Sdt195

Page 1

Foto: Romano Siciliani - Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

INCHIESTA

TRA GLI SCHIAVI NEI CAMPI DI POMODORI DEL SUD ITALIA

la le del i s n e Il m

strada

MAURO BERRUTO LO SPORT COME INTEGRAZIONE E SENZA COMPROMESSI

www.scarpdetenis.it ottobre 2015 anno 20 numero 195

Poveri della porta accanto SONO IN MEZZO A NOI E SONO COME NOI. FATICANO A TIRARE FINE MESE. SONO LE FAMIGLIE “QUASI POVERE”. MA C’È CHI NON SI RASSEGNA. ECCO LE LORO STORIE

Le nuove canzoni a colori di Jannacci DA DICEMBRE “GENTE D’ALTRI TEMPI” IN MOSTRA A MILANO


Avete bisogno di aiuto per assistere un anziano a casa?

Chiamate Virgilio

800 752 752 dal lunedì al sabato dalle ore 8 alle 20 Fondazione Sacra Famiglia ha creato Virgilio, una risposta rapida, competente ed affidabile ai bisogni di chi ha la responsabilità di prendersi cura di un anziano a casa. Basta una telefonata al numero verde gratuito 800 752 752, attivo da lunedì a sabato dalle ore 8 alle ore 20. Verranno forniti informazioni, orientamento e servizi a domicilio. Quando si ha bisogno di aiuto per i propri cari non si sa come muoversi. Comincia allora la ricerca di una strada da percorrere, che spesso viene consigliata da amici e parenti. Cioè da quella rete di relazioni che non può essere considerata né competente né esaustiva. Allo “smarrimento”, segue un “vagare” tra i servizi con un faticoso e costoso “fai-da-te” che porta ad affidarsi a servizi, persone e strutture diverse, fino

a che non si trova un punto di equilibrio, spesso più per stanchezza che non per un effettivo soddisfacimento dei bisogni. II sistema dei servizi erogati appare frammentato e non in grado di rispondere in modo dinamico, flessibile e continuativo alle esigenze di chi ha necessità. Con la nascita di Virgilio Fondazione Sacra Famiglia vuole dare finalmente un unico punto di riferimento e di raccordo in grado di orientare nella scelta delle soluzioni più adeguate e sostenere nell’assistenza a domicilio dell’anziano. Gli operatori forniranno le informazioni utili per orientare nella rete dei servizi

interventi sanitari, assistenziali a domicilio, nelle aree di Milano e Lecco, o altri semplici servizi come gli accompagnamenti assistiti. Saranno inoltre possibili ulteriori accessi a Virgilio a seconda dell’evoluzione dei bisogni dei propri cari sempre in un’ottica di continuità assistenziale. Da 120 anni Sacra Famiglia cerca di rispondere ai bisogni della società in Lombardia, Piemonte e Liguria e oggi, con 15 sedi e quasi 2mila tra dipendenti e collaboratori, segue più di 7mila persone fornendo 2 milioni di ore di assistenza all’anno.

e in caso sia opportuno prevedere un intervento, metteranno in contatto

Chiamare Virgilio non comporta

con uno dei Case Manager che sarà

nessun impegno e nessun obbligo. Gli

in grado di fare una valutazione dei

eventuali servizi a pagamento saran-

bisogni ed eventualmente definire le azioni necessarie, come per esempio

no chiaramente specificati ed attivati

www.sacrafamiglia.org

solo previo assenso.

www.chiamavirgilio.com


EDITORIALE

Sradicare povertà e fame Obiettivo mancato

LA PROVOCAZIONE

L’impegno della Caritas napoletana per gli ultimi della fila di don Enzo Cozzolino direttore Caritas diocesi di Napoli

di Stefano Lampertico [

@StefanoLamp ]

Ricordate gli otto obiettivi di sviluppo del millennio? Era il mese di settembre dell’anno duemila, in tutto il mondo si era appena salutato con fuochi e feste l’inizio del nuovo millennio e i 193 Stati aderenti alle Nazioni Unite avevano appena sottoscritto l’impegno formale a raggiungere, in quindici anni appunto, obiettivi di sviluppo irrinunciabili per l’umanità. Per chi non li ricorda eccoli in rapida successione: sradicare povertà estrema e fame, rendere universale l’istruzione primaria, promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne, ridurre la mortalità infantile, ridurre la mortalità materna, combattere malaria hiv/aids, altre malattie, garantire la sostenibilità ambientale e infine sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo. Lascio ai nostri lettori più interessati una ricerca accurata sul web per vedere a che punto siamo con gli obiettivi nella loro globalità. Mi

soffermo – sarà l’effetto Expo – solo sul primo. Perché è il tema che forse più ci è vicino e perché, come ogni 17 ottobre, si celebra la Giornata mondiale di lotta alla po-

vertà. I dati non sono confortanti. Ancora oggi 1,2 miliardi di persone vivono in estrema povertà. I dati del programma alimentare mondiale parlano ancora di 795 milioni di persone, nel mondo, oggi, che soffrono la fame. Una persona su nove non ha abbastanza cibo per condurre una vita sana ed attiva. A livello mondiale, il rischio maggiore per la salute degli individui è rappresentato dalla fame e dalla malnutrizione, più che dall’azione combinata di aids, malaria e turbercolosi. Inutile dire come l’obiettivo fissato nel duemila sia molto lontano dall’essere raggiunto. Soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Molto ci sarebbe da dire anche sugli altri (mancati) obiettivi. Ci torneremo con un approfondimento dedicato.

Qualche riga in chiusura, per un grande appuntamento che Scarpsta organizzando per dicembre e gennaio. Tornano Enzo Jannacci e le canzoni a colori. Una nuova edizione della mostra, che ha visto e vedrà sceneggiare da grandi artisti del fumetto e dell’arte le canzoni del maestro, si appresta a debuttare nello splendido scenario del Castello Sforzesco di Milano. Ho visto le prime tavole giunte in redazione. Da rimanere a bocca aperta. L’invito è per tutti. Vi aspettiamo!

Erano otto gli obiettivi che, nel settembre del 2000, le Nazioni Unite si erano impegnate a raggiungere entro il 2015. I risultati non sono incoraggianti. Resta ancora molto da fare per sconfiggere povertà e fame

contatti Per commenti, idee, opinioni e proposte: mail scarp@coopoltre.it facebook scarp de tenis twitter @scarpdetenis www.scarpdetenis.it

Con l’inizio di un nuovo anno pastorale prosegue l’impegno della Caritas per Napoli. Una città che il nostro arcivescovo, Crescenzio Sepe, nella sua ultima lettera pastorale Dar da bere agli assetati ha definito luogo “segnato da secolari contrasti e paradossali contraddizioni: camorra e alta tradizione giuridica, furbizia stracciona e aristocrazia intellettuale, terranei fetidi e attici superpanoramici, medioevo e postmoderno, gusto barocco e voglia di innovazione”. Una città che ha “sete di conoscenza come desiderio di libertà e di emancipazione; sete di affetto per bambini senza famiglia; ragazzi e giovani senza punti di riferimento, vecchi soli e abbandonati; persone deluse dalla vita che nessuno ascolta; mani che nessuno ha più voglia di stringere”. Nella sua lettera il Pastore rivolge a tutti un invito forte a riprendere la vocazione della Chiesa a uscire dalle sacrestie e ascoltare. La Caritas, mano operativa della carità della Chiesa di Napoli, con il nuovo anno pastorale vuole puntare sull’ascolto, rivolgendo rinnovata attenzione alle vittime di dipendenze, alle famiglie e alle coppie. Ai tre storici centri d’ascolto si affiancano tre nuovi punti di riferimento: uno per le famiglie, uno per quanti portano le ferite delle dipendenze e infine il progetto di formazione per coppie che accompagnano altre coppie impegnate nelle comunità. Ci sono poi varie Opere Segno aperte per lenire disagi vecchi e nuovi, operative grazie ai volontari e agli operatori. Lo sforzo per tutti è quello di seguire un cammino non solo pedagogico ma pastorale, ecclesiale, che ci renda capaci di vedere, capire e agire non solo per fare ma per camminare insieme ed essere Chiesa. ottobre 2015 Scarp de’ tenis

3


SOMMARIO

Foto: Romano Siciliani - Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

INCHIESTA

TRA GLI SCHIAVI NEI CAMPI DI POMODORI DEL SUD ITALIA

le della

MAURO BERRUTO LO SPORT COME INTEGRAZIONE E SENZA COMPROMESSI

strada

Il mensi

www.scarpdetenis.it ottobre 2015 anno 20 numero 195

Poveri della porta accanto SONO IN MEZZO A NOI E SONO COME NOI. FATICANO A TIRARE FINE MESE. SONO LE FAMIGLIE “QUASI POVERE”. MA C’È CHI NON SI RASSEGNA. ECCO LE LORO STORIE

Le nuove canzoni a colori di Jannacci DA DICEMBRE “GENTE D’ALTRI TEMPI” IN MOSTRA A MILANO

I poveri della porta accanto. Una copertina “ordinaria” con un messaggio amaro I nuovi poveri hanno vestiti come i nostri. Hanno un carrello da riempire, ogni sabato. Hanno anche un lavoro. Saltuario, certo, e non in grado di reggere un bilancio familiare. Magari sono i nostri vicini di casa, la famiglia che conosciamo, dove il padre cinquantenne ha perso il lavoro e dove si

fatica a tirare la fine del mese stretti nella tenaglia affitto-spese. Questo raccontiamo nel dossier che Scarp dedica alla Giornata mondiale di lotta alla povertà. Questo racconta la copertina che, a prima vista, ha tratti “ordinari” e che invece passa un messaggio amaro. Il povero della porta accanto, insomma. E all’interno, come sempre facciamo, raccontiamo storie. Che raccogliamo, ogni mese, sulla strada, che arrivano dai centri di ascolto Caritas o che ci vengono segnalate. All’interno del giornale, troverete – come nel nostro stile – anche

storie più leggere. Che fanno sorridere alla vita. E che ci dicono come sia sempre possibile “ripartire”, riprendere la bussola in mano, rimettere in sesto la propria vita. La cucina, soprattutto con Expo, è tema di gran moda. Non potevamo lasciarci sfuggire il racconto di quanto accade, molto concretamente e quotidianamente, al Refettorio Ambrosiano, la mensa per i poveri ideata dallo chef Bottura insieme con Davide Rampello e gestita da Caritas Ambrosiana. Sul tema ci sono anche due storie bellissime di aspiranti chef.

Si cambiano i nomi, rimangon bastardi, tu guarda alla radio, (Quali accordi?) I soliti. Do maggiore, La maggiore, La minore,

20

30

rubriche

servizi

PAG.7 (IN)VISIBILI di Paolo Lambruschi PAG.9 IL TAGLIO di Piero Colaprico PAG.11 PIANI BASSI di Paolo Brivio PAG.12 LA FOTO di Edward Burtynsky PAG.18 LE DRITTE di Yamada PAG.19 VISIONI di Sandro Patè PAG.39 POESIE PAG.55 VOCI DALL’EUROPA di Mauro Meggiolaro PAG.63 SCIENZE di Federico Baglioni PAG.66 IL VENDITORE DEL MESE

PAG.20 L’INTERVISTA Mauro Berruto «Lo sport avanguardia d’integrazione» PAG.22 COPERTINA Poveri della porta accanto PAG.30 MILANO Ilenia, la cuoca che crea dagli avanzi PAG.34 LA MOSTRA Le nuove canzoni a colori di Enzo Jannacci PAG.36 REPORTAGE Bucarest, la rivincita della natura PAG.38 LA STORIA Circo Luce, burattini a pedale PAG.43 TORINO Festa dei vicini, insieme contro la solitudine PAG.45 GENOVA E RIMINI Emergenza sbarchi, l’esempio della chiesa PAG.48 VICENZA I fiori di Lina, la bellezza della tradizione PAG.50 VERONA Colazione offerta a tutti, insieme a Paolo PAG.52 SUD Tra gli schiavi nei campi di pomodori PAG.54 NAPOLI Apre Emergency, cure gratuite per tutti PAG.56 VENTUNO Aggrappati al nucleare, ma a quale prezzo? PAG.61 CALEIDOSCOPIO Incontri, laboratori, autobiografie PAG.62 NAPOLI Cucina con 3 euro. In tavola i sapori partenopei PAG.64 COMO Centro diurno Caritas, ospiti protagonisti dell’accoglienza

Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it

4

22

Scarp de’ tenis ottobre 2015

Direttore responsabile Stefano Lampertico Redazione Ettore Sutti, Francesco Chiavarini, Paolo Brivio

Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli

Redazione di strada Roberto Guaglianone, Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Alessandro Pezzoni

36


da

lla stra sile de

Il men

aforisma di Merafina Il bene Lo diciamo prezioso perché sia raro

Il tweet di aurelio [Il bonazza

@aure1970 ]

agosto 2015.

Cos’è Scarp de’ tenis è un giornale di strada noprofit nato da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe. È un’impresa sociale che dà voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione.

Quando il morire come un cane, soffocato dentro a un camion frigo, è un rischio accettabile, vuol dire che stai scappando dall'Inferno.

, le solite facce, i soliti accordi. e, Re minore, Sol settima, Re minore...

Dove vanno i vostri 3,50 euro

I soliti accordi - tributo a Enzo Jannacci

Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Per contattarci

38

45

54

TOP 15

Paesi per disoccupati 1 2 3 4 5 6

34 Foto Romano Siciliani, Anna Brenna Disegni Sergio Gerasi, Alessandro Mazzetti, Silva Nesi, Luca Giorgi

dati maggio 2015, fonte: Eurostat

6

7 8 9 10 11 12 13 14 15

Grecia Spagna Cipro Croazia Portogallo Italia Francia Irlanda Bulgaria Belgio Lituania Polonia Danimarca Repubblica Ceca Germania

Progetto grafico Francesco Camagna Sito web Roberto Monevi Editore Oltre Soc. Coop. via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti

25,60% 22,50% 16,00% 15,80% 13,20% 12,40% 10,30% 9,80% 9,70% 8,60% 8,20% 7,80% 6,20% 5,90% 4,70%

Direzione e redazione centrale - Milano Cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3 tel. 02.67479017 scarp@coopoltre.it Redazione Torino Casamangrovia, corso Novara 77, tel. 011.2475608 scarptorino@gmail.com Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12 tel. 010.5299528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Verona Il Samaritano, via dell’Artigianato 21 tel. 045.8250384 segreteria@ilsamaritanovr.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38 tel. 0444.304986 scarp@caritas.vicenza.it Redazione Venezia Caritas Venezia, Santa Croce 495/a tel. 041.5289888 info@caritasveneziana.it Redazione Rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69 tel 0541.780666 rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Il Samaritano, via Baracca 150/e tel. 055.3438680 samaritano@caritasfirenze.it Redazione Napoli Cooperativa sociale La Locomotiva via Pietro Trinchera 7 scarp@lalocomotivaonlus.org Redazione Sud Caritas diocesana, Salita Corpo Di Cristo, Teggiano (Sa) 0975 79578 info@caritasteggianopolicastro.it

Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber via della Volta 179, 24124 Brescia

Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 26 settembre al 30 ottobre ottobre 2015 Scarp de’ tenis

5


Vaalle Imagna, in provincia di Berggamo A Costa V (950 m s.l.m.) ai piedi del monte Resegone, circondato dal verde e dall’incantevole scenario deelle Prealpi Orobie, si trova, in posizione splendidamente panoramica e tranquilla, il Residence Hotel Primula.

Rgt"nc"vgt|c"gv ."cwvquwhÞekgpvk"g"rct|kcnogpvg" pqp"cwvquwhÞekgpvk Assistenza alla persona 24 ore su 24

L’hotel, dotato di ampi spazi comuni, sala ristorante interna tipica, sala lettura con caminetto, bar caffetteria, solarium al qu quarto piano e pineta, vi offre il meglio per le vostre vacanze. Diispone di camere doppie, singole e suite con servizi, TV-sat, telefono diretto, as a censore, servizio lavanderia, parrucchiera e bus naavvetta. L’hotel è gestito direttamente dalla famiglia Brumana; mamma Pia, che si occupa dellla cucina vi vizierà con i suoi deliziosi manicaretti. Sara che vi accoglierà al vostro arrivo in hotel. Andrea, laureato in scienze infermieristiche, responsabile del servizio di assistenza, sempre a qualsiasi vostra necessità. disposizione per qu Marta, la piccola di casa, iscritta all’istituto alberghiero, addetta al servizio bar e ad organizzare paasseggiate per fa farvi ammirare le bellezze dellla nostra natura. Il tutto sapientemente diretto da papà Mario.

Residence Hotel Primula Via XXIV maggio, 104 24030 Costa V Vaalle Imag a na (Bergamo) tel. 035.865.277 ffaax 035. 5 865.306 info@primulahotell.it www.primulahotel.it

CA R M I N T I STA M PATOR E A LM È BG 035541662 R I PRODUZ ION E V I ETATA

Tutta la fa famiglia ed il personale saranno costantemente impegnati perchè vi sentiate a vostro agio, protetti, in un clima caloroso e sereno.


(IN)VISIBILI

Davanti alle vite in pericolo c’è solo l’alfabeto dell’umanità

di Paolo Lambruschi

Avete già dimenticato la foto di Aylan? Avete già scordato dopo più di un mese il corpicino del piccolo curdo siriano di tre anni riverso sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia? Avete già scordato il gendarme turco che lo porta via e la foto di festa con il fratellino di cinque anni, anch’egli annegato insieme alla mamma quando la barca che doveva portarli in Grecia si è rovesciata? Spero di no e se quelle terribili fotografie (chi le ha scattate ha detto «Sono venuta al mondo per quello scopo») sono ancora impresse nella vostra memoria,

se ogni volta che vedete un barcone carico di migranti o una colonna di disperati in marcia verso i nuovi muri che l’Europa ha eretto a est vi ricordate di Aylan della sua piccola vita spezzata in un viaggio senza ritorno, allora c’è una speranza per gli invisibili. Perché il paradosso dell’era della comunicazione globale è che le immagini, anche le più crude, creano assuefazione e indifferenza anche davanti alla morte e al dolore. Ma chiunque sia stato

Se ogni volta che vedete un barcone carico di migranti o una colonna di disperati in marcia verso i nuovi muri che l’Europa ha eretto a est vi ricordate del piccolo Aylan e della sua vita spezzata, allora c’è una speranza per gli invisibili

scheda

Paolo Lambruschi è nato a Milano nel 1966. Lavora ad Avvenire, come capo degli interni, dopo essere stato per tanti anni inviato. Ha diretto Scarp de’ tenis e il mensile di finanza etica Valori. Nel 2011 ha vinto il prestigioso premio giornalistico “Premiolino” per le inchieste sul traffico di esseri umani nel Sinai.

genitore o abbia un cuore, davanti a quella foto è rimasto choccato. Si può discutere di qua-

lità di accoglienza, ci possiamo dividere su chi ha diritto di venire o meno in Europa, ma davanti a una vita in pericolo c’è l’alfabeto dell’umanità e nessuno deve tirarsi indietro. Chi lo

pensa, chi ha scritto soprattutto sui social media frasi irripetibili contro i migranti morti e la Guardia costiera – ad esempio – a ogni salvataggio effettuato o mancato, ora deve fare i conti con la foto di Aylan e con le domande che pone, deve fare i conti inesorabilmente con il dolore e la morte innocente che sono umanamente inspiegabili. Perché nei social media, esattamente come nella nostra coscienza, le parole non si cancellano mai, restano indelebili ad accusarti. Non li invi-

dio, questi predicatori di odio, sia i politici di basso conio che i loro seguaci più ottusi, gente che Angela Merkel ha definito con un vecchio, elegante e sempre efficace vocabolo: marmaglia. Certo, non sarà la morte di

un bambino a cambiare le cose, probabilmente. Tra le vittime invisibili della grande migrazione in atto se ne contano migliaia di cui non sappiamo nulla, hanno finito le loro vite nel deserto o in fondo al Mediterraneo. Aylan almeno l’abbiamo visto, l’Europa lo ha visto. E se tanta gente ricorda questa tragedia a distanza di

un mese, c’è speranza che la politica non resti indifferente, che agisca per fermare e governare con umanità e buon senso questo flusso senza fine. Perché la pace in Siria non arriverà domani, l’Isis non sarà sconfitto l’anno venturo, di colpo Eritrea e Gambia non diventeranno democratiche, Boko Haram in Nigeria e Al Shabaab in Somalia non smetteranno di fare attentati, quindi il popolo degli invisibili in fuga non si fermerà con i muri. Seminatori di odio

E i poveri italiani? L’altro paradosso è che proprio chi li aiuta (ad esempio la Caritas) viene accusato di trascurarli per aiutare i migranti da chi non fa nulla né per gli uni è per gli altri. “Prima gli italiani”, “aiutiamoli a casa loro” sono i ritornelli più efficaci dei seminatori di odio, quelli che odiano invisibili italiani e stranieri hanno solo bisogno di un nemico per raccattare voti e dare un senso al proprio vuoto interiore. Non ci sono risposte più convincenti dei fatti, una è quella che tenete tra le mani. Scarp de’ tenis è da 20 anni l’esempio che chiunque bussa viene accolto perché in certi posti non c’è precedenza e semmai si divide, anche il poco.

ottobre 2015 Scarp de’ tenis

7



IL TAGLIO

La coppia dell’acido, un bimbo e un futuro da tutelare L’acido diventa oro, per chi è sordo ai vagiti di un bambino.

di Piero Colaprico

I gruppi facebook a sostegno del togliere o del restituire il neonato alla madre. Il nome del piccolo stampato, citato, ripreso dai media. Aspiranti papà e mamma che hanno scritto al Tribunale dei minori per dichiararsi disponibili a “rilevare” il bambino. Assistenti sociali che chiedono il silenzio stampa, giudici che tengono le bocche cucite, gli avvocati di Martina Levato e Alexander Boetccher che fanno sapere, day by day, che cosa pensano quei due giovani che qualcuno ha definito “gli amanti diabolici” e/o “la coppia dell’acido”.

Cominciamo dalle ultime definizioni. Coppia dell’acido è brutale, ma può andare.

Com’è noto, i due erano entrati in un meccanismo delirante che li portava ad aggredire gli ex amici intimi di Martina: aggressioni feroci, con l’acido muriatico lanciato contro le vittime, a volte anche sbagliando bersaglio. Amanti diabolici è molto meno tollerabile. Il diavolo, nei vangeli, e anche nei libri (a cominciare dal grandissimo Il maestro e Margherita) è intelligente, una qualità che si fatica a trovare nei comportamenti dei due. Anche amante è un ter-

scheda

Piero Colaprico (Putignano 1957), giornalista e scrittore, vive a Milano dal 1976. È inviato speciale di Repubblica, si occupa di giustizia e di cronaca nera. Ha scritto alcuni romanzi, tra cui Trilogia della città di M. (2004), vincitore del Premio Scerbanenco. Una penna tagliente. Come questa rubrica che cura per Scarp.

mine sbagliato. Lo stesso verbo amare è fuori luogo: amare? È emerso un rapporto senza ri-

spetto, una sottomissione e una prevaricazione, violenza e manipolazione: se questo è amore… Amanti sono quei poveri esseri umani che vivono vite parallele: la famiglia con partner e figli da una parte, e altre storie, altri spasimi dall’altra. Gli amanti hanno la loro poesia e le loro tragedie, le loro gioie, le loro meschinità. Come tutti. Ma hanno – situazione indispensabile – bisogno del sotterfugio e del silenzio. Tra Martina e Alexander niente sipario: Boetccher è separato, Martina è single, si incontrano e

Anche questa storia non insegnerà niente a chi pensa – senza scrupoli – di poterci guadagnare sopra

si frequentano. In che senso possono essere definiti “amanti diabolici”? Questa storia dove

non mancano le parole sbagliate sarebbe forse già stata dimenticata, o ridotta negli spazi, ma siamo a Milano, città che fa notizia, e qui ad agosto è nato il figlio della coppia. Questo bimbo, del

tutto ignaro, ma riconoscibile bene oltre i confini della clinica, è “il figlio della coppia dell’acido”. E

Martina, la madre, detenuta, muta al processo, muta con le vittime che voleva “cancellare”, vuol tenerlo, e si dice disperata perché la magistratura minorile ha invece avviato la procedura per l’“adottabilità”. Per to-

gliere il neonato ai genitori biologici, per affidarlo a chi, meglio di loro, si ipotizza, potrebbe farlo crescere. Ora, al di là delle tifoserie (qui non si prendono in considerazione) e della speranza di rinascita di tutte queste persone (mai da escludere), esistono alcuni dati di fatto. Il tribunale dichiara abi-

tualmente adottabili figli di ragazze madri povere, incapaci di mantenere se stesse. I figli di tossicomani, che magari sono già in fase di recupero. I figli di genitori assenti, balordi, ubriachi. Non può dunque “togliere” – usiamo questo verbo con cautela – i figli a chi ha commesso azioni di una cattiveria esemplare, com’è quella di deturpare il volto di un altro? L’ “in-

teresse del minore” è il bene supremo da tutelare per la legge italiana. Ora, il bene supremo è

che il piccolo resti con la mamma, e con quella mamma, che non ha mai dato risposte sensate alle accuse? O che provi da subito ad avere un’altra vita? Immaginiamo di avere un’emergenza: affideremmo mai nostro figlio al signore ubriacone del piano terra o all’inquilina che si prostituisce per comprare “la roba”? O a due vicini di casa, lui, uno che si è tatuato delle cicatrici fasulle sul collo, per sembrare un duro, che ha i muscoli gonfi di palestra, e lei che gli deve obbedire in tutto e per tutto, che l’abbiamo sentita sottomessa, soggiogata, immiserita, lei che si è lasciata “marchiare” con le iniziali del nome di lui?

Non si può cancellare il passato con un tratto di penna, non si può cambiare vita solo con le parole. Fare i giudici è

un mestiere molto, molto difficile. E fare i giudici dei minori è difficilissimo. Èpiù facile spararle grosse, fare i tifosi nei talk show, organizzare i “mi piace” su facebook. E non è difficile, in questo paese di assistenti sociali che guadagnano poco, di magistrati a caccia di popolarità, di giornalisti che hanno venduto l’anima al diavolo degli scrupoli, immaginare di vedere, prima o poi, una telecamera che di nascosto arriva a inquadrare – chi? – “il figlio dell’acido”. Perché come spesso succede, anche questa storia non insegnerà niente a quelli che pensano di guadagnarci. ottobre 2015 Scarp de’ tenis

9



PIANI BASSI

Sotto la protezione di un piccolo santo esanime

di Paolo Brivio

Lo scenario complessivo, difficile negarlo, è da dramma epocale. Ma si può cominciare dalle comiche. Perché la Storia, che sa essere ironica, questa volta si è superata. Facendo sovrastare dai passi disperati e speranzosi di fiumi di fuggitivi le patetiche grida del pettoruto Leader Magiaro, che progettando Muri Spinati si è ritrovato piazze, stazioni, treni e autostrade colmi di ospiti da lontano: a dimostrazione del fatto che i cosiddetti buonisti non hanno ricette risolutive di fronte alla sfida delle migrazioni globali, ma molto me-

non bisogna sottovalutare il fatto che anche le leggi più pragmatiche devono incardinarsi, se non vogliono crollare sotto i colpi della storia, su un terreno morale profondo. E la natura più profonda dell’uomo è striata di moti di spirito, di echi emotivi e di legami con i propri simili, che vanno oltre la razionale valutazione di costi e benefici. Sono moti, echi e legami che la quotidianità può assopire, ma che vengono prepotentemente scossi, quando a essere esposta è l’ingiustizia più profonda: il dolo-

no ci capiscono i ruspisti ruspanti e gli intransigenti architetti

l’autore Paolo Brivio, 48 anni, si è appassionato ai giornali ai tempi dell’università. E ha coniugato questa passione-professione con l’esplorazione dei “piani bassi” della nostra società. Direttore di Scarp dal 2005 al 2014, oggi fa il sindaco: pro tempore, perché rimane “giornalista sociale” in servizio permanente effettivo

di barriere. Difensori di purezze etniche, religiose e socio-economiche, peraltro tutte da dimostrare. E veniamo al dramma. È stato scritto che un esodo di portata storica, come quello che si propaga in queste settimane verso l’Europa, non si governa con l’emotività suscitata da un’immagine, per quanto terribile, ma con il raziocinio ispirato a prudenti valutazioni sulla sostenibilità economica, sociale e culturale dei flussi in entrata, e a solidi argomenti di natura geopolitica.

Il bambino Aylan ci ha trascinato sul terreno della compassione: tragitto non facile, strumentalizzabile, né per forza a lieto fine. Ma la natura Tradotto in parole povere: più profonda accogliere tutti non è possi- dell’umano bile, senza mettere a repentaglio gli è striata di moti equilibri delle nostre comunità. Il realismo impone scelte e distinzio- di spirito che vanno oltre ni, da tradurre in regole e quote. Tutto giusto (a patto di rivedere la razionale la pessima, ipocrita, irrealistica legge che governa, nel nostro paese, valutazione l’immigrazione “economica”). Ma di costi e benefici

re, se non la morte dell’Innocente. Capaci di “soffrire con” Dato per letto Camus, prego i lettori di considerare la mia piccola esperienza. Due volte, nella vita, mi è capitato di vedere bambini morti.

Urti terribili, non solo perché inattesi. Una volta, all’obito-

rio dell’ospedale vicino a casa: una bambola di cera di più o meno tre anni mi ha gelato il cuore e bruciato le parole. Soprattutto, mai scorderò l’anonimo piccolino, nudo su un tavolo nudo, nel Ruanda post-genocidio: pure lui vittima di un tempo barbaro, solcato da violenze inenarrabili e ondate di profughi. Con me c’era un sacerdote: «Dagli una benedizione», gli sussurrai. E il don, smorto e folgorante: «È lui che benedice noi». Ecco, anche le leggi più avvedute non possono trascurare che noi umani siamo capaci di com-passione. Di “soffrire con” i nostri fratelli e sorelle. È una forza potente, che vince (non sempre, ma può farlo) l’altrettanto potente impeto a sbarazzarci del prossimo, quando lo avvertiamo d’ostacolo. Il bambino Aylan, corpicino esanime sulla spiaggia di Bodrum, ci ha trascinato (individui, popoli, governi) sul terreno della compassione: tragitto non facile, strumentalizzabile, né per forza a lieto fine. Ma spero che Aylan continui a tenerci

sotto lo scacco della sua benedizione: piccolo santo protet-

tore di un’Europa sempre razionale, ma solidale, aperta e unita. ottobre 2015 Scarp de’ tenis

11


12 Scarp de’ tenis ottobre 2015


LA FOTO

di Edward Burtynsky

scheda

Edward Burtynsky è uno dei più apprezzati fotografi canadesi. Il suo immaginario esplora l'impatto collettivo che noi esseri umani stiamo avendo sulla superficie del pianeta, il controllo che abbiamo imposto ai paesaggi naturali. Le sue opere sono presenti nei più importanti musei e gallerie del mondo.

Per la prima volta in Europa, Palazzo della Ragione Fotografia presenta a Milano Edward Burtynsky. Acqua Shock il progetto del fotografo canadese (St. Catharines, Ontario, 1955) dedicato all’acqua. Immagini splendide , specchio di una verità che non vogliamo affrontare: il liquido più prezioso non è eterno

748 milioni Sono le persone non hanno accesso ad una fonte controllata di acqua

2.5 miliardi Sono le persone che nel mondo usano acqua non sanificata

43% Solo il 43% delle acque d’Europa si trova in uno stato ecologico e chimico buono

Fiume Markarfljòt n. 1, controllo dell’erosione. Islanda 2012 © Edward Burtynsky / courtesy Admira, Milano

ottobre 2015 Scarp de’ tenis

13


IN BREVE

europa Profughi: quando la realtà supera la politica

di Enrico Panero «In questa Unione europea non c’è abbastanza Europa e non c’è abbastanza unione» ha dichiarato Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, illustrando lo Stato dell’Unione al Parlamento europeo. La questione dei profughi e dei rifugiati è stata portata ad esempio delle «non buone condizioni» dell’Ue e della necessità di «cambiare subito questa situazione». Duro il monito di Juncker: «È il momento che l’Ue, le sue istituzioni e tutti gli Stati membri agiscano insieme con coraggio e determinazione. Si tratta di una questione di umanità e dignità». Mentre le diplomazie discutevano della necessità o meno di quote di profughi la realtà ha travolto ogni cosa: 351.314 migranti giunti sulle coste europee nei primi otto mesi dell’anno, 2.643 morti nel Mediterraneo e 112 nel resto dell’Europa, le immagini di migranti che tentavano di superare barriere e blocchi di polizia, quelle del piccolo annegato sulle coste turche, la forza simbolica delle marcia di profughi in Ungheria, sono fatti che hanno “imposto” all’Ue decisioni che tardavano ad arrivare in merito all’accoglienza. Anche perché, come ha detto Juncker, questi rifugiati rappresentano appena lo 0,1% della popolazione totale dell’Ue e, inoltre, «si tratta anche di una questione di equità storica»: la storia d’Europa è segnata da milioni di europei in fuga da persecuzioni, guerre, oppressioni, perciò «noi europei non dovremmo mai dimenticare perché è così importante offrire accoglienza e rispettare il diritto d’asilo». missingmigrants.iom.int

14 Scarp de’ tenis ottobre 2015

Dal 21 al 29 novembre 2015 torna la Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti per informare ed educare a nuovi comportamenti virtuosi in termini di rifiuti e sostenibilità. La settimana nasce anche con l’inten-

Un gioco che insegna a rendere il futuro più sostenibile Dematerializzazione significa fare di più con meno: la digitalizzazione dei documenti e l’informatizzazione dei processi e delle comunicazioni, la sostituzione di beni fisici con servizi, la condivisione di uno stesso bene fra più persone, il riutilizzo di oggetti per più funzioni, la riduzione degli imballaggi sono solo alcuni esempi di modus operandi che hanno nella creatività, nelle buone pratiche e nelle tecnologie smart la loro chiave di volta.

to di coinvolgere pubbliche amministrazioni, associazioni e organizzazioni no profit, scuole, università, imprese, associazioni di categoria e cittadini a proporre azioni volte a prevenire o ridurre i rifiuti a livello locale e nazionale. Per entrare a far parte di questa rete di azioni virtuose ci si deve iscrivere, fino al 31 ottobre, al sito www.ewwr.eu registrando la propria iniziativa. www.menorifiuti.org

street art Muri come tele alle pendici delle Alpi piemontesi A due passi dalle Alpi, fino alla fine di ottobre, si ripete l’appuntamento con lo StreetAlps Graffiti Art Festival. I muri della provincia torinese di Pinerolo e Torre Pellice, le location scelte per la seconda edizione, diventano “tele” su cui numerosi artisti internazionali si alternano per dipingere ciascuno con la propria tecnica e le storie da raccontare. Tanti gli artisti, nostrani e internazionali, che si cimentano quest’anno con i panorami alpini: da Borondo a Pixelpancho, da Reka a Pastel, Elian, Milu Correch, Christian Riffel, Jorit, CT, 108. Lo StreetAlps è il primo festival nel suo genere ad essere proposto ai piedi della catena montuosa più importante d’Europa e la mission della manifestazione, oltre a voler diventare il punto di incontro dell’arte urbana internazionale, è quella di realizzare, anno dopo anno, opere importanti per poi pianificare tour turistici specifici sulla street art proprio nella zona. Un progetto ambizioso, in parte già avviato grazie allo Street Art Tour di Torino. www.streetalps.com

on

off

Deborah Alma è una donna che ha trovato nella poesia e nella prossimità la cifra della sua vita. Un po' scrittrice, un po' poetessa e un po’ dottoressa, percorre la Gran Bretagna con la sua ambulanza scassata degli anni ’70 prescrivendo ai suoi pazienti delle poesie contro il male di vivere. La donna fa accomodare i pazienti e li ascolta parlando a lungo con loro, entra in empatia con le persone e aspetta che si aprano senza inibizioni. E poi gli fa ascoltare la poesia giusta. Deborah ascolta anche duemila “pazienti” ogni anno, e prescrive loro la stessa medicina: poesie per l'anima. L'Emergency poet è ormai famoso in tutto il Paese e ha varcato anche i confini: Deborah Alma è stata recentemente intervistata, infatti, anche dalla Stampa di Torino e ha spiegato la sua missione raccontando che ha 300 poesie nel suo archivio e dopo aver individuato i sintomi del paziente prescrive loro la poesia più adatta. Perché ogni afflizione del cuore ha la sua cura nelle parole giuste.

Ad oggi almeno 100 mila lavoratori muoiono ogni anno a causa di tumori legati al lavoro e all’inadeguatezza delle misure in vigore all’interno dell’Unione europea. La cifra è contenuta in un documento ufficiale dell’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro, con sede a Bilbao. Ma secondo Laurent Vogel, dell’Istituto sindacale europeo (Etui), si tratta di una stima ottimista perché le cifre dell’Agenzia di Bilbao non includono i casi di tumore causati dalle sostanze che alterano la funzionalità del sistema endocrino, i cosiddetti perturbatori endocrini. Sempre secondo Vogel con le nuove regole che l’Unione Europea vorrebbe introdurre, il cosiddetto progetto Better Regulation, si renderanno inefficaci le misure adottate dall’Unione per proteggere i lavoratori esposti ogni giorno a prodotti chimici altamente tossici.

Pronto soccorso on the road per pazienti depressi

In Europa migliaia di morti per tumori legati al lavoro


[ pagine a cura di Daniela Palumbo ]

Opera San Francesco a Milano. Grandi cuochi all’opera

Ritratti d’attore, al Teatro Elfo di Milano Dal 28 ottobre al 4 novembre al Teatro Elfo Puccini sarà possibile visitare la rassegna fotografica Breakaleg – Ritratti di scena della fotografa milanese Laila Pozzo. Un lungo lavoro di ricerca fotografica e umana dentro i teatri, dietro le quinte. Perché fotografare il teatro, e l’artista che sta per trasformarsi in qualcun altro, è difficile, è una sfida che la Pozzo ha raccolto. Attraverso sguardi e gesti i ritratti della fotografa descrivono l’artista che si avvia a far emergere i personaggi che dovrà interpretare. Gli attori hanno regalato alla fotografa un anticipo di teatralità che è un regalo anche per tutti gli appassionati del teatro. www.breakaleg.it

mi riguarda A Vicenza la Notte dei senza dimora Scarp sarà a Schio e Lonigo

pillole homeless Una rete di medici per curare i senza dimora A Pittsburgh, in Pennsylvania, vive il dottor Withers. Un medico particolare perché è conosciuto per essere il medico dei senzatetto della cittadina. Withers conta oltre 23 anni di attività al servizio di persone meno fortunate, i suoi pazienti in difficoltà economica sono stati ad oggi oltre diecimila. Una figura straordinaria anche sotto un altro aspetto: per non far sentire a disagio le persone senza dimora spesso si finge clochard. Intervistato dalla Cnn ha detto: «Solo così mi è stato possibile avvicinarli e constatare il loro stato di salute; poi, con il tempo, abbiamo preso confidenza. La pioggia, il freddo e lo stile di vita insalubre, insieme alle cattive condizioni igieniche, espongono i senza tetto a ogni tipo di malattia. A ciò si aggiunga che per lo più queste persone non hanno accesso al sistema sanitario». E ora il progetto del dottore è di creare una rete di medici di strada in molte città americane. Per questo ha fondato una ong, la Street Medicine Institute.

A Vicenza il 17 ottobre la notte dei senza dimora comincia presto, già alle 17: tante piazze anche quest'anno, da Arzignano, Bassano del Grappa, Schio, Valdagno, Vicenza. E a Lonigo il 24 ottobre. La redazione di Scarp sarà a Schio e Lonigo per collaborare alla riuscita dell'evento raccontando storie di povertà e sofferenza, ma anche riscatto e dignità umana. Nelle piazze sono previsti banchetti informativi sulla situazione delle persone senza dimora della diocesi di Vicenza, sul rispetto dei diritti di cittadinanza e sui tanti servizi dei comuni e della Caritas sul territorio, dedicati alle persone senza fissa dimora. Insieme alla musica si ascolteranno i narratori, le storie di ordinaria disperazione e di rinnovata speranza. In serata si mangerà insieme e si visiteranno mostre fotografiche sul tema. Tutta la rete d'inclusione sociale del Vicentino è impegnata sul fronte dell'organizzazione e molte sono le piazze che ospiteranno gli eventi dedicati al 17 ottobre.

Domenica 18 ottobre 2015 torna l’appuntamento di Opera San Francesco per i Poveri Onlus, Grandi Cuochi all’Opera, realizzato in collaborazione con Identità Golose. Sei grandi chef internazionali saranno i protagonisti del pranzo benefico e, per questo evento speciale, porteranno sulle tavole ricette originali che rappresentano i sapori e i profumi del mondo. Juan Lema, uruguaiano, della Trattoria Mirta, Cesare Battisti, italiano, del ristorante Ratanà; Victoire Gouloubi, chef africana da più di 10 anni a Milano; Haruo Ichikawa, giapponese, del ristorante Iyo; Guoqing Zhang, cinese, del ristorante Bon Wei; Alice Delcourt, francese cresciuta negli Stati Uniti, del ristorante Erba Brusca. Appuntamento a corso Concordia 3 con una donazione minima di 100 euro. Le donazioni raccolte verranno interamente destinate al sostegno della mensa. www.operasanfrancesco.it

Torino. Docufilm. La vita di otto persone, in strada Nessun Fuoco Nessun Luogo. Appuntamento giovedì 22 ottobre ore 21,00, presso le Officine CAOS di P.zza Montale 18/a, all'interno della rassegna CineSocialForum organizzata dalla Casa di Quartiere Le Vallette, in collaborazione con Stalker Teatro. Ingresso gratuito. Il documentario nasce nell’ambito del progetto Quando la città soffre, avviato nel 2012 e sostenuto da Caritas Italiana, Caritas Genova, Comune di Genova, Università di Genova, Fio.Psd e Fondazione Casa della Carità. Il titolo Nessun Fuoco Nessun Luogo, proviene da un proverbio francese. Nella consuetudine di una città che vive le sue solite giornate si snodano le vite di otto persone. Vite di strada, vite lente, per chi non ha posto dove stare né un lavoro da svolgere, per queste persone c’è il tempo da affrontare. facebook: quandolacittasoffre ottobre 2015 Scarp de’ tenis

15


IN BREVE

In tour per l’Europa con la guida scritta da ragazzi down Visitare l’Europa grazie alla guida scritta da ragazzi down. L’Aipd (associazione italiana persone down) ha avuto l’idea di realizzare la guida smart tourism dell’Europa, a realizzarla sono stati 70 ragazzi con sindrome di down insieme ad altri giovani europei. Le guide sono destinate a persone con disabilità intellettiva, con scarsa scolarizzazione o con poca comprensione della lingua. Finora sono state realizzate pubblicazioni smart tourism su Venezia, Dublino, Lisbona, Budapest, Praga, Roma, La Valletta. Testi ad alta comprensibilità secondo le tecniche del plain language, ovvero una scrittura che nasce negli anni Settanta nei paesi anglofoni per la semplificazione del linguaggio burocratico. La stesura dei testi ha coinvolto complessivamente 70 ragazzi con sindrome di Down, che hanno inizialmente individuato e visitato le città alla ricerca di notizie curiose e chicche con cui arricchire il testo. Info www.aipd.it

A Lucca la Fiera del fumetto C’è anche Scarp Fino al primo novembre torna l'atteso Lucca Comics and Games, il Festival internazionale del fumetto, del Cinema d'animazione, dell'illustrazione e del gioco. La Fiera del Fumetto più importante d'Italia, va in scena con grandi ospiti stranieri. Un appuntamento importante anche per il mercato del settore perché la fiera è aperta, oltre che al pubblico degli appassionati, anche gli operatori del settore, ai negozi specializzati e alle associazioni ludico-culturali. Presso lo stand di Renoir sarà possibile acquistare anche la copia a tiratura limitata di Scarp de’ tenis con l’inedito di Dylan Dog.

16 Scarp de’ tenis ottobre 2015

INTERVISTA

Niente è come te, storia di Margherita contesa tra i genitori di Daniela Palumbo

Sara Rattaro ha vinto il Premio Bancarella 2015 con il libro Niente è come te (ed. Garzanti). La protagonista, Margherita, ha 15 anni: è stata sottratta al padre italiano, dalla mamma danese, che l’ha portata nel suo paese, in Danimarca. Una storia tratta da una vicenda vera che ha colpito Sara anche perché si è resa conto che quella della sottrazione internazionale dei minori è un fenomeno che in Europa colpisce in modo più frequente il nostro Paese. Circa 300 casi l’anno. Ma molto è il sommerso. «A denunciare – spiega Sara - sono più gli uomini. Tante donne hanno paura di farlo perché, spesso, il marito è di religione islamica. Temono ritorsioni, sanno che in questi Paesi è difficile per una donna difendere un diritto». Ci sono leggi che tutelano i genitori a cui viene sottratto un figlio? Il problema è proprio il vuoto legislativo europeo. A dirimere il fenomeno c’è solo la Convenzione Aja sottoscritta nel 1980 da molti paesi europei, ma non dalla Danimarca ad esempio. La Convenzione afferma che i bambini portati via da uno stato europeo senza che vi sia accordo fra i genitori dovrebbero essere rimpatriati entro sei mesi perché i bambini sono abitudinari e trovano sicurezza nell’ambiente che frequentano normalmente. Di fatto, passati i sei mesi la Convenzione non ha più nessun potere. E ci si rivolge al Tribunale cercando il rimpatrio giuridico del minore... In Italia il diritto di famiglia non è debolissimo ma

spesso si trova ad avere a che fare con Paesi “prepotenti” in tema di diritto familiare. In Danimarca o in Germania ad esempio succede che anche quando i tribunali permettono a un genitore di venire in contatto con il figlio sottratto, gli incontri devono sempre avvenire in luoghi protetti, con assistenti sociali del luogo, e il genitore ospite deve parlare in danese o tedesco. Dopo una decina di incontri così stressanti è il minore che si rifiuta di partecipare. Avviene così la cosiddetta “alienazione genitoriale”. È l’obiettivo della Danimarca. Il genitore straniero viene “estromesso” dalla crescita del proprio figlio. Ma i tedeschi hanno sottosritto la Convenzione? Sì. Ma nel diritto familiare conservano una legge che risale al 1939, voluta da Hitler. Lo Jugendamt è l’agenzia federale, afferma che ogni bambino tedesco è patrimonio dello Stato. E deve restare in Germania. La legge del 1939 dice anche che il principio non vale per i bambini disabili, che possono essere espatriati. Perché accade che un genitore allontani un figlio dall’altro genitore? Io mi sono fatta l’idea che siano esse stesse persone che hanno subito un vuoto affettivo che si manifesta con l’incapacità di guardare ai sentimenti degli altri e al bene del proprio figlio. Anche Margherita, di cui io racconto, una ragazzina contesa tra due genitori, che ha subito vuoti affettivi pesanti; leggendo il libro ci viene voglia di abbracciarla e proteggerla ma purtroppo diventerà, presumibilmente, una adulta che odieremo perché per difendersi dal dolore spesso ci si allontana dalla parte migliore di noi. È l’eterna storia della vittima che diventa carnefice.


IN BREVE

Consegnato a Scarp de’ tenis il prestigioso Premiolino Due momenti della cerimonia che ha visto assegnare lo scorso 29 giugno a Scarp de’ tenis il Premiolino, il più prestigioso e antico tra i premi giornalistici italiani. Giancarlo Galli, storico inviato di Avvenire, a nome della giuria presieduta da Chiara Beria d’Argentine, ha consegnato il riconoscimento al direttore di Scarp, Stefano Lampertico.

In ottobre a Milano si parla di povertà Nell'approssimarsi del 17 ottobre, Giornata Mondiale contro la povertà, Milano dedicherà una settimana al tema per chiedere una legge specifica: l’Italia è infatti uno dei pochi Paesi a non avere una legge di contrasto alla povertà. Ronda Carità e Solidarietà è parte attiva del progetto e ha, fra le altre cose, in programma uno spettacolo teatrale sul tema. Grazie alla collaborazione con la compagnia “Imprevisti su misura” durante lo spettacolo viene proposto un quiz in cui attori-concorrenti risponderanno alle domande di spettatori-intervistatori, dando in cambio alcune sollecitazioni su cosa sia la povertà e cosa significhi ritrovarsi poveri. Una rappresentazione divertente che mira a far riflettere. Appuntamento al Teatro Caboto (via Caboto, ang. Piazza Po) alle ore 21 di domenica 11 ottobre 2015. Lo spettacolo “Colti a sorpresa” è gratuito.

LA STRISCIA

ottobre 2015 Scarp de’ tenis

17


LE DRITTE DI YAMADA

Pietro, il custode, e “il senso dell’elefante” di Yamada

di cui scrivo, invece, me lo hanno fatto comprare due occhi (che si sono commossi e sottratti a uno sguardo diretto coi miei) e un segnalibro autoprodotto, che lanciava segnali inequivocabili di voler finire proprio lì. Andiamo con

ordine, che ancora non ho detto il titolo: è Il Senso dell’Elefantedi Marco Missiroli. Entro subito subito nel vivo

Empatia, pietas, ascolto: il passato da sacerdote di Pietrofoggia il suo nuovo presente, e ne fa una figura indispensabile a tutti nel condominio

moglie Viola e la figlioletta Sara; l’avvocato Poppi, che cerca – con disperata ironia – di farsi forza e sopravvivere alla perdita di Daniele, il suo compagno di una vita. Poi c’è Riccardo. E Alice, del bar. E il piccolo Lorenzo. E il benzinaio, con il figlio Andrea. E Celeste, l’amore giovanile di Pietro, che scaravolta la sua vita e la sua fede. Non posso dire altro o svelare, perché Il Senso dell’Elefante è un libro che si rivela poco poco al lettore, grazie ai flashback di Pietro.

Lorenza Ghinelli Almeno il cane è un tipo a posto Rizzoli, 14 euro

Dunque non solo la vita di Pietro va emotivamente avanti e dolorosamente indietro, ma scorre –nel suo nuovo

Generazione in cerca di futuro Il racconto di una generazione che cerca di inventarsi un futuro lontano dal presente. Attraverso la voce narrante di una ragazza di periferia, Gaia che vive un tempo immobile, annoiata e frustrata, con lavori precari e attacchi di panico, l’autrice racconta l’ingresso difficile nell’età adulta.

e importante incarico di custode – accanto a quelle dei suoi condomini, curve sotto i pesi che Pietro ben vede e decide di prendere in condivisione con devozione, al di là dei legami di sangue: questo è “il senso dell’elefante” del titolo.

del libro, che è percorso da tante trame parallele umane e dolorose, potenziali grilletti premuti di fronte alla nostra lettura. La mano

salda che le tiene insieme è quella del protagonista della storia, Pietro, sessant’anni, originario di Rimini, giunto a Milano con una sola piccola valigia e la sua bici smontata, una Bianchi che verrà

Empatia, pietas, ascolto dell’altro: il passato da sacerdote di Pietro foggia il suo nuovo presente, e ne fa una figura indispensabile a tutti nel condominio.

ridipinta, in corso d’opera, di un rosso fiammante. Dentro il suo

bagaglio, almeno due sono le cose importanti da illuminare: una lettera su carta di riso

È un libro ben narrato, con tanti passi difficili da guadare: impossibile, davvero, restare indenni. Brumoso,

in una busta affrancata con un francobollo di Salgari, e una lunga tonaca di cotone nero. Era sacerdote, lui, prima di lasciare l’ordine e decidere di continuare la sua vita a Milano. Le storie dei comprimari cominciano a popolare i vari pianerottoli del libro quando Pietro trova lavoro in uno stabile, come portinaio. Ci vengono incontro, allora, una madre e il suo figliolo disabile, Fernando, la famiglia Martini con Luca, giovane medico, la

scuro e instabile, come le ruote della Bianchi di Pietro che sfrecciano veloci e vicine ai binari del tram. Ma anche luminoso, e commovente. Penso a due momenti: la gita in una Rimini gelida, con pulmino affittato per sei e soggiorno al Grand Hotel pagati dall’avvocato (col Rex avvistato sul mare piatto e d’argento da un nugolo di pensionati) e la notte d’amore di Fernando, intuita e attuata grazie a Pietro.

18 Scarp de’ tenis ottobre 2015

Fotografia di tre ragazzi alle prese con l’adolescenza e i cambiamenti che si porta con sé. Massimo si sente sfigato per colpa di Vito che gli ha affibbiato il nomignolo di Minimo. Vito però ha un segreto, fatto di lividi e serate trascorse trincerato in camera sua. Celeste è divisa tra l’essere se stessa o trasformarsi come mamma e papà la vorrebbero.

il libro Il Senso dell’elefante di Marco Missiroli Guanda, 2012

Ginevra Lamberti La questione più che altro Neri Pozza, 14 euro

Un thriller sui crimini nella ex Jugoslavia

[ a cura di Daniela Palumbo ]

Molto spesso al lavoro – in libreria –mi capita di consigliare dei romanzi. Questo

L’adolescenza tragicomica dei figli

Bosnia orientale, 1992. Sono tutti morti, tranne una ragazza di 16 anni che ha visto uccidere i suoi genitori ed è prigioniera di Dragan, capo di una formazione paramilitare. Milano, vent’anni dopo, tutto cambia per Michele quando nonno Folco lo incarica di scoprire chi sia davvero Nina, cameriera serba che lavora a Tirana. Franco Vanni Il clima ideale Laurana, 16 euro


Una scena del film in bilico tra documentario e film di finzione rappresenta una protesta vibrante alla censura Iraniana. L’ultima a salire sul Taxi non a caso è Nasrin Sotoudeh, avvocatessa dei diritti umani

VISIONI

Stretta amicizia e vite disperate Ostia, 1995. Vittorio e Cesare hanno poco più di vent’anni. Sono “fratelli di vita”. Una vita di eccessi: macchine, alcool, droghe e spaccio di cocaina. Vittorio col tempo inizia a desiderare una vita diversa. Cesare sprofonda. Ma Vittorio non abbandonerà mai la speranza di poterlo salvare.

Taxi Teheran Lezione di cinema

Non essere cattivo regia di Claudio Caligari

di Sandro Paté

nostro Enzo Jannacci che cantava già nei primi anni Sessanta: “In un tassì c’è sempre nascosta un sacco di roba, cose dimenticate, roba che non serve più. Due sospiri, tre illusioni spente insieme a un paio di mozziconi”. Allo stesso modo Jafar Pa-

nahi si inventa un film semplice come un viaggio in auto e una trama di poche parole. Il risultato, tuttavia, è da mostrare in tutte le scuole di cinema, magari appena prima di raccontare i dettagli della sua storia personale. Il regista che negli ultimi anni ha vinto più volte i più importanti festival cinematografici del mondo – trentacinque riconoscimenti secondo l’Internet Movie Database! – si è messo alla guida di un taxi giallo e ha cominciato ad accettare corse da chiunque.

Come in molti Paesi del Medio Oriente, anche il tassista di Teheran è disposto a portare a destinazione più di una persona se la strada da intraprendere è comune. Così lo spettatore, tra gli altri,

Jafar Panahi, pluripremiato e stracensurato regista iraniano piazza una piccola macchina da presa su un cruscotto, indossa un cappello scuro e si mette alla guida di un taxi sulle strade della città da cui non può scappare.

Il pericolo, una sfida da affrontare a tutti i costi “I limiti esistono soltanto nell'anima di chi è a corto di sogni”. Zemeckis dirige il film che racconta la storia del funambolo Philippe Petit e la sua folle impresa: ha camminato su un filo d'acciaio fra le Torri Gemelle a più di 400 metri di altezza.

Jafar Panahi sfida come può il regime che lo aveva condannato a sei anni di carcere, a stare lontano dai set cinematografici per venti con l’accusa di propaganda anti-islamica e firma uno splendido progetto di puro artigianato cinematografico.

The walk regia di Robert Zemeckis

Jafer Panahi, regista de Il palloncino bianco e Il cerchio ha vin-

to l’Orso d’Oro all’ultimo Festival di Berlino, ma non ha potuto partecipare alla cerimonia di premiazione

il film Taxi Teheran Iran - 2015 82 min. Regia, soggetto e sceneggiatura di Jafar Panahi

di Taxi Teheran. Ha mandato la nipote che recita con lui nel film e ha dichiarato: «Sono libero su cauzio-

ne. Pensavano che avrei lasciato il Paese ma io sono rimasto. Cos’altro dovrei fare, mettermi in un angolo e ammalarmi perché non posso più girare film?». Lezione di cinema.

Roma ai nostri giorni Lo sfregio di una civiltà [ a cura di Daniela Palumbo ]

Il taxi è un generatore di storie. Lo sapeva bene anche il

si troverà di fronte – fuori di metafora vista l’inquadratura scelta – a uno spacciatore di film e serie televisive di successo, una donna che deve portare all’ospedale suo marito ferito preoccupata che vengano registrate con il cellulare le sue ultime volontà, un ladro di portafogli, due donne che hanno una gran fretta di liberare due pesciolini rossi e una ragazzina che torna da scuola.

Suburra, quartiere popolare dell'antica Roma, è diventato il termine che indica il degrado sociale. I protagonisti sono noti: il politico colluso con la malavita, il pr che lavora per far incontrare la criminalità e la politica. Il boss erede della banda della Magliana. Suburra di Stefano Sollima ottobre 2015 Scarp de’ tenis

19


Mauro Berruto, torinese, classe 1969. Filosofo, antropologo, allenatore di volley. Con la Nazionale ha vinto il bronzo alle Olimpiadi di Londra. Nei mesi scorsi ha fatto molto discutere il suo abbandono della panchina azzurra

Mauro Berruto «Lo sport avanguardia d’integrazione» di Andrea Pedrinelli

Marito, padre, allenatore, filosofo, antropologo, scrittore. Poliedrico e profondo. A colloquio con l’ex allenatore della nazionale italiana di pallavolo 20 Scarp de’ tenis ottobre 2015

Basta una domanda banale per svelare Mauro Berruto, l’allenatore e, soprattutto, l’uomo. Quando gli si chiede quali siano stati il momento più bello e quello più brutto della sua carriera, questo torinese che ha messo al servizio della pallavolo la sua laurea in filosofia, risponde subito, senza esitazioni. Con due toni di voce ben diversi che non lasciano dubbi,

snocciola tre istantanee della sua esperienza nel mondo del volley professionistico. «I più belli sono due: il primo è la promozione in serie A1 con Piacenza. Nel 2002 pensavo fosse il più incredibile dei sogni da realizzare invece, poi, è arrivato il bronzo alle Olimpiadi con l’Italia e, ovviamente, è quello il secondo mo-


L’INTERVISTA mento più bello. È un’emozione difficile da spiegare: dal punto di vista sportivo, non riesco a immaginare nulla di più grande del rappresentare il proprio Paese». Arduo, se non do-

loroso, quindi, rinunciare al ruolo di Ct. Eppure Berruto l’ha fatto lo scorso luglio.

Alla vigilia della fase finale della World League a Rio de Janeiro, ha rispedito a casa

VeDro-siamotutticitti

quattro giocatori, tra cui il neo capitano Travica, per essere rientrati in albergo oltre l’orario stabilito. Poi, concluso il torneo al quinto posto, ha rassegnato le sue dimissioni perché, ha spiegato lui stesso sul suo blog, non sentiva più “completa fiducia” nel suo operato. Mauro Berruto, pentito di quella scelta? No, piuttosto provo rammarico perché quella decisione, quando è stata presa, era frutto di condivisione e solidarietà che, poi, per varie ragioni, sono venute meno. Detto questo, il passo indietro è arrivato perché non ritenevo ci fossero alternative. E rappresenta senza dubbio il momento più brutto della mia carriera. Che però, a soli 46 anni, è già ricca di soddisfazioni. Dove è cominciata la sua carriera? Da ragazzo non ero un grande atleta. Ho giocato poco e male. A Torino, però, abitavo a Borgo San Paolo, il quartiere del CUS che, negli anni della mia gioventù, era una grande squadra. La passione viene da lì mentre i primi passi da allenatore li ho mossi in oratorio.

In molti allenatori mi hanno detto: “Ora abbiamo anche noi l’autorevolezza per entrare in spogliatoio e lasciare qualcuno in panchina per motivi disciplinari, visto che succede anche in nazionale” E il grande salto? Grazie a Gian Paolo Montali. Quando ero ancora a Torino, gli mandai un lavoro di preparazione delle partite fatto al computer, una cosa da nerd. A lui piacque l’idea, o forse l’intraprendenza, e mi chiese di fare il suo vice. Era il 1996, in estate firmò con i greci dell’Olympiakos proponendomi di seguirlo e io accettai al volo. Un’esperienza all’estero, non l’unica della sua vita professionale. Quanto è stata importante? Anni come quelli vissuti in Grecia o in Finlandia sono stati decisivi. Valgono mille corsi di aggiornamento perché guardare il mondo da prospettive diverse offre enormi possibilità di crescita. Non solo nello sport, ma nella vita. Per alcuni, la diversità è motivo di paura. Per me, è fonte di ricchezza. Del resto, sono laureato in filosofia, ma con una specializzazione in antropologia culturale. In questa doppia veste di allenatore e antropologo, allora, che ruolo assegna allo sport nella nostra società? È uno degli ultimissimi linguaggi universali rimasti. Lo te-

stimoniano quelle foto scattate in zone di guerra in cui, molto spesso, compaiono dei ragazzini con indosso le maglie delle squadre di calcio europee. Oppure certe scuole delle nostre periferie dove gli alunni di origini straniere sono talmente numerosi che la matematica la si insegna in palestra, perché non ci sono altri modi di intendersi al di fuori dello sport. E dei professionisti, di fronte a tutto questo, come dovrebbero porsi? Custodire questo linguaggio universale è un loro dovere. Sono loro che decidono cosa far-

scheda Mauro Berruto è dottore in filosofia, padre di famiglia e scrittore di romanzi. Nato sotto la Mole nel 1969, per oltre quattro anni è stato la faccia del volley italiano. Dopo la trafila delle giovanili e delle serie minori iniziata con il suo CUS Torino in B1, esordisce nella massima serie con Piacenza per poi allenare Padova, Parma, Macerata, Montichiari e Monza. Nel mezzo un’esperienza da vice di Gian Paolo Montali in Grecia all’Olympiacos, il ritorno ad Atene da capoallenatore del Panathinaikos e il quarto posto agli Europei 2007 con la Finlandia, miglior risultato di sempre per la nazionale scandinava. Nel 2010 diventa CT dell’Italia con cui conquista il bronzo alle Olimpiadi del 2012 e due argenti agli Europei.Nei suoi quattro anni alla guida degli azzurri ha portato in nazionale maggiore trenta nuovi giocatori. Sposato con Margherita, ha due figli: Francesco e Beatrice Athina. Ha scritto due romanzi: Andiamo a Vera Cruz con quattro acca (2005) e Independiente Sporting (2007). Il terzo è in fase di lavorazione. Tifa Torino ed è opinionista per la Domenica Sportiva su RaiDue. Il suo sito è: www.mauroberruto.com [PR]

ne. Lo sport, pur con alcuni lati negativi, conserva un potenziale enorme: può essere un’avanguardia per cittadinanza e integrazione. Un professionista deve ricordarsi che non è solo una questione di vittorie e sconfitte, ma anche di responsabilità sociale. Per questo “il rispetto delle regole” è un “valore non negoziabile”? Sì, penso che rispettare le regole e le persone dovrebbe essere considerato “talmente bello da essere rilassante”. Quando garantiscono libertà e democrazia, le regole offrono la possibilità di realizzare i propri obiettivi. Senza, non si potrebbero contare i punti, non si inizierebbero nemmeno le partite. Vale nello sport, ma anche nella vita. In questo, pur amando molto la Grecia e soffrendo per la sua situazione, l’esperienza finlandese mi ha insegnato molto. Non le ha dato fastidio, quindi, aver quasi fatto più notizia per la motivazione delle sue dimissioni che per i successi delle sue squadre? No, tutto sommato ne sono felice perché ho ricevuto tanti messaggi di stima da altri allenatori, soprattutto dei settori giovanili. In molti mi hanno detto: “Ora abbiamo l’autorevolezza per entrare in spogliatoio e lasciare qualcuno in panchina per motivi disciplinari, visto che succede anche in nazionale”. Penso sia importante perché dobbiamo sempre ricordarci che per un ragazzo su mille che diventa professionista, ce ne sono altri 999 per i quali lo sport è “solo” un modo per crescere…

ottobre 2015 Scarp de’ tenis

21


COPERTINA

Poveri della Tecnicamente si chiamano famiglie “sicuramente povere”, il 4,7 per cento del totale a cui si aggiungono anche quelle “appena povere” e “quasi povere”, rispettivamente al 5,6 e al 6,8 per cento. L’appena e il quasi si riferiscono alla distanza dalla soglia di povertà. Stiamo parlando

22 Scarp de’ tenis ottobre 2015


porta accanto di oltre 4 milioni di famiglie. Ed è qui, in questo numero, che si trovano anche i “nuovi poveri”, cioè in buona parte le vittime delle grande crisi del 2008. Sono in mezzo a noi e sono come noi. Solo che fanno fatica ad arrivare a fine mese. Ma c’è chi non molla. Scarp racconta le loro storie

ottobre 2015 Scarp de’ tenis

23


COPERTINA

di Generoso Simeone

Nel suo ultimo rapporto sulla povertà in Italia, uscito lo scorso 15 luglio e relativo al 2014, l’Istat non parla di “nuovi poveri”. Tuttavia, accanto alla categoria di famiglie “sicuramente povere”, stimate nel 4,7 per cento del totale, l’istituto nazionale di statistica distingue anche quelle “appena povere” e “quasi povere”, rispettivamente con il 5,6 e il 6,8 per cento. L’appena e il quasi si riferiscono alla distanza dalla soglia di povertà. Complessivamente stiamo parlando di 4 milioni e 410 mila famiglie. Ed è qui, in questo numero, che si trovano anche i cosiddetti “nuovi poveri”, cioè quelli che si sono avvicinati o hanno oltrepassato la soglia di povertà dalla grande crisi del 2008. Scarpha approfondito il tema

24 Scarp de’ tenis ottobre 2015

con Francesco Marsico, responsabile dell’area nazionale di Caritas Italiana e curatore del prossimo “Rapporto sulla povertà in Italia”. Marsico, ma allora esistono i “nuovi poveri”? E chi sono? Da anni l’Istat ci dice che c’è un addensamento molto forte vicino alla soglia di povertà assoluta. Ma dare una definizione statistica di “nuovi poveri” è complicato. Possiamo comunque dire che i processi di impoverimento sono connessi al lavoro. Ma anche qui è difficile essere precisi perché ci sono quelli che il lavoro lo hanno perso, quelli che hanno un’occupazione precaria o discontinua e chi invece un normale contratto ce l’ha, ma con un reddito che lo colloca molto vicino alla soglia di povertà. Stiamo comunque parlando di persone che non provengono da storie di fragilità o di grave emargi-

nazione. E infatti in fila nei nostri centri di ascolto abbiamo visto soprattutto famiglie italiane. Ci sono comunque delle categorie che più di altre stanno soffrendo? La crisi ha distrutto alcuni settori economici e produttivi, penso soprattutto al tessile. Poi ce ne sono altri, come l’agricoltura, l’edilizia e il turismo contraddistinti da un forte elemento di stagionalità che pesa sulle carriere professionali e sul reddito annuo complessivo, oltre a esporre le persone occupate in questi ambiti a lavoro nero, sfruttamento, capolarato e incidenti. C’è anche un fattore generazionale che incide sull’impoverimento? La precarizzazione del lavoro ha reso i giovani più vulnerabili, non c’è


MILANO

Renzo, il pane come mestiere: «Un infortunio e ho perso quasi tutto»

Qui sopra Renzo, panettiere dalle mani d’oro che perso tutto a causa di un infortunio. Dopo un passaggio in dormitorio con la moglie e l’aiuto di Caritas sta cercando lentamente di risalire la china. Con dignità

dubbio. Però le persone anziane non verrebbero nei nostri centri di ascolto se non avessero figli o nipoti da mantenere. Perché poi ci sono anche quelli che perdono il lavoro dopo i 50 anni e che difficilmente riescono a ricollocarsi. Quali sono le differenze tra nord e sud del paese? Le regioni meridionali soffrono di più. Ma c’è stata una tracimazione del fenomeno povertà anche al nord, legata alla crisi economica che ha devastato diversi settori produttivi. Possiamo tuttavia affermare che al nord non c’è una diffusione omogenea dell’impoverimento. Cosa fanno i “nuovi poveri” per affrontare la situazione? Sono più quelli che riescono a riprendersi o quelli che si cronicizzano?

Mi sono trasferito da Genova a Milano per stare insieme a mia figlia che studia qui e cercare un posto di lavoro. Quando anche l’affitto è diventato insostenibile ho dovuto mollare: con mia moglie sono andato a finire in un dormitorio pubblico, io in quello maschile e lei in quello femminile. Stavo mollando. Ho chiesto aiuto ai suoceri, a miei fratelli e ai centri di ascolto Caritas. Ora ho una casa popolare e vado avanti con lavoretti

Fare il pane è una cosa bellissima. Lavori con le mani la materia che vive. Fare il pane vuol dire sfamare la gente, significa pace, fratellanza, bontà, vita. E allora perché Renzo non ha più un lavoro? Ha 58 anni e ha fatto il panettiere da quando aveva 14 anni. Dalle sue mani sono nate migliaia di pagnotte, ci sono stati migliaia di incontri al bancone, ragazzini con la pizza tra le mani e nonne con il pane fresco per i nipoti. E allora perché Renzo non ha più un lavoro? Viene da Genova, ha una moglie e una figlia, nelle mani il mestiere di una vita. «Quando ci siamo sposati – racconta – guadagnavo quelli che oggi sarebbero 2 mila euro al mese. Mia moglie ha smesso di lavorare per occuparsi della bambina. Che tempi». Renzo pagava l’affitto, aveva fatto la gavetta, quando aveva vent’anni il suo capo gli mostrò un panino e gli disse: «Il lavoro, con questo, non ti mancherà mai». Il pane è di tutti, il pane è vita ma Renzo non ha più un lavoro. La sua vita è crollata d’un soffio nel momento in cui ha cominciato a soffrire di un’infiammazione che gli impediva persino di fare il gesto più semplice per un panettiere: arrotolare i grissini. Ha dovuto farsi ricoverare e il titolare del negozio gli ha mostrato la lettera di dimissioni: «Firmala Renzo, fammi questo favore. Ci conosciamo da anni e io sono in difficoltà. Se la firmi ti prendi il Tfr e tanto un altro posto lo trovi subito». Renzo ha firmato, gli sembrava di fare una cosa onesta. «Quando sono guarito ho cominciato a girare per panettieri – ricorda –, ma trovavo solo contratti a scadenza che poi non mi venivano mai rinnovati. Ho cominciato a dubitare della mia bravura: ma ho qualcosa io, che non va? chiedevo. Ma no, mi rispondevano, tu sei bravissimo, sei una persona a modo. Solo che non ce la faccio a mantenerti». Ad un certo punto ha esaurito i soldi che aveva messo da parte, non ha più potuto pagare l’affitto. «Mia figlia studiava a Milano, e allora io e mia moglie, a 50 anni, abbiamo lasciato Genova e ci siamo trasferiti. Pensavo che Milano sarebbe stata una piazza migliore, ma anche qui ho trovato solo contratti temporanei». Così ha ricominciato a girare per panettieri, si è fatto a piedi Milano sotto la pioggia, la neve e il sole afoso. Poi, quando anche l’affitto nella nuova città è diventato insostenibile, Renzo ha dovuto mollare: lui e sua moglie sono andati a finire in un dormitorio pubblico, divisi in quello maschile e femminile. «Certo, ringrazio questi posti che esistono, ma per me è stato un inferno. Stava succedendo una cosa tremenda: cominciavo ad abbandonarmi, sentivo che non dovevo, interiormente, accettare quella situazione». La sua resistenza era l’ultimo modo per difendersi. Renzo ha chiesto aiuto ai suoceri, ai fratelli e ai centri di ascolto della Caritas. È approdato al Siloe (il Servizio di orientamento al lavoro di Caritas Ambrosiana), lotta per ritagliarsi i suoi piccoli lavoretti e ora vive in una casa popolare. Stefania Culurgioni

ottobre 2015 Scarp de’ tenis

25


COPERTINA Le famiglie di nuova povertà si rivolgono alla rete Caritas come ultima istanza. Quando arrivano da noi hanno già esaurito scorte di risparmio accumulato e aiuti di reti parentali. Per questo noi abbiamo visto esplodere l’emergenza tra il 2011 e il 2012, in quanto negli anni precedenti le famiglie hanno resistito attingendo alle proprie risorse. E anche perché potevano contare su meccanismi di cassa integrazione e simili. Le famiglie di nuova povertà cercano di resistere il più possibile perché non gradiscono interventi di tipo assistenzialistico. Il tema dell’uscita da una situazione di povertà è strettamente correlato al lavoro. C’è però un pericolo molto grave che incombe su queste famiglie. Quale? Chi si trova in difficoltà comincia a tagliare. E oltre che sui consumi e sulla salute un’altra voce di riduzione delle spese è l’istruzione. Un grande errore. In questi ultimi anni abbiamo visto ridurre le iscrizioni alle scuole superiori e alle università ed è cresciuto l’abbandono scolastico. Purtroppo, dico io, perché senza istruzione si ha accesso solo a lavori poco qualificati che danno bassi livelli di reddito mentre una solida carriera scolastica permette di uscire da una condizione di povertà. Certo, di per sé il percorso di studio non garantisce il lavoro, ma dà alla persona dei buoni strumenti per affrontare le situazioni difficili ed evitare conseguenze negative. Cosa si può fare sul piano delle politiche sociali? Il salario minimo può evitare il meccanismo degli stipendi troppo bassi. Il reddito di cittadinanza o di inclusione può essere utile, ma solo se accompagnato da un sistema di presa in carico complessiva della famiglia. La povertà non è un destino. Gli strumenti di aiuto ci sono, si tratta di fare di più e meglio dove il contesto territoriale è più arretrato.

26 Scarp de’ tenis ottobre 2015

Tessyhouse il servizio di baby parking nato per garantire entrate extra alla famiglia di Paolo e Carla. Storie di chi non si arrende alla crisi

Paolo, da giornalista a baby sitter Per resistere di Alberto Rizzardi

Dalla necessità di incrementare il redditto è nato Tessyhouse, servizio di baby parking a gestione familiare

Il giornalismo? È il lavoro più bello del mondo. Ma le garanzie e le prospettive per il futuro, oggi più che mai, sono pari a zero. Il giornalismo non è un lavoro come tutti gli altri: «Non è un mestiere che consenta un tempo libero autonomo rispetto alla professione. Richiede una vocazione. Se quella vocazione non c’è, è inutile provarci» sosteneva Eugenio Scalfari. E il discorso vale anche oggi. Ma, al netto di una vocazione autentica, fare il giornalista resta anche un’occupazione, che, come sancito dalla Costituzione, dovrebbe dare diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità di lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. È così? Non proprio. E il discorso


4.410.000 6,8% La famiglie che vivono sotto o molto vicine alla soglia della povertà in Italia

Popolazione “quasi povera” in Italia a cui si aggiunge un 6,8% “appena povera”

Ciro che ha quasi smesso di lottare: «A 55 anni nessuno mi vuole più» Ciro ha 55 anni: è nato a Milano nel 1960 da padre operaio, originario del Cremonese, e mamma contadina del Friuli, trapiantati in zona Lambrate, cuore, allora, di una città in espansione. Ciro è un nome di fantasia: quello vero preferisce non venga rivelato «perché, sai, – confida – qui alla fine ci si conosce tutti». Ciro vive ancora in quella Lambrate scelta anni fa dai genitori: ma, da allora, è cambiato tutto. Intanto perché Ciro ora è solo: non ci sono più i genitori e non ci sono più neanche i due fratelli, uno portato via dalla droga ancora giovane; l’altro, il maggiore, c’è ancora, ma i rapporti sono inesistenti. Ciro è disoccupato da quattro anni: l’ultimo lavoro l’ha perso nel 2011, dopo ventisei anni passati nei pubblici servizi. Da allora le cose si sono fatte sempre più difficili: «Quattro anni sono un periodo lunghissimo – racconta – e le giornate sembrano non finire mai. Ho sempre lavorato e so bene cosa sia la disciplina. Non sono uno scansafatiche: potrei mettermi lì, sui gradini davanti alla stazione, a bere, ma io non

IL CASO

mi arrendo, anche se è difficile». In questi quattro anni per lui solo qualche lavoretto occasionale, quasi sempre in nero; ma anche questi si sono diradati. C’è stato qualche anche tentativo di abbocco da parte della microcriminalità locale però rispedito al mittente: «Io non ho mai fatto del male a nessuno, ma confesso che ogni tanto un pensierino ti viene quando non hai più niente da perdere». Quando incontro Ciro, gli hanno staccato da poco la luce; e prossimamente toccherà al gas. Come si fa a tirare avanti con pochi euro al giorno? «Quando ho due soldi penso a una piccola spesa, anche se, ormai da tempo, mangio una sola volta al giorno. Poi alle sigarette. Ma con 10 euro, quando va bene, devi riuscire a fare tutto. E fare la colletta per comprarsi un pezzo di sapone è una cosa che non si può spiegare». Il futuro? Ha contorni nerissimi. «Me ne voglio andare: Milano è una città bugiarda, oggi più che in passato. Mi sento come in una buca: cerco un appiglio ma, anche quando si palesa, poi si rompe subito e ricado per terra».

VENEZIA

vale soprattutto per i giovani cronisti, chiamati a confrontarsi con paghe ridotte all’osso (risibili, in alcuni casi) e la necessità di reinventarsi continuamente, o cambiando settore o sommando collaborazioni o, ancora, diventando “Frankenstein della comunicazione” tra uffici stampa, case editrici e aziende.

Tradotto: se si ha la fortuna di avere un partner che ha un lavoro stabile e dignitosamente remunerato, si può sopravvivere e continuare a col-

disoccupato, non più giovanissimo ma nel pieno dell’età lavorativa. Non si è mai tirato indietro: quando le collaborazioni si sono fatte precarie e rade, ha optato per altri lavori e ha anche preso un attestato di assistente familiare. Sua moglie, Carla, ha un lavoro part time e ci sono due figli, uno all’università, l’altra, Marta, in quinta superiore. Insomma, i guadagni arrivano con il contagocce e allora serve aguzzare l’ingegno: detto, fatto.

tivare il proprio sogno; se si è soli o anche il compagno o la compagna ha un’occupazione traballante, c’è il rischio concreto di finire in povertà. Non assoluta, ma quasi.

In estate è nato Tessyhouse, un servizio di baby parking, in pratica un asilo aperto a bambini dai 4 anni in su per famiglie che hanno necessità in particolari periodi dell’anno: «Di fronte a una diffi-

Una famiglia unita A Spinea, 28 mila abitanti in provincia di Venezia vive Paolo: è un giornalista freelance, da qualche tempo

coltà – spiega Paolo – ci siamo chiesti, come famiglia come potessimo reagire, cosa potessimo fare. Avendo una casa grande, con un giardino

Amo il mio lavoro e farò di tutto per continuare. Ma bisogna fare i conti con la vita di tutti i giorni. È fondamentale reinventarsi e non abbattersi. Mai. Neppure nei momenti bui. È quello che stiamo provando a fare come famiglia. Insieme

e ambienti spaziosi, ci è venuta questa idea, anche perché mia moglie lavora nella segreteria di un asilo e mia figlia ha fatto un’esperienza in un centro estivo a contatto con i bambini. Offriamo una serie di servizi alle famiglie del territorio in un periodo in cui non ci si aiuta più come un tempo, la società è un po’ chiusa e i nuclei familiari isolati». Insomma, da una solidarietà familiare nasce una solidarietà sociale. «Non sono geloso – continua Paolo – del fatto che mia moglie guadagni di più: siamo una famiglia, una cosa sola. C’è, piuttosto, la sgradevole sensazione di sentirsi inutili e falliti senza un lavoro, con il rischio di deprimersi. Io amo la mia professione ma bisogna fare i conti con la vita di tutti i giorni. È fondamentale reinventarsi e non abbattersi. È quello che stiamo provando a fare. Come famiglia. Insieme». ottobre 2015 Scarp de’ tenis

27


COPERTINA

TORINO

Sempre più “normali” in coda alla Caritas: «Storie disperate, impossibile aiutare tutti» Marco ha 50 anni ed ha sempre lavorato: padre di due figli, mai nessun problema con la giustizia. Nel corso di un colloquio ha confessato di avere rubato alimenti in un supermercato: «Ho provato una tremenda vergogna, ma qualcosa a casa dovevo pur portare». A 55 anni Francesco ha perso il lavoro. All’inizio pensa di potersi ricollocare. Più passano i mesi, fatti di promesse aleatorie e porte chiuse, più si deprime. Vive a carico della moglie, che riesce ad arrabattarsi lavorando a servizio qualche giorno la settimana. Inizia a non cercarlo più, quel lavoro: trascorre le sue giornate chiuso in casa. Ed è proprio in casa che un pomeriggio lo trova sua moglie rientrata in anticipo, impiccato ad una corda. Riescono a salvarlo in extremis. Storie di ordinario orrore quelle delle persone che frequentano il centro d’ascolto Caritas “ Le Due Tuniche” al quale, dice Wally Falchi, referente del centro, sempre più spesso si rivolgono persone che fino a ieri conducevano una vita regolare: «Prima della crisi venivano da noi famiglie e singoli con una storia di povertà pregressa alle spalle, oggi veniamo contattati da precari, disoccupati ultracinquantenni, artigiani indebitati con Equitalia. Tutte persone che non hanno idea di come muoversi nel mondo del welfare, con cui non hanno mai avuto necessità di rapportarsi». Un altro segnale inquietante è l’aumento del livello d’istruzione di chi chiede aiuto: «Molti sono laureati, addirittura qualche tempo fa si sono rivolti a noi alcuni educatori, gli stessi che, anni fa, accompagnavano la gente da noi». Ci racconta di una donna sola con due bambini, laureata che parla tre lingue: «Proprietaria di un negozio, strozzata dai debiti ha chiuso l’attività; perduta anche la casa è andata a vivere in una struttura. Grazie ad un lavoro accessorio ed all’assegnazione di una casa popolare siamo riusciti a risolvere la sua situazione, ma non è possibile fare fronte ai casi che si presentano». Vito Sciacca

Tanti padri separati “costretti” alla povertà di Alberto Rizzardi

Povertà e crisi coniugale in Italia viaggiano parallele, specie per i padri: molti costretti a vivere con meno di 300 euro al mese 28 Scarp de’ tenis ottobre 2015

Tra le tante facce delle nuove povertà, quella dei padri separati è una delle più complesse e drammatiche, ma anche una di quelle di cui si parla meno. Spesso crisi economica e crisi coniugale viaggiano in parallelo. E in un Paese, l’Italia, dove nell’iter giudiziario per l’affidamento dei figli il padre è un soggetto debole, con il rischio di finire in povertà. La separazione implica una serie di difficoltà a cascata da affrontare, dal punto di vista economico, ma anche psicologico e sociale. Perché un padre separato deve provvedere al mantenimento dei figli, ma si deve cercare, nel contempo, un nuovo alloggio, con le relative spese, deve nutrirsi e, spesso, deve anche cercarsi un lavoro, nel frattempo perso. Il risultato? Sono sempre più numerosi i casi di padri separati finiti in po-

vertà, costretti a vivere in auto o per strada e a mangiare alle mense per i bisognosi. Tantissimi in difficoltà Secondo Caritas, il 66% dei padri separati non riesce a provvedere all’acquisto di beni di prima necessità per sé. Dai dati emersi da una ricerca promossa l’anno scorso dall’Istituto di antropologia per la cultura della persona e della famiglia con l’università Cattolica di Milano, all’associazione famiglie separate cristiane e a una quarantina di associazioni, un terzo dei padri separati, pagato l’assegno di mantenimento, dichiara di poter contare su un reddito residuo mensile che va dai 300 ai 700 euro, il 17% dai 100 ai 300 euro, il 15% meno di 100 euro al mese, poco più di tre euro al giorno. Per rispondere all’emergenza, si bussa alle porte del terzo settore, attento finora alla questione


LA STORIA

I soldi non bastano mai: i cattivi pensieri di Christian

Qui a fianco un bel primo piano di Aziz che in Italia pensava di aver trovato la pace. Fa mille lavoretti per mantenere i tre figli. E non molla. Nonostante tutto

IL CASO

ben più delle istituzioni. Sono tante le strutture a sostegno dei padri separati, da Nord a Sud: a Torino, per esempio, è attiva da un paio d’anni la Casa di Nonno Mario, una struttura voluta dalla Caritas Diocesana e da tre cooperative (Synergica, Giuseppe Di Vittorio e Lavoro e Solidarietà) per consentire ai padri separati di incontrare e passare qualche ora con i propri figli in un luogo pulito, accogliente e sicuro. Un’esperienza simile a Palermo, dove la Caritas Diocesana ha approntato 15 posti letto dedicati ai padri separati all’interno del Centro Agape di piazza Santa Chiara. A Rimini, già dal 2012, si è mosso il Comune, che, in una palazzina dell’Asp Casa Valloni in via Graff, ha realizzato il Residence dei babbi, una struttura per padri separati con 8 monolocali messi a disposizione per massimo 18 mesi con un affitto di 150 euro.

LA STORIA

Aziz, dal Marocco sognando la libertà: «Senza lavoro non ho più speranze» La notte bisognerebbe dormire, ma Aziz pensa alla giornata che sta per cominciare e a come la passerà. L’insonnia lo coglie soprattutto all’alba: fa il planning mentale dei luoghi dove andrà a cercare lavoro, gli amici, ex colleghi e conoscenti che andrà a trovare. «Mi propongo a tutti – dice – il mio ultimo lavoro l’ho ottenuto a luglio: c’era la festa del quartiere e la parrocchia mi ha chiesto di distribuire volantini. Mi hanno pagato 300 euro e per un po’ ho respirato». A casa, Aziz ha una moglie e tre bambini. «Me ne sono andato dal Marocco quando avevo 36 anni perché non volevo più vivere in un Paese che non rispetta i diritti delle persone», racconta. Lavorava come impiegato, allora, e viaggiava per l’Europa per le vacanze. Sì, era un “benestante”. Poi la scelta di vivere in un Paese diverso, democratico, promettente: l’Italia. «Ho trovato lavoro subito – dice – prima come riparatore di elettromestici, poi come capo assistenza in un’azienda internazionale. Poi ho trovato lavoro trasportando il tabacco nei bar, avevo uno stipendio di 1.500 euro, vivevamo bene». La giravolta è arrivata nel 2012 quando Aziz è finito all’ospedale per un’ernia al disco: «In quei mesi in cui sono rimasto bloccato a letto, il furgone dell’azienda ha subito una rapina. La titolare ha dichiarato bancarotta e ha chiuso per fallimento. Sono rimasto disoccupato e da allora è cominciata la mia agonia». Ecco come può cambiare improvvisamente la vita di una famiglia, ecco come Aziz, 53 anni, cittadinanza italiana, è diventato un “nuovo povero”. In Marocco, suo padre gli dice di tornare ma lui non ce la fa. «Non riuscirei più ad inserirmi a quest’età». È come se le sue strade fossero soffocate in entrambi i Paesi. Quello d’origine non lo conosce quasi più, quello acquisito non prospetta miglioramenti. I conti del mese parlano più chiaro di ogni parola: tre figli da sfamare e da mandare a scuola, le rate del mutuo arretrate, lavoretti estemporanei da qualche centinaio di euro. La Caritas dà ogni settimana il pacco alimentare, Aziz è aiutato dal Siloe che gli riesce a trovare colloqui con le aziende, ma quando lo vedono, cinquantenne e marocchino, è come se qualcosa si offuscasse sempre. «Ho scavato e scavato e adesso il coltello è arrivato fino all’osso – dice –. Guadagno 100 euro e li spendo con una precisione maniacale, e solo per i miei figli. Il futuro? Non ho speranze. Purtroppo».

Cattivi pensieri girano nella testa di Christian. Da quando suo padre è morto, quattro anni fa, tutto è cambiato. Può la vita di un’intera famiglia precipitare nel buio così? Esiste un prima, ed esiste adesso: «Prima, finché era vivo mio papà, facevamo fatica a vivere, ma ci riuscivamo – racconta –. Faceva il muratore e con il suo stipendio pagavamo l’affitto, compravamo da mangiare, eravamo abbastanza tranquilli». Il malore improvviso, un infarto, lo ha colto in una sera d’estate a 61 anni e quando il pilastro della famiglia si è frantumato, è caduto giù tutto. «Ci siamo accorti che aveva lasciato dei debiti era un brav’uomo, troppo buono. Soprattutto, però, non siamo più riusciti a pagare neanche quel poco di affitto richiesto dalle case popolari». Figuriamoci il resto: il ragazzo, che vive con la mamma disoccupata in provincia di Milano, ha un attestato di scuola professionale, racimola 700 euro al mese facendo il commesso “a periodo”, il massimo che mette insieme sono 32 ore alla settimana e con quello che ricava onora le bollette, paga il costo dei trasporti, imbastisce la sua precaria vita di quasi trentenne che mantiene una famiglia da solo. «Questo non è modo di vivere, non riesco ad avere una vita dignitosa, mi porto dentro cattivi pensieri». Stefania Culurgioni

ottobre 2015 Scarp de’ tenis

29


Ilenia, la cuoca che crea dagli avanzi di Generoso Simeone

Lei è la cuoca del Refettorio Ambrosiano che, ogni giorno, deve cucinare per sessanta ospiti partendo da quello che viene recuperato da Expo 30 Scarp de’ tenis ottobre 2015

La prima volta ha cucinato una paella mista: riso con pesce, carne e verdure. Ingredienti che, quella mattina, il camion arrivato da Expo aveva portato in gran quantità. «Ho lavorato dieci anni in Spagna e ho imparato a fare la paella in diversi modi. Era il giorno del mio debutto ai fornelli ed è andata bene. Gli ospiti hanno apprezzato, tanto che sono venuti a farmi i complimenti». Ilenia Di Pietro è la cuoca del Refettorio Ambrosiano, il nuovo spazio di solidarietà voluto dalla Caritas milanese e aperto in concomitanza con l’Esposizione universale che Milano sta ospitando fino alla fine di ottobre. Tutte le mattine deve inventarsi un menù per la cena con le cosiddette eccedenze di Expo. Il camion arriva a Greco, il quartiere della periferia nord di Milano dove nel vecchio e non più in uso teatro parrocchiale è stato ricavato il Refettorio Ambrosiano, intorno alle 9.30. Ilenia lo aspetta curiosa. È carico di alimenti che arrivano dal


A sinistra la cucina del Refettorio Ambrosiano, la nuova mensa della Caritas nel quartiere milanese di Greco. A sinistra una bella immagine della cuoca della struttura, Ilenia Di Pietro

MILANO supermercato Coop allestito all’interno del sito espositivo. Creare in pochi minuti «Sono prodotti vicini alla scadenza – spiega Ilenia – oppure freschi che vanno consumati entro pochissimi giorni. C’è davvero di tutto e di ottima qualità. Io in pochi minuti devo decidere cosa tenere. Ci sono i frutti di mare? Allora li farò con il risotto. Mi scaricano della carne macinata? Allora sarà pasta al ragù. Ci portano molta frutta, anche esotica? Allora mi sbizzarrisco con i gelati, le macedonie e le decorazioni a base di frutta. I quantitativi sono sempre sufficienti e quello che non prendo io prosegue verso altre comunità. Praticamente nulla viene buttato via. Io evito solo la carne di maiale perchè alcuni ospiti sono musulmani». La caratteristica del Refettorio Ambrosiano è che si cucina solo con quello che arriva: «Se un giorno

ho tutti gli ingredienti per fare un certo tipo di piatto, ma ad esempio manca la cipolla, farò qualcos’altro. Non è mai un problema decidere cosa cucinare. Del resto, io faccio esat-

Io faccio LA STORIA esattamente Metti una cena in piazza Affari a Milano: quello che fanno con Mia ospiti d’onore sono gli homeless tutti i cuochi Metti una sera a cena in piazza Affari (nella foto). Non è un'iniziativa di o anche le massaie quelle che ultimamente vanno tanto di moda, tipo quelli che, chissà perche amano ché, si vestono tutti di bianco e si ritrovano a mangiare insieme in luoghi “a sorpresa”. Ma è la distribuzione di un pasto caldo fatta dai volontari cucinare. Vale dell'associazione “Milano in azione” ai senza dimora che vivono dissea dire aprire il frigo minati e da invisibili nel centro di Milano. e decidere cosa Un momento che vuole essere anche occasione di scambio e socializzazione oltre a voler creare un clima famigliare e di condivisione intorno preparare sulla alla distribuzione e al consumo del pasto. Gli homeless si mettono in fila base di ciò che c’è composti e aspettano di ricevere le pietanze cucinate dai volontari dela disposizione l'associazione. Poi si spargono nella piazza posizionandosi sui tavoli allestiti e scambiando qualche parola con i volontari. Qualcuno preferisce andarsene in compagnia del proprio cane. Presente davanti alla sede della Borsa anche un'unità mobile dove dei medici volontari visitano chi non si sente tanto bene. Ogni domenica sera in piazza Affari sono 200250 gli homeless, donne e uomini, anziani e giovani, stranieri e italiani, che si ritrovano per la cena offerta dai volontari di “Milano in azione”. E nessuno di loro è vestito di bianco. GS

tamente quello che fanno tutti i cuochi o anche le massaie che amano cucinare. Vale a dire aprire il frigo e decidere cosa preparare sulla base di ciò che c’è a disposizione». Questa mattina il camion ha scaricato carne trita, zucchine, formaggio pecorino e banane. Ilenia ci pensa su e in un attimo elabora il menù. «Abbiamo della pasta in magazzino, per cui stasera i nostri ospiti troveranno in tavola pasta cacio e pepe, hamburger serviti insieme a zucchine ripiene con crema di formaggio. E infine, una mousse di banane». Il Refettorio Ambrosiano è stato un’intuizione dello chef stellato Massimo Bottura, che ha avuto l’idea di un luogo dove cucinare gli avanzi di Expo a favore dei più bisognosi. Caritas Ambrosiana ha raccolto la sfida e ha dato vita a questo spazio che ogni sera dà da mangiare a 60 persone segnalate dai propri servizi. A turno, degli chef pluristellati a cominciare dallo stesso Bottura che ha coinvolto i colleghi nel progetto, cucinano con Ilenia al Reottobre 2015 Scarp de’ tenis

31


MILANO

fettorio. «Ma quando ci sono gli chef – ammette ossequiosa la cuoca – io sto zitta e lascio che siano loro a proporre il menù. Non mi permetto di portare idee. Nonostante faccia questo lavoro da 17 anni mi considero una che ha sempre da imparare. Anche perché stando al loro fianco mi sono resa conto di non saper fare niente». Segreti da chef Ilenia si entusiasma quando racconta l’episodio che finora più l’ha colpita. «Un giorno avevamo del pesto avanzato dalla sera prima. Lo chef che lo aveva preparato, di cui non farò il nome, aveva un po’ ecceduto con l’aglio. Il giorno dopo, a pranzo, avevamo i bambini dell’oratorio e temevamo che non potesse piacere. Per ovviare al problema, lo chef del giorno successivo s’è inventato uno stratagemma che non conoscevo. Avevamo del mais in magazzino e allora lui che ha fatto? Prima ha cucinato i pop corn, poi li ha tritati e la farina che ne è uscita l’ha messa nel pesto. Il sapore dell’aglio era sparito del tutto. La cosa mi ha letteralmente sorpresa».

LA RICETTA

Biscotti alla cannella e zenzero

INGREDIENTI 350 g farina 00 160 g zucchero 150 g burro 1 uovo, 1 pizzico di sale 150 g miele 2 cucchiai di cannella 1\4 cucchiaino noce moscata 2 cucchiai di zenzero 1 cucchiaino di bicarbonato

Disabili in cucina, la dolcezza ai fornelli di Carlotta Peviani

“Dolcemente Abili”, le ricette degli ospiti del centro “La Girandola” di Piacenza sono diventate un libro 32 Scarp de’ tenis ottobre 2015

PREPARAZIONE Setacciare la farina con lo zucchero, aggiungere le spezie e il bicarbonato, in ultimo il burro freddo. Aggiungere anche il miele e mescolare fino ad ottenere un impasto bricioloso. In ultimo unite anche l’uovo e impastate fino

Una distesa di biscotti profumati allo zenzero, soffici muffin al cioccolato, torte allo yogurt e alla nutella: no, non siamo entrati in un'invitante pasticceria del centro, ma stiamo sfogliando le pagine di un ricettario speciale, opera non dei soliti cuochi primedonne della tv, ma di un gruppo di “ragazzi” disabili – anche se alcuni di loro sono over 50 – del centro socio riabilitativo diurno “La Girandola” gestito dalla cooperativa Coopselios. Siamo in terra emiliana, per la precisione a Piacenza, dove di cibo e cucina ne sanno qualcosa. Da anni impegnati nella riabilitazione di persone con disabilità gravi e gravissime in ambito fisico e psichico, gli operatori de “La Girandola” que-

ad ottenere una palla, avvolgetela nella pellicola trasparente e fatela raffreddare mezzora in frigorifero. Stendetela, potete utilizzare delle formine per creare i biscotti, e infornate a 180° per 30 minuti.

st’anno hanno pensato a qualcosa di diverso per i loro “ragazzi”, affiancando all’esperienza ormai consueta del laboratorio di cucina – all’interno del centro è stata creata un’area apposita per le attrezzature – la realizzazione di un ricettario intitolato Dolcemente Abili firmato da tutti i 24 utenti del centro. Offrire aiuto «Ognuno di loro, in base alle proprie capacità fisiche – alcuni presentano ritardi mentali importanti o disabilità fisiche che li costringono alla carrozzina – ha preparato dolci settimanalmente sotto la guida e lo sguardo vigile dei nostri preziosi educatori –racconta Paolo Boledi, il coordinatore de “La Girandola” –, rompere uova, pesare, impastare, mescolare ingredienti di consistenze diverse, sono tutte operazioni che


MILANO

Sacra Famiglia: Elisabetta cucina insieme ai ragazzi. Per stare bene

Un momento del laboratorio “Apprendisti chef” organizzato per gli ospiti de La Sacra Famiglia di Cesano Boscone

Sugo verace, pasta fatta a mano e per finire il dolce: è il menù tipo che mensilmente un gruppo di disabili della Fondazione Sacra Famiglia di Cesano Boscone cucina con le proprie mani. La Fondazione Sacra Famiglia è un istituto che fin dalla sua fondazione, nel lontano 1896, si è prefisso il compito di dare assistenza ai più fragili: in particolare ai disabili psichici e fisici e agli anziani non autosufficienti. In oltre 100 anni di storia la Sacra Famiglia è cresciuta enormemente, ma il suo spirito è rimasto immutato: ne è testimonianza la speciale iniziativa nata dall’idea di Elisabetta Vincenzi, una dipendente dell’istituto da pochi anni andata in pensione e trasformatasi in un'appassionata volontaria. «Nel corso dei miei quasi quarant’anni di esperienza in Sacra Famiglia prima come educatrice e poi come responsabile di una macrounità – racconta Elisabetta, calabrese doc amante della cucina regionale – ho sempre saputo quanto l’attività ricreativa legata alla cucina fosse speciale per i ragazzi. Da questa considerazione, con l’appoggio del volontariato, ho pensato di far preparare ai ragazzi un pranzo completo con le proprie mani, da gu-

PIACENZA

richiedono per loro un notevole sforzo fisico e mentale. Il progetto educativo individuale che sta alla base del nostro centro è infatti ritagliato su ciascuna persona secondo i propri bisogni e le indicazioni di un’équipe di educatori, operatori socio sanitari, infermieri, fisioterapisti e professionisti che collaborano con noi nelle varie attività integrate – arteterapisti, psicologi a molti altri».

In particolare cucinare

dolci ha l’obiettivo di potenziare negli utenti del centro non solo la parte motoria, ma anche quella mentale, attraverso la memorizzazione della ricetta, e di socializzazione, potenziando l’acquisizione di autonomie all’interno di un contesto stimolante come la cucina. «Il nostro centro –conclude Boledi – che segue questi ragazzi tutto l’anno, tutti i giorni dalle 9 di mattina alle 17 di pomeriggio, ha come obbiettivo primario quello di garantire la massima qualità di vita, all’insegna di un benessere psicofisico e del raggiungimento o del mantenimento di una propria autonomia. In questo percorso è fondamentale l’apporto dei familiari coinvolgendoli e informandoli sulla salute del proprio parente».

stare poi tutti insieme, come si fa in famiglia». Nasce così il progetto “Apprendisti Chef”: alcuni utenti disabili – di età compresa tra i 40 e i 60 anni - di tre reparti della Sacra Famiglia – con disabilità medio gravi di tipo fisico e mentale (tra loro ci sono anche ragazzi down) - a rotazione ogni mese prendono parte all’appuntamento culinario. Elisabetta affiancata da un’altra volontaria della Fondazione e da un operatore del reparto aiuta così un gruppo di sei utenti a realizzare un pranzo casalingo, spesso ispirato alle specialità calabresi. «È diventato per loro un rituale fisso che ogni mese aspettano con trepidazione. Cominciamo a cucinare alle 9 della mattina all’interno della cucina allestita nel centro volontariato, e a mezzogiorno ci sediamo a tavola tutti insieme per gustare il risultato del duro lavoro – dice Elisabetta –. In queste ore di attività si respira un’atmosfera rilassata e giocosa, siamo tutti alla pari. I ragazzi partecipano alla realizzazione di qualcosa che poi potranno mangiare, oltre a socializzare tra di loro». La cucina ha il potere di avvicinare le persone, favorendo la creazione di una dimensione famigliare, diversa da quella vissuta in reparto. «Si tratta di un modo per far sperimentare a queste persone – alcuni di loro provengono anche dal centro diurno – una giornata diversa, densa di gratificazione e condivisione». [CP]

Ricettario “oltre” Non è il solito libricino destinato a restare all’interno dei confini del Centro Diurno: Dolcemente Abili, nato dall’idea di Cecilia Luchian un’educatrice de “La Girandola”, nasce in un’ottica di apertura verso l’esterno. PiacenzaSera.it – giornale on line che produce “Le Graffette”, libricini stampati dalla cooperativa sociale Officine Gutenberg dedicati alla realtà piacentina nei suoi aspetti più diversiha scelto infatti di appoggiare questa iniziativa e di pubblicare in forma cartacea il ricettario. Dolcemente Abili , presentato per la prima volta lo scorso giugno a Eataly di Piacenza, alla presenza di tutti i ragazzi, dei loro famigliari e degli operatori del centro, è in vendita nelle edicole e nelle librerie di Piacenza e il suo ricavato sarà utilizzato per l'acquisto di materiale o attrezzature per il centro. È dunque uno strumento speciale per introdurre nella realtà i ragazzi, portandoli fuori dai confini de “La Girandola”. Gli operatori sono infatti costantemente impegnati nel proporre ai ragazzi sia attività quotidiane interne sia esterne – organizzando gite, visite culturali - finalizzate a far vivere loro la realtà nonostante la disabilità. Nelle pagine di Dolcemente Abili – illustrate abilmente da Margherita Soressi, arteterapista del centro - ogni ricetta diventa dunque uno speciale simbolo del loro impegno e della loro voglia di esserci.

ottobre 2015 Scarp de’ tenis

33


“Gente d’altri tempi”. A dicembre la

Le canzoni di Jannacci pagina a fianco una piccola anteprima. La tavola di Luca Giorgi illustra Il piantatore di pellame. Una tavola divertente, colorata. Di grande qualità. I primi lavori che abbiamo avuto modo di ricevere, sono straordinari. La mostra davvero si annuncia interes-

di Stefano Lampertico

In anteprima per i lettori di Scarp una delle tavole della nuova mostra: l’autore è Luca Giorgi, la canzone illlustrata è Il piantatore di pellame

scheda “Gente d’altri tempi. Enzo Jannacci - canzoni a colori” è la nuova grande mostra tributo al maestro milanese, curata da Davide Barzi e Sandro Patè e organizzata da Scarp de’ tenis, che raccoglie l’omaggio di cinquanta artisti e fumettisti al cantautore milanese. La mostra si terrà presso il Castello Sforzesco di Milano e si potrà visitare dalla metà di dicembre fino alla metà di gennaio.

34 Scarp de’ tenis ottobre 2015

Qualche dettaglio ancora va sistemato. Ma il più è fatto. E la notizia, per i fan del grande Enzo Jannacci, ma non solo, è di quelle che non possono passare in secondo piano. Dopo il successo della mostra “La mia gente” del 2013, che vide oltre 50 importanti fumettisti italiani impegnati a disegnare tavole con le canzoni di Enzo Jannacci, Scarp de’ tenis, insieme con Davide Barzi e Sandro Patè, ha deciso di riproporre al pubblico, con una formula simile ma con molte altre firme e artisti, una nuova mostra, un

nuovo omaggio – tributo, forse è il termine più corretto – al grande maestro. La nuova mostra riprende un altro titolo della discografia jannacciana “Gente d’altri tempi - Enzo Jannacci, canzoni a colori”. Con un fil rouge, nel titolo, a legare insieme le due iniziative. Nuova la location, il Castello Sforzesco di Milano. Nuove (quasi tutte) le firme dell’arte e del fumetto che, proprio in queste settimane, stanno ultimando le tavole con le canzoni assegnate. Scarp de’ tenis, a Enzo Jannacci, deve moltissimo. Nel suo dna, nella sua testata, ci sono le scarp da tennis più famose della musica italiane. E con esse, il barbun più famoso, il clochard che tutti sentiamo di conoscere a fondo senza averlo incontrato, perlomeno lì sullo stradone che portava all’Idroscalo.

Davide Barzi e Sandro Patè hanno scelto le altre cinquanta perle del repertorio jannacciano e le hanno assegnate ad altrettanti artisti del mondo del fumetto e dell’arte. Con molte sorprese, che sveleremo nei prossimi numeri, con qualche ritorno graditissimo, con le firme che gli appassionati di fumetto e non solo conoscono bene; con le canzoni di Enzo si cimenteranno anche alcuni artisti che provengono da mondi diversi. Nella

sante. Ad alcuni partner storici, come Etica Sgr, la società di raccolta del risparmio del gruppo Banca popolare Etica, si affianca quest’anno il Comune di Milano, che ci ha concesso gli spazi prestigiosi del Castello Sforzesco, in un periodo, quello natalizio, che consentirà a tutti di visitare la mostra che sarà, appunto, aperta dal 10 dicembre fino a metà gennaio. Insieme con noi e con i curatori, avremo sempre gli amici di Spazio Wow Museo del Fumetto di Milano e altri partner ancora. Da sottolineare resta la grande disponibilità degli autori delle tavole e dei disegni. I lavori degli

artisti, originali, saranno ancora una volta battuti all’asta e i proventi raccolti saranno destinati alle finalità sociali di Scarp e per i progetti verso gli homeless e i gravi emarginati di Caritas Ambrosiana. Anche in questo caso, torna insieme con noi, un partner importante come Sotheby’s. Le tavole saranno infatti battute nel mese di febbraio, presso la sede milanese della casa d’aste londinese. Nel periodo in cui la mostra resterà aperta, inoltre, troverete un ricco programma di incontri, testimonianze, approfondimenti su Jannacci e sulle sue canzoni. E anche in questo caso, non sono escluse sorprese. Qualche chicca in chiusura. Tra i nomi degli artisti in mostra c’è anche un grande cantautore italiano, amico di Enzo, molto bravo nell’arte della pittura. E ci sarà anche la tavola di uno degli artisti di strada più importanti del panorama nazionale. E il copertinista del più longevo fumetto italiano si cimenterà con... ! Insomma. Restate sintonizzati su queste frequenze. E cominciate a non prendere appuntamenti per il 10 dicembre e per i giorni seguenti. Vi aspettiamo!


a mostra dedicata al maestro

LA MOSTRA

a colori

ottobre 2015 Scarp de’ tenis

35


Acque silenziose, la rivincita della natura

A pochi chilometri dal centro storico di Bucarest, in Romania, si trova un singolare “circuito” di cemento. Quando si osserva dall’esterno, la costruzione di calcestruzzo può apparire come un’impenetrabile fortezza militare. Durante il comunismo erano molti gli ambiziosi piani di sviluppo per il Paese, che il dittatore e “padrone” della Romania, Nicolae Ceausescu aveva cominciato a realizzare.

testi e foto di Anna Brenna

Uno di questi prevedeva la costruzione di un lago artificiale da collegare al fiume Dâmbovița, per creare una sorta di mini porto nella città. I lavori sono iniziati nel 1986 e per creare lo spazio necessario, uno dei più preziosi monumenti di Bucarest, il Monastero di Vacaresti risalente alla metà del XVIII seco-

Nel centro di Bucarest quello che secondo i sogni di grandezza dell’ex dittatore Ceausescu doveva diventare un porto artificiale è diventato un’oasi naturale. Che offre sostentamento ad alcune famiglie di senza tetto 36 Scarp de’ tenis ottobre 2015


REPORTAGE

Alcuni scatti del reportage realizzato da Anna Brenna a poca distanza dal centro di Bucarest

bio Anna Brenna nata nel 1968 a Besana Brianza, da sempre appassionata di fotografia, nel 2011 decide di trasformare quello che era un semplice hobby in un modo di esprimersi attraverso le immagini. Vincitrice di diversi concorsi fotografici nazionali, dal 2015 collabora al blog MU.SA - Laboratorio di pensieri fotografici. Alcune immagini del progetto "Fine alla fine del mondo" sono state pubblicate nel libro "Il portfolio fotografico. Istruzioni imperfette per l'uso" di Sara Munari, edito da Emuse. www.annabrenna.com

lo, è stato requisito e demolito, così come le case di un centinaio di persone che abitavano nella zona.

costruendo alcune baracche in lamiera, che sono state però abbattute dalle autorità, a seguito del cambiamento dei piani per la de-

stinazione dell’area, che dovrebbe ora diventare una riserva naturale protetta, privando così queste persone della loro abitazione.

L’abbandono e la rinascita Dopo il 1989, a seguito della rivoluzione e della caduta del regime, l’incompleto progetto venne lasciato a se stesso. Lentamente la natura prese il sopravvento, alcune sorgenti sotterranee, non previste dai progettisti, iniziarono a sgorgare dal terreno, portando con sé alcune specie di pesci non endemiche alla zona. La vasta superficie si trasformò lentamente in un area umida, un delta urbano; uccelli migratori, anch’essi non presenti in città, trovarono riparo nell’area ed evidentemente portarono semi di diverse piante. All’interno del bacino, hanno trovato riparo anche alcune famiglie di senza tetto. Inizialmente ottobre 2015 Scarp de’ tenis

37


LA STORIA

Circo Luce, burattini a pedali di Stefania Culurgioni

38 Scarp de’ tenis ottobre 2015

La scambiano per una cuccia per cani, lo prendono per un senzatetto che di notte tira giù quella strana scatola dalla bicicletta e la trasforma nella sua casa. Invece è un artista di strada, si chiama Luciano Strasio, ha 33 anni e quest’estate ha pedalato per tutta l’Italia portando in giro il suo spettacolo di marionette. Come? Con una bicicletta interamente costruita a mano e una specie di micro teatro in legno montato sul davanti.


LA SCHEDA Circo Luce è un progetto artistico che nasce nel 2014. Nasce dall’idea di usare la propria bici come mezzo di trasporto da città a città e come luogo di spettacolo. Montando e smontando un piccolo châpiteau/tendone da circo cucito intorno alla bicicletta e posizionando su questa una scatola adornata di tante coppie di fori. Info: www.circoluce.it Nella pagina accanto Luciano a bordo del suo “Circo Luce”. Qui a fianco un momento dello spettacolo visto dai “buchi” e la folla di bambini che, ad ogni tappa, prende d’assalto lo spettacolo

Lui l’ha chiamato “Circo Luce”, i camionisti che lo sorpassano gli suonano il clacson, ma è per salutarlo non per protestare: il carico pesa in tutto 95 chili, la bici è lunga 3 metri, larga 1 metro e 30 e alta 1 e 60. Lui è alto, magro, e deve avere una grande pazienza per viaggiare così carico, facendo salite e discese, sotto il sole e sotto la pioggia, dal nord al sud. Ma tanto, il bello arriva la sera, quando monta il teatrino e lo spettacolo comincia. Marionette come amiche I suoi protagonisti sono un gruppo di marionette, compagnia impeccabile: «Non mangiano, non si lamentano, non devono andare al bagno quando mi fermo, sono compagne ideali di viaggio – dice Luciano – e i bambini ne sono catturati, ipnotizzati, e credono che siano proprio vere». Il mestiere antico di affascinare il cuore e gli occhi con pupazzi di legno fa ancora presa, grazie soprattutto ad un escamotage che si è inventato Luciano: il palco non è a cielo aperto, per vedere cosa combina Castagno Taccagno bisogna mettere la faccia sul cartone e guardare dai fori. «È un modo per tenere i bam-

bio Luciano Strasio è un marionettista, un falegname, un educatore. Nel 2005 si affaccia al mondo del teatro di marionette, realizzandole di suo pugno, e in parallelo si occupa dei primi laboratori di costruzione rivolti a bambini e ragazzi. Da allora tante sono le esperienze associazionistiche fatte: dal gruppo Tiriteros all’associazione culturale Carabattole a Tiritera (NonLaSolita). E tantissimi sono i bambini incontrati, le scenografie progettate, le storie scritte e raccontate. Dal 2009 lavora principalmente come falegname; ha un attestato di qualifica per la realizzazione di intagli e sculture su legno e dal 2012 fa parte delle Officine Creative nella Casa del quartiere ’Hub Cecchi Point’. Uno spazio fisico e sociale di coworking e di promozione formativa e culturale.

bini attenti – rivela l’artista di strada –. I miei spettacoli sono sui lungomare, ci sono troppe distrazioni, invece in questo modo gli spettatori restano rapiti e molti sono adulti».

Luciano, torinese, di professione falegname, ha percorso in due mesi e mezzo circa 2800 chilometri e il viaggio se lo finanzia proprio con le mance a fine spettacolo. Ha installato sulla bici dei mini pannelli solari che lo aiutano nella pedalata e nel corso dei suoi viaggi gli succede sempre di tutto:

una volta si è spaccata la forcella, una volta la Polizia lo ha cacciato, qualche volta ha piovuto e a volte le persone lo guardano con diffidenza. «Ma c’è sempre qualcuno che mi dà una mano – racconta – come quando un pizzaiolo mi ha saldato la bici, o come quando alcune persone mi hanno offerto un letto per dormire». L’Italia a pedali Tirando le somme, si è girato la Pianura Padana, la costa adriatica, la costa Ionica, poi ha preso un traghetto per le isole Eolie, quindi per Napoli e di nuovo per la Sardegna, poi è andato a Roma, Civitavecchia, Genova e infine Torino. Tutta la sua attrezzatura è fatta con materiali di recupero: la bici l’ha costruita con pezzi di vecchie biciclette e tubi di ferro trovati in giro, il teatrino e le marionette con plastica, gomma piuma, vetro, cartone, biglie. Gli dicono che è pazzo, ma Circo Luce è una passione che l’ha catturato: il suo sogno è di fare il giro del Mediterraneo e di allungare sempre un po’ di più il tragitto. Chissà se riuscirà un giorno a far sorridere anche i bambini oltre confine. ottobre 2015 Scarp de’ tenis

39



aforismi

POESIE

di Emanuele Merafina

Essere Per essere qualcuno bisogna essere se stessi Opinioni La mia opinione passata e futura non mi interessa il presente è ancora assente

Pensiero La vita è una triste melodia: l’importante è percorrerla a ritmo di danza, ma se inciampi o ti fanno lo sgambetto mi raccomando, non cadere, potrebbe essere un problema. Silvia Giavarotti

Separazione Il dolore della separazione si spande per tutto il mondo e fa nascere innumerevoli forme nel cielo infinito. La tristezza della separazione fissa in silenzio per tutta la notte di stella in stella, e diventa canto tra foglie fruscianti nella piovosa oscurità. Questa pena che tutto pervade s’infonda in amore e desideri, in sofferenze e gioie nelle case umane; ed è la stessa che sempre si fonde e sgorga in canti nel mio cuore di poeta Gaetano “Toni” Grieco

Mariasole

Non è mai tardi Non è mai troppo tardi per ricominciare una nuova vita anche se credi di aver perso tutto, i tuoi cari e i tuoi amici. Non è mai troppo tardi quando hai qualcuno che ha ancora fiducia in te e tu in loro. Non è mai troppo tardi per lasciare gli sbagli che hai fatto e tenere la fiducia di tutti quelli che ti sono stati vicino con fatica e affetto. Non è mai troppo tardi Per ricominciare a voler bene, sia prima a te stesso che a tutte le persone care tra amici e famigliari con la fede e l’aiuto del buon Dio. Giovanni Moxedano

Tutto ruota Quando una persona mi entra dentro con tutta la sua essenza , è allora che ho timore di sfogliarne la sua bellezza, di intaccarne l’innocenza. Ma mi basta il pensiero e lo scolpito suo ricordo per respirarla dentro e sentirla vibrare nel mio petto nel mio Cuore al centro. Vorrei morir di questo attimo ma pari a un miracolo tutto ha un seguito, come nella continuità gli alberi regalano le loro foglie per nuova vita o i fiori appassendo emanano ancora la loro profumata fragranza tutto ruota attorno all’Amore, alla sua mirabile immensa appartenenza.

Ondeggiano da quando sei nata, nel mio cuore, flebili o forti vagiti nel buio della notte. Cerco con ansia la tua foto Mariasole, amo il tuo sorriso, le tue manine paffutelle che si agitano per toccare tutto ciò che ti circonda e ascolto insistentemente il tuo respiro che mi sembra di udire, quando placida riposi e forse sogni nel tuo morbido lettino. Sei lontana amore, ma sento il tuo respiro accanto a me che mi accompagna con grazia per tutta l’intera giornata. Sii felice, tesoro della nonna, L’idea di un giovane volontario ora tutto il mondo è ai tuoi piedi, quei piedini che per ora non sanno ancora camminare, della dellaostacoli. carità di Milano: ma che faranno sereni una lunga strada, cheRonda ti auguro senza

Nonna Beltrami una App contro lo Mirella sprecoMino alimentare ottobre 2015 Scarp de’ tenis

39 41


FRATELLI DI SA AN FRANCESC CO D’ASSISI

diagrafo.it

5x xdare d mill le aiiuti ÑKn"xgtq"rqvgtg"fl"kn"ugtxk|kq0"Dkuqipc"ewuvqfktg"nc"igpvg."cxgt"ewtc"fk"qipk"rgtuqpc." eqp"coqtg."urgekcnogpvg"fgk"dcodkpk."fgk"xgeejk."fk"eqnqtq"ejg"uqpq"rḱ"htciknk g"ejg"urguuq"uqpq"pgnnc"rgtkhgtkc"fgn"pquvtq"ewqtg0Ò Papa Francesco

La Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi On Onlus, offre accoglienza e assis s tenza alle persone in stato di bisogno e ugp|c" Þuuc" fkoqtc." cfwnvk." cp|kcpk" g" okpqtk." rtqowqxgpfqpg" nc" nqtq" fkipkv 0 In n un anno abbiamo offer to un letto a 60259" persone, distribuito 3 039403;7" rcuvk, offer to ceeqinkgp|c" c" 5:9" okpqtk, fornitii 980483" ugtxk|k" ad anziani, offer to 6:0277" rtguvc|kqpk"ogfkejg, incontrato con l’wpkv "oqdkng"pqvvwtpc"43 0;22"rgtuqpg, effettuati"6950:27"ugtxk|k"fk"fqeeg"g"iwctfctqdc ed offer to corsi di italia l no, di informatica, orienta amento al lavoro, assistenza legale psicologico e e previdenziale, suppor to p e sociologico.

CF 9723714015 9 53

BONIFICO BANCARIO Intestato a Fondazione Fratelli di San Francesco d’Assisi Onlu O s IBAN: IT41C052160161400000000 00007463

Conto o Corrente CCP n. 27431279, intestato a Fondazione e Fratelli di San Francesco d’Assissi Onlus

Fondazio one e Associazione - Onlus Via della M Moscova, 9 - 20121 Milano - Tel. 02 2 6254591 info@fratellisanfrancesco.it - www.fratellisanfrrancesco.it

donazioni on-line e Con car ta di credito, in totale sicurezza utilizzando PayPal sul sito web www.fratellisanfrance cesco.it


TORINO

Un momento della cena di chiusura della Festa di vicini alla “Barriera” di Torino

Festa dei vicini, insieme contro la solitudine di Vito Sciacca

Via Ghedini, quartiere torinese di “Barriera di Milano”, sesta Circoscrizione. Sembra quasi di fare un salto indietro nel tempo, di trovarsi in un film neorealista. Sarà per la presenza di numerosi edifici d’edilizia popolare risalenti agli anni Trenta e Quaranta, o per l’aspetto dimesso di molti di coloro che ti capita di incrociare per strada. Questo

" "

scheda La festa Torino aderisce a questa manifestazione dal 2006. L’evento è patrocinato dall’Agenzia Territoriale per la Casa Atc, da Federcasa e dal Comune. www.comune.torino.it/festadeivicini/

quartiere, sorto come borgo operaio, è stato sede fino ad alcuni anni fa di alcuni tra i più importanti stabilimenti del Paese. Poi tutto è finito. Adesso ha conservato la sua connotazione popolare, arricchitasi negli ultimi anni di nuovi abitanti provenienti da altri Paesi. Una convivenza senza grossi attriti. Altra peculiarità di via Ghedini è costituita dai suoi abitanti: è una delle aree cittadine con la maggiore presenza d’anziani, che spesso abitano soli. Anche per contrastare quest’isolamento si è scelto, il 12 settembre, di organizzare l’edizione 2015 della “Festa dei vicini”, evento organizzato dal Comune in collaborazione con altri soggetti dal 2006.

Elisabetta Garigali, della cooperativa “Liberi Tutti” e coordinatrice del progetto “coabitazione solidale” nonché membro del comitato organizzatore della festa, spiega come viene realizzata: «Si tratta essenzialmente di un momento conviviale,

nel quale persone che magari non si conoscono, pur abitando nella stessa strada o nello stesso caseggiato, hanno la possibilità di incontrarsi e socializzare. In questa zona parecchie persone vivono isolate, per motivi economici o etnici: lo scopo della festa dei vicini è proprio questo: favorire l’incontro con altri, ricostruendo un tessuto relazionale». Coabitazione sociale Uno scopo, questo, perseguito anche dal progetto di coabitazione sociale, presente in questo comprensorio con due alloggi, rivolto a giovani dai 18 ai 35 anni in cerca di autonomia abitativa, che in cambio di una riduzione del canone d’affitto offrono la loro partecipazione attiva al progetto con 10 ore la settimana di volontariato. «Le azioni di volontariato –aggiunge Garigali –sono finalizzate proprio all’assistenza alle fasce deboli del quartiere, ed hanno avuto una parte prioritaria nell’organizzazione della festa». Festa che, iniziata nel pomeriggio con attività rivolte ai più piccoli, è sfociata in una cena svoltasi nel cortile del complesso di case popolari di via Gallina: ognuno ha portato qualcosa, e questa è stata un’occasione per una mescolanza di cucine e per stare insieme».

IL PROGETTO

Nata in Francia nel lontano 1999 ora ”coinvolge” 40 milioni di Europei La “Festa dei vicini”, finalizzata a costruire rapporti di buon vicinato e di solidarietà, nacque nel 1999 presso il 17° arrondissement di Parigi, su iniziativa dell’associazione Paris d’Amis, e fin da subito ebbe un grande successo: già nei primi anni coinvolse, nella sola capitale francese, oltre 10 mila persone. Negli anni successivi l’iniziativa si estese a tutta la Francia, per poi diffondersi in tutta Europa nel 2004. L’edizione 2014 ha visto la partecipazione di ben 40 milioni di europei. Nelle feste i cittadini organizzano in spazi pubblici grandi tavolate in cui si cerca di conoscersi e condividere le proprie esperienze. Nell’edizione di quest’anno si è deciso di seguire il tema conduttore dell’Expo di Milano: “Nutrire il pianeta”. Ogni famiglia è stata perciò invitata a portare specialità della propria regione o nazione d’appartenenza, per condividere con i vicini la propria cultura del cibo e il proprio modo di “nutrire”. ottobre 2015 Scarp de’ tenis

43



www.avvenire.it

GENOVA

Il cardinal Bagnasco ha messo a disposizione di migranti gli spazi del seminario arcivescovile della città

Emergenza sbarchi: l’esempio della chiesa genovese

brutalità e in pericolo di vita, la pace di un luogo protetto e gradevole è una terapia. A ciò si aggiunge il mangiar sano, le docce pulite, un po’ di scuola di italiano, l’accudimento degli operatori e la compagnia di 30 volontari che hanno risposto all’appello della Caritas diocesana. Ma resta comunque un tempo sospeso, vuoto, e quel giardino un piccolo paradiso senza beatitudine.

di Mirco Mazzoli

Il caso I due volti della Regione In questi giorni la regione Liguria del nuovo governatore Giovanni Toti ha avviato controlli severi su tutte le accoglienze d’emergenza e promesso chiusure per quelle che non rispettano criteri minimi di vivibilità. Sullo sfondo, il contrasto con la politica del Governo e con le disposizioni della Prefettura, entrato nel vivo subito dopo le elezioni regionali, con il sostegno della giunta Toti a quei sindaci liguri che si sono opposti a nuove accoglienze e hanno emanato ordinanze con le quali, per tutelare la salute dei concittadini, stabilivano il divieto di permanenza ai migranti nei propri comuni.

Hamadi porta sempre un lungo berretto di lana, anche nei giorni più caldi di questa estate genovese. Sembra una specie di coperta di Linus o un segno di distinzione per segnalare la sua presenza in una realtà che non conosce. È Ivoriano ed è uno dei 40 giovani migranti – per lo più da Eritrea, Somalia, Benin, Costa d’Avorio, Senegal, Bangladesh – accolti da giugno al Monastero dei Santi Giacomo e Filippo da Fondazione Auxilium, a Genova. Di norma al Monastero la chiesa di Genova ospita persone senza dimora: mensa, docce, guardaroba, bagagliaio, accoglienza diurna, dormitori, nuove relazioni e percorsi di reinserimento. Poi però l’emergenza sbarchi è entrata nella fase più acuta e le strutture che da più di 10 anni Auxilium dedica ai rifugiati e richiedenti asilo, con oltre 100 persone singole e famiglie inserite nello Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati), non sono più state sufficienti a contenere le richieste della Prefettura. Perché la distribu-

zione nelle regioni italiane di quanti giungono in questi mesi sulle coste non viene gestita dallo Sprar ma dalle Prefetture. Così, dopo una rapida conta degli spazi residui, la scelta è caduta sull’antico refettorio del Monastero dove sono stati allestiti 15 posti letto in via straordinaria. In attesa di lasciare l’Italia Hamadi passa molto tempo cercando sul cellulare improbabili distrazioni. Quasi tutti hanno un cellulare, specie chi è scappato da guerra e persecuzione e non dalla povertà. È fondamentale salvare il cellulare nei lunghi mesi trascorsi su una delle rotte della disperazione: ti tiene agganciato a ciò che lasci e ai contatti con chi ti attende a destinazione. Nessuno, però, sembra attendere Hamadi e i suoi compagni di ventura. Sono qui da quasi un mese, mentre quelli che li hanno preceduti negli stessi letti se ne sono andati pochi giorni dopo il loro arrivo, a tentar di sfondare i confini del Paese, Ventimiglia in primo luogo. Il Monastero è un bel posto: se doveva finire da qualche parte, per questi ragazzi era difficile finisse meglio. Dopo mesi di

Il seminario agli immigrati Il Monastero è uno dei 10 luoghi che la Chiesa di Genova ha aperto per rispondere all’emergenza sbarchi. Caritas e Auxilium, per esempio, hanno allestito altri 24 posti per donne nel complesso delle suore Gianelline. Cinque suore, per lo più anziane o molto anziane, ma donne coriacee, impasto di allegria e fatica evangelica, menti fini spese in campo educativo e oggi riconvertite a questa nuova necessità. Un’ala del convento ospita adesso 24 giovanissime nigeriane: con le loro voci altisonanti e le smaglianti capigliature, fanno capannello volentieri attorno a queste piccole mothers inattese. Ma l’accoglienza più eclatante è quella al seminario arcivescovile: il seminario del card. Bagnasco, arcivescovo del capoluogo ligure e presidente della Cei. Ospita circa 50 uomini, seguiti dalla Cooperativa “Un’altra strada” che, con il coordinamento dell’Ufficio Migrantes della Diocesi, gestisce altre due ospitalità in città. L’ apertura del seminario a questa emergenza è la risposta eloquente a quanti ribaltano sulla Chiesa l’appello all’accoglienza. ottobre 2015 Scarp de’ tenis

45



RIMINI

Viste le continue richieste da parte della prefettura, la diocesi ha messo a disposizione oltre una decina di canoniche

Rifugiati: la diocesi mette a disposizione le proprie strutture di Angela De Rubeis

Quest’opera di aiuto non distoglierà ma anzi aumenterà l’attenzione e l’impegno della Chiesa riminese verso le situazioni di bisogno del territorio, per le quali sia le parrocchie sia la diocesi in questi anni non hanno mai mancato di profondere quotidianamente impegno, passione ed energie

Anche se il nodo dell’emergenza sbarchi sembra essersi spostato sulla questione legislativa –per provare ad evitare che i nodi si fermino sempre nelle stesse parti del pettine (Grecia e Italia, per intenderci) – resta aperta la questione dell’accoglienza e la necessità di dare una degna “ospitalità” a queste persone che – non dimentichiamo – vivono una vera emergenza personale, prima che umanitaria. Ancor prima che papa Francesco lanciasse il suo monito alle chiese chiedendo di aprire le loro porte agli altri, la diocesi di Rimini ha messo a disposizione, da oltre un mese, una decina di case canoniche non abitate dal parroco. Contributo volontario «Di fronte alla richiesta della prefettura – spiega il vicario generale, monsignor Luigi Ricci –, la diocesi non poteva non sentire la necessità di contribuire a una emergenza drammatica, impellente e continua. L’elenco delle strutture disponibili

è già stato inviato alla prefettura ma trattandosi di case canoniche non utilizzate da diverso tempo, necessitano di lavori di manutenzione, più o meno consistenti». La diocesi contatterà (e in alcuni casi ha già provveduto a farlo) i parroci interessati per territorio, per vedere insieme come aiutare le comunità parrocchiali ad un atteggiamento di accoglienza e integrazione. Attenti a tutti i bisogni Questa collaborazione, sollecitata in precedenza dal prefetto Claudio Palomba, è stata ribadita dalla diocesi al nuovo Prefetto di Rimini, Giuseppa Strano. Allora, era il 24 luglio, si parlò della necessità di lavorare su qualcosa che potesse garantire un futuro migliore a queste persone. Visto che le case coloniche necessitano di alcuni lavori di manutenzione, ed è per questo motivo che si è pensato di stipulare una convenzione con la prefettura, concedendo in comodato gratuito quegli edifici che i funzionari riterranno più idonei allo scopo. I lavori potranno essere ese-

guiti dalla prefettura o dalla diocesi, nel caso il suo intervento diretto possa servire ad accelerare i tempi di esecuzione. In questo caso, al termine dei lavori la diocesi presenterà regolare e dettagliata documentazione degli interventi svolti e strettamente necessari alla riapertura delle case individuate.

«La diocesi non viene coinvolta dunque in alcun modo nella gestione economica dei profughi e non ha nessun ritorno finanziario da questo intervento di natura puramente umanitaria – tiene a precisare, in ultimo, monsignor Ricci –. Sarà invece sua cura contattare i parroci che si sono messi a disposzione per capire insieme come aiutare le comunità parrocchiali ad avere un atteggiamento di accoglienza e di integrazione, avviando progetti comunitari. Non ci nascondiamo i problemi: ma i bisogni e le necessità devono avere il sopravvento sugli ostacoli». Concentrare interventi sull’emergenza rifugiati non farà certo dimenticare quali sono i bisogni quotidiani di casa nostra. Un’eventualità neppure presa in considerazione dalla diocesi che tiene a ribadire la forza e la costanza del proprio impegno.

«Quest’opera di aiuto non distoglierà ma anzi aumenterà l’attenzione e l’impegno della Chiesa riminese verso le situazioni di bisogno del territorio, per le quali sia le Parrocchie sia la diocesi in questi anni non hanno mai mancato di profondere quotidianamente impegno, passione ed energie». ottobre 2015 Scarp de’ tenis

47


Qui a fianco, Lina nel suo mondo incantato fatto di carte crespe di svariati colori e dimensioni. A destra, alcuni prodotti finiti

I fiori di Lina, la bellezza della tradizione di Cristina Salviati

Garantire un reddito, e quindi, un futuro a una donna di origini sinti grazie alle sue originali creazioni realizzate con la carta crespa. Questa la bella e importante “sfida” lanciata da Nadia e Bertilla, due volontarie di San Vito in Leguzzano 48 Scarp de’ tenis ottobre 2015

Su uno scatolone tanti rotoli di carta crespa colorata che, con le mani armate di forbici, vengono tagliati in striscioline. Poi le mani lavorano la carta crespa dando forma ai fiori: margherite, calle, crocchi dagli svariati colori con il gambo in fil di ferro. Comincia così la vita di un fiore di carta per poi passare ad altre mani esperte per essere confezionati. “I fiori di Lina” è un progetto di Nadia e Bertilla, due volontarie di S. Vito di Leguzzano in diocesi di Vicenza, e la loro idea è quella di aiutare l’inclusione di una donna sinta, Lina appunto. Lei si era dimenticata di questa sua abilità, ma un giorno, mentre chiacchierava con Nadia e Bertilla le è capitata in mano una carta di caramella. «Da come maneggiava la cartina – racconta Nadia – ho capito subito che aveva abilità manuali, ho provato a fare delle domande, ma non riuscivo a farmi un’idea di quello che Lina sapeva fare. Così le ho dato 5


VICENZA

euro e le ho detto di comprare il materiale necessario». Ho imparato da mio padre «Ho imparato molto presto a lavorare la carta per confezionare fiori – racconta Lina –. Era mio padre a insegnarmi e mi piaceva molto questa attività. Poi però, crescendo, ho smesso per dedicarmi al marito e ai figli». Sono state Nadia e Bertilla a rispolverare la bravura di Lina, e da quel giorno tutte e tre sono alla ricerca di un mercato possibile per le creazioni di carta. Intanto Lina ha lasciato la roulotte e oggi abita con la figlia in un appartamento della parrocchia di S. Vito: piano piano si sta facendo conoscere meglio in paese, mettendo a frutto le sue abilità, le sue capacità e la sua simpatia. «Per vendere i primi fiori e bouquet realizzati – continua Nadia – abbiamo organizzato una festa e lo scorso gennaio, all’Epifania è nata una bella cena per le persone sole con l’idea di far loro compagnia». Anche Lina ha partecipato, con i suoi fiori di carta e li ha venduti tutti. «Sono andati a ruba, ma non è finita qui. Dopo cena si è suonato e ballato – racconta ancora Nadia – e Lina si è fatta notare anche come ballerina. È bravissima a danzare e uno dei volontari non la smetteva di farla volteggiare per la stanza, capelli e sottane al vento». Era così bello vederla allegra e spensierata, sciolta nei passi di danza e dimentica delle differenze, Nadia e Bertilla le hanno dedicato un intero servizio fotografico che mostrano con orgoglio a chi si interessa di questa storia.

«È un altro biglietto da visita questo – spiega Nadia – non più una donna sinta da tenere distante, ma una persona con una cultura e con conoscenze che ci possono stupire». E infatti in paese c’è chi si è trovato ad ammettere di aver coltivato pregiudizi verso Lina, ma poi, conoscendola di persona ha dovuto cambiare idea. «Si tratta ora – concludono Nadia e Bertilla – di trovare la via per vendere le creazioni di Lina proponendole come alternativa solidale per festeggiare compleanni, anniversari ma anche per addobbare chiese e sale da matrimonio».

Per far conoscere i primi fiori e bouquet realizzati da Lina, Nadia e Bertilla hanno organizzato una festa e lo scorso gennaio, all’Epifania è nata una bella cena per le persone sole con l’idea di far loro compagnia. Anche Lina ha partecipato, con i suoi prodotti e li ha venduti tutti

LA STORIA

La redazione di Scarp alla Biennale: «Esperienza emozionanate per tutti» Metti un giorno, tutti insieme, alla Biennale di Venezia. Gli umori del gruppo, cioè l’intera redazione vicentina di Scarp de’ tenis, sono frizzanti: la voglia per questo evento è tanta e questa gita è un bel motivo per stare assieme. Ad aspettarci all’entrata della Biennale troviamo la nostra guida, Roberta Gorni, che ci regala i primi rudimenti. Insieme decidiamo di iniziare la visita dal padiglione centrale. Qui troviamo artisti che lavorano con alberi e specchi oppure con valigie che sono mattoni di un muro. A me ha colpito Walead Beshty che con porcellane scartate e difettose e mescolando tonalità di colore, costruisce paesaggi lunari incredibilmente vivi, veri. Proseguendo il giro ci imbattiamo in una serie di cortometraggi sul tema di quest’anno: “I futuri del mondo attraverso l’uomo, il lavoro, la natura”. La tappa successiva è al padiglione del Giappone dove l’artista Chiharu Shiota ha allestito The key in the hand. Chilometri di filo di lana rosso intrecciato da cui pendono 50mila chiavi. Il visitatore qui trova armonia e serenità; tra queste onde rosse appese alle pareti e al soffitto c’è pace. A me sembra di cadere in un vasetto di tempera rossa e lì dentro mi sento al sicuro. Poi si va nel padiglione dell’Olanda. Qui l’artista ha allestito una serie di quadri colorati con le terre di numerose zone del mondo: alcune le ha raccolte lui stesso nei suoi viaggi altre gli sono state donate dagli amici. A rappresentare il lavoro della terra troviamo una collezione sterminata di falcetti che l’uomo usava per mietere in passato. Ma l’Olanda doveva anche “colpirci”con i fiori e allora ecco che al centro della stanza campeggia un tappeto enorme, più ti avvicini e più intenso è il profumo. Il tappeto è formato da migliaia di boccioli di rosa. Il padiglione più stupefacente è quello francese. Qui l’artista Boursier Mougenon con la sua “Revolutions” ha reso possibile far camminare gli alberi. Ebbene sì, avete capito bene, tre giganteschi pini sono stati messi in vasi con ruote invisibili al pubblico e collegati a dei sensori in grado di captare la vita dell’albero, ossia lo scorrere della linfa. I dati passano a un amplificatore e poi a un robot che muove gli alberi. Molto lentamente, però si muovono. Utilizzando lo stesso sistema di sensori l’artista ci fa poi ascoltare i suoni della vegetazione, del metabolismo degli alberi. Si tratta di suoni dolcissimi e “sub spaziali”: un padiglione geniale. Grazie a Scarp e all’occasione che la Biennale di Venezia con il progetto di “Iniziative gratuite per le comunità terapeutiche i centri di sostegno” abbiamo potuto conoscere Roberta e vivere una giornata veramente particolare. Ivano Frare ottobre 2015 Scarp de’ tenis

49


VERONA

Cafè du parc Colazione offerta a tutti, insieme a Paolo Nata quindici anni dalla volontà di Paolo Favale. Conobbe i senza dimora che vivevano nei giardini della “giarina”, luogo in cui trascorreva la pausa pranzo. Oggi l’associazione accoglie quotidianamente circa 70 persone di Elisa Rossignoli

scheda Cafè du parc amici di Paolo Favale via contrada Gabbia 17 Verona Tel 368.7351879 Mail gliamicidipaolofavale@gmail.com

50 Scarp de’ tenis ottobre 2015

L’autunno del 2000 a Verona sembrava voler iniziare come tutti gli altri. Anche per Paolo Favale, imprenditore della città che, come da un po’ era sua abitudine, trascorreva la sua pausa pranzo nel quartiere di Veronetta, ai giardini della “giarina”. La sede della sua azienda è a due passi, in quel luogo tra i più storici di Verona anche oggi assai noto per la sua marcata connotazione multietnica. Paolo sedeva su una panchina fra gli alberi, e come lui molti altri, soprattutto persone senza dimora, che avevano eletto come “casa” quell’angolo di verde e la stazione delle corriere dell’adiacente Piazza Isolo. Non si sa bene come, ma un giorno avevano iniziato a parlarsi, a conoscersi, a diventare amici. A metà settembre del 2000 continuavano ad incontrarsi e a chiacchierare come sempre. Ma l’autunno in arrivo era destinato a cambiare molte vite.

La notte del 15 settembre infatti, in quella stazione delle corriere divenuta rifugio per molti senzatetto, qualcuno appiccò un incendio, in cui perse la vita un giovane senza dimora polacco. Si chiamava Cezar Karabowski, ed era uno degli amici di Paolo. La forza di Paolo Paolo fu scosso profondamente da questo tragico evento e pensò che era ora di fare qualcosa perché la sua città potesse accogliere, non rifiutare. Il suo qualcosa divenne presto chiaro: nei giorni successivi, tutte le mattine, iniziò a portare un caffè a coloro che dormivano alla “giarina”. Prima da solo, ma ben presto coinvolse amici e persone che conosceva, compreso don Carlo, parroco della chiesa di S. Tommaso, proprio dietro l’angolo, che diede il suo supporto all’iniziativa. Non ci volle molto perché i senza dimora di Verona, con il passaparola, iniziassero a dirsi “andiamo a fare colazione alla giarina”.

Tutte le mattine, 365 giorni l’anno. Il caffè divenne qualcosa di più che un risveglio caldo, un piccolo ristoro nel freddo della città d’inverno. Era un momento di umanità, di amicizia, di scambio. Paolo era una persona carismatica che coinvolgeva gli altri con il suo impegnarsi in prima persona. E anche quando una brutta malattia lo costrinse a fermarsi, e nel 2004 lo portò via, la colazione alla “giarina” non si fermò. I suoi amici andarono avanti con il suo stesso spirito. Colazione per tutti Da allora sono passati 15 anni, e l’associazione “Cafè du parc amici di Paolo Favale” continua a distribuire la colazione ad almeno 70 persone ogni mattina. Ora, dopo 13 anni alla “giarina” e uno nell’ex caserma Passalacqua, si trova in un altro spazio, messo a disposizione dal Comune, non lontano dalla basilica di San Zeno


Maria Rita, per tutti Margherita, anima dell’associazione “Cafè du parc amici di Paolo Favale” in mezzo ad alcuni dei “suoi” ragazzi

(il vescovo patrono di Verona di documentate origini africane). Il gruppo conta ad oggi una trentina di volontari e lavora con le realtà che si occupano delle persone in situazione di grave marginalità. Oltre alla tensostruttura per ripararsi in caso di maltempo ci sono gazebo e tavoli che rendono il luogo accogliente.

Ma lo stile non è cambiato: caffé e latte caldo, un dolce e del pane. Pane fresco, per rispettare la volontà di Paolo, che voleva per i

suoi amici il meglio possibile. E due chiacchiere con tutti, conoscersi poco a poco, accogliere. Come si fa con gli amici. La domenica anche un panino con il prosciutto, o con il formaggio per chi non mangia il maiale. Maria Rita, per i più Margherita, è lì tutte le mattine. Come faceva Paolo. Perché il sogno di un mondo più accogliente è diventato e continua ad essere anche il suo e quello degli altri volontari. Qualcuno di loro, che si è trasferito, torna una volta al mese e fa

Il gazebo in cui si distribuisce la colazione ha come sfondo un telo con dipinti alcuni volontari che distribuiscono caffè e una fila di persone in attesa. Il primo è un uomo sorridente. «Paolo è quello che distribuisce?» «No – risponde Margherita –: Paolo è il primo che lo riceve». E fa colazione con i suoi amici

più di 80 km per non perdere la fedeltà a questo impegno. C’è poi un amico di Paolo, chef professionista, che gli promise di cucinare un pranzo come si deve il giorno di Pasqua per i senza dimora di Verona. Anche lui viene da lontano, ma non è mai mancato all’appuntamento organizzato all’Istituto Don Bosco. «Vengo qui perché è bello – racconta un ospite africano –. Mangiamo con calma, è buono, e siamo tra amici. «Margherita è mia mamma – sorride un altro che sta aiutando a riordinare i vassoi –. Per questo io l’aiuto». Il gazebo in cui si distribuisce la colazione ha come sfondo un telo dipinto: raffigura alcuni volontari che distribuiscono caffè da un thermos, e una fila di persone in fila per riceverlo. Il primo è un uomo alto e sorridente. «Paolo è quello che distribuisce? – chiedo –. No, risponde Margherita: Paolo è il primo che lo riceve». E fa colazione insieme ai suoi amici. ottobre 2015 Scarp de’ tenis

51


Tra gli schiavi nei campi di pomodori di Stefania Marino

Qui vale la regola “più raccogli, più vieni pagato”. E così al lavoro anche dieci ore al giorno sotto la calura di una stagione bollente senza pause. Senza diritti, perché chi non ha documenti, non ha voce. Ma le colpe stanno altrove... 52 Scarp de’ tenis ottobre 2015

È una notte d’estate, una di quelle calde e placide, quando un maresciallo dei carabinieri della Compagnia di Battipaglia, in provincia di Salerno, impegnato in un normale posto di blocco, alza la paletta e ferma una macchina. All’interno non ci sono ragazzi con capelli “gelatinati” con smartphone e sigarette ma giovani uomini con appena gli abiti addosso pronti a farsi accompagnare nei campi per lavorare e sopravvivere. I carabinieri identificano 8 cittadini stranieri, tra i venti e i trentadue anni, di nazionalità marocchina. Per la legge tutti irregolari. Quattro sono sul sedile posteriore e tre rannicchiati nel cofano. Sono arrivati in Italia nel maggio scorso confusi tra gli innumerevoli sbarchi di migranti. Dalle coste siciliane si sono spostati nella Piana del Sele, in questa terra dove sapevano di trovare altri loro connazionali. Senza permesso di soggiorno, cadono subito nelle maglie del cosiddetto caporalato. A bordo di una fatiscente macchina, senza assicurazione e con targhe fal-


PIANA DEL SELE

se. Dalle testimonianze raccolte dai carabinieri, i braccianti stavano andando a raccogliere pomodori nella Piana del Sele. L’uomo viene denunciato per intermediazione di mano d’opera irregolare. Loro, i braccianti, per ogni cassone da 200 chili avrebbero ricevuto 6 euro mentre l’ “intermediario” avrebbe messo in tasca 4 euro a persona. Immigrati al lavoro nei campi di pomodori. Per molti di loro, senza documenti, affidarsi ai caporali è l’unico modo per lavorare

Da un anno e mezzo è operativo il “Progetto Presidio” di Caritas Italiana, attuato dalla Caritas di Teggiano -Policastro. Un presidio contro lo sfruttamento in agricoltura per dare assistenza legale e sanitaria, per affiancare o accompagnare chi deve rinnovare il permesso di soggiorno

Un lavoro disumano Un lavoro incalzante, non dettato dai patti della “giornata” ma dalla regola più raccogli, più vieni pagato. E così al lavoro anche dieci ore al giorno sotto la calura di una stagione bollente senza fermarsi, senza pause. Senza diritto a lamentarsi, perché chi non ha documenti, non ha voce. È arrivata anche qui l’eco delle cronache estive che ci hanno raccontato di quanti nelle campagne pugliesi hanno perso la vita stremati dalla fatica, dal caldo e da condizioni disumane di lavoro. È stato anche per questo forse che si sono rafforzati i controlli nelle aziende in tutte le zone “calde” d’Italia, lì dove si muovono migliaia di lavoratori stagionali, allo scopo di monitorare le condizioni di impiego e intercettare eventuali fenomeni di caporalato. Una piaga che il Mi-

nistro delle Politiche Agricole Maurizio Martina ritiene vada “combattuto come la mafia”. Nella frazione di Santa Cecilia nel comune di Eboli, nel cuore della Piana del Sele, si possono incontrare tanti uomini provenienti soprattutto dal Marocco. Alla domanda “che lavoro fai?” quasi tutti rispondono “nella terra”. Molti hanno in tasca un contratto di lavoro stagionale, vivono con i loro connazionali amici o parenti in qualche appartamento, ma tanti altri mostrano il volto di chi fugge da una vita, senza documenti, senza la consapevolezza di poter essere curato in caso di malattie, senza speranza, dopo essere stato truffato e lasciato nella clandestinità.

Sono loro, gli anelli più deboli della catena, quelli che si alzano alle prime luci dell’alba per tentare la fortuna di avere una giornata di lavoro, non importa a quali condizioni. Non importa se per poter mangiare debbono dare parte del guadagno a chi gli procura quel lavoro. Mettono in tasca il minimo indispensabile per poter vivere e chi ha moglie e figli da mantenere in Marocco o in Romania. Mohammed (nome di fantasia) ad agosto ha deciso di andare a Foggia a raccogliere pomodori. Pagato a cassoni e costretto a vivere in baracche in condizioni brutali. È tornato indietro. Almeno sta con i suoi amici. Aspetta “la legge” per poter regolarizzare la

sua posizione. E aspetta una macchina che lo porti in qualche campo a raccogliere o piantare. Progetto Presidio Da un anno e mezzo, nella Piana del Sele, tra Eboli e Capaccio, è operativo il “Progetto Presidio” di Caritas Italiana, attuato dalla Caritas di Teggiano-Policastro. Un presidio contro lo sfruttamento in agricoltura per dare assistenza legale e sanitaria, per affiancare o accompagnare coloro che hanno necessità di rinnovare il proprio permesso di soggiorno, di prenotare una visita medica, di iscriversi al servizio sanitario. Un presidio per poter esserci anche davanti a chi pensa di essere invisibile.

IL CASO

La denuncia di don Daniele Peron: «Il caporalato è l’effetto del problema» «Il caporalato non è il problema. È l’effetto del problema». Lo dice con estrema chiarezza don Daniele Peron, dal 1988 parroco della Chiesa di San Vito al Sele nella frazione Santa Cecilia di Eboli. Un luogo dove si concentra da anni una considerevole presenza di immigrati soprattutto marocchini e rumeni. Sulla problematica del lavoro in agricoltura don Daniele ha una visione d’insieme, legata ad una conoscenza trentennale del territorio. Il suo è un osservatorio a trecentosessanta gradi sia sul mondo degli imprenditori agricoli sia su quello degli immigrati che arrivano in parrocchia in cerca di un paio di scarpe o di un pacco di riso. Insomma, la questione può partire dai caporali ma giocoforza implica uno sguardo anche sul peso che l’agricoltura ha oggi sul sistema di produzione. Secondo don Daniele bisognerebbe chiedersi quali sono oggi le difficoltà delle imprese agricole, discutere della farraginosità della burocrazia, della superbia di un mercato che non aspetta chi rallenta fino ad arrivare alla questione etica del lavoro. «Quanto è etica, quanto è umana – dice il sacerdote - questa nostra economia che vede il profitto al centro di tutto? Il mercato oggi detta le regole e la politica si piega alle regole dell’economia. La persona non è più al centro». E qui nella vasta Piana del Sele nel salernitano ci sono migliaia di persone che hanno lasciato il proprio Paese, gli affetti familiari, solo per poter lavorare. «Chi ha affrontato certi viaggi- conclude don Daniele – è disposto a fare tutto. Spesso devono pagare chi tiene sotto scacco le famiglie. Hanno esigenza di fare soldi e in fretta». ottobre 2015 Scarp de’ tenis

53


NAPOLI sul disagio in un quartiere periferico che la struttura di Ponticelli è stata voluta ed equipaggiata, anche grazie al contributo della Tavola Valdese e ai fondi raccolti con la campagna sms solidale “La salute è un diritto di tutti”. Ed è in questo solco che si sviluppa il lavoro di Emergency in Italia e a Napoli.

L’ambulatorio che Emergency ha aperto nel cuore di Ponticelli

Emergency apre a Napoli: cure gratuite a tutti di Claudia Sparavigna

Sono sempre di più le persone che oggi non possono permettersi un’assistenza sanitaria degna di tale nome: nuovi poveri, senza dimora, migranti. Nonostante la costituzione italiana garantisca tale diritto, molte persone non riescono ad accedere ai livelli essenziali di assistenza sanitaria.

info Ambulatorio Ambulatorio di Emergency via Pacioli, 95 - Napoli Dal lunedi al venerdì 9.00-18.00 Tel 0811 9579909 - 342 8627270. www.emergency.it

54 Scarp de’ tenis ottobre 2015

Una sanità basata su equità, qualità e responsabilità sociale sono i principi su cui si basa Emergency, associazione nata per fornire soccorso chirurgico nei Paesi in guerra e nel tempo ha esteso il raggio delle sue attività alla cura delle vittime della povertà in nazioni in cui non esistono cure sanitarie gratuite. Nel cuore di Ponticelli Dal primo settembre Emergency ha aperto un ambulatorio a Napoli, nel quartiere Ponticelli. All’interno del parco dedicato ai fratelli De Filippo, in una struttura messa a disposizione dal Comune e ristrutturata da Emergency, è nato un presidio che offrirà gratuitamente servizi di medicina di base e orientamento socio sanitario per italiani e stranieri che

non hanno la possibilità di accedere alle cure mediche. Emergency ha iniziato a lavorare in Italia a partire dal 2006, anno in cui aprì a Palermo un Poliambulatorio per garantire l’assistenza sanitaria ai migranti e, pian piano, ha portato la sua opera in sei città italiane: Marghera, Polistena, Castel Volturno, Napoli, Bologna e Milano e con i suoi ambulatori mobili offre assistenza sanitaria nelle campagne del sud Italia e ai migranti che sbarcano sulle coste siciliane. È in quest’ottica di intervento

«Sulle pareti abbiamo scritto due articoli della Costituzione – spiega Gino Strada, fondatore di Emergency – che ci stanno particolarmente a cuore: l’articolo 11, il ripudio della guerra, e l’articolo 32, la tutela della salute come diritto dell’individuo». Un’assistenza sanitaria, quella offerta da Emergency, che non vede differenze di colore, razza, religione, censo. «Siamo felici dell’apertura dell’ambulatorio di Ponticelli – racconta Cecilia Strada, presidente di Emergency – nato d’intesa con il comune di Napoli. Stiamo lavorando sempre di più in Italia perché anche le fasce più vulnerabili della popolazione abbiano accesso alle cure, senza nessuna discriminazione». Anche il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, vede nell’ambulatorio di Ponticelli un presidio importante: «Sembrava un sogno e invece è tutto vero – dice il primo cittadino – a Ponticelli ci sarà non solo un ambulatorio ma anche un presidio di solidarietà e di accoglienza, dove vince e si afferma l’amore per gli altri per chi resta un passo indietro segnato da povertà e bisogno».

LA SCHEDA

Aperto cinque giorni a settimana, con medicina di base e orientamento Il centro sarà aperto dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18 e offrirà gratuitamente servizi di medicina di base e di orientamento socio sanitario per facilitare l'accesso al sistema sanitario a chi ne ha bisogno; inoltre sarà disponibile un ambulatorio infermieristico per iniezioni, controllo parametri vitali, monitoraggio della terapia e medicazioni. L'attività dell'ambulatorio potrà contribuire anche a ridurre gli accessi impropri alle strutture di pronto soccorso, evitando lunghe attese e l'intasamento dei servizi di primo soccorso.


VOCI DALL’EUROPA

Lezione di umanità dalla Germania: accolto oltre un milione di rifugiati

di Mauro Meggiolaro

Migliaia di persone di tutte le età camminano verso un futuro che sperano migliore, lasciano la stazione di Budapest e occupano strade e autostrade per raggiungere a piedi la Germania, la nuova terra promessa. Sono immagini che abbiamo visto e rivisto in televisione e sui giornali all’inizio di settembre. Pochi giorni prima il governo di Berlino aveva annunciato la sospensione del regolamento di Dublino per i profughi siriani, in modo da permettere la richiesta di asilo in Germania e non solo nel primo stato Ue di arrivo (in genere Grecia, Italia o Ungheria). Una mossa a sorpresa e, allo stesso tempo, un atto di grande coraggio: se l’Europa non riesce a prendere decisioni rapide sulle quote di accoglienza, la Germania decide di aprire le porte a chi fugge dalla guerra, senza se e senza ma.

scheda Mauro Meggiolaro, nato a Verona nel 1976. Ha lavorato per banche e finanziarie etiche in Germania e a Milano (Etica Sgr, Banca Etica). Azionista critico alle assemblee di Enel ed Eni, nel 2009 ha creato la società di ricerca Merian Research. Scrive anche per “Valori” e “Il Fatto Quotidiano”. Nel 2013 è tornato a vivere a Berlino.

La popolazione è d’accordo «In base agli ultimi sondaggi l’80% dei cittadini tedeschi condivide la scelta del governo – ha spiegato il professor Hajo Funke, politologo e studioso dell’estremismo di destra, alla radio nazionale pubblica tedesca Deutschlandfunk –. Non si è mai vista negli ultimi decenni, oserei dire secoli, una tale disponibilità del popolo tedesco all’aiuto volontario». Entro la fine del 2015, i richiedenti asilo in tutta la Germania potrebbero essere un milione, più dell’1% della popolazione. Solo a Berlino ne saranno accolti 40

mila. Il resto sarà suddiviso tra tutte le altre regioni, in proporzione al numero di abitanti e alle entrate fiscali. Nella capitale la mobilitazione dei cittadini è iniziata da tempo.

Entro la fine del 2015, i richiedenti asilo in tutta la Germania potrebbero raggiungere la cifra di un milione, più dell’1% della popolazione. Solo a Berlino ne saranno accolti ben 40 mila. Il resto sarà suddiviso tra tutte le altre regioni, in proporzione al numero di abitanti e alle entrate fiscali

Già nell’estate del 2013 nel quartiere popolare di Moabit, un gruppo di cittadini ha dato vita a “Moabit hilft!” (“Moabit aiuta”), un’iniziativa che coinvolge istituzioni locali, associazioni e imprenditori. Si raccolgono vestiti usati, si accompagnano i rifugiati alle visite mediche, si organizzano corsi di tedesco, si individuano appartamenti vuoti offrendo aiuto nei traslochi e nella ricerca di lavoro. Periodicamente vengono organizzate feste per far incontrare gli abitanti del quartiere con chi è accolto nei centri temporanei. Solidarietà a 360 gradi Ma le iniziative di solidarietà fioriscono in tutta la città e nei principali snodi del Paese. Nelle stazioni decine di volontari distribuiscono bottiglie d’acqua e, con casacche improvvisate, offrono informazioni in arabo. I quotidiani scandalistici Bild Zeitung e BZ, normalmente molto critici nei confronti dell’immigrazione, sono usciti con due paginoni centrali in arabo contenenti informazioni di base per i profughi.

«Dopo aver letto il giornale regalatelo a un richiedente asilo», riportava la prima pagina. Quanto durerà l’empatia? Riuscirà a sopravvivere al duro inverno tedesco?

Uno dei tanti cartelli che hanno accolto l‘arrivo dei rifugiati in Germania

Molti sono pronti a scommettere che sarà così. «La volontà politica c’è – spiega Hajo Funke –. E se la politica si muove e dimostra che i problemi si possono risolvere, la solidarietà non si fermerà». ottobre 2015 Scarp de’ tenis

55


VENTUNO

Aggrappati al nucleare Ma a quale prezzo?

Era l’11 marzo del 2011 quando uno tsunami devastò le coste del Giappone provocando la più grave catastrofe nucleare dai tempi di Chernobyl. Fukushima, la centrale nucleare colpita, è da allora in emergenza continua. Secondo Greenpeace i livelli di radioattività in loco sono ancora, a distanza di anni, troppo alti per garantire la sicurezza della popolazione

In Giappone, nonostante Fukushima, in Francia e nel Regno Unito. Paesi ostinatamente legati all’atomo. Non basta la triste contabilità dei costi - umani ed economici - legati alle catastrofi. Ma qualche eccezione c’è. Come l’Austria, per esempio testi di Andrea Barolini

Sono passati quattro anni e mezzo dall’11 marzo del 2011, quando uno tsunami devastò le coste del Giappone, provocando la più grave catastrofe nucleare dai tempi di Chernobyl. Fukushima, la centrale colpita, è da allora in emergenza continua: dapprima lo spegnimento degli incendi, quindi il tentativo di raffreddare i reattori, successivamente il problema dello stoccaggio delle centinaia di cisterne piene di acqua radioattiva. Un disastro ambientale

scheda

Ventuno come il secolo nel quale viviamo, come l’agenda per il buon vivere, come l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. Ventuno è la nostra idea di economia. Con qualche proposta per agire contro l’ingiustizia e l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

56 Scarp de’ tenis ottobre 2015

che si è rapidamente trasformato in un dramma economico e sociale.

Sette miliardi di euro Di recente la compagnia elettrica che gestisce il sito, la Tokyo Electric Power (Tepco) ha domandato al governo l’ennesimo aiuto economico. La richiesta è stata di 950 miliardi di yen, ovvero poco meno di 7 miliardi di euro, giustificata con la necessità di coprire nuovi indennizzi relativi ai danni morali causati ai privati e agli imprendi-

tori colpiti. È la nona volta che la Tepco batte cassa per la questione di Fukushima: l’ultima fu a marzo scorso, con una richiesta di 4,6 miliardi di euro. In totale, finora,

l’azienda ha ricevuto, comprese le iniezioni dirette di liquidità effettuate dallo Stato, 6.886 miliardi di yen: circa 50 miliardi di euro al

cambio attuale. È il costo gigantesco e non esaustivo del disastro nucleare. I lavori nella centrale dureranno ancora anni e anni. Alla fine del 2014 è stato evacuato il combustibile presente nella piscina del reattore numero 4, il che ha scongiurato un’ulteriore catastrofe ambientale. Ma il processo di raf-

I DATI

I rifiuti nucleari in Italia: quanti e dove sono? Il Deposito nazionale che dovrà essere presto individuato dovrà trovare spazio a 90 mila metri cubi di rifiuti nucleari; di questi 75 mila sono scorie a bassa e media radioattività e 15 mila metri cubi sono ad alta radioattività. Il 60% dei 90 mila metri cubi di scorie deriva dall’attività di dismissione dei quattro impianti nucleari non attivi presenti nel nostro Paese: la centrale di Latina ferma dal 1986; la centrale di Trino Vercellese e quella di Caorso spente nel 1987; la centrale del Garigliano, fermata definitivamente nel 1982. Oltre alle quattro centrali in Italia ci sono tre siti di stoccaggio in Piemonte, nel Lazio e in Basilicata. I restanti 36 mila metri quadri di scorie derivano invece dalle applicazioni di medicina nucleare, industriale e dalle attività di ricerca.


freddamento dei nuclei è ancora in corso, e la Tepco è obbligata a costruire nuove cisterne per stoccare l’acqua radioattiva (parliamo di qualcosa come 200 mila tonnellate solamente dall’inizio del 2015!). Il sistema di decontaminazione idrica risulta infatti bloccato ormai da mesi e, secondo quanto riferito dal quotidiano francese Sciences et Avenir, potrebbe rimanere fermo fino al 2016. Il tragico conto dei morti All’immensa mole di denaro stanziata fin qui occorre poi

aggiungere i costi relativi alle operazioni di bonifica della regione colpita: un’ope-

ra che appare ancora oggi titanica e lontana dall’essere completata. Eppure il governo del conservatore Shinzo Abe sembra voler fingere che tutto vada bene, accelerando a tutti i costi i tempi per consentire ad alcune delle 160 mila persone evacuate dal 2011 di rientrare nelle proprie case. È il caso degli abitanti della città di Naraha, per la quale è stato an-

nunciato il ritiro dell’ordine di evacuazione, nonché delle borgate di Tamura e di Kawauchi, già dichiarate abitabili. Tale politica ha scatenato la reazione dell’organizzazione ecologista Greenpeace, che a metà luglio ha lanciato un appello: «Il governo - ha spiegato la Ong in un comunicato - appare determinato a “normalizzare” gli effetti della catastrofe, facendo credere che la popolazione possa tornare sulle zone contaminate solo qualche anno dopo l’incidente». Secon-

do Greenpeace, infatti, i livelli di radioattività in loco sono ancora troppo alti per garantire la sicurezza della popolazione. La stessa parola “sicurezza”, d’altra parte, stride con la realtà. Basti pensare che, se la conta delle vittime nella centrale il giorno della catastrofe non superò le 17 unità, i morti ufficialmente

attribuiti alla radioattività nella sola provincia di Fukushima sono stati finora 1.656 (dato aggiornato allo scor-

In Giappone i 48 reattori nucleari sono fermi, ma il premier Abe non si sta accontentando di riaprire le zone contaminate. Il suo vero obiettivo è di riavviare nel più breve tempo possibile l’intero parco nucleare giapponese

so mese di marzo). Tenendo conto del fatto che lo tsunami ne provocò “solo” 1.607, vuol dire che le conseguenze del disastro nucleare sono ormai più gravi rispetto a quelle del terremoto e delle inondazioni. Senza contare che nelle provincie limitrofe - Iwate e Migayi - i morti ammontano rispettivamente a 434 e 879. E c’è chi insiste con l’atomo

Ma Abe non si accontenta di riaprire le zone contaminate. Il suo vero obiettivo (dichiarato) è di riavviare nel più breve tempo possibile il parco nucleare giapponese. Oggi i 48 reattori presenti nell’arcipelago sono infatti fermi; la prefettura giapponese di Kagoshima ha tuttavia annunciato il via libera alla riattivazione di due impianti, i Sendai 1 e 2, presenti sul territorio di propria competenza (entrambi giudicati «sicuri» dall’autorità di vigilanza). Altri due reattori - i Takahama 3 e 4 - hanno ricevuto un via libera dalle autorità, ma sono stati “conottobre 2015 Scarp de’ tenis

57


VENTUNO gelati” dalla magistratura: secondo i giudici, infatti, non sono stati ancora equipaggiati con sufficienti sistemi antisismici. Dall’altra parte del mondo,

anche la Francia appare ostinatamente attaccata all’atomo. Da anni la compagnia

Un’Europa a due facce. La Francia appare ostinatamente attaccata all’atomo e tra Austria e Gran Bretagna scoppia la guerra in tribunale. Per gli austriaci gli aiuti concessi al settore nucleare - e in particolare al Regno Unito sono “scandalosi”

Areva costruisce quattro reattori: uno a Flamanville, in Normandia, uno in Finlandia e due in Cina. Mentre un altro impianto è previsto a Hinkley Point, nel Regno Unito. Lo scorso 7 aprile l’Autorità per la sicurezza nucleare francese (Asn) ha individuato alcune “anomalie” nel serbatoio del reattore Epr in cantiere a Flamanville. Una settimana dopo, il presidente dell’organismo di vigilanza, Pierre-Franck Chevet, ha spiegato al Senato di Parigi che «il problema individuato è serio. Molto serio. Coinvolge una delle componenti principali della struttura. Valuteremo ora gli impatti potenziali sulla sicurezza, ma per farlo ci vorranno mesi». Quanto basta per fare retromarcia? Neanche per sogno: il ministro dell’ecologia, Ségolène Royal ha minimizzato, dichiarando che «il reattore non è condannato, l’apertura sarà solo ritardata di un anno. Si tratta di lavori complessi: è normale che possano esserci aggiustamenti in corso d’opera. Effettueremo i test necessari e ripartiremo». A lievitare, assieme ai tempi, sono anche i costi: dalla stima iniziale di 3,3 miliardi di euro, si è passati ormai a 10,5 miliardi (secondo la cifra indicata ad inizio settembre dal numero uno di Edf, azienda che gestisce il sito nucleare di Flamanville). E per l’apertura occorrerà aspettare il

Fonte: the Guardian

Probabilità di terremoto in zone nucleari

Probabilità di un terremoto del 10% nei prossimi 50 anni Molto alta Alta Moderata Bassa Siti nucleari

58 Scarp de’ tenis ottobre 2015

2018 (il cantiere è aperto dal 2007...). Stessa musica a Olkiluoto, in Finlandia, dove Areva costruisce un Epr dal 2005: qui l’azienda ha ormai dovuto prevedere perdite per 3,9 miliardi, ovvero più del prezzo di vendita del reattore, fissato a 3 miliardi. E i problemi non mancano neppure ai due Epr cinesi, installati a Taishan: il governo di Pechino, visti i problemi di Flamanville, ha sospeso la fase di caricamento del combustibile, in attesa dei risultati dei test in Francia. L’Austria chiama la Gran Bretagna in tribunale Nel Regno Unito, invece, la costruzione di due reattori è stata valutata ad un costo stratosferico, compreso tra 19 e 31 miliardi di euro. Ma una tegola giudiziaria è caduta sul progetto: l’Austria si

è rivolta alla Corte di giustizia europea, denunciando gli aiuti - definiti «scandalosi» - concessi al settore nucleare. Vienna punta il dito in particolare contro la decisione del governo britannico di promettere un riacquisto dell’energia prodotta dalla centrale ad un prezzo maggiorato, per 35 anni. Al progetto è stata inoltre concessa una

garanzia pubblica pari a 17 miliardi di sterline, nonché una clausola di indennizzo in caso di chiusura anticipata. Secondo il ministro dell’Ambiente austriaco Andrä Rupprechter, «tale imponente mole di denaro dovrebbe essere utilizzata in altro modo, tenuto conto del fatto che il nucleare è una fonte del secolo scorso, ormai superata perché non sostenibile, perché presenta rischi elevati e perché ha costi troppo elevati». «Le sovvenzioni esistono per sostenere tecnologie moderne gli ha fatto eco il cancelliere Werner Faymann, secondo quanto riportato dall’agenzia AFP - che siano al servizio dell’interesse generale di tutti gli Stati membri dell’Ue. Ciò non può valere in alcuni casi per il nucleare». Problemi, ritardi, costi alle stelle che hanno condotto Areva (società controllata dallo Stato) in una complicata crisi, costringendo il governo di Parigi ad operare, alla fine di luglio, un salvataggio d’emergenza. La Edf è stata obbligata infatti a rilevare la Areva NP (divisione reattori dell’azienda) alla modica cifra di 2,7 miliardi di euro. Qualunque cosa pur di non abbandonare l’energia nucleare.


Mentre in Francia si affronta il nodo di come stoccare i rifiuti nucleari prodotti dalle centrali d’Oltralpe, in Italia ancora non si sono individuate le aree di sicurezza dove porre le scorie delle centrali - come quella di Caorso (foto nella pagina a fianco) - chiuse da più di vent’anni

LA STORIA

I rifiuti nucleari, in Francia, triplicheranno entro il 2080 La Francia, Paese che da decenni punta sul nucleare come prima fonte di energia per il proprio approvvigionamento presenta sul proprio territorio 58 reattori attualmente in funzione, installati in 19 differenti centrali. Tra queste anche alcune molto vecchie, come ad esempio il sito di Fessenheim, in Alsazia, attivo dal 1977 (e per questo da tempo nel mirino degli ambientalisti). La mole di combustibile utilizzato nel corso del tempo è perciò, ormai, gigantesca. E l’invecchiamento progressivo del parco nucleare francese non farà altro che

aumentarla. Anzi, per l’esattezza triplicarla: entro il 2080, la

Inventario e Pianificazione dell’Andra - che la produzione an-

quantità di rifiuti radioattivi aumenterà infatti in modo allarmante.

nuale di rifiuti radioattivi rappresenta ormai l’equivalente di due chilogrammi per ciascun abitante». E sarà

Dove stoccare le scorie? Attualmente, la mole presente sul territorio del Paese europeo è pari a 1,46 milioni di metri cubi, ma secondo un rapporto pubblicato il 1 luglio dall’Andra (Agence nationale pour la gestion des déchets radioactifs), essa toccherà tra 65 anni i 4,3 milioni di metri cubi (supponendo una durata operativa media di 50 anni dei reattori). «Ciò significa ha spiegato all’agenzia AFP Michèle Tallec, responsabile del servizio

proprio il comparto elettro-nucleare a produrne la stragrande maggioranza (circa il 60%), seguito dalla ricerca scientifica (27%) e, con quote minori, da difesa, settore medico e altre industrie. Nel documento l’Andra mette in guardia anche sulla spinosa questione della gestione dei rifiuti stessi: tra il 2020 ed il 2025,

Tra il 2020 e il 2025 lo spazio nel sito di stoccaggio di Morvillier, nella regione dello Champagne-Ardenne, uno dei più grandi del Paese, sarà esaurito

infatti, risulterà completamente esaurito lo spazio nel sito di stoccaggio di Morvillier, nella regione Champagne-Ardenne, uno dei più grandi del Paese.

Mancano pochissimi anni, eppure cosa si farà successivamente resta ancora un mistero. ottobre 2015 Scarp de’ tenis

59


Osf la scelta del cuore

Emergenza italiani Opera San Francesco per i Poveri 2.779 pasti, tra pranzo e cena. Nel 2014 c’è stato un aumento rispetto ai dati 2013: in totale, sono stati serviti 11.290 pasti in più rispetto all’anno precedente, per un totale di 869.516 coperti. Anche alle docce l’affluenza è stata maggiore: sono stati registrati nel 2014 complessivamente 66.889 ingressi, con un lieve incremento rispetto all’anno precedente. In prevalenza sono gli uomini a richiedere i servizi: il 74% (19.848). Per quanto riguarda l’età, oltre il 25%, degli utenti rientra nella fascia dei 35-44. Anche i numeri del poliambulatorio gratuito sono altissimi: 167 visite mediche al giorno per un totale di 40.188. Anche se sono 134 le nazionalità rappresentate dagli utenti di Opera San Francesco, il 2014 è da considerare l’anno della svolta: gli utenti italiani (3.449, cioè il 13%), hanno superato numericamente quelli di altre nazionalità da sempre molto presenti, cioè i rumeni (12%), gli egiziani (10%), i marocchini (8%), i peruviani (7%).

In primo Piano: l’emergenza abitativa Tante le iniziative e i progetti in Osf. Fra questi, l’Opera San Francesco partecipa alla prima sperimentazione a livello nazionale del progetto Housing First Italia, promosso da fio.Psd (Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora). Il progetto intende sostenere alcuni criteri ritenuti fondamentali: ridurre l’emergenza abitativa e favorire l’inclusione sociale inserzione pubblicitaria a pagamento

partendo da concetti di scelta, negoziazione e ascolto attraverso un’accoglienza immediata in appartamento. L’ Housing First si rivolge a persone in condizione di grave emarginazione, senza dimora, tra i 25 e i 45 anni, italiani o stranieri ma con documento valido, condizione necessaria per responsabilizzare la persona a regolarizzarsi e accedere ad una serie di servizi.

Avere cura delle persone Un’altra attività fondamentale di Osf è sul fronte sanitario con il progetto volto alla tutela della maternità in condizioni di fragilità. La Dottoressa Ilaria Pensabene è volontaria dell’ ambulatorio. Ecco cosa racconta della sua esperienza: "Attualmente a OSF sto collaborando al progetto Prevenzione amica delle donne migranti a Milano che, insieme all’asl di Milano, al Comune di Milano e alla Fondazione Bracco, ha come scopo la prevenzione delle infezioni materno-fetali nelle popolazioni migranti. Ogni volta mi scopro a osservare lo stupore e la gratitudine di donne straniere con problemi di ogni genere, di integrazione, di lavoro, di lingua, spesso lontane dalla loro casa. A Opera San Francesco ho trovato un ambito di autentica attenzione alla persona nella sua totalità, corpo e anima, e un livello di cura sanitaria assolutamente all’avanguardia. Sono consapevole che il mio operare sia una goccia in un oceano, ma sono grata e certa che quel poco sia segno di una carezza alla vita dell’altro, una carezza che scalda il mio e il suo cuore”.

Mettici il cuore Opera San Francesco ha ricevuto con il 5 per mille del 2014, ben 1.858.897 euro: oltre 50.598 contribuenti hanno fatto la scelta col cuore. Ogni euro donato a Opera San Francesco e ai suoi oltre 700 volontari, viene moltiplicato e trasformato in pasti, visite mediche, farmaci e abiti distribuiti, servizi di assistenza, progetti di ospitalità e di prevenzione. Chi vuole sostenere Osf può mettere nell'apposito spazio il codice fiscale di Opera San Francesco per i Poveri: 97051510150.

Opera San Francesco per i Poveri Onlus viale Piave, 2 - 20129 Milano ccp 456202 Tel. 02.77122400 www.operasanfrancesco.it Banca Prossima IBAN IT 63H 0335901600 10000 0119428


INCONTRI

LABORATORI

AUTOBIOGRAFIE

CALEIDOSCOPIO

Daniele durante una sua esibizione davanti al duomo di Milano. Studente all’accademia Santa Cecilia di Roma ama esibirsi per strada: «Non puoi mentire. La gente si ferma se sei bravo»

Daniele e il suo violino: «La strada non mente mai» Quando la gente sente suonare Daniele e suo padre Laurentiu si ferma sempre. Il cerchio di persone attorno a loro in corso Vittorio Emanuele a Milano è sempre molto ampio. Laurentiu è nato in Romania dove si è diplomato al conservatorio di Bucarest in pianoforte e clarinetto. Poi si è trasferito a Roma dove ha inciso diversi dischi e collabora con musicisti di livello. Daniele studia all’accademia di Santa Cecilia ma, quando iniziano le vacanze, strumenti alla mano, si parte. Insieme ai suoi genitori ha suonato in Italia e all’estero, ma Milano resta la sua piazza preferita. «Quest’anno poi è incredibile – racconta – non so se è merito di Expo ma c’è tantissima gente in giro». La scaletta Daniele la decide in base al pubblico che lo ascolta ma Bach e Beethoven non mancano mai. «In strada non puoi barare – racconta ancora –, se sei bravo la gente ti ascolta altrimenti se ne va . Ho fatto diversi concerti, ma il pubblico che ho incontrato nelle piazze e nelle strade che giro d’estate è Antonio Vanzillotta insostituibile. La strada è davvero una palestra di vita». ottobre 2015 Scarp de’ tenis

61


PAROLE

Sapori di terra: melanzane a’ funghetti e a’ scarpone

Cucina con tre euro: in tavola la tradizione e i sapori partenopei Nell’ambito di “Cucina con tre euro” , il contest culinario lanciato da Caritas Ambrosiana e Scarp de’ tenis nell’anno di Expo, anche i redattori di Scarp Napoli hanno deciso di proporre le loro ricette. Hanno scelto quattro piatti tipici napoletani: pasta patate e provola, alici indorate e fritte, melanzane a’ funghetti e melanzane a’ scarpone. Ci siamo divisi in tre gruppi, alcuni hanno preparato il primo, altri il secondo e altri ancora il contorno. Il mio gruppo ha scelto di preparare pasta e patate con la provola. Ci siamo divisi i compiti: Domenico, ad esempio, è andato a fare la spesa al mercato rionale di Capodichino. La ricetta che abbiamo scelto è composta da quattro patate, una cipolla, 500 grammi di pasta mista, pomodorini e una provola. Siamo andati a cucinare in una cucina professionale della Caritas: sembravamo dei veri cuochi, con tanto di grembiulini e cappello da chef. Abbiamo iniziato a sbucciare le patate e le abbiamo fatte a dadini e così abbiamo fatto con i pomodorini. Poi abbiamo preso una pentola con un po’ d’olio e cipolla e l’abbiamo fatta soffriggere, poi abbiamo aggiunto pomodorini tritati e patate. In un’altra pentola abbiamo messo l’acqua con due pomodorini e uno spicchio di cipolla, con un cucchiaio grande aggiungevamo quest’acqua calda aromatizzata alle patate, fino a farle cuocere. Sergio è stato il nostro chef, aveva il compito di non far bruciare le patate, con un cucchiaio di legno, girava con attenzione e stava attento ad aggiungere l’acqua. Marianna ha tagliato la provola con le sue mani delicate. Dopo mezz’ora dalla cottura delle patate, abbiamo calato la pasta per otto minuti e poi abbiamo aggiunto la provola. Il mio compito e quello di Antonio era quello del tuttofare. Mi sono sentita partecipe e mi sono divertita, per l’occasione avevo portato da casa un grembiulino con un cuore grande, realizzato da mio figlio per la festa della mamma. Quale occasione migliore? Siamo stati chef per un giorno e ci siamo sentiti come i concorrenti della Maria Esposito Prova del cuoco o di Masterchef. 62 Scarp de’ tenis ottobre 2015

Qui sopra melanzane a’ funghetti, sotto melanzane a’ scarpone e, a lato, alici indorate e fritte

Quando sono entrato in cucina ho sentito gli odori e i sapori della mia terra, mi è venuta la nostalgia di casa, soprattutto quando ho visto le melanzane, i pomodorini e il basilico. Uno dei miei piatti preferiti era ed è le melanzane a’ funghetti. E mi è piaciuto preparare questo piatto insieme ai miei compagni, ognuno ha partecipato: chi ha fatto la spesa, chi ha preparato gli ingredienti, chi si è cimentato ai fornelli e ha sorvegliato la cottura in forno. Per me stare in cucina è stato come tornare bambino. Avendo scelto un ortaggio di stagione gustoso e che costa poco, siamo riusciti a preparare anche un altro contorno tipico, le melanzane a scarpone ricetta suggerita da Umberto. Mezza melenzana viene farcita della sua polpa di olive, capperi, sale olio ed erbe aromatiche e si cuociono in forno. Quando sono pronte sembrano proprio delle scarpe che hanno camminato un bel po’. Proprio come noi. Luciano D’aniello


Napoli e il pesce azzurro: alice che non guarda i gatti «Un laboratorio inusuale. Chi ha fatto la spesa, chi ha pulito la cucina, chi ha spinato le alici. Abbiamo trascorso ore simpatiche» “Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole”, così canta De Gregori. Alice sta là ed aspetta. Io mi sono dovuto accontentare delle alici, intese come piccoli e gustosi pesciolini che il mare nostrum ci regala ogni giorno. Noi di Scarp, per fortuna, abbiamo chi ci tiene lontano dai pescivendoli cari: l’amico Max, in sella alla sua creatura rossa, è andato al mercatino di “sopra le mura” e ha portato in redazione alicette piccole ma simpatiche e vezzose. Il compito di spinarle l’ho assolto con dovizia. Le ho trattate come se nelle mie mani ci fossero petali di rose. Le alicette, in verità, non hanno opposto resistenza, forse perché abituate al sacro fuoco. Oppure semplicemente non vedevano l’ora di liberarsi dei redattori di Scarp, che abbandonate le penne e i quaderni hanno indossato gli abiti da chef. Dopo averle pulite ed assistite, le abbiamo fritte e gustate calde calde, non prima di aver lasciato la cucina pulita. È stato un laboratorio inusuale, direi “fritto e mangiato”. Mi sono divertito nel vedere l’altra faccia dei miei compagni, sconosciuta fino a quel giorno. Massimo che fa la spesa, Bruno che frigge le poverine, Peppe che le infarina e poi le cuoce, usando la forchettina, girandole una ad una, in una forma di rispetto nei confronti di chi già soffre. Mimmo si è dedicato alla pulizia della cucina, prima il tavolo, poi ha spazzato e lavato il pavimento. Abbiamo trascorso delle ore simpatiche, senza l’assillo di sentirsi il più in gamba. In fondo, cinque uomini

NAPOLI

in una cucina non rappresentano una novità, noi forse siamo stati guidati da una donna che non si vedeva ma ci assisteva: Haestia, la dea del focolare. La prossima volta, mi auguro ci sia una replica, lei non ci sarà ma, a questo punto, dea o non dea, potremmo certamente fare da soli, cercando di cucinare un primo piatto, una pietanza più elaborata. Il costo? Non ci preoccupa, noi abbiamo Massimo, l’economo per eccellenza. Se gli dai tre euro per la spesa, lui ti porta pure il resto. Aldo Cascella

RACCONTO

Il vecchio che ragalava storie di viaggio: i suoi racconti ora sono alla ricerca di una patria Ricordi il vecchio con la barba grigia, che raccontava le sue storie alla fermata del metrò? Lo ricordi il suo logoro cappotto marrone, che aveva macchie di unto sulle maniche e una lunga chiazza di muschio sulla schiena? E le tasche piene di fogli dattiloscritti, che teneva legati con lo spago, le ricordi? C’eri quella volta in cui scoprimmo che nei fogli, su cui leggeva le sue meravigliose storie, non c’erano altro che mucchi di lettere a casaccio? Soprattutto consonanti, gruppi dispari di sette o più lettere, con una rigorosa punteggiatura, ma completamente senza senso. Eppure la storia filava: si fermava un attimo ad ogni virgola. Due attimi ad ogni punto. Un attimo ed un sospiro ogni volta che girava la pagina. E gli occhi dei bambini che ascoltavano le storie di quel vecchio, li ricordi? Spalancati, luminosi brillanti sotterranei. Quanti treni ha fatto perdere quel vecchio! Quanti viaggi ha regalato. Io, dopo averlo incontrato la mattina, me ne andavo in ufficio portandomi sempre dietro un pochino di quella voce roca e di quei sorrisi felici che faceva a chi si fermava ad ascoltare. L’han trovato che rideva, o almeno così dicono, stretto nel suo cappotto, ché di notte fa ancora freddo, morto vicino al sottopasso della stazione di San Giorgio. Io sono arrivato che l’avevan già messo sul furgone della mortuaria, la stazione stava per aprire e si doveva fare in fretta. Appoggiata al cassonetto giallo della carta, come una vecchia bagascia sdentata, sorrideva la sua macchina da scrivere. Non mi è venuto subito in mente, ma appena il camion della nettezza urbana si è avvicinato ho realizzato: non avranno mica buttato via anche le sue storie? Allora è stato un attimo, ho scoperchiato il bidone e l’ho rovesciato per terra, inondando di cartacce il selciato e frugando con ansia nel timore di trovare quei fogli sconclusionati. Per fortuna ho solo fatto la figura del matto, perché di quei fogli magici non c’era traccia. Per evitare discussioni con i netturbini, che da lontano intuivano il disastro che avevo loro apparecchiato, sono scappato al porto antico e mi sono messo a guardare il mare e i riflessi dei grossi tubi del Bigo disegnati sull’acqua. Le bocche dei primi cefali a pescare briciole in superficie. E centinaia di piccole barche di carta, piene di interminabili righe di consonanti, a navigare verso Oriente. Aurelio Bonazza ottobre 2015 Scarp de’ tenis

63


CALEIDOSCOPIO

Il sabato del senzatetto Sabato sera, è tardi ormai. So che stasera non dormi, e io con te. Sto tornando alla mia tana nelle tue profondità E ascolto cos’hai da dirmi In questa sera di festa. Come ogni sabato di strada La tua voce parla uguale, so che avremo mezz’ora di quiete, solo mezz’ora e poi torna la luce, ed è in questo poco tempo che mi addormento. Buonanotte a voi tutti, buonanotte Vicenza. Ivano Frare

Il capitano e il gabbiano Ecco che arriva in porto con la sua nave E lui l’ha visto e gli vola incontro. Si posa sul suo braccio e lo saluta Lui gli fa una carezza, poi su nel cielo! Non è un addio, ma un arrivederci a presto. Un altro anno passerà, e presto si riabbracceranno di nuovo. Il gabbiano lo saluta con il suo verso. Al capitano si può vedere una piccola lacrima Mentre lo saluta con la mano alta nel cielo. Federica Tescaro

Centro diurno Caritas: gli ospiti veri protagonisti dell’accoglienza di Salvatore Couchoud

Dura minga, si vociferava con incredulità ridacchiante nell’autunno 2008 in merito all’imminente apertura del centro diurno Caritas di via Giovio, che nelle intenzioni dei promotori avrebbe dovuto a giorni alterni ospitare il popolo dei senza dimora di Como. Con buona pace degli scettici, quel centro diurno è non solo durato nel tempo ma si accinge il prossimo 4 ottobre a spegnere la settima candelina sulla torta di compleanno. Ma c’è molto di più: nell’arco del settennato non solo il centro diurno si è adeguato in tempo utile alle nuove frontiere dell’emergenza, ma proprio nell’ultimo biennio è andato arricchendosi di contenuti sperimentali e di esperienze innovative che promettono ulteriori sviluppi. A cominciare dal coinvolgimento degli ospiti nella pianificazione stessa del servizio.

«Siamo da tempo passati dalla fase dell’aiuto e dell’assistenza a quella delle relazioni costruttive – specifica la responsabile del centro, Cecilia Gossetti –. Abbiamo avviato una

Non solo maquillage La metamorfosi della struttura ha riguardato anche la ridefinizione degli spazi e degli ambienti, con la sostituzione –su proposta e dietro attiva collaborazione degli ospiti alla sua realizzazione – della pavimentazione in piastrelle con un più funzionale parquet, prima tappa di una ristrutturazione che, grazie all’intervento dell’architetto Dario Valli e la collaborazione degli utenti del centro, avrà per oggetto suppellettili e mobilio. Non un’operazione di mero maquillage, come si potrà bene intendere, ma la ricerca di nuove strategie di condivisione e di interazione tra le quali, come sottolinea ancora Cecilia Gossetti: «l’abbellimento dei locali non è che una delle condizioni preliminari della vivibilità e della comune fruibilità».

Bandiera bambina Uomini liberi, figli di crudeli ideali. Nati con camicie e cravatte costose, comandano e ribellano il mondo, quando gli pare. Distruggono gli alberi e il verde che ci fa respirare. Io non so se questo è strettamente normale, o se siete dei robot da comandare. Siete liberi comunque, voi non siete catrame da stendere su strade, che poi non vi faranno neanche vedere. Avete più diritti che doveri da far rispettare. Non fate i ciechi, aprite gli occhi, e imparate a guardare. Guardare è bello, se si guarda quello che si vuole guardare. Ma poi ci roviniamo con le nostre stesse mani. Unitevi, smentiteli, smettete di fare le cavie. Sperimentano su di noi, il loro e non il nostro mondo ideale futuristico, meccanico, uomini da computerizzare. E i nostri figli saranno poi le nuove cavie. Comunque liberi, di essere o non essere, e cercate di guardare come uccidono i cuccioli, solo per bellezza e per sfilare. Non odiateli e insegnategli, che c’è ancora gusto ad amare. Ferdinando Garraffa

64 Scarp de’ tenis ottobre 2015

stagione che non si limita all’ascolto ma tende a produrre la partecipazione di un’utenza investita di responsabilità nella vita di un Centro che per essa diventa un crocevia di confronti, una palestra per ritrovare energie perdute o soltanto appannate, e un’officina di potenziali percorsi da elaborare, sfidando anche i più sfiduciati a rimettersi in gioco recuperando sopite capacità. L’essenziale è vincere la solitudine, e questo lo si fa tutti insieme, come del resto è giusto che sia».

Isole Cronaca di un giorno come altri diverse solo prospettive e panchine e la disposizione di alberi e fontane siepi e cespugli spazi per bambini. Passanti, come atolli sommersi d’inquietudini, riflettono soltanto paranoie e fobie. Nel silenzio assordante e indifferente dell’immane scacchiera essere poco più che una pedina, questo è il vero problema. Aida Odoardi


La famosa foto di Buzz Aldrin sulla luna scattata da Neil Armstrong. Sulle immagini riflesse dal casco sono nate teorie del complotto

L’uomo sbarcò sulla Luna, nonostante i complottisti di Federico Baglioni

scheda Federico Baglioni Biotecnologo, divulgatore e animatore scientifico, scrive sia su testate di settore (Le Scienze, Oggi Scienza), che su quelle generaliste (Today, Wired, Il Fatto Quotidiano). Ha fatto parte del programma RAI Nautilus ed è coordinatore nazionale del movimento culturale “Italia Unita Per La Scienza”, con il quale organizza eventi contro la disinformazione scientifica.

Il 20 luglio 1969 gli astronauti statunitensi sono arrivati sulla Luna, un’impresa tra le più incredibili, che ha segnato la storia dell’essere umano. Eppure ogni anno tornano le voci secondo cui sulla Luna non ci saremmo mai andati, che era impossibile ai tempi e che si sarebbe trattato di un grande complotto ricreato in studio grazie ad effetti speciali degni di un set cinematografico.

la ad esempio di manuali, articoli scientifici, oltre ad analisi dei campioni e resoconti delle missioni fino ai referti medici. Decisamente troppi dati da poter coprire, senza nemmeno una contraddizione. Oltretutto si sta parlando di un periodo, quello a fine Anni ‘60, dove gli Stati Uniti erano in forte contrapposizione con l’Unione Sovietica che non avrebbe certo perso l’occasione di “sbufalare” gli eterni rivali.

In realtà tutti i documentari “alternativi”– ne circolano a decine in rete (provare per credere) – non considerano innanzitutto l’enorme quantità di foto, video e documenti che sono collezionati e archiviati sui siti ufficiali. Si par-

Le immagini non mentono Tutto questo non riguarda solamente la prima famosissima missione, ma anche le cinque missioni successive del programma Apollo. Le immagini comunque rimangono i documenti più con-

SCIENZE

testati anche se, paradossalmente, sono quelli che dimostrano ancora di più che non può trattarsi di un falso. Ad esempio in una foto si vede un puntino azzurro sul casco di uno degli astronauti, che è la Terra nella sua corretta posizione. Un dettaglio visibile solo ad alta definizione; improbabile pensare che la foto fosse stata ritoccata in modo così preciso. Uno dei dubbi più diffusi riguarda il movimento della bandiera americana che sulla Luna, non essendoci atmosfera, secondo i detrattori, non dovrebbe muoversi. Questo è vero, ma la bandiera si può comunque muovere per le vibrazioni dovute al movimento dell’asta di alluminio. Che dire poi delle impronte? Secondo le tesi alternative si vedono solo la scarpa dell’astronauta, ma non i segni dell’allunaggio! Sembrerà strano, ma la roccia lunare è dura e non viene scalfita, mentre l’impronta è impressa nella polvere. E quell’impronta rimane, visto che non c’è vento. La prova dei campioni Se ci fossero ancora dubbi vi è la prova definitiva: i campioni prelevati dalla Luna. Sono autentici, perché quelli arrivati dai meteoriti presentano caratteristiche chimiche diverse, dovute al passaggio attraverso l’atmosfera terrestre. Dunque, per quanto esistano informazioni che sono state divulgate e per quanto vi siano molti fenomeni ancora poco chiari, non vi è dubbio su quello che accadde più di 45 anni fa. E a volte è sufficiente informarsi da fonti esperte e affidabili per sapere la verità, senza cedere a “suggestivi”complottismi.

ottobre 2015 Scarp de’ tenis

65


150

Le persone in stato di difficoltà a cui Scarp de’ tenis ha dato lavoro nel 2014 (venditori-disegnatori-collaboratori). In 20 anni di storia ha aiutato oltre 800 persone a ritrovare la propria dignità

IL VENDITORE DEL MESE

Una bella foto di Monica in posa nella sua Napoli. Grazie alle vendite può garantire stabilità ai suoi due figli

Monica «Qui a Scarp sono cresciuta e mi sento più forte» di Marta Capuozzo

info Dopo pochi mesi dal suo arrivo, anche Maria, la sorella più piccola di Monica, è arrivata a Scarp de’ tenis. Insieme scrivono e frequentano i laboratori con precisione e assiduità e sperano al più presto di trovare un lavoro per continuare a badare ai propri figli.

66 Scarp de’ tenis ottobre 2015

NAPOLI

La storia di Monica a Scarp de’ tenis ha inizio circa 13 anni fa, nel 2002, quando, a 26 anni, si è ritrovata vedova e con un figlio di quattro anni. Tra cure mediche del bambino e difficoltà di una vita quotidiana che gravava quasi interamente sulle sue spalle Monica decise di cercare aiuto: dal Comune di Napoli fu indirizzata alla Caritas, e quindi al progetto Scarp de’ tenis. Oggi ha 39 anni ed è una delle poche donne della squadra dei redattori di strada partenopei. Appena arrivata in redazione si sentiva spaesata, insicura. Piano piano però ha trovato una dimensione più serena, ha cominciato con piccole sfide, come superare l’emozione di dover parlare in pubblico, durante gli annunci-vendita nelle parrocchie, o uscire dal guscio della propria timidezza per stabilire un contatto con i suoi compagni di lavoro. «Arrivavo da un periodo

di forte depressione, non uscivo neanche di casa – racconta – mi ci è voluto

tempo, ma Scarp mi ha aiutata tanto, così come tutte le persone che sono passate per questo progetto». Con il tempo, infatti, Monica ha imparato a sentirsi a suo agio sia in redazione che nelle parrocchie, sviluppando un rapporto sereno con gli altri, complice il suo carattere conciliante, riservato e pacifico.

Oggi Monica ha un altro figlio di cinque anni, ha chiuso una seconda relazione e vive un periodo di rinata serenità. «Crescita, sicurezza e lavoro sono le tre parole che per me riassumono il senso di essere una redattrice e venditrice di Scarp de’ tenis da tanti anni – conclude Monica –, unitamente alla complicità del lavoro di squadra e dei momenti di convivialità che caratterizzano il progetto. Perchè qui ognuno ha la propria storia e i propri guai, ma non c’è nessuno che vuol essere meglio degli altri. Mi piace lavorare insieme ai miei colleghi di redazione: sono arrivata alla conclusione che fare da soli non funziona».


reclam.com

ph. uezzo.com

Siate egoisti, fate del bene!

Fare del bene è il miglior modo per sentirsi bene. Dare una mano a Opera San Francesco significa dedicare una parte di sè e delle proprie risorse a chi ha bisogno di aiuto e può ricambiarci solo con un sorriso o uno sguardo di gratitudine: significa dare speranza e fiducia e, per questo, sentirsi meglio. Viale Piave, 2 - 20129 Milano ccp n. 456202 Tel. 02.77.122.400

www.operasanfrancesco.it Ringraziamo

Chi sostiene OSF contribuisce a offrire ogni anno 870.000 pasti caldi, 67.000 docce e 40.000 visite mediche a poveri ed emarginati. Da più di 50 anni, con il lavoro di oltre 700 volontari, le donazioni di beni e danaro e i lasciti testamentari, OSF aiuta chi non ha nulla.

Opera San Francesco per i Poveri Una mano all’uomo. Tutti i giorni.



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.