italia, all’Europa e poi in modo compatto alle città del mondo globalizzato, in un lungo percorso portato avanti per una vita.

Contrasto pubblica BasilicoMilano, il libro che raccoglie per la prima volta tutte le fotografie che Gabriele Basilico ha scattato alla sua città natale.

Il volume, curato da Giovanna Calvenzi, contiene 200 fotografie selezionate dai suoi primi lavori fino al 2012, ed è introdotto da una lettera rivolta dal fotografo alla sua città

6,4% Le famiglie lombarde che rientrano nella fascia Istat di povertà relativa (la spesa per consumi è pari o al di sotto della linea di povertà relativa, calcolata sui dati dell’indagine sui consumi)

248.304 28,9%

Cittadini stranieri residenti a Milano (Gen 2015)

La percentuale della popolazione milanese con un’età superiore a 60 anni (dati Istat)

© Studio Gabriele Basilico, Milano / Area Garibaldi-Repubblica, 2012

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Andrea Vitali, non uccidere

Sembrava una storia banale

di Andrea Vitali

to di cui nessun giornale parlò, chi impazzisce e sente voci non merita l’onore dei titoli. Successe che la vigilia di Pasqua quell’uomo uscì di casa nel tardo pomeriggio dicendo alla moglie che andava a comperare le sigarette. Dopo un’ora non era ancora rientrato. Dopo un’ora la moglie ricevette una telefonata, erano i carabinieri. Le dissero che suo marito purtroppo era stato vittima di un incidente stradale, l’avevano investito.

Il colpevole era stato arrestato, era un recidivo, aveva già investito altre persone ma quella sera aveva ucciso.

L’uomo, al momento della telefonata, era già morto. La donna finse di non capirlo. Sarebbe tornato, decise tra sé. Chiuse la porta di casa. Per tutto il resto della giornata restò seduta al tavolo della cucina guardando la parete di fronte sino a che calò il buio. Col buio venne il dottore. Bussò. Lei gridò in risposta, senza muoversi dalla sedia. Gridò che non aveva bisogno di niente. Il dottore, esasperato, gridò a sua volta, dicendo che non avrebbe avuto altra occasione per vedere suo marito. Fu così che la vicina di casa sentì. Glielo aveva sempre invidiato quell’uomo. Servizievole, premuroso, fidato. Adesso, finalmente, an-

scheda

Andrea Vitali (Bellano, 1956).

Di professione medico ha sempre coltivato la passione per la scrittura.

Ha esordito nel 1989 con il romanzo Il procuratore.

Vincitore di numerosi premi letterari è costantemente presente nelle classifiche dei libri più venduti.

Ha pubblicato più di quaranta romanzi.

che la sua vicina era sola, come lei. Adesso si sarebbe arresa a dover condividere con lei la solitudine delle domeniche e delle sere.

Andò a bussare alla porta di casa della vicina, gridò, anche lei come il dottore, che di qualunque cosa avesse bisogno poteva contare su di lei. La risposta che ricevette la sconcertò. Dalla cucina, dalla quale non s’era mai mossa, quella rispose che non le serviva niente.

Disse che aspettava il ritorno di suo marito. La vicina sorrise tra sé. Le gridò che aveva saputo dell’incidente, che il marito era morto.«Tornerà », rispose quella. Furono le ultime parole che pronunciò.

Si rifiutò di rispondere anche al prete la mattina successiva, non ci fu verso di convincerla ad aprire la porta, non prese parte al funerale.

Era diventata matta, pensò la vicina. Meglio la sua solitudine a quel punto, rifletté: meglio la

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sua vita passata da sola piuttosto che diventare matti a cinquant’anni suonati per colpa di un uomo uscito a prendere le sigarette e investito da un’auto. Nei due giorni seguenti il dottore passò un paio di volte senza ottenere risultati. La vicina, che stava dietro la porta, finse di uscire per caso. Gli chiese come stesse quella donna. Il dottore le rispose che continuava a rifiutarsi di aprire la porta.

Prima o poi dovrà farlo, rispose la vicina. Avrebbe dovuto uscire per fare la spesa, andare in farmacia, magari anche dal parrucchiere. La vita continuava. Il dottore le chiese la cortesia di avvisarlo non appena quella donna avesse deciso di tornare ad essere ragionevole.

La vicina promise che l’avrebbe fatto. Per un paio di volte provò anche lei a bussare, a invitare quella donna ad aprire, a uscire. Non ottenne risposta. Passò le sere successive all’incontro col dottore con le orecchie incollate al sottile muro che divideva i due appartamenti. Nel silenzio della sua casa ascoltava il si-

lenzio dell’altra, pronta a cogliere anche il più piccolo rumore: non udì niente, né voci di telegiornale o radiofoniche, né lo scroscio di un rubinetto o dello sciacquone, rumori di posate o di cassetti aperti o chiusi. Quando, stanca dell’appostamento, decideva di andarsene a dormire, passava davanti allo specchio che stava nel corridoio, a lato della porta d’ingresso, e guardandosi si picchiava un indice sulla tempia: la sua vicina era diventata matta, non ne avrebbe avuta alcuna compagnia ma era contenta così. Ormai erano passati sette giorni dal funerale. Il dottore non s’era più fatto vivo, il prete nemmeno. Fino a quando sarebbero durate le scorte alimentari di quella ? La vicina era quasi stufa di quel gioco da spia. Alla sera appiccicava ancora l’orecchio al muro ma non riusciva a resistere più di tanto: se quella era diventata matta lei invece aveva ancora voglia di notizie dalla televisione, di balletti e giochi a premi. Stava contro il muro una mezz’ora e poi, non percependo altro che quel silenzio fondo e scuro, lo stesso che manteneva in casa sua e che cominciava a farsi pesante, smetteva e correva ad accendere la radio o, meglio, la televisione.

Illustrazione di Giampaolo Zecca

Cominciò come in una storia banale, già sentita, quasi una barzelletta. La differenza la fece la realtà, successe davvero. Un piccolo fat-

PENNE PER SCARP

Nel silenzio della sua casa ascoltava il silenzio dell’altra, pronta a cogliere anche il più piccolo rumore: non udì niente, né voci di telegiornale o radiofoniche, né lo scroscio di un rubinetto o dello sciacquone, rumori di posate o di cassetti aperti o chiusi.

terrogazione, udì la risposta del marito di quella. Pure di quella risposta non colse bene il senso e picchiò un pugno sul muro perché avrebbe voluto fermare tutti i rumori del mondo, le macchine che passavano, la gente che in strada chiacchierava, i piccoli rumori domestici che provenivano dagli altri appartamenti, per avere su di sé il silenzio più totale e assoluto grazie al quale sentire quello che i due si dicevano. Andarono avanti a parlare per un po’, quella sera e la sera seguente. Più matta di così, ragionò la vicina, non si poteva: non solo parlava da sola ma si era anche messa a imitare la voce del marito. E ci riusciva anche bene, sulle prime era riuscita a ingannarla modulando quella voce un po’ rauca, da fumatore, che anche a lei aveva procurato più di un brivido. A quel punto però, decise la vicina, non si poteva più fare finta di niente. Ormai erano passate due settimane dal funerale, quella non aveva ancora messo il naso fuori dalla porta, bisognava muoversi per aiutarla pur contro la sua stessa volontà. La vici-

na ne parlò col prete, le raccontò ogni cosa, tacendo dei suoi appostamenti contro il muro, inventandosi la bugia di averla sentita gridare contro il marito che era uscito a comperare le sigarette e dopo due settimane non era ancora tornato. Il prete le consigliò di avvisare

Abbiamo chiesto a dieci grandi scrittori un racconto per ogni comandamento.

Sul prossimo numero Non nominare il nome di Dio invano

Così non le parve vero, una diecina di giorni dopo il funerale, sempre verso sera, di cogliere la voce della vicina: una voce morbida, pacata. Ordinò al suo stesso respiro di fermarsi per non disturbare il silenzio perfetto che le permise di ascoltare. Quella parlava. Parlava da sola, ovviamente: era matta! Però, poco dopo, dopo

aver ascoltato una frase di cui non aveva ben colto il significato ma che finiva con un’in-

il dottore, la accompagnò per concertare l’azione di soccorso che fu violenta poiché si dovette abbattere la porta d’ingresso della casa di quella: nonostante gli inviti ad aprire infatti, ripetuti più volte dal prete, dal dottore, da un maresciallo dei carabinieri e da un paio di vigili del fuoco, la donna non aveva risposto.

La vicina era entrata assieme al resto dei soccorritori. Dopo averla vista, reprimendo un’onda di nausea, lasciò l’appartamento per ritirarsi nel proprio. La trovò lì poco dopo il dottore. Stava con l’orecchio incollato al muro, ascoltava i rumori provenienti dall’appartamento di quella nel quale era appena entrato l’addetto delle pompe funebri. agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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europa Dov’è finita l’Europa sociale? di Enrico Panero La situazione della Grecia è importante e complessa, potenzialmente devastante per l’Unione europea, ma risulta particolarmente grave anche perché sta facendo passare in secondo piano altre questioni centrali sul fronte dei diritti e della coesione sociale, quali l’immigrazione e soprattutto la povertà diffusa.

«Sembra che interventi e politiche per affrontare direttamente la povertà non siano una priorità per l’Ue» ha denunciato la Federazione europea degli organismi che lavorano con persone senza dimora (Feantsa), commentando le raccomandazioni della Commissione europea agli Stati membri in ambito sociale. Secondo Feantsa mancano totalmente indicazioni su investimenti in strategie di inclusione attiva o per affrontare i drammatici incrementi di senzatetto e della povertà estrema in vari Paesi dell’Ue, mentre alcune riforme causano addirittura un aumento del rischio di povertà ed esclusione sociale, cosa che «indebolisce ulteriormente la legittimità dell’Ue agli occhi dei cittadini». Anche la Rete europea di lotta alla povertà (Eapn), in rappresentanza di 31 reti nazionali e 18 organizzazioni europee, si è rivolta ai capi di Stato e di governo dell’Ue denunciando che «la povertà e l’esclusione sociale hanno reso un quarto della popolazione europea senza diritti». L’Eapn ha condannato le politiche dell’Ue, «che danno priorità agli interessi finanziari di cui beneficiano pochi a scapito del bene comune», e proprio facendo riferimento alla situazione greca ha sottolineato: «Abbiamo bisogno di riaffermare il ruolo dell’Ue come un progetto democratico e sociale».

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Alessandro Travain

IN BREVE

Expo. A Cascina Triulza una settimana dedicata al Carso goriziano

riusciti negli anni, grazie a un’agricoltura micro familiare virtuosa a sviluppare una civiltà contadina autarchica che è oggi fonte di benessere e serenità, anche in tempo di austerità economica.

Dal 7 al 13 settembre Cascina Triulza ospita l’evento: “Il Carso Goriziano nutre i nostri tre appetiti. Cuore, mente e gola”. Lo stand allestito durante Expo, grazie

L’evento culminerà nella conferenza di sabato 12 settembre, presso la Cascina Triulza, alle ore 16, moderata da Bruno Pizzul,

all’associazione Amici di Castelnuovo, Regione Friuli Venezia Giulia e altre realtà, avrà lo scopo di divulgare lo stile di vita attuale, tipico del Carso transfrontaliero dove gli abitanti, storicamente abituati a un terreno povero, pietroso e arido sono

per raccontare le meraviglie di un territorio che, per dirla con le parole del poeta Ungaretti: “non è più un inferno”. Le delizie enogastronomiche del territorio saranno offerte ai visitatori. Info www.www.amicidicastelnuovo.it

street art Musica di strada. Il calendario del grande evento ferrarese Dal 20 al 30 agosto 2015 torna la ventottesima Rassegna Internazionale del Musicista di Strada. Per scoprire sperimentazioni, strumenti e tendenze musicali di tutto il pianeta. Infatti, il Ferrara Buskers Festival vede la partecipazione attiva sul palcoscenico rinascimentale e medievale del centro storico estense, di più di mille musicisti, che per 10 giorni si esibiscono con oltre 100 spettacoli gratuiti al giorno. È tra le strade ferraresi che si possono trovare gli strumenti più insoliti, recuperati da antiche tradizioni di posti “sperduti” o nuovi marchingegni sonori nati da creativi talenti, e le sperimentazioni musicali più sorprendenti: il FBF promette di portare alla ribalta le nuove tendenze della musica. La nazione ospite di quest’anno è il Belgio. Inoltre, per il quinto anno consecutivo il Festival sposa il Progetto EcoFestival, mettendo in campo tantissime iniziative per vivere la rassegna in modo green e sostenibile.

Info www.ferrarabuskers.com

on

off

La creatività migliore premiata dalla Fondazione Cariplo con un milione e mezzo di euro: è il progetto InnovazioneCulturale di Fondazione Cariplo, un bando che ha selezionato 12 idee (su 260 arrivate) che potranno diventare imprese vere e proprie. Da settembre a dicembre 2015 le 12 idee entreranno nella fase di accompagnamento imprenditoriale presso gli spazi ex-Ansaldo. La partenza è assicurata, poi proseguiranno da sole. Fra le 12 migliori idee, ecco quelle da segnalare. TXC fa incontrare spettacoli di qualità con case di ospitalità in tutt’Italia: da questi incontri nascono serate aperte al pubblico. Tribook è la piattaforma web dove puoi trovare il libro che ti interessa nelle librerie della tua città, acquistarlo on-line e fartelo recapitare nel giro di poche ore. Indietrex è una piattaforma di interscambio fumetti che permette ai lettori di accedere a una enorme varietà di storie da tutto il mondo ad un prezzo basso. Replace è un nuovo modo di conoscere le città.

Centocinquanta milioni: è il numero di bambini tra i 5 e i 14 anni che lavorano nei paesi in via di sviluppo, circa il 16% di tutti i bambini e i ragazzi in quella fascia di età. La più alta percentuale si trova in Africa subsahariana (il 25% di quelli tra i 5 e i 14 anni). In Asia meridionale, il 12% dei bambini nella stessa fascia di età svolge lavori potenzialmente dannosi. Ma anche il 5% dei bambini che vivono in Europa centrale e orientale.

Le disparità di genere si verificano a seconda delle attività svolte, le ragazze hanno più probabilità di essere sfruttate per i lavori domestici. In Pakistan l'88% dei bambini tra i 7 e i 14 anni che non vanno a scuola, lavora; in Bangladesh sono il 48%, in India il 40 e in Sri Lanka il 10.

Dodici idee si trasformano in impresa

Minori al lavoro.

A rischio salute e sviluppo

[ pagine a cura di Daniela Palumbo ]

Bruno D’Amicis - Il prezzo che pagano

Come coniugare il gusto con uno stile di vita sano

Lo spettacolo della natura in mostra a Milano La mostra Wildlife Photographer of the Year per il quarto anno consecutivo arriva a Milano grazie all’Associazione culturale Radicediunopercento. Un’edizione della mostra veramente speciale che celebra i cinquant’anni del prestigioso concorso di fotografia naturalistica, nato nel 1965 e indetto dal Natural History Museum di Londra con il Bbc Wildlife Magazine. Patrocinata dal Comune di Milano, da Expo Milano 2015 e Expo in Città, l’esposizione avrà luogo dal 9 ottobre al 23 dicembre 2015 presso la Fondazione Luciana Matalon, Foro Buonaparte 67 a Milano. www.radicediunopercento.it

mi riguarda La legge anche dalla parte dei bambini adottati

pillole homeless Il concorso fotografico della Ronda Guardare da più vicino chi è solo Ronda della Carità e Solidarietà Onlus, l'associazione di volontariato che dal 1998 offre aiuto e sostegno alle persone senza fissa dimora ha indetto un concorso fotografico: AAA si cercano sguardi diversi sulla città. Sguardi capaci di vedere oltre la consuetudine e vedere la povertà che abita anche la città di Milano. Fino al 13 settembre Ronda della Carità accoglierà foto di persone senza dimora che vivono in città, nascosti e invisibili ma non agli occhi di chi accetta di guardare l'emarginazione. Premi? Questo è il bello.

All'interno della settimana che Milano dedica alla lotta contro la povertà (che si conclude il 17 ottobre con la notte dei senza dimora), i vincitori avranno la possibilità di uscire con la Ronda per le strade di Milano, a conoscere le persone che dormono in strada, offrendo loro ascolto e cibo. Insieme ai volontari di Ronda della Carità. www.rondacaritamilano.com

Ne avevamo parlato su Scarp. È arrivata la legge sull’accesso all’identità biologica che le associazioni di adottati chiedevano. La nuova legislazione è arrivata dopo una sentenza della Corte dei diritti dell’uomo e una della Corte Costituzionale che hanno imposto di cambiare la nostra legge in modo che fosse riconosciuto il diritto della madre naturale di un bambino adottato di rimanere anonima, ma anche il diritto del figlio a conoscere l’identità della propria madre. La legge è venuta incontro a queste due esigenze, spesso contrapposte. Quella approvata dalla Camera a giugno 2015 disciplina infatti il “diritto di interpello” a favore del figlio per verificare se la madre intenda mantenere l'anonimato. La madre biologica, interpellata dal tribunale, potrà confermare la sua scelta di segretezza ma al figlio viene garantito l’accesso alle informazioni sanitarie che spesso sono indispensabili per la cura di malattie ereditarie.

Inoltre, nel caso in cui i genitori biologici siano deceduti il tribunale dovrà fornire le generalità degli stessi nonché l’eventuale presenza di patologie ereditarie trasmissibili, oltre alle cause del decesso.

Serata aperta al pubblico al Touring Club di Corso Italia 10: si parlerà di alimentazione e salute con la Fondazione ProADAMO e l'Unione Ristoranti del Buon Ricordo per coniugare salute e gusto. Martedì 22 settembre alle 18.30. All'evento saranno presenti medici oncologi, psicologi e specialisti di alimentazione. L'iniziativa si chiama Il Gusto di stare bene e nasce per promuovere una corretta alimentazione attraverso le buone abitudini alimentari da adottare a casa ma anche nei ristoranti.

Durante la serata verrà presentato il libro Ci vediamo a cena, realizzato dalla Fondazione in collaborazione con ICANS - Il Centro Internazionale per lo Studio della Composizione Corporea nato nel 1998 come centro di ricerca dell’Università degli Studi di Milano. A tutti i partecipanti verrà rilasciata la Guida all’alimentazione con consigli utili e semplici per mangiare bene e mantenersi in forma. www.touringclub.it

A Vicenza prove di dialogo tra Oriente e Occidente 25 artisti italiani e cinesi per 25 visioni diverse del mondo al Salone d’onore della Basilica Palladiana, dal 17 settembre all'1 novembre 2015. Il progetto FLOW è una mostra d'arte contemporanea, frutto della collaborazione tra artisti, filosofi, una casa editrice filosofica, Comune di Vicenza, sponsor, collezionisti e amanti dell’arte, per mettere in dialogo due culture. L’intento della mostra è quello di creare un percorso culturale di confronto tra oriente e occidente accompagnati dalle opere d'arte esposte. yvonneartecontemporanea.com

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IN BREVE

Al Muse di Trento L’attitudine alle differenze ci salverà?

Be-diversity è l’esposizione proposta dal Muse, il Museo della Scienza di Trento, per parlare di biodiversità e sostenibilità ambientale. Fino al 30 settembre.

Alla base c’è l’adesione alla Carta di Milano, il documento dell’Expo che cerca di sensibilizzare le persone a comprendere i legami fra sostenibilità ambientale ed equità. Il Muse di Trento abbraccia la sfida e propone una mostra che mette in relazione fra loro diversi filoni di indagine, dalla scienza all’arte, alla tecnologia.

L’artista Stefano Cagol che, per la prima volta nella veste di curatore, entra negli spazi del MUSE per mettere in comunicazione un variegato corpus di opere di affermati artisti internazionali, selezionate per la loro capacità di tematizzare argomenti come la biodiversità, la sostenibilità, l’ecologia, il cibo e il futuro del pianeta. Il progetto si svilupperà attraverso una parte espositiva e una piattaforma online immaginata come luogo di incontro virtuale fra ricercatori, curatori, politici, filosofi per riflettere ed esprimere la loro opinione sui temi sollevati dal progetto. Per tutta la durata della mostra verranno proposti incontri pubblici e gli spunti verranno visualizzati in progress all’interno del percorso espositivo. www.muse.it

Cristiana Capotondi lancia l’sms solidale per Fondazione Arché Fondazione Arché onlus con Cristiana Capotondi lanciano la campagna di sms solidale per costruire insieme CasArché, un luogo di bene comune per mamme e bambini in difficoltà. È possibile donare 2 euro al 45594, o 2/5 euro da rete fissa. La campagna partirà il 13 settembre fino al 3 ottobre 2015.

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Giorgia Benusiglio oggi. A 17 anni si è miracolosamente salvata grazie a un trapianto di fegato

TRE DOMANDE

La ricetta di Giorgia Vuoi trasgredire? Non farti! di Daniela Palumbo

Giorgia Benusiglio è una bellissima donna di 32 anni. Quando ne aveva 17 è stata miracolosamente salvata grazie a un trapianto di fegato. Aveva preso

mezza pasticca di Ecstasy e subito dopo era andata in coma: epatite tossico fulminante. Il trapianto, nel 1999 l’ha salvata. Il padre, che è mancato un anno fa, quando vide la figlia ridotta in quello stato iniziò ad andare nelle scuole e a parlare di quello che era successo a Giorgia. Basta mezza pasticca per essere cadavere.

Mario, il papà di Giorgia lo diceva chiaro e tondo e i ragazzi ammutolivano.

Dal 2007 hai cominciato anche tu...

Sono sempre in giro. I ragazzi leggono il mio libro (Vuoi trasgredire? Non farti! - San Paolo) in classe, insieme all’insegnante, e poi ci incontriamo. Con loro si stabilisce un rapporto di empatia perché non sono l’esperto che fa la lezione teorica sugli stupefacenti. Insieme sviluppiamo un progetto nel quale alla fine i ragazzi raccontano cosa c’è dentro di loro che è stupefacente, tutti hanno tesori ma bisogna che capiscano di esserne degni. Molti di questi ragazzi mancano di autostima. Devono imparare a volersi bene.

E poi hanno bisogno di essere ascoltati... Èfondamentale. Io ricevo una media di 10 messaggi al giorno sulla mia pagina facebook “Giorgia-Benu-

siglio-prevenzione-droghe”. In media ci sono due o tre messaggi di giovani e adulti, che hanno problemi di tossicodipendenza, bulimia, cyberbullismo, bullismo, anoressia, e soprattutto ultimamente, autolesionismo. Io li ascolto, rispondo, li incontro. Qualche lieto fine siamo riusciti a raggiungerlo.

Qual è il tuo sogno oggi?

Il progetto di Educazione alla vita. Negli anni mi sono accorta, che i ragazzi in adolescenza e le persone con un disagio sociale, non sono in grado di superare gli ostacoli senza usare comportamenti devianti. Alla base vi è una mancata capacità di utilizzo delle abilità relazionali, emotive e cognitive. Se queste vengono stimolate e sviluppate a dovere, i ragazzi potranno acquisire le risorse interiori per risollevarsi da soli in caso di criticità della vita. Siamo una grande squadra. Del progetto fanno parte: associazioni, psicologi, formatori.

L’idea è quella di dedicare un’ora della pratica scolastica all’Educazione alla vita, attraverso laboratori dove i ragazzi siano protagonisti attivi in situazioni di disagio. Non saranno soli ovviamente, gli educatori avranno il compito di far emergere dai ragazzi le risorse personali che posseggono per gestire in modo consapevole i problemi. Il progetto si chiama Re-starting. Fra gli altri è coinvolto lo psicologo Angelo Aparo che lavora da 37 anni nelle carceri di Milano, è coordinatore del “Gruppo della Trasgressione” di Opera composta da un gruppo misto, carcerati e persone all’esterno del carcere, che condividono esperienze ed emozioni su diversi argomenti.

IN BREVE

Arriva a Milano “La Cena Sospesa” gesto di solidarietà e condivisione staurant® del valore di 10 euro ciascuno che Caritas stessa distribuirà alle persone in difficoltà. Le offerte convertite in “cene so«È un’iniziativa concreta che ti ricorda che mentre tu ceni al ristorante c’è chi fatica a mettere insieme un pasto giornaliero: un gesto di solidarietà, direi “simpatico”, perché ispirato alla condivisione, ma anche discreto perché non mette a disagio nessuno». Lo dice monsignor Erminio De Scalzi vicario episcopale per gli Eventi e gli Incarichi speciali, spiegando “La Cena Sospesa”, l’iniziativa di solidarietà per Milano legata al cibo promossa dalla Diocesi di Milano, con il patrocinio del Comune, e realizzata da Caritas Ambrosiana. Dai primi di agosto fino a fine

novembre ed oltre nei 28 ristoranti che aderiscono al network “Cena sospesa”, i clienti avranno la possibilità di fare un’offerta che servirà a pagare un pasto a una persona in difficoltà. Il ristoratore che aderisce

all’iniziativa esporrà sui tavoli del locale un portaconto su cui è illustrato il progetto. Il cliente, all’atto del pagamento della cena, potrà fare una donazione depositando all’interno di una teca sigillata con il marchio dell’iniziativa la busta in cui avrà messo l’offerta. Un volontario di Caritas Ambrosiana passerà periodicamente presso il ristorante per ritirare le offerte.

Le donazioni raccolte da Caritas Ambrosiana saranno convertite in Ticket Re-

spese” saranno distribuite dai 171 Centri di ascolto Caritas presenti nella città di Milano alle famiglie quale strumento che contribuisce, tra gli altri, al superamento di una fase di difficoltà. Il progetto è realizzato da Caritas Ambrosiana grazie a partnership e sostegno che, a vario titolo, vedono coinvolti FIPE, Confcommercio, Epam, Ente Bilaterale Pubblici Esercizi, Edenred, Expo in Città. Si avvale, inoltre, del contributo tecnico di Banca Sella. Come sottolinea Luciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas Ambrosiana, è evidente il legame tra questa iniziativa e l’impegno di Caritas in Expo. «Dentro il sito espositivo, nell’Edicola Caritas, ricordiamo che sono 795 milioni le persone che non hanno cibo a sufficienza. Ma questo non è un problema che riguarda paesi lontani. Dall’inizio della crisi, nel 2007, ad oggi le persone che sono venute a chiedere aiuto alla Caritas sono aumentate del 60%. Ci sono bambini che hanno come pasto completo soltanto quello della mensa scolastica. Questa iniziativa può alleviare nella dignità la sofferenza di molti». All’iniziativa

aderisce anche lo chef stellato Carlo Cracco, che ne è anche il testimonial: «Aiutare chi si tro-

va in difficoltà non è soltanto una missione della Caritas o del Comune, deve essere un compito di tutti quelli che possono farlo, soprattutto in questo periodo in cui c’è tanto bisogno».

Arte nel cuore L’accademia aperta a tutti L’arte è sempre stata una grande terapia per qualunque tipo di disagio. L’Arte nel cuore è la prima accademia d’arte aperta anche ai ragazzi con disabilità. È una scuola gratuita di teatro, canto, musica, danza, scenografia, scrittura, fotografia, regia, che a Roma, da dieci anni, accoglie ragazzi disabili e normodotati. Allievi in carrozzina, down, ciechi, sordi o con un handicap intellettivo studiano insieme per cinque anni, seguiti da insegnanti professionisti. Il progetto, che mira a formare professionisti che abbiano tutte le carte in regola per trovare lavoro nel mondo dello spettacolo, ha avuto un pieno riconoscimento solo quando alcuni dei ragazzi hanno firmato dei contratti importanti: dieci di loro hanno infatti recitato nella fiction di Raiuno “Una grande famiglia 3”. Intanto, altri allievi hanno fatto cortometraggi e nel prossimo dicembre inizierà il tour della compagnia teatrale dell’accademia. www.artenelcuore.it

http://cenasospesa.caritasambrosiana.it

LA STRISCIA

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LE DRITTE DI YAMADA

Planetario, cd da ascoltare sotto un cielo di stelle

Avevo due candidati cd per la recensione che sta prendendo forma nel caldo dell’anticiclone africano.

Uno dei due prevedeva ispirazioni sonore brasiliane vicine al sogno e all’amore. L’altro, suoni ideali se ascoltati in notturna con cuffia e birretta ghiacciata sul balcone, naso all’insù e riesumata voglia di rispondere “astronauta!” (come quando da bambini ci chiedevano cosa avremmo fatto da grandi). Ça va sans dire che la scelta è caduta sul secondo cd. Che è di un supergruppo, formato da Vittorio Cosma (compositore e musicista milanese, ex Pfm, componente mascherato degli Elii, autore di colonne sonore –io ne ho una che risale al 1995 e s’intitola Colpo di Luna) con Gianni Maroccolo, Riccardo Sinigaglia e Max Casacci.

Una portentosa magia scientifica e musicale che funziona anche su cd. Da ascoltare con la mente sgombra e pronta a una visualizzazione onirica di tutto quello che sembra danzare nei movimenti interstellari

sopra un tappeto sonoro –di complessa e sapiente suggestione – suonato dal vivo: la conferenza trasporta il pubblico in un viaggio nello spaziotempo, ed è la musica a “sgravitare” la testa di chi ascolta le parole, rendendole accessibili.

Naturalmente questa portentosa magia scientifico-musicale funziona anche su cd: basta fare la prova come dicevo poche righe fa, con una cuffia sul balcone di casa.

Meglio sotto il cielo della notte, con la mente sgombra e pronta a una visualizzazione onirica di tutto quello che – raccontato – sembra danzare nei movimenti interstellari.

“L’Universo nei suoi primi istanti di vita era formato da Idrogeno ed Elio, gli stessi atomi che compongono le stelle. Noi siamo fatti della stessa materia delle stelle: ecco perché ci attraggono tanto”. Così comincia Planetario, il pezzo che apre il cd. Le parole

Nome del collettivo? DeProducers. Nome del disco (fenomenale): Planetario (2012). Questo lavoro nasce da

sono dette in tono confidenziale: la reazione è un sorriso e un incoraggiante capire che bisogna tentar di splendere; la musica che si di-

un’intuizione di Cosma, che qualche anno fa varca la soglia del Planetario Hoepli di Milano scovando il quinto componente (non musicista) che gli ci voleva: lo scienziato Fabio Peri. Insieme a lui nasce il progetto Planetario (poi sfociato nel disco) che ha fatto interagire musica e scienze in conferenze “spaziali”, portate in giro per l’Italia in planetari, auditori e teatri. La nascita dell’Universo e le sue esplorazioni, il viaggio di un raggio di luce, le costellazioni, l’Uomo e la sua fame d’infinito: questi i temi che vengono narrati

pana subito dopo è “organica”, un po’ acustica e un po’ elettronica: vi colonizzerà. Il balcone parrà una piccola dependance della Stazione Spaziale Internazionale che ha ospitato la nostra Samantha Cristoforetti per alcuni mesi, “la macchina più complessa mai costruita dall’uomo che accoglie l’avamposto più lontano dalla Terra per la nostra specie”. Questo disco sembra ricordarci che il nostro è davvero un prezioso e magnifico viaggio: quali “figli delle stelle”, “non ci fermeremo mai, per niente al mondo”.

20 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

il libro Planetario (2012) DeProduceer

Viaggio da Milano a Bari. A piedi, lungo la via Francigena. Per ricordare la nonna, personaggio dell'Italia che non c'è più. Alcide Pierantozzi , giovane scrittore, parte insieme a tre amici e compie la sua impresa, alla quale non credeva neppure lui. Quarantacinque giorni fra boschi secolari, valli disabitate e borghi suggestivi. Raccontati, in controtendenza, senza pretesa di poesia. Ma con ironia.

Alcide Pierantozzi Tutte le strade portano a noi Laterza, euro 13

La via maestra dell’educazione Mario Lodi, maestro italiano tra i più influenti del Novecento, ha contribuito alla ricostruzione culturale e democratica dell'Italia operando nel mondo della scuola e dei bambini. Il fumetto racconta la vita e il rapporto con i ragazzi, con i quali ha sperimentato processi educativi centrati su creatività e ricerca. di Alessio Surian, Diego Di Masi (disegni di Silvio Boselli) Mario Lodi. Pratiche di libertà nel Paese sbagliato Becco Giallo, euro 18

Riccioli d’oro su smartphone

[ a cura di Daniela Palumbo ]

testo e illustrazionedi Yamada

In nome di mia nonna, contadina

Koo-koo Books, marchio milanese, ha creato la prima storia della buonanotte in versione smartphone e tablet. Una delle fiabe più classiche della letteratura per l’infanzia torna in App per la più classica delle alleanze: quella fra genitori e libro.

Riccioli d’oro App per Ipad kookoobooks.com, euro 2,99

I cinque personaggi del nuovo film Disney/Pixar Inside Out nelle sale da agosto

VISIONI

Il magnifico talento di Amy Amy - The Girl Behind the Name: docufilm su Amy Winehouse prima degli eccessi di alcool e droga, del dimagrimento esasperato e degli eccessi da diva.

Quando era Amy, una jazz singer del calibro di Ella Fitzgerald, che a un certo punto non ha più trovato se stessa. Morta nel 2011, sola, in un lussuoso appartamento a Londra, per arresto cardiaco provocato dalle sostanze che assumeva.

Inside out, mai aver paura delle proprie emozioni

Non è solo un cartone animato e non è solo per bambini. Il film di Pete Docter, firma di ormai più di dieci capolavori per la casa di produzione californiana, parla di emozioni, di come queste interagiscono nella mente delle persone comportandosi come fossero personaggi in carne e ossa.

Dopo Cars, Toy Story e UP, per Inside out, in uscita nelle sale italiane ad agosto Disney/Pixar ha teso la mano al team di Paul Ekman,

uno psicologo che da più di quarant’anni studia gli stati emotivi.

Scarp ha intervistato Diego Ingrassia, Ceo di I&G Management e Master Trainer di Paul Ekman International: «Ci siamo concentrati sugli studi scientifici che potevano rispondere a precise domande che l’autore voleva rappresentare nel film: come le emozioni governano il flusso di coscienza? Come fanno le emozioni a colorare i nostri ricordi del passato? Qual è la vita emotiva di una ragazzina di 11 anni?

Inside Out racconta di Riley e delle sue cinque emozioni – i personaggi Rabbia, Disgusto, Paura, Tristezza e Gioia. La sua

Scarp è al Giffoni Film Festival per l’anteprima del nuovo capolavoro Disney/Pixar, il film d’animazione che racconta la storia di Riley, una ragazzina di 11 anni, per mostrarci cosa succede nella nostra testa quando siamo allegri, tristi o abbiamo paura

il film

Inside out Durata: 94 min Genere: animazione Regia: Pete Docter Sceneggiatura: Pete Docter, Meg LeFauve, Josh Cooley

sono definite da specifiche emozioni, che modellano il modo in cui percepiamo il mondo, come ci esprimiamo e

Il viaggio alla ricerca del figlio

le risposte che evochiamo in altri».

Riccardo Scamarcio è il protagonista del film in uscita a settembre La prima Luce. Scamarcio è Marco che è insieme a Martina, una ragazza sudamericana.

Hanno un figlio Matteo. Martina non ce la fa a tollerare la situazione fra loro due e scappa con il figlio. Scamarcio si metterà allora in viaggio: 16 mila chilometri e tanto tempo per ripensare se stesso e la propria vita.

Ma c’è anche Tristezza, una bambolotta blu con gli occhialoni e il naso a patata. Riley perde gli amici d’infan-

zia e la sua casa, a causa del trasferimento con la famiglia dal Minnesota a San Francisco.

«Tristezza è vista come un freno, un personaggio lento, che Gioia letteralmente trascina in giro nella mente di Riley», ci dice ancora Ingrassia.

«In realtà, gli studi rivelano che la tristezza è associata all’eccitazione fisiologica elevata, perché attiva il corpo per rispondere efficacemente alla perdita. Nella

vita reale, la tristezza che esprimiamo attira sostegno e attenzione da parte delle altre persone e ci per-

mette di ricevere aiuto nel momento di reale bisogno».

«L’angoscia è buona», insomma. Come cantava Enzo Jannacci, che con Quando un musicista ride e altre canzoni insegnava a non aver mai paura delle proprie emozioni.

Una vetta che sembrava irraggiungibile [ a cura di Daniela Palumbo ]

di Sandro Paté

personalità è principalmente contraddistinta da Gioia e questo è corretto dal punto di vista scientifico: le nostre identità

Il film Everest è tratto da una storia vera. Il tentativo di raggiungere la vetta della montagna più alta del mondo. Il film racconta il viaggio di due spedizioni durante una tempesta di neve fra le più violente. Le condizioni estreme e gli ostacoli (insormontabili?) trasformano l'ossessione di una vita in una lotta per la sopravvivenza. agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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In Parientes Servillo canta il legame tra l’Argentina e Napoli con la leggerezza arguta tipica del leader degli Avion Travel

Peppe Servillo «Quante ricchezze nelle memorie dei popoli» di Andrea Pedrinelli

Con Parientes torna sulle scene il raffinato artista napoletano.

Un disco che unisce due culture, quella italiana e quella argentina. Un disco delicato, ironico e profondo 22 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

Quindici brani per cantare due culture, l’italiana emigrata in Argentina e l’argentina emigrata in Italia: in un disco, delicato e dotato di quella profondità ironica frammista a disincanto che solo Napoli possiede in toto, con cui Peppe Servillo rinnova la collaborazione con i jazzisti sudamericani Javier Girotto (sax) e Natalio Mangalavite (pianoforte). Parliamo di Parientes ovvero parenti, perché Somos todos parientes,siamo tutti parenti, dice dall’alto della saggezza popolare la madre di Mangalavite. E apparentati siamo noi italiani, ben più di quanto oggi riusciamo purtroppo a pensare, con molti popoli d’oltreconfine; con quello argentino, che è addirittura d’oltreoceano, siamo quasi fratelli perché molta fu l’Italia povera che andò laggiù a cercare futuro. Anticipando di numerosi

decenni i barconi dei migranti di oggi che a volte ci spiazzano e che taluno rifugge, ma che in realtà sono declinazione contemporanea di quanto anche il nostro popolo ha dovuto essere, per sopravvivere.

Parientesmesce dunque oggi e ieri, jazz e canzone, Argentina e Napoli, tragedia e comico, denunce e spiritualità, con la leggerezza arguta tipica del leader degli Avion Travel: artista che forse non ha il riscontro popolare che meriterebbe, e che come capita ai grandi di ciò altamente si disinteressa. Pur di poter realizzare progetti come questo.

Servillo, da dove nasce la spinta per questo disco ? Dall’attualità del Mediterraneo?

In realtà coincide casualmente, con questi drammi sempre più forti. E volutamente non abbiamo voluto fare banale cronaca di essi, anche perché credo che usare il sentimento o l’ironia permetta di capire anche meglio certe vicende umane. Nella misura in cui si prende una distanza corretta dal coinvolgimento emotivo del momento. Il concetto di fondo è un viaggio fra figure di famiglie, un’umanità forse minore, padri, madri, fratelli, appunto parenti, fotografati però sul ponte tra Italia e Argentina e dentro la loro appartenenza all’essere uomini come tutti, e dunque tutti parenti di tutti.

In che modo si sono sviluppati i rapporti fra Napoli e l’Argentina?

La cultura italiana è riconosciuta quasi ufficialmente, come fondatrice di quella argentina. E si dice che gli argentini agiscano come italiani. Ma per capirlo, e capire in che modo noi tanosovvero napoletanos abbiamo poi avuto qualcosa in cambio, bisognava anche spostarsi da Buenos Aires e dal solito tango.

Per questo milonghe, cumbie, una ricerca ritmica che ci ha portato an-

Le migrazioni hanno dato vita a culture che prima non c’erano, questo disco lo racconta e noi dovremmo ricordarcelo

che nel Nord di quel Paese. Per scoprirvi peraltro autori di chiare origini italiane.

Come si trova con Mangalavite e Girotto, un cantante fra due jazzisti?

La mia matrice interpretativa è teatrale. Loro sono jazzisti, ma portano il jazz nella forma canzone come io porto le altre mie esperienze in essa. Così il centro rimane comunque lei, la canzone.

Ha comunque un valore di commento all’attualità, Parientes?

Spero di sì, lo offriamo come esempio di un praticare la memoria dei popoli quale ricchezza: le migrazioni hanno dato vita a culture che prima non c’erano, questo disco lo racconta e noi dovremmo ricordarcelo. Per poter pensare che c’è un’identità comune al di là dei confini e poi praticarne le conseguenze anche a livello di accoglienza.

Il disco oscilla fra la spiritualità di Kunikaranie la disillusione di Cambalache: il mondo emotivo dell’opera è più ottimista o pessimista?

Si tratta sempre di tradizioni popolari. Cambalache è in realtà un’invettiva; sembrano canzoni cupe invece c’è rabbia, e voglia di resistere umanamente a un degrado che porta di solito a indifferenza o cinismo. Kunikarani, parola intraducibile, viene invece dal repertorio di un giovane gruppo di origine andina, e narra come sia im-

L’INTERVISTA

scheda Il progetto Parientes del trio Servillo-Girotto-Mangalavite è destinato ad andare in tour in autunno fra Bologna, Torino e Roma. Ma Peppe Servillo è anche pronto a riprendere a gennaio 2016 La parola canta, col fratello Toni; e inoltre si farà carico del ruolo che fu del grande Gianni Agus nell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht che sarà rimessa in scena dal Piccolo di Milano con la regia di Strehler a quarant’anni dalla prima volta.

«Sono sfide importantissime», dice Servillo. «Forse è vero, come lei mi dice, che io porto nel rigore del teatro un approccio più lieve, ma forse dipende anche solo dal differente carattere che abbiamo io e Toni.

Certo l’aver lavorato su Eduardo De Filippo allestendo con mio fratello Le voci di dentro è stata un’esperienza di grande arricchimento, proprio per il suo assoluto rigore. Però vede, un attore deve svuotarsi di sé per mettere in scena il testo ed essere credibile in esso; un cantante, invece, non può prescindere da quello che è dentro: deve metterla in gioco, la propria identità personale. E lavorando sulla musica chi canta ha margini che il teatro non concede. In musica anche la malinconia ha una propria festosità, mentre il teatro spesso propone forti domande di senso che non permettono la lievità che invece concede il far canzoni». AP

portante custodire le tradizioni, le visioni ancestrali, la fede stessa per ripartire.

Cos’è la fede per Servillo?

Il mistero della spiritualità è un abisso. Ma un abisso cui affacciarsi con un modo di porsi che dipende da noi. La speranza e la fede stessa siamo noi a decidere se farle prevalere o meno.

Da anni lavora a teatro anche con suo fratello Toni; oggi si sente più attore o cantante?

Sono mestieri diversi che apparento da autodidatta. Ma resto cantante: cantante di parola, di dizione, di una canzone che si fa teatro.

E si sente abbastanza considerato, a 35 anni precisi dal suo esordio nella musica?

Con gli Avion Travel partimmo con l’obiettivo di indagare chi eravamo, di condividere, di trovare e sperimentare una coscienza artistica.

Non abbiamo mai pensato alla fama. E oggi Spinetti è nei Musica Nuda, Mesolella fa colonne sonore, io faccio teatro. I risultati vanno letti secondo le aspettative nutrite: ho sempre lavorato per liberare la mia identità nel confronto con altre. Se avessi inseguito il successo non sarei stato così tanti anni in un gruppo di sei persone.

agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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COPERTINA

I ragazzi che frequentano i doposcuola del Cestim di Verona sono fra i 600 e gli 800 ogni anno, in 40-50 plessi scolastici di scuole medie e primaria, più 2 esperienze in Centri di formazione professionale in preparazione all’esame del terzo anno

Il tasso di abbandono scolastico degli studenti italiani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato prematuramente la scuola è al 17%, ben al di sopra della media europea del 12%.

C’è uno strumento, da anni applicato in Italia, soprattutto nelle parocchie, che aiuta a contrastare il fenomeno. Viaggio di Scarp alla scoperta di una realtà che è ormai diventata luogo di integrazione e presidio contro l’esclusione sociale

Il buon 24 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

doposcuola agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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COPERTINA

di Alberto Rizzardi

Tra gli aspetti negativi che caratterizzano la scuola italiana degli ultimi anni c’è solo l’imbarazzo della scelta: dalle sempre minori risorse destinate all’istruzione agli edifici che, da nord a sud, cadono a pezzi; dalle grane dei concorsi al precariato e agli stipendi sempre più magri dei docenti, passando per le cosiddette “classi pollaio”, una crescente sfiducia degli studenti e un allargamento della forbice nell’accesso al sapere.

Certo, non tutto va male: è, per esempio, aumentata – dati alla mano – la qualità del sapere. Ma c’è un elemento che, tra tutti, è particolarmente inquietante, perché mina il futuro stesso del nostro Paese: il tasso di dispersione scolastica, ovvero il numero di studenti che abbandonano la scuola, aspetto di cui

26 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

non si parla spesso. Il fenomeno in Italia si sta lentamente riducendo ma è ancora ben lontano dall’obiettivo 10% fissato per il 2020: secondo dati Eurostat del 2013, il tasso di abbandono degli studenti italiani tra i 18 e i 24 anni è al 17%, in calo rispetto al 2006 (20%) ma ancora sopra la media europea (12%). C’è chi sta peggio, come la Spagna (23,5%), ma ci sono tante realtà dove le cose vanno meglio, Francia (9,7%) e Germania (9,9%) su tutte.

In Italia, poi, si assiste a una disaggregazione per generi (la componente femminile degli studenti è molto più avanti dei maschi) e territoriale: la dispersione scolastica continua, infatti, a interessare in maniera più sostenuta il Sud con punte di abbandono del 25,8% in Sardegna, del 25% in Sicilia e di quasi il 22% in Campania. Peraltro, secondo molti, il dato nazionale di

Eurostat sarebbe sottostimato: per Tuttoscuola, che ogni anno realizza un dossier sulla dispersione scolastica, si arriverebbe addirittura al 27,3% di abbandoni nella fascia 1417 anni; secondo l’indagine LOST, realizzata l’anno scorso da WeWorld Intervista, Associazione Bruno Trentin e Fondazione Giovanni Agnelli, ogni anno il 23,8% della popolazione non raggiunge un titolo di scuola secondaria. Insomma, c’è ancora tanto, tantissimo da fare.

Fenomeno ampio e variegato «Quello della dispersione scolastica – spiega Speranzina Ferraro della Direzione generale per lo studente del ministero dell’Istruzione – è un fenomeno molto variegato su cui da sempre il Miur è impegnato con varie tipologie d’intervento che, però, non costituiscono ancora un sistema unico».

NAPOLI

Patto educativo con ragazzi e famiglie: ecco la ricetta per battere la dispersione

Nelle foto a fianco e qui sopra due momenti del doposcuola organizzato a Pavia dalla locale San Vincenzo. Tra i tanti servizi è previsto anche il supporto psicologico. Sotto il doposcuola personalizzato organizzato a Modica

A Napoli, in un quartiere come la Sanità, dove la dispersione scolastica arriva al 70%, Educativa Su questo hanno certa- territoriale e scuola mente influito i costanti ta- fanno corpo unico. gli all’istruzione. «Se da un lato la politica dispending reviewha com- «I ragazzi – spiega portato una generale riduzione dei Titti De Marco, finanziamenti, dall’altro l’attenzioeducatrice de ne al fenomeno della dispersione scolastica non è mai venuta meno La Tenda – hanno negli anni: il Governo Letta varò, per un diario personale esempio, il Decreto-Legge 104/2013, delle attività che prevedeva proprio misure straordinarie d’intervento per 15 milioni pomeridiane di euro per progetti contro la disper- che i docenti sione scolastica. Un’assoluta novità scolastici poi nel panorama italiano perché, coinvolgendo scuole e soggetti del terzo valutano a fine settore, sottolineava l’importanza anno. Così, del fare rete nel territorio per accanto alle un’azione coordinata».

Tanto resta però ancora da fare materie di studio in questo senso. «L’integrazione è si valutano anche una delle cose più difficili da attuare nel nostro Paese, non solo nella le competenze scuola: è importante, a mio avviso, altre acquisite»

Combattere la dispersione scolastica grazie alle reti tra scuola, famiglia e associazioni che lavorano sul territorio. È questo il progetto sperimentale che sta portando avanti l’educativa territoriale del centro La Tenda, con la supervisione dell’assessorato al Welfare e dell’assessorato alla Scuola del Comune di Napoli, uno scambio continuo tra quello che avviene in classe e quello che avviene dopo scuola. In un quartiere come la Sanità, dove la dispersione scolastica arriva al 70%, educativa territoriale e scuola fanno corpo unico. «I ragazzi – spiega Titti De Marco, educatrice de La Tenda – hanno un diario personale delle attività pomeridiane che i docenti scolastici poi valutano a fine anno. Così, accanto alle materie di studio si valutano anche le competenze altre, acquisite dai ragazzi durante i laboratori organizzati al centro».

A La tenda il pomeriggio è lungo, articolato e affollato. I ragazzi sono tanti, settanta, divisi in tre gruppi: dai sei ai nove anni ci sono gli scriccioli, i pre-adolescenti sono chiamati viaggiatori, mentre i più grandicelli sono i tuffatori. Dalle 15 alle 17 i ragazzi fanno i compiti che gli sono stati assegnati a scuola, c’è poi la pausa per la merenda e, infine, dalle 17.30 alle 19.30 ci sono i laboratori.

«Sono molte le attività che si fanno durante l’inverno – prosegue Titti – dalla pallavolo alla capoeira, dai corsi di cucina per i piccoli a quello radiofonico per i più grandi, insieme a “Radio Siani” che ci ha aiutati a fare “Radio Strada”, spazio in cui i ragazzi hanno affrontato con le persone del quartiere i temi di legalità e cittadinanza attiva. Ci sono anche laboratori di teatro e canto corale, laboratori creativi e un particolare laboratorio di creazione di presepi. Una delle ragazze che ha partecipato al corso lo ha portato al suo esame di terza media, collegando al suo lavoro temi di storia, geografia e altre materie. Abbiamo fatto anche alcuni incontri con la Lega Navale, alla quale tutti i ragazzi sono iscritti gratuitamente, con esperti del Cnr, geologi marini e docenti universitari. Esistono però delle regole: non si possono seguire solo alcuni corsi senza aver fatto prima un percorso».

I ragazzi, infatti, devono sottoscrivere un’iscrizione che ha valore di patto educativo anche con le famiglie. A partire dagli interessi dei bambini, la frequenza è obbligatoria almeno tre volte su cinque a settimana. Le educative sono presenti su tutto il territorio cittadino e anche la Caritas Diocesana di Napoli sta pensando di avviare dei dopo scuola, ispirati dalle lettere del Papa e del Cardinale Sepe sulle Opere di Misericordia spirituale.

Claudia Sparavigna

agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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COPERTINA portare alla luce le tante eccellenze che ogni territorio manifesta, non solo le criticità. Occorre poi superare la mancanza di strategicità dell’orientamento, elemento che andrebbe rafforzato perché tra le prime cause della dispersione».

La “ricetta” doposcuola C’è uno strumento, da anni applicato in Italia in lungo e in largo, che silenziosamente aiuta a contrastare il fenomeno della dispersione scolastica: i doposcuola. Uno strumento variegato, in bilico tra accompagnamento scolastico e sostegno economico-sociale, che non si limita più a far fare ai ragazzi i compiti per il giorno dopo (forse, in verità, non si è mai limitato a questo), ma che è un vero e proprio presidio sul territorio che persegue una pluralità di obiettivi: dalla lotta all’esclusione sociale all’integrazione degli stranieri, dal contrasto al rischio di devianza al sostegno nell’età critica dell’adolescenza passando, in alcuni casi, addirittura per supporto psicologico e sostegno familiare.

La bella e coloratissima metereologa del doposcuola organizzato dal Cestim a Verona.

A lato un momento delle attività di Lucca

Partendo dal sostegno scolastico, insomma, si accompagnano e sostengono i giovani nell’affrontare i diversi compiti evolutivi, aiutandoli a superare le difficoltà che incontrano, valorizzandone risorse e competenze utili per il successo formativo e di vita.

Impossibile dire con certezza quanti siano i doposcuola in Italia, perché non c’è un censimento ufficiale: il ministero dell’Istruzione non li ha mai contati e non pare interessato a farlo. Accanto a quelli istituzionali ci sono poi migliaia di doposcuola legati al terzo settore, che talora sfuggono alle rilevazioni ufficiali: da quelli organizzati dalle parrocchie e dagli oratori a quelli che negli oratori trovano posto ma sono organizzati da altri soggetti del privato sociale, Caritas in testa. Esperienze bellissime e, spesso rivoluzionarie.

Non solo compiti, ma luoghi incui si cresce di Alberto Rizzardi

Nati per sostenere i ragazzi nello studio pomeridiano sono diventati strumento di crescita e integrazione 28 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

Milano è tra le realtà italiane più attive e meglio strutturate sul fronte doposcuola. Dal 2000 c’è, per esempio il Portofranco, centro gratuito di aiuto allo studio nato da un’intuizione di un gruppo d’insegnanti che, di fronte al problema dell’insuccesso scolastico, decisero di partire dal rapporto con i ragazzi in difficoltà proponendo un aiuto personalizzato allo studio pomeridiano: 130 adolescenti iscritti nell’anno dell’esordio, 1.200 nel 2008, 1.800 nell’ultimo anno scolastico, con 20 mila ore di sostegno erogate annualmente grazie a 400 volontari.

Il tutto dovendo fare quotidianamente le nozze coi fichi secchi: i contributi pubblici coprono, infatti, soltanto il 10% circa delle spese annuali (attorno ai 300 mila euro) del-

17%

9,7%

23,8%

Il tasso di abbandono degli studenti italiani tra i 18 e i 24 anni

Il tasso di abbandono degli studenti francesi tra i 18 e i 24 anni

Popolazione che ogni anno non raggiunge un titolo di scuola secondaria

I PROGETTI

A Pavia anche supporto psicologico, a Noto sono 70 i bambini coinvolti Sono tantissimi, e molto diversi tra loro, i progetti di doposcuola attivi in tutta Italia. A Torino, per esempio, tra le varie iniziative in campo, c’è la versione locale di SNodi, progetto nazionale promosso da Caritas Italiana Azioni di Sistema Anticrisi, che vuole attivare risposte collettive per rispondere in modo pertinente a bisogni sociali rilevanti.

In provincia di Siracusa, la Caritas diocesana di Noto porta avanti da cinque anni un progetto di doposcuola a Modica, cui nel tempo si sono aggiunte esperienze analoghe a Pozzallo, Noto e Ispica; e dall’anno prossimo toc-

cherà anche a Scicli e Pachino. Circa una settantina i bambini e ragazzi coinvolti nelle realtà finora attive.

Ma non c’è solo la Caritas: a Pavia, per esempio, da una decina d’anni il gruppo locale della San Vincenzo cura un doposcuola gratuito nell’oratorio della parrocchia San Lanfranco, periferia ovest della città. Partito una decina di anni fa con altrettanti ragazzi stranieri delle elementari, coinvolge oggi circa 80 studenti di elementari, medie e superiori di 18 diverse nazionalità, seguiti due pomeriggi alla settimana da insegnanti, docenti in pensione e volontari, reclutati con un (efficace) passaparola.

«I ragazzi – spiega Carla Raffone, responsabile del doposcuola – vengono seguiti sia per quel che riguarda l’andamento scolastico, con uno stretto rapporto con scuole e famiglie, sia sul fronte dell’orientamento psicologico e del sostegno a tutto tondo. Trovano un luogo accogliente che insegna un metodo di studio e li accompagna nel loro percorso di crescita, dando loro la possibilità di fraternizzare e socializzare. I successi in questo primo decennio sono stati tanti».

I fondi a disposizione sono sempre pochi, ma si cerca di allargare anno dopo anno l’offerta, di recente arricchita da un corso di ginnastica.

MILANO

la struttura di viale Papiniano e, per continuare a poter mantenere gratuito il servizio, si cercano altre strade come il 5x1000, donazioni private e una speciale campagna di azionariato popolare.

Anche Caritas Ambrosiana è attenta al fenomeno: l’Area Minori gestisce da anni la Segreteria Doposcuola, che realizza un costante lavoro di osservatorio, studio, ricerca e documentazione sui temi inerenti la scuola e l’educazione, sostenendo nel contempo lo sviluppo di progetti per attualizzare e far evolvere il servizio alla luce dei cambiamenti socio-culturali e dei bisogni manifestati dal territorio.

Sono 267 i doposcuola nella Diocesi milanese, secondo il Rapporto Caritas 2010; ma il dato è sicuramente sottostimato, tenendo conto che, da allora, sono passati cinque anni. L’aggiornamento 2013 del

Rapporto, più che fornire un aggiornamento numerico delle esperienze attive, ha tracciato un profilo qualitativo delle stesse, da cui emerge che anche i doposcuola milanesi, come nel resto d’Italia, perseguono una pluralità di obiettivi: si parte dal sostegno scolastico per realizzare un più ampio percorso educativo. E anche qui la rete tra scuole, doposcuola, famiglie, istituzioni e servizi del territorio è il fattore vincente.

Offerta che cresce «Da qualche anno – spiega Matteo Zappa, responsabile aree di bisogno di Caritas Ambrosiana – stiamo assistendo a due tendenze: da un lato si sta meglio strutturando e ampliando qualitativamente l’offerta di sostegno allo studio (che coinvolge spesso anche l’età dei primi anni delle superiori); dall’altro, attraverso laboratori didattici e programmi

Qualche oratorio sta anche provando a creare un raccordo tra scuola e doposcuola dove i ragazzi pranzano, giocano e fanno sport insieme: una continuità educativa fondamentale in termini di cura per le famiglie che lavorano

personalizzati, concordati con le scuole e nell’ambito di veri e propri patti educativi, si sta cercando di superare la mera fase del far fare i compiti del giorno dopo per cercare di capire quale supporto specifico si possa fare all’interno del doposcuola per colmare certe lacune e rispondere a determinati bisogni».

Ma non solo. «Negli ultimi tempi – continua Zappa – qualche oratorio sta anche provando a creare uno spazio di raccordo tra scuola e doposcuola dove i ragazzi pranzano, giocano e fanno sport insieme: una continuità educativa che diventa fondamentale in termini di cura per quelle famiglie che lavorano e non hanno la possibilità di stare con i propri figli». Il tutto mantenendo lo spirito volontario delle iniziative, ma qualificando sempre più la proposta, affiancando figure professionali agli educatori». agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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COPERTINA

TORINO

Giovani investimenti, spazio alla cultura Coordinato da S-Nodi in collaborazione con Asai, “Giovani investimenti” è un progetto indirizzato a studenti medi e superiori residenti nel quartiere torinese di Barriera di Milano.

«L’iniziativa giunta al terzo anno di vita – spiega l’operatore Asai, Antonio Fiandaca – è finalizzata al contrasto della dispersione scolastica e coinvolge due educatori e sei volontari che si occupano di 75 ragazzi, metà dei quali stranieri, divisi in due gruppi di studio. La partecipazione è gratuita, ma ai ragazzi è chiesta un’attività di restituzione, quali la partecipazione ad un laboratorio di Hip Hop o ad un laboratorio di fotografia, che ha già prodotto una mostra, secondo una filosofia che coniuga la cittadinanza attiva alla cultura intesa come strumento di promozione sociale. L’iniziativa non coinvolge soltanto ragazzi provenienti da famiglie in difficoltà economiche ma è anche un’occasione di socializzazione e d’incontro tra giovani provenienti da diverse realtà sociali.

Vito Sciacca

Qui sopra, il “gioco rompighiaccio” del primo giorno del doposcuola del Cestim a Verona.

A destra, uno dei tanti momenti ludici che intervallano le attività didattiche a Lucca

Lucca, aiuto contro le povertà minorili di Alberto Rizzardi

A Lucca da cinque anni è attivo “Pomeriggi insieme”: partito in via sperimentale nel centro storico con una ventina di bambini e ragazzi delle scuole elementari e medie, ora è un’iniziativa più ampia che coinvolge cinque quartieri della città, cinque pomeriggi (uno per quartiere), una decina di educatori, più di 100 ragazzi (soprattutto delle medie), metà italiani e metà stranieri. A curarlo è la Caritas diocesana

“Pomeriggi insieme” non solo garatisce i diritti fondamentali a tanti bambini ma li aiuta anche a coltivare sogni e i loro talenti

assieme alla cooperativa L’impronta Onlus e ad altre realtà del privato sociale: «Tutto è partito – racconta Donatella Turri, direttrice della Caritas lucchese – dalla segnalazione dei servizi sociali che indicavano come emergenza quella di poter occupare i pomeriggi di bambini che si trovavano soli in quella porzione di giornata, con tutti i rischi del caso. La formula

30 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

iniziale era semplice: la finalità era quella di farli stare insieme come si fa in una normale famiglia, quindi un po’ di compiti, la merenda e il gioco. Poi si è deciso di strutturare la cosa ed estenderla anche ad altri quartieri dove non ci fossero già servizi di questo tipo».

La rete tra soggetti diversi (Comune, Caritas, scuole e cooperativa L’impronta Onlus, inizialmente gestore del servizio) è stata ed è fondamentale per il progetto, che oggi coinvolge altre undici associazioni nell’animazione dei pomeriggi, i cui referenti affiancano personale educativo qualificato e volontari Caritas. Insomma, un progetto che è cresciuto nel tempo e che ha saputo adattarsi alle esigenze del territorio.

«Questo progetto – spiega Elisabetta Tomei, responsabile dell’area Volontariato e Giovani della Caritas di Lucca – ci ha consentito anche di accendere una luce sulle

VICENZA

Si parte dai compiti per costruire integrazione

VERONA

La sfida del Cestim alla dispersione: «Superare la barriera della lingua»

LUCCA

povertà minorili, in particolare sul rischio di esclusione sociale per ragazzi che arrivano da contesti familiari caratterizzati da difficoltà economiche o di altro tipo. Da “Pomeriggi insieme” sono nate altre due esperienze: la prima è un servizio di prescuola, organizzato con le scuole nei giorni di settembre che precedono l’inizio delle lezioni; la seconda, partita ad aprile, si chiama “Salta su” ed è un percorso di inclusione per bambini nelle realtà sportive della città».

Il tutto con risultati assai incoraggianti un po’ per tutti: «È

cambiato il nostro punto di vista sulle povertà minorili della città. Abbiamo capito che

accompagnare le povertà minorili non significa soltanto garantire i diritti fondamentali e i bisogni primari, ma anche e soprattutto coltivare i talenti dei ragazzi e le loro possibilità di partecipazione alla vita della comunità».

Dalla fine degli anni ’90 il Cestim (Centro Studi sull'immigrazione) di Verona lavora per ridurre lo svantaggio linguistico dei bambini figli di migranti e facilitarne l'integrazione scolastica e dal 2000 sono iniziati anche i corsi estivi nelle scuole del territorio, gestiti con operatori professionisti.

«Dal 2005, su richiesta delle scuole, abbiamo iniziato attività extra scolastiche di supporto allo studio – dice Matteo Danese, direttore del Cestim –. Esistevano già diversi "doposcuola" sul territorio, organizzati da associazioni, parrocchie e altre realtà insieme alle scuole. Il nostro intervento non è dedicato a ragazzi con difficoltà scolastiche in generale ma rispondiamo ai bisogni degli alunni di madrelingua non italiana. Superata la fase della prima comunicazione, infatti, molti di loro si trovano in difficoltà nell'affrontare la "lingua dello studio", che diventa una seconda barriera, spesso sottovalutata sia dai ragazzi stessi sia dalla scuola. Ci si è resi conto che un ragazzino che sembra "non avere voglia" di studiare in realtà può faticare a comprendere il linguaggio specifico dei libri di testo, difficoltà che aumenta con il progredire nel percorso scolastico. Tale difficoltà, se non affrontata, può diventare insuperabile e generare ritardo e dispersione scolastica, soprattutto negli alunni preadolescenti ed adolescenti. Per questo abbiamo iniziato l'esperienza dei doposcuola, sviluppando collaborazioni proficue con le scuole del territorio: abbiamo un protocollo di intesa con 70 direzioni scolastiche e i nostri doposcuola sono inseriti nel POF. E' la scuola stessa a segnalare i ragazzi da inserire, e ci sono incontri preliminari, di verifica in itinere e conclusiva tra operatori e insegnanti. Le scuole quindi non sono "beneficiari", ma partners a tutti gli effetti.

Ciò ha aumentato l'efficacia degli interventi, garantendone la continuità». I ragazzi che frequentano i doposcuola sono fra i 600 e gli 800 ogni anno, in 40-50 plessi scolastici di scuole medie e primaria, più 2 esperienze in Centri di formazione professionale in preparazione all'esame del terzo anno. Il contributo richiesto alle famiglie per l'iscrizione è minimo, perché possa essere alla portata di tutti, e finanzia in minima parte (5 per cento) l'esperienza, sostenuta per la quasi totalità dalla Fondazione San Zeno.

Un buon esempio di collaborazione fra pubblico e privato sociale.

A Dueville, in provincia di Vicenza, il doposcuola è un vero e proprio motore di animazione. Da qui si è partiti per dar vita al centro di ascolto e la Caritas parrocchiale.

«Alcune insegnanti che frequentavano l’oratorio della parrocchia ci raccontavano le difficoltà di inserimento per i figli dei migranti – racconta Paola Bocchese che ha contribuito al servizio fin dal suo avvio –. Così ci siamo messi in rete con la scuola e le assistenti sociali che hanno cominciato a mandarci i bambini».

Fin da subito l’attività di supporto scolastico si è configurata come occasione per incontrare i ragazzi e le famiglie per conoscerli. «Oggi abbiamo anche ragazzini italiani che frequentano il doposcuola – spiega ancora Paola –. Li seguiamo singolarmente nei compiti due volte la settimana.

Il rapporto uno a uno ci consente di sviluppare una relazione di amicizia e fiducia che li convince a confidarsi in caso di necessità». A realizzare il servizio il un ben nutrito gruppo di 25 volontari coadiuvati da gruppi scout e giovani Caritas.

«Nel tempo siamo riusciti ad affrontare sofferenza e fragilità, ma anche a costruire integrazione – conclude Paola -. Oggi anche i figli dei migranti, anche se musulmani frequentano l’oratorio, partecipano alle feste, e i bambini si inseriscono nei Grest».

Cristina Salviati

agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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L’INCHIESTA

Vita da rom ai tempi delle ruspe di Ettore Sutti

Se mai si dovesse organizzare un campionato dell’odio lo vincerebbero a mani basse.

Un primato che detengono incontrastati da centinaia di anni senza che nessuno (e ci hanno provato in tanti) sia mai riuscito nemmeno a scalfirlo. Su di loro, anzi su quello a cui vorrebbe fare loro con una ruspa, il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, ha costruito la propria fortuna elettorale. Avete capito di chi stia-

Nessuno li ama e pochi li aiutano. Ma c’è chi lavora ogni giorno per comprendere come risolvere la questione rom. Senza ruspe

mo parlando? Si, proprio di loro: dei rom. Perché dai, ammettetelo, in fondo a chi sono simpatici i rom?

Quella gente lì, che vive nei campi, che si veste in maniera strana, che fa accattonaggio per strada con i bambini e che ruba appena può. In fondo non sono pochi a credere che senza di loro si vivrebbe tutti meglio.

Questo nonostante in Italia i rom siano appena 180 mila, appena lo 0,25 per cento della popolazione totale, che solo una minima parte di loro viva effettivamente nei campi e che molti di loro siano italiani a tutti gli effetti. Eppure ci sono

32 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

Da circa due anni un’équipe di quattro persone di Caritas Ambrosiana gira per le periferie di Milano nel tentativo di mappare gli accampamenti abusivi di rom e raccogliere bisogni e aspettative

Cerchiamo sempre di comprendere quanti sono, da dove vengono e da dove sono stati sgomberati – dice Camillo –.

Se ci sono bambini e la condizione in cui sono costretti a vivere. Questo ci permette di inquadrare le esigenze e offrire interventi mirati

180 mila

35 mila

50 anni

il numero di rom presenti sul territorio italiano

il numero di rom che vive ancora nei campi nomadi

l’aspettativa di vita media dei rom nell’Unione europea

persone e associazioni che si ribellano a tutto ciò. Cercando di far emergere quello che, in verità, dovrebbe essere scontato per tutti: non esistono popoli cattivi o popoli buoni. Le responsabilità sono sempre e comunque personali.

mo fino in mezzo al boschetto dove, seduti su un vecchio tappeto ci sono quattro donne e due uomini.

«Cerchiamo sempre di comprendere quanti sono, da dove vengono e da dove sono stati sgomberati – dice Camillo –. Se ci sono bambini e le condizioni generali in cui sono costretti a vivere. Questo ci permette di inquadrare le esigenze e offrire poi interventi mirati».

Le donne ci fanno sedere e iniziano a chiacchierare con Anna che tra una battuta in romanì e un’offerta di aiuto cerca di farsi un’idea precisa di quante siano le persone e da quanto siano lì.

L’équipe abusivi Anna e Camillo chiacchierano con incuranza mentre guidano una vecchia punto color mattone, rigorosamente senza aria condizionata, nella canicola del luglio milanese. In verità sono molto attenti a quello che questa disgraziata periferia mette loro davanti, visto che fanno parte dell’équipe abusivi di Caritas Ambrosiana. In pratica girano le periferie di Milano alla ricerca di accampamenti abusivi di rom per mapparli e creare una sorta di database su cui poi ragionare per impostare gli interventi. «L’idea dell’équipe –spiega Sabrina Ignazi dell’Area rom di Caritas Ambrosiana – è nata a ottobre del 2013 in seguito allo sgombero di un grande edificio abbandonato in zona Certosa. Il meccanismo degli sgomberi, che va avanti da anni, ha portato allo sgretolamento dei grandi campi (Forlanini, via Silla, San Dionigi) e ha fatto sì che le persone, le stesse da anni, si dividano in gruppi più piccoli in zone meno visibili e più difficili da raggiungere. Diventa quindi più complicato comprendere l’entità del fenomeno».

Siamo in zona Cinisello, immediatamente dietro all’area dei grandi supermercati. Anna si fa attenta di colpo: «Rallenta – dice – c’è un buco nella rete. C’è anche spazzatura: promette bene». Scendiamo dall’auto e ci inoltriamo in mezzo a un campo incolto con qualche albero sullo sfondo. E lì, in mezzo agli alberi ecco spuntare le prime tende.

«Buongiorno – gridano Anna e Camillo – siamo della Caritas, possiamo venire?». È sempre importante “bussare alla porta” mi spiega poi Anna anche perché capita delle volte in cui i volontari vengono cacciati. Ci inoltriamo tra gli alberi e poco alla volta spuntano sempre più tende: alcune vuote, una donna e il suo bambino, due ragazze che dormono. Proseguia-

Offrire aiuto «Visto che andiamo a incontrarli e

chiediamo informazioni – spiega Anna – cerchiamo comunque di proporre qualcosa in cambio: lasciamo sempre i nostri numeri e offriamo la possibilità di essere accompagnati a fare delle visite mediche o dentistiche gratuite oppure di essere accompagnati al consolato rumeno per fare documenti – se vanno da soli vengono spesso cacciati in malo modo – o, ancora, offriamo aiuto per stendere un curriculum per cercare un lavoro. Pochi richiamano ma con chi lo fa riusciamo spesso a costruire una relazione che porta frutti».

Le donne sedute davanti a noi non arrivano a trent’anni ma ne dimostrano il doppio. «La vita qui non è male –dicono –siamo lontani dalla

LA STORIA

Marko, dal campo al lavoro regolare, la normalità di una vita come le altre Sveglia alle sei meno venti del mattino, undici ore di lavoro al giorno, lunedì giornata libera. È la vita normale di un trentacinquenne normale. Si chiama Marko (il nome è di fantasia), è sposato, ha tre figli, un contratto regolare, un affitto di 350 euro, la passione per le musiche del suo paese d’origine, che è il Kosovo. E quindi? Quindi niente, se non fosse che Marko ha qualcosa che non piace molto al giorno d’oggi: è rom. Uno di quelli che ha vissuto nei campi rom, dentro le baracche, in mezzo ai topi, di quelli che “dal fuori” sono persone che “non hanno voglia di lavorare” e “rubano e basta”. Invece Marko ha una storia che dice qualcosa di molto diverso: «Sono arrivato in Italia quando avevo 17 anni, dal Kosovo, perché scoppiò la guerra.

Mia nonna mi diede dei soldi e mi disse: vai, raggiungi i tuoi parenti a Milano». Marko partì in nave, sbarcò a Foggia, prese un treno per la città, si sistemò nel campo rom di via Barzaghi. «Un inferno – racconta – mi sono ammalato di preoccupazioni e sono finito in ospedale». Poi ha cominciato a risalire. Tutti i giorni frequentava un bar vicino al campo, e di sua iniziativa portava le tazzine sporche al bancone. Così per mesi, tanto che la proprietaria si è affezionata. «Un giorno nel bar è venuto un tizio a fare colazione – ricorda lui – era il titolare del negozio di fiori del cimitero, e dopo aver parlato con lei mi ha offerto un lavoro».

Marko oggi lavora moltissimo. All’inizio non sapeva distinguere neanche le margherite. Oggi è il responsabile del chiosco, apre e chiude il magazzino, vende fiori e compone i bouquet. Che altro dire? Nella sua casa con i fiori sulla carta da parati, ogni tanto viene Elena, 33 anni, l’educatrice di Caritas che lo segue da quando viveva al campo. «Li aiuto con i documenti – racconta – perché magari non padroneggiano bene l’italiano scritto. Ma per il resto, è davvero una famiglia normale». [Stefania Culurgioni] agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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L’INCHIESTA case e non diamo fastidio a nessuno.

Non ci sono nemmeno i topi. Il problema è che non c’è lavoro. Mio marito fa qualche ora all’ortomercato a scaricare la frutta. Ma nulla di più».

Viene spontaneo chiedersi che cosa abbia lasciato in Romania una persona che vive in una tenda in un campo in periferia di Milano.

Alexander, la moglie e la piccola Alexandra che gioca nuda per terra, vivono invece in un piccola tenda in uno spiazzo di Quarto Oggiaro.

«Stiamo bene qui – dice Alexander –: ho anche un lavoro. Vado in giro a ingrassare le serrande dei negozi. Porto a casa 20/30 euro al giorno. Con quello campiamo».

34 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

IL TEST

Rom: quanti sono i tuoi pregiudizi?

Quanti sono i rom in Italia?

50 mila 180 mila 1 milione 200 mila Quanti rom in Italia vivono nei campi?

5 mila 35 mila 130 mila

Quanti rom sono cittadini italiani?

15 % 30 % 50 % Quanti sono nomadi?

3 % 55 % 75 %

Via Negrotto: la parrocchia che pretende legalità di Ettore Sutti

Il campo esiste dal 1968 ed è una presenza pesante nel quartiere.

Che non si arrende. E chiede aiuto

Quanti bambini sono stati rapiti dai rom negli ultimi 20 anni in Italia?

8 15 nessuno Risposte: 180 mila, 35 mila, 50%, 3%, nessuno

L’opportunità del Ces Le famiglie con bambini hanno qualche possibilità in più. «Alle famiglie sgomberate a Milano il comune offre la possibilità di entrare nei Ces (Centri emergenza sociale) di via Barzaghi e via Lombroso.

Lì, dove in container da 30 posti convivono più famiglie, a patto che i bambini vadano a scuola, vengono attivati progetti di avvio al lavoro. La vita non è semplice visto che più nuclei familiare devono vivere insieme. Ma per qualcuno è un’opportunità».

Il problema è che anche i Ces, nonostante i buoni propositi, oltre al fatto di essere sovraffollati, affrontano la questione rom come se fosse un blocco monolitico. In verità non esiste una realtà e una situazione identica alle altre. Ci sono rom italiani, rom bosniaci che sono qui da 50 anni, rom rumeni in Italia da oltre vent’anni e altri appena arrivati. Ci sono quelli che delinquano e quelli che sono alla disperata ricerca di un lavoro. «Lo sforzo è quello di superare gli stereotipi e i pregiudizi – conclude Sabrina Ignazi –.

Questo lo si può fare solo incontrando le persone. Quante volte ci siamo sentiti dire “lui è bravo, non è un rom come gli altri”. Quello che vorremmo far capire è che non esiste un rom come tutti gli altri.

Via Negrotto sembra una via come tutte le altre della periferia milanese. Qualche condominio, un po’ di verde, tante parabole ai balconi , segno di una presenza importante di immigrati. Alla fine della via ecco comparire chalet di legno, casette basse fatte in muratura con giardini. Ovunque camper, qualche roulotte abbandonata e tanti bambini in giro.

Siamo nel primo campo rom di Milano, risale al 1968. Un luogo che accoglie un centinaio di persone, tutte italiane che, nel bene e nel male, fanno parte del quartiere. Nel bene e nel male appunto. Paola Calò è una volontaria della parrocchia di San Martino, che è praticamente a fianco del campo, che da 15 anni opera qui.

«La situazione negli anni è migliorata parecchio – racconta –: sia

IL PROGETTO

Giovanna che lavora a Taivè e che sogna una casa tutta sua

Il cavalcavia di via Palizzi a Quarto Oggiaro storico riparo per chi non possiede nulla.

A lato donne al lavoro a Taivè

Giovanna ha modi discreti e gentili. Fa fatica a parlare di sé mentre ricama una borsa. Si vede che non è abituata a stare al centro dell’attenzione. Risponde a monosillabi alle domande e solo, dopo le insistenze di Matilde, l’operatrice, inizia a raccontare. «Sono una rom italiana - dice Giovanna – figlia di un rom e una gagè (così chiamano i non rom). Sono nata e ho sempre abitato al campo di via Negrotto: un bel posto per essere un campo rom, abbiamo le nostre casette con il giardino, belle e confortevoli. Lì ho cresciuto i miei figli fino a quando non sono rimasta vedova. Da allora la situazione è peggiorata molto per me.

Ora però posso contare su un lavoro vero qui in sartoria e posso finalmente portare a casa uno stipendio».

Giovanna è una delle cinque donne che attualmente lavorano a Taivè, un progetto di Caritas Ambrosiana, che attraverso una piccola attività di stireria e piccola sartoria, cerca di impostare un intervento a lungo termine rivolto anche alle comunità di provenienza delle donne, cercando di coinvolgere l’intero nucleo familiare attraverso molteplici aspetti: l’istruzione, la salute, lo status giuridico delle

persone. Taivè è nata per dare un’opportunità di emancipazione a ciascuna di loro (sono una ventina le donne che sono passate dal negozio finora). Un progetto che, pur tra mille fatiche, sta ottenendo dei risultati. Anche perché le donne – solitamente sottomesse rispetto agli uomini nella cultura rom – potendo contare su uno stipendio vero possono anche avere voce in capitolo in famiglia.

«A Taivè sto imparando un lavoro – continua Giovanna – ma anche a confrontarmi con le mie colleghe e con il mondo esterno. Per me all’inizio è stato difficile lasciare “la protezione“ del campo per venire qui. É ancora difficile, lo ammetto. Ma grazie anche all’aiuto delle mie compagne di lavoro ce la sto mettendo tutta».

Taivè è un luogo dove le donne rom, spesso analfabete e senza nessun tipo di formazione, “imparano” come si lavora, fanno esperienza per poter poi accedere a lavori più strutturati o a corsi di formazione di livello superiore.

«Al campo io sto bene – dice Giovanna – ma devo dire che non siamo visti bene. Nel campo ci sono persone che delinquono e per le persone che vivono vicino al campo noi siamo tutti uguali. Ma non è così. Per questo, se fosse possibile un domani, grazie al mio lavoro, vorrei avere una casa vera in un palazzo. Una casa come quella di tutti gli altri. Mi mancherà sicuramente la vita del campo, il giardino, gli amici. Ma così potrò essere considerata una persona come tutte le altre». ES

IL CAMPO

dal punto di vista abitativo sia sociale. Quindici anni fa praticamente nessun bambino frequentava la scuola e nessuna donna o ragazza poteva girare per il quartiere sola.

Oggi abbiamo la maggior parte dei bambini iscritti alle elementari, anche se la dispersione resta alta, qualcuno alle medie e addirittura degli iscritti alle superiori».

Da due anni grazie all’impegno della Caritas parrocchiale è stato attivato un servizio di doposcuola – grazie all disponibilità di otto volontari –che sta ottenendo dei buoni risultati. «Un successo frutto di anni di interazione con i volontari della parrocchia –dice Paola –. Resta aperto il problema della legalità che, soprattutto nel quartiere, resta molto sentito».

Già, la legalità. Buona parte degli uomini è in carcere per reati anche

gravi. Non è un caso se Matteo Salvini abbia scelto Negrotto come simbolo milanese della sua lotta contro i campi rom.

«Se una persona non ha un lavoro –dice la responsabile della Caritas parrocchiale, Chiara Simi –è evidente che deve trovare qualche altro modo per dare da mangiare alla famiglia.

Questo però è un problema per la convivenza tra parrocchiani e ospiti del campo. Se furti, scippi, truffe più o meno velate sono all’ordine del giorno nel quartiere diventa difficile poi spiegare a chi ha subito tutto questo l’importante del continuare a distribuire pacchi vivere o a garantire doposcuola. Su questo bisognerebbe intervenire in maniera decisa».

I bambini vanno a scuola, alcuni frequentano l’oratorio e qualcuno di loro è anche andato in vacanza in montagna. «Non è stato semplice –

scheda La parrocchia di San Martino in Villapizzone ha tra i suoi parrocchiani i rom di via Negrotto e, nel corso degli anni, ha attivato una serie di interventi sul campo: sono distribuiti pacchi viveri, cercando sempre di legare la distribuzione al fatto che i bambini devono frequentare la scuola, e un servizio di doposcuola.

Quello che serve è però un intervento strutturale: senza alternative credibili per gli uomini diventa difficile ottenere legalità

spiega Paola – perché i rom hanno paura che qualche gagè gli porti via i bambini... Quello che noi stiamo cercando di fare è offrire una possibilità a queste persone. Ma in mancanza di alternative credibili – leggi casa e lavoro – è tutto estremante difficile».

«Il campo è un problema –spiega don Lorenzo Negri, parroco di San Martino –, perché esiste una sorta di impunità garantita. Se sparisce una borsa la gente viene da me a chiedere di andare al campo a recuperarla, non alla polizia. Questo non va bene.

Stiamo lavorando molto sulla legalità ma senza poter offrire qualcosa in cambio –che sia un lavoro e una possibilità di futuro –è molto difficile ottenere risultati. Noi siamo qui, soli, ad affrontare tutto ciò. Se non si interviene in maniera convincente il rischio è quello offrire sempre più argomenti a chi semina odio». agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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L’INCHIESTA

FIRENZE

Luigi accompagna i bambini a scuola. E crede nel futuro Luigi tutte le mattine sale sul pulmino che accompagna a scuola i bambini del campo rom di Sesto Fiorentino. Il suo compito è quello di controllare che ci siano tutti e che si comportino bene. Un lavoro importante dal punto di vista sociale a cui Luigi è affezionato.

Anche perché qualche anno prima quel pulmino lo prendeva anche lui. Luigi, infatti, è un ospite del campo che, grazie ai progetti avviati dalla Caritas diocesana di Firenze, sogna un futuro migliore.

«Ero bravo – racconta –e mi piaceva tanto andare a scuola. Anche per questo faccio con piacere l’accompagnatore sul pulmino: spero che i bambini che ogni mattina vanno a scuola riescano a fare nuove conoscenze e ampliare le amicizie. Oltre a fare l’accompagnatore da diversi mesi svolgo anche mansioni di pulizia all’interno di una struttura della Caritas per richiedenti asilo. Spero che il contratto continui il più a lungo possibile. Ricevere uno stipendio è bellissimo così posso aiutare la mia famiglia».

Rahima e Bajro hanno la casa che sognavano di Vito Sciacca e Cristina Cellamare

Scappati dalla guerra di Bosnia sono finiti in un campo a Torino in mezzo a topi. Non hanno mai mollato. E ora hanno una vita 36 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

Fa un caldo torrido, il giorno che incontriamo Rahima e Bajro, e l’aria arroventata che sale dal cortile di cemento del complesso di case popolari in cui abitano rende inutile la finestra spalancata. Ma la storia che raccontano è una di quelle che il caldo te lo fa dimenticare.

volte fummo costretti a chiedere l’elemosina. Inoltre ero terrorizzata dai topi, topi enormi che entravano dappertutto; quasi tutti i giorni arrivava l’ambulanza e portava via qualcuno, io non riuscivo quasi più a mangiare. C’erano volte che pensavo di ritornare in Bosnia, forse era meglio farsi sparare e farla finita che continuare a vivere così».

Il loro racconto ci riporta al 1992 in Bosnia, quando, di fronte ad un crescendo di violenze, questa coppia rom decise di fuggire via. Destinazione Italia.

«Partimmo da un momento all’altro, non avemmo il tempo di portare niente con noi –racconta Rahima con voce appena velata di tristezza –. Arrivati a Torino, l’unico posto in cui trovammo rifugio fu il campo di via Germagnano».

Il periodo di permanenza nel campo fu un vero incubo: «Sopravvivevamo soltanto grazie ai pacchi viveri della Croce Rossa, e molte

Il lavoro che “salva” Dopo alcuni mesi, finalmente, la situazione inizia a migliorare: una borsa lavoro del Comune, l’assunzione in una cooperativa. Per Rahima le cose cominciano ad andare bene: otto ore al giorno passate a fare pulizie negli uffici le assicurano uno stipendio sicuro. Non così per Bajro, suo marito, perché la cooperativa in cui lavora continua a pagarlo con acconti e un vero stipendio non lo vedrà mai.

«Continuavano a promettere – dice scotendo la testa –mi dicevano

PROGETTO

See Light: in Spagna per capire il caso gitani

Giorgio Bezzecchi insieme al padre nella sua casa allo storico campo di via Impastato. Sotto una delle case.

TORINO

che mi avrebbero saldato gli arretrati, poi dopo un anno ho deciso di andarmene, non si poteva continuare con trecento mila lire al mese. Ho fatto causa, ma finora nulla».

Nonostante il lavoro la casa resta un miraggio. Per la gente, guerra o non guerra, loro restano “zingari” e nessuno affitta loro un alloggio.

Rimane il campo, che sarà la loro casa per 12 anni, fino a quando nel 2005 ottengono l’assegnazione di una casa popolare in cui vivono tuttora. Rahima sorride al ricordo del giorno in cui vi ha messo piede: «C’erano tante cose da fare, ma non importava: avevamo una casa dove vivere, una casa tutta per noi».

Ormai, per loro, la vita è qui. Una vita difficile, la crisi non li ha risparmiati: orario di lavoro ridotto a due ore al giorno per lei, mentre lui si arrangia vendendo cose usate al “mercato delle pulci” di Porta Palazzo. Ma hanno degli amici, una casa, una nuova patria.

IL CAMPO

Il campo famigliare di via Impastato: «Noi rom non siamo tutti uguali» In un rettangolo di terreno ben nascosto da un muro di mattoni e da qualche sterpaglia, chiuso tra la tangenziale da un lato e il capolinea della metropolitana San Donato dall’altro, vivono quaranta persone, per la metà bambini, invisibili alla città. È la comunità rom che abita nel campo di via Impastato, un campo nato nel 2000, 5 mila metri quadrati di superficie, composto da qualche decina di abitazioni mobili, prefabbricati non ancorati a terra, facilmente rimovibili, due stanze da letto, cucina a vista, balconcino, circa 45 metri quadrati ciascuna. I fondatori sono gli anziani genitori di Giorgio Bezzecchi, fondatore a sua volta dell’Opera nomadi, che nel campo è riuscito ad aprire il “Museo del Viaggio” dedicato a Fabrizio de André. Un museo che non si fila nessuno, se non qualche sparuto studente universitario che deve farci una tesi di laurea, e che oggi, anche se fu pensato per essere un’occasione per far entrare i milanesi a contatto con la cultura rom, assomiglia più a una casupola trascurata che ad un luogo di interesse pubblico.

«Il disinteresse delle istituzioni si allarga a tutto il campo – spiega Bezzecchi – da tempo nessuno fa manutenzione, non si fanno derattizzazioni o disinfestazioni. Pensano a tutto i residenti del campo». Molti di loro vorrebbero una casa come si deve ma non avrebbero abbastanza soldi per mantenere un affitto. La maggior parte delle ragazze lavora come commessa in negozi di abbigliamento, senza però dire di essere rom né di abitare in un campo. Le donne lavorano nelle ditte di pulizie, gli uomini fanno lavoretti di edilizia, tutti i bambini vanno a scuola e i ragazzini sognano di fare i cuochi o gli operatori televisivi. «Non abbiamo paura di quelli che dicono che ci vogliono le ruspe – continua Bezzecchi – ma delle equazioni che fanno troppe persone: quando uno ruba ed è rom, allora tutti i rom sono ladri. Quando uno investe una donna e la ammazza, ed è rom, allora tutti i rom investono le persone. Va perseguito chi commette il reato».

Stefania Culurgioni

Lo scorso maggio i partecipanti del progetto See Light si sono incontrati a Madrid con i partner spagnoli (nella foto) che operano nel favorire percorsi di integrazione dei gitani.

Sono molti i dati che li accomunano agli altri rom d’Europa: l’età media più bassa dovuta da un lato all’alto tasso di natalità e dall’altro lato alla speranza di vita minore di circa dieci anni rispetto alla popolazione maggioritaria; la presenza di malattie croniche, un uso improprio dei medicinali e l’utilizzo di servizi sanitari di emergenza a scapito di un monitoraggio costante della salute; un tasso di abbandono scolastico più alto della media e una percentuale di diplomati di circa il 10%, contro il 45% del resto della popolazione.

Dal punto di vista dell’alloggio, solo il 5% dei gitani vive in condizione di estrema precarietà, e ben il 50% abita in una casa di proprietà, a testimonianza degli sforzi perché l’integrazione si basi su elementi concreti.

Il confronto con gli operatori ha fatto emergere molte analogie con i progetti realizzati dalla Caritas Ambrosiana che hanno come beneficiari i gruppi rom. L’attenzione comune ai quattro ambiti definiti come fondamentali anche dalla Strategie Europea per l’integrazione dei rom, che sono educazione, lavoro, salute, abitare; in secondo luogo alle donne viene riconosciuto il ruolo di volano per il cambiamento.

agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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DOSSIER

Il lungo tunnel dei sogni della fondazione.

A destra in alto la sede di Milano all’ex manifattura tabacchi di viale Fulvio Testi.

A fianco, Matteo Pavesi, il direttore del Mic.

Cineteca di Milano Alla ricerca del film perduto di Daniela Palumbo

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SCHEDA

Una fondazione che valorizza il patrimonio cinematografico Luigi Comencini e Alberto Lattuada hanno fondato nel 1947 la Cineteca Italiana — diventata fondazione dal 1996 — che svolge un’ininterrotta attività di conservazione e valorizzazione del patrimonio filmico e di diffusione della cultura cinematografica sia in Italia che all’estero.

La memoria cinematografica del nostro Paese è a Milano.

Se tra vent’anni riusciremo a vedere un film di Tarantino dovremo ringraziare il lavoro della Fondazione Cineteca Riusciremo fra 15 anni a vedere i film di Tarantino al cinema? Matteo Pavesi, direttore da vent’anni della Fondazione Cineteca di Milano, presidio regionale delle immagini in pellicola, ha qualche dubbio. Pavesi, esperto e appassionato di cinema e del dietro le quinte di questa meravigliosa settima arte, ci racconta la “sua” cineteca, con i tanti restauri passati e futuri, con il museo interattivo e divertente, con l’archivio, eccellenza nazionale, insomma, con la memoria cinematografica del nostro Paese, incisa su pellicola. Le pellicole di una volta erano di nitrato, materiale molto infiammabile. Quelle di ultima generazione sono in poliestere, come le bottiglie di plastica. Praticamente indistruttibili. Ma le immagini impresse sulla pellicola non sono eterne. La vita media della pellicola è come quella di un essere umano.

Circa 80 anni. Poi le immagini iniziano a dissolversi. Per questo hanno bisogno di cura e, prima o dopo, vanno restaurate. Con la pellicola almeno si conosceva il tempo di vita di ogni film. E invece adesso con il digitale, le cose cambiano.

«Oggi si sta verificando un passaggio epocale. Della stessa portata di quello che avvenne negli anni Venti, con il passaggio dal muto al sonoro nel cinema – racconta il direttore del Mic –. In quel passaggio noi abbiamo conservato solo il 9%

Paderno Dugnano, il Metropolis. E pochissimi altri.

Cosa cambia nella visione di un film con la tecnologia digitale?

La qualità della visione non è uguale a quella della pellicola, ci sono molti problemi. Un film digitale quando si ferma non si sa che fare; con la pellicola si ricuciva, si giuntava, si trovava un modo per far andare avanti la visione del film. del cinema muto, il resto è andato perso. Oggi non abbiamo sufficiente esperienza del digitale nel cinema. Sì, stiamo lavorando molte cose al digitale da una quindicina di anni, ma solo dal 2014 è diventata, di fatto, l’unica tecnologia usata per distribuire i film al cinema. Ma, che vita avranno? Nessuno sa rispondere con certezza neppure sulla vita delle macchine che oggi sono in grado di leggere quei file».

Troppa fretta nel passaggio dalla pellicola al digitale. Perché?

Perché l’industria cinematografica mondiale ha deciso di trovare uno standard diverso: con contenuti diversi e costi assai differenti. Con il digitale un film lo si può fare con costi inferiori e in tempi minori.

Siamo arrivati di colpo a oggi che le sale cinematografiche non hanno più le macchine per leggere i film in pellicola, siamo rimasti noi della Cineteca, con lo Spazio Oberdan, la sala di via Tabacchi e il cinema di

Come Fondazione Cineteca di Milano, restaurate molte pellicole. Anche voi fate il restauro in digitale.

I costi sono indubbiamente minori.

Basti pensare che l’ultimo grande film che abbiamo restaurato come Cineteca di Milano, Anni Difficili di Luigi Zampa, del dopoguerra, è costato circa 60 mila euro. Oggi in digitale ne costerebbero 25 mila. Il risparmio è notevole. Però è indubbiamente diverso. La stampa fotochimica non solo prevede una professionalità, ma macchine e dei laboratori specializzati, grandi competenze nel settore, mentre il digitale è una tecnologia molto più semplice in cui bisogna avere una grande conoscenza dei software e basta. Altro vantaggio del restauro in digitale sono i tempi che si accorciano molto con il digitale, anche se restano comunque non brevi. Il digitale, poi, permette interventi che, con il restauro fotochimico, non si potevano non solo fare ma neppure

La Cineteca proietta più di 400 film all’anno, organizza eventi, incontri, spettacoli e manifestazioni tra cui il festival “Il cinema italiano visto da Milano”, alla sua quinta edizione.

Le attività del Museo Interattivo del Cinema (Mic), e quelle di archivio e restauro di pellicola fanno parte del Dna della Fondazione. Inoltre, la Cineteca conserva un vasto archivio fotografico di oltre 100 mila immagini della storia del cinema italiano e mondiale.

Ingente è la raccolta di sceneggiature originali della storia del cinema, di libri e riviste. Si tratta di un prezioso patrimonio in costante crescita a cui appartiene anche una ricca sezione dedicata alla pubblicità del cinema costituita da circa 15 mila manifesti del cinema muto e sonoro e da migliaia di brouchure. L’attività didattica si svolge presso il Museo Interattivo del Cinema e presso l’Area Metropolis di Paderno Dugnano. www.cinetecamilano.it

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DOSSIER immaginare. Se c’erano dei tagli o delle immagini compromesse, erano perse. Adesso con la tecnologia si lavora con più facilità perché si possono duplicare le immagini, si può lavorare con photoshop e ricreare un fotogramma compromesso. Anche la qualità dell’immagine non è più la stessa.

Mic, identità territoriale In Italia esistono poche cineteche con archivio e restauro: ci sono a Bologna, Rimini, Gemona del Friuli, Torino, Cagliari, Milano e Roma. La cineteca di archivio e restauro dei film di Milano ha un deposito di circa 25 mila titoli della cinematografia mondiale, dalle origini fino ai giorni nostri, esteso per oltre 3 mila mq sotterranei. Una parte cospicua è costituita da film in nitrato (infiammabili) e la sua rilevanza storica è tale che gli esperti della Fiaf (Federazione internazionale archivi film, di cui la Cineteca è membro effettivo dal 1948) lo ha definito uno dei più importanti archivi di film muti d’Europa.

«Siamo secondi solo a Roma – spiega Pavesi – per la quantità di pellicola, e quindi per numero di film, che conserviamo nei nostri archivi. E bisogna considerare che Roma funge da deposito legale, ovvero per legge tutto il cinema che viene prodotto in Italia deve essere depositato negli archivi del cinema di Roma.

Abbiamo anche ottimi contatti con l’estero, adesso per esempio stiamo restaurando dei film del cinema muto per la casa di produzione americana Warner Bros. La Warner, infatti, stava disperatamente cercando questi film in tutti gli archivi del mondo dopo aver perso le pellicole originali a causa di un grosso incendio. Stiamo parlando di trenta copie di cui avevano conservato solo i dischi che sonorizzavano i film. Fra le trenta copie ricercate dalla Warner Bros, noi ne abbiamo in archivio ben 12. Abbiamo cominciato a restaurarne quattro. Esiste anche un accordo economico fra noi e la Warner che prevede poi la diffu40 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

Una scena de I promessi Sposi di Mario Bonnard, film muto del 1922 appena restaurato dagli operatori della Fondazione cineteca di Milano. Sotto, due tecnici al lavoro.

sione da parte della Cineteca di Milano, dei film una volta restaurati. Il primo L’immagine Ritrovatasarà presentato al Festival di Bologna.

Una politica di conservazione e restauro mirata quella della Cineteca...

La nostra scelta innanzitutto è quella di restaurare i film che abbiamo come patrimonio della casa. Si tratta di una scelta difficile perché non possiamo contare su film particolarmente noti al pubblico anche se sono importanti sotto l’aspetto della cultura cinematografica. Stiamo parlando dei film muti e dei primi sonori. Di tutti i film che restauriamo abbiamo una copia in originale.

Il nostro è un lavoro estremamente difficile perché, naturalmente, diventa poi più complicato metterli in circolazione.

Altre cineteche hanno fatto scelte diverse...

Certamente. Altri hanno fatto la scelta di restaurare film famosi e di offrire un servizio di restauro ma, poi, non hanno gli originali conservati. Quello che facciamo noi è di puntare sulla conservazione e la memoria. Non ci interessa avere Juras-

Quello che facciamo noi è puntare sulla conservazione e la memoria.

Molto del nostro patrimonio cinematografico è materiale inerente la pubblicità perchè tutti i Caroselli sono nati a Milano.

Un lavoro difficile e complicato da far girare

sic Park perché non è nella nostra storia. Inoltre la nostra scelta ha a che fare con l’identità del territorio.

Molto del nostro patrimonio cinematografico è materiale inerente la pubblicità perchè tutti i Caroselli sono nati a Milano. Abbiamo appena finito di restaurare i film di animazione di Bruno Bozzetto, milanese doc, da West and Soda a Mio fratello superuomo e Allegro ma non troppo.

L’ultimo lavoro che abbiamo restaurato è I Promessi Sposi di Mario Bonnard un film del 1922. Bellissimo. È nel nostro dna, a Milano c’è la casa di Manzoni, ed è interessante come viene raccontato in un film muto un romanzo di 600 pagine che è un classico della nostra memoria letteraria.

Quest’anno si festeggiano 120 anni del cinema. Ma le sale sono spesso deserte. E i giovani latitano. La settima arte è diventato un paese per vecchi?

Il cinema non è più la forma di comunicazione principale; la rete ha ribaltato le gerarchie della comunicazione. Oggi stiamo però rilevando una domanda di formazione attraverso le immagini, che arriva dalla scuola ma anche dalle persone. Di

SCHEDA

Tanti eventi tra paura, cibo e attività per i ragazzi

fronte a un’offerta illimitata di immagini non si possiede la bussola per capire cosa vedere. La cineteca torna a fare il mestiere di 50 anni fa, torna a fare educazione allo sguardo. Con la differenza che oggi c’è una domanda che proviene da pubblici più specifici, di nicchia. I bambini ad esempio: film dedicati alle famiglie e un festival dedicato in novembre, lì ci sono prodotti cinematografici fra i più belli. Gli anziani sono un altro segmento importante. Attorno al film si fanno delle attività – perché il cinema mobilita

una serie di ricordi – con funzione anche terapeutica. Sulla memoria: quest’anno abbiamo realizzato Le Gallerie d’Italia, una manifestazione di cinema legato alla prima guerra mondiale. Il nostro lavoro è proprio quello di intercettare la domanda del pubblico e se contiamo che abbiamo una mailing list di 25 mila iscritti, direi che ci stiamo riuscendo.

La Fondazione Cineteca Italiana conserva una pagina fra le più importanti del nostro

Paese. Quanta memoria c’è nei vostri archivi cinematografici?

Produciamo ancora moltissimo cinema, ce l’abbiamo nel dna. In questo momento storico direi che il nostro cinema è di ottimo livello. Certo, il momento migliore va ricercato nel tempo, agli anni della Liberazione. Noi siamo certamente il Paese che ha dato moltissimo al cinema.

Pochissime cinematografie possono vantare i lavori di Rossellini, De Sica, Fellini. Il mercato oggi si è molto ridotto e anche l’immaginario si è ridimensionato. Ma è questione di cicli. Ci sono molte fasi nella storia del cinema. Oggi siamo in una fase di ripresa della produzione cinematografica davvero di ottimo livello.

Una nota positiva sul digitale e il cinema di oggi?

Ha abbassato notevolmente i costi e i giovani possono cimentarsi con il docufilm, un genere molto interessante ma che non aveva mercato perché era poco visto in Italia e aveva costi troppo alti. Dal Sacro Gra, che ha vinto Venezia due anni fa ed è costato pochissimo, le produzioni interessanti non si fermano più e l’attenzione del mercato è sempre maggiore.

È appena partito Un archivio da paura, esperienza di realtà aumentata con gli occhiali Epson nell’Archivio Film del Mic, alla ex Manifattura Tabacchi, in viale Fulvio Testi 121. Si entra per una caccia al tesoro a gruppi di 15 nelle stanze-archivio (dove ci sono 12 gradi, la temperatura giusta per la conservazione delle pellicole) con gli occhiali di realtà aumentata. Ma prima ci sono 54 metri di Tunnel dei sogni dove viene raccontata la storia della pellicola e l’arrivo dei pixel digitali. Poi si accede all’Archivio vero e proprio.

Fino al 31 ottobre, per i 120 anni dalla nascita del cinema, la manifestazione CineMenù: una mostra interattiva su cibo e cinema dedicata a Expo, al Museo Interattivo del cinema, e una mostra fotografica che espone le più curiose immagini girate a tavola, nei film.

Dal 17 al 30 novembre il Festival Piccolo Grande Cinema: appuntamenti per famiglie, ragazzi e appassionati di cinema.

In programma: una Notte al Mic, due week-end di grandi anteprime.

Per le scuole, laboratori di Booktrailer e concorso di film inediti.

Dal giugno 2016 un format in cui una ventina di ragazzi vivranno da soli per due settimane in una location fuori Milano e dovranno realizzare lavori cinematografici a tema.

I migliori saranno premiati.

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Esterno notte C’è il cinema al Giambellino di Alberto Rizzardi

Alla scoperta del bellissimo progetto promosso dal laboratorio di quartiere Giambellino-Lorenteggio e dal Consiglio di Zona 6, che ha trasformato i cortili dei caseggiati popolari della zona in arene all’aperto 42 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

Milano, zona Lorenteggio, esterno notte: in un caldo sabato sera d’inizio estate una cinquantina di persone tra bambini, adolescenti, famiglie e anziani si radunano nell’immediato dopocena in via Val Bavona, nel cortile di un enorme caseggiato popolare, per gustare assieme una fetta d’anguria e guardare un film, sgranocchiando popcorn. No, non è la sceneggiatura di un film neorealista, ma la cronaca di una normale serata in uno dei quartieri storici e più popolosi di Milano: un quadrilatero di caseggiati popolari delimitato da via Lorenteggio, via Giambellino, via Odazio e via Inganni.

Zona che molti milanesi, a volte, neanche conoscono: per molti Lorenteggio è soltanto un’indicazione sulla tangenziale Ovest. Così come l’universo Giambellino, per i più, è

MILANO

Due momenti di una proiezione organizzata nell’ambito di “Scendi, c’è il cinema” nei cortili della case popolari di Lorenteggio e Giambellino

Lo scorso 27 giugno, al 179 di via Lorenteggio, in uno dei caseggiati Aler più ammalorati della città, dove crolli, occupazioni (aspetto che tocca l’80% degli appartamenti) e sgomberi sono la quotidianità, erano in 150 a guardare “Due giorni, una notte”

racchiuso solo in quel bar, peraltro oggi a guida cinese, cantato da Gaber nella ballata del Cerutti. In realtà, Lorenteggio e Giambellino sono qualcosa di più: un brulicante tessuto sociale fatto di tante anime, culture e storie diverse, che non si vuole arrendere a una progressiva ghettizzazione, ma vuole lottare per il proprio futuro e per quello dei propri figli. Partendo dal basso.

Insieme si può Ma non solo: al centro c’è anche la volontà di combattere la frammentazione sociale, avvicinando le persone: «Si parla sempre di queste zone come di luoghi in cui dominano paura, criminalità e degrado – racconta Rosalba Rombolà, una degli organizzatori dell’evento –. Le difficoltà ci sono, ma c’è anche dell’altro. Invitare le persone a spostarsi da un cortile all’altro è un modo per conoscersi. L’iniziativa è, però, aperta a tutti ed è bellissimo vedere nei cortili di Lorenteggio gente che arriva da tutta Milano. C’è stata in più occasioni anche una miscela di ceti sociali, con persone che mai avrebbero messo piede in un caseggiato popolare. A fine serata tutti ci ringraziano. E questi grazie fanno tanto bene a Lorenteggio e Giambellino, perché il degrado non toglie la voglia degli abitanti di costruire reti di collaborazione e condivisione, continuando a far vivere quella che fu la grande risorsa delle periferie milanesi negli anni dell’immigrazione dal Sud: la solidarietà».

Insomma, un progetto che funziona. Un esempio? Lo scorso 27 giugno, al civico 179 di via Lorenteggio, in uno dei caseggiati Aler più ammalorati della città, dove crolli, occupazioni (aspetto che tocca l’80% degli appartamenti) e sgomberi sono da tempo la quotidianità,

erano in 150 a guardare il delizioso “Due giorni, una notte”.

Alle spalle giornate di intenso lavoro per rendere dignitosa l’area che avrebbe dovuto ospitare il cinema all’aperto: «È uno dei caseggiati più difficili di questa zona – racconta la signora Aulla, residente da anni nello stabile – e io non ci speravo; invece, è uscito qualcosa di incredibile che mi commuove ancora adesso. C’è stato un lavoro grandissimo alle spalle: sei ore solo per spostare la spazzatura e per pulire il cortile. Ma di sera sembrava un’altra casa, con gente arrivata da tutta la città».

Ecco, lavoro e dedizione le parole chiave perché un’iniziativa del genere possa passare da idea virtuosa ad azione concreta: «Alle spalle della rassegna – spiega Rosalba – c’è un lavoro di mesi, in alcuni casi anche di anni, perché in un cortile non

si entra così, all’improvviso; bisogna conoscersi, piacersi, stabilire un rapporto di fiducia. Quando questo avviene, nascono, però, cose inimmaginabili. Il livello generale qui, non ci nascondiamo, è decadente, ma vogliamo creare qualcosa con un livello culturale alto per dimostrare che anche Giambellino e Lorenteggio sanno esprimersi al meglio, quando vogliono».

Tutto questo è “Scendi, c’è il cinema”, un progetto che funziona e piace: «Un’iniziativa fantastica – dice Tatiana, residente in via Val Bavona – perché è una grande opportunità per conoscersi, integrarsi e fare amicizia. La speranza è che in futuro anche i cortili che ad oggi non hanno aderito possano aggiungersi in modo da creare una zona sempre più unita dove crescere tutti insieme, soprattutto i bambini che rappresentano il nostro futuro».

IL PROGETTO

Il cinema arriva a casa delle persone: «L’idea è di regalare svago e cultura» Si tratta, sicuramente, dsi una delle più belle iniziative che animano l’estate milanese, lontana dalle luci di Expo: “Scendi, c’è il cinema”, progetto di cinema condiviso, gratuito e autogestito, promosso dal laboratorio di quartiere Giambellino Lorenteggio e dal Consiglio di Zona 6, che ha trasformato tra giugno e luglio i cortili dei caseggiati popolari e alcuni spazi pubblici della zona in vere e proprie arene all’aperto.

«Siamo partiti in sordina quattro anni fa – spiega una degli organizzatori, Rosalba Rombolà – con l’idea di portare la cultura dove non esiste: qui mancano luoghi di cultura e la cultura è spesso inaccessibile a chi abita in queste zone, visto che molti sono analfabeti e quasi tutti faticano ad arrivare a fine mese. Volevamo e vogliamo regalare a queste persone momenti di svago e felicità per farle tornare bambini. E il cinema, in questo, è perfetto». agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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INTERVISTA

quello che basta ed evitare gli avanzi è la sfida quotidiana di ogni ristoratore. Ma qui assume un significato ulteriore, naturalmente.

Lo chef Alain Ducasse insieme a un educatore del Refettorio Ambrosiano

Alain Ducasse «Il cibo è buono quando è equo» di Francesco Chiavarini

info

Lo scorso 14 luglio a raccogliere il guanto di sfida lanciato dallo chef Massimo Bottura è stato il suo maestro, Alain Ducasse, punto di riferimento internazionale della cucina stellata, imprenditore a capo di un gruppo che controlla 20 ristoranti in vari paesi, autore di libri, e “scienziato dal cibo”, tanto da essere chiamato a collaborare con l’Agenzia spaziale Europea per realizzare il menu degli astronauti.

Al Refettorio Ambrosiano, con il suo staff, ha preparato la cena per Il principe dei cuochi gli ospiti della mensa, con quello Alain Ducasse, classe 1956, nel 1990, si aggiudicava col Louis XV che il giorno dopo sarebbe stato buttato via, provando personaldi Montecarlo le sue prime tre stelle Michelin – oggi ne collemente i piatti che sarebbe stati ziona nove: tre per tre ristoranti messi in tavola: una zuppa di farro tra Londra, Parigi e Monaco. Con con foglie di riso, polpette di carne 30 locali nel mondo e un gruppo con melanzane grigliate condite di circa 1.400 dipendenti sparsi con yogurt e una salsa di soia; una tra sale e fornelli, Ducasse torta di mele e pere fatta con il pane è riuscito a conciliare l'anima grattugiato al posto della farina e creativa dello chef con quella una brunoise di frutta. di uomo d'affari. www.alain-ducasse.com

Ducasse, perché proprio il 14 luglio, giorno in cui la Francia 44 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

celebra l’anniversario della presa della Bastiglia, per venire al Refettorio?

In realtà è stata un’idea di Massimo: guardando la programmazione anche degli altri chef è saltata fuori questa data. Senza dubbio è un’occasione molto significativa. Poi sa… io ero libero quel giorno e ho detto: perché no? Et voilà. Eccomi qui al Refettorio Ambrosiano. È stata una sfida per lei cucinare con il cibo destinato ad essere buttato?

Non sprecare è quello che facciamo ogni giorno al ristorante. Cucinare

Quale è secondo lei il senso di questo esperimento che state facendo con il Refettorio Ambrosiano?

Il Refettorio Ambrosiano mette al centro il fattore umano. Questo è il suo tratto distintivo che può fare davvero la differenza. Se impariamo a rispettare le persone, impareremo a rispettare anche il cibo, chi lo produce, chi lo prepara, chi lo consuma e dunque produrremmo meno sprechi. Se le persone si rispettassero di più tra loro, ci penserebbero due volte prima di buttare via il cibo.

Nell’enciclica “Laudato si’” il Papa dice che dietro i problemi dell’ambiente c’è una visione distorta dell’uomo. Non mi pare che lei stia dicendo qualcosa di molto diverso…

Nel mondo globalizzato abbiamo smarrito la ragione per la quale si produce. La globalizzazione ha disconnesso la produzione alimentare dal mondo reale. Per questo abbiamo società che soffrono di super consumo e altre, dall’altra parte del mondo, in cui non si consuma perché non c’è cibo a sufficienza per tutti. Un miliardo soffre di sovraalimentazione, mentre un altro miliardo di sotto-alimentazione. Dobbiamo prender coscienza di questo squilibrio, cambiare i nostri comportamenti quotidiani e forse un po’ alla volta le cose cambieranno.

Questo è anche il tema al centro dell’Esposizione universale che si sta svolgendo a Milano. Pensa che Expo stia dando un reale contributo a questo cambiamento di mentalità?

Ho letto che il mio amico Carlo Petrini di Slow Food è molto critico.

Io penso che sia ancora presto per valutarlo. Lo potremo dire sono quando l’esposizione sarà finita e potremo vedere quello che avrà effettivamente lasciato.

aforismi

POESIE

di Emanuele Merafina

Gioventù bruciata I giovani corrono su strade in discesa e in salita si ritrovano già vecchi La violenza Si accomodi pure la violenza, per la strada ci sono i lavori in corso

Ricordo dei miei Cara mamma, anch’io sono fatta di cenere in un mare d’infinito e quando sarà scaduto il mio tempo verrò lassù nella tua casa e nuoteremo insieme verso il punto più celeste, dove il papà ci aspetta remando verso la pace eterna..

Silvia Giavarotti

Tracce indelebili Vago nel parco, libero lo sguardo e il pensiero corre verso un prato di malva.

Piccole mani tenere, impazienti, intente a farne incetta.

Un berrettino rosso la visiera al contrario sui riccioli sudati.

Figlio, non più bambino, hai seminato impronte sopra l’anima.

Tracce indelebili d’Amore sopravviviamo al tempo e alla sorte, alla precarietà dell’essere, all’eterna alternanza di gesti e sentimenti.

Carne sei della mia stessa e del mio sangue e come tale resterai per sempre nel profondo di me.…

Aida Odoardi

Fondi tondi occhi Ti vengo a cercare negli attimi di silenzi, là dove brilla nel campo una rosa e nel tepore di una notte di stelle ascolto le note di una dolcissima e malinconica nenia.

Nel cortile risuonano le voci della mia infanzia, danzano le ore nei meandri dei ricordi.

La mia anima, svegliandosi, si sta aprendo all’amore, verso l’infinito.

Gaetano “Toni” Grieco

Dentro di me Ho nascosto la mia vita, in una botola di legno. Ma è stata aperta.

Così l’ho nascosta in una botola di ferro, con punte spinate.

Ma ugualmente, è stata aperta.

Poi l’ho nascosta in un pozzo, ma è stata tirata su, con dell’acqua.

Così ho pensato di nasconderla nel tuo cuore, pensavo fosse un posto sicuro.

Ma tu l’hai gettata in un fiume che porta al mare, e il mare l’ha portata a riva.

Così, decisi di prenderla e dirle: poiché non c’è un posto sicuro tanto vale che soffri dentro me.

Fabio Schioppa

Sensazioni A volte sono un’onda che tranquilla si fa cullare dal mare leggermente increspato.

A volte sono un’onda, fragile, sbattuta tra gli sconnessi scogli.

A volte sono un’onda che si fa trascinare dal forte vento che mi rende spumeggiante.

A volte sono un’onda incontrollabile che sparisce per poi ricomparire, tra le acque maestose dell’oceano e spero anche di essere un’onda, quando Dio vorrà, catapultata verso il mare infinito ed eterno del cielo..

Mirella

L’idea di un giovane volontario della Ronda della carità di Milano: una App contro lo spreco alimentare agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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GENOVA

Nelle foto due momenti delle attività estive organizzate nel centro storico di Genova da La Staffetta

Centro estivo presidio contro il degrado di Mirco Mazzoli

scheda La Staffetta vico delle Marinelle 6 R, traversa di Via Prè – Genova É un centro Educativo di Aggregazione Giovanile per bambini e preadolescenti.

La Staffetta svolge attività pomeridiana per tutti i bambini in età da scuola materna e scuola elementare.

L'offerta educativa prevede: laboratori di manualità ed espressività, attività sportive, percorsi di scoperta della città, gite, giochi, sostegno scolastico, momenti di incontro con le famiglie, centro estivo. facebook La Staffetta telefono 349.7368049 mail associazione.staffetta@gmail.com www.fondazioneauxilium.it

C’è gente che non può permettersi di andare in ferie, che non può scappare dalla città e portare altrove la famiglia, alla ricerca di riposo e aria fresca. Questa gente abita, per esempio, in via Prè, nel centro storico di Genova, enclave straniera dalla socialità fragile, intreccio complesso di emarginazione e solidarietà.

Qui opera da decenni anche La Staffetta, tecnicamente un “centro di aggregazione giovanile”, che tutto l’anno accoglie e promuove i bambini e i ragazzi del comprensorio di Pré e d’estate offre loro il classico centro estivo che però alla fine è molto di più.

Uno spazio multietnico «È uno spazio sano e positivo – dice Claudio Pesci, che lo coordina – in un territorio degradato in cui d’estate aumentano i fattori di rischio».

Banalmente, con la chiusura delle scuole, c’è più tempo di stare in strada e la strada qui non è una buona compagna. Sono una trentina i bambini che frequentano il centro estivo:

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italiani ma anche e soprattutto africani, asiatici, mediorientali: «È la nostra prima particolarità – racconta Claudio –. Portiamo avanti un lavoro educativo in una realtà fortemente multiculturale. E la seconda è il contesto: siamo nel cuore della città ma incontriamo tutti i giorni la periferia».

Perché la popolazione è un concentrato di nazionalità rimaste ai margini dell’integrazione: genitori fragili, esposti più che altrove allo spaccio, alle dipendenze, ad una certa dose di violenza.

Siamo in quella direttrice dei vicoli (via Prè, via del Campo, vico Untoria) che, per quanto Genova abbia ripreso decoro e bellezza negli ulti-

mi 20 anni, mantiene i segni della sofferenza sociale e oggi, al posto delle famiglie italiane dedite alla piccola e grande criminalità che qui abitavano negli anni ‘70 e ’80, vi trova casa l’immigrazione che sopravvive di espedienti o cade nell’illegalità.

Angolo di umanità Eppure questo è un angolo di città dove, oggi come allora, l’umanità sarà pure dolente ma è sempre, e forse anche più, degna del suo nome.

Gente che soffre un po’ di più ma, proprio per questo, spesso si dimostra più sensibile. Questa è terra di parrocchie, di gruppi di volontariato, di enti di solidarietà, di comitati di cittadini più attivi che negli altri quartieri e che si assumono il peso di una coscienza critica; di reti sociali gettate più volte, senza stancarsi di sostenere e limitare il danno; di decine di progetti di prevenzione ai quali collaborano pubblica amministrazione e privato sociale.

E così, pur in mezzo ad una quotidianità più difficile e meno tutelata, i bambini e i ragazzi trovano appigli semplici come una gita, una visita all’Acquario, una partita a calcetto stretta tra quattro case, ma indispensabili per crescere come tutti gli altri.

«Normalmente – ricorda Claudio – le famiglie contribuiscono a sostenere i costi dei centri estivi: nel nostro caso non è possibile perché molte delle nostre famiglie riescono a malapena a sostenere una essenziale economia domestica. Per offrire gratuitamente il campo estivo abbiamo quindi ridotto da cinque a tre giorni la settimana le sue attività.

Certo questa riduzione lascia aperti altri problemi: La Staffetta, insieme alle altre realtà sociali ed ecclesiali della zona, è un presidio all’interno di questa comunità e nei due giorni in cui non ci siamo, si allenta la presa, aumenta lo spaccio e i bambini passano il loro tempo a poca distanza da questo traffico. Dovrebbero essere destinate più risorse a questo territorio se vogliamo lavorare per trasformarlo in una comunità».

LA STORIA

Giovanni e Nalindra insieme a due collaboratori davanti al carrello nei pressi della stazione di Romolo, a Milano

Integrazione sociale e riscatto. I panini di Giovanni e Nalindra di Antonio Vanzillotta

Giovanni Marelli, è stato un grande manager di enoteche, bar alla moda, creò anche una champagnerie. Nei suoi locali milanesi, negli anni ’80 passarono da Frank Sinatra alla Vanoni e tutta la nomenclatura socialista dell’epoca.

A metà anni ’90 però va tutto a rotoli e la sua fama nella Milano da bere viene oscurata da buie vicissitudini ed esce di scena. Non si perderà mai

info il panino della pace Per assaggiare il panino della pace ci si può recare alla fermata della metrò Romolo dalle 11,30 alle 15,30 dal lunedì al venerdì. Mentre nei fine settimana gira per la città. facebook Giovanni Marelli telefono 380.1357558 mail marelli.giovanni@tiscali.it

d’animo. Anche in prigione riesce ad esprimere se stesso: si appassiona alla poesia e alla pittura, partecipa a mostre e vince premi. Pubblica anche un libro di poesie (trovabile su Amazon) e durante la chiaccherata ne recita alcune.

Street food di qualità Giovanni oggi è un uomo libero, in affidamento sul territorio ha conosciuto un ottimo pasticcere dello Sri Lanka, Nalindra Delkandure, e insieme hanno creato la N&G catering servizi. Lo incontriamo in zona Romolo all’inaugurazione di questa attività, un vero e proprio carretto

da street food. All’inaugurazione del carretto, elegante e discreto, sono presenti amici e molte persone che lui saluta calorosamente e che lo hanno aiutato a “rimettersi in pista” come dice lui… Perché nonostante l’età, la velocità e il centro della scena restano ancora il suo punto forte e, nonostante un passato intricato, affronta il presente con ottimismo. Ringrazia tutti quelli che gli hanno dato fiducia perché per questa nuova impresa, lui ha messo solo l’idea;

il capitale per avviare l’attività è frutto del contributo del Fondo Famiglia Lavoro della diocesi di Milano che aiuta famiglie e persone italiane e straniere che abitano sul territorio della diocesi ambrosiana, in difficoltà per mancanza o precarietà del lavoro a causa della crisi economica.

Gli hot dog che preparano sono di pollo. Solo pollo. Giovanni ha definito questo un “panino della pace” perché lo

possono mangiare tutti.

Inoltre usa prodotti di primissima qualità perché, ci tiene a sottolineare: «Anche se è solo un panino non va fatto con pane confezionato ma deve essere un signor panino».

Difatti il pane arriva da una delle più antiche panetterie di Milano. E gli addetti ai lavori tutti in divisa bianca e nera; colori neutri e foulard giallo, il colore dell’energia. Ma i dettagli non finiscono qui: la maionese arriva da Parigi, la senape da Digione e il ketchup dalla Germania. Anche il carretto ha le sue peculiarità: lo ha disegnato lui stesso e lo ha creato un falegname usando legno nautico e colori alimentari. Insomma un lavoro di coordinamento che, insieme a Giovanni e Nalindra, ha visto il grande impegno degli operatori di tre centri di ascolto Caritas e del Fondo Famiglia. Un progetto di riscatto e integrazione che ha dato buoni frutti.

La voglia di fare di più Giovanni e l’équipe dei ragazzi dello Sri Lanka organizzano anche catering: happy hour a base di grana, salame, prosecco e tartine varie. Ma anche tea time con dolci di pastafrolla e crema. Si occupano anche di feste di laurea e di compleanno, il tutto a domicilio, sempre con prodotti di primissima qualità. Giovanni dorme in un dormitorio ma con decoro e dignità dice: «Sono in mezzo a una strada e lavoro per strada». agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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TORINO

Il massacro di Srebrenica è una delle pagine più vergognose e tragiche della Ue. Nel riquadro sotto Luca Rastello

Addio a Luca, una vita d’inchiesta di Enrico Panero

Il 6 luglio scorso, alla vigilia del ventennale di una delle pagine più tragiche e vergognose della storia europea contemporanea, il genocidio di Srebrenica (Bosnia, luglio 1995), a Torino moriva un amico, Luca Rastello, che alle vicende legate alle guerre nell’ex Jugoslavia ha dedicato grande impegno personale, sia come operatore (col Bibliografia Comitato accoglienza profughi di To“La guerra in casa”, Einaudi, 1998 rino, che tra il 1992 e il 1996 ha por“Piove all'insù”, tato e ospitato in Piemonte quasi 500 Bollati Boringhieri, 2006 profughi e altrettanti ha sostenuto in “Io sono il mercato”, vario modo) sia come giornalista e Chiarelettere, 2009 scrittore (lavoro culminato nel libro “Undici buone ragioni La guerra in casa, Einaudi editore, per una pausa”, 1998). Con passione ed entusiasmo, Bollati Boringhieri, 2009 intelligenza e indipendenza, e soprat“La frontiera addosso”, tutto rare volontà e capacità di fare Laterza, 2010 “Dizionario per un lavoro inchiesta, Luca ha unito impegno soda matti”, ciale e professionale cercando sempre L'Ancora del Mediterraneo, 2010 di portare un contributo alla realtà “Democrazia. dei fatti: dalle drammatiche e torbide Cosa può fare uno scrittore?”, vicende jugoslave a quelle delle mafie Codice, 2011 e del narcotraffico, dalle tensioni degli “Binario morto”. anni Settanta italiani alle mistificaChiarelettere, 2013 zioni sulla Tav, dai drammi delle mi“I buoni”, grazioni fino alle contraddizioni del Chiarelettere, 2014 mondo della solidarietà…e molto altro. Luca resta con i suoi libri (che

scheda

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consigliamo di leggere), per questo lasciamo spazio alle sue parole pubblicando alcuni passaggi della “Premessa” de La guerra in casa. ***

A distanza di anni capita ancora che qualcuno ti chieda perché devi occuparti di questa gente e di quella guerra, e tu non sai trovare una risposta convincente: «Sono così vicini, sette o otto ore di viaggio da qui…».

L’interlocutore tace perplesso e speri – con molta voglia di scappare – che non tiri fuori la solita frase imbarazzante che suona sempre più o meno così: «Siete da ammirare». “Ammirare”, nel suo senso letterale, significa “guardare con meraviglia”. E la meraviglia è riservata a ciò che si allontana da quel che è familiare, quotidiano. Come mostro capace di suscitare meraviglia ti senti a disagio.

[…] Con il tempo tanti imparano a non raccontare nulla, a non comunicare i fatti, le impressioni, gli episodi.

[…] Queste pagine non intendono dare un’interpretazione complessiva della guerra jugoslava […]. Non si parla della guerra, ma di quella guerra e noi, dell’incontro, quasi sempre fallimentare, fra chi è coinvolto e chi osserva. […] Se una storia è raccontata, è quella della corruzione di uno sguardo, il mio, destinato a perdere gradualmente l’innocenza originaria, a mano a mano che progrediva la vicenda del coinvolgimento – casuale e involontario – nelle attività «umanitarie» in ex Jugoslavia. Corruzione salutare, se con la constatazione dei fallimenti, dei tracolli sentimentali e nervosi che l’azione solidale produce accanto ai suoi risultati positivi, va perduto un poco dell’atteggiamento didattico e coloniale che caratterizza tanta parte di quel continente sfuggente e ambiguo che si agita e si impegna sotto le bandiere della pace. Molto spesso lo slancio umanitario, svincolato dalla fatica dell’analisi politica e dal tarlo dell’autocritica, ha finito per tradursi in una vera e propria ideologia capace di offrire una visione degli eventi strutturata a priori, quasi sempre in circolo vizioso con l’idea corrente e volgare che questa guerra fosse un groviglio incomprensibile di violenze tribali, magari depositate ab aeterno nei cromosomi slavi. L’ideologia umanitaria ha fornito spesso un avallo alla confusione fra carnefici e vittime.

[…] L’azione umanitaria acquista, credo, tanto più valore quanto più si sgancia dall’ideologia umanitaria, da quell’immaginario nutrito di carità e supplenza che non riconosce la dignità e la responsabilità delle vittime.

A volte, uno sguardo innocente è disposto a qualche delitto per preservarsi.

VICENZA

Ottimi i risultati ottenuti dalla Caritas di Vicenza grazie all’aiuto sul fronte della riqualificazione professionale

“Ripartire” si può: sostegno a tirocini per chi è senza lavoro di Cristina Salviati

info Responsabilità sociale La Responsabilità sociale d’impresa (Rsi) è una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire le problematiche d’impatto sociale ed etico all’interno e nelle zone di attività. Il sostegno a iniziative sociali non è un costo ma un investimento per l’azienda e una straordinaria occasione di crescita, anche in tempi di crisi.

Info www.caritas.vicenza.it/percorsilavorativi mail responsabilita.sociale@caritas.vicenza.it

Con la crisi i progetti di inclusione sociale per le persone senza dimora faticano a trovare sbocchi concreti. Nel luglio del 2013 alla Caritas diocesana vicentina si è dato vita al progetto “Ripartire” proprio con l’obiettivo di reinserire quelle persone che, pur avendo raggiunto un buon livello di autonomia socio-lavorativa, non riescono a trovare impiego.

Il progetto consiste nell’inserire il candidato in tirocini aziendali di durata variabile (da uno a tre mesi) con compenso economico, pratiche e costi a carico di Caritas stessa.

Il tirocinio può essere rinnovato fino a tre volte, ma progressivamente all’azienda verrà chiesto di aumentare il proprio contributo economico. Al termine del tirocinio, se la soddisfazione sarà reciproca, Caritas metterà a disposizione un incentivo per l’assunzione. In ogni caso i candidati sono seguiti per tutta la durata del tirocinio.

«Ci incontriamo ogni 15 giorni – spiega il responsabile del progetto, Riccardo Maggiolo – per aggiornar-

ci sulla situazione e tenerci al corrente di eventuali sviluppi. E il mio diventa un ruolo di vero e proprio facilitatore del gruppo, sostenendo i più timidi e trattenendo i più esuberanti».

Professionista all’opera Maggiolo è un giovane giornalista professionista, e per la Franco Angeli editore ha scritto “Job search 2.0 - Come trovare lavoro in 7 mosse nell’era di facebook e twitter”.

Insieme allo psicologo Nicola Giaconi è ideatore del sito www.jobclub.it, un’idea per aiutare a costruirsi una professionalità e a trovare l’occupazione giusta. In questa proposta il web gioca un ruolo importantissimo. «Èuna grande risorsa ma occorre imparare a utilizzarlo per espandere le relazioni e non come vetrina – spiega ancora il giovane giornalista –. Il blog che ho creato consente di dar vita a gruppi di persone che si incontrano in rete una volta a settimana e si impegnano a seguire dei programmi proposti da psicologi del lavoro. Cercare lavoro è un lavoro, è uno slogan che utiliz-

zo per far capire che il sistema di annunci, agenzie e invio di curriculum a caso non funziona. E lavorando come consulente di Caritas vicentina ho toccato con mano che le aziende, soprattutto quelle piccole e medie del Veneto, cercano il personale attraverso la rete delle relazioni personali. Per l’imprenditore è importante potersi fidare. Ma non solo: una delle preoccupazioni maggiori del titolare di impresa riguarda la possibilità di perdere il personale qualificato che da anni lavora in azienda. I nuovi arrivati dovranno quindi non turbare il sistema preesistente».

Ottimi risultati Adattando questo tipo di percorso all’affiancamento in Caritas si è aggiunta anche una parte educativa.

La persona alla ricerca di occupazione dovrà imparare a conoscersi meglio e a capire bene quali sono le attività che potrà fare con soddisfazione propria e del datore di lavoro.

Grazie a questo sistema di intermediazione la Caritas diocesana vicentina, per il secondo anno di fila, si è aggiudicata la possibilità d’inserire una dozzina di persone, tra cui alcuni carcerati in percorso di fine pena, nella guardiania della Basilica Palladiana. Tutte le sere il monumento viene aperto al pubblico che può accedere alla terrazza per frequentare il bar e per assistere agli spettacoli in cartellone.

E in poco più di un anno sono stati attivati 24 tirocini di cui 10 rinnovati, 5 si sono conclusi con assunzione del candidato e 3 con il ricollocamento. agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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Meglio diplomati che non accompagnati di Stefania Marino

In termine tecnico si chiamano “minori stranieri non accompagnati”, in pratica si tratta di ragazzi tra i 15 e i 17 anni arrivati nel nostro Paese da soli.

Molti di loro, ospitati a Padula e seguiti da diverse associazioni, si sono diplomati da privatisti.

50 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

Hanno tra i 15 e i 17 anni, provengono dal Mali, dalla Nigeria, dal Senegal, dal Gambia e dal Bangladesh e a giugno scorso hanno conseguito la licenza media. Riprende da qui, da questa terra a sud di Salerno, la vita di quei ragazzi migranti che prima ancora di crescere si sono trovati catapultati in barconi stipati di gente in cerca di un altro luogo della terra dove poter vivere.

Lamin, Ebrahim, David, Ismaila, Lucky sono solo alcuni di quei piccoli uomini che la legge italiana definisce minori stranieri non accompagnati. Secondo un recente rapporto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, al 31 dicembre 2014 si registravano in Italia 10.536 minori stranieri non accompagnati a fronte dei 6.319 del 2013. Alcuni dei ragazzi che oggi vivono a Padula, nella cittadina dove sorge la Certosa di San Lorenzo, sono sbarcati a Salerno il 1 settembre dello scorso anno. Rossana, l’operatrice, ci dice che alcuni sono partiti dal loro Paese due anni fa, percorrendo una delle rotte dei migranti che dall’Africa subsaha-

SUD ITALIA giorni in cui emozionati hanno iniziato ad aspettare autonomamente il pullman di mattina per andare a scuola.

A sinistra uno sbarco a Salerno. Tra i migranti anche tanti minori non accompagnati.

Qui sopra uno dei ragazzi impegnato con i compiti

Lucky a Padula, ci mostra il suo quaderno, dove tra verbi e frasi, ha scritto anche una lettera ad un’amica immaginaria.

«L’Italia mi piace molto - ha scritto qui vado a scuola.

I miei compagni sono simpatici, i professori sono disponibili ad aiutarmi. Io voglio studiare molto e diventare un bravo professore»

riana va verso la Libia dove hanno cercato sopravvivenza. In balia di un Paese destabilizzato dove alcuni di loro lavoravano, alla giornata, per poi essere derubati, dove alcuni senza sapere neppure perché si sono ritrovati chiusi in cella, costretti a guardare in faccia la disperazione, l’umiliazione della propria intimità.

Laboratori per integrare «Non posso dimenticare» ci dice Adam volgendo gli occhi a terra. Lui in Libia c’è stato un anno e 6 mesi li ha trascorsi in carcere. I ragazzi oggi sorridono nelle loro magliette attillate. Sono di nazionalità diverse, di culture diverse, ma riescono a convivere tutti insieme nella stessa struttura gestita dall’associazioneIl Sentiero Onlus, dalla cooperativa L’Opera di un Altro e dalla Tertium Millennium.

Massimiliano è un altro operatore che ogni giorno utilizza la creatività come mezzo di comunicazione e di socializzazione. Ha creato un piccolo spazio-laboratorio dove con colla, chiodi e martello inventa oggetti e suppellettili, maschere di cartapesta, scaffali e sedie ricavati con le cassette della frutta.

«Abbiamo realizzato anche dei portafiori e verniciato delle macchine da caffè inutilizzate».

Estetica pura. Ma questo è anche il luogo dove si sprigionano i suoni con strumenti musicali ideati con scatole di polistirolo. È anche accaduto che si siano esibiti con i bonghi.

«Il fine ultimo – dice Massimiliano – non è l’esibizione. La musica crea sempre aggregazione. È quella

la cosa importante» A giugno, hanno partecipato ad un torneo di calcio con altre 24 squadre del posto arrivando fino ai quarti di finale. La partita più importante però l’hanno vinta a scuola varcando la soglia di un’aula, riuscendo a dialogare con i loro coetanei e con i docenti. Avendo avuto come tutti la cosa più preziosa: possibilità di credere, di sperare, di provarci e di farcela.

I minori stranieri, tutti affiancati nel loro percorso da un tutore, vengono iscritti all’Istituto omnicomprensivo di Montesano sulla Marcellana.

Antonella ci racconta i primi

La scuola deve accogliere «I nostri ragazzi –spiega la dirigente Antonietta Cantillo – sono entrati nelle nostre aule, semplicemente, senza lustrini e pagliette, senza open day, senza feste dell’accoglienza. Sono entrati in una giornata normale».

A giugno hanno sostenuto da privatisti l’esame per conseguire la licenza media. Hanno affrontato la prova scritta di italiano, di matematica, di lingua inglese e francese.

«Se si bussa alla porta di una scuola – ha detto la dirigente – chiunque bussa ha diritto ad essere accolto. La porta deve essere aperta». A settembre alcuni dei minori si iscriveranno all’Istituto tecnico per il turismo di Montesano Scalo. Lucky a Padula, ci mostra il suo quaderno, dove tra verbi e frasi, ha scritto anche una lettera ad un’amica immaginaria. «L’Italia mi piace molto ha scritto - qui vado a scuola. I miei compagni sono simpatici, i professori sono disponibili ad aiutarmi. Io voglio studiare molto e diventare un bravo professore».

LA SCHEDA

“Ed ecco una stella”, così nasce la fratellanza È stato grazie all’iniziativa “Ed ecco la stella” promossa a dicembre dalla Diocesi di Teggiano-Policastro che alcuni dei ragazzi minori stranieri non accompagnati ospitati nel Vallo di Diano, tra Padula e Montesano sulla Marcellana, hanno potuto instaurare dei rapporti di amicizia con ragazzi del territorio. L’idea, messa in pratica a Natale, è stata quella di chiedere alle famiglie di ospitare un migrante minore durante le feste. L’iniziativa ha funzionato così tanto che i rapporti stabiliti in qull’occasione si sono ampiamente consolidati e in più di un’occasione i ragazzi hanno avuto la possibilità di trascorrere delle domeniche insieme alle famiglie “adottive”. Un legame che ha consentito ai giovani ospiti di frequentare nuovi contesti sociali e allargare il ventaglio di conoscenze e amicizie. Un modo pratico per debellare pregiudizi e avvicinare sempre di più le comunità alla realtà dell’immigrazione, scostandola dallo schermo televisivo e rendendola reale attraverso la voce e lo sguardo di chi ha lasciato la sua terra in cerca di un’altra possibilità di vita. agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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RIMINI I miei genitori non l’hanno presa bene. Mia madre ha vissuto i primi tempi come un attacco diretto dell'assistenza sociale. Eppure, dopo pochi incontri, quando hanno capito che questo allontanamento era per il mio bene, sono stati collaborativi, e quando hanno visto i miglioramenti, anche loro sono migliorati.

Minori in comunità Che fatica ritrovarsi grandi di Angela De Rubeis

info Riminisocial Dare voce a chi vive in situazioni di emarginazione e di bisogno, mettendo sotto i riflettori le risposte e i valori del mondo dell’associazionismo, della cooperazione sociale e del terzo settore in generale. Non vuole essere un giornale (“forse ce ne sono già troppi” dicono), ma uno spazio per informare, condividere e fare rete, il nuovo portale Rimini Social 2.0, creato da alcune delle più rappresentative organizzazioni sociali riminesi, che dopo essersi interrogate su come fare comunicazione e informazione, hanno deciso di impegnarsi in prima persona. www.newsrimini.it/rimini-social facebook riminisocial

Ufficialmente sono chiamati “minori che vivono in un contesto eterofamiliare”, in realtà sono 3 mila e più i ragazzi (dati ufficiali non ne esistono) che hanno vissuto e continuano a vivere parte della loro infanzia e adolescenza in una casa famiglia oppure in affidamento in famiglia. Ragazzi che, al compimento dei diciotto anni, si ritrovano adulti e, per lo Stato italiano, diventano autonomi.

Di questo piccolo esercito smarrito, una piccola parte può contare su un prosieguo amministrativo. Ma sono solo eccezioni, la regola è ben altra cosa. A Rimini, da un paio d’anni una giovane redazione si prende cura del sito RiminiSocial. I ragazzi di cui vi raccontiamo le storie li abbiamo conosciuti grazie a loro che hanno pubblicato il dossier “Neomaggiorenni: l’esodo degli invisibili”.

Mary si è “autodenunciata” Mary (nome di fantasia), ha vissuto un pezzo della sua vita con dei genitori affetti da patologie psichiatriche. «Sono stata io a chiedere l’allontanamento, sono andata ai servi-

52 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

zi sociali e ho raccontato quello che capitava a casa mia».

Presumo che non sia stato facile...

Tu sei passata da una comunità per minorenni ad una protetta. Un esperimento di autonomia...

Sì, non ci sono educatori che ti dicono di fare i turni, la spesa devi gestirla da solo, devi avere un lavoro. Ti danno una mano ma un servizio ad hoc non c’era davvero.

Adesso?

Sto studiando Scienze della Formazione, voglio diventare educatrice.

Riesci a immaginare cosa sarebbe stata la tua vita se non avessi preso la decisione di chiamare i servizi sociali?

Io sono uscita da casa in profonda depressione, perché vivere in uno stato doloroso in continuazione non è facile. La mia vita è diversa, e sono contenta.

LA STORIA

Francesca, allontanata da casa a 8 anni: «La comunità mi ha restituito una vita» Ventiquattro anni, laureata, iscritta all’albo degli assistenti sociali, impegnata negli studi per la laurea specialistica, Francesca ha un grande sogno nel cassetto: aiutare gli adolescenti allontanati dalla famiglia di origine. Aiutare chi ha vissuto il suo stesso dramma. L’esordio è duro: «Non ho mai conosciuto mio padre e neanche lui ha mai saputo della mia esistenza». Quando era piccola, nella sua vita arriva un patrigno.

Non é uno di quei papà che gioca con i figli o che racconta le favole prima di dormire. Nei pochi momenti in cui non è violento, sono ben altre le attenzioni che lui le riserva.

«Le giornate peggiori - confessa Francesca - erano quando si chiudeva in bagno per sniffare coca e sballarsi. Quando ne usciva erano botte e a quelle aggiungeva spesso i suoi abusi su di me». Racconta tutto ad una zia, quando aveva ancora 8 anni, e arriva al suo primo istituto un anno dopo, e poi la casa famiglia in una nuova città. «Mi sentivo come se non avessi radici». Poi le cose, com’è inevitabile, cambiano. «Dopo la comunità, che mi ha dato tantissimo, sono stata fortunata a trovare una famiglia che mi ha accolto e poi mi ha adottato».

VENEZIA

Nei prossimi mesi dovrebbero partire alcuni progetti, su finanziamento europeo, dedicati a 480 senza dimora registrati in Veneto

Housing first Caritas del Veneto in prima fila di Michele Trabucco

Le Caritas del veneto protagoniste dell’assemblea annuale di Feantsa, la federazione europea che raccoglie associazioni che operano per i senza dimora. Tutto parte dal fatto che il 2014 è stato l’anno che ha segnato l’inizio della programmazione finanziaria dell’Unione Europea a favore dei cittadini e delle imprese del nostro continente. Attingere ai finan-

scheda Por Fesr Veneto Il programma Por Fesr Veneto che, sarà approvato nei prossimi mesi, dovrebbe prevedere il sostegno economico a queste azioni e dovrebbe raggiungere circa 1.700 persone in difficoltà socio-economica e abitativa, tra cui circa 480 dei 4.800 senza dimora che sono stati registrati in Veneto, e incidere su 350 edifici.

ziamenti europei, attraverso quali programmi, quali temi sottolineare e obiettivi raggiungere sono lietmotiv che continuano ancora oggi.

Per questo, nell’annuale assemblea di Feantsa, la federazione europea con sede a Bruxelles che raccoglie oltre 130 membri nazionali di soggetti provenienti da 30 paesi che operano a favore dei senza dimora, tra cui l’italiana Fio.PSD e moltissime Caritas diocesane, tra cui quella di Venezia, ha voluto dedicare una parte di questo appuntamento ai fondi strutturali. Quei finanziamenti che passano dalle istituzioni europee ma che vengono gestiti dalle autorità regionali. Sono due i fon-

di strutturali più consistenti e utili per chi opera per l’inclusione sociale e combatte la povertà: il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr), generalmente orientato a finanziare le infrastrutture e gli edifici per una maggiore efficienza energetica, la ricerca e lo sviluppo, la mobilità e la competitività delle imprese, e il Fondo sociale europeo (Fse) che sostiene azioni e progetti per la formazione dei lavoratori, la loro riqualificazione e crescita professionale.

Workshop con Caritas A Parigi la conferenza 2015 di Feantsa ha presentato un workshop sul Fesr e Fse di due realtà che hanno investito sui senza dimora: un ente del Galles sul Fse, e le Caritas del Veneto che hanno negoziato con la regione Veneto sul Fesr per ottenere impegni concreti per i senza dimora e i poveri, i cui dati sono stati presentati da me come rappresentate delle Caritas del Veneto. Il progetto finanziato dal Fse per i senza dimora riguardava un laboratorio di inserimento lavorativo invece quello del Fesr riguarda l’indicazio-

ne sul programma del Veneto di due azioni a favore della riqualificazione e progettazione innovativa per edifici, stabili, strutture per i senza dimora.

La regione Veneto, con la collaborazione delle Caritas del Veneto, ha proposto di sostenere azioni a favore di miglioramento energetico degli edifici ospitanti i senza dimora e persone in difficoltà e a favore di modelli innovativi di accoglienza, quali housing first, housing sociale, co-housing con una dotazione di circa 13 milioni di euro da spendere nei prossimi sette/otto anni. Il Veneto ha voluto inserire queste azioni all’interno dell’asse 6 “Sviluppo urbano sostenibile”, significativo per dare ai capoluoghi di regione un forte e preciso indirizzo di politica urbana integrata e integrale.

Veneto in prima fila Il sostegno economico a queste azioni dovrebbe raggiungere circa 1.700 persone in difficoltà socioeconomica e abitativa, tra cui circa 480 dei 4.800 senza dimora che sono stati registrati in Veneto, e incidere su 350 edifici.

Il programma Por Fesr Veneto sarà approvato nei prossimi mesi.

L’attesa dell’approvazione da parte delle autorità di Bruxelles è la condizione per poter poi accedere ai bandi che la regione farà per mettere in pratica le azioni stabilite nel Fesr, in sinergia con quelli del Fse. Una assoluta novità per temi di lotta alla povertà e grave marginalità da sfruttare nel migliore dei modi. agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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NAPOLI

Foto di gruppo per le multietniche guide di Migranda

Migranda tour, alla scoperta della Napoli etnica di Peppe Scognamiglio

Ho partecipato ad una passeggiata speciale, un tour con migranti come guide. Siamo Partiti da piazza Mercato, dalla chiesa della Madonna del Carmine che i napoletani chiamano “Madonna Bruna”. Abbiamo visitato la moschea,

info Migranda Promossa dalla Cooperativa CASBA, cooperativa di mediatori linguistico-culturali, Napoli Migranda fa parte del network europeo Migrantour Intercultural Urban Routes sostenuto da Viaggi Solidali e le ong Acra e Oxfam Italia e di cui fanno già parte Torino, Genova, Milano, Roma, Firenze, Lione, Parigi, Lisbona e Valencia.

Le passeggiate si svolgono il sabato mattina, si accettano prenotazione sia di gruppi che di scuole. www.coopcasba.org/

gestita dall’associazione culturale Zaid Ibntaabit, fondata nel 1997 in un ex monastero del ‘600. Per entrare in questa moschea, le donne devono indossare un foulard per coprire la testa e le spalle e tutti devono togliere le scarpe. Nella moschea le donne pregano in una stanza, gli uomini in un’altra e le preghiere durano tra i 15 e i 20 minuti. L’imam ci ha spiegato che nei giorni feriali passano a pregare tra le 50 e le 100 persone al giorno, mentre il venerdì, giorno di preghiera, c’è il pienone e si arriva fino a 300 persone.

Alla scoperta di un’altra città Noi ci siamo andati il giorno prima che cominciasse il Ramadan cioè il mese in cui per devozione non si può mangiare né bere per tutto il giorno, dall’alba al tramonto. In questa moschea, c’è anche una mensa che offre un pasto a

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tutti i poveri, compresi gli italiani.

Usciti dalla moschea, ci siamo incamminati per via del Lavinaio, una zona popolarissima di Napoli e ci siamo fermati in un ristorante del Bangladesh, dove si preparano pie-

tanze della loro terra. Abbiamo proseguito poi per Porta Nolana dove ci sono tanti negozi di cingalesi, di persone provenienti dal Bangladesh e Indiani. Gente molto accogliente che ci ha fatto entrare, senza problemi, nei loro negozi. Da qui a piazza Garibaldi il passo è breve, siamo entrati in un mini market, che tutti da decenni chiamano “Banane” perché fin dal primo giorno ha esposto fuori in un cesto i platani che sono banane verdi. “Banane“ è stato il primo negozio della città a vendere prodotti alimentari tipici e ingredienti che vengono da tutto il mondo. Pasquale, un ragazzo della cooperativa Migratur, ci spiega che questo è un punto di incontro fisso quando arrivano a Napoli. Proseguendo abbiamo visitato la macelleria islamica per poi arrivare al mercatino etnico dove, soprattutto africani provenienti da varie zone del continente, vendono specialità della loro terra .

Sentire e conoscere i racconti di tradizioni e usanze diverse è stata una bella esperienza. Ho conosciuto persone stupende e accoglienti, persone che hanno trovato la loro serenità e non devono scappare dalla guerra e dalla miseria.

LA SCHEDA

Il giro del mondo in una città: a Napoli tra Africa, Asia e Sudamerica Per fare il giro del mondo non occorrono 80 giorni, ma solo qualche ora. Succede con Napoli Migranda, passeggiate interculturali condotte da cittadini di origine straniera, attraverso vicoli e strade, storie e vissuti, sapori e tradizioni delle comunità di migranti che vivono qui.

Migranda racconta il mercato senegalese di Piazza Garibaldi, le moschee del quartiere Pendino e di piazza Mercato, le pietre importate dall’India e le bigiotterie della Cina di Porta Nolana, i primi fast food magrebini arrivati in città, i phone center somali, le pasticcerie arabe, i negozi di ingredienti etnici, i barbieri e i parrucchieri. Le guide si chiamano Anastasiia, Chitra, Jimale, Shukri, Lydmyla, Irina, Papa, Chandrasiri, Pierre, Diarro, Pavlo, Jomahe, Chiara, Elena: cittadini di diverse nazionalità - senegalese, cingalese, somala, ecuadoregna, gambiana, russa, ucraina, ivoriana, mauritana e georgiana - sono loro i ciceroni che guidano i visitatori attraverso storie e racconti sul cibo, sulla religione e sulle tradizioni che si nascondono dietro ai luoghi e alle persone che li vivono ogni giorno. Laura Guerra

VOCI DALL’AMERICA

La lavanderia come casa.

Queen Mimi ora è una celebrità

di Damiano Beltrami

Per i clienti della lavanderia “Fox” di Montana Avenue a Santa Monica in California, lei è semplicemente Mimi, una vecchietta iperattiva di 89 anni che in pantaloni attillati fucsia balla a ritmo di merengue mentre getta vestiti nelle lavatrici, ne ritira altri dalle asciugatrici, o stira camicie di gala. Mimi alla lavanderia non è mai stata assunta. Ci è piombata per caso una sera piovosa a metà degli anni ‘90, quando, senza fissa dimora, tirava a campare girovagando per le strade di Los Angeles. E da allora, grazie alla generosità del proprietario, non si è mai mossa da questa lavanderia a gettone aperta giorno e notte, 365 giorni all’anno.

scheda Damiano Beltrami, nato a Genova. Classe 1982. Reporter.

Negli Stati Uniti dal 2008 con una borsa Fulbright. I suoi articoli e i suoi video sono apparsi su testate americane e italiane, tra cui il New York Times, l’Huffington Post e il magazine mensile del Sole-24Ore IL. Nel tempo libero ama camminare nei boschi.

Mimi e la gioia di vivere Oltre a lavare milioni di indumenti, negli ultimi vent’anni Mimi è diventata amica di dozzine di avventori incapaci di resistere al fascino della sua schiettezza, e della sua gioia di vivere. «C’è troppa gente che passa il tempo a sciorinare lagne – ama ripetere Mimi –. Accidenti, ogni giorno ci capita qualcosa di bello, cerchiamo di apprezzare le piccole cose, altrimenti stiamo freschi».

Tra gli aficionados del negozio divenuti grandi amici di Mimi ce ne sono anche di improbabili.

Per esempio star di Hollywood come Zach Galifianakis. «Chiunque la incontra non può fare a meno di innamorarsi un po’ di lei», ha detto l’attore comico che l’ha invitata più volte a première ed eventi mondani di Hollywood dove, dice, «Mimi si sente più a suo agio di me».

Mimi, 89 anni, senza dimora, che da vent’anni vive in un lavanderia di Santa Monica è diventata celebre in tutti gli Usa grazie a un documentario su di lei.

«C’è troppa gente che passa il tempo a sciorinare lagne – ama ripetere –.

Accidenti, ogni giorno ci capita qualcosa di bello, cerchiamo di apprezzare le piccole cose».

La locandina del documentario che ha reso “celebre” Mimi

Beninteso, per quanto socievole Mimi non ha un carattere docile.

Tanto per dire quelli che entrano in tintoria senza salutare non le vanno a genio, e non esita a mandarli al diavolo preventivamente. Per questo i clienti fissi, avvezzi ai suoi tic, la trattano coi guanti.

Quel che però anche i più assidui avventori fino a poco tempo fa non conoscevano era la vita di Mimi prima della lavanderia. Come si chiama veramente? Dove abitano i suoi familiari? È stata sposata? Quali circostanze l’hanno portata alla vita di strada? Tutte domande che in pochi ponevano, e a quei pochi Mimi regalava solo sorrisi enigmatici.

La sua vita in un film A incaponirsi nella ricomposizione di un puzzle complesso è stato Yaniv Rokah, barista di giorno e documentarista di notte, che ha seguito Mimi in vari momenti per cinque anni. Tradita dal marito e madre di due figlie, Marie Haist, così si chiama davvero Mimi, a 55 anni al tepore della sua casa e a una vita di compromesso ha preferito i marciapiedi della sua città natale, Los Angeles, fino a trovare una casa provvisoria avvolta dal profumo di detersivo e dal basso continuo dei cestelli.

Il documentario “Queen Mimi” di recente arrivato e apprezzato al festival di San Francisco ha riavvicinato due donne: la signora attempata ma gioviale e piena di energia di Montana Avenue, e la madre affettuosa e attenta di un tempo.

Il film ha pure ricongiunto Mimi a una delle due figlie, che da tempo aveva perso i suoi contatti e temeva il peggio. Un annetto fa Mimi con l’aiuto dei suoi amici attori, si è trasferita in un appartamentino vicino alla lavanderia.

Era un lusso che non provava dal lontano 1976. agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

Banche, sfiducia e Grecia È l’Europa che vogliamo?

Solo una piccola parte della montagna di capitali è finita ad alimentare l’economia reale della Grecia. Banche, creditori, contributi all’Europa. E nel frattempo il Paese è allo stremo. Con i dati del welfare che fanno rabbrividire testi di Andrea Barolini

scheda

Ventuno come il secolo nel quale viviamo, come l’agenda per il buon vivere, come l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione.

Ventuno è la nostra idea di economia. Con qualche proposta per agire contro l’ingiustizia e l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

Capita, a volte, che un reset sia necessario. Negli ultimi mesi la vicenda della Grecia è stata al centro del dibattito economico globale. Ci si è arrovellati sulla sua capacità di risollevarsi, sul rischio di un’uscita dall’euro, sulla possibilità di tagliare una parte del debito. Mentre questo numero di Scarpva in stampa, sono ancora in corso le discussioni nell’Eurogruppo successive al «no» al nuovo piano di salvataggio proposto dalla cosiddetta “troika” (Unione europea, Bce, Fmi). Ma, a monte di tutti questi ragionamenti, c’è qualcosa che forse i governi europei, l’Ue e perfino noi stessi abbiamo dimenticato. Il fatto cioè che la politica, l’economia, la finanza, i governi, i parlamenti, le istituzioni europee sono stati creati ed esistono, per una - ed una sola - ragione: migliorare la qualità della vita delle persone.

Può sembrare una banalità, ma non lo è affatto. La scelta delle politiche economiche dovrebbe perseguire come unico obiettivo proprio il benessere della popolazione. Altrimenti, a cosa servono le istituzioni,

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i governi e i welfare state? Ebbene, ragionando senza perdere di vista questo presupposto, la domanda che ci si deve fare – anche in questo caso, solo apparentemente banale – è: le nostre esistenze (e quelle dei greci, in particolare) sono migliorate o peggiorate rispetto a qualche anno fa? Proviamo allora a fare un quadro di cosa significa vivere, oggi, in Gre-

cia. Come noto, la Grecia ha ri-

cevuto oltre 200 miliardi di euro di aiuti dalla troika. E allora, come mai nonostante questa immensa quantità di denaro non è riuscita a far ripartire la propria economia? Ebbene, secondo uno studio di una Ong austriaca (citato di fronte al Parlamento europeo anche dallo stesso primo ministro Alexis Tsi-

LA STORIA

Papa Francesco: «Banche salvate ad ogni costo, sulla pelle della popolazione» Il 1 luglio scorso papa Bergoglio si è espresso sulla crisi greca. Con parole semplici quanto efficaci: «Esprimo la mia vicinanza al popolo ellenico, con uno speciale pensiero alle tante famiglie gravemente provate da una crisi umana e sociale tanto complessa e sofferta. La dignità della persona umana deve rimanere al centro di ogni dibattito politico e tecnico, così come nell’assunzione di scelte responsabili». Il pontefice ha riaffermato così quanto espresso nella recente enciclica “Laudato sì”, accusando «il salvataggio a ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione», che, «riafferma un dominio della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi».

Il risultato dell’austerity imposta dall’Europa alla Grecia tra luci e ombre.

Il Pil greco negli ultimi anni è sceso del 25%.

Gli investimenti sono scesi di oltre il 40% rispetto al livello del 2000. Il numero di occupati è sceso sotto al livello del 1985.

E negli anni dell’austerity, le tasse sui poveri sono cresciute del 337% mentre quelle sui ricchi solamente del 9%. I più poveri hanno perso così l’86% del loro reddito

pras, senza essere smentito da nessuno) la realtà è che solo una pic-

cola parte di questa montagna di capitali è finita all’economia reale greca. Più di 58 miliardi, sono finiti infatti nelle casse delle banche locali, al fine di ricapitalizzarle. Circa 101 miliardi sono poi andati ai creditori, ovvero ad alcuni Paesi europei e alle loro banche, Germania e Francia in testa: soldi che, di fatto, sono in qualche modo tornati nelle mani di chi li aveva concessi (di questi, circa 55 miliardi dono stati utilizzati per ripagare le obbligazioni in scadenza). Un altro miliardo, poi, è finito come contributo greco al Meccanismo Europeo di Stabilità. E solo 46,5 miliardi sono finiti realmente nel bilancio del governo. Se consideriamo che la crisi perdura dal 2008, possiamo dire che Atene ha potuto godere di meno di 8 miliardi all’anno: il 23% circa del totale degli aiuti. Il 77% è finito dunque altrove.

Incredibile? Per noi, forse. Non per la troika. Basti pensare che già a gennaio 2010 un delegato del Fmi denunciava come il presunto salva-

taggio della Grecia fosse stato «concepito solo per salvare i creditori, nella gran parte banche del vecchio continente e non la Grecia». Basta infatti un rapido sguardo al grafico che proponiamo nella pagina seguente (rielaborazione dati Sole 24ore) che mostra l’esposizione delle banche europee verso la Grecia, prima e dopo l’intervento degli Stati.

Due Paesi come Francia e Germania non detenevano neppure un euro di debito greco nel dicembre del 2009, mentre le loro banche ne possedevano rispettivamente 79 e 45 miliardi. Cinque anni dopo, i rapporti si sono invertiti: le banche francesi sono scese a 1,81 miliardi, quelle tedesche a 13,51 miliardi. Mentre i bilanci statali dei due Paesi hanno incamerato esposizioni pari a 46,5 e 62 miliardi. Un’immensa partita di giro, insomma. O, in altre parole, un travaso di titoli “tossici” dai bilanci bancari a quelli statali (ovvero da soggetti privati alla collettività).

Imperativo austerità Al contempo, alla Grecia è stato im-

posto di stringere la cinghia fino a strozzarsi. E l’austerità chiesta

La Francia e la Germania non detenevano neppure un euro di debito greco nel dicembre del 2009, mentre le loro banche ne detenevano 79 e 45 miliardi.

Cinque anni dopo i rapporti si sono invertiti.

I bilanci statali hanno incamerato esposizioni pari a 46,4 e 62 miliardi

alla piccola economia europea è stata calcolata sui 200 miliardi di aiuti nella loro interezza: non sul 23% di tale cifra.

Il risultato è che il Pil negli anni è sceso di circa il 25%. Un quarto della produzione greca è andato cioè in fumo. Secondo un’analisi dell’istituto Macrobond, gli investimenti sono conseguentemente scesi di oltre il 40% rispetto al livello del 2000.

Eppure la ricetta di tagli e rigore, secondo il Fmi, avrebbe dovuto aiutare il Paese a riprendersi. Lo stesso Fondo monetario aveva previsto tassi di disoccupazione «accettabili» per la nazione europea, negli anni dal 2010 al 2013: 11,8%, 14,6%, 14,8% e 14,3%. La realtà, invece è risultata drammaticamente lontana: 12,6%, 17,7%, 24,3% e 27,3%. Il numero di occupati è sceso sotto al livello del 1985. Al contempo, uno studio tedesco –dell’Institut für Makroökonomie und Konjunkturforschung – ha spiegato che, negli anni dell’austerity, le tasse sui poveri sono cresciute del 337% mentre quelle sui ricchi solaagosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

Il confronto. L’esposizione di banche e Stati Europei verso la Grecia Banche (in miliardi di dollari)

dicembre 2009

Stati (in miliardi di euro)

dicembre 2014

Il 27 febbraio del 1953 a Londra, per discutere degli enormi debiti accumulati dalla Repubblica, si incontrarono la Repubblica Federale Tedesca e i numerosi stati creditori (tra i quali la Grecia). I negoziati durarono dal 27 febbraio all’8 agosto 1953: il trattato fu ratificato il 24 agosto 1953

mente del 9%. I più poveri hanno perso così l’86% del loro reddito, mentre i ricchi tra il 17 ed il 20%.

Un dossier di Caritas Italiana fotografa una realtà drammatica: la mortalità infantile è aumentata in Grecia del 43% dall’inizio della crisi, il numero di bambini abbandonati è cresciuto del 336%

Un Paese allo stremo

Il risultato è un Paese socialmente allo stremo. Impossibile fare un’analisi esaustiva in questa sede: meglio concentrarsi su alcuni dati ed esempi significativi, strettamente collegati alla vita quotidiana.

Partiamo dalla salute. In un rapporto del 2012, il Centro greco per il controllo delle malattie Keelpno ha spiegato che il numero di persone affette da Aids nel Paese è cresciuto del 22% tra il 2011 e il 2012, e del 58% l’anno precedente. Negli ospedali scarseggiano sempre più macchinari, medicine, strumenti diagnostici.

Una porzione crescente della popolazione non si cura più.

Il quotidiano La Stampa ha raccontato la storia di Dimitris Souliotis, un pensionato 79enne che ha aperto una “farmacia sociale” ad Atene, per consentire a chi non ha i soldi per curarsi, nella quale 294 medici volontari hanno già curato – senza chiedere nulla in cambio – circa 9 mila persone. «Sono disoccupati, genitori con bambini portatori di handicap. È qui che vedi la tragedia.

Ci sono 3 milioni di greci senza copertura sanitaria», ha spiegato Souliotis. Di recente, un allarme è arri-

58 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

vato dalle isole Cicladi, dove i cittadini (e i turisti) si sono trovati a dover fronteggiare gravi problemi di approvvigionamento di generi alimentari, acqua e medicinali (il che ha provocato un calo del 30-40% delle prenotazioni per le vacanze, dato che affossa ancor di più l’economia locale). Un anno fa, le agenzie di tutto il mondo battevano la notizia (fornita dalla società che si occupa di distribuire il gas nella capitale greca, la EPA) che nell’inverno 2014 quasi la metà –per l’esattezza il 44% del totale – degli immobili di Atene dotati di caldaie centralizzate aveva rinunciato al riscaldamento. Trop-

po caro scaldarsi: meglio tornare alle coperte. O bruciare legna, il che – riferisce l’agenzia francese AFP – ha fatto aumentare fortemente il tasso di inquinamento atmosferico cittadino, soprattutto nelle giornate più fredde. Nel 2013, inoltre, il quotidiano ellenico eKathimeriniriportava che ogni mese la luce veniva staccata a 30 mila famiglie, colpevoli di non aver pagato la bolletta (sulla quale sono “caricate” le tasse sulla casa). Una situazione

di disagio estremo, dunque, che ha portato il tasso di suicidi ad aumentare vertiginosamente: un medico ateniese, Theodoros Giannaros, ha parlato al Corriere della Sera di «10 mila casi in

5 anni». Secondo un’analisi dell’agenzia AFP, il numero di persone che si è tolto la vita è cresciuto del 35,7% nei soli primi mesi che hanno seguito l’adozione delle misure di austerità draconiana imposte dalla troika. E i giovani? Nel suo dossier Grecia, gioventù ferita, la Caritas Italiana ha fotografato una realtà drammatica: la mortalità infantile è aumentata del 43% dall’inizio della crisi, il numero di bambini abbandonati del 336%. Ed è in corso anche la più grande fuga di cervelli della storia recente da un’economia occidentale avanzata: oltre 200 mila ragazzi dallo scoppio della crisi ad oggi. «I nuovi dati provenienti dalla rete dei centri di ascolto e di aiuto – spiega la Caritas –confermano che le politiche internazionali ed europee adottate in Grecia sono sostanzialmente fallimentari. Le fasce socialmente più deboli e la gioventù in particolare sono le vittime principali».

Infine, l’Istituto Prolepsisha pubblicato a febbraio i dati relativi agli alunni di 64 scuole di Atene: il 25% delle famiglie degli studenti soffre la fame; il 60% non dispone di cibo sufficiente; nel 61% dei casi uno dei due genitori non ha redditi, l’11% degli alunni non gode di copertura sociale, il 3% delle famiglie non ha energia elettrica a casa. È questa l’Europa che vogliamo?

LA FOTO

Quando la Grecia tagliò il debito della Germania Ogni tanto, un ripasso di storia può essere molto utile. Non è un’informazione secondaria, infatti, quella che ci riporta a Londra nel 1953. All’epoca, ventuno Paesi, dopo mesi di trattative, decisero di tagliare il debito di un Paese europeo. Questo Paese era la Germania, il cui quantitativo di denaro dovuto ai creditori era diventato troppo alto per essere considerato gestibile.

Nel 1953 a Londra ventuno Paesi decisero di tagliare il debito tedesco, considerato ingestibile di fronte ai creditori

Debito ridotto del 50% Le nazioni coinvolte firmarono così il London Agreement on German External Debts, che divideva di fatto in due parti il debito pubblico della Germania Ovest, composto da debiti assunti prima degli anni Trenta, ovvero prima dell’avvento al potere di Adolf Hitler; e da altri creati negli anni regime del dittatore nazista. La prima parte era costituita da circa 16

miliardi di marchi, la seconda da circa 15 miliardi.

Complessivamente, il debito fu ridotto di circa il 50%, e furono concessi al governo tedesco 30 anni di tempo per restituirlo.

Non solo: fu stabilito anche che la restituzione sarebbe avvenuta allorquando la Germania avesse ottenuto un surplus nell’importexport, e che sarebbe stata comunque limitata al 3% di tale eccedenza. Un modo, insomma, per aiutare un Paese in difficoltà ed evitare che costituisse una zavorra anche per i partner.

La firma arrivò l’8 agosto. Per la Germania Ovest, a siglare il documento fu il cancelliere Konrad Adenauer, che faceva parte dell’Unione Cristiano-Democratica (CDU). Lo stesso partito di Angela Merkel. Ad accordare il taglio del debito tedesco fu, tra gli altri, il governo della Grecia. agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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INCONTRI

LABORATORI

AUTOBIOGRAFIE

CALEIDOSCOPIO

Julia dalla Germania a Milano per esibirsi nelle strade della città.

Nonostante la laurea di ingegneria in tasca e un lavoro sicuro a casa, Julia ha scelto di vivere solo della sua arte

Julia, l’architetto che ha scelto l’arte di strada Julia arriva da Berlino e dopo aver girato un po’ il mondo ha deciso di fermarsi a Milano per incantare i passanti che attraversano via Dante. La incontriamo mentre si esibisce con una pallina trasparente, in difficili equilibrismi, facendo ruotare la sfera sul proprio corpo, accompagnata da una musica rilassante. Lo spettacolo è particolarmente apprezzato. E tanto. Julia ama questo lavoro al punto che qualche anno fa ha lasciato il suo impiego da architetto in uno studio di Berlino per iniziare a girare e conoscere nuove esperienze di vita. «Ero stanca della vita d’ufficio – racconta –. Un giorno sono andata dal mio capo e, semplicemente, gli ho comunicato che me ne andavo. E sono partita per il Messico». Lì Julia è rinata: con l’aiuto di altri artisti ha imparato quest’arte. Ha sempre sognato di stare in mezzo alla gente e, grazie a questa passione, ha realizzato il suo sogno. «Mi piace Milano – racconta – giro molto, mi diverto e guadagno a sufficienza. Per ora va bene così.

Antonio Vanzillotta Magari più avanti vedrò di far fruttare la mia laurea. Ma deve valerne davvero la pena». agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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NAPOLI

PAROLE

Razza umana va in metropolitana: il genio targato Oliviero Toscani

Metropolitana: una fermata nell’arte antica

La redazione di Scarp Napoli alla fermata della metro “Toledo” che ospita le foto di Oliviero Toscani

A Napoli abbiamo la metropolitana più bella d’Europa: la Metro dell’arte. Parte dalla stazione centrale di Piazza Garibaldi e arriva fino in periferia a Piscinola. Diciotto stazioni affidate alla maestria di 18 architetti di varie nazionalità che le hanno realizzate mettendoci tutta la loro arte.

PAROLE

L’ultima che hanno aperto, poche settimane fa è quella di Piazza Municipio, e si trova proprio nel centro della città di fronte alla sede del Comune. Siamo andati a visitarla. Con attenzione ascoltavo la guida che, con animo leggero, senza palesare alcun tentennamento, ci illustrava i lavori architettonici seguiti con eccelsa maestria dagli architetti portoghesi Alvaro Siza ed Edoardo Souto De Moura.

Su una parete sono visibili figure e colori eseguiti con pastelli e acquerello, mentre altri colori erano adattati. Si tratta di un’opera di un’artista israeliana che si chiama Michal Rovner. La parete, grazie all’installazione di 5 videoproiettori, mostrava delle immagini di persone in movimento che, ad un certo punto, scomparivano. Sembrava una diaspora di persone erranti che andavano alla ricerca della terra promessa. Sotto la stazione lo sguardo viene catturato anche dalle basi dei Torrioni dell’Incoronata che svettano sulla piazza in superficie. Mentre si scavava per costruire la stazione gli archeologi, lavorando in profondità, hanno trovato dei battelli di epoca romana, che servivano a trasportare le merci.

Napoli è stata una città meta di conquiste. Siamo stati occupati dagli Aragonesi, dagli Angioini, dai Saraceni, dai Borbone, dai francesi. Ogni popolo conquistatore ha lasciato qualcosa alla città e, quindi, è facile, durante gli scavi, trovare tesori di epoche passate. Il cantiere è stato per anni il più grande scavo archeologico urbano, e ha restituito alla città quasi 3 mila reperti di ottima qualità. La stazione non è ancora completata, ci vorranno ancora 2 anni per aprire le altre uscite e per organizzare l’esposizione dei tesori rinvenuti, compresi i tre battelli. Quando sarà realizzato il progetto la fermata Municipio sarà il più grande museo europeo d’arte antica visitabile in una città.

L’apertura della metropolitana ha cambiato completamente Piazza Municipio.

Se torno indietro a quando ero bambino mi ricordo che mi sembrava enorme, le macchine passavano una ogni cinque minuti, si faceva tutto con calma, c’erano pure le carrozze con i cavalli con il sacco di foraggio attaccato sotto al muso che portavano i turisti in giro, sento ancora il rumore degli zoccoli che scivolavano sui sampietrini.

C’era anche una fontana lunga fatta di tante vasche e l’ultima era la più profonda e gli scugnizzi in estate, ci si tuffavano per rinfrescarsi.

Sergio Gatto

Domenico Capuozzo

62 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

La piazza di una volta

Razza umana va in metropolitana. Umana razza fotografa i suoi simili. Razza umana in movimento, come ogni altra razza, dalla formica (ma perché sono una razza?) ai dinosauri, dai pesci nel mare agli uccelli nel cielo, dalle nuvole alle placche tettoniche e al pianeta stesso, siamo tutti in un tutto in movimento, chi si ferma è perduto o, almeno, fuori moda, in ogni caso fuori dal gioco.

D’altronde cos’è la metropolitana se non un giocattolo? Un trenino metropolitano pieno di popolino che va, anzi deve andar di fretta.

Un giocattolo per chi governa questo popolino e se ne viaggia in auto blu e jet privato. Che pacchia, che infinita sfacciataggine. Ma non divaghiamo. Oliviero Toscani è ormai abituato a trovare il geniale nel banale e mettere foto di gente in mezzo alla gente sembra così banale da risultare perfetto, certo migliore del solito panorama col Vesuvio. Ah se l’avessero fatta anni fa quella fermata, ora sarei un abitante dei Quartieri Spagnoli e di una bellissima, altissima casa con terrazza in mezzo al cielo e, andando e venendo, mi soffermerei a riconoscere quelli lì in fotografia, a pensare un po’ alle loro vite, così da distrarmi per un attimo dalla mia, a divagare un po’ e anche, perché no, se su quel tapis roulant ci stessi io solo, a non soffrir di solitudine.

Grazie a Oliviero quindi e alla sua banale, normale, umanissima genialità.

Bruno Limone

SALERNO

La vita in una fotografia alla stazione Toledo

Metropolitana collinare di Napoli, Stazione Toledo. Un lungo passaggio con tappeto mobile conduce all’uscita Montecalvario, luogo storico di Napoli, noto come Quartieri Spagnoli. Un’intera parete è occupata da ritratti scattati dalla mano esperta di Oliviero Toscani. L’impatto visivo è forte, suggestivo, per chiunque si trovi a passare, figuratevi per me che sono un appassionato di fotografia. Volti noti, altri meno, anzi per niente. Gente comune, passanti, che hanno scelto di posare per l’obiettivo celebre di Oliviero. Una rassegna che trasmette agli occhi del viaggiatore tante sensazioni. Chiaramente individuali. Storie di vite, sentimenti, stati d’animo, sogni, speranze. Un racconto di ciò che è la vita. Camminavo a passo deciso per non perdere i miei colleghi ma avrei voluto soffermarmi più a lungo per analizzare ogni singola immagine. La fotografia è un mezzo di comunicazione eccezionale, senza altri simili. Il ritratto enfatizza questa caratteristica. Il personaggio “parla” con la sua immagine. E proprio il ritrattista.

Oliviero ha saputo tirare fuori da quei volti la loro essenza, l’autenticità del loro essere. La vita di tante persone descritta con un obiettivo. La vita proiettata agli occhi del passante con incredibile realismo e prepotente determinazione. Mi sono emozionato.

Peppe Del Giudice

La fotografia è un mezzo di comunicazione eccezionale. Il ritratto enfatizza questa caratteristica.

Il personaggio, infatti, parla con la sua immagine.

APPUNTAMENTI

A settembre una giornata di formazione interamente dedicata all’impegno sociale “L’impegno sociale tra motivazione e professionalità”. Questo il tema al centro della giornata di formazione organizzata a Napoli per sabato 26 settembre dalla Rete del Pio Monte della Misericordia, nella sede di via Tribunali 253. Il seminario, la cui relazione principale sarà svolta dal maestro di strada ed esperto di politiche educative e sociali Marco Rossi Doria, è rivolto a 50 operatori sociali, impegnati in diverse aree di prevenzione del disagio. Divisi in 5 gruppi di lavoro i partecipanti elaboreranno proposte, riflessioni per proseguire in modo condiviso il lavoro della Rete del Pio Monte di cui fanno parte oltre al Pio Monte della Misericordia, Ant, Casa delle arti e dei Mestieri, Casa di Tonia, Dedalus, Associazione Laici Caracciolini, Fondazione Massimo Leone, La Locomotiva, Associazione Margherita, Opera Sociale Ozanam, PianoTerra, Fondazione RioneSanità, Salva 72, le associazioni Salva 72, San Camillo, La Scintilla.

Laura Guerra

CALEIDOSCOPIO

Visione della mia città Cielo opalescente, nitore di contorni, spazio infinito; vedo occhieggiare il rado verde fra le ciminiere spente in un breve sopore; svettano campanili e torri, sentinelle solerti della Fede e del lavoro.

Fuga di tetti dall’aspetto umano chiusi, spezzati dalla cerchia tetra di anonimi condomini, squallido frutto del moderno operare.

Si ode il battito convulso della città, mostro impietoso dai viscidi tentacoli opprimenti, divoratori della natura.

Soltanto la vastità del cielo è ancora intatta, pura, e, sovrasta, l’immensa cupola, questo tempio umano dove ciascuno si affanna a ricercare Dio. Pierluigi Logli

“Si può fare” apre alla terra: il Mercato solidale diventa agricolo di Salvatore Couchoud

Vestiti, mobili, oggetti per la casa, libri, piccoli pezzi d’antiquariato (talvolta autentiche rarità). E ora anche carote, pomodori, zucchine, e zafferano, che si possono acquistare all’ingrosso a prezzi convenienti. Il mercato dell’usato solidale, fortemente voluto e realizzato a tempi da primato dalla cooperativa sociale “Si può fare”, nata nell’aprile 2013 dalla collaborazione tra la Caritas diocesana e la Piccola Casa Ozanam, viene ora affiancato da un settore agricolo (“Si può fare terra”), che sulla collina Ca’ Motta, vicino a Senna Comasco, coltiva, lavora e offre in vendita prodotti genuini alle famiglie, avvalendosi di soggetti in difficoltà, retribuiti appunto con gli utili ricavati dalle vendite e formati professionalmente per essere poi inseriti in realtà lavorative più solide e collaudate.

«Il punto di partenza è semplice e chiaro spiega il direttore di “Si può fare” Marco Servettini–, ed è riconducibile alle parole di papa Francesco secondo le quali chi resta senza lavoro è privato del-

la sua dignità. E allora è nata l’idea non di offrire alle persone il lavoro della vita, ma una concreta opportunità per rimettersi in gioco, riacquisendo le capacità e le attitudini al lavoro che si perdono dopo anni di inattività e riaccompagnandoli verso un mercato del lavoro che, soprattutto nel settore agricolo, non è poi così malridotto come in altri comparti.

Dopo il primo raccolto di patate effettuato nel mese di giugno, il grosso del lavoro verrà svolto in ottobre con la semina di altri ortaggi. Abbiamo riservato una zona di 5oo metri quadri alla coltura dello zafferano, tra le più redditizie che si conoscano e per la quale è richiesta molta manodopera».

Quattromila metri quadri complessivi destinati all’iniziativa, non pochissimi ma certo non paragonabili a quelli di un’azienda agricola vera e propria.

«Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino – conclude Servettini –, come del resto si è già verificato per il Mercato Solidale, tutto lascia sperare che la nostra cooperativa stia per vincere una nuova scommessa, centrando un obiettivo che appariva irraggiungibile solo qualche anno or sono».

A cuor sincero

Bandiera bambina

...e allora coi tuoi stessi occhi guardo i flessi archi di bianche nuvole…

Io, eterno Peter Pan, vivo nei giardini di Kensington e credo ancora nelle favole.

Infanzia sorride nel mio adulto cuore giocando e coccolando ciocche in raggi di Sole...

Seguo allora il tuo soave profumo nuotando fino te nell’imbrunito Cielo, carezzando e respirando un tuo innocente dolce bacio a Cuor sincero.

Il ferro di cavallo del cuore in un rapido dolce chiarore nel bocciolo rotante del mondo fiorito in neve disciolta bramante sul mare profondo la vibrazione del sole ascolta un libero canto che schiocca con la voce del vento con suoni e voci più chiare soffice candido fiocca.

Con le voci dei bimbi in un’unica schiera mentre un nuovo sole ascende una sola voce ora s’attende la voce di una sola bandiera che dice gridando dimenticate delle madri al ventre il dolore né mai più violenza versando né mai più tuoni al cannone per il piccolo bimbo che issata ha sul pennone del suo giovane fertile cuore la bandiera di un solo colore.

Mino Beltrami

Ferdinando Garraffa 64 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

Che bella cosa Ho danzato con i miei ricordi Ho rivissuto dolci momenti Ho cercato in tutto questo Me stesso. Che cosa strana.

Eppure sono cosciente del fatto E a volte mi piace giocare con me stesso.

Ritorno bambino, e poi, piano piano ricresco e torno alle mie cose, attuali.

Ma quello che rimane è solo quello che rimane al fatto reale.

Rivivo bambino e grande, gioco nel parco della mia vita: che bella cosa.

Carlo Mantoan

Il biologico sta avendo molto successo in Italia. Ma ha veramente tutte le “qualità” sponsorizzate sui suoi prodotti?

SCIENZE

ti convenzionali i residui erano assenti nel 73% dei campioni, mentre in quelli biologici si arriva addirittura al 97,4%. In entrambi i casi, comunque, i livelli sono sempre stati molto bassi e sotto il limite legale. Inoltre, anche nel raro caso che questa soglia fosse stata occasionalmente superata, si sarebbe comunque lontani da un effetto negativo sulla salute.

Cibo biologico, davvero più sano e più buono? di Federico Baglioni

scheda Federico Baglioni Biotecnologo, divulgatore e animatore scientifico, scrive sia su testate di settore (Le Scienze, Oggi Scienza), che su quelle generaliste (Today, Wired, Il Fatto Quotidiano). Ha fatto parte del programma RAI Nautilus ed è coordinatore nazionale del movimento culturale “Italia Unita Per La Scienza”, con il quale organizza eventi contro la disinformazione scientifica.

Li trovate un po’ dovunque nei supermercati e il solo nome vi fa pensare a qualcosa di più “naturale”, di più buono e sano. E magari anche più sostenibile a livello ambientale. Ma è veramente così? Molti sono i ricercatori che hanno analizzato la questione in modo preciso, senza farsi suggestionare. Di articoli ne esistono tanti e sembrano dire cose assolutamente contrastanti, per questo si è cercato di fare dei “riassunti” scientifici per verificare quali studi erano fatti meglio ed erano, quindi, degni di essere citati.

Analizzando gli articoli scientifici che confrontavano prodotti convenzionali e biologici, si è visto che le rese delle coltivazioni

biologiche sono decisamente più basse e questo significa che a parità di produzione è necessario utilizzare più terreno per l’agricoltura, danneggiando ulteriormente la biodiversità.

Prodotti quasi simili Anche per quanto riguarda la salubrità e i nutrienti presenti, il risultato pare chiaro: a parte qualche composto (come magnesio e azoto) non ci sono differenze significative tra i valori dei prodotti biologici e convenzionali. Questo significa che le piccole diversità non comportano differenze nelle proprietà del prodotto. E che non è vero che i prodotti biologici “fanno meglio”.

Un altro aspetto delicato è la presenza o meno di pesticidi. Dalle analisi effettate si è vista una sensibile differenza: negli alimen-

Il gusto o l’etichetta?

Che dire infine sul gusto? Sicuramente alcuni prodotti convenzionali risultano essere meno buoni, ma non per il metodo di coltivazione, quanto per la necessità di cogliere prima i frutti per renderli disponibili in grande quantità a tutti e a prezzo competitivo.

D’altra parte siamo fortemente suggestionabili: alcuni studi mostrano che, facendo confrontare prodotti biologici e convenzionali, è sufficiente scambiare le etichette (o toglierle del tutto) per alterare completamente l’apprezzamento dei prodotti da parte delle persone. Questo è una chiara dimostrazione del fatto che tendiamo a considerare migliore un prodotto biologico non tanto per le sue reali qualità, ma per la marca che ci ispira fiducia, per il fatto stesso di aver scritto sull’etichetta il termine “biologico” (che ci fa pensare a qualcosa di più “sano e buono” rispetto ad altri prodotti) o addirittura per il prezzo.

Ecco perché diventa importante fare delle analisi tecniche che, come si è visto, danno risultati a volte totalmente inaspettati.

Ed è anche una piccola lezione per imparare a non farci troppo convincere da slogan, etichette o altre trovate commerciali.

agosto-settembre 2015 Scarp de’ tenis

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Le persone in stato di difficoltà a cui Scarp de’ tenis ha dato lavoro nel 2014 (venditori-disegnatori-collaboratori).

In 20 anni di storia ha aiutato oltre 800 persone a ritrovare la propria dignità

IL VENDITORE DEL MESE

Lia in posa con pettorina e rivista. Grazie al giornale può contare su un’entrata regolare per quanto minima.

Il suo sogno è di trovare un lavoro che le permetta di vivere in tranquillità

Lia «Senza Scarp non avrei conosciuto la speranza» di Ettore Sutti

info

Sono 115 le parrocchie della città di Milano raggiunte ad oggi da Scarp. La rivista vende in città circa 4.500 copie al mese, toccando 50 parrocchie milanesi ad uscita. I venditori impegnati sono attualmente 26. Tra loro ci sono 4 donne e 22 uomini; gli italiani sono 15 , le persone straniere 7.

66 Scarp de’ tenis agosto-settembre 2015

MILANO

Lia è di origine rom ed è arrivata in Italia assieme al marito Marcel nel 1997. In Romania Lia faceva la contadina mentre il marito aveva lavorato in una fabbrica di lenzuola. Il peggioramento della situazione economica e sociale a seguito della caduta del regime, porta alla chiusura della fabbrica dove Marcel lavorava.

«In Romania riuscivamo a malapena a mangiare – racconta – così abbiamo deciso di partire per l’Italia.

Abbiamo chiesto un prestito per pagare il viaggio e siamo arrivati a Milano». Qui, però, non hanno riferimenti e si trovano a dormire in strada. Dopo poco tempo trovano ospitalità in una baracca di un campo abusivo per qualche mese, poi, comprata una tenda, si “sistemano” in un campo in zona S. Siro, sempre abusivo. «Poco alla volta – continua Lia – grazie alla voglia di lavorare di Marcel (muratore, carpentiere, meccanico sempre rigorasamente in nero) e a un poco di elemosina siamo riusciti a comprare prima un furgone e poi una roulotte in cui sia-

mo andati a vivere in un campo vicino al Cimitero Maggiore. Nel 1998 è poi nato Marius e l’anno dopo, Fabio i miei bellissimi figli».

Nel 2006 finalmente, grazie anche ad un contatto con Caritas il nucleo familiare può spostarsi in un container nel campo nomadi regolare di via Triboniano. Nel 2011 viene loro assegnata una casa Aler, in deroga, in funzione anche della situazione di salute di Marcel. I figli vanno a scuola, conseguendo la licenza media. Attualmente hanno iniziato un corso professionale di meccanico d’auto.

Lia, oltre alla vendita di Scarp ha svolto diverse borse lavoro (cameriera ai piani, pulizie, bidella) anche con l’avvio di alcuni contratti (l’ultimo come bidella in due scuole).

«Il lavoro a Scarpmi aiuta tantissimo –conclude –anche se, naturalmente non basta. Mia marito, purtroppo, a causa di una malattia invalidante non può più lavorare e alla casa devo badare io. Al momento faccio qualche ora di pulizie ma guadagnano davvero poco. Io, però non mollo. Continuo a lavorare e a cercare nuove opportunità».